La Truffa Dell' Incenerimento

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La Truffa dell’Incenerimento

Marco TINTI

Abstract: Questo articolo spiega le principali caratteristiche tecniche degli impianti di incenerimento; valuta i rischi sulla salute umana soprattutto riguardo nanoparticelle e diossine; e tenta di porre le basi per una discussione sulla valorizzazione del rifiuto come risorsa. – This article explain principales technical features about incinerators; consider risks on human health especially about dioxins and nanoparticles; and try to lay the bases for discussion about waste’s valorization like resource.

Gli inceneritori sono impianti principalmente utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti mediante un processo di combustione ad alta temperatura (incenerimento) che dà come prodotti finali un effluente gassoso, ceneri e polveri. Negli impianti più moderni, il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per produrre vapore, poi utilizzato per la produzione di energia elettrica o come vettore di calore (ad esempio per il teleriscaldamento). Questi impianti con tecnologie per il recupero vengono indicati col nome di inceneritori con recupero energetico, o più comunemente termovalorizzatori.

Figura 1 - Inceneritore sito nell'area di Forlì, capace di trattare 18 t/h di rifiuti domestici Inceneritore di Vienna, collegato ad una rete di distribuzione di calore - Inceneritore di Thun situato nei pressi dell'omonimo lago nel cantone di Berna.

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RIFIUTI DI INTERESSE PER L’INCENERIMENTO

Figura 2 - Rifiuti trattati in attesa di essere avviati alla combustione. Le categorie principali e quantitativamente predominanti di rifiuti inceneribili sono: • •

Rifiuti Solidi Urbani (RSU); Rifiuti speciali

A queste si possono aggiungere categorie particolari come i fanghi di depurazione, i rifiuti medici o dell'industria chimica. Vi è poi una grande quantità di rifiuti non inceneribili (classificati "inerti") provenienti da costruzioni e demolizioni: questi costituiscono una percentuale di circa il 25% del totale, pari a ~35 milioni di tonnellate l'anno. Prima di procedere all'incenerimento i rifiuti possono essere trattati tramite processi volti a eliminare i materiali non combustibili (vetro, metalli, inerti) e la frazione umida (la materia organica come gli scarti alimentari, agricoli, ecc...). I rifiuti trattati in questo modo sono definiti CDR (ovvero combustibile derivato dai rifiuti) o più comunemente ecoballe.

DIFFUSIONE In Europa sono attivi attualmente 354 impianti di termovalorizzazione/incenerimento, in 18 nazioni. In alcune situazioni, impianti di questo genere sono da tempo inseriti in contesti urbani, ad esempio a Vienna, Parigi, Londra, Copenaghen. Paesi quali Svezia (circa il 45% del rifiuto viene incenerito), Svizzera (~100%), Danimarca (~50%), Francia (~32%), Belgio (~32%) e Germania (~20%) ne fanno largo uso; in Olanda (in particolare ad Avr e Amsterdam) sorgono alcuni fra i più grandi inceneritori d'Europa, che permettono di smaltire fino a un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti all'anno (~33% del totale). In Olanda comunque la politica, oltre a porsi l'obiettivo di ridurre il conferimento in discarica di rifiuti recuperabili, è quella di bruciare sempre meno rifiuti a favore di prevenzione, riciclo e riuso (ad esempio mediante incentivi, come cauzioni e riconsegna presso i centri commerciali sul riutilizzo delle bottiglie di vetro e di plastica). Gli inceneritori Tedeschi verranno gradualmente dismessi e rimpiazzati da 64 impianti di trattamento meccanico biologico. Di contro altri paesi europei ne fanno un uso molto limitato o nullo: Austria (~10%), Spagna e Inghilterra (~4-7%), Finlandia, Irlanda e Grecia (0%) sono esempi in tal senso.

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Figura3 - Distribuzione utilizzo inceneritori in Europa

In Italia l'incenerimento dei rifiuti è una modalità di smaltimento minoritaria, ma comunque nella media dei paesi europei , anche a causa dei dubbi che permangono sulla nocività delle emissioni nel lungo periodo e delle conseguenti resistenze della popolazione: la maggior parte dei circa 4 milioni di tonnellate di combustibile da rifiuti italiani viene incenerita in impianti del Nord, e il totale nazionale ammonta a circa il 12% sul totale dei rifiuti solidi urbani. L’incenerimento, pur facendo registrare, rispetto al 2005, una diminuzione dello 0,1%, vede crescere, nel 2006, del 3,1%, la quota di rifiuti trattati; nel quinquennio esaminato, mantiene una sostanziale stabilità rispetto al totale dei rifiuti prodotti a livello nazionale (quota compresa fra il 9 e l’12% dei rifiuti prodotti dal 2002 al 2006).

Figura4 - Variazione delle tipologie di gestione dei RU Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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A Brescia, in prossimità della città, c'è uno dei termovalorizzatori più grandi d'Europa (ca. 750 000 tonnellate l'anno: il triplo di quello di Vienna) che soddisfa da solo circa un terzo del fabbisogno di calore dell'intera città (1100 GWh/anno).Il termovalorizzatore di Brescia, nonostante sia stato coinvolto in due violazioni di direttive europee, delle quali una a livello nazionale riguardante il CIP 6, sfociate anche in una condanna da parte dell'Unione Europea, nell'ottobre 2006 è stato proclamato «migliore impianto del mondo» dal WTERT (Waste-to-Energy Research and Technology Council), una associazione formata da tecnici, scienziati ed industrie di tutto il mondo. Da notare che la produzione di RSU della provincia di Brescia è minore della capacità dell'impianto, per cui per far funzionare a pieno regime i forni devono essere reperite circa 20000 tonnellate l'anno di rifiuti di altra provenienza e/o tipologia. A Trezzo sull'Adda, in provincia di Milano, c'è uno dei più moderni termovalorizzatori in esercizio in Europa. Nel resto del settentrione sono diffusi principalmente piccoli impianti a scarso livello tecnologico con basso rendimento, per i quali sono necessari dei rimodernamenti (come a Desio, Valmadrera e Cremona). Tuttavia, anche impianti ristrutturati ed "adeguati" di recente, presentano a volte emissioni fuori norma: nel gennaio 2008 l'inceneritore di Terni (ristrutturato nel 1998) è stato posto sotto sequestro in quanto i gestori (la società ASM), avrebbero nascosto emissioni gassose e nelle acque di scarico pesantemente fuori norma con alte concentrazioni di mercurio, cadmio, diossine, acido cloridrico. Sarebbero inoltre stati bruciati in più occasioni persino rifiuti radioattivi di origine ospedaliera e non solo. TRATTAMENTI TERMICI DEI RIFIUTI: INCENERIMENTO

