Bp

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1. Il business plan: considerazioni preliminari. Il business plan (o piano d’impresa) analizza e valuta un’attività imprenditoriale da intraprendere o il programma di sviluppo di un’impresa già esistente per limitarne il rischio imprenditoriale.i Il business plan è composto – in linea di massima – da due macrosezioni: l’una focalizzata sugli aspetti “descrittivi” dell’impresa, l’altra incentrata su analisi quantitative e sui i bilanci previsionali.ii A corredo sono, poi, previste una presentazione sintetica, una sezione dedicata alle conclusioni ed un’altra relativa ai documenti di supporto. Tab. 1 Moduli componenti il business plan 1. presentazione sintetica 2. piano di marketing. 3. piano di vendita 4. piano di produzione 5. piano dei costi generali 6. piano delle immobilizzazioni 7. piano del fabbisogno finanziario 8. prospetto dei flussi di cassa 9. conto economico stato patrimoniale 10. analisi del punto di pareggio 11. conclusioni 12. allegati Se l’azienda presenta una certa complessità, è opportuno dedicare una ezione specifica agli aspetti organizzativi, altrimenti, ne va fatta menzione nel piano di marketing.iii Al piano d’impresa va allegato ogni altro documento utile per arricchirne il contenuto.iv 2. La presentazione sintetica del piano d’impresa. La sintesi del business plan chiarisce il progetto imprenditoriale, specificandone elementi di vantaggio economico e competitivo.

In questa parte, vanno descritti, in modo sintetico e essenziale, l’impresa, i prodotti/servizi offerti – enfatizzandone i principali punti di forza rispetto ai concorrenti – ed i traguardi economico-finanziari attesi. Per il business plan di aziende avviate, vanno descritte le caratteristiche dell’impresa (ubicazione e storia aziendale, principali dati economico-finanziari consuntivi); per le aziende di nuova costituzione, tale capitolo esplicita le competenze dello staff imprenditoriale. 3. Il piano di marketing. Il piano di marketing descrive l’output aziendale e ne specifica le caratteristiche (prezzo, gamma, servizi correlati, tempi di consegna, immagine, canali distributivi ed accordi di commercializzazione), alla luce dell’evoluzione delle quote di mercato (dimensioni e prospettive di sviluppo,

gli eventuali

fenomeni di ciclità/stagionalità, ecc.): questa sezione del business plan serve per predisporre il piano di vendita, che costituisce, come si vedrà, la base delle analisi in ambito economico e finanziario. Il piano di marketing affronta, infine, come l’output aziendale raggiunge i potenziali clienti e spiega come sono state svolte le ricerche di mercato: un buon piano di marketing è essenziale per il successo dell’attività imprenditoriale. v Il piano di marketing, secondo PINSON – JINNETT (2002), studia il mercato di riferimento (target), i concorrenti, i metodi di distribuzione, l’attività promozionale, i prezzi, il design del prodotto, la scelta dei tempi di ingresso sul mercato, l’ubicazione dell’attività economica, le tendenze del settore. Il mercato di riferimento (target) è dato dal gruppo omogeneo di clienti dotati di certe caratteristiche comuni che li caratterizza come potenziali clienti dell’azienda.

Studiare i propri concorrenti aiuta a pianificare il proprio ingresso sul mercato, perché quantifica la quota di mercato gestita da costoro e valuta l’opportunità di ritagliarsi una specifica nicchia. vi La distribuzione – secondo PINSON-JINNETT (2002,46-47) – è il sistema con cui i prodotti sono fisicamente consegnati al cliente ed i servizi sono messi a sua disposizione; la distribuzione è legata al mercato target.vii In sintesi, bisogna spiegare come si intende promuovere il proprio business e trasmettere ai propri clienti il messaggio che l’output dell’impresa è desiderabile. L’ingresso nel mercato va collegato alla pianificazione dell’attività promozionale: PINSON - JINNETT (2002, 48-53) ne classificano vari tipi. La pubblicità tabellare rappresenta la pubblicità effettuata tramite mass media (radio, televisione, organi di stampa) o mediate annuari di settore: il rapporto con la stampa dà visibilità all’azienda.viii La pubblicità diretta effettuata tramite corrispondenza (direct mail) prevede l’invio di messaggi pubblicitari al domicilio del potenziale acquirente.ix Un’ultima opzione per svolgere attività promozionali è la partecipazione ad eventi pubblici, a mostre, fiere e convegni di settore ovvero alla sponsorizzazione di enti privi dello scopo di lucro.x La confezione ed il design del prodotto sono fondamentali per l’appetibilità dell’output sul mercato, perché sono elementi che colpiscono, in prima battuta, il potenziale cliente (la confezione attira l’attenzione del pubblico), anche se bisogna rispettare i requisiti imposti nel caso di etichette e confezioni.xi La scelta dei tempi d’accesso al mercato serve a pianificare al meglio il grado di ricettività del consumatore all’output aziendale. xii

