-III- Protagonista per caso
Fatta sedere l'inferma accanto ad uno dei mini-tralicci in attesa
dell'accompagnatrice, Franco pianificò con Romoletto un'aggiunta al suo
intervento, onde ovviare a inconvenienti del tipo descritto: tre strisce gialle sull'asfalto in corrispondenza del varco pedonale, in modo da dissuadere il posteggio di fronte al cancello (còmpito da eseguire da entrambi i giardinieri)... e -fiero del proprio savoir-faire- quando arrivò la ex E6 più giovane andò con
Gabriele a misurare il fronte dell'inferriata prospiciente la palazzina: dal terrapieno al tunnel.
Dedicò poi una settimana circa a lavorare sugli appunti presi durante il sopralluogo (lunghezza della ringhiera e dei suoi elementi, numero dei tondini per elemento, posizione dei tre pini allineati sul terreno del cortile, in leggera pendenza verso la strada condominiale, e così via)... suo obiettivo era quello di prendere più piccioni possibili con una sola fava, ovvero di risolvere i problemi più urgenti della palazzina con un intervento (di concerto col fabbro e col
factotum) che lo impegnasse solo una mezza giornata, ed ottenesse il risultato di far cassa senza dover ricorrere alla bozza di parcheggio a pagamento approntata da Felice.
Aiutato infatti dal referente, aveva già fatto una stima dei multi-proprietari di vetture che avrebbero volentieri pagata una congrua cifra per l'utilizzo di posti
extra (e cioè oltre i trenta di pertinenza fissati dalla fisionomia dello stabile)... <<de sicuro so' più de cinque!>>, aveva detto il signor Tedesco, per cui -dopo
calcoli a tavolino basati sulla larghezza media delle vetture e su una carta che riproduceva in scala la pianta del cortile- Franco stabilì che l'optimum fosse di sei posti-macchina supplementari (che preferì chiamare di riserva).
E ne fissò poi la posizione: due alle estremità del fronte e gli altri quattro in corrispondenza delle mezzerie tra un portone e l'altro; non gli rimase quindi che far recapitare nell'interno C3 un grosso barattolo di vernice gialla, un
pennello, una pennellessa e un erogatore di silicone... e concordare poi col mastro
ferraio la data per la messa in opera delle innovazioni di sua competenza, durante le quali egli poteva tradurre in realtà fattuale il proprio progetto
cartaceo, ma solo dopo aver mantenuto fede alla promessa fatta a Romoletto, con l'ordinare a Gabriele di prestarsi, con la vernice (e con le mani all'occorrenza) a dipingere con quel condomino le tre strisce anti-posteggio. Non fu quindi per caso che la mattina del giorno fissato la signora Barbara anticipò la solita uscita sul suo balcone (dedicata alla cura dei vasi che facevano da pendant a fiori e piante con cui aveva adornata -sul lato della sessantanovela ringhiera che andava dal passo carrabile al tunnel)... <
>, le aveva detto infatti il giorno prima la signora Gina (con un
tocco di ciociaro nel dialetto), la quale non si stupì dunque nel vederla già di vedetta quando uscì a sua volta sul terrazzino C3... posata quindi una
bagnarola sulla seggiola che il marito usava per le pennichelle pomeridiane, rispose al gesto d'un braccio dell'amica roteando un indice con aria da
primadonna, per significare che avrebbero avuto modo di commentare più tardi la rappresentazione in programma, come una dama che, entrata nella piccionaia
d'un teatro, vede l'amica a cui ha consigliato lo spettacolo e questa annuisce col capo.
Alzò poi gli occhi al cielo come per librarsi verso il settimo (che immaginava come un luogo dove non manca nulla e non ci si stanca mai di chiacchierare), prima d'iniziare a stendere lentamente i panni bagnati estratti dalla
bagnarola... ma quando la vide gesticolare si sporse dal parapetto alla sua sinistra per richiamare all'ordine il marito, dicendo: <<è arivatu!>>, con tono
tale che a Gabriele parve di risentire la tromba dell'adunata. Tolta allora la schiena dal muro dov'era appoggiata, prese tra indice e pollice la
cicca che spuntava da sotto i baffoni bianchi e, dopo un ultimo tiro, la gettò sulla grata della caditoia (una lunga scatola metallica, con tante lamine ad essa perpendicolari, che separava la strada condominiale dalla breve rampa verso il portone)... alzò infine i manici della carriola di cui era stato dotato e la spinse
verso l'ingresso del tunnel, dove Franco s'era fermato, ma vedendo poi apparire anche il fabbro rallentò l'andatura dicendosi "tanto stanno a parla'!" e -giunto a destinazione, con la stessa lemma prelevò dalla carriola il barattolone per metterlo accanto al cancello del tunnel, com'era stato istruito a fare.
Dopodiché si accostò in silenzio al Professionista in attesa di direttive, col rispetto dovuto al suo datore di lavoro in colloquio con l'artigiano che stava ricapitolando gli accordi... finché questo -dopo aver armeggiato sulla serratura vandalizzata- non andò a recuperare il furgone, parcheggiato presso il varco pedonale. Il ferraiuolo tornò dopo aver avvicinato il carico di serrature, congegni a molla ed equipaggiamento ossiacetilenico, sull'altro spiazzo ricavato in
corrispondenza del passo carrabile, dove aveva già parcheggiato il Professionista, e -vedendo questo prendere dalla carriola un pacchetto (le trentasei targhette rettangolari di plastica blu che una ditta specializzata aveva confezionate e fatte pure pervenire nell'interno C3)- se ne andò senza una parola ad operare sul cancello del tunnel... mentre Franco, estratto il gruppo -strette da un
elastico- delle sei con la scritta bianca riserva, se ne infilava una nella tasca destra della giacca.
Riposto infine il pacchetto nella carriola, diede il via alle operazioni indicando a Gabriele il primo bastoncino della ringhiera da verniciare (affinché lo spolverasse) e s'apprestò -con molta cautela, per evitare di sporcarsi- ad imbrattarlo di giallo... solenne infine, come un sacerdote che brandisce l'aspersorio, affondò il pennello nel barattolone, per abbozzare la marcatura che avrebbe dovuto poi rifinire il sottoposto, che frattanto era passato a spolverare il
secondo tondino, ad una distanza di circa due metri e mezzo in direzione dello spiazzo condominiale.
Anche a quello l'amministratore diede poi una botta d'aspersorio, in modo da poter immaginare -sulla ringhiera- il grosso rettangolo di cui individuare la mezzeria, dove fissare -sui due tondini centrali e all'altezza del proprio pettola targhetta che s'era messa in tasca... còmpito che lasciò però eseguire dal
factotum, già istruito anche riguardo l'uso dell'erogatore di silicone.
