19 Sommario 15 OTTOBRE 2006
Fiscalità d’impresa Manovra-bis L’accertamento nelle operazioni di cessione immobiliare ON-LINE (WWW.IPSOA.IT/PORTALEBILANCIO)
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Informativa societaria Corporate governance Adeguamento al Sarbanes-Oxley Act: metodologia, problematiche e opportunità
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Le società estere quotate al New York Stock Exchange devono essere entro il 2006 compliant con i dettami del Sarbanes-Oxley Act, una normativa che ha lo scopo di aumentare da un lato i controlli del management sull’informativa societaria, dall’altro di accrescere la trasparenza dell’annual report che così comunica anche quale è la situazione sia in termini di predisposizione di un sistema di controllo over financial reporting sia in termini di operatività dello stesso. L’articolo, partendo dall’analisi dei dettami della Sez. 404 del SOA, individua un possibile percorso di adeguamento allo stesso, indicando le principali problematiche che si possono incontrare lungo il percorso. di Luca Condosta membro del GBS (www.gruppobilanciosociale.org), docente presso il MISP - Univ. Di Bologna.
Pianificazione e controllo Pianificazione strategica Management science e modelli di supporto alle decisioni
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Il processo decisionale che sta alla base delle decisioni strategiche aziendali deve essere basato su analisi quanto più accurate possibili del mercato e della situazione economica in cui l’impresa si trova ad operare. Si sono rivelati dunque sempre più utili alcuni supporti metodoligici già noti ma resi maggiormente diffusi e sfruttabili dall’avvento delle nuove tecnologie. di Amedeo De Luca Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Analisi finanziaria
DIRETTORE RESPONSABILE Donatella Treu REDAZIONE Matteo Ferrara, Silvia Regispani, Elena Rossi, Michaela Ventrella.
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Il decreto Bersani ha introdotto importanti novità in materia di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA con riferimento alle operazioni di cessione immobiliare, nonché in materia di determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale. L’articolo analizza tali novità ed avanza alcune prime riflessioni in merito. di Luca Noferi e Massimiliano Gianni Dottori Commercialisti in Firenze Studio Associato Tributario
Creazione di valore Un settore in rapido mutamento: le utilities, tra crescita e creazione di valore Il settore delle utilities è sicuramente oggi uno dei settori maggiormente interessati da grandi cambiamenti: cambiano i modelli di business, gli attori in campo, le tecnologie ed i servizi. Sembra che gli sforzi di chi voglia eccellere in tale settore siano rivolti prevalentemente all’ottenimento di una massa critica in tempi relativamente brevi, anche e soprattutto attraverso operazioni straordinarie di acquisizione e fusione. Ma quali sono i risultati, sul piano della redditività e della creazione di valore, di queste strategie di crescita rapida? di Massimo Lazzari Consulente Mondaini Partners Srl.
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Sommario Te c n i c h e f i n a n z i a r i e Intermediari finanziari
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Antiriciclaggio: la disciplina degli intermediari finanziari La rivoluzione dell’antiriciclaggio, iniziata con il D.Lgs. n. 56/2004 ha toccato anche gli intermediari finanziari già fortemente coinvolti in questa disciplina. Con il presente contributo si cercherà di far luce sulle nuove disposizioni che hanno profondamente ridisegnato i loro adempimenti ponedo non pochi problemi interpretativi. di Stefano D’Arcangelis
Mercati finanziari: analisi e previsioni
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Scenario europeo e USA: le «mosse» della Bce e della Fed Le informazioni provenienti dalle stime sui dati di contabilità nazionale per il secondo trimestre hanno visto il superamento nella crescita economica da parte dell’Area Euro sugli Stati uniti. L’economia d’oltreoceano ha visto un forte rallentamento nell’attività immobiliare ed un significativo raffreddamento nella fiducia dei consumatori. di Massimo Da Ros Greta Consulting
Inserto Innovazione e politiche aziendali di sourcing IT Importanza delle tecnologie informatiche – Indicatori dello sviluppo – Politiche strategiche di sourcing IT – Aspetti relativi alla selezione dei fornitori – Conclusioni di Luca Gargiulo
Rubriche A&F risponde Le soluzioni dell’esperto Il nuovo obbligo di «reverse charge» nei subappalti edili di Marco Peirolo - Dottore Commercialista in Torino
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Indice analitico
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Amministrazione & Finanza 19/2006
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Inserto Importanza delle tecnologie informatiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag.
III
Indicatori dello sviluppo
III VI
Aspetti
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. quantitativi del mercato IT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag.
Politiche strategiche di sourcing IT
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag.
Aspetti relativi alla selezione dei fornitori
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag.
X XV
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .pag. XVIII
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Amministrazione & Finanza 19/2006 - Inserto
Inserto Innovazione e politiche aziendali di sourcing IT di Luca Gargiulo (*)
Importanza delle tecnologie informatiche Tra gli economisti è noto che esistono mercati in grado di anticiparne altri. Si ritiene, ad esempio, che l’andamento del mercato dei cuscinetti a sfera possa annunciare, e con largo anticipo, le fluttuazioni dell’intero settore Industria. Così come sussiste una relazione di «necessità» tra la fabbricazione e la fruizione di un determinato fattore produttivo, è altresì dimostrabile l’esistenza di una correlazione diretta tra l’andamento degli investimenti, soprattutto nei settori cosiddetti «trainanti», e la creazione di ricchezza di un’intera nazione. In particolare, da molti anni gli analisti evidenziano lo stretto legame esistente tra l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo e la crescita del prodotto interno lordo (PIL) di una nazione. Inoltre, non dimenticando che la tecnologia informatica funge oramai da elemento trainante di tutte le attività di ricerca e di produzione, le variazioni del PIL sono, a fortiori, correlabili all’andamento degli investimenti effettuati nell’information technology (IT). I paesi che hanno saputo cogliere e far proprio lo stretto legame esistente tra investimenti IT, ricerca e crescita economica, ravvisandone anche la loro intrinseca capacità di apportare miglioramenti in ambito sociale, hanno avviato da tempo politiche specifiche per la creazione, laddove necessario, e il consolidamento, laddove già in atto, di questo circolo virtuoso. Altri paesi, invece, tra i quali l’Italia, che non hanno saputo reagire prontamente alle sollecitazioni dei mercati, stanno iniziando ad accumulare un ritardo considerevole e assai difficile da recuperare. Per i paesi industrializzati l’informatica è uno dei pochi settori in cui ancora esiste un vantaggio competitivo rispetto alle economie emergenti. Tuttavia, come risulta da uno studio realizzato da Bain & Company, a dispetto delle sue reali capacità di incidere positivamente sull’innovazione e sullo sviluppo, in Italia l’informatica è ancora percepita dalla maggior parte delle imprese come un mero costo aziendale. Inoltre, dietro l’impellenza del contenimento dei costi, gestita da quasi tutte le imprese ita-
liane con il ricorso all’outsourcing, si cela il rischio di un progressivo depauperamento delle competenze informatiche aziendali, a scapito degli aspetti strategici e cruciali del business. Per osservare quindi come, in generale, il nostro paese e, in particolare, le aziende che in esso operano si relazionino con l’information technology, di seguito saranno analizzati: – il posizionamento strategico dell’Italia relativamente ai principali indicatori di sviluppo; – gli aspetti quantitativi del mercato informatico italiano; – le politiche strategiche di sourcing IT che le aziende italiane stanno progressivamente adottando (1).