Se la scelta dell’ubicazione è legata al mercato target, essa va affrontata nel piano di marketing: le camere di commercio, gli uffici urbanistici comunali possono fornire informazioni utili a riguardo.xiii È opportuno prevedere la potenziale evoluzione del mercato target perché l’impresa sappia recepire gli eventuali cambiamenti nel settore: analizzando il sistema economico, con pubblicazioni specialistiche, si possono desumere i trend di settore.xiv Gli elementi economici del piano di marketing vanno distinti in due gruppi: il prezzo di cessione del prodotto/servizio fornito dall’impresa e gli altri elementi economici (tempi e modi di pagamento dell’output aziendale, costi informativi, gli oneri di istallazione, costi di eventuali prodotti/servizi accessori, ecc.). Secondo PINSON – JINNETT (2002, 52), bisogna esplicitare il valore dell’output dell’impresa come benefit esclusivo al fine di farne conoscere il valore d’uso ai potenziali acquirenti: le decisioni di prezzo sono le più difficili scelte di marketing, perché considerano elementi, come i costi di produzione, gli obiettivi di profitto, la fase del ciclo di vita del prodotto, la congiuntura economica, l’elasticità della domanda al prezzo, il comportamento dei concorrenti, ecc. Secondo PINSON – JINNETT (2002, 51), di solito, il prezzo di vendita è fissato tra il costo più alto che i consumatori sono disposti a pagare per l’output ed il valore, che permette di coprire tutti i costi di produzione e distribuzione (compresi interessi passivi, spese generali, imposte ed un certo margine di utile). Collocandosi tra tali parametri si ha un margine sufficiente a concedere sconti e, assorbire eventuali insolvenze e resi su vendite. Secondo PAROLINI (1999), la politica dei prezzi è un fattore di successo per l’impresa e va ancorata a solide analisi di mercato ed ad attendibili previsioni

economiche e finanziarie: il prezzo di vendita sintetizza tutti i fattori idonei ad influenzare un determinato scambio economico. 4. Il piano di vendita. Svolta la ricerca di mercato, è agevole elaborare le previsioni di vendita: i risultati del piano di marketing servono per la stesura del piano di vendita, che fissa i quantitativi di output da commercializzare. Le previsioni di vendita risentono dell’analisi della strategia di vendita (programmi e informazioni di dettaglio) esplicata con grafici e tabelle per facilitarne la lettura. In tale ambito, va gestito, in modo ottimale, il database collegato al processo degli ordini, alla luce di variabili fondamentali come prezzi, modalità distributive e condizioni accessorie di vendita: i prezzi di vendita sono fissati con le tecniche di calcolo proprie dell’analisi del punto di pareggio (break even point), che, come si vedrà, quantifica il valore dell’output idoneo a coprire i costi totali di produzione. Le modalità distributive riguardano gli strumenti concreti adottati per far avere al cliente il prodotto compravenduto, mentre con le condizioni accessorie si associano servizi ausiliari all’impiego della merce ed elementi a favore del cliente (customer care e customer satisfaction). A proposito, PAROLINI (1999, 102-103) individua tre categorie di servizi accessori: i servizi prevendita favoriscono l’acquisto, mentre i servizi legati alla transazione concorrono a definire le modalità di offerta ; i servizi post vendita, infine, prevedono interventi di manutenzione e riparazione di prodotti difettosi, servizi di assistenza telefonica con i cosiddetti “numeri verdi” e/o assistenza telematica on line. 5. Il piano di produzione. Il piano di produzione descrive l’organizzazione produttiva dell’impresa, ossia gli elementi ed i processi tecnologici deputati alla produzione e, spesso,

