Dispense Diritto Ecclesiastico In Tema Di Matrimonio

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Università degli Studi "Kore" di Enna

Dispense di Diritto Ecclesiastico in tema di MATRIMONIO

(Prof. Luca Pedullà)

A.A. 2007/2008

N.B.:Dispensa utilizzabile solo dai sigg. studenti frequentanti il ciclo di lezioni)

Università degli Studi “KORE” – Enna DIRITTO ECCLESIASTICO (Prof. Luca Pedullà) A.A. 2007/2008 IL MATRIMONIO (N.B. : dispensa utilizzabile unicamente dai sigg. studenti frequentanti il ciclo di lezioni)

1. Profili storici del matrimonio concordatario. Intorno all'anno 1000 il matrimonio veniva considerato di competenza esclusiva della Chiesa, sul principio base della Sacramentalità di esso; il cambiamento di disciplina cominciò a manifestarsi in seguito alla ripresa ed al rafforzamento del potere statale, sembrando necessario affiancare ad un sistema giuridico come quello canonico che si occupava prevalentemente dell' aspetto spirituale del matrimonio

-

prescrizioni

giuridiche che ne tutelassero altri aspetti. La legislazione statale circa il matrimonio si intensificò con il progressivo affermarsi del potere assolutistico dei sovrani nazionali nonché con il contemporaneo diffondersi delle dottrine giusnaturalistiche, che portarono lo Stato a rivendicare ogni potere sui propri cittadini ed a porre in rilievo non tanto la caratteristica del sacramento quanto quella giuridica del contratto. Questa nuova concezione contrattualistica del matrimonio generò un profondo conflitto tra Stato e Chiesa, mantenendosi quest'ultima ferma sul dogma dell'unità e dell'indissolubilità del matrimonio nei suoi vari aspetti: in quanto realtà essenzialmente spirituale, il matrimonio doveva essere soggetto all'esclusiva potestà della Chiesa. Siffatta competenza esclusiva della Chiesa venne messa in discussione nel 1580 in Olanda, allorquando venne introdotto per la prima volta il matrimonio civile e, successivamente, nel 1653 in Inghilterra ad opera del Cromwell che affermò il diritto dello Stato a regolare l'istituto del matrimonio. Tale asserto trovò conferma e riconoscimento in Francia mediante la Costituzione del 14 settembre 1791 con la quale venne introdotto il matrimonio civile quale unico matrimonio riconosciuto dallo Stato, a prescindere dalla confessione religiosa professata dal singolo cittadino. In altri termini, il matrimonio religioso diveniva unicamente atto di culto per gli osservanti la religione cattolica e la Chiesa era libera di disciplinarlo secondo le proprie leggi senza, però, alcuna incidenza all'interno dell'ordinamento giuridico civile. 1

Dopo la costituzione del Regno d'Italia, dovendosi preparare un codice civile uniforme per tutto il territorio nazionale, si prospettò la questione se ritornare al sistema del matrimonio civile adottato dal codice napoleonico oppure optare per una delle soluzioni adottate dai codici della Restaurazione. Si discuteva, cioè, se fosse più opportuno applicare il sistema del matrimonio civile indipendentemente da quello religioso o se, invece, si fosse dovuta riconoscere efficacia civile al matrimonio canornco. Il codice civile del 1865 riconobbe al matrimonio civile, solo, la produzione degli effetti civili, e ciò in base al principio separati sta tipico dello Stato liberale. Tale soluzione, venne per lo più considerata "non rispettosa" della coscienza del popolo italiano, fedele alle sue tradizioni cattoliche; invero, non fu stabilita alcuna forma di collegamento tra il matrimonio civile ed il matrimonio religioso, né venne prescritta alcuna precedenza tra la celebrazione dell'uno e dell' altro, così come avveniva in altre legislazioni, come quella francese. Il matrimonio religioso diveniva, così, un fatto meramente privato che i cittadini erano liberi di celebrare e senza alcun rilievo per l'ordinamento statale: lo status coniugale si conseguiva soltanto con la celebrazione del matrimonio in forma civile. Ciò comportava per la grande maggioranza dei cittadini di fede cattolica una doppia celebrazione, religiosa e civile, così da poter essere considerati coniugati di fronte alla Chiesa ed allo Stato. Alla linea intransigente dello Stato liberale faceva da contro altare la linea dura della Chiesa che, con l'emanazione del Codex Iuris Canonici del 1917, ribadì con fermezza la sacramentalità del matrimonio, riaffermando che quando esso fosse stato celebrato tra battezzati sarebbe stato retto oltre che dal diritto divino anche dal diritto canonico, riconoscendo la competenza civile soltanto circa gli effetti mere civiles, cioè di natura essenzialmente patrimoniale. Questa posizione della Chiesa si fondava sulla convinzione, propria della visione cristiana del mondo, che tutta la realtà umana fosse espressione di un disegno di redenzione, in particolare per quanto concerneva il matrimonio celebrato tra battezzati perché produttivo di una particolare grazia sull'uomo in rapporto con Dio (il cd. "matrimoniale foedus" di cui parla la dottrina canonistica). Detta situazione di tensione tra Stato e Chiesa si protrasse per oltre sessanta anni fino a quando il Regno d'Italia e la Santa Sede raggiunsero l'Accordo dell' Il febbraio 1929 mediante la stipula dei "Patti Lateranensi", che ri-disciplinò la materia

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matrimoniale, tramite il "Concordato". In quest'ultimo, le due parti contraenti stabilirono, fermo restando il matrimonio civile, di dare rilevanza civilistica al matrimonio religioso purché esso fosse trascritto nei registri dello stato civile. In particolare, con l'art. 34 del Concordato, lo Stato riconobbe al matrimonio celebrato dinanzi al ministro del culto cattolico pieno valore, equiparando lo a tutti gli effetti ad un matrimonio civile. Detto riconoscimento statale non si limitava alla sola celebrazione religiosa del matrimonio (come avveniva in alcune nazioni anche a regime separati sta) ma abbracciava il matrimonio nella sua interezza. L'ordinamento giuridico italiano veniva a recepire così la regolamentazione sostanziale del matrimonio propria del diritto canonico, con particolare riguardo ai requisiti necessari per la valida costituzione del vincolo matrimoniale. Siffatto art. 34 del Concordato, commi l, 2 e 3, prevedevano: "Lo Stato italiano, volendo ridonare all 'istituto del matrimonio, che è alla base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. Le pubblicazioni del matrimonio saranno ejJèttuate oltre che nella chiesa parrocchiale anche nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione, il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio dando lettura degli articoli del Codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi e redigerà l'atto di matrimonio del quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al Comune". La legge statale di esecuzione del Concordato - L. n. 847 del 27.5.1929 - all'art. 5 stabiliva: "Il matrimonio celebrato davanti ad un ministro di culto cattolico, secondo le norme del diritto cattolico, produce gli stessi effetti del matrimonio civile quando si è trascritto nei registri dello stato civile...". In questo modo si riconosceva alla Chiesa la competenza di costituire il vincolo matrimoniale e di conseguenza la facoltà di decidere sull' esistenza e sulla validità del vincolo stesso. Ed tal proposito, il già visto art. 34 del Concordato, statuiva pure: "Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici". Al rilievo giuridico conferito al matrimonio canonico si accompagnava, insomma, il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale: le cause di nullità del matrimonio e di scioglimento del matrimonio non consumato (particolare ipotesi di scioglimento prevista dal diritto canonico) furono riservate in via esclusiva

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alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici ed i relativi procedimenti furono considerati produttivi di'effetti anche nell'ordinamento statale. La ricezione nell' ordinamento civile del matrimonio e delle sentenze di nullità o dei provvedimenti di scioglimento non avveniva, però, automaticamente ma era subordinata all'intervento di un organo statale: il matrimonio doveva essere "trascritto" nei registri dello stato civile ad opera dell'ufficiale dello stato civile del comune competente e le sentenze dovevano essere rese esecutive agli effetti civili con un provvedimento della Corte di Appello. Tali interventi non comportavano, tuttavia, alcun controllo sull' operato degli. organi ecclesiastici ma si limitavano a prendere formalmente atto della situazione sorta nell'ambito dell'ordinamento canonico. In tal modo l'ordinamento italiano, però, violava il principio di uguaglianza giuridica dei cittadini in materia di stato civile poiché riconosceva l'identità tra lo status canonistico di coniuge e quello civilistico solo a chi professasse il culto cattolico: tale "privilegio" sarebbe entrato in crisi in un momento successivo e cioè col mutare del regime del nostro Stato, segnatamente con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Questa "diarchia" tra Chiesa e Stato rendeva la prima competente a disciplinare la validità del negozio matrimoniale e a dichiarare anche l'eventuale nullità e lo Stato J

competente a disciplinare gli effetti civili del matrimonio canonico. Con l'entrata in vigore della nostra Costituzione, la disciplina del matrimonio, come detto prevista dall' art. 34 del Concordato e dalla legge matrimoniale n. 847 del 1929, presentava tutta una serie di problematiche formali e sostanziali circa la sua compatibilità con i principi della Costituzione, ed in particolare con l'art. 7 dove veniva sancita la laicità dello Stato italiano e dove veniva stabilito che i rapporti tra Stato e Chiesa "sono regolati dai Patti lateranensi". Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, i detti "Patti", pur avendo nel nostro sistema giuridico una rilevanza costituzionale, rimanevano comunque assoggettati ai ''principi supremi dell'ordinamento costituzionale" (come vedremo in seguito, la categoria dei principi costituzionali quale parametro per il giudizio di costituzionalità delle disposizioni concordatarie sarà delineata per la prima volta dalla Corte con la sentenza n. 30 dell' 1.3 .1971 e poi ribadita in numerosissime altre pronunce della Corte) In base alla citata sentenza n. 30, erano assoggettate al sindacato della Corte le disposizioni della L. n. 810 del 1929, con cui le norme concordatarie erano state introdotte nell'ordinamento civile e della successiva L. n. 847/1929. La Corte, dunque

