Il Decennio Del Fuji-populismo

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Il decennio del Fuji-populismo Giuliano Granato, [email protected]

Nuestro objetivo es lograr, tras la recostrucción, una sociedad próspera y democrática. La actual formalidad democrática es engañosa, falsa; sus istituciones sirven a menudo los intereses de todos los grupos privilegiados. Alberto Fujimori, Mensaje a la nación, 5 aprile 1992

Introduzione Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica si impone a livello internazionale il paradigma transitologico, secondo cui la democrazia liberale di stampo occidentale si sarebbe diffusa a livello planetario, seppellendo per sempre regimi autoritari, antiliberali o addirittura totalitari; naturale terreno di ricerca in questo senso risultarono in primis gli stati nati in seguito al collasso dell’URSS e quelli dell’Europa orientale. Tuttavia si riteneva che anche le altre regioni geografiche sarebbero state interessate dal fenomeno: l’America Latina in un tale contesto non era certo un’eccezione. L’esperienza degli anni Novanta avrebbe però incrinato il dogma, fino a condurre ad una sua totale messa in discussione. Il subcontinente americano è stato attraversato dall’ascesa di regimi che hanno portato gli studiosi ad interrogarsi sul futuro della democrazia nella regione. L’apparizione di quel fenomeno che da alcuni è stato definito “neopopulismo” si è accompagnata a quella di leaders dalle spiccate tendenze autoritarie. Ci sono stati numerosi tentativi di spiegazione di questo fenomeno; la maggior parte di essi concorda nel ritenere causa della comparsa del neopopulismo la disintegrazione di quel modello sociale, politico ed economico che era sopravvissuto fino agli anni Ottanta1. La crisi del debito, il rimpiazzo di politiche economiche fondate sull’intervento statale (in ossequio alla strategia delle politiche di sostituzione delle importazioni) con quelle suggerite dagli organismi finanziari internazionali, inflazione galoppante, corruzione diffusa, affossarono il vecchio sistema. È in questo quadro che emergono leadership carismatiche e spesso autoritarie.

Fujimori ed i partiti politici La seconda metà degli anni Ottanta è per il Perú quella della presidenza di Alan García, candidato dell’APRA (Alianza Popular Revolucionaria Americana). Sono anni in cui il paese è soggetto ad una dura crisi economica accompagnata da iperinflazione; a questo si aggiunge un panorama contraddistinto da dirigenti politici e partitici accusati di malversazione e corruzione; infine, la guerriglia del PCP-SL (Partido Comunista del Perú, meglio noto come Sendero Luminoso) e del MRTA (Movimiento Revolucionario Túpac Amaru) stringe la popolazione in una morsa di insicurezza e terrore. Le elezioni presidenziali e parlamentari del 1990 giungono in questo contesto. I risultati sono sorprendenti: ad arrivare alla presidenza della repubblica è un uomo praticamente sconosciuto, l’ingegnere Alberto Fujimori. 1

Kenneth Roberts, Populism and Democracy in Latin America, www.cartercenter.org/documents/nondatabase/Roberts.pdf; Loris Zanatta, Il populismo in America Latina, http://historiapolitica.com/datos/biblioteca/zanatta2.pdf; Adrián Bonilla - Alexei Paéz, Populismo y caudillaje: una vieja historia, in Vanguardia, Dossier, America Latina, Neoliberalismo, Populismo, Barcelona, No. 4 Enero-marzo, 2003, http://www.flacso.org.ec/docs/artpopycau.pdf.

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RISULTATI DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 1990 Data del voto 8 Aprile 1990 (primo turno) Tipo di sistema elettorale Maggioritario Durata della carica 5 anni Numero di Percentuale di voti voti Mario Vargas Llosa (FREDEMO – Frente 2,171.957 27.61% Democratico) Alberto Keinya Fujimori (C-90 - Cambio 90) 1,937.186 24.62% Luis Juan Alva Castro (APRA – Alianza Popular 1,507.905 10.17% Revolucionaria Americana) Henry Pease (IU – Izquierda Unida) 548.386 6.97% Alfonso Barrantes Lingán (IS – Izquierda 4.07% Socialista) Data del voto

Alberto Keinya Fujimori (C-90 - Cambio 90) Mario Vargas Llosa (FREDEMO – Frente Democratico)

10 Giugno 1990 (Secondo Turno) Numero di Percentuale di voti voti 4 522 563 56.5% 2 713 442 33.9%

Elaborazione nostra sulla base dei dati forniti http://www.binghamton.edu/cdp/era/elections/per90pres.html .

da:

