Interfacce

  • Uploaded by: Vito Francesco De Giuseppe
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  • May 2020
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Interfacce

Vito Francesco De Giuseppe

Collegare due sistemi tra loro, caratterizzati dalla reciproca incomunicabilità causata dalla diversità dei linguaggi utilizzati, dalla modalità utilizzata per comunicare, da qualunque altro intoppo prevedibile e non, costituisce la summa delle difficoltà che un’interfaccia deve riuscire a risolvere nel suo utilizzo. Gli umani stabiliscono relazioni comunicando tra loro e per far questo usano un linguaggio. Un cinese che cerca, di parlare con un americano non è solo un personaggio da barzelletta, ma nel Palazzo di Vetro dell’ONU a New York, si chiama ambasciatore e con indosso auricolari elettronici sofisticati (per materiali usati e specifiche audio) si trova di fronte al problema di dover essere compreso, così come lo stesso ambasciatore americano si trova a fronteggiare l’analoga difficoltà. Ecco quindi che spunta, negli auricolari del delegato USA all’ONU, come per incanto, una voce che traduce in tempo reale, real time per gli anglofoni, l’antico idioma della terra del drago in un perfetto inglese in cui a fatica si riconosce la dolce inflessione dell’inglese parlato in Louisiana. Il traduttore, persona in carne ed ossa, è una signorina il cui cognome tradisce le chiare origini cinesi, ma che ha vissuto gran parte della sua vita, compresi gli studi universitari, nel sud degli Stati Uniti. La signorina diventa così l’interfaccia tra il delegato cinese e quello statunitense. Egli ascolta le parole dette dal cinese, nella cuffia che indossa; il suo orecchio percepisce la 1

struttura sonora e ne discrimina le frequenze; queste diventano impulsi elettrochimici che sono trasferiti in alcune aree del cervello che elaborano lo stimolo. In questa sede, il cervello cioè, è svolta l’operazione di traduzione dal cinese all’inglese, con tanto d’inflessione particolare, quindi altri impulsi elettrochimici sono inviati dal cervello a varie aree del corpo umano che svolgono diverse funzioni e tra queste, quella di produrre linguaggio. Il linguaggio prodotto dalla traduttrice passa da un microfono, diventando impulso elettrico che giunge agli auricolari del delegato statunitense e da qui inizia il percorso inverso. Una domanda sorge spontanea: in tutto questo bailamme d’impulsi elettrici o simil tali, di motoneuroni che sono attivati, di laringi che vibrano, di stapedii che si contraggono parossisticamente, l’interfaccia qual è? Semplice: il cervello della signorina che traduce e che è in grado di svolgere in parallelo attività tra loro diverse, ma topologicamente collegate. Accorciare la distanza tra l’uomo e la macchina sembra essere l’aspetto fondamentale dell’attuale definizione d’interfaccia. Anzi tale distanza si accorcia al punto da non esistere, da far coincidere la macchina con l’uomo stesso e viceversa. Interfacciarsi: entrare in relazione con, relazionarsi tra, questo processo consente agli esseri viventi di evolversi e di raggiungere nuove mete di sviluppo.

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