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poteva sindacare la conformità ai propri principi supremi delle nonne di derivazione concordataria. Era, dunque, ben possibile che sussistesse, e fosse valido, un matrimonio canonico improduttivo di effetti civili (ad esempio per l'invalidità della trascrizione o per una decisione del giudice civile relativa alla cessazione degli effetti civili) e, per contro, restasse efficace il rapporto coniugale civile, nel caso in cui il matrimonio canonico fosse stato dichiarato nullo dai tribunali ecclesiastici, in quanto la sentenza ecclesiastica non poteva essere esecutiva nell'ordinamento dello Stato. 1.2 Il Concordato alla luce della giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale. Un primo momento di crisi del sistema concordatario del 1929, rimasto sostanzialmente inalterato anche dopo l'avvento della Costituzione repubblicana, ebbe a verificarsi con l'approvaZione della Legge n. 898 dell'1.12.1970 riguardante l'istituto del divorzio all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, prevedendone l'applicazione a tutti i tipi di matrimoni. Il fatto che i tribunali statali potevano pronunciare la "cessazione degli effetti civili" relativi ai matrimonio concordatari mal si conciliava con la riserva di giurisdizione riconosciuta alla Chiesa, facendo così venir meno quella corrispondenza di situazioni tra la sfera religiosa e la sfera civile che costituiva uno dei principi cardine del regime concordatario del 1929. I divorziati venivano considerati "liberi" per lo Stato ma non per la Chiesa e potevano contrarre un nuovo matrimonio in forma civile, instaurando così un vincolo coniugale con altra persona, pur se per la Chiesa continuavano ad essere regolarmente uniti al precedente coniuge, con non poche problematiche circa il verificarsi o meno di un vero e proprio rapporto "bigamo". L'introduzione

del

divorzio

segnò

pure

la

rottura

di

quella

sintonia

nell'interpretazione e nell'applicazione delle disposizioni concordatarie che avevano caratterizzato i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Infatti, la Santa Sede accusò ufficialmente lo Stato di avere violato gli impegni concordatari che prevedevano il riconoscimento integrale del matrimonio, con tutte le sue connotazioni essenziali cui il principio della "indissolubilità"

-

- tra

e la rinuncia alla giurisdizione su di esso a

favore della giurisdizione civile. Indubbiamente, col divorzio, esteso ai matrimoni concordatari, si veniva a disconoscere la proprietà essenziale dell'indissolubilità ed a

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consentire l'intervento del giudice italiano in un ambito di esclusiva competenza dei tribunali della chiesa. Così, in forza del richiamo ai Patti lateranensi contenuto nell' art. 7 della Costo che, come detto, vietava ogni modificazione degli stessi non concordata con la Santa Sede, si pose il problema della legittimità costituzionale della legge n. 898/1970. La Corte Costituzionale, investita della questione, con due sentenze - n. 169/1971 e 176/1973 - dichiarò la legittimità della legge e la piena autonomia dello Stato nell' applicare il divorzio a qualunque vincolo coniugale civilmente rilevante. Secondo la Corte, gli impegni assunti dallo Stato con il Concordato erano circoscritti al riconoscimento del matrimonio canonico nel suo momento formativo - cioè al

.

riconoscimento del matrimonio stesso inteso come "atto" - e non si estendevano alle vicende successive del matrimonio stesso

-

matrimonio inteso come "rapporto"

-

che

restavano assoggettate alla regolamentazione che lo Stato, di volta in volta, riteneva più opportuno conferirvi. Nulla impediva, quindi, di stabilire che il rapporto matrimoniale potesse essere sciolto, con il conseguente venir meno dello stato coniugale, nell' ordinamento giuridico italiano. Seguendo tale impostazione, il riconoscimento in via esclusiva della giurisdizione ecclesiastica doveva essere inteso limitatamente al momento costitutivo del matrimonio, ossia al giudizio sulla validità o nullità di esso, ma non si estendeva al rapporto coniugale e ad eventuali pronunce che riguardavano il suo mantenimento o il suo venir meno nell'ordinamento giuridico italiano. Non va sottaciuta anche l'importanza della sentenza n. 16 del 2 febbraio 1982, ove la Corte, intervenendo ancora sul regime matrimoniale concordatario, dichiarò non trascrivibile il matrimonio religioso contratto da un minore di età, non dispensato dalla legge statale. Sul punto si era creata una profonda divergenza tra il regime civile ~ quello canonico dopo che la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva elevato a 18 anni l'et:cl minima per contrarre matrimonio, mentre il diritto canonico era rimasto fermo ai limiti tradizionali di 14 anni per la donna e 16 anni per l'uomo. In forza del principio costituzionale di uguaglianza si ritenne inammissibile che i minori di età avessero accesso ad un atto di vitale importanza come il matrimonio qualora avessero scelto il rito concordatario invece di quello meramente civile. Sempre la Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 del 2 febbraio 1982, circa il procedimento di delibazione, stabilì in via definitiva il principio che la Corte di Appello competente per territorio, non poteva limitarsi ad un esame di regolarità formale della sentenza ecclesiastica, ma doveva accertare che essa non contenesse disposizioni

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contrarie all'ordine pubblico interno e che nel procedimento dinanzi ai tribunali ecclesiastici fosse assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio, a difesa dei propri diritti. E sempre con la stessa sentenza, la Corte dichiarò illegittima la norma cOl\cordataria che prevedeva il riconoscimento di effetti civili alla dispensa pontificia di scioglimento del matrimonio "rato e non consumato", non essendo in quella procedura ecclesiastica garantita la tutela giurisdizionale. Di conseguenza,il procedimento diretto a conferire effetti civili alle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio venne a perdere quell' automatismo tipico dell' originario sistema, avvicinandosi nelle linee. essenziali a quello previsto in generale per le sentenze straniere ossia al procedimento di delibazione così come regolato dalle legge civile italiana.

1.3

Gli Accordi di Villa Madama del 1984 ed il Protocollo Addizionale del

1985. Tenendo conto dei mutamenti introdotti dalla Costituzione e dalle sentenze della Corte Costituzionale, la Santa Sede ed il Governo italiano stipularono l'intesa per la Revisione del Concordato del 1929, sottoscrivendo a Villa Madama l'Accordo del 18.2.1984, ratificato poi dal Parlamento italiano con la Legge n. 121 del 25.3.1985, entrato in vigore il3 giugno 1985. Il nuovo Accordo ha mantenuto il sistema del riconoscimento civile del matrimonio canonico e della relativa giurisdizione ecclesiastica confermando, quindi, l'esistenza del doppio regime matrimoniale a disposizione dei cittadini italiani. Questi possono liberamente scegliere se contrarre il matrimonio civile, restando assoggettati alla legislazione civile e alla giurisdizione dei tribunali statali oppure il matrimonio religioso cattolico, assoggettandosi così alla legge canonica ed alla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici. La materia matrimoniale è tutt' oggi disciplinata dall' art. 8 dell'Accordo, completato dall'articolo 4 del Protocollo addizionale, che forma parte integrante dell' Accordo. Trattasi di disposizioni dettagliate che comprendono anche aspetti che nel precedente regime erano disciplinati dalla legge statale di attuazione del Concordato, e cioè dalla legge matrimoniale n. 847/1929, non espressamente abrogata dall'Accordo del 1984 e quindi ancora in vigore in quelle parti che non risultano in contrasto con le disposizioni

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del nuovo testo pattizio o che non hanno ricevuto da questo una nuova integrale regolamentazione. In particolare, il citato art. 8, 1 comma dell'Accordo, stabilisce: "Sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme di diritto canonico, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale". Detta previsione risente del diverso clima storico e culturale nel quale è stato concepito. Infatti, il Concordato del 1929 rispondeva 'al disegno. di Mussolini di avvicinare la Chiesa cattolica al regime fascista; accettando la tradizionale rivendicazione della Chiesa di gestire la materia matrimoniale senza vincoli statuali, a prescindere dai benefici che avrebbero potuto ricavare i cittadini; invece, come si evince dall'art. 1 dell' Accordo del 1984, fu prevalente il reciproco interesse, dello Stato e della Chiesa, ad instaurare fra loro un rapporto di collaborazione per favorire la promozione dell'uomo e il bene del paese, soddisfacendo così le esigenze religiose del popolo. L'accordo di cooperazione sta a significare che le parti contraenti hanno ritenuto non esservi opposizione fra le finalità rispettivamente perseguite e fra la maniera di intendere la promozione umana, riconoscendo implicitamente non esservi contraddizione fra il compimento di tale impegno e le pattuizioni convenute. In particolare, lo Stato ha ritenuto rilevante ai propri fini l'impegno della Chiesa volto alla promozione umana nella sua dimensione spirituale, confermando così l'apprezzamento, manifestato nell'art. 4, 2 comma Cost., per ogni attività che concorra al progresso non solo materiale ma anche spirituale della società. La Chiesa mira fondamentalmente a poter esplicare liberamente e nelle migliori condizioni possibili la sua missione di promozione spirituale dell'uomo; invece, la promozione materiale spetta allo Stato e ai suoi cittadini, quale che sia il loro credo religioso o la loro ideologia. La Chiesa si presenta al mondo come società organizzata per scopi spirituali ma è anche fermento - che si annulla nella massa. Il rapporto tra dimensione temporale e dimensione spirituale, ovvero tra società civile e società religiosa, deve tenere conto di questo duplice aspetto che consente e giustifica un collegamento esterno fra queste dimensioni, postulando nello stesso tempo un rapporto necessario derivante dall'unità reale dell'uomo cui quelle dimensioni appartengono. In questa visione l'automatismo degli effetti civili riconosciuti al matrimonio canonico nonché l'efficacia delle sentenze ecclesiastiche di nullità dovevano essere in qualche modo attenuati e circoscritti anche in considerazione di alcuni inderogabili principi costituzionali.