http://pdba.georgetown.edu/Elecdata/Peru/pelec90.html

e

Alberto Fujimori nacque a Lima da genitori giapponesi nel 1938. Alla tornata elettorale del 1990 era praticamente ignoto alla grande massa degli elettori. Fino ad allora, infatti, aveva condotto una carriera accademica che lo aveva portato a ricoprire nel 1984 la carica di rettore dell’“Universidad Nacional Agraria” ed era stato dal 1987 presentatore del programma televisivo “Concertando”, trasmesso dalla “Televisión Nacional del Perú”2. Il suo ingresso in politica non era stato certo dei migliori: la sua richiesta di candidatura ad Acción Socialista di Alfonso Barrantes (un partito formatosi all’indomani della scissione di Izquierda Unida3), per le elezioni parlamentari del 1990, fu bocciata4. In seguito a tale diniego si decise a creare un proprio partito (che denominò “Cambio 90”) per concorrere alle elezioni presidenziali. Al primo turno risultò secondo al solo Mario Vargas Llosa, famoso scrittore, candidato del FREDEMO (Frente Democratico). Al ballottaggio riuscì invece ad ottenere quasi il doppio dei voti del suo antagonista. Le ragioni di questo inaspettato successo sono molteplici. Tuttavia ciò che si può dire con sicurezza è che Fujimori fu in grado di canalizzare su di sé i voti degli scontenti. Da una parte i cittadini erano rimasti fortemente delusi dall’esperienza di governo dell’APRA (e punirono dunque il candidato di governo, Luis Juan Alva Castro, concedendogli solo il 10,17% delle preferenze); dall’altra non era accettabile l’alternativa costituita da Vargas Llosa a causa delle politiche neoliberiste di cui era latore. Fujimori ottenne l’appoggio degli scontenti riuscendo a conquistare le preferenze dei settori marginali e delle chiese evangeliche, fino ad allora esclusi dal circuito della democrazia rappresentativa. Il “Chino”5 presentava se stesso come un outsider, un uomo che non era legato in alcun modo all’establishment, politico o economico esso fosse. Incarnava due elementi ritenuti in quel momento, da parte dell’elettorato, decisivi per il futuro presidente: indipendenza politica e 2

Si veda http://es.wikipedia.org/wiki/Alberto_Fujimori. Eduardo Bueno Leon, El fenomeno Fujimori y las crisis politica en el Perú, in America Latina Hoy, Universidad de Salamanca, Salamanca, España, vol. 3, http://www.usal.es/~iberoame/americalatinahoy/ALH-PDF-TIFF/ALHvol3/ALHvol3bueno.pdf , p. 32. 4 Kenneth Roberts, Populism, Political Conflict, and Grass-Roots Organization in Latin America. A Comparison of Fujimori and Chavez, in Comparative Politics, http://falcon.arts.cornell.edu/Govt/faculty/Roberts.populism.05.comparative.politics.pdf. 5 Il soprannome originale, affibbiatogli durante la campagna elettorale, era in realtà “El Chinito”; in America Latina il suffisso –ito è usato spesso in modo dispregiativo, in maniera canzonatoria. Fujimori fu capace di trasformare questo soprannome scomodo in un vero e proprio punto di forza. Vedi Boyd Sthepenson, Fujimori’s Brand of Populism, http://www2.davidson.edu/academics/acad_depts/rusk/prima/Vol2Issue2/fujimo.pdf. 3

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immagine di efficienza6 (a favore di quest’ultima giocava certamente l’origine di Fujimori7). La sua “politica dell’antipolitica”8 diede dunque i frutti sperati. In campagna elettorale il motto utilizzato (“Un peruano como tú”) può essere considerato esemplificativo di un atteggiamento più generale. Fujimori riteneva di “incarnare”9 il popolo, non di rappresentarlo. È questo un tratto tipico di tutti i leaders populisti. Ciò che appare però a prima vista addirittura parossistico in Fujimori è il rifiuto, il vero e proprio rigetto verso la forma partito. Il sistema partitico peruviano aveva mostrato una certa vitalità durante gli anni ’80, con la presenza di quattro partiti principali: Izquierda Unida (IU), APRA, Acción popular (AP) e Partido Popular Cristiano (PPC). Le trasformazioni del decennio minarono tale sistema, soprattutto a causa della crescente importanza dei lavoratori impiegati nel settore informale e dell’indebolimento delle organizzazioni di classe. Il primo sintomo della crisi si ebbe già nel 1989 quando Ricardo Belmont, uno speaker radio, vinse le elezioni municipali di Lima con un “movimento indipendente” denominato “Obras”10. L’elezione di Fujimori aggravò la situazione. Egli non aveva esperienza politica, non aveva dietro di sé un vero partito, né un programma pronto per l’attuazione, né una squadra di collaboratori abituata ai compiti di governo11, né, differentemente da Belmont, poteva fare affidamento sull’impiego dei mass media (almeno inizialmente). Per la propria sopravvivenza politica fece affidamento su una strategia autoritaria, imperniata sull’autogolpe del 5 aprile 1992. Uno degli obiettivi che ci si prefiggeva era eliminare “[…] la evidente actitud ostruccionista y conjura encubierta contra los esfuerzos del pueblo y del gobierno por parte de las cúpulas partidarias. Estas cúpulas, expresión de la politiquería tradicional, actúan con el único interés de bloquear las medidas económicas que conduzcan al saneamiento de la situación de bancarrota que, precisamente, ellos dejaron . »12. Il golpe servì al presidente per creare una larga base di supporto al nuovo regime; alcuni sondaggi mostravano in maniera inequivocabile come i consensi fossero saliti dal 53% nel marzo del 1992, all’81% successivamente al golpe13. Le elezioni del 1992 diedero a Fujimori la maggioranza al “Congreso Constituyente” (dove disponeva ora di 44 seggi su 80), facendo venir così meno una situazione di conflittualità tra potere esecutivo e legislativo (nelle elezioni legislative del 1990, Cambio 90 era in minoranza). Da questo momento in poi si può dire che si sia venuta a creare un nuovo “cleavage”: Fujimori contro l’opposizione14. Quest’ultima fallì nel tentativo di creare un’opposizione di massa al regime, ergendosi a difesa delle istituzioni democratiche; di fatto, questo tema era priorità soltanto per i settori relativamente privilegiati della società peruviana (studenti, professionisti, lavoratori sindacalizzati). La nuova sfida fu vinta dal “Chino”: i partiti dominanti degli anni ’80 persero sempre più consensi fino a giungere al risultato quasi drammatico delle elezioni del 1995, allorché Fujimori raccolse il 64,4% dei suffragi contro il 7% circa di tutti i partiti tradizionali15. Tuttavia, oltre alla schiacciante vittoria di Fujimori, c’è da segnalare l’emergere di un fenomeno di vasta portata: il successo dei cosiddetti “indipendenti”. La traiettoria del presidente peruviano aveva mostrato a molti politici che essi non necessitavano delle risorse di un partito per vincere le elezioni. Egli stesso aveva investito poco (ed avrebbe continuato a farlo) sull’organizzazione di un partito: Cambio 90 mancava di un programma, di una struttura nazionale e di attivisti; una volta 6