Figura 5 – Ciclo di un inceneritore Gli inceneritori più diffusi in Europa sono del tipo "a griglie". Trattandosi sostanzialmente di impianti che sfruttano il calore sviluppato dalla combustione, non è importante solo il tonnellaggio di combustibile (i rifiuti), ma anche il suo potere calorifico, ovvero il calore sviluppato durante la combustione (in genere pari a circa 9000-13000 MJ/t). In altre parole, un inceneritore progettato (ed Copyleft@2009 Tinti Marco 4 Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

autorizzato) per bruciare 100000 t di rifiuti con potere calorifico di 13000 MJ/t, può arrivare a bruciare anche il 45% in più se i rifiuti hanno potere calorifico di 9000 MJ/t. Inceneritore a griglie In confronto con le altre tipologie di inceneritori, gli impianti con griglie mobili sono quelli maggiormente sfruttati per i rifiuti urbani e permettono, grazie al movimento dei rifiuti all'interno della camera di combustione, una ottimizzazione della combustione stessa. Una singola griglia è in grado di trattare più di 35 t/h di rifiuti e può lavorare 8.000 ore l'anno con una sola sospensione dell'attività, per la durata di un mese, legata alla manutenzione e controlli programmati. Una parte dell'aria necessaria alla combustione primaria viene fornita dal basso della griglia e questo flusso viene anche sfruttato per raffreddare la griglia stessa. Il raffreddamento è importante per il mantenimento delle caratteristiche meccaniche della griglia, e molte griglie mobili sfruttano anche il raffreddamento tramite un flusso interno di acqua. L'aria necessaria alla combustione secondaria viene immessa ad alta velocità superiormente alla griglia e ha lo scopo di portare a completamento la reazione di combustione, realizzando una condizione di eccesso di ossigeno e una turbolenza che assicura un mescolamento ottimale di combustibile e comburente. È da notare però che alle griglie è legato un certo insieme di problematiche tecniche tra le quali spicca il deposito di polveri, con la necessità di un certo livello di manutenzione periodica programmata

Negli impianti più moderni, il calore sviluppato durante la combustione dei rifiuti viene recuperato e utilizzato per produrre vapore, poi utilizzato per la produzione di energia elettrica o come vettore di calore (ad esempio per il teleriscaldamento). Il rendimento di tali impianti è però molto minore di quello di una normale centrale elettrica, poiché i rifiuti non sono un buon combustibile per via del loro basso potere calorifico, e le temperature raggiunte in camera di combustione sono inferiori rispetto alle centrali tradizionali. Talvolta per aumentare l'efficienza della combustione insieme ai rifiuti viene bruciato anche del gas metano. L'indice di sfruttamento del combustibile di inceneritori e centrali elettriche può essere aumentato notevolmente abbinando alla generazione di energia elettrica il teleriscaldamento, che permette il recupero del calore prodotto che verrà poi utilizzato per fornire acqua calda..Oggi gran parte degli inceneritori sono dotati di qualche forma di recupero energetico ma va rilevato che solo una piccola minoranza di impianti è collegata a sistemi di teleriscaldamento e pertanto viene recuperata solo l'elettricità. L'efficienza energetica di un termovalorizzatore è variabile tra il 19 e il 27% se si recupera solo l'energia elettrica ma aumenta molto col recupero del calore (cogenerazione). Ad esempio, nel caso dell'inceneritore di Brescia si ha un rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58% in calore per teleriscaldamento, con un indice di sfruttamento del combustibile dell'84%. A titolo di confronto una moderna centrale termoelettrica a ciclo combinato, il cui scopo primario è ovviamente quello di produrre elettricità, ha una resa del 57% per la produzione elettrica, e se abbinata al teleriscaldamento raggiunge l'87%. Tipicamente per ogni tonnellata di rifiuti trattata possono essere prodotti circa 0,67 MWh di elettricità e 2 MWh di calore per teleriscaldamento(Ramboll, 2006).

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GASSIFICATORI E PIROLIZZATORI Un'alternativa a tutti gli impianti di incenerimento per combustione sono i gassificatori e gli impianti di pirolisi. In tali impianti i rifiuti vengono decomposti termochimicamente mediante l'insufflazione di una corrente di azoto (nei gassificatori anche ossigeno) ad elevate temperature, ottenendo come prodotti finali un gas combustibile (detto syngas) e scorie solide. In pratica mentre negli inceneritori il materiale viene riscaldato in presenza di ossigeno e avviene una combustione che genera calore e produce composti gassosi ossidati, negli impianti di pirolisi lo stesso riscaldamento viene effettuato in assenza totale di ossigeno e il materiale subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. La gassificazione, che avviene in presenza di una certa quantità di ossigeno, può essere considerata come una tecnologia intermedia tra l'incenerimento e la pirolisi propriamente detta. Esistono numerosi processi basati su pirolisi e gassificazione, più o meno diffusi e collaudati, che differiscono fra loro per tipo di rifiuto trattato, per emissioni e per prodotti di risulta (liquidi, gassosi, solidi). In generale la maggior parte di essi è caratterizzata dal fatto che il materiale da trattare deve essere finemente sminuzzato per essere investito in maniera uniforme dalla corrente di azoto (pirolizzatori) o azoto e ossigeno (gassificatori). Le temperature operative sono in genere fra 400 e 800 C° nel caso della pirolisi e mentre per la gassificazione sono nettamente più elevate. Le emissioni delle due tecnologie sono sensibilmente differenti rispetto a quelle relative ad un inceneritore, e variabili in relazione agli specifici impianti e processi utilizzati nonché al tipo di materiale trattato. TORCIA AL PLASMA Un particolare tipo di gassificazione fa uso di una torcia al plasma a temperature comprese fra i 7000 e i 13000 °C, che decompone del tutto le molecole organiche e vetrifica tutti i residui eliminando così in teoria le problematiche relative all' inquinamento, poiché non dovrebbe permettere la produzione di nessun composto gassoso tossico o pericoloso come diossine, furani o ceneri diventando perciò un ottimo modo per trattare pneumatici, PVC, rifiuti ospedalieri e altri rifiuti industriali, nonché rifiuti urbani non trattati. I punti critici di tali impianti sono però lo sfruttamento commerciale del materiale vetrificato e la produzione di nanopolveri, che possono sfuggire alla vetrificazione e sono presenti nei fumi in concentrazioni non ancora esattamente determinate. Il sistema per il trattamento termico dei rifiuti più largamente diffuso in Europa è l’incenerimento, le altre tecnologie più all’avanguardia di trattamento termico sono in fase progettuale e con costi di realizzazione molto elevati CICLO DI UN INCENERITORE È necessario ricordare la cosiddetta legge di Lavoisier o della conservazione della massa. Questa dice che in una reazione chimica la massa delle sostanze reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione. Il che significa che, secondo le leggi che regolano l’universo, noi riusciamo solo a trasformare le sostanze, ma non ad annullarne la massa. Quando s’inceneriscono i rifiuti, tramite l’applicazione di energia sotto forma di calore vengono rotti i legami tra le sostanze in entrata e ricombinati. Se parliamo degli inceneritori per RSU (Rifiuti Solidi Urbani) entrano rifiuti domestici: carta, rifiuti di giardini, avanzi di cucina, metalli, tessuti, plastica, vetro, legno. La natura e la composizione dei rifiuti è naturalmente molto variabile, non prevedibile a priori. Durante questo processo, anche quando si svolge in condizioni ottimali, hanno luogo reazioni casuali in cui si producono migliaia di nuovi composti chimici chiamati PIC (Prodotti Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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di Combustione Incompleta). Solo un centinaio di questi PIC sono stati individuati. Le altre migliaia di sostanze sono sconosciute, anche nei loro possibili effetti sulla salute. Nella fase di raffreddamento, in uscita dal forno, si formano, tra gli altri PIC, idrocarburi clorurati (CHC), comprese le dibenzo-p-diossine policlorurate ed i dibenzofurani; idrocarburi policiclici aromatici (PAH)ed i metalli tossici (per esempio, cromo VI) che sono tra le sostanze più tossiche e persistenti mai studiate e che da molto tempo rappresentano l’asse portante della ricerca in materia di combustione ed effetti sulla salute. Tuttavia il particolato (PM) fine ed ultrafine, che si è visto essere associato con le patologie cardiovascolari, polmonari e con i tumori, recentemente è diventato uno dei temi fondamentali della ricerca. . Il PM fine ed ultrafine è ritenuto essere un efficace mezzo di trasporto per PAH, CHC e metalli tossici. Inoltre, recentemente si è compreso che nella combustione di rifiuti pericolosi, come componenti di computer, anche gli idrocarburi bromurati (incluse le diossine bromurate/clorurate), i metalli redox-attivi ed i radicali liberi persistenti redoxattivi sono associati con le emissioni di PM derivati dalla combustione e dai processi termici. I prodotti completi di combustione, invece, sono: • • • • • • • •