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Lo strumento utilizzato per realizzare tali obiettivi è stato l'atto di trascrizione, utilizzato come mezzo di collegamento - rectius: come raccordo tecnico

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tra le due

istituzioni, con la funzione di rendere rilevante nell' ordinamento statale una serie di atti che altrimenti avrebbero avuto efficacia soltanto nel diritto della Chiesa. IL RICONOSCIMENTO CIVILE DEL MATRIMONIO CANONICO

2.1 Le pubblicazioni. L'Accordo del 1984, come il precedente Concordato del 1929, subordina l'efficacia civile del matrimonio canonico ad una, serie di adempimenti demandati in parte al ministro di culto ed in parte all’ufficiale dello stato civile. Si tratta di una serie di atti che compongono uno speciale "procedimento amministrativo" che ha la particolarità di essere attuato non solo da organi appartenenti all'amministrazione statale ma anche da un organo appartenente ad un altro ordinamento di natura confessionale. Il procedimento inizia con le pubblicazioni e si conclude con la trascrizione del matrimonio nei registri dello stato civile: solo con quest'ultimo atto il matrimonio religioso acquista efficacia civile. Il primo, dunque, di questi adempimenti è costituito dalle pubblicazioni nella casa comunale. Lo scopo di tale pubblico annuncio pratica, specie nelle grandi città

-

-

peraltro ormai di ben poca utilità

è quello di portare a conoscenza del pubblico la

volontà degli interessati di fare acquistare al vincolo canonico gli effetti civili mediante la successiva trascrizione, rendendo così possibile la denuncia dell' esistenza di un impedimento da parte di chiunque abbia interesse ad opporsi alla celebrazione del matrimonio. La disciplina delle pubblicazioni è stata modificata dagli artt. 50 e ss. del D.P.R. n. 396 del 30.11.2000, titolato "Regolamento per la revisione e semplificazione dell'ordinamento dello Stato civile". La pubblicazione richiesta ai fini del matrimonio concordatario deve essere eseguita con le stesse modalità previste per la pubblicazione che precede il matrimonio civile (art. 93 e ss. del c.c.) e deve essere voluta da entrambe le parti; il relativo atto deve quindi restare affisso alla porta della casa comunale almeno per otto giorni, comprensivi di due domeniche consecutive (art. 55, comma 3 del sopraccitato D.P.R.). Il Tribunale competente può, però, autorizzare per "gravi motivi" (art. 100, comma 1) o per "cause gravissime" (art. 100, comma 2 c.c.) o nel caso di "imminente pericolo

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di vita di uno degli sposi (art. 101 c.c.), la riduzione del termine di durata della pubblicazione o addirittura consentirne l'omissione. In base alla modifica compiuta mediante il D. Lgs. n. 51/1998, con effetto dal giugno 1999, il "nuovo" art. 100, comma 2 c.c., prevede che l'omissione delle Pubblicazioni sia giustificata dal fatto che "gli sposi davanti al Cancelliere dichiarino sotto la propria responsabilità che nessuno degli impedimenti stabiliti dagli artt. 85, 86, 87, 88 e 89 si opponga al matrimonio". Al fine di conferire solennità all'atto, il Cancelliere farà precedere alla dichiarazione, la lettura di detti articoli e ammonirà i dichiaranti circa l'importanza della loro dichiarazione e sulla gravità delle possibili conseguenze qualora le informazioni giurate risultino mendaci (art. 100, comma 3 c.c.). Ciò posto, vi sono alcune particolarità che caratterizzano l'adempimento delle pubblicazioni nel matrimonio concordatario rispetto al matrimonio civile. In primo luogo, anche se il nuovo Accordo non prevede più espressamente che la richiesta di pubblicazioni debba essere avanzata anche dal parroco di fronte al quale le parti intendono celebrare il matrimonio religioso (come era stabilito dall' art. 6 della legge matrimoniale del 1929), nella prassi il ministro di culto continua a svolgere tale compito che non è in contrasto con il nuovo sistema. Ciò, è ribadito indirettamente - ma neanche tanto

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in una circolare del Ministro di Giustizia del 26.2.86 ove si sottolinea

l'opportunità che per tale via si stabilisca "un diretto rapporto di collaborazione tra l'autorità ecclesiastica e quella civile, al fine di escludere il venire in essere di vizi di forma e di procedura". La richiesta del parroco evita che si dia corso inutilmente alle pubblicazioni nel caso che. la celebrazione del matrimonio religioso non possa essere effettuata per la presenza di qualche impedimento canonico. La medesima richiesta dimostra anche che tra le parti ed il parroco è intervenuto un accordo informale affinché il matrimonio non rimanga conformato nell' ambito religioso ma sia destinato ad acquistare efficacia anche nell'ordinamento civile. Da un punto di vista più sostanziale le pubblicazioni acquistano una ulteriore funzione rispetto a quella diretta a dare notizia del futuro matrimonio ed a consentire eventuali opposizioni, costituendo la prima formale espressione della volontà dei due nubendi di celebrare un matrimonio non soltanto religioso ma destinato ad avere effetti civili. Ovviamente la volontà espressa con la richiesta di pubblicazioni non è ancora una volontà matrimoniale. Essa può essere sempre revocata, o meglio lasciata cadere, facendo trascorrere il termine di 180 giorni, dopo il quale le pubblicazioni, se non viene

lO

celebrato il matrimonio, perdono efficacia (art. 99, 2 comma c.c.). La volontà matrimoniale dovrà peraltro, essere riconfermata subito dopo la celebrazione per mezzo di altri adempimenti richiesti dalle disposizioni concordatarie. Le pubblicazioni devono di regola precedere la celebrazione religiosa ma ciò non è richiesto necessariamente per il riconoscimento degli effetti civili. Infatti, le parti possono ottenere dal Tribunale l'autorizzazione ad omettere le pubblicazioni, così come previsto, quando ricorrano le già viste cause gravissime ex. art. 100 c.c. A ben vedere, detta ultima norma riguarda in modo specifico il matrimonio civile ma è da ritenere applicabile anche. al matrimonio concordatario, quando sussistano i medesimi presupposti atti a giustificare tale autorizzazione. .

D'altronde, dalla dizione letterale dell'art. 8 dell'Accordo si ricava la regola

generale che le pubblicazioni non devono precedere necessariamente la celebrazione ma soltanto la trascrizione. Questa regola trova conferma anche nel fatto che continua ad essere ammessa la trascrizione oltre i termini stabiliti dall' Accordo senza limiti di tempo. Sempre sotto il profilo testuale, è da palesare come la possibilità di omettere le pubblicazioni prima della celebrazione religiosa fosse già espressamente prevista dall'art. 13 della legge matrimoniale del 1929, ove in sostituzione delle pubblicazioni, l'ufficiale dello stato civile, prima di procedere alla trascrizione, doveva affiggere alla porta della casa comunale, per dieci giorni consecutivi, un avviso dell'avvenuto matrimonio, in modo da consentire, comunque, eventuali opposizioni alla trascrizione. Come vedremo meglio in seguito, questa particolare modalità di trascrizione designata dalla dottrina maggioritaria come "trascrizione tempestiva ritardata"

- non è

in contrasto con il nuovo Accordo che richiede l'effettuazione delle pubblicazioni prima della trascrizione ma non necessariamente prima della celebrazione religiosa. E' evidente come l'avviso affisso alla porta comunale costituisca una forma di pubblicazione, con la stessa funzione e gli stessi effetti di quella che è normalmente compiuta prima della celebrazione. Altro aspetto particolarmente rilevante nelle pubblicazioni "concordatarie", è quello relativo agli impedimenti alla celebrazione del matrimonio. Sul punto l'art. 98 dell 'ord. Sto civ. impone all'ufficiale dello stato civile, m presenza di un impedimento - derogabile, e mai inderogabile

-

di rifiutare la

pubblicazione se non gli viene presentato il documento attestante la relativa autorizzazione del Tribunale. Secondo alcuni Autori, però, questa norma non ha ragione

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di trovare applicazione nel caso di matrimonio da celebrarsi in forma canonica in quanto l'esistenza di siffatti impedimenti non influisce in alcun modo sull'attribuzione di efficacia civile a questo matrimonio. Altri Autori (in particolare il Finocchiaro), vanno di diverso avviso, ritenendo che l'ufficiale dello stato civile possa procedere alla pubblicazione nel caso di impedimento di natura civile soltanto quando le parti abbiano ottenuto l'autorizzazione del Tribunale prevista dalla legge civile. Quest'ultima tesi sembra più plausibile nel nuovo sistema instaurato dall'Accordo del 1984, nel quale la trascrizione

-

essendo venuto meno il rinvio al diritto canonico

-

è fondata su un

procedimento autonomo avente propri requisiti di validità. Pertanto, occorrendo degli impedimenti inderogabili, la trascrizione non potrà mai avere luogo (art. 8.1, comma 2, ,lettera b dell' Accordo); se tratta"si, invece, di impedimenti derogabili occorrerà l'autorizzazione del Tribunale competente. 2.2 Le opposizioni aIla trascrizione del matrimonio Trascorsi tre giorni dal compimento delle pubblicazioni, l'ufficiale dello stato civile se non gli è stata notificata alcuna opposizione e non gli consti alcun altro impedimento al matrimonio

-

rilascia un certificato in cui dichiara che non risulta

l'esistenza di cause che si oppongono alla celebrazione del matrimonio concordatario (art. 7 della Legge matrimoniale n. 810/1929). Si tratta del cosiddetto nulla osta che garantisce alle parti che il loro matrimonio possiede i requisiti necessari per essere riconosciuto dall'ordinamento statale. Le parti possono quindi accostarsi alla celebrazione religiosa con la certezza che, una volta trasmesso il relativo atto all'ufficiale dello stato civile, il matrimonio sarà regolarmente trascritto. Qualora, invece, l'ufficiale dello stato civile, ai sensi dell' art. Il della legge matrimoniale del 1929, conosce che osta al matrimonio un impedimento che non è stato dichiarato, dovrà informare immediatamente il Procuratore della Repubblica ai fini di proporre l'opposizione stessa (art. 59 n. 1 del DPR 396/2000). Durante il termine stabilito per la pubblicazione può darsi che all'ufficiale dello Stato civile (o anche agli sposi o al parroco) venga notificato, dagli aventi diritto, un atto di opposizione al matrimonio, con cui venga denunciato il difetto di una delle condizioni necessarie per contrarre: ad esempio, la minore età o lo stato di interdizione od il vincolo di parentela e di affinità (artt. 84, 85 e 87 c.c.). Ed i soggetti legittimati a