rappresenta la parte principale dell’apparato aziendale, ossia le risorse materiali (impianti, macchinari), immateriali (brevetti, know how) ed umane (personale) che permettono all’azienda di produrre. xv Ai fini della stesura di questa parte del business plan, è fondamentale definire l’apparato produttivo nei suoi minimi dettagli: in concreto, si tratta di elencare le attrezzature da acquisire e di indicare i tempi, i modi ed i costi necessari per la sua predisposizione. xvi Le principali scelte in materia sono la selezione dei macchinari adibiti al processo produttivo ed ogni altra decisione relativa al loro utilizzo (layout degli impianti, grado di intensità di capitale e di automazione dei processi produttivi, gestione delle scorte, metodi di programmazione della produzione, ecc.), anche se, prima di allestire la struttura produttiva, occorre decidere se sia più opportuno svolgere tali attività all’interno dell’azienda (make), acquisire dal mercato gli elementi necessari (buy), oppure configurare una partnership con operatori esterni all’impresa, soggetti alla supervisione di quest’ultima (connect).xvii Le scelte in esame (make, buy or connect) possono, peraltro, riguardare ogni attività o risorsa aziendale: bisogna in primis considerare il costo unitario di fabbricazione ed il prezzo d’acquisto di mercato. Se il primo elemento è maggiore del secondo è meglio trasferire all’esterno l’attività o la risorsa aziendale, a meno che la stessa sia strategica (e si voglia controllare direttamente tale attività).xviii La scelta di esternalizzare (ossia di “produrre fuori” dall’impresa) consente di utilizzare strutture produttive già predisposte da altri e di snellire la struttura dei costi aziendali: tale opzione è adatta, in via transitoria, alle fasi di avvio dell’attività e sarà rivisitata, dopo aver stabilizzato il fatturato, a favore di una politica di investimenti in immobilizzazioni. xix

Conviene internalizzare (ossia “produrre dentro l’impresa”) se la capacità produttiva disponibile è notevole e/o quando non è possibile reperire presso terzi le merci necessarie a saturare la domanda di propri beni/servizi.xx Un ultimo aspetto del piano di produzione riguarda le scelte di localizzazione valutate alla luce dei dati censiti in merito alla popolazione del mercato target.xxi 6. Il piano dei costi generali. In funzione del tipo e delle caratteristiche dell’impresa considerata, si individuano e si quantificano tutti i costi necessari al funzionamento della struttura aziendale. Quando si considerano i costi in prospettiva previsionale, come nel caso di un business plan, va considerata la loro afferenza o meno all’attività tipica dell’impresa: si hanno, così, costi tipici (o caratteristici) e costi extracaratteristici (a loro volta, distinti in oneri finanziari e costi legati all’imposizione fiscale). In relazione all’attività tipica, è importante distinguere i beni a fecondità semplice, che danno utilità in un solo esercizio amministrativo, dai beni a fecondità ripetuta, che forniscono utilità in una pluralità di esercizi amministrativi. Nella prima categoria rientrano il costo del lavoro, dei servizi e dei materiali; nell’altra fanno parte le immobilizzazioni (il cui valore concorre pro quota a formare il reddito tramite l’ammortamento): il costo di tali fattori produttivi determina il reddito degli esercizi in cui tali risorse sono consumate. Nell’analisi costi-volumi-risultati si ipotizza che – per piccole quantità di output – esista una relazione lineare (crescente) tra costi variabili e volumi di vendita e ciò corrisponda ad una buona approssimazione della realtà.xxii Sono definiti costi fissi tutti gli esborsi sostenuti dall’azienda indipendenti dal volume di output prodotto e venduto (come gli affitti, le quote d’ammortamento, i