Affissa comunque la prima targhetta segnaposto, il Professionista mostrò al suo sottoposto come completare l'opera per quel posto-macchina, spalmando una striscia dello stesso liquido bavoso sul cordolo della strada (a questa perpendicolare ed in linea col primo cilindro ingiallito), in maniera che potesse poi ripetere autonomamente l'intera serie di operazioni su tutta l'inferriata, per ogni altro rettangolo che si sarebbe delineato (A2...A6 e riserva 2, B1...B6 e riserva 3 ,e così via)... impugnato allora il pennello come fosse uno spadino,
Gabriele tracciò sul cordolo la seconda striscia (che doveva dividere il primo
posto-macchina di riserva da quello di pertinenza A1) e parve poi voler andar all'assalto delle léggi che l'avevano oppresso in passato: sorvegliato dalla barbetta cavouriana, sembrò infatti impersonarsi nel più ardito d'una coppia di miti risorgimentali (quello che -conquistato un regno- ne aveva regalata la corona a
un altro re. ------------///|\\\------------
Berretto tricolore, camicia aperta sulla canotta e mille e più ragioni a
giustificarne il carattere irruento, il factotum mutò insomma radicalmente l'atteggiamento guardingo -quasi da occultatore di cadaveri- che aveva mantenuto dal momento ch'era stato assunto, a causa dell'assillante sorveglianza di sua moglie... rapidamente diminuirono quindi le targhette che il Professionista gli andava passando in ordine alfanumerico inframmezzato dagli altri cinque
segnaposti di riserva, l'ultimo dei quali venne fissato in corrispondenza del punto dove stazionava abitualmente l'apetta di Romoletto.
Esaurite dunque le targhette, Gabriele tirò fuori la pennellessa da una busta di plastica, ci mise il pennello da pulire e cominciò a marcare -in linea col cordolo esterno della strada condominiale e procedendo a ritroso- lo slargo dell'assemblea, nonché poi il cordolo stesso, facendo viaggiare sempre più
velocemente il barattolone sulla carriola con l'intento di mostrare a Franco quanto all'altezza fosse del proprio incarico... erano tornati così circa al centro della palazzina, quando -in senso contrario- passò il fabbro, che si fermò per consegnare all'amministratore la chiave della serratura montata sul cancello del
tunnel, dopo avervi sistemato il congegno per le chiusure automatiche.
Da bravo direttore dei lavori, il Professionista andò allora a verificare il buon funzionamento di chiave e molla e salì poi soddisfatto nell'interno C3 a lavarsi le mani e a complimentarsi con sé stesso per come aveva organizzata la giornata... certo dunque di potersene tornare a casa sua, appena tornato nel
cortile diede disposizione al factotum di sospendere il lavoro su bastoncini e
cordolo e muoversi in direzione opposta alla propria (ossia verso il varco
pedonale, dove presumeva che il ferraiuolo stesse per ultimare i suoi impegni) ad aspettare là che -terminata ogni opera- il fabbro gli consegnasse le altre trenta
copie della chiave del tunnel, da inserire in seguito nelle cassette postali di ogni condomino.
Gabriele s'andò quindi ad affiancare di nuovo a Romoletto, al quale si risollevò così un po' il morale, abbattuto oltre ogni dire... quasi come i suoi mini-tralicci
rasi (mediante un frollino allacciato all'utenza elettrica dell'appartamento E2 tramite una prolunga) a filo del cemento col quale lui li aveva fissati secondo
uno dei desideri esauditi della signora Contessa: l'altro essendo quello d'apporre al cancello del varco pedonale una coppia di maniglie bronzate, la cui scelta era stata demandata alla vedova E2. Fissato quindi un congegno a molla anche sopra quel cancello, il fabbro tornò
al suo furgone con Gabriele alle costole per ricevere le chiavi ed il giardiniere
volontario rimase da solo a rimirare il muretto ormai calvo... invano consolato da Giorgio (che aveva beneficiato d'un permesso dell'ufficio ereditato dal padre
per assistere ad una riunione nella più vicina sede del PCI, dov'era solito andare a divagarsi).
Fu dunque per non pensare più allo sgarbo subìto che Romoletto si andò a
rimirare la fida apetta e a guardare le fresche stisciate di vernice sull'inferriata, che la mestizia gli faceva apparire come punti di sutura fra lembi di pelle: cicatrici che secondo lui testimoniavano lo scempio inferto al tessuto umano della palazzina, quando l'Ina-case aveva fatto lacerare il campetto che il progetto
iniziale aveva previsto tra la sessantotto e la sessantasei... "ma che erano urla e
schiamazzi, confronto ai spinelli e a''e siringhe d'adesso?", si chiese quindi, pensando alle proteste che avevano determinato il ripensamento dell'Ente e
ricordando il suo primogenito -Livio- giocarci a calcetto nel ruolo di portiere.
Lo confortò comunque il fatto che Livio s'era poi rifiutato di giocare nelle altre partitelle disputate sull'asfalto dello spiazzo assembleare, dove chi l'aveva rimpiazzato -ossia l'attuale condomino D5 che grazie ai Salesiani era stato assunto in Vaticano- aveva subito la rottura del naso... con un'alzata di spalle scacciò dunque la nostalgia e tornò al presente pensando alla vecchiaia
incombente del donnone che aveva per moglie, che ridimensionava nella giusta rilevanza le innovazioni appena apportate nella palazzina. Per diversi giorni restò tuttavia permeato di malinconia e ipocondria, ma quando vide un'altra automobile ostruire l'accesso al varco pedonale -quasi a sfregio
delle strisce gialle disegnate assieme a Gabriele- venne di nuovo vivificato dai soliti tic: tanto che per rilassarsi dovette ricorrere come di consueto all'ars
topiaria... stava quindi usando i forbicioni su una delle siepi cresciute attorno ai pini del terrapieno, quando vide Raffaele giungere dal mercato coperto -ubicato
sul viale dei Platani, a tre grattacieli di distanza- e restarsene fermo davanti al varco pedonale, incerto sul da farsi a causa dei sacchetti di plastica gonfi di merce che gli penzolavano da entrambe le mani, mentre confrontava il loro
ingombro con la larghezza del pertugio rimasto tra veicolo pirata ed uno dei lampioni della via dei Pomicioni.
Posati allora i forbicioni e dissimulata la rabbia sotto il cappello di paglia e dietro il paio di occhiali scuri che indossava, il giardiniere per passione s'avvicinò per osservare meglio, poggiando i piedi sul marmo del muretto ed una
mano nell'intreccio della ringhiera di confine con la via comunale e per la gran curiosità mantenne gli occhi sul muratore... fino ad urtare la suscettibilità del muratore che si lasciò infatti andare ad un'imprecazione mentale (”mannaggia alle machine!”), prima di dare il via ad un abile piroettare attorno alla vettura che ostruiva il passaggio, con la perizia acquisita camminando su palanche sospese in aria.