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proporre la detta opposizione sono: i genitori (o in loro mancanza gli ascendenti o collaterali entro il terzo grado); il tutore e curatore; il P.M.; il coniuge della persona che vuole contrarre un altro matrimonio; i parenti del precedente marito. In detto caso, l'ufficiale dello stato civile, non dovrà più - come accadeva ante riforma del 2000 - sospendere la pubblicazione o il rilascio del certificato di nulla osta dandone notizia al parroco - fino a quando la controversia non fosse stata risolta tramite sentenza del Tribunale civile competente passata in giudicato. Oggi, la presentazione della domanda di opposizione non sospende automaticamente la celebrazione del matrimonio ma sarà eventualmente il Presidente del Tribunale, ove ne sussista l'opportunità, a sospenderne la celebrazione sino a quando non sia stata rimossa l'opposizione medesima. L'opposizione, si diceva, deve .essere proposta al Presidente del Tribunale competente territorialmente

-

ossia del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione

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tramite ricorso e può essere_ sempre proposta ma prima che il matrimonio venga celebrato, anche se sia trascorso il termine di affissione delle pubblicazioni. Tra i tre e i dieci giorni dalla presentazione del ricorso, il Presidente del tribunale dovrà fissare tramite decreto la comparizione delle parti davanti al Collegio giudicante ed una volta fatto ciò, il ricorso ed il decreto verranno "comunicati" al Procuratore della Repubblica e "notificati", a cura del ricorrente, ai nubendi e all'ufficiale dello stato civile nel cui territorio verrà celebrato il matrimonio. Il tribunale, sentite le parti, decide con decreto motivato avente efficacia immediata. A vendo specificamente ad oggetto la trascrizione, l'opposizione potrà essere accolta in presenza di circostanze che sono di impedimento alla trascrizione ai sensi della normativa concordataria e dovrà essere respinta se fondata su circostanze che costituiscono impedimento per il. solo . matrimonio civile senza precludere il riconoscimento di quello canonico, come ad esempio nel caso del cosiddetto "lutto vedovi/e" (art. 89 c.c.), che non consente alla donna di celebrare il matrimonio se non dopo trecento giorni dallo scioglimento o dall'annullamento del precedente. 13 2.3 La celebrazione religiosa: la funzione del celebrante La celebrazione nuziale costituisce un atto religioso che si svolge in una sfera di stretta pertinenza confessionale, irrilevante per l'ordinamento statale. Essa è regolata dalle norme di diritto canonico in base a quanto tramandato e previsto dai Libri liturgici.

Già durante il Concilio Vaticano II, la Costituzione Sacrosanctum Concilium aveva statuito che il vincolo nuziale avvenisse all'interno della S. Messa e, precisamente, dopo aver eseguito la lettura del Vangelo e l'Omelia. Detto rito dovrà compiersi alla presenza di almeno due testimoni (can. 1108 § 1 CDC) ed al termine dello stesso verrà impartita la benedizione degli sposi. Connesso a tale rito vi sono - nel matrimonio concordatario - delle formalità che il ministro di culto deve compiere ed è proprio su questi che ora ci soffermeremo. Subito dopo la celebrazione, il ministro di culto deve spiegare ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed .

i doveri dei coniugi, ossia degli artt. 143, 144 e 147, così come prescritto anche per la celebrazione del matrimonio civile. Tale lettura deve essere effettuata dallo stesso sacerdote assistente alle nozze, subito. dopo la celebrazione religiosa, cioè nello stesso contesto temporale. Il suddetto adempimento era già previsto nel regime concordatario del 1929 ma ora acquista un significato più preciso in relazione all'importanza determinante assunta dalla volontà dei nubenti circa il riconoscimento degli effetti civili al matrimonio religioso. Il ricordare ed illustrare ai coniugi che il matrimonio appena celebrato in sede confessionale è destinato a produrre una serie di diritti e doveri anche nell' ordinamento civile, costituisce una presa d'atto ufficiale - da parte di un organo non statale ma che agisce per espressa investitura derivante da una legge statale

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della particolare

destinazione che le parti hanno inteso conferire al loro matrimonio. D'altro canto, il fatto che i coniugi, dopo essersi uniti con un vincolo religioso, recepiscano questo solenne richiamo sugli ulteriori effetti che il vincolo religioso è destinato a produrre in sede civile non può che valere come tacita conferma di quella volontà che essi avevano precedentemente espresso con la richiesta delle pubblicazioni nella casa comunale. In verità, il valore giuridico da attribuire alla citata lettura degli articoli del codice civile ha costituito, per lungo tempo, questione controversa in dottrina, mentre la giurisprudenza ha costantemente seguito l'orientamento secondo cui il matrimonio canonico acquistava, mediante la trascrizione, efficacia nel nostro ordinamento anche se con l'omessa lettura dei detti articoli. Questa seconda tesi, sostenuta dalla dottrina prevalente (Moneta), si basa sull'assunto "analogico" che nella celebrazione del matrimonio civile l'omissione della lettura degli articoli del codice civile non dava causa alla nullità e non rientrava tra gli

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impedimenti alla trascrizione. E' stato sostenuto, quindi, che la lettura degli artt. 143, 144 e 147 c.c. non sarebbe un elemento essenziale per l'efficacia civile del matrimonio canonico, proprio perché in quello civile essa costituisce una mera formalità. A ben vedere, manca una norma che riconosca tale lettura quale elemento fondamentale del matrimonio concordatario, per cui dovrebbe applicarsi per analogia il medesimo regime del matrimonio civile. Riteniamo che la mancata menzione della lettura dei predetti articoli del codice civile non possa rendere inefficace il documento ai fini della trascrizione, e ciò per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché non vi sono argomenti deducibili .dalla legge per ritenere che l'esecuzione di tale lettura abbia, relativamente alla celebrazione del matrimonio canonico da trascrivere{un'importanza maggiore di quella che essa ha nella celebrazione civile, dove è considerata, una formalità non essenziale; in secondo luogo, perché la lettura degli articoli del codice civile nella celebrazione del matrimonio concordatario è meno rilevante rispetto al matrimonio civile in quanto deve seguire (e non precedere) la celebrazione che, dunque, è già avvenuta per lo Stato italiano. Pertanto, si considera "già contratto" il matrimonio nel momento in cui il ministro di culto legge gli articoli del codice civile: l'omessa lettura può, allora, solo causare una sanzione di carattere pecuniario a carico del ministro di culto, così come avviene per l'ufficiale dello stato civile (cfr. l'art. 138 c.c.). Altra parte della dottrina (Magni), considera l'omessa lettura degli articoli del codice civile non un momento formale, in quanto presuppone da parte del ministro di culto l'accertamento della volontà delle parti affinché il loro matrimonio venga trascritto. Con la lettura si avrebbe, cioè, una attestazione in pubblico fatta dal parroco, in un momento particolarmente solenne, della manifestazione della volontà di trascrizione degli sposi. Questa tesi, indubbiamente in armonia con il dato testuale desumibile dall' art. 10 della L.M., che prescriveva all'ufficiale dello stato civile di sospendere la trascrizione e di rinviare l'atto al parroco per la sua regolarizzazione nel caso in cui l'atto non contenesse la menzione dell' eseguita lettura degli articoli del codice civile, oggi non lo è più in presenza del nuovo regime concordatario che attribuisce all'adempimento della lettura quello di solenne attestazione e conferma della volontà degli sposi diretta ad ottenere il riconoscimento civile del matrimonio. Dunque, il suddetto adempimento non può essere considerato indispensabile per il conseguimento degli effetti civili, allorquando sia possibile rilevare in altro modo l'esistenza di tale volontà. Ed infatti, la lettura degli articoli del codice civile non costituisce l'unico momento, nel corso del procedimento

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previsto dalla legislazione concordataria per la trascrizione, in cui la volontà delle parti abbia modo di assumere una sua precisa e formale espressione. Ci sono, invero, due momenti significativi in presenza dei quali la volontà dei due coniugi assume un preciso rilievo formale, sufficiente a consentire il riconoscimento civile del matrimonio religioso: la richiesta delle pubblicazioni e la firma del doppio originale. In particolare, il secondo adempimento che il parroco è tenuto a compiere subito dopo la celebrazione del matrimonio è, appunto, la redazione dell' atto di matrimonio "in doppio originale", uno da inserire nei libri parrocchiali e l'altro da trasmettere all'ufficiale dello stato civile perché venga trascritto nei registri dello stato civile. Ambedue gli atti, trattandosi di originali, devono essere sottoscritti personalmente dai due coniugi e dai testimoni alle nozze.. La sottoscrizione del secondo originale, quello destinato ad essere trascritto, costituisce l'ultima e definitiva conferma della volontà delle parti in ordine agli effetti civili. Dopo tale sottoscrizione la volontà non può essere revocata e l'ufficiale dello stato civile deve in ogni caso procedere alla trascrizione, anche se nel frattempo venisse a conoscenza della sussistenza di qualche impedimento o gli venisse formalmente notificato che le parti non intendono più conseguire il riconoscimento civile del loro matrimonio religioso. Nonostante l'importanza determinante che assume la redazione dell'atto in doppio originale, la giurisprudenza prevalente ritiene che esso non costituisca un requisito assolutamente essenziale per ottenere la trascrizione e che possa essere sostituito con un documento egualmente idoneo ad attestare l'avvenuta celebrazione del matrimonio, come può essere la copia integrale dell'unico originale compilato dal parroco ed inserito nei libri parrocchiali. Tuttavia, la mancata sottoscrizione di un secondo originale destinato all'ufficio di stato civile non consente una rilevazione sufficientemente sicura della volontà degli sposi in ordine agli effetti civili, quale si richiede affinché il matrimonio religioso venga regolarmente trascritto. Parte della dottrina (Moneta), allora, ritiene necessario acquisire una nuova manifestazione di volontà delle parti che supplisca a quella che viene normalmente espressa con la sottoscrizione dell' atto di matrimonio. Per la verità una simile manifestazione è stabilita nell' Accordo del 1984 per l'ipotesi di trascrizione tardiva, cioè di quella trascrizione che avviene a distanza di tempo dalla celebrazione religiosa, quando gli adempimenti concordatari non possono più essere espressione di una volontà attuale ed effettiva delle parti indirizzata agli effetti civili. In