costi di pubblicità e le manutenzioni): anche in questo caso, si ipotizza che i costi fissi siano costanti qualunque sia la produzione realizzata.xxiii I costi totali della gestione caratteristica sono ottenuti sommando costi fissi e costi variabili. I costi fissi della gestione caratteristica vanno distinti in due categorie: i costi fissi di struttura ed i costi fissi di sviluppo. I primi sono connessi alla capacità produttiva (come le spese amministrative, i costi del lavoro e gli altri oneri non proporzionali ai volumi di output); gli altri invece, servono a sostenere lo sviluppo aziendale futuro e variano più facilmente dei costi di struttura perché slegati dalla capacità produttiva (si tratta, in questo caso, dei costi di ricerca e sviluppo, degli oneri di formazione del personale e di gran parte dei costi di marketing). La riduzione dei costi di sviluppo, nel breve termine, riduce i costi fissi totali e fa aumentare il reddito, ma, nel medio/lungo periodo, la loro assenza impedisce la crescita dell’azienda, sotto forma di perdita di immagine (connessa ai minori investimenti pubblicitari) e/o mancanza di nuovi prodotti (conseguente al risparmio nelle spese di ricerca e sviluppo), da cui derivano potenziali riduzioni delle vendite future. 7. Il piano delle immobilizzazioni. Il piano delle immobilizzazioni individua i beni aziendali la cui utilità si protrae oltre l’anno d’acquisizione ed il cui costo si ripartisce, in quote, in funzione della loro vita utile.xxiv Il piano degli investimenti programma, infatti, gli acquisti di capitale fisso/immobilizzato, distinti in tre categorie: •

immobilizzazioni immateriali, ossia oneri pluriennali (costi di costituzione

societaria, costi di ricerca, sviluppo e pubblicità) e costi d’acquisizione di beni immateriali, come brevetti, marchi e diritti di sfruttamento di opere dell’ingegno,xxv



immobilizzazioni materiali, ossia impianti, immobili, attrezzature, macchinari,

automezzi, terreni e fabbricati, •

immobilizzazioni finanziarie, ossia strumenti finanziari capaci di assicurare il

controllo di aziende (partecipazioni) e diritti di credito verso altre imprese (crediti), destinati a essere detenuti per periodi di tempo medio/lunghi.xxvi Secondo PAROLINI (1999, 169-171) chi avvia un’impresa non dovrebbe acquistare ciò che può noleggiare, mediante affitto e/o leasing vista la vasta gamma di cespiti che, di recente, è possibile acquisire a tale titolo. Se, infine, tale strada si rivela impraticabile, bisogna acquistare l’immobilizzazione, magari, ricorrendo al mercato secondario per acquistare un cespite usato: in tal caso, prima dell’acquisizione, vanno valutate le condizioni economiche del bene ed il suo grado di obsolescenza. Nel valutare il costo di ogni cespite, vanno considerate tutte le opportunità di risparmio, anche se conviene ottenere la proprietà dei cespiti quando l’attività collegata ai beni in esame è piuttosto complessa: se, ad esempio, il sistema informativo aziendale richiede l’impiego solo di alcuni personal computers si risolve il problema acquistando il software e l’hardware a tal fine necessari. Il piano degli investimenti descrive le caratteristiche tecniche dell’apparato produttivo aziendale ed informa in merito ai costi di acquisizione dei cespiti aziendali (e relativi oneri accessori) ed alla vita fisica, economica e tecnologica dei beni in argomento. Il prospetto in esame quantifica, inoltre, i costi di avviamento e di impianto di tali attività anche in riferimento alla formazione del personale ed alle spese di consulenza utili per la piena operatività degli investimenti in argomento. 8. Il piano del fabbisogno finanziario: la fattibilità finanziaria.