Fernando Tuesta, Las elecciones presidenciales en Perú, in America Latina Hoy, Universidad de Salamanca, Salamanca, España, enero, año/vol. 13, p. 67, http://redalyc.uaemex.mx/redalyc/pdf/308/30801312.pdf. 7 Steve Ellner, Hugo Chávez y Alberto Fujimori: análisis comparativo de dos variantes de populismo, in Revista Venezuelana de Economia y Ciencias Sociales, vol. 10, No. 1 Enero-abril, p. 19, 2004, http://www.labirinto-rio.com.br/chavezefujimori.pdf. 8 Kenneth Roberts, Populism and…, p. 10. 9 Kenneth Roberts, Populism and..., p. 14. 10 Steven Levitsky - Maxwell Cameron, Democracy without parties? Political parties and regime change in Fujimori's Peru , in Latin American Politics and Society, 2003, http://findarticles.com/p/articles/mi_qa4000/is_200310/ai_n9310759 e Eduardo Bueno Leon, op. cit., pp. 30-31. 11 ibidem. 12 Alberto Fujimori, Mensaje a la nación del presidente del Perú, Ingeniero Alberto Fujimori Fujimori, el 5 de abril de 1992, http://www.congreso.gob.pe/museo/mensajes/Mensaje-1992-1.pdf . 13 Steven Levitsky - Maxwell Cameron, op. cit.. 14 ibidem. 15 Fernando Tuesta, op. cit..

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giunto alla presidenza Fujimori avrebbe potuto investire sul partito, ma preferì impedirne il consolidamento16, concentrandosi, invece, sulle agenzie statali per procacciarsi il supporto popolare necessario17. Certamente in questa decisione influì il disegno di non lasciarsi ingabbiare dalla struttura partitica, evitando di contribuire alla creazione di un potere antagonista18. Il modello che emergeva era quello di un partito che finiva per coincidere con la figura del suo leader. In vista delle elezioni del 1992 creò un secondo partito: Nueva Mayoria (NM); nemmeno in questo caso fu profuso sforzo alcuno per l’organizzazione19. Il terzo partito (Vamos Vecino) nacque in vista delle elezioni municipali del 1998. Infine, per le presidenziali del 2000, Fujimori creò “Perú 2000”. Ma il modello fu generalizzato: nel paese si produsse la proliferazione di strutture personalistiche e molti degli indipendenti provenivano dalle fila dei partiti. Le caratteristiche dei nuovi partiti erano quelle di essere fortemente personali, senza legami con la società civile. Loro ragion d’essere era l’elezione del fondatore; tali strutture mancavano di programmi sul lungo periodo e non erano interessate alla conservazione delle istituzioni democratiche20. Con l’intento di creare meccanismi identitari, non potendo fare affidamento su un collante ideologico e/o programmatico, molti di questi partiti adottarono il nome del territorio che intendevano rappresentare (a livello nazionale nacquero così Somos Perú, Perú Posible, Perú Ahora, Unión por el Perú e Perú 2000; a livello locale Somos Huancayo, Ayacucho 95 ecc.21). Il successo di questi movimenti fu notevole: i partiti che negli anni ’80 accumulavano il 90% delle preferenze nel 2000 riuscivano ad assommarne solo il 2%; a livello locale il numero delle amministrazioni rette da sindaci indipendenti passò da 2 nel 1986 a 79 nel 199322. Un siffatto esito è dovuto anche agli atteggiamenti dell’elettorato peruviano, che, negli anni ’90, si mostrava sempre più non allineato e sempre più distante da qualsiasi appartenenza partitica. Questo clima era percepito da numerosi attori politici, praticamente da tutti quelli che capeggiavano movimenti indipendenti23.Gioco facile ebbe dunque Fujimori ad imporre le proprie “virtù”: indipendenza, efficienza tecnocratica ed un liberismo economico (dopo le prime visite nelle sedi degli organismi della finanza internazionale si convinse della necessità di implementare le misure da questi suggerite, sebbene le avesse osteggiate nel corso della campagna elettorale) associato a virulenti attacchi alle élites (beninteso, politiche e non economiche). La strategia del presidente prevedeva però anche un’azione repressiva per approfondire ed accelerare la crisi dei partiti. Un esempio lampante può essere considerato la campagna lanciata contro l’ex presidente della Repubblica, Alan García, che quotidianamente mirava a mettere in risalto, anche attraverso l’aiuto di media bendisposti, gli atti di corruzione e di cattiva gestione delle risorse statali di cui si era reso colpevole il governo dell’APRA. In tal modo il partito era costretto sulla difensiva ed il suo leader fu addirittura costretto all’esilio; tra la popolazione la sua figura non era più associata soltanto a incapacità, ma divenne ben presto simbolo di tutto ciò che di vituperabile contraddistingueva la cosiddetta “partitocrazia”.24

Fujimori e l’accentramento del potere L’attacco portato avanti contro il sistema partitico non poteva non associarsi ad una dura battaglia intrapresa contro il parlamento. In entrambi i casi, l’obiettivo, più o meno dichiarato, era 16