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tal caso occorre che le parti (od almeno una di esse con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altra) inoltrino una formale richiesta di trascrizione all'ufficiale dello stato civile, manifestando così la volontà di ottenere il riconoscimento civile del matrimonio. In modo analogo, dunque, si potrebbe procedere quando non sia stata effettuata la sottoscrizione di un originale dell' atto di matrimonio destinato ad essere trasmesso all'ufficiale dello stato civile o quando tale originale non possa comunque, per qualunque ragione, essere trasmesso dal parroco all'ufficiale dello stato civile. La mancanza di tale adempimento non dovrebbe precludere la trascrizione ipso facto ma soltanto quella c.d. tempestiva. 2.4 Gli adempimenti dell'ufficiale dello Stato civile per la trascrizione del matrimonio canonico nei registri civili. Entro cinque giorni dalla celebrazione, uno dei due originali dell' atto di matrimonio deve essere trasmesso dal parroco all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio è stato celebrato perché si possa far luogo alla trascrizione nei registri dello stato civile. La notificazione di tale documento all'ufficiale dello stato civile è un obbligo che incombe sul parroco (o l'ordinario diocesano) della chiesa dove è sorto il vincolo matrimoniale, anche se alla celebrazione vi abbia assistito un altro sacerdote. Secondo pacifica e consolidata giurisprudenza - si veda la ormai risalente sentenza della Corte di Cassazione, n. 557 del 25.01.1979 l'inadempimento di tale obbligo non è però causa di inammissibilità o di nullità della trascrizione né comporta sanzioni disciplinari di ordine civilistico per il parroco, considerato che quest'ultimo non è legato da rapporti di dipendenza con l'autorità statale anche se può determinare a suo carico, oltre le responsabilità canoniche (can. 1389 CDC), delle responsabilità per danni nei confronti degli sposi (cfr. art. 14,3 comma L.M.). La trasmissione dell'originale dell'atto di matrimonio deve essere effettuata personalmente dal parroco perché la nomina di quest'ultimo viene controllata dalla pubblica amministrazione e, quindi, la figura del parroco è per lo Stato un elemento di sicurezza e di garanzia per le attestazioni. Oggi ai sensi dell' art. 8 dell'Accordo del 1984 si ritiene pacificamente che il sacerdote quando trasmette all'ufficiale dello stato civile l'atto attestante la celebrazione

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del matrimonio, abbia il potere pubblicistico di certificazione, riconoscendogli in tale veste la qualità di pubblico ufficiale, ex. art. 357 n. 2 c.p. Alcuni Autori (Magni) sostengono, addirittura, che il parroco sia "un organo indiretto della pubblica amministrazione" dipendente funzionalmente dallo Stato per cui egli dovrebbe possedere alcuni requisiti: la cittadinanza italiana, l'assenza di condanne penali per reati che comportino l'interdizione dai pubblici uffici, la mancata interdizione per infermità di mente, etc... Altri Autori (Peri), invece, obiettano che la celebrazione del matrimonio in questo caso sia, sic et simpliciter, la normale celebrazione religiosa, ritenendo che nel silenzio della legge - che non richiede

un

esplicitamente determinati requisiti - sia comunque possibile la trascrizione di

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matrimonio religioso celebrato, ad esempio, da un ministro di culto che non abbia la cittadinanza italiana ma sia straniero semplicemente residente in Italia. Il parroco, una volta accertata la rispondenza del contenuto dell' atto alla verità dei fatti accaduti, pone il presupposto affinché l'ordinamento italiano possa collegare all'avvenuta celebrazione gli effetti stabiliti e siffatto atto farà piena prova fino a querela di falso.

2.5 Le convenzioni inseribili nell'atto di matrimonio.

L'art. 8 Accordo del 1984 prevede espressamente che nell' atto di matrimonio possano "essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile": trattasi della scelta del regime patrimoniale di separazione tra i coniugi e del riconoscimento del figlio naturale, che possono essere compiuti con una dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile al momento della celebrazione del matrimonio civile ed inserita nel relativo atto di matrimonio (artt. 162, 254 e 283 c.c.). L'applicabili!à di queste disposizioni anche al matrimonio concordatario, mancando un esplicito richiamo legislativo, è stata in passato alquanto controversa. Per quanto riguarda la scelta del regime patrimoniale di separazione tra i coniugi, la tesi affermativa era prevalsa in giurisprudenza a partire da una sentenza del Tribunale di Modena dell'8.4.1976, trovando successivamente conferma anche in una nota del Ministero di Giustizia. Più controversa continuava ad essere la possibilità del riconoscimento del figlio naturale all'atto del matrimonio concordatario e nell'ambito della stessa giurisprudenza vi erano state pronunce che avevano ritenuto nullo il riconoscimento, in base alla

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considerazione che il ministro del culto era, ed è, autorizzato ad attribuire pubblica fede al documento comprovante l'avvenuto matrimonio, ma non a negozi diversi pur se contenuti nello stesso documento (esemplare resta, in tal senso, la sentenza della Corte di Appello di Milano del 23.5.1969). Le incertezze e le divergenze sorte nel precedente regime sono ora superate dalla esplicita presa di posizione del legislatore in favore di una piena equiparazione, àgli effetti delle dichiarazioni in esame, tra matrimonio civile e matrimonio concordatario. Vi è solo da osservare che le dichiarazioni fatte dinanzi al ministro di culto, e da questi inserite nell' atto di- matrimonio, acquistano efficacia per l'ordinamento civile soltanto se tale efficacia venga riconosciuta al matrimonio stesso, cioè soltanto se il matrimonio venga trascritto nei registri dello stato civile. Prima di questo momento, come non viene dato rilievo civile al matrimonio, così 'non possono avere alcun effetto le dichiarazioni ad esso accessorie. Una volta avvenuta la trascrizione, queste dichiarazioni decorreranno a partire dal momento della celebrazione, come avviene per ogni altro effetto conseguente al matrimonio. Per quanto riguarda, in particolare, il riconoscimento del figlio naturale, al ministro di culto che assiste al matrimonio non è demandato alcun accertamento circa l'ammissibilità del riconoscimento stesso: è l'ufficiale dello stato civile, in sede di !.

trascrizione dell' atto di matrimonio, che deve compiere tale accertamento e rifiutare la trascrizione della dichiarazione di riconoscimento quando risulti che è vietata dalla legge, come quando il riconoscimento sia in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato (art. 253 c.c.) o quando si tratti di figlio incestuoso, nei limiti in cui la legge non ne consente il riconoscimento (art. 251 c.c.). La dizione letterale dell' art. 8 dell' Accordo sembra poi escludere che il ministro di culto possa ricevere altre dichiarazioni richieste dalla legge per l'efficacia del riconoscimento _ma non provenienti dagli stessi coniugi. Così potrà essere inserito nell' atto di matrimonio il consenso al riconoscimento da parte dell' altro coniuge ma non quello del figlio stesso che abbia compiuto i sedici anni (art. 250 c.c.). La possibilità di inserire nell'atto di matrimonio redatto dal ministro di culto le dichiarazioni di cui sopra costituisce una conferma della natura pubblica di tale atto, anche se è controverso se debba essere pienamente equiparato agli atti dello stato civile o soltanto agli effetti penali, ai fini della configurabilità dei reati di falso previsti dagli artt. 476 e ss. c.p. Per parte della dottrina (Finocchiaro), l'atto di matrimonio è atto pubblico soltanto agli effetti penali e non anche ai sensi dell'art. 2699 c.c.; per altri

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(Spinelli), invece, è atto pubblico sotto ogni profilo. Questa seconda tesi, oggi sembra avvalorata dalla disposizione che prevede l'inserzione nell'atto del matrimonio religioso di dichiarazioni da inserirsi, di regola, negli atti dello stato civile. LA TRASCRIZIONE DEL MATRIMONIO CANONICO: suoi aspetti sostanziali ed impeditivi. 3.1 La trascrizione tempestiva.

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Il già più volte citato Accordo del 1984 distingue due diversi tipi di trascrizione, a seconda che tale attività sia richiesta regolarmente nel termine di cinque giorni dalla celebrazione del matrimonio oppure successivamente. Nel primo caso la trascrizione è detta tempestiva ed è disciplinata dal l comma del citato art. 8; nella seconda ipotesi, si ha la trascrizione tardiva, .di cui all'ultimo capoverso dello stesso articolo. Ai fini della tempestività della trascrizione occorre abbiamo visto, che il parroco trasmetta uno degli originali dell' atto di matrimonio entro cinque giorni dalla

celebrazione ed occorre che l'ufficiale dello stato civile - riscontrando la regolarità .

dell'atto e rilasciando il certificato di "nulla osta" agli effetti civili del vincolo canonico -

trascriva il documento nei registri pubblici entro ventiquattro ore dalla ricezione di esso, accompagnato dalla relativa richiesta del parroco. I registri dello stato civile sono divisi in due parti: nella prima, l'ufficiale dello stato civile iscrive gli atti dei matrimoni celebrati in sua presenza con il rito civile; nella seconda parte, invece, troviamo la suddivisione in tre serie: A, B, C. Nella serie A si trascrivono gli atti dei matrimoni celebrati nello stesso comune davanti ai ministri del culto cattolico (o davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato). Nella serie B si trascrivono gli ~tti dei matrimoni celebrati in un altro comune dello Stato davanti ai ministri del culto cattolico (o a quelli degli altri culti ammessi dallo Stato), già trascritti dall'ufficiale dello stato civile di quel comune nella serie A, riproducenti per intero la copia del verbale della prima trascrizione già avvenuta. Nella serie C, composta da fogli in bianco, si iscrivono quei matrimoni che, pur celebrati dinanzi all'ufficiale dello stato civile, non sono iscritti nella serie prima perché celebrati fuori della casa comunale, o per procura, per delegazione, etc. L'ufficiale dello stato civile, quando riceve in trasmissione l'atto di matrimonio canonico regolare o regolarizzato, è obbligato a eseguirne la trascrizione nei registri