Il piano del fabbisogno finanziario riassume le necessità finanziarie dell’apparato aziendale e stima le risorse necessarie affinché l’impresa funzioni e si sviluppi. Gli impieghi aziendali si distinguono in due categorie: capitale circolante (crediti verso clienti e scorte) ed immobilizzazioni; le fonti si differenziano in passività di funzionamento, ossia i debiti verso i fornitori, e passività di finanziamento. Secondo PAROLINI (1991, 208-209), il capitale circolante e le immobilizzazioni sono investimenti coperti in parte dalle passività di funzionamento che, per il residuo, generano un fabbisogno finanziario. Si fronteggia tale necessità, conferendo nell’azienda capitale proprio (apportato a titolo di rischio) e/o indebitandosi presso terzi (capitale di credito). xxvii Inoltre, le necessità finanziarie dell’impresa possono essere coperte mediante risorse autonomamente generate dalla gestione aziendale (autofinanziamento).xxviii È buona regola finanziare gli investimenti a medio/lungo termine (le immobilizzazioni) con fonti di capitale permanente (capitale proprio e forme tecniche di indebitamento a media/lunga scadenza) e l’attivo circolante (la restante parte degli impieghi aziendali) con fonti finanziarie aventi scadenza nel breve periodo (passività correnti).xxix Tale opportunità permette all’impresa di allocare i fabbisogni finanziari, generati dalle attività aziendali, con fonti finanziarie (passività) aventi analogo orizzonte temporale. Gestendo nel modo suddetto il fabbisogno finanziario, si raggiunge un equilibrio strutturale tra fonti ed impieghi favorevole alla complessiva gestione aziendale. Si precisa, infine, che il ricorso all’indebitamento finanziario – passività di finanziamento – origina oneri finanziari che contribuiscono alla crescita dei costi aziendali.

Le immobilizzazioni sono la causa principale del fabbisogno finanziario perché rappresentano impieghi durevoli di ricchezza aziendale (e, quindi, sono difficilmente monetizzabili nel breve periodo) necessarie a produrre ricavi in un orizzonte temporale piuttosto lungo. In genere, è più difficile stimare il fabbisogno di capitale circolante netto. Quest’ultima variabile è data dalla somma algebrica di impieghi e fonti finanziarie collegate, in modo (quasi) automatico, alla gestione tipica dell’impresa. Il capitale circolante netto operativo (working capital) corrisponde alla risultante algebrica delle seguenti voci dello stato patrimoniale: •

crediti vs. clienti (al lordo delle voci scontate in banca ed anticipi factoring),

magazzino prodotti finiti, in lavorazione e materie prime, anticipi a fornitori •

debiti verso fornitori, debiti verso dipendenti e collaboratori esterni (per salari

da corrispondere ecc.), escluso il TFR, e debiti tributari di natura ricorrente (IVA, INPS, ecc.).xxx Il working capital comprende le poste circolanti relative alla gestione tipica ed esclude le attività e le passività connesse alla gestione finanziaria.xxxi Il capitale circolante operativo netto è l’unica grandezza rilevante ai fini del fabbisogno previsionale di finanziamenti (la differenza tra attivo e passivo corrente include voci di gestione finanziaria destinate alla copertura del fabbisogno in esame, come, ad esempio, dei conti correnti bancari passivi e degli altri finanziamenti a breve termine). In realtà, anche i crediti verso i clienti e le scorte determinano un fabbisogno finanziario durevole perché i costituenti di tali poste si rinnovano nella loro composizione, ma permangono come categoria nel bilancio dell’impresa, quali elementi necessari per la sua esistenza ed operatività. Lo stesso accade ai debiti verso i fornitori, che, nella loro totalità, rappresentano una fonte durevole, ma, a

livello di singolo debito, sono valori di breve termine. Così, a livello di terminologia, è più corretto definire “circolanti” le poste in esame attività e passività poiché si rinnovano nella loro composizione, anche se permangono come categoria. Se è auspicabile che la differenza tra attività a breve e passività a breve sia elevata per garantire all’impresa abbondanti risorse liquidabili, è, al pari, opportuno che il working capital sia più basso possibile per ridurre il fabbisogno finanziario derivante da quest’ultimo. Il capitale circolante netto operativo è influenzato dal giro d’affari a causa della relazione esistente tra crediti vs. clienti e fatturato di vendita come, di seguito, formulata: crediti vs. clienti = (vendite / 365 x giorni medi di pagamento) x (1 + aliquota IVA). Anche gli acquisti sono legati alle vendite da una relazione diretta (ad un maggiore quantitativo di acquisti corrisponde una fatturazione attiva più elevata); i debiti verso i fornitori (DvF) sono desumibili dalla seguente formalizzazione: DvF = (acquisti / 365 x giorni medi di pagamento) x (1 + aliquota IVA).xxxii Il working capital è, inoltre, influenzato dalla durata del ciclo finanziario delle operazioni (tempo medio di incasso dai clienti + giorni medi di magazzino – tempo medio di pagamento dei fornitori).xxxiii Il fabbisogno finanziario è legato, infine, alla capacità di autofinanziamento: se l’azienda non distribuisce gli utili conseguiti, può avvalersi di un’ulteriore fonte finanziaria, parte integrante del patrimonio netto, che concorre alla copertura degli impieghi e che riduce, a parità di condizioni, la necessità di cercare finanziamenti esterni (debiti o di capitale proprio). Se, viceversa, la gestione genera perdite, si riduce il patrimonio netto ed aumenta il fabbisogno finanziario.

