BREVE STORIA DELLA “PEDEMONTANA VENETA” 1990: IL PIANO REGIONALE DEI TRASPORTI L’area pedemontana veneta, compresa nelle provincie di Vicenza e Treviso, dal momento della grande espansione del traffico automobilistico (cioè dai primi anni ’70), ha sempre sofferto per le problematiche legate ad una viabilità, in particolare nella direzione “est-ovest”, del tutto inadeguata ed insufficiente, anche rispetto al notevole sviluppo della popolazione e, ancor più, dell’economia di tutta l’area. Il Piano Regionale dei Trasporti (Provvedimento del Consiglio Regionale del Veneto approvato nel febbraio 1990) veniva incontro a queste necessità reali di riqualificazione viaria (con conseguenti finanziamenti), prevedendo quello che fu chiamato il “Potenziamento dell’itinerario pedemontano Montebello - Valico di Priabona – Malo – Thiene – Bassano – Montebelluna – Ponte della Priula”. In pratica veniva prevista la costruzione di questo “itinerario pedemontano” per “Tratte”: Vicenza-Bassano, Bassano-Montebelluna, Montebelluna-Ponte della Priula. All’interno di ciascuna tratta i lavori poi si sarebbero svolti per Stralci. Ad esempio era previsto per primo lo stralcio “Caerano-Montebelluna-Volpago”, poi “Fonte-Asolo-Caerano”, e così via. Ogni stralcio, una volta completato, entrava subito in funzione connettendosi naturalmente alla viabilità locale presente. In pratica l’“itinerario pedemontano” veniva ad essere un continuum di circonvallazioni per i comuni a nord ma anche a sud di esso. Opera strategica di riferimento veniva ad essere la cosiddetta “Gasparona”, già in funzione nei primi anni novanta e che diveniva una specie di “punto di appoggio” a est e a ovest: da essa l’itinerario sarebbe proseguito sia verso Vicenza, sia nel territorio trevigiano fino al collegamento autostradale con la A27. Questo itinerario da costruire viene denominato “Variante Sud alla Strada Statale SchiavonescaMarosticana”. 1990-1995: I TRE MOTIVI DEL FALLIMENTO DI QUESTO “PROGETTO PEDEMONTANO”. Il Piano Regionale dei Trasporti, a proposito dell’”itinerario pedemontano” diceva: “si tratta dell’itinerario fondamentale per i collegamenti longitudinali dell’asse pedemontano. L’attuale livello di saturazione di molti tratti, le ripercussioni che da ciò derivano alla fluidità delle relazioni di tutta l’area pedemontana, impongono per esso interventi improcrastinabili tendenti alla riqualificazione di tutto l’itinerario con caratteristiche superstradali”……. Caratteristiche superstradali (la sottolineatura è nostra). Intendeva che doveva trattarsi di un asse viario ben legato alla viabilità locale, con tanti accessi, affinché si risolvesse la questione dell’intasamento da traffico dato principalmente dagli spostamenti locali (più dell’80% dei veicoli in circolazione faceva e tuttora fa meno di 20 chilometri). Perché questo progetto, appoggiato da tutte le forze politiche e dalle Comunità locali, non si è realizzato in quei primi anni ’90? Tre sono le cause. 1) Il primo stralcio in assoluto dell’itinerario, cioè il collegamento “CaeranoMontebelluna-Volpago”, nel novembre 1992, a progetto esecutivo già realizzato e con la copertura finanziaria per la costruzione (30 miliardi di lire), viene abbandonato dall’Anas per un difetto di realizzazione. Una modifica 1
all’ultimo momento della caratteristica stradale (da due a quattro corsie) rende irrealizzabile l’opera nel tracciato previsto. 2) La revisione di quel progetto non sarà mai portata avanti, perché il secondo motivo di abbandono generale dell’opera è la CRISI FINANZIARIA DELLO STATO. Si profila la necessità di ridurre drasticamente il debito pubblico per rispettare quelli che saranno i parametri di debito che il Trattato di Maastricht formalizzerà. Il Governo Amato svaluta la lira, fa una manovra da 90.000 miliardi, e taglia i finaziamenti a molte opere pubbliche per cui, indirettamente, “cade” anche il “progetto pedemontano”. 