Giunto però sul marciapiedino, gli giunse anche la solidarietà di chi ardeva dalla voglia di scoprire a chi appartenesse la vettura e la manifestò sbraitando,
con l'ardore d'un giacobino all'assalto della Bastiglia: <<mo' pijo 'n chiodo e je buco tutt'e quattro 'e gomme!>>... <<eeh! ce vorebbe propio!>>, concordò quindi
Raffaele, prima d'abbassare col gomito sinistro (era mancino) la maniglia del cancello e spingerne la parte mobile con la spalla corrispondente, mentre reprimeva l'impulso a polemizzare, dato che -per quanto ne sapeva- nulla
valevano le strisce gialle, in assenza di segnaletica ufficiale ed in mancanza di
scivoli dal marciapiede.
Rimase poi in attesa che il battente del serramento arrestasse la corsa di ritorno contro il suo piede sinistro, dato che il fabbro aveva esagerato con la potenza della molla e che quindi un fragore di ferraglia seguiva immancabilmente ogni passaggio -come il tuono dopo un lampo- se non si usava l'accortezza di frenare l'impatto finale... nel frattempo -dalla sedia rimasta sul terrapieno- s'alzò la moglie del giacobino per avvicinarsi anche lei al cancello, appoggiandosi ad un bastone.
La salutò allora con rispetto Raffaele, usando il nome di battesimo (Domenica)
anziché il soprannome -Majolada- che le avevano affibbiato i propri genitori, per via d'un reiterato suo errore di coniugazione del participio del verbo
maiolicare... ma presto se ne dovette pentire, maledicendosi per il peso da sostenere, perché la cortesia a cui era stato educato gli impose d'ascoltare i particolari del decorso post-operatorio della cataratta di quella condomina (dagli antibiotici al collirio che usava) e fu solo approfittando d'una sua divagazione sui problemi di traffico probabilmente incontrati dall'accompagnatrice designata che la doveva portare ad una nuova visita di controllo- che Raffaele riuscì a scollarsi dalle sue chiacchiere. ------------///|\\\------------
Poggiò quindi -finalmente- i sacchetti presso il più vicino al portone della Scala C, dei due alberelli che spuntavano da areole situate sotto le vetrate del suo appartamento (il C2: il più in basso di quelli mostrati nella figura iniziale del precedente capitolo): piccoli cerchi di terra, lasciati sul marciapiede per salvare quelle piante dalla colata di cemento che -qualche anno prima- era stata deliberata e quindi ratificata da Felice... il massimo che Raffaele aveva potuto
ottenere dall'allora amministratore, dopo il decreto ingiuntivo che gli aveva fatto pervenire, di smantellare il recinto che ancora proteggeva quei due arbusti ed altri vegetali. Tale decreto, giustificato dalla necessità di piazzare delle botole per le utenze entro quel recinto, era stato quindi ammorbidito da quelle areole (come una
specie d'onore delle armi, concesso a chi -strenuo ed impavido- aveva sino ad
allora resistito ad ogni pressione, da parte della ditta a cui l'amministratore
improvvisato s'era rivolto per il restauro della strada condominiale)... una lunga storia affettiva aveva comunque quella recinzione, dato che risaliva
all'epoca in cui l'Ina-Case doveva ancora devolvere gli appezzamenti sul retro
della palazzina e che ad erigerla con le proprie mani era stato il padre del
sallucchione, l'assegnatario dell'interno C2, che si denominerà Gigante buono per statura e moralità. Quel condomino, ormai defunto, era stato infatti mosso dall'esigenza di tener lontani, non solo i ragazzini, dalle porte-finestre della cucina e della sala da
pranzo che davano sul suo terrazzino e dalla finestra con serranda a soffietto che dava direttamente sul cortile (il tutto disposto a specchio rispetto
all'appartamento D1 del signor Tedesco ed ancora privo di grate metalliche)... dopo che che -da ex contadino- s'era trasformato in muratore ed aveva insegnato tale mestiere ai due figli maschi (Raffaele era stato il secondo ad impararlo) e
prima di dedicarsi esclusivamente alla cura della casa e delle due donne della famiglia. Problemi gli procuravano infatti sia la moglie malandata da accudire che l'ultima a nascere dei figli, ancora da sposare, e non disdegnava quindi di fare la spesa e cucinare, ma aveva trovato comunque il tempo di metter su quel recinto, lungo sei metri, alto mezzo e largo circa uno, dal muro perimetrale al bordo della strada (il primo a sorgere nel cortile, ma presto imitato da quasi tutti gli assegnatari degli interni uno e due di ciascuna Scala)... e con passione s'era poi data la pena di rivernicialo ogni anno, fino alla sua ultima primavera, cambiandogli più volte il colore. Se n'era sempre infischiato, inoltre, della contrarietà dello stalinista D2, che non aveva mai apprezzata la sua iniziativa, anzi: era riuscito a convincere
alcuni degli imitatori a fare un passo indietro, tramandando in qualche modo a
Felice il còmpito di mettere in riga i pochi abusivi rimasti: dovere che il figlio
aveva assolto fino al penultimo (il signor Tedesco), che s'era arreso solo dopo che il Gigante buono era venuto a mancare, anni dopo la moglie.
<>, aveva dichiarato allora
Raffaele, ma -costretto a scendere a patti dall'ingiunzione- s'era poi accontentato della promessa delle aiuole... salvo poi pretendere (resosi conto che l'inclinazione verso la strada, data dal genitore seguendo l'atavico criterio di guadagnare altri centimetri di possesso, esponeva le piante ad urti e strusciature da parte dei veicoli in manovra) il permesso d'erigere -entro le areole- delle incastellature di tubi zincati a loro protezione. Gli si palesò però tardiva tale accortezza constatando il decesso dell'arbusto più piccolo, più lontano dal portone e più prossimo alla strada, troppe essendo le
scorticature ad esso inferte... l'ex irriducibile si lasciò pertanto andare ad un pesante turpiloquio mentale, ancora una volta contro una delle invenzioni che caratterizzavano il secolo ventesimo e che aveva sempre vista come il fumo negli occhi, tanto da non voler prendere la patente, nemmeno al tempo in cui le vetture in cortile si potevano contare con le dita delle mani: "ma tu guarda sì che cazzo hanno combinato! -si rimproverò infatti- eh!, ce dovevo pensa' prima!", riferito alle incastellature, mentre girava attorno all'altro arbusto scrutandone il florido tronco che innalzava i rami sopra il proprio metro ed ottanta d'altezza. ”Pare però che questo s'è sarvato!", si rincuorò poi, prima di prendere il mazzo delle chiavi dalla cintola, aprire il portone, sollevare i sacchetti, salire i primi quattro gradini della Scala, posarli e -con operazioni analoghe- entrare nell'interno C2, sbrigarsi ad appendere il vestito ad una stampella, riporlo
nell'armadio dopo averlo ricoperto con un velo di cellophane e -in tenuta da
lavoro- scendere in cantina... con un piccone ed una vanga sulla spalla destra risalì infine, tenendo nella sinistra un paio di tenaglie, utili a togliere i tubi attorno alla pianta defunta, prima di sradicarla, ed al termine di quel lavoro piuttosto macabro rientrò in casa a prepararsi la strada verso l'appezzamento C2, aprendo la porta-finestra che vi si affacciava; dopodiché tornò in cortile, rientrò col vegetale defunto tra le mani ed attraversò cautamente l'interno, fino a raggiungere quello che considerava il suo regno.