Indicatori dello sviluppo Negli ultimi cinque anni la posizione competitiva dell’Italia rispetto al resto del mondo è andata progressivamente deteriorandosi e il gap di sviluppo è stato più volte evidenziato dal raffronto del posizionamento relativo del nostro Paese nella ricerca e sviluppo, nell’istruzione e nella capacità a contribuire all’innovazione mediante la registrazione di brevetti. L’Italia spende solamente l’1,2% del proprio PIL in ricerca e sviluppo e il 5,3% in istruzione, collocandosi, rispettivamente, al 21° e al 19° posto della classifica dei trenta paesi OCSE (2). Inoltre, in termini di brevetti triadrici (3) registrati, l’Italia contribuisce rispetto alle altre nazioni solamente per l’1,8%, esprimendo un tasso di partecipazione all’innovazione mondiale alquanto basso. Conseguentemente, realizzando la cluster analisys sui trenta paesi OCSE a partire dalle tre variabili riNote: (*) Senior Manager di Bain & Company Italy. (1) Per approfondimenti sulle tecnologie IT e sulla loro applicazione in azienda si rinvia anche al sito www.bain. it. (2) Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. (3) L’OCSE ha elaborato una speciale metodologia di comparazione dei brevetti, classificando come «triadiche» tutte le invenzioni protette contemporaneamente dallo European Patent Office (EPO), dal Japanese Patent Office (JPO) e dallo United States Patent Office (USPO).
Amministrazione & Finanza 19/2006 - Inserto
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Inserto portate sopra, l’Italia sta tra i paesi «sperimentatori» delle tecnologie inventate e messe a disposizione dagli innovatori (gruppo costituito da Stati uniti, Germania, Giappone, Regio Unito, Francia e, in ultimo, Corea). Inoltre, va osservato che Italia, Olanda e Svizzera si raggruppano con gli altri sperimentatori solamente all’ultimo livello, prima che questo gruppo di riunisca con quello degli «utilizzatori», che è formato dai quei paesi che offrono un contributo molto basso all’innovazione globale (Tavola 1). Con maggior dettaglio, l’ultimo rapporto OCSE sulle scienze e le tecnologie descrive con dovizia di particolari le singole variabili indicatrici del livello di sviluppo delle nazioni e le raggruppa nelle seguenti tre macrocategorie: – investimenti per la conoscenza. L’Italia, che è attualmente il settimo paese OCSE in termini di ricchezza prodotta, si colloca al 22° posto della classifica con le altre nazioni relativamente alla realizzazione di «investimenti per la conoscenza» (istruzione superiore, software e ricerca e sviluppo). Inoltre, se si analizzano le iniziative a sostegno e le agevolazioni fiscali concesse dagli stati alle aziende che effettuano sul territorio nazionale investimenti specifi-
ci in attività di ricerca e sviluppo, l’Italia si colloca all’ultimo posto dei paesi presi in considerazione; – istruzione (pubblica e privata). Con riferimento alla formazione, solamente il 9% circa della popolazione italiana possiede un’istruzione superiore, collocando il paese al 27° posto della classifica OCSE. Anche relativamente ai possessori di un’istruzione post-universitaria l’Italia si posiziona nelle zone basse della graduatoria, ovvero al 25° posto, mentre è addirittura ultima tra i paesi industrializzati per capacità di attrarre studenti stranieri ai propri corsi di dottorato. Il rovescio della medaglia è ravvisabile nella forte presenza negli Stati Uniti di cittadini italiani possessori di master o PhD: in questo caso l’Italia è al 5° posto, dopo Inghilterra, Canada, Germania e Giappone; – brevetti. Se si considera, infine, la numerosità di brevetti triadrici registrati annualmente, l’Italia occupa l’8° posto in graduatoria, scendendo però al 15° se si considera il numero di brevetti rapportati alla popolazione residente. In particolare, se si rapportano i brevetti strettamente attinenti l’informatica e le telecomunicazioni al totale brevetti registrati, l’Italia scende al 20° posto (Tavola 2).