Il primo gabinetto formato da Fujimori comprendeva sei indipendenti, cinque ufficiali militari (in pensione e non), cinque esponenti di altri partiti, ma nessuno proveniente da Cambio 90. Vedi Kenneth Roberts, Populism, political conflict…. 17 Tra queste vanno menzionate le Forze Armate, l’Agenzia delle Entrate, il SIN (Servicio Inteligencia Nacionál), i governi municipali ed altre agenzie come la FONCODES, impegnata nei programmi di assistenza alimentare. 18 Steve Ellner, op. cit.. 19 Secondo le dichiarazioni di Ricardo Marcenaro, leader di NM e presidente del “Congreso”, Nueva Mayoría non era un partito ma “un gruppo di indipendenti che collaborava col Presidente Fujimori.” Vedi Kenneth Roberts, Populism, political conflict…. 20 Steven Levitsky - Maxwell Cameron, op. cit.. 21 ibidem. 22 ibidem. 23 Come dimostrano le affermazioni di uno degli ex leaders del PPC, il quale dichiarò: “Nessun candidato affiliato ad un partito può avere chances di diventare sindaco di Lima”. Vedi Steven Levitsky - Maxwell Cameron, op. cit.. 24 Bruce Kay, “Fujipopulism and the liberal state in Perú, 1990-1995, in Journal of Interamerican Studies and World Affairs, winter 1996-1997, http://www.findarticles.com/p/articles/mi_qa3688/is_199601/ai_n8733816.

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quello di ridurre l’importanza, se non addirittura eliminare, quelle istituzioni intermedie che ostacolavano la concentrazione del potere nel ramo esecutivo. Le elezioni del 1990 avevano sì consegnato a Fujimori le chiavi del palazzo presidenziale, ma non la maggioranza in parlamento. Il presidente doveva dunque arrivare quotidianamente a mediazioni con gli oppositori seduti sui banchi del “Congreso”; in particolare doveva fronteggiare le resistenze di quelli che contrastavano i provvedimenti volti a conferire maggiori poteri ai servizi segreti, nonché quelli relativi alle liberalizzazioni economiche, e gli attacchi tesi a limitare e controllare i poteri dell’esecutivo25. “El pueblo del Perú, las grandes mayorias, reclaman que las energias nacionales sean canalizadas, orientadas y administradas, por istituciones eficientes comprometidas con el supremo interés de la nación. Por eso su rechazo permanente a un parlamentarismo irresponsabile, estéril, antihistórico y antinacioanal, que hace prevalecer el interés de grupos y cúpulas partidarias sobre el de Perú. El país quiere un Parlamento conectado con las grandes tareas nacionales, despojado de los vicios del caciquismo político y del clientelismo.”26 Questa lunga citazione è utile per evidenziare la visione fujimorista del parlamento come luogo in cui la confluenza degli interessi di svariati gruppi non permette di giungere al soddisfacimento delle esigenze nazionali. È questa una delle motivazioni dell’autogolpe del 1992, che serve per l’appunto ad eliminare ogni tipo di resistenza ai progetti del presidente. Tra questi particolare importanza riveste la possibilità di ricandidarsi per le elezioni presidenziali. Questa materia fu oggetto di disputa non solo all’interno del ceto politico, ma anche per le istituzioni giudiziarie. La larga maggioranza che Fujimori aveva in Parlamento rese possibile, nell’agosto del 1996, l’approvazione della “Ley No. 26657”, denominata anche “Ley de interpretación autentica”. La Costituzione approvata nel 199327, che sostituiva quella del 1979, aveva permesso al “Chino” di presentare la propria candidatura nel 1995; tuttavia secondo il mandato costituzionale28 egli non avrebbe potuto concorrere a quelle successive. L’azione parlamentare portò però all’approvazione del sopraindicato provvedimento che eliminava qualsiasi impedimento ad una possibile ulteriore rielezione. Questo risultato fu ottenuto nondimeno al prezzo di un duro scontro con gli organi del potere giudiziario che ne uscirono soccombenti. Il Tribunal Constitucional (TC), la più alta autorità peruviana in materia costituzionale, respinse tale legge per tre voti a due, adducendo motivazioni, naturalmente, di carattere giuridico29. Il risultato fu, a quasi un anno di distanza (28 maggio 1997), la destituzione arbitraria da parte del parlamento dei tre giudici (Delia Rovereto, Manuel Aguirre Roca e Guillermo Rey Terry) che avevano giudicato incostituzionale il provvedimento. Questi non furono però rimpiazzati e dunque il paese rimase con la più alta autorità in materia costituzionale impossibilitata a funzionare30. Fujimori era riuscito a neutralizzare due dei principali contro-poteri: parlamento e magistratura. L’opera di subordinazione dell’apparato giudiziario non si fermò però al TC; le rimozioni arbitrarie riguardarono più in generale tutti quei giudici che non si mostravano sostenitori dei disegni dell’esecutivo. Giudici indipendenti furono rimpiazzati da agenti del direttore del SIN (Servicio de Inteligencia Nacional), Vladimiro Montesinos, e da personaggi posti a ricoprire quelle cariche esclusivamente per i legami che li collegavano all’esecutivo. Fu ad esempio approvato, nel dicembre del 1997, un provvedimento secondo il quale i membri del JNE (Jurado Nacional de Elecciones) sarebbero stati eletti anche sulla base dei voti dei cosiddetti “giudici provvisori”; in tal modo Fujimori riuscì ad assicurarsi una solida maggioranza progovernativa in seno al JNE. Venendo a mancare qualsiasi possibilità di appellarsi a parlamento e magistratura per opporsi alle misure adottate dal “Chino”, l’unica via percorribile apparve quella del ricorso al referendum. Alla fine si dovette rinunciare anche a questo strumento a causa di un provvedimento approvato 25