Biossido di Carbonio Ossido di Carbonio Carbonio organico totale Acido Cloridrico Acido Fluoridrico Ossidi di Azoto Ossidi di Zolfo Anidride Solforosa

Queste sostanze sono per buona parte trattenute dai filtri negli impianti di nuova generazione e comunque i limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al metro cubo di fumi e non all'emissione totale. Pertanto, bruciando più rifiuti si ottengono più fumi e quindi più emissioni inquinanti, ma si rimane sempre nei parametri di legge. A titolo di esempio si riportano i limiti di emissione media giornaliera in atmosfera, prescritti dal D.Lgs.n.133/05.

Figura 6 - Limiti di emissione media giornaliera in atmosfera previsto dal D.Lgs.n.133/05 Le sostanze conosciute e il particolato di dimensione superiore al PM10 verranno intercettati dall'impianto di depurazione dei fumi generando rifiuti speciali altamente tossici (in quanto concentrano molti degli inquinanti più nocivi), che come tali sono soggetti alle apposite disposizioni di legge, decreto Ronchi, e sono poi conferiti in discariche per rifiuti tossici speciali di tipo 3. Le scorie pesanti, formate dal rifiuto incombusto – acciaio, alluminio, vetro e altri materiali ferrosi, Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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inerti o altro –, sono raccolte sotto le griglie di combustione e possono poi essere divise a seconda delle dimensioni e quindi riciclate, se non troppo contaminate. Le componenti dei rifiuti non combustibili vengono raccolte in una vasca piena d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo modo, sono quindi estratte e smaltite in discariche speciali. Ovviamente, separando preventivamente gli inerti dalla frazione combustibile, si ottiene una riduzione delle scorie. L'acqua di raffreddamento (circa 2.5 m3/t) deve essere depurata prima di essere scaricata in ambiente.