"Nun manca nimmanco 'r trono!", scherzò infatti per alleggerire la situazione giocando tra italiano e dialetto, dopo aver deposto la pianticella secca sul tavolo con piano di marmo posto al centro d'un chiosco a pianta quadrata che troneggiava al centro dell'appezzamento: una struttura fatta costruire da suo padre e presto copiata negli appezzamenti confinanti... lui, dopo averla ereditata per aver accudito il genitore, l'aveva però adornata con colonnine di cemento disposte ai vertici, da adibire a sostegno di statuine e vasi (anche se con scarso discernimento estetico, dato che -come suo padre- s'intendeva soltanto d'arte agricola e muraria). Aveva infatti preferito dedicare il suo tempo libero alla costruzione d'un villino trifamiliare (poco al di fuori del Grande Raccordo Anulare, GRA in sigla), assieme al suo fratello maggiore ed al marito della sorella ultima nata -un ciabattino con tempo sempre più libero a causa dei progressi tecnologici dei calzaturifici- a fare da manovale... sicché non erano mai stati abbastanza lunghi i suoi giorni, con le tante cose che aveva avuto da fare tra lavoro e casa, senza contare l'appezzamento C2, che per l'intrico di fronde che sovrastava il chiosco richiedeva ricorrenti potature.
Le aveva effettuate però a regola d'arte, ossia facendo in modo da lasciare che i rami più bassi formassero una specie di tetto sul chiosco, sul quale si posavano spesso e volentieri i volatili... come ora che dal pavimento ci volò un merlo, scacciandone un passerotto che si librò su un ramo più alto, restando poi entrambi ad osservare l'uomo muoversi per andare a prendere una sega ed una roncola da un armadio metallico addossato al muro perimetrale della palazzina (presso il confine con l'appezzamento C1, dove s'innalzava una delle due file -di tre finestre ciascuna- che servivano i sei bagni della Scala C. Volarono poi via quando Raffaele si riavvicinò al chiosco per sezionare il
cadavere e tornarono soltanto quando andò a pareggiare il terreno dell'aiuola ormai deserta, assestare meglio l'incastellatura dell'altra aiuola, riscendere in cantina a prendere una scala e potare la pianta sopravvissuta... sgombrato infine il cortile dagli attrezzi e dai pezzi dell'incastellatura smantellata, Raffaele
tornò nel suo regno a rilassarsi, alzando le stecche di legno che tenevano fermi i fogli di giornale posti a coprire i semenzai allestiti in appositi riquadri ricavati in quella sorta di otto digitale che il camminamento centrale -dal chiosco alla
ringhiera della strada comunale- disegnava con le opposte diramazioni che ad esso ritornavano. ------------///|\\\------------
Riempiti poi d'acqua un paio di secchi, che -scaldati dal sole- gli servivano per innaffiare di sera i rampicanti custoditi da bottiglie di plastica private del fondo, si pose sotto la doccia, ma lì il poco di serenità ritrovata si dissolse come vernice alla fiamma d'una torcia a gas, perché -alzato lo sguardo al soffitto- notò con
raccapriccio la macchia d'umidità che lo deturpava... "che ce troveranno de bbono
'n quello?", si chiese allora, ricordando l'ottima opinione che i propri consanguinei avevano di chi era tornato ad abitare nell'appartamento sovrastante: talmente positiva da dissuaderlo dal proposito di presentare un esposto in questura, contro i rumori che gli penetravano in casa dal soffitto, pure nottetempo. "Mah!, mejo che me sbrigo a vennelo!", si disse quindi, riferito al proprio interno, presumendo d'andare d'accordo con le famiglie del fratello maggiore e della comune sorella, rassegnato com'era a rimanere scapolo per il resto della vita e vedendo in tale soluzione un'àncora di fermezza, se non di salvezza... "artro che continua' a da' bòtte ar soffitto cor manico de''a scopa!", si disse
infatti, ricordando le garbate proteste messe in atto ogni qualvolta l'interno C4 si trasformava in una specie di discoteca e trovando infine la voglia di preparare al lavaggio la lavatrice e di avviarla. Continuò tuttavia a riflettere su quel tema rammentando un'altra macchia, apparsa sul soffitto della sua cucina al tempo in cui l'appartamento C4 era stato
locato al marito della prima nata della signora Gina: una tappezziera di
professione ch'era andata da poco in moglie ad un meccanico immigrato dalla Calabria, il quale era stato ben contento d'intestarsi il contratto d'affitto, potendo così contare sul cortile per lavoretti extra... a nulla erano valse allora le
proteste del muratore, contro la proterva solidarietà tribale delle famiglie C3 e C4: una tribù -per l'appunto- coalizzata a difendere un presunto diritto
all'incuria, sebbene colpevole del disagio dati i lavori di ristrutturazione di cucina e bagno portati avanti dal fratello idraulico della signora Gina
(coadiuvato dal secondogenito di questa, assunto come apprendista) e terminati da un muratore loro amico, dopo che il meccanico aveva concordato coi proprietari
di defalcarne il costo dall'affitto.
