Il Viaggio Di Lavoro

  • Uploaded by: Claudio Fior
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  • June 2020
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Il viaggio di lavoro Quattro cavalletti, un ipsometro, due cordelle metriche, tre pennelli, dieci barattoli di vernice, un relascopio, un distanziometro al laser. Chissà se controllando i materiali per il nuovo lavoro mi verrà finalmente un po' di sonno; sono ormai le due di notte e domani mi aspetta un lungo viaggio in treno. Dove avrò messo i documenti di viaggio? Eccoli lì nella cartellina rossa. Il mio biglietto, quello di Diego, di Stefano, di Enrico e di Roberto; ci sono tutti. Come saranno agitati i miei compagni di viaggio, per loro è il primo viaggio fuori dal Trentino: la prima volta in Italia. Sono contento di avere questi compagni d'avventura, insieme abbiamo calcato e cavalettato i boschi tra il Garda e le Dolomiti di Sesto. Incredibile a dirsi, ma questa distesa di boschi non ha più bisogno dei forestali; per fare l'unico lavoro che conosco devo affrontare un viaggio, imbarcarmi in quest'avventura. Eppure una volta non era così; il forestale era una figura di riferimento in paese, assieme al parroco ed al sindaco. Forse perché amministrava una risorsa, il legno, che aveva ancora un valore, o magari perché era una delle poche persone “studiate”. Oggi invece il legno è sostituito dalla plastica, dicono per contenere la deforestazione; del bosco ci si ricorda solo quando a gran voce ripetono che difende il territorio dalle alluvioni ed è un serbatoio di biodiversità. Ormai sono queste le storie che contano: per decidere di tagliare una pianta non basta più un colpo di martello del forestale, è indispensabile il certificato di morte redatto da un biologo e la dichiarazione di un naturalista che sono state adottate misure per compensare la riduzione di diversità biologica. Tutto questo rimuginare mi ha fatto bene; nulla meglio della nostalgia per il passato concilia il sonno. Finalmente mi sono ripreso dal caffè corretto; a colazione mi stende per almeno un'ora. Oggi purtroppo non potevo tirarmi indietro, bisogna “bagnare” un nuovo lavoro, anche se così lontano da casa. Purtroppo così mi sono perso la prima parte del viaggio in treno verso Firenze; ora sono a Mantova e il treno è immerso nel bagliore argenteo dei suoi laghi. È una fortuna che anche oggi ci siano delle manifestazioni contro la linea ferroviaria Roma – Monaco: la tutela della rete ecologia europea ben si sposa con questo paesaggio superbo gustato alla velocità di una vaporiera del XIX secolo. In preda ai fumi dell'alcol non ho visto i boschi del trentino e del veneto, ma posso variare il piatto paesaggio della pianura padana con le foto delle foreste preferite. Scorro le immagini dalle faggete del Cansiglio, il loro manto autunnale è rimasto impresso a fuoco negli occhi e nel cuore. Passo ai maestosi abieteti di Bosco Bernone e passo Pura, prima di dedicare la mia attenzione ai querceti del Carso triestino, rossi di scotano in autunno. Mi soffermo sulle magnifiche peccete della foresta di Tarvisio e Paneveggio, ed a questo punto la vena naturalistica prende il sopravvento. Sfoglio le

immagini della grotta di Skocjan, suggestiva ambientazione per un romanzo fantasy, per giungere alle steppe dei magredi friulani dove le allodole fanno da colonna sonora allo spettacolo delle orchidee dai vividi colori. Questa girandola di fotografie mi ha accompagnato fino ai piedi dell'appennino modenese dove prendo commiato da queste bellezze per contemplare l'Appennino mentre si avvicina la prossima tappa del viaggio: Firenze. Fino a qualche decennio fa sarebbe stato impensabile un viaggio così lungo per cercare un lavoro. Negli anni '20 costruivano monumenti ai forestali per ricordare chi riusciva a ricoprire di boschi prati e pascoli, verso il 1930 vennero militarizzati per difendere il sacro suolo della patria. Negli anni '60 avrebbero occupato la sede della RAI per il colpo di stato messo in piedi da qualche “capachione” dei servizi segreti caso mai il comunismo avesse preso il sopravvento. Negli anni '70 bastò una notte di luna piena per creare 100 e più riserve integrali, con un colpo di bacchetta magica il manto di foreste italiane si chiazzò come una pelle di leopardo: splendido esempio di come tutelare in un colpo solo biodiversità e posti di lavoro a spese del contribuente. Negli anni '90 le facoltà di scienze forestali sono proliferate come i funghi; così se in Finlandia due accademie paiono troppe da noi 13 sono ancora ritenute troppo poche. Ora, nel 2040, le uniche opportunità di lavoro rimaste come forestale si spingono ad intraprendere questo viaggio. Il fischio della locomotiva mi sveglia nel caldo torpore di Firenze: siamo arrivati alla stazione di Campo di Marte. Una folla di forestali sciama dalle roventi carrozze in una girandola di colori e stemmi. Le aquile trentine si mescolano ai leoni di San Marco del veneto, le rose camune lombarde all'emblema delle quattro teste dei sardi. È un continuo ritrovare e salutare compagni di scuola e di università, colleghi e amici con cui ho condiviso svago e lavoro tra foreste e montagne. Lentamente l'informe massa umana si irregimenta e muove verso il colle dove sorge il palazzo ottocentesco dell'Accademia Italiana di Scienze Forestali. Una volta riportato l'ordine nelle pattuglie regionali si affaccia dal balcone il Supremo Forestale, nella sua divisa verde usa il relascopio come un'incensiere. È arrivato il momento di dare inizio alla cerimonia: i sacri testi di assestamento e selvicoltura vengono aspersi con l'estratto della linfa delle più belle piante monumentali d'Italia. Dopo un lungo discorso, farcito di biodiversità e cambiamenti climatici, alle 250 pattuglie provinciali vengono consegnati i testi appena consacrati; indispensabile Bibbia per l'esodo forestale. Una volta conclusa la cerimonia si ritorna ai treni: il viaggio prosegue. Per la prima volta in Italia si assiste ad un esodo di persone verso il meridione alla ricerca di lavoro; il dondolio del treno mi abbandona tra le braccia di Morfeo, lasciano alle spalle il calore del viaggio e una notte carica di attesa e speranze. Al mattino la sveglia mi viene data dal profumo dell'aria di mare: il convoglio si muove lentamente avanti e indietro mentre viene suddiviso in tronconi e caricato sul traghetto per la Sicilia. Ormai anche i siciliani più fiduciosi si sono accontentati di ciò che del ponte è finora stato costruito, la