Figura7 - Valori limite di emissione per le acque reflue derivate dalla depurazione degli effluenti Le scorie sono generalmente smaltite in discarica e costituiscono una grossa voce di spesa. Tuttavia, possono rivelarsi produttive. Un esempio di riciclaggio di una parte delle scorie degli inceneritori è l'impianto BSB di Noceto, nato dalla collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati; qui si trattano le scorie provenienti dai termovalorizzatori gestiti dalle società Silea S.p.A. (impianto di Lecco) e Hera (impianti di Rimini, Ferrara, Forlì, Ravenna) con 30.000 tonnellate di scorie l'anno da cui si ricavano 25.000 tonnellate (83%) di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Infine, circa l'11% delle scorie non può essere recuperato. Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi più consistenti sono subito raccolti, quelli più piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico. Appositi macchinari separano dal resto i rimanenti metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio); tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e additivi, e reso così inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati. Tuttavia, alcuni studi hanno dimostrato la tossicità dei calcestruzzi contenenti scorie (Lapa et al.,2002), anche se con tecniche opportune la si può ridurre significativamente: sono ancora in corso degli studi (Appendino et al.). Non è noto il bilancio energetico totale (e le relative emissioni) di queste procedure ed in che quota questo eroda il recupero energetico della filiera di trattamento dei rifiuti mediante incenerimento. Un'altra tecnologia che si sta sperimentando è la vetrificazione delle ceneri con l'uso della torcia al plasma. Con questo sistema si rendono inerti le ceneri, risolvendo il problema dello smaltimento delle stesse come rifiuti speciali, inoltre si studia la possibilità di un loro riutilizzo come materia prima per il comparto ceramico e cementizio. Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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SOLUZIONI DI FILTRAGGIO DELLE EMISSIONI I sistemi di depurazione dei fumi attuali sono costituiti da varie tecnologie e sono pertanto detti multistadio. Questi sistemi si suddividono in base al loro funzionamento in semisecco, secco, umido e misto. La caratteristica che li accomuna è quella di essere concepiti a più sezioni di abbattimento, ognuna in linea di massima specifica per determinati tipi di inquinanti. In base alla natura chimica della sostanza da "abbattere" vengono fatte avvenire delle reazioni chimiche con opportuni reagenti allo scopo di produrre nuovi composti non nocivi, relativamente inerti e facilmente separabili. A partire dagli anni ottanta si è affermata l'esigenza di rimuovere i macroinquinanti presenti nei fumi della combustione (ad esempio ossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l'anidride solforosa) e di perseguire un più efficace abbattimento delle polveri in relazione alla loro granulometria. Si è passati dall'utilizzo di sistemi, quali cicloni e multicicloni, con efficienze massime di captazione delle polveri rispettivamente del 70% e dell'85%, ai precipitatori elettrostatici (ESP) o filtri a maniche che garantiscono efficienze notevolmente superiori (fino al 99% e oltre). Attualmente le norme vigenti fanno riferimento alle emissioni di polveri totali anche se sarebbe meglio quantificare le polveri rispetto al peso e al numero; rimane il problema di intercettare nanoparticelle inferiori ai PM10(Huang et al, 2002). Accanto a ciò, sono state sviluppate misure di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche costruttive dei forni e migliorando l'efficienza del processo di combustione. Questo risultato si è ottenuto attraverso l'utilizzo di temperature più alte (con l'immissione di discrete quantità di metano), di maggiori tempi di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all'immissione di aria secondaria per garantire l'ossidazione completa dei prodotti della combustione. Tuttavia l'aumento delle temperature, se da un lato riduce la produzione di certi inquinanti (per es. diossine), dall'altra aumenta la produzione di ossidi di azoto e soprattutto di particolato il quale quanto più è fine, tanto più difficile è da intercettare anche per i più moderni filtri, per cui si deve trovare un compromesso, considerato anche che il metano usato comunque ha un costo notevole. Per questi motivi talvolta gli impianti prevedono postcombustori a metano e/o catalizzatori che funzionano a temperature inferiori ai 900 °C. Nell’inceneritore di Brescia si utilizza calce idrata che si combina con le sostanze nocive allo stato gassoso,in particolare l’acido cloridrico e fluoridrico e l’anidride solforosa e solforica, per formare sali di calcio che precipitano in fase solida diventando polveri poi trattenute dal filtro. I carboni attivi adsorbono i microinquinanti residui (tra cui metalli pesanti,diossine e furani) incorporandoli nelle polveri. I fumi attraversano quindi i filtri a maniche. Le “maniche” sono costituite da feltri di speciali fibre sintetiche; ciascuna manica è lunga 7 metri ed ha un diametro di 13 centimetri. Ciascuna linea ha un filtro composto da circa 2000 maniche. I fumi aspirati dalla caldaia attraversano le maniche dall’esterno verso l’interno a bassa velocità (meno di 1 metro al minuto), il feltro delle maniche trattiene le polveri. La combustione delle parti solide avviene sulla griglia, dove la temperatura della fiamma viene automaticamente regolata al valore di circa 1100°C, così da eliminare gli inquinanti organici presenti nei rifiuti e, nel contempo, ridurre la formazione di Ossidi di Azoto e Monossido di Carbonio. La combustione del gas originato dalla griglia viene completata nella zona sovrastante, nella cosiddetta fase di postcombustione. In questa fase viene anche immessa e vaporizzata un’opportuna miscela di acqua e ammoniaca allo scopo di ridurre gli Ossidi di Azoto. Dallo stadio “combustore” si hanno due prodotti: i fumi caldi che entrano nella caldaia per la generazione di vapore e le scorie che si raccolgono in fondo alla griglia. Le scorie contengono rottami di ferro di varie dimensioni che vengono separati tramite un’elettrocalamita per poi essere riutilizzati in Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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fonderia. La restante parte delle scorie è materiale inerte riutilizzabile, finora soprattutto come sostitutivo della ghiaia vergine necessaria per coprire i rifiuti in discarica. Si è peraltro dato avvio ad un progetto di trattamento e riciclaggio delle scorie. LE NANOPARTICELLE Le particelle sono liberate naturalmente in atmosfera dai vulcani attivi, dagl’incendi, dall’erosione delle rocce, dalla sabbia sollevata dal vento, ecc. In genere, le particelle di queste provenienze sono piuttosto grossolane. Spesso più sottili e normalmente assai più numerose, sono le particelle originate dalle attività umane, attraverso processi quali il funzionamento dei motori a scoppio, dei cementifici, delle fonderie e degl’inceneritori. Ogni processo di combustione produce nano particelle, come emissioni di PM primario o come particelle secondarie originate dalle reazioni chimiche atmosferiche delle emissioni degli ossidi di azoto e di zolfo dei processi di combustione (Donaldson et al. 1998). La temperatura è inversamente proporzionale alle dimensioni delle particelle. Veniamo ad avere,quindi, nanoparticelle che non sono catturate efficientemente dai dispositivi di controllo dell’inquinamento in inceneritore, sono trasportate a lunghissime distanze e penetrano in profondità nell'apparato respiratorio; tutto ciò aumenta i potenziali effetti avversi sulla salute (D'Alesio et al. 1999; Kauppinen e Pakkanen 1990). Per farsi un’idea su quanto si possano muovere le nano particelle, pensiamo ai pollini europei che si trovano al Polo Sud: hanno una massa qualche milione di volte superiore alle nano particelle, oppure si pensi alla sabbia del Sahara, relativamente pesantissima, che varca gli oceani e si trova nelle piogge rosse che conosciamo tutti. Durante il meccanismo di formazione delle nanoparticelle le sostanze vaporizzano nella zona della fiamma e successivamente conglomerano a formare piccoli nuclei di nanoparticelle metalliche o condensano sulle superfici di altre nanoparticelle che si trovano nella zona della post-fiamma (reazione termica) (Figura8).