Tavola 1 – Cluster analisys dei 30 paesi OCSE R&S/PIL, istruzione/PIL e contributo ai brevetti triadrici
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Amministrazione & Finanza 19/2006 - Inserto
Inserto Relativamente ad alcuni dei principali paesi OCSE, è possibile quindi confrontare l’incremento del PIL con un «indice dello sviluppo» che può assumere valori compresi tra 0 e 100 ed è ricavato ponderando il posizionamento dei singoli paesi nelle categorie ricerca e sviluppo, istruzione e brevetti triadrici (Tavola 3). Questo raffronto evidenzia come l’Italia abbia accumulato un significativo ritardo, anche nei confronti di stati come la Spagna, che fino a pochi anni era fa considerata un paese emergente, mentre nel 2005 si è confermata, immediatamente a ridosso dell’Italia, ottava nazione in termini di ricchezza prodotta. Sebbene le graduatorie possano sicuramente essere soggette ad errori e non tener conto di alcune punte di diamante esistenti a livello nazionale, sia nelle istituzioni, sia nel privato, il posizionamento dell’Italia descritto dalle analisi OCSE non lascia spazio a dubbi circa il ritardo accumulato e il potenziale declino futuro: il nostro è un paese che investe poco in ricerca e formazione, partecipando, conseguentemente, in modo marginale all’innovazione mondiale, soprattutto, come si è osservato, nei settori legati all’informatica e alle telecomunicazioni. Questo scenario non può che peggiorare ulteriormente, se calato in un mercato molto competitivo,
in cui le crescite parossistiche di alcune economie emergenti iniziano ad erodere velocemente le posizioni che i paesi industrializzati avevano lentamente consolidato. Nei prossimi anni, se saranno confermati i tassi di crescita previsti, Cina ed India vanteranno un PIL via via superiore a quello della Francia, dell’Inghilterra e della Germania (attualmente sono, rispettivamente, al 4° e al 12° posto in graduatoria), incidendo pesantemente sui mercati delle materie prime e dei prodotti finiti. Il boom dei paesi asiatici, inoltre, sta modificando velocemente anche la domanda e l’offerta di istruzione. Se è vero che i campus americani pullulano attualmente di studenti asiatici, la risposta ad una così pressante esigenza di istruzione ha portato le università americane a valutare di servire in loco l’utenza orientale, aprendo sedi autonome, o gemellandosi con gli atenei locali, e mettendo a disposizione i propri docenti. Anche sul fronte della spesa IT, il raffronto delle performance italiane in termini di investimenti informatici con quelle di altri paesi tecnologicamente avanzati dimostra il considerevole ritardo che l’Italia sta accumulando rispetto all’Europa e, in generale, rispetto al resto del mondo. Se si considerano, ad esempio, i sei fra i maggiori
Tavola 2 – Istanze di brevetto sottoposte all’EPO *
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Inserto paesi industrializzati utilizzati in precedenza per l’analisi del gap di sviluppo, ovvero gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, l’Inghilterra, la Francia e la Spagna, tutte queste nazioni nel 2005 hanno incrementato i propri investimenti informatici, con crescite che oscillano tra il 2,5% (della Germania) e il 6,0% (della Spagna), confermando, inoltre, un trend positivo già iniziato e ampiamente diffuso nel 2004 (con valori che oscillavano fra l’1,9% della Germania e il 5,0% degli Stati Uniti). L’Italia, che, a differenza dei suddetti paesi, nel 2005 vede crescere limitatamente la propria spesa IT, non può quindi eludere la correlazione esistente tra crescita economica e investimenti informatici. Per questo motivo, anche relativamente alla crescita del PIL, secondo i dati OCSE, l’Italia risulta essere ancora ultima tra il campione di Stati presi in considerazione. Osservando gli incrementi registrati sul PIL dai singoli paesi nel 2005, gli Stati Uniti guidano la classifica (con una crescita del 3,5%), seguiti da Spagna (3,4%), Giappone (2,8%), Inghilterra (1,9%), Francia (1,4%), Germania (0,9%) e l’Italia (con crescita quasi nulla nel 2005). Nella relazione esistente tra gli incrementi di PIL e di Tavola 3 – Indice di sviluppo e incremento del PIL
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spesa IT (Tavola 4), l’Italia giace abbondantemente sotto la retta di regressione (che mostra un coefficiente di correlazione PIL/IT assai elevato, ovvero circa 0,9), scontando nella crescita del PIL più bassa delle aspettative la contrazione degli investimenti informatici avvenute negli anni precedenti al 2005. Aspetti quantitativi del mercato IT Relativamente agli investimenti IT, esaminando i consuntivi Assinform, l’Italia - dopo gli ultimi tre anni di trend negativo, per il quale, a partire dal 2001, ha progressivamente perso circa sei punti percentuali sui volumi di spesa per l’informatica (rispettivamente -2,2%, -3,2% e -0,4% dal 2002 al 2004) - nel 2005 presenta un modesto segno positivo (+0,9%), attestandosi definitivamente sui 19,5 miliardi di Euro (Tavola 5). Analizzando in dettaglio i dati del 2005 si scopre che dal punto di vista delle tipologie di spesa, l’aumento rispetto al 2004 è stato guidato da una ripresa dei consumi hardware (+3,0%), che costituiscono il 27% del totale spesa IT italiana e dall’aumento delle vendite di licenze software (+1,5%), con impatto sul 21% del mercato; tale decremento è stato
Inserto tuttavia moderato dalla contrazione dei servizi professionali (-0,1%) e dalla riduzione dell’assistenza
tecnica (-3,5%), che valgono rispettivamente il 47% e il 5% degli acquisti.
Tavola 4 – IT e sviluppo: posizionamento dell’Italia (2004-2005)
Tavola 5 – Spesa IT in Italia
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Inserto Osservando le variazioni di spesa per categoria di clientela si riscontra, inoltre, che: – le aziende di grandi dimensioni, responsabili del 54% dell’intera spesa IT italiana, presentano incrementi in linea con l’intero settore (+0,9%); – le aziende di dimensioni medie, che assorbono circa il 24% della spesa IT, presentano incrementi più consistenti (+1,7%); – le piccole imprese, che pesano per il 18% degli acquisti, continuano a contrarre significativamente i propri investimenti informatici (-1,4%); – mentre un forte segnale di ripresa è evidenziato dal segmento delle famiglie (+6,3%), che, però, assorbe solamente il 5% del mercato IT italiano (Tavola 6). Tali evidenze dipingono ancora uno scenario piuttosto negativo, per il quale la domanda di spesa informatica è sostenuta solamente: a) se si considerano le tipologie di spesa, dall’incremento degli acquisti hardware (e dei relativi software di sistema e middleware), quasi esclusivamente dedicati ai server e ai personal computer, con obiettivo di rinnovo di un parco macchine obsoleto, a causa di investimenti volutamente procrastinati nel tempo; b) se si considera la clientela servita, dalla ripresa degli acquisti delle aziende di dimensioni medio/grandi, per la sostituzione del parco macchine, e dal piccolo boom dell’informatica personale
trainata dal segmento dei privati, in cui vanno a confluire essenzialmente investimenti a scopo ludico-ricreativo. La stazionarietà del mercato dei servizi professionali testimonia che, al momento, in Italia non esistono progetti di ampio respiro, sia nelle amministrazioni pubbliche, sia nelle aziende private, siano esse di piccole, medie o grandi dimensioni. A riprova di quanto detto si registra una sostanziale invariabilità negli acquisti di software applicativo (+0,2% rispetto al 2004). Il ricorso all’innovazione quale fattore di sviluppo, soprattutto in periodi di reflusso economico, quindi, stenta a farsi spazio nella cultura imprenditoriale nazionale. La riduzione dell’assistenza tecnica, inoltre, avviene anche per effetto dei minori investimenti hardware e software degli anni 2003 e 2004. Si può osservare, infine, che anche dal lato delle istituzioni non sia stata ancora compresa appieno la necessità di ricorrere ad un piano di sviluppo del comparto IT, che, con azioni focalizzate e coordinate fra i vari dicasteri, consenta di rilanciare gli investimenti informatici, dando impulso all’economia. Infatti, l’Italia si posiziona solamente al 12° posto nella graduatoria europea della spesa informatica pro-capite espressa dalla pubblica amministrazione centrale e locale, con circa 50 Euro per ogni cittadino, laddove altri paesi investono cifre anche cinque volte superiori (Tavola 7).