3) La terza definitiva causa della fine di quel progetto viene, nel 1993, con la crisi del sistema politico allora consolidato, attraverso quella che sarà chiamata “TANGENTOPOLI”. Di fatto ogni opera pubblica viene bloccata. Non vi sono le condizioni politiche per formalizzare progetti che richiedono procedure e iter finanziari che la Magistratura ha trovato spesso illegalmente collusi con il finanziamento dei politici e dei partiti. 1995: UNA SOCIETA’ AUTOSTRADALE “SI OFFRE”. Se il 1993 segna la fine del “progetto viario pedemontano”, il problema dell’intasamento da traffico continua ad esistere in quell’area. Con grande entusiasmo viene pertanto accolta una dichiarazione, nel febbraio 1995, dell’allora presidente della Società Autostradale “Padova-Brescia” (denominata “Serenissima”), Giuseppe Barbieri, che annuncia la disponibilità della sua società a costruire la “Pedemontana Veneta” con i propri fondi, “SENZA ONERI PER LO STATO”. Quel “senza oneri per lo stato” diventerà la chiave magica per il mondo dei media, della politica, delle associazioni produttive: porte aperte a chi voleva realizzare qualcosa di diverso da una superstrada al servizio del traffico locale; si faceva sì un’AUTOSTRADA (essendo nella sua natura di società autostradale), ma indirettamente quest’opera poteva in parte aiutare le necessità del traffico locale dell’area pedemontana. Insomma, meglio che niente……. Mediaticamente, politicamente, il termine “Autostrada Pedemontana Veneta” viene a consolidarsi nel linguaggio e negli slogan, sostituendo qualsiasi “velleità localistica” (continuum di circonvallazioni, superstrada leggera, etc.). La protesta che nasce contro questo progetto autostradale è molto “elitaria”, data da singoli ecologisti (che protestavano per l’inutilità di quest’opera). Qualche adesione alla protesta viene dagli abitanti interessati, ma solo quelli con un “problema diretto” di rapporto con l’opera. I Sindaci preferiscono tacere, in un contesto generale di grande adesione popolare e mediatica alla realizzazione di quest’opera (“forse non quella giusta che ci vorrebbe, ma almeno qualcosa si fa") Nel gennaio 1997 lo stesso presidente della “Serenissima” ci ripensa. A un convegno a Vicenza della Cisl dirà: “I privati non vogliono realizzare nuove opere, vogliono gestire quelle esistenti. Non c’è nessuno in grado di remunerare gli investimenti con i pedaggi”. Questo non sposta l’idea, oramai consolidata nella testa di tutti, di “Autostrada Pedemontana”, ma fa cadere la chiave magica del “senza oneri per lo stato”. In questo senso va l’intesa Prodi-Galan del 1° agosto 1997, che di fatto inserisce la “Pedemontana” tra le opere autostradali da fare nel Veneto (oltre a Passante e 2
Romea Commerciale)(è in quel contesto che cambia il Piano Regionale dei Trasporti, che ancora parlava di superstrada). Il mondo politico veneto si dà da fare per trovare finanziamenti pubblici. 1998-2001: PRIMO TENTATIVO (FALLITO) DI REALIZZARE LA AUTOSTRADA. Nel dicembre 1998, in fase di approvazione della Legge Finanziaria per il 1999, l’allora maggioranza ulivista stabilisce un finanziamento di 600 miliardi di lire per l’autostrada. E’ comunque da far notare, perché importante in tutta la vicenda, che gli stessi deputati dell’ulivo (emendamento dell’allora Senatore Sarto) chiedono che il finanziamento sia sì autostradale (la Maggioranza, come la Minoranza politica, voleva l’autostrada), ma che l’opera, finanziata solo per il “tratto est” (da Dueville a Spresiano, fin sulla A27 “Mestre Belluno”), dovesse dare il “massimo servizio, anche attraverso l’apertura di tratti alla libera percorrenza del traffico locale”. Pur finanziando lo Stato un’autostrada, si cerca cioè di salvaguardare in parte le esigenze prioritarie del traffico locale che il Piano Regionale del 1990 aveva ben individuato. L’Anas, con i 600 miliardi a disposizione (ricevibili in 15 anni), organizza