Figura 8 - Formazione/crescita delle nanoparticelle e mediazione delle reazioni che formano gli inquinanti nei sistemi di combustione. Nelle reazioni che si verificano nelle zone della camera di combustione descritte nella si ha la formazione del particolato così come la formazione degli inquinanti in fase gassosa. I metalli ed altri composti refrattari sono vaporizzati nella zona della fiamma. Questi posso condensare agglomerandosi o dare origine a nuclei nella zona della postCopyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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fiamma, dove catalizzano l'ulteriore sviluppo delle particelle e formano gli inquinanti nelle zone fredde. In Italia, il dibattito sulla pericolosità delle nanopolveri, ha avuto origine in gran parte dal lavoro di due ricercatori modenesi: Antonietta Gatti e suo marito, Stefano Montanari. La storia comincia nel 1997, quando Antonietta Gatti, docente presso l’Università di Modena, riceve una telefonata da un collega che ha un problema. Il collega racconta che un suo paziente ha sviluppato dei granulomi molto gravi al fegato e ai reni e non si riesce a capirne le ragioni. Per trovare una risposta, Gatti usa un microscopio elettronico dell’ultima generazione per andare a esaminare direttamente i tessuti danneggiati del paziente. I risultati sono sorprendenti: il microscopio mostra che il fegato del paziente contiene particelle di silicato di alluminio; la comune porcellana. Si riesce anche a scoprire da dove sono venute: il paziente si è letteralmente mangiato il suo impianto dentale mal realizzato, i cui detriti sono finiti nel suo fegato e nei suoi reni. Intorno a questi detriti si è formata un’infiammazione e da questa i granulomi. E’ una scoperta inaspettata che queste particelle, fatte di un materiale in teoria innocuo, abbiano avuto questi effetti devastanti. Il successo più importante del lavoro di Montanari e Gatti è probabilmente il contributo alla studio del mistero della “sindrome dei Balcani”, termine con il quale si indicano una serie di sintomi diffusi fra i veterani delle recenti guerre. C’era chi aveva attribuito le malattie dei veterani alla radioattività o alla tossicità chimica dell’uranio impoverito utilizzato per i proiettili da parte delle forze NATO. Ma Gatti e Montanari dimostrano che non c’è traccia di uranio nel corpo dei pazienti. Invece, nei tessuti danneggiati dei soldati malati si trovano, in molti casi, nanoparticelle derivate dalle strutture colpite dai proiettili. L'uranio si usa come proiettile perché è piroforico e porta i bersagli che colpisce ad oltre 3000 gradi di temperatura, facendoli evaporare in parte. I soldati avevano letteralmente respirato quello che avevano distrutto ed era questa la causa principale delle loro malattie. E’ un’illustrazione moderna dell’antico concetto evangelico che “chi di spada ferisce, di spada perisce”. I risultati di Montanari e Gatti sono all’avanguardia ma non certamente isolati nel panorama della letteratura scientifica internazionale, dove una serie di studi si stanno accumulando sulla pericolosità delle nanopolveri (Rejindeers et al., 2006). La Commissione Europea ha stimato recentemente che in tutta Europa almeno 350.000 decessi all’anno sono causati da polveri ultrafini (Thematic Strategy on Air Pollution (COM(2005) 446)). Il PM10 si deposita principalmente nelle vie respiratorie superiori e può essere eliminato tramite l’azione mucociliare. PM2,5 e PM0,1 penetrano nelle porzioni alveolari del polmone, dove il PM ultrafine passa rapidamente attraverso l'epitelio (Oberdorster 2001).

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Figura 9 - Distribuzione di PM nelle vie aeree. Il PM ≥ di 10 µm di diametro entra dal naso e dalla bocca. La frazione toracica, PM10, passa attraverso la laringe e penetra nella trachea e nelle regioni bronchiali del polmone, distribuendosi principalmente nei punti di diramazione bronchiale. La frazione del PM respirabile, PM2,5 ed ultrafine, PM0,1, entrano nelle regioni alveolari non ciliate e si depositano in profondità nel parenchima polmonare. Inoltre, queste particelle estremamente fini riescono a penetrare la membrana cellulare e, certe volte, addirittura a installarsi nel nucleo della cellula. Non si sa con certezza che danni possano fare in queste zone, ma è possibile che possano danneggiare il materiale genetico cellulare, il DNA. Sono in ogni caso particelle non biocompatibili, quindi patogene; non biodegradabili per cui l’organismo non possiede mezzi per smaltirle. La capacità di analisi del microscopio mostra che queste particelle sono spesso il risultato di processi industriali; si trovano metalli, ferro, cobalto, piombo, rame e molti altri, come pure zolfo, cloro fosforo ed altri elementi. Si trovano queste particelle anche su sostanze alimentari in commercio. E' difficile provare che queste particelle provengano da inceneritori, ma si può sospettare che in un certo numero di casi questa sia la loro origine. DIOSSINE Le diossine ed i furani sono tossici, cancerogeni e mutageni per l'organismo umano. Sono poco volatili per via del loro elevato peso molecolare e sono solubili nei grassi, dove tendono ad accumularsi. Proprio per questo motivo tendono ad accumularsi nella catena alimentare e nell'organismo umano per cui anche una esposizione a livelli minimi ma prolungata nel tempo può recare gravi danni alla salute. Le sorgenti delle diossine sono varie e hanno avuto molte variazioni nel corso degli anni, ed è difficile quantificarne esattamente la rilevanza relativa: gli inceneritori sono comunque una delle fonti maggiori, e vanno tenuti sotto accurata osservazione. Per quanto concerne l'incenerimento, le diossine vengono prodotte quando materiale organico è bruciato in presenza di cloro, sia esso ione cloruro o presente in composti organici clorurati come le plastiche in PVC. La soglia minima di sicurezza per tali sostanze è ancora oggetto di investigazione scientifica; i limiti imposti dalla UE sulle emissioni sono di 0,1 nanogrammi/m3. Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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Per ridurre l'emissione di vari inquinanti fra cui la diossina, negli inceneritori è vietato (per legge) che i fumi scendano sotto gli 850° C, che è poi il motivo per cui gli inceneritori non possono accettare materiale dal potere calorifico troppo basso oppure devono integrare la combustione con metano. L'obiettivo di minimizzare le emissioni di diossine contrasta in parte con il recupero dell'energia, in quanto una elevata temperatura di combustione e un veloce raffreddamento dei fumi (condizioni ideali per ridurre la formazione di diossina) sono incompatibili con una massima efficienza nel recupero dell'energia termica. Gli impianti tecnologicamente più avanzati presentano un elevato grado di efficienza tale da contenere le emissioni a livelli significativamente inferiori al limite di legge ma bisogna considerare che la legge impone solo delle misurazioni periodiche e non continue sulla produzione di diossina, e che solo in pochissimi impianti italiani è tenuta sotto costante controllo. Gli inceneritori rilasciano diossina non solo nell'atmosfera attraverso i fumi, ma anche nella terra e nell'acqua: le diossine sono presenti nelle scorie e nei residui solidi o liquidi del filtraggio dei fumi, e possono diffondersi per percolazione nel luogo di deposito di tali rifiuti o per dispersione delle acque di lavaggio delle zone di inquinate. La quantità di diossina nelle scorie – secondo misurazioni del DETR, Dipartimento inglese per l'ambiente – è di circa 12-72 nanogrammi/kg; il miglioramento tecnologico ha ridotto notevolmente l'emissione complessiva di diossina, tuttavia i sistemi di filtraggio più sono efficienti più concentrano le diossine prodotte nei loro residui: nei residui del filtraggio dei fumi attraverso precipitatori elettrostatici delle polveri (circa 30 kg/t di rifiuti) in passato la concentrazione era elevatissima, fra i 6600 e i 31100 ng/kg; negli impianti recenti è di 810-1800 ng I-TEQ/kg (quindi ca. 24,3-54 ng diossina/t rifiuti) e 68012200 ng I-TEQ/kg nei fanghi dalle torri di lavaggio dei fumi (circa 10-15 kg/t di rifiuti, quindi ca. 8,5-152,5 ng diossina/t rifiuti). STUDI EPIDEMIOLOGICI Nella letteratura scientifica vi sono molti studi condotti sugli inceneritori rispetto ai rischi tumorali, i dati vengono spesso confutati per il fatto che è impossibile attribuire al solo inceneritore l’emissione di sostanze cancerogene. Menziono, a questo proposito uno degli articoli più recenti di uno studio del 2 aprile 2008 condotto da La Veille Sanitarie in Francia nelle popolazioni residenti in prossimità di impianti di incenerimento. I risultati preliminari erano stati presentati nel novembre 2006 ed avevano riguardato 135.567 casi di cancro insorti nel periodo 1990-1999 su una popolazione di circa 2.5 milioni di persone residente in prossimità di 16 inceneritori di rifiuti urbani attivi tra il 1972 ed il 1990. Lo studio aveva considerato l’esposizione a diossine valutate in diversi percentili, trovando un aumento del rischio coerente col crescere dell’esposizione; in particolare nelle aree più esposte l’aumento del rischio era: sarcomi + 12.9% in entrambi i sessi, linfomi non Hodgkin + 8.4% , cancro al fegato +9.7 %, cancro alla mammella +6.9%, tutti i cancri nelle donne +4%. Orbene, le preoccupazione già a suo tempo emerse dai risultati preliminari, si sono ulteriormente rafforzate davanti ai risultati definitivi conteggiati a marzo 2008 e che evidenziano i seguenti incrementi: sarcomi + 22%, linfomi non Hodgkin + 12% in entrambi i sessi + 18% nelle femmine, cancro al fegato +16%, tutti i cancri nelle donne +6% ed ancora, dato in precedenza non rilevato, incremento del rischio di incidenza per mieloma multiplo in entrambi e sessi +16% e per i maschi addirittura + 23%. Correlazione tra patologie tumorali sarcoma e l'esposizione a diossine derivanti da inceneritori e attività industriali confermate anche da uno studio italiano tra il 1990 e 1996 nei pressi dell’inceneritore di Venezia dove il rischio di tumore era triplicato.(Zambon et al.) VALUTAZIONI