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dello stato civile entro ventiquattro ore. Il mancato rispetto di tale termine non comporta alcuna conseguenza giuridica né sul regime applicabile alla trascrizione né sugli effetti relativi allo stato coniugale. La trascrizione dovrà, in ogni caso, essere effettuata senza il compimento di ulteriori accertamenti e senza possibilità di revoca della volontà delle parti diretta agli effetti civili, così come avviene nella trascrizione effettuata tempestivamente entro il termine stabilito dalla legge. Compiuta la trascrizione, nelle successive ventiquattro ore, l'ufficiale dello stato civile deve comunicare al parroco la data in cui la trascrizione stessa è stata eseguita, ai sensi dell'art. l0 della L. n. 847 del 1929. Effettuati i suddetti adempimenti, l'iter è finalmente concluso ed il matrimonio produrrà effetti nell' ordinamento statale fin dal momento della celebrazione. In sintesi, la trascrizione non è una registrazione probatoria bensì un atto essenziale per l'attribuzione degli effetti civili poiché, in mancanza, il matrimonio canonico rimarrebbe un atto puramente religioso ed a nulla varrebbe provarne la celebrazione, ove la trascrizione non fosse avvenuta. La giurisprudenza ha, coerentemente, da sempre ritenuto il carattere "costitutivo" della trascrizione ed anche la dottrina - a parte qualche voce isolata (Vassalli) .

sostanzialmente è concorde nel riconoscere una funzione essenziale alla trascrizione. La trascrizione insomma, non viene per lo più considerata come un atto autonomo produttivo di effetti civili, sia pure con efficacia retroattiva, ma come una candido iuris (Del Giudice) al cui verificarsi il matrimonio canonico ottiene il riconoscimento nell' ordinamento civile. Ed accanto a questa tesi, ve ne sono altre che considerano la trascrizione una "mera formalità", al cui adempimento sono subordinati il riconoscimento degli effetti civili e la tutela giuridica; la trascrizione, cioè, sarebbe una formalità estrinseca, avente funzione di candido facti sospensiva dell'efficacia civile. Qualche Autore ha sostenuto, pure, che la trascrizione costituisce una fase integrativa dell'efficacia civile e, al tempo stesso, costitutiva della documentazione probatoria: la sua funzione sarebbe quella di accertare l'esistenza di un matrimonio canonico e della volontà degli effetti civili dei contraenti. In questo senso (Spinelli) la trascrizione sarebbe una forma ad substantiam senza la quale il negozio tra le parti rimarrebbe civilmente inefficace per l'invalidità dipendente dalla mancanza di un requisito esterno; essa avrebbe una funzione "dichiarativa nei confronti dell'effetto civile del matrimonio religioso, e "costitutiva" della documentazione, attestazione e prova privilegiata degli accertamenti pubblici di quel vincolo.

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Sembra corretto ritenere (con parte autorevole della dottrina, come il Finocchiaro) che; derivando gli effetti civili del matrimonio canonico da un complesso procedimento nel quale si intrecciano gli adempimenti previsti nel concordato e la trascrizione nei registri dello stato civile, l'atto finale del procedimento, documentato dalla redazione del verbale di trascrizione, non sia in sé né dichiarativo né costitutivo bensì "qualificatorio" di tutti gli atti che lo precedono, i quali assumono a quel punto la veste di matrimonio valido agli effetti civili. 3.1.a La c.d. "trascrizione tempestiva ritardata". Dalla trascrizione tempestiva immediata, detta anche ordinaria, si distingue la trascrizione tempestiva ritardata, che ha luogo tutte le volte in cui il matrimonio canonico è stato celebrato senza la previa richiesta della pubblicazione civile - e della relativa dispensa - e quindi senza il rilascio del certificato attestante che nulla osta alla trascrizione del matrimonio. In questo caso - purché siano stati effettuati gli adempimenti previsti dall' art. 8 L. n. 847/1929 e purché uno dei due originali dell' atto di matrimonio sia trasmesso all'ufficiale dello stato civile non oltre i cinque giorni dalla . celebrazione delle nozze - la trascrizione è regolata dall' art. 13 della citata legge. Questa trascrizione si differenzia da quella ordinaria perché l'ufficiale dello stato civile non ha l'obbligo di eseguirla nella ventiquattro ore dalla ricezione dell'atto ma ha il dovere di accertare "che non esiste alcuna delle circostanze indicate nel precedente art. 12", che impediscono la trascrizione del matrimonio. Pertanto, l'ufficiale dello stato civile deve effettuare dopo la celebrazione delle nozze quegli accertamenti che avrebbe dovuto fare in sede di pubblicazione prematrimoniale ed i soggetti legittimati ad opporsi alla trascrizione hanno un termine per proporre le loro eventuali istanze. In particolare, l'ufficiale dello stato civile deve affiggere alla porta della casa comunale un "avviso della celebrazione del matrimonio da trascrivere, con l'indicazione delle generalità degli sposi, della data, del luogo di celebrazione e del ministro del culto avanti al quale è avvenuta" (art. 13 comma 2). Questa pubblicazione successiva dura dieci giorni consecutivi durante i quali i soggetti legittimati possono opporsi alla trascrizione del matrimonio per una delle cause previste ex art. 12 L.M. e l'opposizione sospenderà la trascrizione. Le disposizioni sulla cd. trascrizione tempestiva ritardata hanno eliminato il carattere cogente degli adempimenti di cui agli artt. 6 e 7 della stessa legge, riguardanti

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la pubblicazione e il rilascio del certificato di nullaosta da parte dell'ufficiale dello stato civile. Invero, accade con una certa frequenza che le parti anziché curare la pubblicazione preventiva effettuano gli adempimenti per la trascrizione del matrimonio canonico dopo la sua celebrazione. La giurisprudenza ha interpretato le suddette norme nel senso che l'omessa affissione dell'avviso prescritto dall'art. 13 della L. 847/1929 non è causa di nullità della trascrizione. Tale orientamento è conforme al valore attribuito dalla legge alla pubblicazione nel caso del matrimonio civile, il quale non è invalido ove essa manchi, comportando tale irregolarità soltanto un'ammenda a carico delle parti e dell'ufficiale dello stato civile (art. 134 c.c.). 3.2 I casi di non trascrivibilità del matrimonio canonico, anche alla luce della dottrina e della giurisprudenza. . Con l'Accordo del 1984, -il regime matrimoniale concordatario si è adeguato ai principi generali del diritto civile. Il nuovo sistema ha uniformato ad un livello minimo comune, designato dalla legge civile, la possibilità di conseguire lo stato coniugale per tutti i cittadini, indipendentemente dal tipo di matrimonio prescelto. Secondo l'art. 8 dell' Accordo, la trascrizione non può aver luogo "quando gli sposi non rispondono ai requisiti della legge civile circa l'età richiesta per la celebrazione e, più in generale, quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile" L'art. 8 prevede, dunque, l'inefficacia nell'ordinamento statale dei matrimoni celebrati in forma religiosa in presenza di impedimenti stabiliti dalla legge civile. Chiare sono le fattispecie elencate al n. 4 del Protocollo Addizionale: l'interdizione di uno o di entrambi i contraenti per infermità mentale (art. 85 c.c.); l'esistenza di un precedente matrimonio avente effetti civili contratto fra le parti o da una di esse con altra persona (art. 86 c.c.); l'adozione (art. 87 nn. 6, 7, 8 e 9 c.c.); l'affinità in linea retta (art. 87 n. 4 c.c.); il delitto (art. 88 c.c.). Detto elenco non esaurisce le ipotesi in cui il matrimonio civile non possa essere celebrato, non essendo, ad esempio, menzionato il caso della consanguineità in linea retta, considerato non dispensabile anche dal diritto canonico. Per tale motivo, si è posta la questione se siffatto elenco abbia carattere esaustivo oppure valore meramente esemplificativo del principio generale stabilito dall'art. 8 dell' Accordo.

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E' da seguire la seconda tesi, considerando le indicazioni contenute nel Protocollo tese a palesare la intrascrivibilità di alcune ipotesi già espressamente previste dalla precedente legislazione o su cui si erano verificate incertezze e divergenze interpretative

- impedimenti da delitto e da affinità -

senza escludere altre ipotesi di intrascrivibilità.