Molto s'era perciò rallegrato Raffaele quando -a macchia ormai ammuffita sul
cielo della sua cucina- Cesare era riuscito a far sloggiare meccanico e
tappezziera dall'interno C4... ma il sollievo era andato scemando man mano
che sudava le proverbiali sette camicie per convincere chi aveva scompaginata la tribù C3+C4 a fare un sopralluogo nella cucina C2. Era poi diventato addirittura un assillo quando, finalmente, Cesare s'era deciso a rendersi conto dell'urgenza e si era quindi attivato per un intervento riparatore, perché non s'era rivolto a qualcuno del mestiere, ma aveva voluto fare di persona un'ispezione sulla colonna deputata allo spurgo delle reflue
acque chiare degli interni pari della Scala C... e -dovendo portare alla luce
l'eternit della braga, per individuare la fessurazione che ancora alimentava la macchia- aveva deciso pure -col radicalismo tipico dei profani- d'eliminare le due porte i cui stipiti s'appoggiavano al discendente, come si può intuire dalla seguente piantina. :
<>,
commentò dunque Raffaele -ora come allora- rimarcando il fatto che quel tubo
s'era intasato per i calcinacci piovutigli dentro e che s'era dovuto quindi dar da
fare -con maleppeggio, cemento e cucchiara (la cazzuola)- sul tratto di colonna
che scendeva lungo la sua cucina... senza voler infierire troppo su quella mancanza o su altre iniziative che il docente aveva prese in seguito: discutibili sul piano per così dire architettonico e molto approssimative su quello pratico. Rimembrava infatti con un misto d'ammirazione e disgusto che -sostituita la
braga crepata- Cesare l'aveva invitato a casa sua per avere un consiglio sulla pendenza da dare alla tubazione di plastica rosa con cui aveva deciso di
rimpiazzare il proprio tratto di colonna, facendole compiere però una strana curva, invece di farla scendere in verticale... <>, aveva spiegato. <>, s'era limitato a dirgli allora il muratore: un commento utile a spostare il dialogo sulla traversa di ferro a doppio ti che vedeva immurata a sostegno delle corrispondenti porte dell'interno C6, poiché l'interlocutore aveva finito per sfondare il muro che separava l'interno C4 dalla scalinata (all'altezza del secondo dei ballatói necessari per illuminare ed aerare la Scala)... <>, gli aveva confidato allora a tale riguardo, tuttavia il muratore si lasciò andare a tutta una serie di recriminazioni contro chi riteneva ora responsabile della macchia al suo bagno. "Poteva esse' 'na bella trovata, ma ha fatto 'na pescionata appresso all'artra
quer framassone!", pensava infatti, non potendo non riconoscere i vantaggi
ottenuti dal pecione con l'eliminazione delle due porte-finestre e la sparizione del vano adiacente al terrazzino C4, dato che la cucina e la camera da pranzo s'erano allungate fino alla vetrata che separava l'interno dall'esterno... "mo' però me tòcca sta' attento che nun me casca 'n testa l'intonaco quanno che me
lavo!, chi 'o sà che artro ha combinato quer cianfruglione", fu dunque la considerazione finale, ricordando inorridito (oltre ai grattacapi patiti per quella
mini-ristrutturazione), i tubi rosa -sprovvisti di guarnizioni di tenuta negli
innesti- accostati al tramezzo, in parte demolito, tra cucina e sala da pranzo dell'interno C4. - “Che me sta a succede'?", si stava chiedendo intanto chi aveva fatto da
detonatore a tale polveriera di pensieri, preoccupato per i fischi che udiva nelle orecchie: acufeni che l'avevano costretto a fermarsi nel mezzo d'un viale sterrato ed ombreggiato da pini secolari: quello che aveva imboccato dopo essere
uscito dai più famosi degli studios romani... e che arrivava fin quasi al Circolo bocciofilo, attraversando un parco denso di antichi acquedotti (meno imponenti di quello mostrato dalla foto iniziale) e di altri resti di storia antica. Attribuendo dunque quei fenomeni uditivi alle respirazioni diaframmatiche che aveva fatte, fiutò di nuovo avidamente l'aria per accertarsene, ma -constatato che non era quello il motivo- preferì rollarsi una sigaretta com'era abituato a fare,
prima di riprendere il cammino lungo il viale... godendosi la libertà conquistata
svignandosela dal set cinematografico durante un grosso litigio del capogruppo col suo fratello minore. "Tanto 'a presenza l'avevo firmata!", si disse infatti, prima di giustificarsi di
quella furbata considerandola come una giusta rivendicazione dei propri diritti, essendosi alzato prima dell'alba per indossare il costume di scena, passare tra le mani dei truccatori ed attendere invano l'<> del regista: una
mancanza di rispetto verso le comparse l'incertezza su quando l'aiuto-regista avrebbe messo fine alla sua giornata di lavoro... secondo chi era comunque convinto d'essersi guadagnata la paga giornaliera e si sentiva baciato dalla
Fortuna per quella lite, non tanto perché stanco di fare da figurante (o generico che dir si voglia) quanto perché avrebbe avuto così agio di raggruppare l'occorrente per un imminente mercatino.
------------///|\\\------------
- “È mejo che me preparo 'r materiale!”, si disse quindi l'insegnante-attore e
mercataro, riferito alle porcellane che la sua ex fidanzata aveva decorate (con motivi floreali in prevalenza) ed ai quadretti animati -definiti per eleganza
quadracquari- che un suo amico -artista di strada- realizzava in proprio
mediante coppie di vetri incollati con silicone e con un po' di sabbia dentro... a scendere per forza di gravità nello strato d'acqua e aria sottostante formando paesaggi montani sempre cangianti. Non gli era mai piaciuto il commercio, ma partecipava volentieri a tali
mercatini dei giorni festivi, perché riservati in prevalenza ad opere di artigiani ed antiquari, ma anche perché doveva riconoscere che altrimenti non avrebbe potuto sostenere, il peso delle tasse che gravavano su casa e macchina, oltre che delle spese quotidiane, di condominio ed extra (multe, meccanici, gommisti, carrozzieri e così via) col solo stipendiuccio da insegnante... spesso costretto a completare l'orario stabilito (di diciotto ore settimanali) peregrinando con la macchina e con l'ansia d'arrivare in orario da un istituto all'altro, magari situato al capo opposto della città, per lezioni, collegi, scrutini, ricevimenti delle famiglie e via dicendo.
Doveva inoltre ammettere che i quadracquari l'aiutavano a svincolarsi dal rapporto con l'ex fidanzata: una dipendenza economica che aveva pian piano sostituito il comune entusiasmo e l'Amore che rendeva meravigliose le speranze
di costruire assieme un futuro migliore vendendo oggetti decorati... anche perché non era un mero sodalizio economico quello che lo legava alla coppia di artisti
di strada (chitarrista lui e violinista lei) che offriva musica celtica nei mercatini.
Da loro andava infatti non solo a prendere la merce da vendere (in un seminterrato ricavato sotto la villetta dei genitori del chitarrista, dove vivevano anche i loro figli: un maschio e una femmina), ma anche per ascoltarli provare
pezzi irlandesi -in una roulotte piazzata entro il terreno adiacente la villetta, dove la coppia preferiva starsene a suonare ogni volta che ne aveva voglia... era basata inoltre sulla fiducia la proposta che il chitarrista gli aveva fatta (di fare a metà dell'incasso ottenuto vendendo i quadretti al prezzo da lui stabilito),
senza quindi le complicazioni sentimentali causate dall'aver lui accettata la metà della metà della metà dall'allora fidanzata ed avergli questa concesso di crearsi uno spazio autonomo -ad un angolo del banco- dove vendere libri o pupazzi (da sé o da altri costruiti) o -per l'appunto- quei quadretti. Gli venne pertanto da paragonare il suo burrascoso rapporto con quello solare esistente fra i musicisti, grazie all'inventiva del chitarrista ed alla tempra teutonica della violinista, che dalla lontana Germania aveva trovato il suo
habitat ideale in quella roulotte adibita a sala-prove, ma anche dotata di pannelli solari per l'energia elettrica, nonché di acqua corrente una cui
derivazione andava ad irrigare un orticello in cui lei stessa impiantava ortaggi e piante medicinali... rivolse quindi alla coppia pensieri di gratitudine, per averlo scelto come rappresentante cui affidare in conto vendita quella merce dal know-
how misterioso.