Tavola 6 – Spesa IT in Italia: composizione per classe di spesa e clientela
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Inserto Se quanto detto rappresenta l’effetto che la domanda italiana d’informatica ha avuto sul mercato, dal lato dell’offerta IT il panorama è ancor più complesso e poco rassicurante. Analizzando le aziende IT che operano in Italia si osserva che quelle con dimensioni rilevanti sono soprattutto multinazionali estere e, laddove si riscontrino eccezioni nazionali di dimensioni comparabili, queste risultano riconducibili, attualmente o nell’immediato passato, a realtà informatiche a servizio di mercati regolamentati. Ciononostante, se la considerevole presenza estera nel mercato IT italiano di per sé non rappresenta aprioristicamente una caratteristica negativa, un vero campanello d’allarme deve essere la scarsa presenza nel nostro paese di presidi di ricerca informatica. Prendendo in considerazione le prime cento aziende operanti in Italia nella commercializzazione di hardware, software e servizi professionali IT, meno di una decina mantengono presidi di ricerca e sviluppo degni di nota. Ciò lascia intendere che quasi tutte le aziende IT straniere operanti in Italia hanno sul nostro territorio solamente unità marke-
ting, commerciali e di assistenza tecnica, mentre la maggior parte delle aziende italiane, tranne rare eccezioni, si posizionano sostanzialmente come follower degli sviluppatori di tecnologia. E ciò trova una forte corrispondenza con quanto affermato nel paragrafo precedente, laddove si evidenziava che il contributo che l’Italia dà alla comunità internazionale in termini di brevetti strettamente attinenti all’informatica e alle telecomunicazioni è alquanto esiguo.
Politiche strategiche di sourcing IT In un contesto nazionale caratterizzato da bassi volumi di ricerca informatica e sostanziale dipendenza dall’estero per le principali componenti di spesa IT, le aziende italiane, dal canto loro, si organizzano in modo tale da accaparrarsi le risorse informatiche necessarie al soddisfacimento delle esigenze di business, relazionandosi con i migliori fornitori dello scenario internazionale. In particolare, il trend evolutivo delle funzioni IT delle aziende, sia che esse siano di piccole, medie o grandi dimensioni, le porta ad essere «fornitori in-
Tavola 7 – Spesa IT della Pubblica Amministrazione
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Inserto terni di servizi IT», ovvero strutture deputate a fornire servizi informatici a tutte le altre funzioni aziendali, appoggiandosi all’esterno sia per l’acquisizione delle componenti primarie d’acquisto (hardware e software), sia per il reperimento di servizi di consulenza, system integration e di outsourcing. In quest’ultimo caso, le funzioni IT delle aziende diventano gestori di contratti e controllori della qualità dei servizi acquisiti in outsourcing da terze parti. Prima di calarsi nel dettaglio delle analisi, va comunque detto, per inciso, che non v’è azienda che non abbia sperimentato o stia pensando all’acquisizione di servizi di outsourcing informatico, sia nelle sue forme più semplici (come l’esternalizzazione di una singola attività informatica), sia nelle sue forme più complesse (come l’esternalizzazione di interi processi IT). E questa attitudine, come si vedrà, applicata indiscriminatamente a tutte le componenti della catena del valore informatica, sia per quelle definibili core rispetto al business, sia per quelle non core, se non gestita correttamente può causare un forte depauperamento delle conoscenze aziendali, potenzialmente inficiando il mantenimento dei
vantaggi competitivi su cui un’azienda basa il proprio successo. L’outsourcing IT è vecchio quanto lo è l’informatica stessa. Quando i mainframe iniziarono la loro diffusione, una delle prime forme di IT outsourcing fu il noleggio di porzioni della loro potenza di elaborazione, associato alle prestazioni professionali di personale IT particolarmente qualificato per la scrittura di applicativi specifici, quasi sempre dipendenti dalla tipologia (marca/modello) di mainframe utilizzato. A partire dagli anni ’80, la gestione dell’informatica distribuita ha portato alla creazione di prodotti specifici, quali il desktop e il network management, rispettivamente, per la gestione del parco PC (e relative periferiche) e delle reti per il trasporto dei dati, frequentemente uniti a servizi di help desk per l’utenza. La progressiva diffusione delle architetture client/server e Web based, infine, ha aperto la strada a servizi di outsourcing per la gestione delle server farm (Tavola 8) Dalla evoluzione delle forme di outsourcing suddette, attualmente si sono consolidate quattro tipologie classiche di outsourcing IT, acquisite singolarmente o accoppiate tra loro, che costituiscono i servizi IT maggiormente richiesti dal mercato italiano:
Tavola 8 – Evoluzione dell’IT outsourcing
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Inserto – infrastructure management, la gestione delle infrastrutture informatiche, che può includere i servizi di sicurezza, con particolare riferimento al disaster recovery e alla business continuity, per il ripristino del servizio in caso di incidente e per la continuità operativa; – application management, i servizi mirati alla gestione completa del patrimonio applicativo software, sia in termini di manutenzione (evolutiva e correttiva) dei programmi, sia per ciò che concerne la conduzione stessa delle applicazioni; – desktop management, i servizi di gestione delle postazioni di lavoro, comprendendo oltre l’assistenza, anche il controllo, la manutenzione e l’aggiornamento periodico delle applicazioni installate (software distribution) e della tecnologia (upgrade e/o sostituzione); – network outsourcing, i servizi di connettività e di gestione delle apparecchiature di rete. Con il progressivo incremento della propensione all’utilizzo delle forniture esterne da parte delle aziende, alle quattro tipologie classiche di outsourcing IT si vanno ad aggiungere alcuni servizi, che iniziano ad essere considerati tout court parte integrante dell’offerta informatica di outsourcing. Tra questi: – Consulting/support service, i servizi di direzione lavori, il program management, il monitoraggio, la consulenza e la formazione; – System integration, i servizi di sviluppo degli applicativi (sia realizzazioni custom, sia personalizzazioni dei package); – Contact centre/help desk, i servizi di gestione delle infrastrutture e dei servizi professionali di assistenza all’utenza dei sistemi informativi; – Business process outsourcing, i servizi che includono oltre la conduzione delle infrastrutture IT anche la gestione di alcuni processi aziendali (amministrativi, logistici, ecc.). Relativamente ai servizi presi in considerazione, l’Italia inizia a presentare un’incidenza dell’outsourcing sul totale della spesa IT in linea con i maggiori paesi europei (si stima che oscilli tra il 15 e il 19%, a seconda dei servizi inclusi in tale categoria) ed è considerata dagli analisti come un mercato ancora con un potenziale di crescita medio/alto, soprattutto per le forme di outsourcing IT innovative; per le forme di outsourcing IT classiche, invece, si attendono tassi di crescita più moderati e in linea con la media europea. In particolare, si registra una forte tensione dal lato della domanda per ciò che concerne i servizi di gestione della sicurezza, dello storage e degli ERP (enterprise resource planning); aumenti di sca-