speranza: nutrita da tonnellate di carta e fiumi di denaro. Mi godo il paesaggio dello stretto ingollando un arancino: non è il miglior modo per dare la sveglia al proprio stomaco, ma come privarsi di una delle più pratiche e gustose creazioni culinarie di questa terra che, seppur per poco, ci ospiterà. Il treno ora viaggia alla volta di Siracusa; nel pomeriggio arriviamo alla Stazione Forestale Italiana: l'agognata meta di tutti i pellegrini forestali. La tensione tra i compagni di viaggio è palpabile, finalmente è arrivata la svolta tanto attesa di un lavoro che risponde alle aspettative dei nostri studi e desideri. È ora di pranzo e mi incammino verso la mensa; ora però il clima festoso del treno è svanito. Il silenzio è palpabile, interrotto saltuariamente dal tintinnio delle posate: non si fa gran uso di coltelli con un pranzo a base di insalata, pane e latticini. Nel pomeriggio preparo i bagagli, tutta l'attrezzatura deve essere sterilizzata, disinfettata e inscatolata in contenitori di plastica rigida a tenuta stagna. Quando tutto è sistemato ormai è sera e, dopo gli esercizi in palestra, arriva la cena: tristeinsipida come il pranzo. La mensa è silenziosa e rapidamente scivolo, come tutti gli altri, nella branda alla vana ricerca di un momento di riposo. Il tempo è immobile nella calda notte siciliana e quando nella camerata si accendono le luci al neon nel cuore della notte per la sveglia pare sia trascorsa un'eternità. Mi sciacquo la faccia per cercare di togliere i pesanti segni della stanchezza e poi mi infilo nella tuta pressurizzata. Ecco il forestale del XXI secolo, goffo dentro uno scafandro bianco con un grosso casco trasparente tra le braccia. Esco nella calda notte siciliana, assieme a tutti gli altri; le zanzare nel piazzale della Stazione Forestale Italiana sono l'ultimo contatto con una forma di vita terrestre. Dopo l'appello mi dirigo, con la mia pattuglia, verso il razzo che mi porterà a destinazione; verso il nuovo lavoro. La salita verso la cabina è lenta e graduale; ottima occasione per un'ultima occhiata ai monti Nebrodi ed alle pinete dell'Etna. L'attesa degli ultimi controlli prima della partenza è un'occasione per immaginare il nuovo lavoro, pensare a ForestItalia23 la nuova base forestale su Marte. Seguiranno mesi di duro lavoro per imboschire i 3.000 ettari del rosso pianeta: una fitta pineta fisserà l'anidride carbonica della pesante atmosfera marziana. Gli scienziati dicono che, grazie a qualche altro centinaio di basi, nei prossimi cento anni l'aria diventerà adatta alla vita umana. Allora potrà iniziare la colonizzazione vera e propria per ridurre l'impronta ecologia dell'uomo su una terra ormai surriscaldata e satura di gas serra. Ma queste sono prospettive di lungo periodo, ciò che conta per me è lavorare come forestale; ciò che interessa all'Italia è intascare i contributi dell'Unione Europea per il contenimento dell'effetto serra su Marte; le quote di carbonio alla borsa di Chicago sono quotate più di quelle italiane. Ora il tempo delle parole è giunto al termine, d'ora in poi iniziano i fatto: dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno.

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