la gara per il progetto definitivo (costo 5 miliardi). La gara viene vinta (gennaio 2000) da una Società di progettazione di Roma, BONIFICA S.P.A., che predisporrà nei mesi successi (all’autunno 2000) tale progetto. Nella presentazione pubblica del progetto autostradale, la stessa BONIFICA non ha difficoltà ad affermare che il traffico locale della pedemontana vicentina e trevigiana sarà “tolto”, con questa nuova opera, per non più del 7% del suo totale. In questo contesto cresce la protesta popolare e, per la prima volta, anche i sindaci pedemontani mostrano le loro perplessità verso un’opera fortemente impattante e che non risolve i problemi della viabilità locale. E’ ancora il Senatore Sarto (dei Verdi, nella Maggioranza Ulivista) che, nella Finanziaria per il 2001, approvata nel dicembre 2000, in accordo con il Ministro dei lavori Pubblici Nesi, chiede che sia una Conferenza di Servizi da convocare entro tre mesi (cioè marzo 2001), a decidere se continuare con il fare un’autostrada o se optare per una superstrada al servizio del territorio, come in quel momento da più parti veniva chiesto. La Conferenza di Servizi era composta dal Ministero dei LL.PP., dalla Regione Veneto, dalle due Provincie interessate, dai Sindaci interessati. Si terrà a Castelfranco Veneto il 30 marzo 2001 e, quasi all’unanimità (Regione e Provincie abbandonano la riunione prefigurandone l’esito), viene deciso che l’opera deve essere una Superstrada. Questo fa fallire il progetto autostradale. Il progetto “Bonifica” dovrà pertanto essere rivisto, adeguandolo alla nuova natura dell’opera (da Autostrada a Superstrada). 2001-2003: 2° TENTATIVO (FALLITO) DI REALIZZAZIONE DI UN’AUTOSTRADA. A questo punto (primavera-estate 2001) tutti si aspettano (sindaci, cittadini, categorie produttive…) che la Regione Veneto, considerata la presa di posizione dei sindaci (che da quel momento non avrebbero avuto motivo di contestare un asse superstradale), venisse in tempi brevi a cambiare il progetto ”Bonifica” trasformandolo in superstradale. 3
Invece a un anno dalla decisione della Conferenza di Castelfranco (dall’aprile 2001 al marzo 2002) la Regione si limiterà a mettere in atto 3 operazioni: 1) acquisire il progetto “Bonifica” (cioè tutto il corposo materiale relativo al progetto definitivo dell’opera che l’Anas, dopo una certa resistenza, cederà); 2) introitare nel bilancio regionale i 600 miliardi di lire del finanziamento statale (questo attraverso l’accordo Berlusconi-Galan del 9 agosto 2001, dove il Governo poneva l’opera in capo alla Regione, trasferendo appunto, con la Finanziaria per il 2002, i 600 miliardi alla Regione Veneto); 3) prevedere, nella Finanziaria regionale per il 2002 (approvata nel dicembre 2001) un ulteriore importo di 120 miliardi di lire per la realizzazione della “Superstrada Pedemontana Veneta” (S.P.V.). Pertanto il finanziamento pubblico saliva da 600 a 720 miliardi di lire. Nell’aprile 2002 si costituisce la Società PEDEMONTANA VENETA S.P.A. che si prefigge come unico obiettivo la realizzazione della S.P.V.; il 38% delle quote sociali è di “Autostrade s.p.a.”, il 37% dell’”Autostrada Brescia-Padova”, il 10% di Autovie Venete, e il restante 15% è diviso equamente fra tre istituti bancari (San Paolo Cardine, Antonveneta, UniCredit – Cariverona). Questa Società presenta un project financing alla Regione Veneto il 28 giugno 2002, relativo alla progettazione, realizzazione e gestione dell’opera in concessione per 40 anni, introitando i relativi pedaggi, avendo a disposizione i 720 miliardi di finanziamento pubblico e richiedendone altri 420 (in tutto il finanziamento pubblico doveva arrivare a 1.140 miliardi di vecchie lire). L’altra metà del finanziamento sarebbe stata a carico del “privato” (in pratica l’opera sarebbe costata complessivamente 2.280 miliardi di lire). La lunghezza prevista era di 64 chilometri, da Dueville a Spresiano. Quello che appare subito a tutti i precedenti oppositori all’autostrada (sindaci, comitati, associazioni ambientaliste…) è che il progetto è pari pari quello presentato come “autostrada” dalla Società “Bonifica” (…chi lo ha “passato” alla “Pedemontana Veneta S.P.A.”