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la ridotta sono invece previsti per l’application management. In Italia, tuttavia, la maggior tensione sulla domanda è riscontrabile sui servizi di BPO (business process outsourcing), per il soddisfacimento della quale ci si aspetta una naturale evoluzione dell’offerta degli operatori di mercato, che dovranno integrare le proprie competenze, oltre che con le componenti informatiche necessarie, anche con i processi di business ad esse associate. Dal lato della domanda, l’Italia ha e conserverà nell’immediato futuro un mercato molto limitato di grandi aziende clienti (per fatturato e numero dipendenti) che, sebbene con grandi potenzialità di spesa, possano usufruire dell’outsourcing IT. Per questi motivi, i fornitori dell’outsourcing IT sono costretti ad affinare le proprie offerte considerando che il mercato target italiano è costituito principalmente dalle piccole e medie imprese. Relativamente alle tipologie di contratto, megadeal, joint-venture con fornitori IT specializzati e «societarizzazioni» delle funzioni IT (soprattutto di aziende di dimensioni medio/grandi) non sono più nelle priorità degli attori del mercato Italia. Poiché l’outsourcing è un business di scala, i big dell’informatica sono in grado di imporsi sul mercato facendo shake out con l’applicazione di prezzi minori. Tuttavia, a controbilanciare questa tendenza dei fornitori intervengono ulteriori valutazioni decisionali dei clienti: la potenziale disparità di potere contrattuale derivante dalle dimensioni dei player di mercato nei confronti di aziende di piccole e medie dimensioni spesso porta queste ultime a preferire (in alcuni casi e a parità di costo) fornitori IT di dimensioni medie. In ultimo, ogni segmento di clientela, differenziandosi per settore, dimensione e tipologia d’azienda, è interessato a differenti tipi di servizi di outsourcing IT, per cui i fornitori che operano sul mercato italiano hanno difficoltà a sviluppare un’offerta omnicomprensiva. Generalmente, il percorso evolutivo di un’azienda verso le possibili forme di outsourcing comprende sei possibili stadi evolutivi: 1) partendo da una «funzione interna» l’azienda inizia ad utilizzare fornitori esterni per l’espletamento di alcune attività specifiche, ricorrendo alle prime forme di «outsourcing selettivo», o selective outsourcing; 2) nel contempo la funzione interna all’azienda può altresì divenire «fornitore interno», o insourcer, attraverso la formalizzazione di un rapporto contrattuale con le strutture dell’azienda stessa utilizzatrici dei propri servizi;
Inserto 3) qualora la «funzione interna» di un’azienda voglia utilizzare un fornitore preferenziale quale partner per l’erogazione di servizi congiunti, sarà possibile creare anche una società separata, mediante il meccanismo della joint venture; 4) se, invece, partendo da un outsourcing selettivo si intende estendere a più fornitori l’approvvigionamento di servizi diversi, ciò può avvenire in modo consortile, o in modalità best of breed; 5) da un outsourcing selettivo, così come dalle joint venture, è altresì possibile orientarsi verso forme di «outsourcing» globale; 6) mentre da qualunque delle categorie precedenti è possibile giungere al project financing, da attuare con un qualsiasi partner esterno (industriale, o finanziario), laddove la tipologia di intervento lo renda necessario. Se questo può accadere da un punto di vista puramente teorico, di fatto, attualmente, i trend in atto in Italia sono i seguenti: – la classica funzione IT interna di per sé non esiste più, avendo in passato ceduto il passo ad una tipologia di organizzazione volta a divenire progressivamente un fornitore interno di servizi informatici, i cui rapporti di fornitura vengono regolati da appositi SLA (service level agreement); – il modello fornitore interno, in grado di erogare all’azienda di appartenenza tutti i servizi IT in ottemperanza di SLA definiti, apre quasi sempre a forme di outsourcing selettivo; – l’outsourcing selettivo è la tipologia di sourcing IT attualmente più utilizzata e destinata a permanere tra le più diffuse; – l’outsourcing selettivo che si rivolge a più fornitori in ottica di discriminazione qualitativa sfocia nel multisourcing e in «consorzio» se esiste una forte integrazione tra i fornitori; – le strategie di sourcing basate sulle joint venture, perseguite anche allo scopo di vendere servizi informatici sul mercato, sono invece progressivamente diminuite nel tempo; – gli outsourcing globali (o full), forme di fornitura in cui si sono storicamente presentati molti contratti di outsourcing, sono considerati attualmente superati; – il project financing, infine, è una forma di sourcing nata nei mercati anglosassoni, soprattutto nel settore pubblico, ma in ambito IT sta attualmente muovendo solamente i primi passi. Oltre ai classici modi di fare sourcing IT, anche in Italia sono attualmente oggetto di discussione nuove tipologie di fornitura principalmente legate alla localizzazione geografica dei provider:
– Offshoring, outsourcing localizzato in un paese diverso da quello in cui risiede e opera il cliente; – Onshoring, outsourcing localizzato nel paese in cui risiede e opera il cliente, ma svolto in particolari zone geografiche caratterizzate da costi del lavoro e dei servizi particolarmente vantaggiosi; – Near-shoring, outsourcing localizzato in un paese diverso da quello in cui risiede e opera il cliente, ma confinante, o comunque molto vicino; – Home-sourcing, outsourcing con utilizzo di lavoratori a domicilio, sia dell’outsourcer, sia del cliente, dotati di connessioni telematiche e dotazioni hardware/software tali da poter svolgere in autonomia singole attività dei processi esternalizzati; – Shared service centers (SSC), organizzazioni che offrono servizi (ad esempio, amministrativi), internamente al cliente, o come legal entity separate, in cui possono confluire risorse del cliente e/o dell’outsourcer; – Best sourcing, processo di ricerca in diversi paesi di servizi di outsourcing maggiormente vantaggiosi (come rapporto qualità/prezzo), con la possibilità di separare i processi su diversi provider; a volte designato anche come best shoring. Tuttavia, eccezion fatta per gli shared service centers, che iniziano lentamente a diffondersi, in Italia molti sono ancora gli aspetti ostativi che di fatto bloccano la diffusione delle nuove tipologie di sourcing. Per elencare le più citate, si ricordano le tematiche legali e gli