Vedi in particolare la Ley No. 25397, denominata Ley de Control Parlamentario, citata in Alberto Fujimori, op. cit.. Alberto Fujimori, op. cit.. 27 La vittoria fu abbastanza risicata: nel referendum i SI’ furono 3,878,964 pari al 52,24% del totale; i NO 3,545,699, pari al 47,76%. 28 Così recita l’art. 112 della Costituzione Peruviana del 1993: “El mandato presidencial es de cinco años. El Presidente puede ser reelegido de inmediato para un período adicional. Transcurrido otro período constitucional, como mínimo, el ex presidente puede volver a postular, sujeto a las mismas condiciones.”. 29 Per tali motivazioni si rimanda al documento El decenio Fujimori – Montesinos, http://stucchi.tripod.com/politica/decenio.htm 30 Sulla questione vedi El decenio Fujimori – Montesinos e Steven Levitsky - Maxwell Cameron, op. cit.. 26

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nell’aprile del 1996 dal “Congreso”, denominato “Ley Siura III”, che prevedeva la necessità dell’intermediazione parlamentare per l’approvazione del referendum, attraverso un voto favorevole di almeno 48 parlamentari. Ciò stava a significare che solo la maggioranza poteva utilizzare lo strumento referendario, dal momento che all’opposizione sarebbe risultato arduo trovare i voti necessari (le elezioni legislative del 1995 avevano consegnato a Cambio 90 – Nueva Mayoría 67 dei 120 seggi disponibili, mentre gli altri 53 erano suddivisi tra 12 diversi partiti). ELEZIONI LEGISLATIVE DEL 1995 Data delle elezioni Tipo di sistema elettorale Numero di seggi disponibili Tempo di durata in carica

Cambio 90-Nueva Mayoría Unión por el Perú Partido Aprista Peruano Frente Independiente Moralizador CODE - País Posible Partido Acción Popular Partido Popular Cristiano Renovación Movimiento Cívico Nacional OBRAS Izquierda Unida Frente Popular Agricola - FIA del Perú Perú al 2000 - FRENATRACA Movimiento Independiente Agrario

9 Aprile 1995 Proporzionale 120 5 anni Numero di seggi Percentuale dei voti 67 52.10 17 14.00 8 6.53 6 4.89 5 4.15 4 3.34 3 3.09 3 2.98 2 2.00 2 1.88 1 1.08 1 1.07 1 0.79

Elaborazione nostra sulla base dei dati forniti http://www.binghamton.edu/cdp/era/elections/per95par.html.

da:

http://pdba.georgetown.edu/Elecdata/Peru/legparty95.html

e

Le motivazioni ufficiali di questi comportamenti possono essere ritrovate nelle esternazioni cui diede luogo il presidente il giorno stesso dell’autogolpe del 1992. Affermazioni del tipo: “el gobierno es consciente de la necesidad histórica de eliminar todas las resistencias y frenos a este proceso de recostrucción”31 (si intende il processo di ristabilizzazione e rigenerazione democratica del paese); oppure: “acabar con el viejo y podrido orden de los políticos, jueces y autoridades corruptas que impiden la verdadera democracia”32, sono di una chiarezza lampante. Esse trovavano tra l’altro d’accordo gran parte dei peruviani, i quali erano profondamente sfiduciati nei confronti delle istituzioni democratiche, come parlamento, partiti, giudici. Di qui una visione che portava a considerare Fujimori sì un uomo forte, ma necessario per il ristabilimento dell’ordine, della sicurezza, della prosperità e dell’efficienza nel paese. Il processo di consolidamento del regime peruviano intrapreso in seguito al golpe attraverso la concentrazione del potere nelle mani dell’esecutivo arrivò a coinvolgere anche i poteri locali. Il processo di decentralizzazione, da sempre al centro dell’agenda politica nazionale, vide una brusca interruzione nei primi anni ’90, dopo qualche timido sforzo intrapreso nel decennio precedente, soprattutto ad opera del governo dell’APRA. Il tentativo di allearsi ai poteri locali fu considerato ormai da abbandonare in seguito alle elezioni municipali del gennaio del 1993, che avevano visto il partito del presidente raccogliere un magro risultato. Prima di allora, Fujimori aveva cercato di ampliare le prerogative dei municipi, cercando di utilizzarli come un’arma contro i partiti e le loro organizzazioni locali. Dopo quella tornata elettorale l’atteggiamento mutò repentinamente: fu messa

31 32

Alberto Fujimori, op. cit.. ibidem.

