La guerra di Bush Anthony M. Quattrone La presidenza di George W. Bush sarà sicuramente ricordata come quella che è iniziata con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, è continuata con la guerra in Iraq, e si è conclusa con la più grande crisi economica registrata in America dal 1929. E’ difficile attribuire a Bush responsabilità di causa ed effetto per i due eventi che hanno marcato l’inizio e la fine della sua presidenza, mentre la guerra in Iraq è sicuramente imputabile direttamente a lui. Ha voluto la guerra, ha cercato i motivi per farla, la ha condotta come voleva, e, infine, la lascerà in eredità al nuovo presidente il 20 gennaio 2009, quando passerà le consegne a Barack Obama. Gli attacchi terroristici contro New York e Washington nel settembre 2001 sono stati degli atti di guerra da parte di forze irregolari, non appartenenti ad alcuna nazione, ma ospitati presso uno stato sovrano, l’Afghanistan. La guerra che gli Stati Uniti hanno fatto contro questo paese, l’occupazione che è seguita, e la campagna armata ancora in corso contro Al Qaeda e i suoi alleati Taliban hanno trovato un largo consenso sia nell’opinione pubblica mondiale, sia fra i giuristi internazionali. Quanto Bush ha fatto dopo l’occupazione dell’Afghanistan ha trovato poco consenso nel mondo. La creazione del carcere di Guantanamo, non soggetta alle leggi civili degli Stati Uniti o alle diverse Convenzioni di Ginevra, dove sono ancora ospitati circa 250 “combattenti illegali”, o persone sospettate di essere tali, ha marcato in modo indelebile la nobile tradizione della “due process” legale americana. Solo in poche altre occasioni, sempre caratterizzate dalla paura di un nemico esterno, l’America ha messo da parte il “due process”, come quando durante la Seconda guerra mondiale migliaia di americani di origine giapponese e italiana furono internati in campi di concentramento. Durante un’intervista con l’ABC News il primo dicembre, Bush si è rammaricato sia d’essere stato colto di sorpresa dall’atto di guerra contro gli Stati Uniti, sia perché le informazioni sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein erano errate. Bush, tuttavia, non riesce ad ammettere che, secondo le informazioni disponibili fino ad ora, non c’era alcun collegamento fra il dittatore iracheno e gli attacchi terroristici del 2001, e che mancava una relazione di causa ed effetto. Bush lascia in eredità ad Obama una situazione difficile per quanto riguarda la guerra in Iraq. Ci sono ancora 146 mila soldati americani presenti nel paese. I morti americani hanno superato quota 4.200, mentre i feriti gravi e i mutilati sono circa 31 mila. I contribuenti americani hanno speso già 576 miliardi di dollari dall’inizio delle ostilità, e ora spendono 12 miliardi di dollari al mese, pari a 5 mila dollari al secondo, per sostenere l’impegno in Iraq. Le cifre precise dei morti e dei feriti gravi e mutilati fra gli iracheni non si conoscono, ma le stime sono nelle decine di migliaia. La guerra in Iraq è una tragedia che farà parte della “legacy” di George W. Bush. Obama ha promesso di ritirare le truppe americane dall’Iraq entro un anno dall’insediamento come presidente, se le condizioni sul terreno lo permetteranno, e di chiudere Guantanamo, trasferendo i prigionieri all’amministrazione civile. Il
presidente eletto vuole riprendere a fare sul serio la guerra in Afghanistan per debellare completamente il cancro del terrorismo di Al Qaeda appoggiato dai Taliban, schierando una parte della forza attualmente presente in Iraq. Obama ha un duro lavoro da fare per far riguadagnare all’America il rispetto che ha perduto come faro della libertà e della giustizia. Sarà duro anche il lavoro che dovrà fare per assicurarsi che le forze militari americane saranno in grado di debellare il terrorismo in Afghanistan, mentre tengono sott’occhio la situazione sul terreno in Iraq. Le scarpe lanciate a Bush dal giornalista iracheno durante la conferenza stampa di domenica scorsa sono forse anche un monito ad Obama. www.politicamericana.com