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La vecchia generazione di inceneritori era, effettivamente, pericolosa per la salute, soprattutto per le emissioni di quei composti chiamati “diossine”. Ma, negli ultimi anni, gli inceneritori sono stati molto migliorati, abbattendo in parte le emissioni di diossine. L’aggiunta dei sistemi di recupero del calore sono un ulteriore miglioramento e, di conseguenza, l’installazione di nuovi inceneritori era programmata in diverse regioni in Italia. Tuttavia, il giudizio sugli inceneritori dell’ultima generazione potrebbe dover cambiare sulla base di una serie di studi recenti sui danni alla salute dovuti alle emissioni di polveri ultrasottili (“nanopolveri”). Al momento attuale, la legge prescrive che l’inquinamento particolato dell’aria sia valutato determinando la concentrazione di particelle che abbiano un diametro aerodinamico medio di 10 micron - le ormai famose PM10 - e prescrive che la valutazione avvenga per massa. Nulla si dice ancora, invece, a proposito delle polveri più sottili: le PM2,5 (cioè particelle con un diametro aerodinamico medio di 2,5 micron), le PM1 (diametro da 1 micron) e le PM0,1 (diametro da 0,1 micron). Sono proprio quelle le polveri realmente patogene, con una patogenicità che cresce in modo quasi esponenziale con il diminuire del diametro. E per avere un’idea degli effetti sulla salute di queste polveri occorre che le particelle siano non pesate, ma classificate per dimensione e contate. Se ciò portasse a dei decreti specifici a livello nazionale o Europeo, questo metterebbe in difficoltà l’attuale generazione di inceneritori; i filtri esistenti sono abbastanza efficaci per le particelle grossolane, ma molto meno per le nanoparticelle (Huang et al, 2002). Può darsi che nel futuro si riescano a sviluppare filtri per particelle molto fini più efficienti degli attuali, ma questo non è un problema di facile soluzione. Non c’è in vista, almeno per il momento, una “terza generazione” di inceneritori che potrebbe risolvere il problema nanopolveri così come l’ultima generazione di inceneritori aveva risolto in gran parte quello delle diossine. Per quanto riguarda le emissioni di prodotti completi di combustione, la legge prevede valori abbastanza restrittivi, il problema è che il monitoraggio si basa sull’ autocontrollo da parte delle aziende che gestiscono gli inceneritori, in molti casi vi sono state infrazioni dovute al truccato invio dei dati. Nel gennaio 2008 l'inceneritore di Terni (ristrutturato nel 1998) è stato posto sotto sequestro in quanto i gestori (la società ASM), avrebbero nascosto emissioni gassose e nelle acque di scarico pesantemente fuori norma con alte concentrazioni di mercurio, cadmio, diossine, acido cloridrico. Sarebbero inoltre stati bruciati in più occasioni persino rifiuti radioattivi di origine ospedaliera e non solo. Fra febbraio e giugno del 2007 l'inceneritore di Trieste è stato posto sotto sequestro per il superamento dei limiti di legge riguardanti le emissioni di diossine, superiori anche di 10 volte il limite autorizzato. Luglio 2007 chiuso l’impianto di Montale per valori di diossine 6 volte superiori alle norme. Tra 22 gennaio e il 4 febbraio 2008 sulla linea 2 dell’inceneritore di Pietrasanta(LU) l’ARPAT attraverso regolari controlli ha costatato, la violazione dei limiti di legge per quanto riguarda le diossine, da parte dell’impianto. Già nel 2003 l’inceneritore, violò nel mese di settembre i limiti per le diossine superandoli fino a 14 volte. Inoltre, i limiti di concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa, D.Lgs.n.133/2005 sono riferiti al metro cubo di fumi e non all'emissione totale. Pertanto, bruciando più rifiuti si ottengono più fumi e quindi più emissioni inquinanti, ma si rimane sempre nei parametri di legge. Detto in altri termini, i limiti sono relativi alla concentrazione dell'inquinante all'emissione, ma non al flusso di massa: quindi si occupano della qualità dell'emissione, per incentivare l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, ma non della quantità delle emissioni cioè dell'impatto complessivo sull'ambiente. Per tale motivo, le norme non garantiscono necessariamente un valore di concentrazione degli inquinanti "sicuro" in base a studi medici ed epidemiologici sull'effetto degli inquinanti, ma si riferiscono ai valori che è possibile ottenere tecnicamente con gli impianti migliori.