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in atto una riforma fiscale (che seguiva quella già eseguita nel 1991 con buoni risultati33) che, rispondendo anche all’esigenza di evitare i rischi di una possibile stagnazione dei prelievi fiscali, centralizzava il controllo sulla politica fiscale nelle mani dell’esecutivo, privando i governi municipali delle proprie attribuzioni in materia economica. La misura fu adottata, secondo molti studiosi, anche per attaccare ed indebolire i politici locali che si erano mobilitati per il “No” nel referendum, dunque per colpire alcuni dei più temibili antagonisti, tra i quali i popolari sindaci di Lima e Cuzco34. REFERENDUM PER L’APPROVAZIONE DELLA NUOVA COSTITUZIONE (Voti per dipartimenti – In grassetto quelli in cui i NO furono maggioranza) SI NO Dipartimento Approva la nuova Non approva la nuova Schede bianche costituzione costituzione % Voti % Voti % Voti % Amazonas 27,859 35.49 38,083 48.51 3,745 4.77 Ancash 145,276 43.13 141,589 42.03 14,330 4.25 Apurimac 27,999 31.93 39,404 44.93 6,754 7.70 Arequipa 192,542 47.30 191,823 47.13 6,405 1.57 Ayacucho 45,913 39.93 44,981 39.12 8,455 7.35 Cajamarca 127,375 40.49 130,820 41.59 17,057 5.42 Callao 149,766 51.40 127,046 43.60 4,317 1.48 Cuzco 99,836 32.73 164,589 53.95 13,426 4.40 Huancavelica 30,803 32.61 40,674 43.05 7,497 7.94 Huanaco 66,981 43.82 61,032 39.93 8,927 5.84 Ica 129,990 49.42 116,625 44.45 4,486 1.71 Junin 188,486 53.29 132,784 37.54 10,093 2.85 La Libertad 204,425 42.43 228,574 47.44 13,947 2.89 Lambayeque 157,009 44.42 168,375 47.64 8,838 2.50 Lima 1,730,193 57.07 1,149,859 37.93 40,787 1.35 Loreto 65,234 39.19 90,801 54.55 2,954 1.77 Madre de Dios 6,678 45.71 6,790 46.47 345 2.36 Moquegua 20,786 38.80 29,612 55.27 972 1.81 Pasco 31,502 43.31 30,599 42.07 4,384 6.03 Piura 202,741 44.05 209,528 45.53 14,876 3.23 Puno 64,304 17.16 252,362 67.36 12,293 3.28 San Martín 59,349 43.38 55,940 40.88 6,127 4.48 Tacna 35,890 42.72 43,060 51.26 1,218 1.45 Tumbes 20,103 42.42 24,171 51.00 920 1.94 Ucayali 47,924 59.06 26,278 32.38 2,460 3.03

Schede nulle Voti 8,820 35,668 13,544 16,273 15,625 39,323 10.268 27,205 15,496 15,924 11,639 22,322 34,898 19,203 110,664 7,452 798 2,207 6,255 33,068 45,686 15,409 3,842 2,201 4,484

11.23 10.59 15.44 4.00 13.59 12.50 3.52 8.92 16.40 10.42 4.42 6.31 7.24 5.43 3.65 4.48 5.46 4.12 8.60 7.19 12.19 11.26 4.57 4.64 5.53

Totale

78,507 336,863 87,701 407,043 114,974 314,323 291,397 305,056 94,470 152,864 263,040 353,685 481,844 353,425 3,031,503 166,441 14,611 53,577 72,740 460,213 374,645 136,825 84,010 47,395 81,146

Tratto da: http://pdba.georgetown.edu/Elecdata/Peru/refdm93dept.html

Il successo del progetto di Fujimori è riscontrabile nell’assenza di contropoteri resasi manifesta in occasione dello scandalo scoppiato in Perú quando vennero alla ribalta brogli relativi alla raccolta di firme necessarie per la presentazione dell’ultima creatura del “Chino”, Perú 2000, per concorrere alle presidenziali del 2000. Si scoprì, infatti, che circa un milione di firme non era stato raccolto in maniera regolare, ma attraverso centinaia di funzionari che avevano il compito di crearle di proprio pugno. L’accusa era grave al punto da permettere l’estromissione di Perú 2000 dalle elezioni. Tuttavia, le azioni intraprese negli anni precedenti nei confronti degli organi deputati al controllo, in questo caso in particolare il JNE, avevano eliminato qualsiasi possibilità di resistenza. Così l’unico traguardo che l’opposizione riuscì a raggiungere fu quello di una promessa di indagine da parte del 33 34

Sulla riforma del sistema fiscale peruviano vedi Bruce Kay, op. cit.. Bruce Kay, op. cit..

7

governo medesimo, un traguardo quindi assolutamente effimero (ed infatti le investigazioni portarono ad un nulla di fatto). Le elezioni dell’aprile del 2000 videro perciò la partecipazione del partito di Fujimori. Quest’ultimo non riuscì ad evitare il ballottaggio che, però, vide il boicottaggio da parte del suo antagonista, Alejandro Toledo. Le pressioni, le proteste contro il presidente non riuscirono a rimuoverlo dal potere; superata l’immediata fase post-elettorale, il “Chino” si dedicò alla ricostruzione di una nuova maggioranza in parlamento, dove ora disponeva di soli 52 deputati sui 120 totali. Per raggiungere lo scopo si fece ricorso a spionaggio e corruzione35 che trasformarono il “Congreso” in un “mero mercato per il compromesso tra interessi puramente economici, senza un qualsivoglia orientamento politico al di sopra di ogni interesse”36. Ciò era dovuto certamente alla assenza di forti partiti e alla presenza, per contro, di numerosi indipendenti, senza alcun legame di lealtà nei confronti delle strutture attraverso le quali erano riusciti a farsi eleggere.