Detta tesi sembra, in generale, più aderente ai principi informatori del nuovo sistema concordatario, come si evince anche dalla regola espressamente sancita nell'Accordo, secondo cui "la trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l'azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta": ad esempio, quando, dopo revocata l'interdizione, vi sia stata coabitazione per un anno, ex art. 119, comma 2 c.c. Quest'ultima previsione acquista particolare rilevanza nel caso di matrimonio canonico celebrato da soggetti privi dei requisiti di età prescritti dalla legge civile che non abbiano previamente ottenuto l'autorizzazione del Tribunale che ne abbia accertato la maturità psicofisica e la

- fondatezza delle ragioni addotte. In assenza di tale autorizzazione

il matrimonio canonico non può essere trascritto tempestivamente ma, ai sensi dell'appena citata previsione, potrà essere chiesta la trascrizione tardiva, quando è trascorso il termine previsto dall'art. 117 comma 2 c.c. per l'impugnazione del matrimonio civile dei minori non autorizzato purché, però, i minori stessi abbiano raggiunto la maggiore età e sia trascorso un anno da tale momento. L'art. 117 c.c. contiene un complesso regime di impugnazione del matrimonio che prevede quali soggetti legittimati a proporre l'azione di annullamento gli stessi coniugi, ciascuno dei genitori, ed il pubblico ministero. I soggetti diversi dal contraente minorenne non possono però proporre l'azione di annullamento quando il minore abbia raggiunto la maggiore età. Il contraente minorenne, inoltre, può proporre personalmente l'azione non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età; trascorso detto termine l'impugnazione non è più consentita e, quindi, sarà possibile la trascrizione di un matrimonio religioso originariamente inidoneo ad acquistare efficacia civile. La regola della trascrivibilità del matrimonio religioso a seguito al verificarsi della prescrizione dell' azione di nullità o di annullamento è, segnatamente, applicabile ex art. 117 comma 10 c.c. anche quando il matrimonio sia stato celebrato violando i divieti di cui agli artt. 85, 87 e 88 cod. civ. Nel caso della interdizione il riconoscimento civile del matrimonio religioso potrà essere ottenuto quando i coniugi abbiano coabitato per un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha revocato l'interdizione (art. 119 c.c.); se l'impedimento consegue ad un rapporto di affinità in linea retta, da un

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legame adottivo o da un fatto delittuoso, il riconoscimento potrà avvenire quando sia trascorso il termine di dieci anni, termine entro il quale si prescrive la relativa azione di nullità. Invece, non potrà essere mai trascritto il matrimonio canonico celebrato quando una delle parti fosse già vincolata da altro matrimonio valido agli effetti civili, in quanto la relativa azione di nullità, potendo essere proposta dall'altro coniuge in qualunque tempo, non è soggetta a termini di prescrizione (art. 124 c.c.; in senso conforme, cfr. Cass. Civ., n. 2678 del 3.5.1984). D'altronde l'assoluta intrascrivibilità del matrimonio in quest'ultimo caso, è conseguenza immediata dell'art. 8.1 ult. capv., che subordina la trascrizione tardiva del vincolo coniugale alla condizione che entrambi gli sposi "abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione"". La possibilità di ottenere il riconoscimento civile dei matrimoni religiosi originariamente in trascrivibili, quando non può essere più proposta la corrispondente azione civile di annullam~nto.o di nullità, è da porsi in relazione con quella uniformità di fondo del regime matrimoniale che costituisce uno dei principi informatori del nuovo sistema concordatario. Tuttavia, l'equiparazione tra il regime matrimoniale civile e quello concordatario, pur apparendo logica e coerente da un punto di vista teorico, finisce sul piano pratico per mantenere quella posizione di privilegio a favore del . regime

canonico che, secondo lo spirito informatore del nuovo Accordo, si sarebbe

dovuta eliminare. Infatti, nel diritto civile la celebrazione del matrimonio in presenza di un impedimento inderogabile costituisce un evento del tutto eccezionale per cui non sarà possibile accedere per tale via allo stato coniugale; invece, nell'ordinamento canonico il matrimonio potrà essere regolarmente celebrato, a volte senza neppure bisogno di una dispensa dell'autorità ecclesiastica, occorrendo soltanto attendere il decorso dei termini di decadenza o di prescrizione previsti dall' ordinamento civile per ottenere il riconoscimento degli effetti civili mediante la trascrizione, ammessa senza limiti di tempo. 25 3.3 La Trascrizione tardiva L'Accordo del 1984 continua a prevedere la possibilità della trascrizione tardiva, effettuata cioè dopo i termini fissati per la normale attuazione del riconoscimento di efficacia civile ai matrimoni canonici. Tale trascrizione ha luogo tutte le volte in cui

l'atto di matrimonio sia trasmesso all'ufficiale dello stato civile oltre i cinque giorni dalla celebrazione del matrimonio canonico. La regola dei cinque giorni può essere considerata espressione di quel principio di "concentrazione nel tempo" che caratterizza il procedimento di trascrizione e che impone alla autorità ecclesiastica di compiere tutti gli adempimenti necessari affinché il matrimonio religioso possa produrre effetti civili in un breve spazio temporale. Poiché l'acquisto dello status coniugale è un diritto individuale personalissimo, l'art. 8.1 ult. cpv. dell'Accordo del 1984 prevede che la trascrizione possa essere effettuata su richiesta "dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l'opposizione dell 'altro". Siffatto art. 8 dell'Accordo ha"abrogato l'art. 14 della L. n. 847/1929 rendendo inapplicabile il disposto secondo cui la trascrizione possa avvenire anche d'ufficio con la trasmissione dell' atto di matrimonio all'ufficiale dello stato civile da parte dell' autorità ecclesiastica. Parimenti, deve ritenersi abrogata anche l'altra disposizione contenuta nello stesso art. 14 secondo cui "ove la trascrizione dell'atto di matrimonio non sia stata effettuata nei termini stabiliti, tale trascrizione potrà essere richiesta in ogni tempo e da chiunque vi abbia interesse". Sulla base delle nuove norme concordatarie, interessati a richiedere tardivamente la trascrizione di un matrimonio canonico sono so1tanto gli sposi, con esclusione di quanti nell' ambito dell' ordine familiare possano trarre qualche utilità giuridica dal riconoscimento dell'efficacia civile del vincolo religioso (anche se, di diverso avviso è andata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6489 del 26.6.1990, pronunciamento rimasto peraltro "isolato"). Il legislatore ha previsto pure il caso particolare in cui uno dei coniugi non intenda sottoscrivere la richiesta di trascrizione senza però opporsi al riconoscimento civile del matrimonio religioso in precedenza celebrato; in tal caso, il coniuge richiedente dovrà dimostrare che la sua richiesta sia stata portata a conoscenza dell'altra parte e che questa .

non abbia sollevato alcuna opposizione. Sul punto, va menzionata l'opinione di chi (Gazzoni) ha ritenuto aberrante la norma che consente la richiesta di trascrizione da parte di uno solo dei coniugi senza l'opposizione dell' altro perché, mentre in caso di matrimonio civile gli effetti possono scaturire solo da un accordo, in caso di matrimonio concordatario essi possono seguire ad una manifestazione unilaterale di volontà collegata ad un mero silenzio. Come altrove non abbiamo mancato di osservare, l' ammissibilità della trascrizione tardiva è subordinata pure alla condizione che "i due contraenti abbiano conservato 26

ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione". Poiché la trascrizione produce i suoi effetti a decorrere dalla celebrazione del matrimonio, occorre che nessuna delle parti nel frattempo si sia unita ad altri con un matrimonio valido per l'ordinamento statale, anche se successivamente questo si sia sciolto per morte di uno dei coniugi o per divorzio. Infatti, se si ammettesse il riconoscimento civile di un precedente matrimonio religioso di chi è stato legato da un vincolo matrimoniale civilmente valido in un periodo intercorrente tra la celebrazione e la trascrizione, si verrebbe a determinare una situazione, sia pure temporanea, di bigamia. Se, però, il matrimonio contratto da una delle parti è stato dichiarato nullo prima della richiesta di trascrizione, questa è da considerarsi ammissibile in quanto la nullità fa venir meno gli effetti del matrimonio con efficacia ex tunc, ossia dal momento della celebrazione: in tal modo, cioè, giuridicamente il soggetto ha conservato ininterrottamente lo stato libero, nonostante l'avvenuta celebrazione del matrimonio. 3.4 La trascrizione tardiva dei matrimoni religiosi celebrati in mancanza degli adempimenti concordatari. Alcuni Autori ritengono che non sarebbero suscettibili di riconoscimento civile quei matrimoni che le parti intendevano originariamente mantenere soltanto nell' ambito religioso. In mancanza, cioè, del più volte citato "procedimento amministrativo" previsto, il matrimonio sorgerebbe come vincolo meramente religioso e tale sarebbe destinato a rimanere, senza possibilità alcuna di ottenere il riconoscimento degli effetti civili. Questo orientamento, per così dire "restrittivo", secondo il nostro punto di vista non appare condivisibile perché limita eccessivamente la funzione dell'istituto della trascrizione tardiva, entrando in contrasto con lo spirito e con i dati testuali del nuovo Accordo. A ben vedere, nel disegno di legge presentato dal Governo alla Camera dei Deputati il 05.11.1987 e nella Circolare Ministeriale del 26.2.1986 contenente le istruzioni agli ufficiali dello stato civile per l'applicazione delle nuove norme concordatarie, è detto espressamente che la trascrizione tardiva possa essere richiesta anche se il matrimonio sia stato celebrato soltanto in forma religiosa, senza il compimento delle formalità concordatarie ed anche in assenza di una volontà originaria delle parti di far conseguire

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ad esso effetti civili. La stessa Circolare Ministeriale ha precisato che la trascrizione possa essere eseguita su presentazione di un semplice certificato "ove sia stata accertata la corrispondenza della certificazione alla effettiva celebrazione del rito nuziale". In virtù di quanto detto sopra, allora, la funzione della trascrizione tardiva appare proprio quella di consentire il riconoscimento civile di vincoli matrimoniali sorti esclusivamente nell'ordinamento canonico, senza limiti temporali ed a prescindere dalla volontà originaria degli sposi. La possibilità di ottenere il riconoscimento civile di matrimoni religiosi anche a distanza di molto tempo dalla loro celebrazione è un punto cui la Chiesa ha sempre dimostrato di tenere, proprio per non precludere il riconoscimento civile di matrimoni "la cui celebrazione risponde ad esigenze di fede religiosa od a ragioni di coscienza individuale, ma di cui non è possibile od opportuna, almeno per il momento, l'attribuzione di efficacia nell 'ordinamento statale. " Per contro lo Stato assicura una valorizzazione più intensa del fenomeno religioso in quanto consente a due soggetti di ottenere il riconoscimento civile di quel vincolo che essi avevano ritenuto di fondamentale importanza alla luce dei propri convincimenti interiori, senza obbligarli alla celebrazione di un nuovo matrimonio civile.