Un insperato effetto terapeutico avevano avuto del resto i soldi guadagnati con tale merce, per chi si dibatteva nel mettere d'accordo il caleidoscopio di
personalità che albergavano nel suo cervello (già molto prima che i sentimenti
della sua ex venissero ottenebrati da un atteggiamento ipercritico)... "sarà forse pe' questo che gianni m'ha messo tanti soprannomi!", ipotizzò dunque a tale riguardo, giudicando fosse er Pirata il più azzeccato, sia perché era stato un
altro a coniarlo di recente e sia perché era l'espressione che provava più volentieri allo specchio, rispetto ad altre caricature: da quella di bandito, suggerita dalle cicatrici che gli facevano da greca sulla fronte a quella di clown.
"E meno male che me ce diverto ancora!... -si disse infine, pensando alle difficoltà sempre incontrate nel conciliare le diverse sfaccettature del proprio mondo interiore- ....perché sennó me dovrei ammazza'", esagerò, pensando a come i sodalizi economici tendano a cancellare sentimenti e affetti. Era arrivato nel frattempo presso il Circolo bocciofilo e fu proprio attraversando il viale dei Platani che il cuore gli si riaprì ai sentimenti puri, vedendo corrergli incontro il suo amico più caro, sbucato dal basso della ringhiera della torre
sessantaquattro: Moro l'aveva chiamato, dopo che un altro amico glielo aveva regalato che si reggeva ancora a malapena sulle zampette (approvando poi la scelta del nome con un'osservazione: <>)... e si lasciò quindi andare alle carezze sulla bestiola, che ricambiò inclinando la testa ed inarcando il dorso (per accompagnare la mano che la coda ritta provvedeva a fermare), finché -stanco di stare accucciato sul marciapiede ed assicuratosi che non giungessero macchine- non lo spronò ad attraversare la via dei Pomicioni, dicendogli: <>.
Aperto che fu il cancello del varco pedonale, Moro trotterellò dunque verso casa, ma il furioso abbaiare dei dalmata lo spinse presto al galoppo, fintanto che non ebbe svoltato l'angolo della palazzina; il latrare si rivolse allora contro chi gli veniva dietro, diventando una vera e propria cagnara quando un fragore di
ferraglia spaventò i cani... non si turbò invece chi -essendo solito passare di là, a piedi o con la bici- s'era già assuefatto ai bòtti provocati dall'esagerata potenza
della molla, e pure con un certo piacere: non tanto perché gli evitava ulteriori schermaglie in condominio, quanto perché il rumore gli pareva un'ovazione alla propria presa di posizione in merito all'obbligatorietà della chiusura.
S'indignò però quando -alla fine del vialetto- schizzi di bava rabbiosa lo raggiunsero sul viso; soffocò tuttavia l'impulso di scavalcare la rete e vendicarsi, dopo essersi ricordato che proprio in quel punto era caduto dalla bicicletta, per schivare la vedova E2 da una parte e, dall'altra, il rotolo della vecchia rete, che stava per essere sostituita da una nuova, più alta... "è propio 'n posto jellato pe' mme!”, si disse allora, ricordando l'osservazione del donatore del gatto, prima di rimettersi in cammino, proponendosi comunque di reclamare con la madre del mancato prete. Pochi passi dopo venne però fermato da un'altra vedova (più avanti negli anni
rispetto alla madre di Sua Eminenza -sua dirimpettaia- ma molto più giovanile d'aspetto), che sporgendo la testa dalla finestra della cucina E1 gli disse in tono affettuoso: <<non diventa' mai vecchio!>>, con trasporto adeguato all'amicizia mantenuta per decenni con la propria madre... una frase sibillina, ma solo in
apparenza, in quanto riprendeva quanto Cesare aveva affermato tempo addietro nel rispondere ad un <> dell'unico figlio di quella vedova (di nome
Sergio e coetaneo dell'insegnante): <>,
aveva detto infatti chi dalla signora Sina (diminutivo di Alfonsina) era stato distolto dalle sue solite illazioni su Týchē (la dea bendata, secondo i greci).
Rammentate comunque le effusioni a cui l'anziana s'era lasciata andare su quel davanzale con la gattina donata al figlio prima del suo matrimonio, si spiegò tale affettuosità -mai manifestata in precedenza- con l'essere anch'essa di pelo nero (pur se con una macchia bianca sul muso)... "sarà che moro je ricorda que''a micetta!", suppose quindi, avendo sperimentato -da single, com'era
rimasta lei- il valore affettivo che possono assumere gli animali domestici. ------------///|\\\------------
Si stavano facendo intanto pressanti i miagolii di Moro, per cui Cesare lo ringraziò d'avergli data la scusa per uscire da una situazione piuttosto imbarazzante, perché -pensando e ricordando- non era ancora riuscito a formulare alcuna risposta a quella frase... anche perché gli era tornata in mente
la morte di Sergio, stroncato da un infarto dovuto alla drastica dieta a cui s'era sottoposto prima del suo matrimonio (al quale non era voluto arrivare col
sovrappeso che fin dall'infanzia gli aveva apportato il nomignolo er ciccione e ch'era rimasto il suo standard fino ad allora).
Qualche senso di colpa gli era rimasto infatti, per non aver voluto partecipare al funerale, a motivo della forte antipatia nata quando -fatta da poco la prima
comunione- quel coetaneo l'aveva sfottuto per la catenina d'oro che portava al collo per far piacere alla coppia di zii affettuosi che gliel'aveva regalata... e sfociata poi in un mare di repulsione (che aveva comportato lo stabilirsi d'una
congrua distanza di sicurezza tra loro) dopo che il fanciullo innocente d'allora aveva ricevuta da lui una proposta oscena.