9. Le previsioni economiche e finanziarie. Un business plan completo deve elaborate le conseguenze economiche e finanziarie del progetto imprenditoriale, in virtù degli stretti legami esistenti fra scelte strategiche, presentate nella parte descrittiva, e valori esplicitati nella sezione quantitativa, in quanto il documento in esame

si focalizza su una

dimensione temporale futura: ciò che conta è la capacità di definire le “scelte aziendali di domani”, che, dal passato, traggono forza e insegnamento, ma che manifesteranno i loro effetti nel futuro. Un’iniziativa imprenditoriale è fattibile dal punto di vista economico e finanziario se – in tempi ragionevolmente brevi – raggiunge un equilibrio reddituale e finanziario, permettendo di ottenere valori “sufficientemente positivi” nell’utile netto e nei flussi finanziari prodotti.xxxiv Secondo MAZZOLA (2003, 161), il piano d’impresa deve contenere un insieme credibile e completo di prospetti economici, patrimoniali e finanziari che offrano una stima, in piena coerenza con le caratteristiche del progetto strategico esposto, delle prospettive legate al modello di business prescelto e che forniscano tutti i dati impiegati per calcolare le performance attese. La strutturale incertezza che caratterizza le previsioni, inoltre, suggerisce di procedere a periodiche revisioni delle elaborazioni quantitative del piano, con frequenza superiore a quella riservata alla parte qualitativa del progetto strategico.xxxv Secondo MAZZOLA (2003, 164), la stima delle prospettive economiche e finanziarie presuppone l’elaborazione di conti economici previsionali, la predisposizione di stati patrimoniali proforma ed il calcolo dei flussi di cassa attesi per il periodo di piano. L’obiettivo delle analisi in argomento è la costruzione di modelli di simulazione capaci di collegare, tra loro, il maggior numero di voci contabili

mediante formule matematiche, al fine di valutare l’incidenza delle varie ipotesi in merito all’ambiente esterno e/o al piano d’impresa. Le ipotesi sul futuro sono soggette a forme di volatilità nei risultati, ma, tuttavia, è impossibile gestire un'azienda senza fare delle previsioni sul futuro. I rendiconti economici e finanziari di seguito presentati sono rendiconti pro forma che mostrano le previsioni di futura redditività dell’azienda; infatti, ogni business plan deve contenere i seguenti rendiconti pro forma: rendiconto del cash flow, conto economico triennale, stato patrimoniale preventivo ed analisi del punto di pareggio.xxxvi 10. Il prospetto dei flussi di cassa attesi (cash flow previsionale). Il piano dei flussi di cassa attesi (cash flow previsionale) si compone di due parti (l’una denominata prospetto degli impieghi di cassa, la seconda chiamata prospetto delle fonti di cassa) che evidenziano i flussi finanziari futuri in entrata ed in uscita dall’impresa in esame. Il rendiconto in esame è il documento che proietta il significato del business plan in termini di liquidità futura ed è una previsione che può essere impiegata per pianificare e stimare quanto denaro entrerà ed uscirà, nell’arco di un certo periodo temporale, all’interno della singola azienda.xxxvii Il prospetto del cash flow previsionale presenta la distribuzione, nell’intervallo considerato, della liquidità generata (o assorbita) dalla gestione aziendale e delinea il processo degli incassi e dei pagamenti nel loro concreto avvicendarsi nel tempo: con tale prospetto si controlla l’andamento prospettico dei flussi finanziari tramite la contrapposizione delle entrate e delle uscite monetarie e, dalla loro differenza, si ottiene il saldo netto mensile. Secondo PINSON–JINNETT (2002, 69- 70), il rendiconto del cash flow andrebbe preparato su base mensile per quel che riguarda il successivo anno solare e