Ancora: il presupposto di una concorde volontà delle parti

-

anche se una di

esse può essere manifestata in forma implicita sotto il profilo della non opposizione

-

richiesta dalla nuova normativa concordataria, porta ad escludere che la trascrizione tardiva possa essere effettuata dopo la morte di uno dei coniugi. In una sentenza emessa il 14.5.1996, il Tribunale di Verona ha ritenuto che "la trascrizione post mortem, effettuata dopo l'entrata in vigore della L. n. 121 del 1985 di revisione del Concordato lateranense, di un matrimonio canonico celebrato nel vigore della L. n. 847 del 1929, è regolata dalla nuova normativa che consente la trascrizione posteriormente alla celebrazione del matrimonio su richiesta dei due nubendi od anche di uno solo di essi, ma con la conoscenza e senza l'opposizione dell 'altro; pertanto, la trascrizione avvenuta senza il consenso di quest'ultimo, che risulti deceduto al momento della trascrizione stessa richiesta dall 'altro coniuge, è illegittima e ne va dichiarata la nullità". Invece, sotto il vigore del regime concordatario del 1929 la trascrizione tardiva post mortem era comunemente ammessa dalla giurisprudenza. Ad esempio, la Corte di Appello di Messina con una sentenza del 9 aprile 1980 aveva ritenuto valida la trascrizione tardiva del matrimonio canonico richiesta da uno dei coniugi dopo la morte dell' altro perché, indipendentemente dalle ragioni per le quali le due persone sposate con il rito cattolico ritenevano di lasciare nella sfera religiosa il loro matrimonio,

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l'ordinamento italiano consentiva che la trascrizione tardiva potesse essere richiesta in ogni tempo e da chiunque vi avesse interesse. Siffatta ultima soluzione aveva suscitato forti perplessità in larga parte della dottrina, e non soltanto da parte di coloro che sostenevano la necessità di una specifica volontà delle parti indirizzata agli effetti civili del vincolo coniugale. Un Autore (Finocchiaro) osservava che non era possibile attribuire lo stato civile di coniugato ad una persona non più in vita perché la morte estingueva la capacità giuridica di tutte le persone fisiche, escludendo così che essi potessero essere soggetti di qualsiasi rapporto giuridico, ivi compresa la possibilità di costituire uno status che presuppone l'esistenza in vita. Quest'ultimo orientamento dottrinario ritiene che la propria tesi trovi conferma nello stesso art. 14 della L.M. che esclude la trascrizione tardiva quando uno dei coniugi, in epoca successiva alle nozze, fosse stato interdetto per infermità mentale: infatti, sarebbe stato incoerente vietare la trascrizione per la semplice menomazione della capacità di agire derivante dall'interdizione ed ammetterla invece per l'ipotesi del decesso, quando cioè il soggetto aveva cessato di esistere come centro di imputazione di qualsiasi rapporto giuridico. Ora, se a queste argomentazioni che conservano il loro valore anche alla luce della nuova legislazione concordataria, si aggiunge la necessità che le due parti manifestino una anche in forma implicita - una specifica volontà di ottenere il riconoscimento civile del vincolo matrimoniale, si deve giungere alla conclusione che la trascrizione post mortem non sia più consentita, nonostante i motivi umanitari che in qualche caso potrebbero indurre ad ammetterla: si pensi al caso di alcune donne vedove solo per la Chiesa, che vengono a trovarsi senza mezzi di sussistenza non potendo vantare, in mancanza di trascrizione del matrimonio religioso, alcun diritto alla pensione di reversibilità. La prevalente dottrina rileva che la dizione letterale della norma presuppone che la richiesta di trascrizione sia stata già inoltrata e che in materia di stato coniugale la legge non attribuisca effetti alle dichiarazioni fatte ora per al/ora (cfr., ad esempio, gli artt. 79 e 108 c.c.). E' stato, altresì, evidenziato (sempre Finocchiaro) che la legge non riconosce alcun valore giuridico all'obbligo di contrarre matrimonio e, conseguentemente, di attribuire effetti civili ad un matrimonio religioso. In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2893 del 24 marzo 1994 che ha escluso la possibilità di procedere alla trascrizione post mortem sulla base di una dichiarazione rilasciata al momento della celebrazione religiosa - usuale nel vecchio

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regime concordatario - con cui i coniugi si obbligavano Ha lasciare all'Autorità ecclesiastica la più ampia libertà in merito alla trascrizione del matrimonio religioso". Ciò posto, sensibilmente diverse sono le nostre considerazioni. Andando al cuore della vicenda, il legislatore esige, giustamente ed in buona sostanza, lo stato di conoscenza e, quantomeno, di non opposizione da parte di uno dei coniugi per potersi attuare la trascrizione. Detta conoscenza, però, non riteniamo debba necessariamente riferirsi ad un momento successivo alla domanda di trascrizione ma possa ricavarsi anche da dichiarazioni precedenti

.

- ad esempio contenute in un testamento -

purché tali da esprimere in modo serio ed inequivocabile la consapevolezza e l'intento di far 'ì

conseguire al matrimonio religioso gli effetti civili. In tal senso si è espressa la Corte di Appello di Catania in un Decreto del 16 maggio 1990, ritenendo che la conoscenza e non opposizione. siano riferibili anche ad una futura richiesta di trascrizione purché venga ogni mezzo

-

- con

data la prova della conoscenza da parte del coniuge poi deceduto dell'intento

dell'altro coniuge di richiedere la trascrizione tardiva, manifestato in modo concreto ed emerga, altresì, la non opposizione. Non, dunque, una generica intenzione bensì un preciso proposito di richiedere in un prossimo futuro la trascrizione. Inoltre, le deroghe alI 'intrascrivibilità post mortem esistono

-

si pensi, al caso in cui la

mlorte di uno de coniugi sia giunta quando la richiesta di trascrizione era stata già inoltrata all'ufficiale di stato civile o, ancora, quando risulti già acquisita, in presenza della richiesta di una sola parte, la conoscenza e la non opposizione dell'altra. Ad adiuvandum, ed in sintonia con quanto appena detto, è la già citata Circolare Ministeriale del 26.2.1986 che ha ritenuto possibile la trascrizione dopo la morte di entrambi o di uno dei coniugi "ove sia stata da entrambi richiesta prima del decesso; la sola mancata opposizione del coniuge defunto non è sufficiente, non potendosi conoscere se egli si sarebbe opposto alla trascrizione e l'opposizione sia stata resa impossibile dal sopravvenuto decesso". 3.5 La trascrizione tardiva e i diritti legittimamente acquisiti dai terzi. L'art. 8 dell' Accordo del 1984 stabilisce che "la trascrizione tardiva deve avvenire senza pregiudicare i diritti legittimamente quesiti dai terzi prima della trascrizione e in contrasto con lo stato coniugale delle parti".

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Questa norma, già prevista nella legge matrimoniale del 1929, è resa necessaria dalla retroattività degli effetti civili riconosciuti al matrimonio che decorrono, qualunque sia la distanza di tempo in cui viene effettuata la trascrizione, dal momento della celebrazione religiosa. Pertanto, occorre tutelare le posizioni giuridiche sorte medio tempore, ossia nel periodo intercorrente tra la celebrazione e la trascrizione, quando lo stato coniugale non esisteva per l'ordinamento statale e non poteva quindi influire in alcun modo sullo svolgimento dei rapporti giuridici. Il principio della intangibilità dei diritti acquisiti non vale per gli stessi coniugi che conoscevano l'esistenza del vincolo religioso con la sua idoneità ad essere riconosciuto sul piano civile e di cui hanno essi stessi chiesto la trascrizione. "Terzi", dunque, sono tutti gli altri soggetti estranei al rapporto coniugale, diversi dalle persone dei due coniugi L'esatta determinazione di tale categoria è controversa sia in dottrina sia in giurisprudenza; quest'ultima,_ in particolare, si è più volte pronunciata in modo contrastante soprattutto con riferimento alla figura dell' erede. Nei primi anni sessanta, la Corte di Cassazione aveva ritenuto che gli eredi, legittimi e testamentari, fossero terzi al momento dell' apertura della successione, per cui i diritti da essi acquistati dovevano rimanere salvi e non subivano alcuna modificazione anche se, per gli effetti retroattivi della trascrizione, veniva ad aggiungersi tra gli aventi diritto alla successione il coniuge legittimo. Dopo alcuni decenni la Corte di Cassazione ha cambiato indirizzo, escludendo dal concetto di terzo l'erede del coniuge defunto in quanto soggetto che subentra nella stessa posizione giuridica del de cuius. Pertanto, con la trascrizione tardiva i diritti dell' erede non rimanevano impregiudicati ed al coniuge superstite venivano riconosciuti, oltre allo status di coniugato con effetti ex tunc, tutti quei diritti personali e patrimoniali che ad esso conseguono inderogabilmente per legge, come quello alla successione del coniuge defunto. Più di recente la Suprema Corte - con la sento n. 6845 del 4.6.1992 - è ritornata al primitivo orientamento, statuendo che "terzo è colui che è estraneo al rapporto matrimoniale e pertanto rivestono tale qualità gli eredi del coniuge defunto: la posizione di costoro, consolidatasi al momento del decesso del coniuge loro dante causa, non può quindi essere modificata dalla trascrizione del matrimonio intervenuta

dopo l'apertura della successione ". Il problema del conflitto tra il coniuge superstite e gli eredi di quello defunto può quindi, seppure in via eccezionale, riproporsi ancora oggi e la soluzione non può che

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essere identica a quella adottata da ultimo dalla Corte di Cassazione. Infatti, la qualifica di coniuge si consegue soltanto con la trascrizione e se questa viene effettuata dopo l'apertura della successione

-

coincidente con la morte del de cuius

-

non può

pregiudicare la posizione di quei soggetti terzi che hanno ormai legittimamente acquisito la qualifica di eredi. Pertanto, anche nell'attuale regime matrimoniale concordatario, gli effetti retro attivi prodotti dalla trascrizione tardiva devono essere limitati ai due coniugi e non possono toccare i diritti in precedenza acquisiti da tutti gli altri soggetti. Una ulteriore applicazione del principio di salvezza dei diritti acquisiti dai terzi può prospettarsi, poi, in tema di adozione. L'efficacia retro attiva della trascrizione, in forza della quale l'adozione risulta compiuta da persona coniugata

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e quindi legittimata ad

adottare soltanto insieme al coniuge - J).on può pregiudicare il diritto ormai acquisito da parte del minore a mantenere lo stato di figlio adottivo.

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