Fujimori e le Forze Armate Uno dei pilastri sui quali Fujimori investì per garantirsi la sopravvivenza politica fu il rapporto con le Forze Armate. Non avendo alle spalle un partito solido, efficiente e ben strutturato, l’appoggio dei militari divenne di estrema importanza. Al momento della prima elezione del “Chino”, le Forze Armate erano divise in due fazioni: la prima, largamente maggioritaria, resisteva alle pressioni che provenivano dall’esecutivo affinché giocasse un ruolo politico di maggior rilievo; la seconda comprendeva invece coloro i quali accettavano l’ingresso nell’arena politica in cambio di precise garanzie. Sfruttando adeguatamente queste divisioni Fujimori ed il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Vladimiro Montesinos, offrirono supporto alla seconda fazione, operando in maniera tale da permettere che i suoi esponenti arrivassero a ricoprire posizioni chiave. Tutto ciò avvenne attraverso promozioni per i propri sostenitori e contemporanee rimozioni o prepensionamenti nei confronti di quei militari ritenuti ostili al nuovo corso che l’esecutivo aveva intenzione di intraprendere. Nel 1991 la fazione “politicizzata”, capeggiata dal Comandante Generale dell’Esercito, Nicolas de Bari Hermoza Rios, conseguì il controllo di Esercito, Marina ed Aviazione. Ben presto la nuova leadership militare mostrò il proprio orientamento: venendo meno al dettato della costituzione del 1979, Hermoza espresse pubblicamente le proprie preferenze politiche; quest’atto può essere considerato la fine della neutralità di quest’istituzione. Fujimori riuscì a procacciarsi l’appoggio delle Forze Armate innanzitutto aumentando i fondi a loro favore, in un periodo in cui austerità era la parola d’ordine per il paese. In secondo luogo, la strategia proposta dai militari per sconfiggere la guerriglia di SL e del MRTA fu pienamente condivisa dall’esecutivo. I soldi che cominciavano ad entrare nelle casse dello Stato, soprattutto a causa del lancio di un programma di privatizzazioni su larga scala37, furono utilizzati per migliorare la situazione dei mal equipaggiati militari peruviani, tramite l’acquisto di sofisticati armamenti e la creazione delle cosiddette “ronde contadine”, che ricoprivano un ruolo di appoggio ai militari nelle operazioni contro la guerriglia. Gli aumenti salariali permisero di accrescere il grado di lealtà di quest’istituzione nei confronti dell’esecutivo.38 Il “patto simbiotico”39 venutosi ad instaurare fu ulteriormente rafforzato dall’autogolpe del 1992, allorquando, mentre Fujimori compariva sugli schermi per annunciare alla popolazione la chiusura del parlamento, le purghe che sarebbero state effettuate nei confronti dei giudici e le altre misure relative al colpo di stato, i militari presidiavano le strade assicurando che non ci fossero tumulti40. Nel novembre del 1992 fu inoltre sventato un contro-golpe tentato dal generale in pensione Jaime Salinas Sedó. Il processo di politicizzazione 35

Countries at the Crossroads 2005, http://www.freedomhouse.org/modules/publications/ccr/modPrintVersion.cfm?edition=2&ccrpage=8&ccrcountry=94 36 Max Weber, Economy and Society, cit. in Steven Levitsky - Maxwell Cameron, op. cit.. 37 Sull’argomento delle privatizzazioni e degli investimenti stranieri vedi Yolanda García Mezquita, Las privatizaciones como mecanismo de atracción de las inversiones extranjeras: el caso de Perú, in America Latina Hoy, Universidad de Salamanca, Salamanca, España, agosto, vol. 22, http://www.usal.es/~iberoame/americalatinahoy/ALH-PDFTIFF/ALHvol22/ALHvol22garciamezquita.pdf ,in particolare pp. 63-64. 38 Boyd Sthepenson, op. cit.. 39 Bruce Kay, op. cit..

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delle Forze Armate si approfondì ulteriormente. Il loro ruolo fu in continua espansione e non solo per i sempre più consistenti fondi che andavano a riversarsi nel bilancio della Difesa, ma anche per il fatto che il presidente decise di utilizzare i militari per compiti che fino ad allora esulavano dalle normali ed abituali competenze. Ciò fu certo conseguenza di uno degli eventi maggiormente significativi nella storia delle presidenze di Fujimori: l’arresto, il 12 settembre 1992, di Abimael Guzmán, leader di SL. Fu un colpo di fatto mortale per la guerriglia maoista; di lì ad un anno essa se non poteva dirsi del tutto estirpata, era certamente una minaccia di ben altra portata rispetto a quella da essa costituita durante gli anni ’80. A partire dalla fine del 1993 militari e ronde contadine cominciarono ad allargare le proprie funzioni nelle regioni e nei dipartimenti ancora sottoposti allo stato d’emergenza, fino a comprendere la distribuzione di cibo, la costruzione di vie di comunicazione, di infrastrutture41. Essi svolsero un ruolo di primo piano nella mobilitazione dei consensi per Fujimori in vista delle elezioni del 1995 e non tanto attraverso le armi che solitamente sono associate alle Forze Armate: seppure non si può escludere del tutto che ci siano state intimidazioni, minacce e più in generale forme di repressione, ciò che appare chiaro è che nelle regioni rurali del paese Fujimori godeva di un ampio appoggio da parte della popolazione soprattutto per il fatto che si era dimostrato in grado di ristabilire il controllo statale su quei territori, ponendo fine a insicurezza e terrore, un risultato impossibile da ottenere se non con un grande sforzo profuso dai militari. Eppure le Forze Armate non concessero il proprio appoggio solo in cambio di un maggior ruolo sul territorio, soprattutto nelle regioni montuose e rurali dove più forte era la guerriglia; esse necessitavano della garanzia dell’impunità legale dalla persecuzione per violazioni associate ai diritti umani o al traffico di droga. Così nel giugno del 1995 fu approvata dal parlamento la “Ley No. 26479”, detta anche “Ley de Reconciliación Nacional”, che amnistiava i militari accusati di violazioni dei diritti umani. Questo provvedimento fu provvidenziale per quegli esponenti delle Forze Armate implicati nelle stragi di Barrios Altos e La Cantuta42, portate a compimento dal cosiddetto “Grupo Colina”, dipendente dal SIN.