dovrebbe essere rivisitato trimestralmente affinché lo stesso possa adeguatamente considerato efficace ad un livello operativo.xxxviii Le spese che l’azienda deve sostenere sono coperte mediante le disponibilità liquide, il conseguimento dei ricavi di vendita, la monetizzazione di altri proventi (come gli interessi attivi sugli investimenti), il denaro preso in prestito da terzi finanziatori (come le banche) e quello ottenuto da chi conferisce capitale proprio. Il prospetto in esame poggia le sue fondamenta sulle informazioni desumibili dalle precedenti sezioni del business plan. A livello più strettamente operativo, si esplicita il contenuto del prospetto degli impieghi di cassa e di quello delle fonti finanziarie: il primo è il documento che identifica le principali voci di spesa e quantifica l’ammontare di contante relativo ad ogni singola uscita finanziaria, utilizzando le informazioni suddette relative ai vari aspetti della gestione aziendale (acquisti, scorte, costi variabili e costi fissi). Il prospetto delle fonti di cassa, invece, registra il flusso di denaro che entra nell’azienda ed aiuta a stimare sia la quantità di tali introiti sia la relativa fonte di provenienza (oltre alla specifica distribuzione temporale dei flussi in esame): per la redazione di questo documento bisogna considerare le disponibilità liquide presenti presso le casse sociali (e le banche con cui l’impresa intrattiene rapporti di conto corrente), i ricavi previsti, le attività liquidabili, il flusso di risorse derivante da altri possibili finanziatori ed investitori ed il capitale netto conferito. La risultante di questo prospetto è la mappa di tutte le reali possibilità di aumentare le risorse finanziarie aziendali. Il prospetto del cash flow è diviso in colonne, ciascuna delle quali riporta i dodici mesi dell’anno e una colonna che presenta il totale; in orizzontale il rendiconto presenta tutte le fonti e gli impieghi si cassa e le cifre inserite nelle relative caselle sono desumibili dai prospetti precedenti e dai singoli piani di

sviluppo. Tali cifre rappresentano la previsione mensile del flusso di cassa in entrata ed in uscita nell’arco di un anno. La somma tra la disponibilità iniziale di contante e le previsioni delle entrate di cassa del mese determina il totale delle disponibilità di cassa nel mese; fatta, poi, la somma tra tutte le uscite del mese, si ottiene il totale degli impieghi di cassa. Sottraendo il totale degli impieghi di cassa dal totale delle disponibilità, si ottiene saldo mensile di cassa: tale valore finale diventa, a sua volta, il valore iniziale del mese successivo. Il processo si ripete per tutti i mesi dell’anno. Il saldo di cassa iniziale di gennaio deve essere registrato nel primo spazio della colonna “totale” , mentre le cifre mensili di ogni voce devono essere sommate orizzontalmente ed il risultato va trascritto nella corrispondente casella della corrispondente colonna totale. La colonna totale è calcolata allo stesso modo dei singoli mesi; a quadratura, il saldo di cassa finale relativo al mese di dicembre è identico al saldo di cassa finale della colonna totale. Secondo PINSON-JINNETT (2002, 84), se l’attività è di nuova costituzione, le previsioni sono basate solo su ricerche di mercato e su i trend di settore; altrimenti, per le attività consolidate, è opportuno considerare anche i rendiconti economici e finanziari degli anni precedenti. Conviene estendere l’analisi a livello mensile per i primi due anni di redazione del business plan per monitorare meglio la scadenza delle transazioni finanziarie che, nell’anno, avvengono in momenti tra loro distinti e separati e richiedono, temporaneamente, disponibilità finanziarie ulteriori rispetto a quelle, altrimenti, strettamente necessarie per l’avvicendarsi dei cicli finanziari d’incasso e pagamento. Avendo stimato quanto contante sarà necessario per l’anno, è noto quali sono le fonti disponibili; successivamente, l’arco temporale va suddiviso in dodici mesi al fine di prevedere quando il contante sarà necessario affinché l’anno finanziario