Questo stava ricordando anche dopo aver salutata con un <<arrivederci!>> l'anziana ed aver rivolto -pochi passi dopo- un <> a Romoletto (che
andava in senso opposto)... finché -quasi a conferma del degrado sociale in cui era cresciuto- non udì la voce di Felice dire (in vernacolo stretto): <> e -immediatamente dopo- la voce del giacobino replicare: <>. Girò allora la testa per dare un'occhiata al terrazzino D2, ma non vedendo l'ex amministratore dietro il parapetto proseguì spedito verso il portone della
Scala C, eludendo le aspettative dell'Anima mundi appostata alla finestra della sua cucina... non poté fare però altrettanto con l'ennesima sentinella della
sessantotto (l'ottuagenaria signora Carmela dell'interno C1) che con tre quarti del proprio naso da befana gli puntava lo sguardo dalla finestra della sua, per esigere un ossequio, non aspettando che quello per chiedere a bruciapelo: <<ma che ce v'oi fa' 'n cantina?, un laboratorio?>>; <<sì!>>, rispose allora quel
Pirata, spiacente di non poter essere più brusco, prima d'aprire il portone al gatto che si catapultò su per le scale, in apprensione com'era per il terzo cane della palazzina, il cui odore ristagnava sul basso della porta C1; lui s'attardò invece a leggere un altro foglio, fissato con lo scotch sul serramento ad
annunciare un prossimo 'passaggio' dell'amministratore per la riscossione delle quote. Estratto quindi dalla propria cassetta postale il verbale dell'ultima assemblea e dato uno sguardo alle cifre riportate sul paio di bollettini che lo accompagnavano, si consolò pensando: “però mo' 'r portone nun fischia più!”, prima di salire i quattro gradini verso il pianerottolo del piano rialzato... e
quando il quadrupede vide l'amico bipede apparire presso la porta C2 smise di strusciare il muso contro la base metallica della vetrata del ballatóio situato al livello della pensilina che riparava il portone e salì lesto la rampa che portava al secondo pianerottolo, per riprendere poi a miagolare di fronte alla porta C4. Aperta questa, corse poi verso il terrazzino a passare e ripassare i baffi contro
la vetrata, intanto che il docente prendeva dal frigo una scatoletta di bocconcini e li versava in una ciotola... e fu in quel mentre che si udì il suono del campanello sopra la porta d'ingresso; <>, fu poi il
'benvenuto' a Raffaele, dato in tono interrogativo in quanto l'insegnante s'aspettava un resoconto dell'ultima assemblea (per la quale gli aveva affidata la delega perché impegnato con un 'mercatino'), ma il muratore non s'era data la pena di ragguagliarlo, almeno sui punti salienti. Un po' ansimante per aver saliti i gradini a due a due (dopo aver udito il
rumore di passi dal soffitto della sua cucina) Raffaele si schiarì allora la voce e poi reclamò concitato: <>...
<<mhmhmh, ce risemo!>>, s'alterò allora quel Pirata, ma per il rispetto dovuto a chi aveva vissuto qualche lustro più di lui, accondiscese sùbito all'invito di scendere a verificare la situazione nell'interno sottostante, dove il muratore puntato l'indice sinistro di sbieco verso il soffitto del bagno- precisà: <>, muovendo il dito a mo' di yo-yo come per centrare il buco di ciambelle cadenti dalla macchia.
Facendo quindi per andarsene, Cesare disse, in tono conciliante: <>; "speramo che nun va a fenì come l'artra vorta!",
s'augurò allora Raffaele... ma aveva appena iniziato a tirar fuori i panni dalla lavatrice quando paventò qualcosa di peggio sentendo le forti martellate
provenienti dal bagno C4, dove uno scalpello stava già rimuovendo le mattonelle che nascondevano alla vista la parete cilindrica della cassetta sifonica, prima che le dita del proprietario passassero dal rubinetto del lavandino che gli stava sopra la testa al bordo inferiore della scatola, onde validare la diagnosi del muratore. “Nun me resta che trova' 'n idraulico!”, pensò infine Cesare, prima di mangiare anche lui qualcosa ed alzare poi la serranda del suo studio, per
guardare l'appezzamento C2, dove Raffaele stava ancora appendendo il bucato sui fili tesi sotto il chiosco e fra questo e la rete di confine con la via comunale... ammirandone allora la solerzia ammise: “io me vergognerei!”, pensando al suo
stendino (ben riparato da sguardi indiscreti, dietro la vetrata del terrazzino, zigrinata e rafforzata da fili di ferro).
Programmata comunque una visita nel negozio di ferramenta più vicino, del cui gestore era quasi diventato amico (a furia di acquisti di ammennicoli vari, dai tasselli alle vernici), si sentì da lui consigliare: <>; "un ber risparmio se ce riesco!", s'augurò allora speranzoso e -una volta a casa- asciugò con uno straccio l'interno della cassetta sifonata e spalmò la miscela chimica sul bordo inferiore della scatola e sulle saldature ai tubi che da essa si dipartivano... "pare che regge!", valutò poi frettolosamente -stanco com'era d'operare in quello spazio ristretto- salvo qualche ora dopo controllare con le dita la tenuta della miscela chimica, dopo aver aperto il rubinetto del lavandino. Per circa una settimana tornò poi a casa solo per dormire (essendo impegnato dall'alba al tramonto per un film, in costume da senatore dell'antica Roma) e quando avrebbe voluto recuperare un po' del sonno perduto venne svegliato da un
fastidioso sforbiciare proveniente dalla finestra della camera da letto (che -come
l'attiguo studio- dava sull'orto C2)... i piedi spinsero allora Moro a scendere dal letto ed il gatto corse verso la ciotola, presto riempita da pezzi di pane immersi nel latte conservato in frigo; finito di lappare, il felino comunicò (con versi gutturali ed un ritmico affondare delle unghie nel cotone dei jeans) il suo
desiderio di raggiungere i propri simili, sicché il docente scese ad aprirgli il portone e -risalito in casa- alzò l'avvolgibile dello studio.
Venne però preceduto (ad informarsi del motivo di tanto sforbiciare) dal signor
Tedescoche -incuriosito dal letto di plastica e iuta steso sotto una scala a librettochiese: <>... <<eh! quann'è tutto pulito è più bello, no?>>,
rispose però evasivamente Raffaele sospendendo lo sfoltire di fronde sovrastanti il chiosco, per cui l'ex poliziotto rientrò a casa giudicando fosse niente il fastidio, rispetto a quello per il quale -decenni prima- s'era armato della pistola di
ordinanza contro dei bulli che cantavano sguaiati cori di lodi a Germana. ------------///|\\\------------
Soltanto allora il muratore s'accorse dello spettatore alla finestra C4 e bofonchiò dunque, come rivolto alle ortensie: <>, per poi rispondere al suo saluto con un <> che pareva diretto a quel sanitario in cui un propugnatore della secessione padana avrebbe voluto
confinare il tricolore... prima d'esternare il proprio disappunto in merito al suo intervento nel bagno C4 dicendo: <>. <>, disse quindi con aria delusa chi già si rivedeva costretto a spalmare miscela chimica; purtuttavia in tono remissivo ribadì: <>; <
idraulico! rel="nofollow">>, fu però la subitanea obiezione di Raffaele, alla quale chi stava alla finestra rimbeccò pronto: <>, con aria talmente seccata che al muratore non rimase altro che chiedere retoricamente: <<e chi trovo?>>... pur rassegnato all'impotenza, non mancò tuttavia d'ammonire: <<armeno chiudili bene i
rubinetti!>>; <<ma io già li chiudo bene!>>, esclamò allora quel Pirata, più sorpreso che infastidito.