?... visto che era di proprietà pubblica, e altri concorrenti nel “progetto di finanza”, se mai si fossero presentati, partivano sfavoriti dovendo approntare da zero un progetto preliminare che invece “Pedemontana Veneta spa” ha avuto a disposizione?....). In pratica, con questo progetto presentato, il nome dell’opera cambiava da A.P.V. a S.P.V., ma il contesto generale, i caselli (pochi) di tipo autostradale e tutte le altre caratteristiche tecniche (due corsie più una di emergenza per ogni senso di marcia), erano meramente autostradali, e assolutamente le stesse, queste caratteristiche, (anche nell’esposizione lessicale) del progetto “Bonifica” (un unico CD ROM all’origine……). Nel contempo la Regione si dotava di una Legge Regionale (la n. 15 del 9 agosto 2002) per “gestire in proprio” tutta l’operazione, con incongruenze evidenti a tutti rispetto alla normativa e alla procedura sulle opere pubbliche prevista dalla Legge Merloni. E’ in questo contesto che il bando di gara approvato l’11 novembre 2002 dalla Regione Veneto veniva a naufragare grazie a un ricorso (vincente) al TAR del 4
Veneto (presentato nel gennaio 2003 da tre amministrazioni comunali del vicentino (Nove, Sandrigo e Montecchio Precalcino) e dalla Legambiente Regionale. Il TAR annullava infatti il bando di gara con Sentenza n. 680/04. 2004-…..: IL 3° PROGETTO AUTOSTRADALE (ORA IN CORSO). Va premesso che neanche il tentativo di costruire la “Pedemontana Ovest” (dalla A31 a nord di Dueville, a Montecchio Maggiore sulla A4 per un tracciato di 30 chilometri) avrà fortuna. In quel caso l’assegnazione statale era stata data “a concessione diretta” (cioè senza gara) alla Società “Padova-Brescia” (“Serenissima”) con la motivazione che si trattava di una piccola bretella autostradale (30 chilometri!) fra la A4 (Milano-Venezia) e la A31(Valdastico), entrambe controllate nei tratti di innesto dalla società “Serenissima”. La Corte di Giustizia Europea, nel settembre 2003 (quasi in contemporanea alla decisione del TAR sul tratto est…), bocciava la “concessione diretta” data alla “Serenissima”. E’ in questo contesto che nasce il 3° attuale tentativo di fare sempre un’autostrada (negando ancora ogni ipotesi, prevista pure dalla legge, di tipo superstradale). Il 31 dicembre 2003 viene presentato, sempre dalla “Pedemontana Veneta S.P.A.” un altro “project financing”; questa volta per tutto il tracciato (sia est che ovest: 95 chilometri). Un casello in più in provincia di Treviso (da 3 a 4), e sostanzialmente la stessa cosa del tentativo precedente: un’autostrada che, come in modo molto chiaro viene detto dagli stessi promotori e dalla Regione Veneto, sarà un punto importante per la realizzazione del cosiddetto “Corridoio n. 5” Lisbona-Kiev. Un’opera di carattere internazionale che, appunto, per esplicita ammissione dei proponenti, nulla ha a che vedere con le necessità dell’ingolfato traffico del Veneto pedemontano. In tal senso merita ricordare che, nella relazione sulle “caratteristiche del servizio e della gestione”, fin dall’inizio si premette che “l’opera ha una estesa di 94,9 chilometri dall’allacciamento con la A4 Torino-Trieste, tra gli svincoli di Montebello e Montecchio, e l’allacciamento con la A27 Venezia-Belluno, tra lo svincolo di Treviso nord e l’area di servizio Piave, e presenta caratteristiche geometriche di tracciato e di sezione conformi alla categoria A, autostrade, ambito extraurbano, con piattaforma di larghezza complessiva pari a 25 m……………. Conseguentemente i criteri di gestione e le caratteristiche del servizio che il promotore, in caso di successo, si impegna a porre in essere attraverso la Società (concessionaria) saranno di tipo autostradale”. Secondo la proposta del promotore, il costo complessivo dell’investimento risulta pari a M€ 1.989,688. Il contributo pubblico in conto capitale richiesto dal promotore era di M€ 487,00 + IVA. Non disponendo la Regione Veneto di tale somma, ma solo di M€ 243,75, derivanti dal cumulo dei finanziamenti statale e regionale sopra citati, veniva escogitata la seguente soluzione, grazie anche alla consulenza offerta alla Regione dalla Società Infrastrutture S.p.A. (ISPA): Il contributo pubblico in conto capitale viene ridotto a 243,75 M€ + IVA nella prima fase di progettazione e costruzione dell’opera. La Regione Veneto si impegna però ad erogare un contributo in conto esercizio di 20,40 M€ + IVA annui per un periodo di 30 anni a partire dalla data di entrata in esercizio della superstrada, vincolato al volume di traffico che l’infrastruttura farà registrare. In particolare, l’intera somma 5
sarà dovuta nel caso in cui il volume di traffico sarà inferiore a 840 milioni di veicoli x km annui, mentre nulla sarà dovuto per un volume di traffico pari a 1.200 milioni di veicoli x km annui; per volumi di traffico compresi tra il minimo ed il massimo sopra citati, la Regione Veneto erogherà un finanziamento proporzionale al volume di traffico rilevato. Tale meccanismo è descritto nell’allegato A alla D.G.R. n.3858 del 3 dicembre 2004 che ha dichiarato di pubblico interesse la proposta del promotore ed è previsto all’art. 14 della convenzione riportata nell’allegato B alla medesima deliberazione. Al riguardo, non si può non rilevare come le disponibilità del bilancio regionale coprano appena il contributo in conto capitale richiesto per la fase di progettazione e costruzione dell’infrastruttura. Viceversa, il contributo in conto gestione, pure previsto in convenzione e che potrebbe raggiungere nei 30 anni la somma massima di 612,00 M€, non trova alcuna copertura nel medesimo bilancio. In proposito si veda la dichiarazione di Andrea Ripa di Meana, amministratore delegato di Infrastrutture S.p.A., riportata nel Sole 24 ore del 27/2/05, secondo cui “ il concedente........può evitare di iscrivere a debito quelle somme” confidando nelle proprie previsioni di maggior traffico. La “scommessa” della Regione Veneto di non dover corrispondere il contributo in conto esercizio appare però contraddetta da quanto espresso dal concessionario al 7° capoverso dell’art. 14 della citata convenzione, ove “ si prende atto che l’importo del contributo annuo di 20,4 M€ corrisponde alla rata trentennale di un finanziamento di 279,274 M€ previsto nel piano economico-finanziario alla voce Finanziamento Junior”. Lo stesso promotore, d’altra parte, avrebbe rinunciato al contributo pubblico inizialmente richiesto di 487,00 M€, accettando esattamente la metà dello stesso, ovvero 243,00 M€, nell’evidente certezza di poter ricevere il contributo in conto gestione. In buona sostanza, mentre il contributo in conto gestione consentirà al concessionario di poter accedere ad un finanziamento di 279,274 M€, il costo effettivo per l’Ente Pubblico sarà di 612,00 M€ ( cioè 20,4 M€ per 30 anni). Tale meccanismo genererà un debito pubblico futuro ( fuori bilancio) di pari entità. Tutto ciò, oltre a contrastare con i principi di veridicità e universalità del bilancio, appare violare il c.d. Patto di stabilità e, in particolare, l’art. 1 c. 23 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 ( legge finanziaria statale 2005 ) in quanto si occultano delle spese, pur se previste nella convenzione, in modo che non concorrano al superamento del limite di incremento di spesa consentito dalla citata norma. Destano inoltre perplessità altri aspetti del rapporto fra concedente e concessionario, desumibili dalla documentazione allegata alla presente nota: - nella valutazione dei flussi di traffico determinanti ai fini dell’attribuzione del contributo di gestione non si precisa se le cifre indicate si riferiscono a veicoli reali o equivalenti. - non si indica mai chi “certificherà” i flussi di traffico. Sarebbe opportuno fosse un soggetto “terzo e indipendente”. - la convenzione e il meccanismo del finanziamento in conto gestione appaiono legati ai flussi di traffico e conseguentemente ai ricavi e non ai costi sostenuti dal concessionario. 6