elementi normativi, così come la definizione delle procedure di interazione con i fornitori esteri, l’uso di lingue diverse, la diffidenza verso la qualità delle attività svolte nei paesi emergenti e i costi di gestione. Per queste ragioni, circa l’80% delle aziende italiane non considera affatto le suddette tipologie innovative di sourcing, privilegiando sempre il rapporto con un fornitore IT stabilmente radicato sul territorio italiano che eventualmente funga da interfaccia nei confronti del provider offshore. Tra le tipologie classiche di sourcing IT l’outsourcing IT selettivo controbilancia per importanza e per gradimento da parte degli utenti tutte le altre forme di esternalizzazione informatica. A riprova di quanto detto è stato analizzato che gli outsourcing IT selettivi hanno un tasso di successo superiore al 75%, contro il 35% di tutte le altre tipologie messe insieme. Tra le motivazioni del fallimento delle iniziative di IT outsourcing si elencano, in ordine di importanza decrescente, il peggioramento del customer service, i costi dell’outsourcing più elevati rispetto alle previsioni, la mancata comprensione del business da parte dell’outsourcer, la scarsa reattiAmministrazione & Finanza 19/2006 - Inserto
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Inserto vità alle esigenze del cliente, il changeover tecnologico più difficile del previsto, il mancato rispetto dei tempi di migrazione da parte del fornitore e la perdita di risorse competenti. Il risparmio sui costi continua ad essere il fattore critico di successo principale che spinge le aziende italiane a utilizzare l’outsourcing IT, sebbene aumentino il loro peso specifico anche le necessità di colmare i gap di competenze e di incrementare la qualità dei servizi informatici. Da sempre le aziende che ricorrono all’outsourcing IT sono orientate alla concentrazione sul proprio core business, ricercando, parallelamente, un aumento della flessibilità e l’incremento dell’efficienza e dell’efficacia dei propri sistemi informativi. Tuttavia, le evidenze di mercato dimostrano che una nuova e più stringente motivazione porta le aziende a ricorrere con maggiore frequenza all’esternalizzazione dei servizi informatici. L’outsourcing IT è percepito sempre di più come uno dei possibili motori del cambiamento, poiché sembra funzionare meglio di qualsiasi altra opzione di sourcing laddove si voglia perseguire la radicale trasformazione informatica dell’azienda. Infatti, le aziende che dispongono solamente di una funzione IT interna spesso non sono preparate a gestire correttamente con le proprie risorse le attività
critiche derivanti dall’utilizzo di tecnologie informatiche innovative; sull’altro versante, le aziende che ricorrono a partner strategici, o joint venture, si trovano a dover condividere indirizzi strategici fondamentali con i fornitori esterni, in molti casi non riuscendo neppure nell’integrazione e nell’osmosi delle competenze tra personale interno ed esterno. Il classico rapporto cliente-fornitore possibile con l’outsourcing IT, invece, risulta essere particolarmente adatto al raggiungimento degli obiettivi di trasformazione. La trasformazione tramite outsourcing si attua quindi con il cosiddetto transformational outsourcing, che si configura come il più dinamico tra le procedure di sourcing (Tavola 9), osservando il seguente percorso evolutivo, che, di fatto, rende indistinguibili cosa siano forniture di servizi professionali per la system integration e cosa sia realmente definibile come outsourcing: 1) in primo luogo, la consulenza IT e la system integration tendono ad essere sempre più il biglietto da visita che i service provider utilizzano per accedere a contratti pluriennali di assistenza, manutenzione e gestione; le aziende, dal canto loro, si affidano a fornitori impegnati pariteticamente sullo sviluppo turn-key di nuove applicazioni e sulla loro successiva gestione; 2) questa nuova modalità di fruizione dell’informa-
Tavola 9 – Gradimento delle tipologie di outsourcing
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Inserto tica permette alle aziende di valutare il fornitore su un arco temporale più lungo e su un maggior numero di servizi erogati; 3) il provider affronta in genere ogni step del progetto di trasformazione, gestendo il cambiamento nella sua globalità: dalle fasi preliminari di organizzazione e consulenza di processo, all’implementazione del sistema, fino al rilascio in produzione ed alla sua successiva gestione/manutenzione evolutiva in outsourcing; 4) il vendor svolge in questo caso un doppio ruolo in partnership con il cliente: da un lato, mantenendo provvisoriamente la gestione degli applicativi da ristrutturare e, dall’altro, collaborando con l’azienda in qualità di consulente nell’operazione di cambiamento, per poi tornare ad occuparsi della gestione del nuovo sistema realizzato; 5) questa tipologia di outsourcing, infatti, si modifica generalmente in outsourcing selettivo non appena sia superata la fase di trasformazione. Rispetto ad un outsourcing IT di tipo convenzionale, il transformational outsourcing prevede tra i propri obiettivi la scelta di un partner informatico che aiuti l’azienda a realizzare un percorso di innovazione IT rapido e radicale, con conseguente miglioramento delle performance. Il fornitore collabora alla trasformazione dell’azienda e del business, fornendo in tempi rapidi servizi integrati volti a cambiare radicalmente i processi del cliente e accettando generalmente una remunerazione finanziaria basata anche sul raggiungimento di risultati prefissati (con la riscossione di apposite success fee) e sulla condivisione dei rischi (con l’esercizio di penali concordate). I benefici attesi dal transformational outsourcing sono maggiori rispetto alle altre forme tradizionali di sourcing informatico: oltre alla prospettiva di maggiori risparmi sui costi, il cliente ha accesso a competenze specialistiche, che, laddove richiesto e contrattualizzato, possono essere trasferite alle risorse interne all’azienda. Tuttavia, il transformational outsourcing presenta anche notevoli rischi impliciti: – vi è infatti la possibilità di mettere in pericolo l’agenda strategica dell’azienda, poiché le principali decisioni relative all’innovazione IT spesso sono guidate marginalmente dai clienti, che anzi delegano ai fornitori, così come accade che alcuni sistemi core rispetto al business siano gestiti dall’esterno; – la realizzazione stessa dei progetti in modalità transformational outsourcing a volte risulta essere particolarmente complessa;
– occorre confrontarsi con fornitori innovatori di caratura internazionale e con dimensioni spesso notevolmente superiori a quelli dell’azienda cliente; – la misurazione degli output efficaci e dei comportamenti corretti può avvenire solo a seguito del raggiungimento dei risultati (generalmente a fine progetto); – in ogni caso, l’eventuale sostituzione del fornitore è assai complessa e onerosa, se non, in alcuni casi, impossibile.