Ciò suonò comunque come un amen per l'altro, poiché vide volgersi verso l'interno l'interlocutore, che per manifestare esasperazione chiuse anche i vetri, preferendo tornare alla più chiara -ma altrettanto squallida- realtà del verbale e dei due bollettini, che galleggiavano intanto sul mare di carte accumulate in anni di lotte, in primis contro l'inquilino che prima di sloggiare gli aveva precluso per tre mesi l'uso dell'attuale studio e in secondis contro la
burocrazia... a partire da quella scolastica, che interpretava come un 'deve' il 'può' che per Légge dava facoltà agli ITP ('Insegnanti Tecnico Pratici') di partecipare agli scrutini.
Aperto dunque il cassetto della scrivania riservato a contabilità e rogne, spulciò il rendiconto delle spese condominiali fino ad ipotizzare, sarcastico, una volta concentrata l'attenzione sul prezzo della vernice: “sarà 'na resina speciale!",
riferito alle vanterie del Professionista riguardo gli sconti che millantava d'avere dalle ditte di cui era cliente... tornò però serio nel confrontare le rate previste per i lavori straordinari col suo stipendio sicuramente superiore alla pensione che avrebbe percepita entro la fine dell'anno (perché maturata con poco più del minimo stabilito per gli impiegati statali: diciotto anni, sei mesi e un giorno.
Quello era stato anche, all'incirca, il tempo che gli era occorso per ottenere la laurea; "da appendere al muro!", si disse disincantato, per poi domandarsi
angosciato: "'n do' 'i trovo tutti 'sti sòrdi?", riferito alla scaletta prevista per le rate dei lavori straordinari... troppo distanti essendone gli scalini rispetto alle possibilità dell'introito mensile, che non arrivava al doppio della somma fissata ad ogni scadenza. Un treno di pensieri trainati dall'unità di misura monetaria che accomuna gli individui d'ogni nazione gli partì quindi nella testa ed il moto divenne vorticoso quando riesumò un'ingiunzione per la quale la postina che gliel'aveva notificata aveva consigliato: <>, prima di fargli firmare la ricevuta per quella sanzione milionaria... <<ma perché nun se li fanno da sé i conti?>>, si chiese allora ad alta voce, esacerbato com'era dall'aver spese giornate intere per compilare uno degli stramaledetti modello 730 (con note esplicative da mal di
testa) e dall'esser dovuto ricorrere poi ad un legale per ottenere una riduzione. "La légge non ammette ignoranza!", si disse pertanto con un sarcasmo più esasperato di prima, mentre gli tornavano sotto gli occhi multe per divieti di sosta, passaggi col 'giallo-rosso' e dimenticanze varie... la mente si prefigurava intanto la nuova dichiarazione dei redditi, a cui s'erano aggiunti due balzelli
inediti: un'imposta comunale sulle proprietà immobiliari ed un bollino blu (ad imitazione di quello già in vigore per i veicoli) per le caldaie a gas come la sua, fatta installare dopo la dismissione dell'impianto centralizzato. "E meno male che ho portato in cantina er televisorino che m'ero costruito!",
riuscì tuttavia a scherzare di fronte a quella sorta di idra dell'età moderna, con le ali a volare minacciose nel cielo della politica e tante teste (una per ogni apparato burocratico, quale quella che vedeva guardando il pacchetto di lettere la
Rai gli aveva spedite anno dopo anno per esigere il canone)... quasi un drago da uccidere come un cavaliere dell'Apocalisse, fantasticò, prima di meditare sulla propria personalità sempre in bilico tra risparmi esagerati e spese folli: una
mutevolezza scriteriata che l'aveva portato a chiedere piccoli prestiti agli enti preposti (giacché per quelli grossi pretendevano fatture in anticipo); "me toccherà chiedene 'n artro!", si disse quindi, prima che dalla memoria gli sovvenisse un libretto di conto corrente che teneva di riserva e che ripescò dal cassetto, ma con scarso giovamento, dato che il saldo era sufficiente solo per una quota ordinaria. Pago comunque del poco di serenità ritrovata, s'andò ad affacciare sul
terrazzino, a rimirare la sua jeep da settimane inerte nel posto C4, dopo averlo portato per anni in groppa a combattere contro un'altra teste delll'idra, in una
lotta impari da cui il cavaliere s'era dovuto ritirare, per escogitare altre tattiche
belliche che richiedevano l'assistenza d'un mago Merlino dell'era moderna, ossia d'un avvocato... s'accontentò pertanto di ragionare su tale situazione di stallo, iniziando col dirsi: ”e vabbe'!, intanto risparmio benzina!", per poi mettersi a scherzare con la macchina come fosse una fidanzata. "Appena posso te metto 'n impianto a gas, così ce fa''mo poi 'na bella gita!”, disse quindi, innamorato com'era di quella 'quattroperquattro' orgogliosa ed
ignorante degli ostacoli... sorvolando su quanto gli costava in termini di esborsi
imposti a prescindere: dall'assicurazione (che per strane logiche aveva inglobato un contributo per il servizio sanitario) al bollo-auto (che -ridefinito tassa di
proprietà- era diventato particolarmente esoso per le automobili a trazione totale e che si sarebbe raddoppiato alla scadenza se non onorato). Ancora più scanzonatamente valutò infine la suddivisione del cortile in
trentasei fette: "pe' parcheggia' mo' ce v'ole er calzante!, ma come se fa a
governa' così?", sintetizzò infatti, dato che i sei posti di riserva avevano rese ardue le manovre di ogni condomino oltre a complicare le loro relazioni, dal momento che alcuni di essi erano arrivati a disputarseli, per la turnazione annuale ancora molto aldilà da venire... con l'equiparazione dell'amministratore a Stato ed Enti locali a conglobarlo nel corpo del fantomatico drago da combattere.
Uno stato psicologico piuttosto confuso dunque, il suo, per descrivere il quale
occorrerà raccontare -succintamente- l'odissea burocratica che egli aveva dovuto
patire a causa del fuoristrada: una storia nella storia che d'altra parte si presta ad inquadrare meglio il personaggio fin dall'inizio... ovvero dal giorno in cui la sua precedente vettura s'era bloccata su un'erta ed un un meccanico baffuto (uno dei tanti Franco, dalla nascita o per scelta personale) l'aveva rimorchiata con
una fune verso il garage-officina che gestiva assieme al proprio fratello maggiore: <>, era stata la diagnosi del baffuto, molto dispiaciuta essendo ancora vivo in lui il ricordo d'una visita di Cesare nell'ospedale dov'era stato ricoverato, dopo un incidente che ne aveva determinata l'attuale zoppia. ------------///|\\\-----------------///|\\\----///|\\\----///|\\\------