Fujimori e Montesinos Fujimori intratteneva dunque stretti rapporti non solo con le forze armate, ma anche con il SIN, nella persona di Vladimiro Montesinos43. Costui riveste un ruolo di immenso peso nella storia del Perú negli anni ’90. Entra in contatto con l’allora candidato alla presidenza della Repubblica, Alberto Fujimori, nel 1990, tramite l’intercessione di Francisco Loyaza, agente del SIN e amico personale di Montesinos: assume il compito di difendere il “Chino”, in qualità di avvocato, dall’accusa di evasione fiscale relativa alla compra-vendita di alcuni beni da parte delle sua famiglia. Una volta vinta la causa, divenne consigliere personale del presidente. Fu agente del SIN e, pur non divenendone mai ufficialmente direttore, era colui che, terminato il mandato del generale Edwin Díaz, tesseva le fila di tutte le operazioni gestite dal servizio di intelligence. I rapporti Fujimori-Montesinos non sono facilmente decifrabili; la difficoltà più grande è relativa alla risposta alla domanda: chi controlla chi? In effetti uno dei soprannomi con cui era conosciuto Montesinos permette di farsi un’idea relativamente a tali rapporti: Rasputin44. Sfruttando la posizione che ricopriva, Montesinos organizzò il sistema di intelligence in maniera tale da controllare 40

Il golpe permetteva inoltre di meglio identificare quali circoli militari intendevano difendere le istituzioni e quali davano sostegno alle mire presidenziali. 41 Kenneth Roberts, Populism, political conflict… e Bruce Kay, op. cit.. 42 La prima strage avvenne nel 1991 quando furono assassinate sedici persone, tra le quali un bambino; la seconda nel 1992 vide la morte di nove studenti ed un professore dell’ Universidad Enrique Guzmán y Valle. 43 Vladimiro Illich Lenin Montesinos Torres nacque ad Arequipa nel 1945 da una famiglia appartenente al ceto medio impoverito. Intraprese la carriera militare contro la propria volontà e fu implicato in uno scandalo con l’accusa di tradimento della patria per aver fornito informazioni riservate agli U.S.A., dal quale uscì grazie agli appoggi che era riuscito a crearsi nel seno delle Forze Armate stesse. Nel 1990 ha inizio la sua carriera al fianco del futuro presidente Alberto Fujimori. Per ulteriori informazioni vedi Santiago Stucchi Portocarrero, Vladimiro Montesinos, http://stucchi.tripod.com/politica/vmt.htm e Oscar Ugarteche, Montesinos, la corrupción y las relaciones Perú – Estados Unidos, 2001, http://www.andes.missouri.edu/andes/Comentario/OU_Montesinos.html. 44 Grigorij Efimovič Novykh, più noto come Rasputin, fu noto come eccezionale guaritore ed in virtù di questa dote entrò alla corte dello zar. Da quel momento esercitò una particolare influenza sulla famiglia dei Romanov, in special modo sulla zarina Alessandra.

9

l’opposizione. Ciò stava a significare che gli agenti del SIN, dipendenti direttamente dal “Rasputin peruviano”, spiavano praticamente in ogni momento quelli che erano ritenuti possibili antagonisti di Fujimori. Nel corso degli anni si arrivò ad un sempre maggiore controllo dell’apparato legislativo, di quello giudiziario, dei mass media e del mondo della finanza. L’episodio più noto della biografia di Montesinos è appunto relativo alle modalità attraverso cui avveniva tale controllo: pochi mesi dopo le elezioni presidenziali del 2000 vennero alla ribalta quelli che da allora sarebbero stati chiamati “vladivideos”. Si tratta di videocassette che recano impresse le immagini degli incontri che spesso avevano luogo nel “Pentagoncito” (il complesso militare dove si trovavano le installazioni del SIN) tra il “vero” capo del servizio di intelligence e esponenti del mondo della politica, delle telecomunicazioni e della finanza. I filmati ritraggono gli interlocutori di Montesinos accettare le pressioni da questo esercitate affinché appoggiassero i disegni dell’esecutivo. Le forme attraverso cui avveniva il “convincimento” sono molteplici, ma tutte riconducibili alla pratica della corruzione: si va dal pagamento di mazzette alla promessa di provvedere alla risoluzione dei guai giudiziari o finanziari, ecc.. Nel caso in cui le pressioni esercitate non portavano i frutti sperati si ricorreva invece all’arma della repressione. Lo stesso Montesinos si rese autore della rimozione di giudici non accondiscendenti. Il proprietario di un canale televisivo che resistette ai tentativi di corruzione pagò il prezzo delle proprie azioni con la perdita della nazionalità, dell’emittente, delle altre imprese di sua proprietà. In generale ciò che si può dire è che Montesinos tesseva le fila di una ragnatela che ingabbiava gran parte delle personalità di maggior spicco del paese, fra cui, probabilmente, lo stesso Fujimori. Gli stessi “vladivideos” potrebbero essere una prova di tale disegno: le cassette trovate non sono infatti relative a pochi colloqui, ma ne registrano addirittura centodieci. Esse costituiscono una potente arma di ricatto nelle mani del capo del SIN: Fujimori era nei fatti indissolubilmente legato al suo consigliere per la sicurezza; qualsiasi tentativo di rimuoverlo dal proprio incarico o che comunque prevedesse una riduzione dei poteri, si scontrava con la possibilità, da parte di Montesinos, di affossare lo stesso presidente. Di qui le considerazioni di alcuni studiosi secondo i quali “è possibile che negli ultimi anni abbia avuto più potere dello stesso Fujimori”45, o che lo considerano “il vero potere dietro il trono”46 .

Civil Society

I nter nation al

Judiciary

Legislative Branch

1

Alberto Fujimori

Vladimiro Montesinos Political Parties

State (Bureaucracy)

Media Private Sector

Military Municipal Government

Resource Dependency Network

Moreno Ocampo

Grafico relativo ai legami creati da Montesinos tratto da POWER NETWORKS AND INSTITUTIONS IN LATIN AMERICA

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45 46

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1

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