- l’adeguamento tariffario di cui all’art. 7 della convenzione prevede un incremento pari al tasso reale d’inflazione aumentato del 10%. Tale ultimo aumento sembra costituire un autentico “regalo” al concessionario in quanto, normalmente, con il sistema di price-cap si prevedono aumenti inferiori al tasso d’inflazione e ciò per stimolare miglioramenti di efficienza che dovrebbero essere trasferiti agli utenti. - non appare giustificato il fatto che nel calcolo relativo all’eventuale conguaglio di cui all’art. 14 della convenzione i proventi da pedaggio di competenza del concessionario siano sempre calcolati al netto di imposte e detrazioni dovute ad ogni titolo, presenti e future. Tali osservazioni hanno costituito oggetto di un esposto presentato dal WWF Italia a Eurostat e all’Autorità di vigilanza sui Lavori Pubblici in data 22/6/05. L’Autorità, al termine di una lunga istruttoria che ha comportato anche un’audizione delle parti interessate in data 9 marzo 2006 e che riconosceva la fondatezza di molte censure avanzate dal WWF, decideva…..di non decidere! Il WWF, sorpreso da tale assurda conclusione, ha segnalato il fatto al Ministro Di Pietro con nota prot. DG584/06 dell’8 agosto 2006, senza a tutt’oggi avere riscontro. Nel frattempo l’Amministrazione regionale ha portato avanti le procedure continuando a “trattare” con il promotore, accettando tutte le sue richieste. Dopo una incredibile procedura di valutazione di impatto ambientale a livello regionale (tempo dedicato dalla Commissione regionale VIA all’esame di oltre 270 osservazioni pervenute da enti e da privati: 1 ora e mezza circa!),il progetto preliminare dell’opera è stato approvato dal CIPE in data 29/3/06. Cosa sia stato approvato non è ben chiaro, dal momento che la relativa deliberazione è stata depositata solo in data 4/8/06 e pubblicata in data 23/9/06. In data 29/05/06 cambia la compagine sociale del promotore: entrano IMPREGILO, CONSORZIO CPS ( Presidente Piergiorgio Baita) e altri Soci minori. Con D.G.R. n. 2533 del 7 agosto 2006, adottata prima ancora della pubblicazione in G.U. della delibera del CIPE, è stato confermato il pubblico interesse della proposta presentata da Pedemontana Veneta S.p.A. con ulteriore aggiornamento della originaria proposta e della bozza di convenzione. Superfluo dire che gli aggiornamenti in questione sono a tutto vantaggio del promotore e che non è ancora risolto il problema della mancanza di risorse pubbliche per far fronte agli impegni contrattuali da assumere. Ciò in contrasto con molteplici sentenze della Corte dei Conti citate dall’Autorità Vig. LLPP nella sua relazione GE 624/05 preordinata alla sopra citata audizione. Con D.G.R. n. 3185 del 17 ottobre 2006 è stata indetta la gara con approvazione del relativo bando. Il WWF Italia con nota prot. DG947/06 del 20 novembre 2006 ha presentato un ulteriore esposto al Ministro Di Pietro con alcune osservazioni. Al riguardo, si aggiunge solo che la Regione ha assegnato un termine (49 giorni) per la presentazione delle candidature assolutamente insufficiente, data la complessità dell’opera e in contrasto con le assicurazioni date dall’ing. Fasiol alla fine della nota prot. 847379/45.00 del 15 dicembre 2005. In conclusione tutta la vicenda sopra descritta evidenzia un comportamento della Regione di evidente e smaccato favore per l’attuale promotore.
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11 dicembre 2006
sebastiano malamocco
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