Limiti normativi alle emissioni in atmosfera: medie giornaliere (mg/Nm3) Inquinante

Incenerimento

Grandi impianti di

Valori reali di un moderno impianto

Grandi impianti Cementifici Silla 2, 2005

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(DL 133/2005, 2000/76/CE)

combustione a carbone anteriori al 1988 (DM 12/7/1990)

di combustione a gas nuovi (DL 152/2006)

(DL 152/2006)

Polveri totali

10

50

5

50

0,14

Anidride solforosa

50

400

35

600

2,2

NOx

200

200

100

1800-3000

138,7

Monossido di carbonio

50

250





8,2

Diossine e furani 0,1 (ng/Nm3)

10



10

0,0147

Metalli pesanti



10



5



Piombo

0,5







0,0013

Cadmio

0,05







0,0003

Mercurio

0,05







0,001

Figura 10 - Limiti di legge imposti agli inceneritori per le emissioni in atmosfera paragonati ad altri tipi di impianto presenti sul territorio. Le misurazioni sono necessarie solo ad assicurare il rispetto della legge, spesso non sono precise e non servono a conoscere l'effettiva emissione in atmosfera. Ad esempio, in inceneritori come quello di Brescia la concentrazione di diossina nei fumi può essere abbastanza bassa da risultare non rilevabile dagli strumenti adottati (a Brescia la soglia di misurabilità è di 0,04 ng/Nm3 di fumi, ovvero circa 240 ng/t di rifiuti). Quindi, se la concentrazione fosse di poco inferiore a tale soglia (e dunque non rilevata dagli strumenti), data un'emissione di 3 000 000 m3 di fumi al giorno, la produzione di diossina sarebbe di 200 000 ng/giorno, cioè la massima dose giornaliera tollerabile (0,15 nanogrammi) per oltre 1,3 milioni di persone, ma non verrebbe rilevata. Alla luce di queste considerazioni porto all’attenzione il Piano di Monitoraggio della qualità dell’Aria per la determinazione di microinquinanti organici ed inorganici nell’ambito della Valutazione di Rischio nel Sito di Interesse Nazionale “Brescia- Caffaro”, Ministero superiore di Sanità 2008.

Figura 11 - Concentrazioni di PCDD/DF espresse in fgTEQ/m3 rilevate in aria ambiente in diverse località La prima campagna (ad ora l’unica disponibile) è stata condotta sostanzialmente nel mese di agosto e di chiusura feriale (30 luglio – 24 agosto 2007), ma il periodo considerato per i dati ritenuti validi, è compreso tra il 2 e il 21 agosto. Probabilmente l’Istituto superiore di Sanità, responsabile dell’indagine, ha scelto intenzionalmente il periodo di chiusura feriale, per poter valutare meglio il possibile effetto di risospensione dei contaminanti (diossine, PCB, mercurio) presenti nel “sito Brescia Caffaro”, sulla base del presupposto che in quel periodo non vi fossero altre fonti attive di Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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immissione al suolo: traffico molto ridotto e acciaierie ferme; solo l’inceneritore era attivo, e a pieno regime. Ci appare chiaro come il problema diossina apparentemente risolto per legge e sulla carta (0,02% dati Comune di Brescia, Assessorato all’Ambiente,Università degli Studi di Brescia, Dispersione atmosferica di inquinanti emessi da diverse sorgenti sul territorio bresciano, Brescia marzo 2005, p. 70) sia ancora eccessivamente attuale. Tornando alla legge di Lavoisier, uno dei problemi di cui tener conto nell’incenerimento dei rifiuti è la quantità di residuo che si ottiene. Poiché nel processo d’incenerimento occorre aggiungere all’immondizia calce viva e una rilevante quantità d’acqua, da una tonnellata di rifiuti bruciata escono una tonnellata di fumi, da 280 a 300 kg di ceneri solide, 30 kg di ceneri volanti (la cui tossicità è enorme), 650 kg di acqua sporca (da depurare) e 25 kg di gesso; a questo vanno aggiunti le membrane dei filtri che periodicamente vanno sostituite. Tutto questo,per legge, decreto Ronchi, deve essere smaltito in discariche per rifiuti tossici speciali di tipo 3, ovviamente con costi di trasporto e di smaltimento molto onerosi e comunque sempre utilizzando le discariche, con tutti i problemi annessi. Come abbiamo visto le scorie sono generalmente smaltite in discarica e costituiscono una grossa voce di spesa. Tuttavia, possono rivelarsi produttive: un esempio di riciclaggio di una parte delle scorie degli inceneritori è l'impianto BSB di Noceto, nato dalla collaborazione fra CIAl (Consorzio Imballaggi Alluminio) e Bsb Prefabbricati; qui si trattano le scorie provenienti dai termovalorizzatori gestiti dalle società Silea S.p.A. (impianto di Lecco) e Hera (impianti di Rimini, Ferrara, Forlì, Ravenna) con 30.000 tonnellate di scorie l'anno da cui si ricavano 25.000 tonnellate (83%) di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate (5%) di metalli ferrosi e 300 tonnellate (1%) di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. Infine, circa l'11% delle scorie non può essere recuperato. Le scorie e le ceneri vengono caricate su un nastro trasportatore; i rottami ferrosi più consistenti sono subito raccolti, quelli più piccoli vengono rimossi poi con un nastro magnetico. Appositi macchinari separano dal resto i rimanenti metalli a-magnetici (prevalentemente alluminio), tutto il resto, miscelato con opportune dosi di acqua, inerti, cemento e additivi, e reso così inerte, va a formare calcestruzzo subito adoperato per la produzione di elementi per prefabbricati. A titolo di confronto, si segnala che il solo inceneritore di Brescia produce circa 240.000 tonnellate di scorie. Per contro, alcuni studi hanno dimostrato la tossicità dei calcestruzzi contenenti scorie(Lapa et al.,2002), anche se, con tecniche opportune, la si può ridurre significativamente, sono ancora in corso degli studi(Appendino et al). Non è noto il bilancio energetico totale (e le relative emissioni) di queste procedure ed in che quota questo eroda il recupero energetico della filiera di trattamento dei rifiuti mediante incenerimento. Un inceneritore, per funzionare al meglio, deve mantenere la sua temperatura intorno ai 900°C, per questo ha bisogno di bruciare quei materiali che possiedono un’alta capacità calorifica, vale a dire proprio le plastiche, la carta e il legno; a Brescia, per far funzionare a pieno regime i forni, sono state importate, nel 2006, da fuori provincia, 26.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani e nel 2007 altre 16.000 tonnellate, quelli provenienti dalla Campania sarebbero dovuti essere 9.000 tonnellate. Si mediti, poi, anche sul fatto che l’utilizzo, come combustibile, dato l’alto potere calorico, di materiali come plastica, carta e legno, ne comporta il conseguente mancato riciclaggio con un concentramento di enormi investimenti sull’attività di incenerimento a scapito del finanziamento di altre iniziative (piattaforme di raccolta, impianti per il compostaggio, sensibilizzazione dei cittadini, incentivi alla riduzione dei rifiuti, ecc.). Si deduce quindi che la raccolta differenziata/riciclaggio e l’incenerimento sono due attività in competizione fra di loro per l’accaparramento della materia prima, cioè i rifiuti; e non sono certamente attività complementari: una esclude l’altra. Dove si punta davvero sulle raccolte differenziate i risultati, anche su vasta scala, arrivano anche in pochi anni. Dove si punta invece sugli inceneritori come in Toscana, in Campania e in Lombardia i risultati sono bassissimi o fermi da 4 anni. Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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Il termine termovalorizzatore, seppur di uso comune, è talvolta criticato in quanto sarebbe fuorviante. Infatti, secondo le più moderne teorie sulla corretta gestione dei rifiuti gli unici modi per "valorizzare" un rifiuto sono prima di tutto il riuso e poi il riciclo, mentre l'incenerimento (anche se con recupero energetico) costituisce semplice smaltimento ed è dunque da preferirsi alla sola discarica di rifiuti indifferenziati. Si fa notare che il termine non viene inoltre mai utilizzato nelle normative europea e italiana di riferimento, nelle quali si parla solo di "inceneritori". Alcuni dati in proposito:

Figura 12 - . (da: J. Morris, D. Canzonieri - "Recycling versus incineration. An Energy conservation Analisys, Seattle, USA) La figura12 confronta l’energia conservata dal riciclaggio con quella generata da un inceneritore, misurata in unità BTU (British Thermal Units): come si vede per qualunque tipo di rifiuto l’energia risparmiata usando materiali riciclati è mediamente cinque volte superiore a quella prodotta da un inceneritore. La figura13, ripropone lo stesso confronto con dati tratti da un’altra fonte.

Figura13 - Produzione e consumo di energia In questo caso vengono confrontati i bilanci energetici dei tre diversi sistemi di gestione dei rifiuti (discariche, incenerimento e riciclaggio) misurati in BTU per tonnellata di rifiuti. Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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Come si vede : • le discariche sono un consumatore netto di energia; • l’incenerimento produce energia in forma di calore (o di energia elettrica); • il riciclaggio induce risparmio energetico. Questi ultimi due sono infatti indicati con valori negativi. Il valore del risparmio conseguito con il riciclaggio è però superiore di circa quattro volte alla produzione di energia ottenuta dall’incenerimento. A queste argomentazioni, si controbatte spesso domandando, “Ma qual è l’alternativa all’inceneritore?” Qui possiamo subito dire che non esiste un alternativa se quello che intendiamo è qualcosa che faccia magicamente sparire i rifiuti, come gli inceneritori danno l’illusione di fare. In realtà, non abbiamo bisogno di alternative, abbiamo bisogno di soluzioni. SOLUZIONE: RIFIUTI ZERO La soluzione sarebbe l’adozione di idonei strumenti che favoriscano approcci di tipo integrato, articolato e duttile a partire dai primi stadi di gestione dei rifiuti solidi urbani; affiancando ad una politica di incentivi una forte legislatura che freni l’utilizzo di prodotti usa e getta, non riciclabili. Sarebbe opportuno stilare un elenco di Potenziali Rifiuti solidi urbani di cui si vieta l’uso su tutto il territorio nazionale per i loro danni all’ambiente; inserire un’efficace Tassa di Smaltimento Anticipata su selezionate categorie di rifiuti come stoviglie monouso e tetrapack che dovranno essere smaltite,per forza di cose, in discarica. Città come San Francisco,850000 abitanti, hanno adottato una politica di questo tipo raggiungendo livelli di raccolta differenziata ed altrettanto riciclaggio del 70%; la stessa azienda che raccoglie i rifiuti porta-porta,li ricicla,li avvia al compostaggio e paga la discarica per stoccare il residuo inerte, non riciclabile. Questo è stato possibile attraverso una politica di incentivi che ha spinto le aziende a intraprendere e sperimentare nuove vie come utilizzare prodotti biodegradabili, diminuire gli imballaggi mettendo in conto la possibilità che ogni articolo gli verrà restituito e dovrà riusarne il più possibile. In Europa colossi come la Xerox ha ritirato tutte le vecchie fotocopiatrici sul mercato riutilizzando il 90% e risparmiando qualcosa come 76 milioni di dollari l’anno. Città come la Tasmania hanno proibiti l’utilizzo di shopper in plastica favorendo quelli in stoffa e carta. A Bologna nasce il Minerv Pha, un nuovo poliestere lineare prodotto dalla fermentazione batterica della barbabietola da zucchero e non da oli o amido di cereali come la maggior parte dei biopolimeri oggi in commercio. Frutto del progetto di ricerca, avviato nel 2007 da Bio on, azienda attiva nel settore delle moderne biotecnologie e Co.pro.bi, Cooperativa produttori bieticoli di Bologna ed ora finalmente ha ottenuto la certificazione “Biodegradable Water”, dalla belga Vinçotte, attestato della completa biodegradabilità in acqua e a temperatura ambiente. L’utilizzo di questo biopolimero può dare vita a oltre cento differenti monomeri e ad altrettanti materiali con proprietà estremamente differenti. Può essere impiegato per creare materiali termoplastici o elastomerici, con il punto di fusione che varia da 40 a 180°C, che potranno quindi sostituire, oggetti plastici rigidi ottenuti dal petrolio come Pet, Pp, PVC con i quali si producono bottiglie, packaging alimentare, componentistica auto, arredamento, fibre, pellicole per imballaggio, elettronica. I mezzi tecnici-scientifici per poter valorizzare i rifiuti dal riciclo al compostaggio alle bioplastiche, sono utilizzabili, manca solo l’impegno da parte della classe dirigente di affrontare il problema non rispetto al loro breve mandato; ma nel rispetto delle generazioni future.

BIBLIOGRAFIA E WEBOGRAFIA Copyleft@2009 Tinti Marco Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a condizione che questa nota sia riprodotta e sia citato l’autore.

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