Aspetti relativi alla selezione dei fornitori Sia che si scelgano le classiche forme di sourcing informatico, sia che si tenda ad utilizzare il transformational outsourcing, la propensione all’outsourcing IT e la capacità da parte di un’azienda di goderne i massimi benefici sono funzione diretta di una disponibilità di processi IT interni collaudati ed efficienti, oltre che di una implicita attitudine aziendale a gestire correttamente i processi di cambiamento. Laddove un’azienda abbia una scarsa formalizzazione dei propri processi IT è opportuno che rivolga l’attenzione al suo interno, affinché tali processi possano essere resi intelligibili; soltanto a valle di questa attività potrà gradualmente interagire con fornitori qualificati, al fine di separare in modo corretto solamente le attività da esternalizzare senza rischio per l’azienda, valutando successivamente l’efficienza/efficacia dell’operazione (Tavola 10). Il ricorso all’outsourcing IT, infatti, non è un percorso breve, ma passa generalmente tramite quattro fasi distinte, con un iter che può essere anche decennale: – durante l’assessment sui propri processi IT l’azienda funge da «spettatore» del mercato; – ricorrendo alle prime forme di outsourcing selettivo l’azienda diventa quindi «sperimentatrice»; – a seconda del grado di soddisfazione percepito, l’azienda può essere «persuasa», estendendo ulteriormente la gamma di attività esternalizzate; – successivamente l’azienda diviene completa «utilizzatrice», laddove propenda per forme di outsourcing IT particolarmente estese. La relazione contrattuale di outsourcing IT lega il cliente e il fornitore, rispettivamente, nella fruizione/controllo della fornitura e nell’erogazione dei servizi. A tal fine, oltre ai servizi oggetto del contratto, il loro prezzo, le risorse e gli eventuali asset da scambiare, tra le due parti vengono concordati e monitorati appositi livelli di servizio e i processi di interazione. Amministrazione & Finanza 19/2006 - Inserto
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Inserto Da un lato, quindi, il cliente valuta la coerenza delle politiche di sourcing con gli obiettivi aziendali, i costi complessivi e i rischi, effettuando un monitoraggio costante del soddisfacimento dei livelli di servizio pattuiti; dall’altro, il fornitore pianifica i propri ricavi e i margini complessivi, anche in funzione del raggiungimento di determinati obiettivi (di performance, di risparmio, ecc.), definisce gli investimenti e i costi di set-up necessari all’espletamento della fornitura, lavora nel rispetto dei livelli di servizio concordati, soppesando opportunamente i rischi operativi e continuando a ricercare nuove opportunità di business all’interno dello stesso cliente servito. Al fine della selezione dei fornitori, le attuali condizioni del mercato dell’informatica spingono i clienti a una riflessione accurata sulle variabili da prendere in considerazione e sulla priorità da assegnare loro. Se in passato, infatti, ai fini della valutazione del potenziale outsourcer i clienti erano propensi a valutare aspetti dei fornitori quali la dimensione del loro fatturato, la quota di mercato e la presenza geografica, la dimensione dei clienti serviti, l’esperienza specifica nel settore di appartenenza del Tavola 10 – Propensione all’outsourcing IT
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cliente e il modello di creazione del valore, attualmente si aggiungono ai precedenti elementi la stabilità finanziaria del fornitore, la sua capacità tecnica/innovativa, la flessibilità e la reattività alle esigenze espresse dal cliente, nonché, in generale, la cultura e il rispetto della qualità. Relativamente alle dimensioni dell’outsourcer va inoltre osservato che fatturato, addetti, risultati economici, sono variabili utilizzate come proxy della solidità del fornitore. A volte dimensioni troppo elevate possono implicare difficoltà nella gestione del rapporto contrattuale; viceversa dimensioni ridotte possono essere sconvenienti e precludere la strada all’ottenimento di economie di scala o all’accesso a tecnologie innovative. L’analisi delle dimensioni dei clienti serviti dagli outsourcer rispetto alle tipologie di servizi esternalizzati può offrire spunti di riflessione al fine dell’identificazione di «specialisti» e di «generalisti» e delle previsioni di adattamento per ciò che concerne l’interazione tra cliente e fornitore. I fornitori, infatti, possono essere maggiormente orientati all’abbattimento dei costi, oppure all’introduzione di elementi di innovazione, a seconda della tipologia di servizi
Inserto offerti in outsourcing. L’analisi di queste tipologie può permettere l’identificazione del fornitore che meglio si adatta alle esigenze aziendali relativamente agli assi di creazione del valore per il cliente. La presenza dei fornitori nei vari settori con offerte più o meno specializzate, così come la loro dislocazione geografica (locale, nazionale, globale) sono due ulteriori elementi di analisi fondamentali ai fini della corretta identificazione dell’outsourcer qualificato a servire correttamente l’azienda cliente. Tuttavia, l’individuazione di un fornitore qualificato, adatto alle reali esigenze aziendali, è un processo complesso che, se non gestito correttamente, può enfatizzare i rischi derivanti dall’iniziativa di outsourcing. Tra le principali insidie del processo di selezione del fornitore si ricordano: – la carenza di competenze interne (tecniche, manageriali, legali, finanziarie) ai fini dell’individuazione del fornitore più adatto alle esigenze aziendali; – la limitata enfatizzazione sull’allineamento delle strategie IT dell’azienda rispetto alle strategie di business; – lo scarso bilanciamento tra desideri aziendali contrastanti tra loro (ad esempio, la drastica riduzione dei costi verso l’incremento della qualità del servizio o l’accesso a competenze qualificate). Se l’azienda è in grado di indirizzare correttamente i nodi decisionali suddetti può quindi passare concretamente alla selezione di un fornitore, ricorrendo ad una metodologia (applicabile sia dalle aziende private, sia dalla pubblica amministrazione) che si basa sull’analisi di più offerte e consta delle seguenti attività essenziali: – la definizione dei servizi da esternalizzare e dei livelli di servizio accettabili da parte dell’azienda cliente; – la definizione univoca dei criteri di valutazione in base ai quali verrà effettuata la selezione, e, all’interno di questi, la ponderazione dei criteri «tecnici» (livelli di servizio, performance, ecc., dichiarati dal fornitore) e dei criteri «economici» (prezzo); – la normalizzazione delle offerte ricevute relativamente ai servizi offerti e ai livelli di servizio dichiarati; – la verifica della congruenza tecnica e della sostenibilità economica delle offerte ricevute, con la possibilità di opporre ai fornitori eventuali richieste di chiarimenti tecnici e/o ribassi di prezzo; – la valutazione dei casi di esclusione per manifeste insufficienze tecniche e/o eccessi di ribasso giudicati economicamente non sostenibili; – l’assegnazione dei punteggi tecnico/economici alle singole offerte;
– l’identificazione della migliore offerta e, conseguentemente, del fornitore cui verrà assegnato il contratto di outsourcing. Ovviamente, nella pubblica amministrazione, al contrario di quanto può accadere nelle negoziazioni tra soggetti privati, la definizione dell’oggetto del contratto e dei servizi accessori dev’essere puntualmente effettuata a priori. Infatti, i potenziali fornitori delle aziende pubbliche vengono identificati in base a caratteristiche specificate in un bando (fatturato, addetti, esperienze analoghe, ecc.), anche se durante la fase di qualificazione è sempre possibile chiedere ulteriori ragguagli. Le offerte, in questo caso, sono le risposte ad un capitolato tecnico, una volta che la bozza del contratto è stata redatta e inclusa nella documentazione di gara. Non è inoltre prevista una vera e propria contrattazione con i singoli fornitori e non si può variare il prezzo includendo o escludendo parte dei servizi messi a gara; eventuali ribassi debbono essere richiesti ai partecipanti dopo l’assegnazione del punteggio tecnico, mentre i contratti non possono essere rinegoziati a gara conclusa (Tavola 11). Nel processo di selezione del fornitore, infine, sono riscontrabili alcune criticità, che, volta per volta, vanno puntualmente affrontate e risolte: 1) la strutturazione delle offerte spesso le rende difficilmente comparabili tra loro. Il cliente è quindi libero di definire preventivamente un modello di risposta, con cui sia più agevole la valutazione dei cash-flow dell’operazione, i prezzi, la qualità delle risorse messe a disposizione, i livelli di servizio e la flessibilità del fornitore stesso; 2) nella realtà può essere necessario confrontare le offerte con dei benchmark di mercato, anche se questi sono difficilmente reperibili, a meno che non ci si riferisca a servizi standard (gestione di una postazione di lavoro, software distribution, costo di un programmatore, ecc.). Il benchmark più semplice da realizzare è quello dei costi attualmente sostenuti dall’azienda. In tutti gli altri casi, le stesse offerte dei fornitori costituiscono di per sé un benchmark; 3) tutte le negoziazioni avvengono sulla carta, per cui occorre che il cliente si tuteli opportunamente sulla qualità delle risorse che verranno successivamente dedicate alla gestione dei servizi; per far ciò occorrerà esplicitare i livelli di servizio e penali cui il fornitore dovrà sottostare; 4) in ultimo, il cliente deve poter beneficiare di eventuali migliorie tecnologiche o di efficienza introdotte sui processi dal fornitore. A tal fine può essere opportuno studiare un modello di pricing che favorisca la ripartizione dei benefici. Amministrazione & Finanza 19/2006 - Inserto
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Inserto Conclusioni Come è stato osservato, l’Italia partecipa marginalmente ai processi di innovazione, ed in particolare a quelli di natura informatica, essendo tra i paesi che meno contribuiscono nella ricerca in questo settore. Conseguentemente, tranne rare eccezioni, aziende private e pubblica amministrazione dipendono dalle grandi multinazionali estere, non solo per l’approvvigionamento di hardware e software, ma anche per l’acquisizione di servizi professionali IT, tra cui l’outsourcing informatico. Inoltre, il trend evolutivo ha portato le classiche funzioni IT delle aziende a diventare fornitori di servizi interni, strutturandosi, laddove richiesto, con appositi livelli di servizio nei confronti delle altre strutture aziendali, sia in un’ottica di maggior controllo, sia per perseguire un miglioramento costante dei servizi resi (secondo una logica di continuous improvement). Per perseguire in primo luogo obiettivi di razionalizzazione dei costi e, successivamente, colmare significative lacune di conoscenza consolidatesi nel tempo (anche a causa delle prime forme di esternalizzazione di attività informatiche), le funzioni IT delle aziende pubbliche e private attualmente ricorrono sempre più all’utilizzo di personale esterno, sia per lo sviluppo e la futura gestione dei nuovi sistemi in realizzazione, sia per la gestione delle apTavola 11 – Processo di selezione del fornitore
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plicazioni preesistenti. Ciò accade indiscriminatamente sia per quei sistemi informativi non propriamente fondamentali rispetto al business aziendale, sia per quelli che risultano essere invece di rilevanza strategica basilare per gli affari gestiti dall’azienda. Come risultato, l’innovazione IT, che, come è stato detto, sicuramente non fa parte dei settori strategici su cui la nazione sta investendo, spesso non viene nemmeno pianificata e gestita a livello delle singole aziende, che anzi delegano ai fornitori esterni addirittura la stesura dei piani strategici dei sistemi, in aggiunta alla loro successiva realizzazione, così come accade che le conoscenze di alcuni sistemi «core» rispetto ai business aziendali siano già a totale appannaggio di soggetti esterni alle aziende stesse. Estendendo il ragionamento, le funzioni IT interne alle imprese continuano progressivamente a depauperarsi del proprio ruolo di presidio informatico «intelligente» e a servizio delle altre strutture aziendali, diventando mere centrali d’acquisto e amministratrici di contratti di outsourcing. Se certamente non è possibile invertire la propensione alle esternalizzazioni, che hanno il sicuro vantaggio di comprimere i costi e rendere accessibili, con investimenti relativamente contenuti, anche le tecnologie informatiche di frontiera, è altresì vero che
Inserto sarebbe altrettanto opportuno mantenere all’interno delle aziende almeno una parte delle competenze IT fondamentali, sicuramente per le applicazioni informatiche cruciali rispetto ai business gestiti, ma soprattutto per consentire un continuo dialogo inter pares tra le aziende acquisitrici e i fornitori. Solo in questo modo, mantenendo un presidio di
competenze informatiche di qualità, le aziende potranno continuare a cogliere le migliori opportunità offerte dall’IT, ottenendone un vantaggio competitivo per il proprio business, semplicemente sapendo scegliere con cognizione di causa tra le proposte degli innovatori del settore informatico che meglio si adattano alle esigenze aziendali.
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