proceda senza difficoltà. Bisogna fare le previsioni di fatturato mensile basate sul pagamento delle fatture, poi, si deve calcolare il costo delle materie prime, delle merci e tutti gli altri costi fissi e variabili sempre su base mensile.xxxix Rendiconto di cash flow previsionale - Riadattamento della fig. 6.6 PINSON-JINNETT (2002, 82-3). Totale Gennaio … Dicembre (anno1) (anno1) (Anno 2) (Anno 3) Saldo iniziale Entrate di cassa Ricavi di vendita Crediti a breve da incassare Interessi attivi Vendita di cespiti Totale disponibilità di cassa Uscite di cassa Costo delle merci da vendere Acquisti Materiali Manodopera diretta Costi variabili/diretti Pubblicità Trasporti Viaggi Costi fissi/indiretti Amministrazione Assicurazioni Locazioni Servizi Interessi passivi Imposte Altri impieghi Pagamenti attività a lungo Temine Pagamento debiti Emolumenti Totale uscite di cassa Saldo di cassa Prestiti da incassare Depositi di capitale Saldo di cassa finale

Un’accurata pianificazione finanziaria prevede la quantità di tali risorse e la loro collocazione temporale e sopperisce ad eventuali problemi presenti nel caso di sfasamenti temporali tra il sostenimento dei costi e il conseguimento dei ricavi ovvero in loro impreviste anticipazioni e/o posticipazioni. Il sostenimento anticipato dei costi rispetto all’incasso dei ricavi è, infatti, una costante del mondo imprenditoriale ed è fonte di addizionale fabbisogno di liquidità. L’analisi trimestrale di budget è il documento utilizzato per confrontare le previsioni fatte con il rendiconto del cash flow con le performaces reali dell’impresa: esso permette di sapere se le previsioni siano state, o meno, rispettate ed aiuta a tenere sotto controllo tutte le fasi operative dell’attività. Quando ci sono degli scostamenti rispetto al budget, è necessario stabilire i motivi dello scostamento ed adottare i cambiamenti necessari per ottenere il riallineamento.xl 11. La stesura (costruzione) dei bilanci preventivi. Dopo aver chiarito le cause della convenienza economica e finanziaria di un’impresa e le determinanti del fabbisogno finanziario, si possono inserire i valori nel bilancio previsionale: per rappresentare le possibili evoluzioni della situazione economico-finanziaria d'impresa si ricorre a una tecnica che consente di simulare i risultati aziendali, basandosi su informazioni facilmente reperibili. Il procedimento in esame parte dal fatturato e definisce tutte le variabili fondamentali della gestione fino a giungere al valore numerico delle principali poste del conto economico e dello stato patrimoniale: i passaggi descritti vanno ripetuti per tutti gli anni in cui si predispongono i bilanci previsionali (di solito, tra i 3 ed i 5).xli

Ove disponibile, la base di partenza è l'ultimo bilancio consuntivo disponibile, altrimenti ci si dovrà rifare a stime fondate su ricerche di mercato di aziende comparabili. Le previsioni riguardano le cinque aree gestionali fondamentali: la gestione operativa, le decisioni di investimento, le decisioni di finanziamento, i costi e ricavi finanziari, la gestione tributaria. La tecnica in esame distingue i dati della gestione tipica dagli altri valori presenti nei bilanci e procede, simultaneamente, all’elaborazione dello stato patrimoniale e del conto economico, sapendo che la gestione tipica comporta la nascita contestuale di costi e ricavi (da inserire nel conto economico) e di impieghi e fonti finanziarie (da inserire nello stato patrimoniale). In primis, s’ipotizza lo sviluppo del fatturato e, quindi, si definisce il valore delle altre variabili del processo di produzione, in particolare i costi variabili. La previsione delle vendite beneficia della capacità di stimare l’ammontare dei costi unitari e dei costi fissi di produzione connessi alla capacità produttiva (istallata e/o da predisporre), che – secondo PAROLINI (1999, 145-168) – influenza sia il fatturato sia le immobilizzazioni (gli ammortamenti sono definiti in relazione alle variazioni subite dal valore delle attività fisse conseguenti alle scelte di investimento). La tecnica più semplice per stimare i costi considera come punto di partenza i costi variabili di produzione e li esprime in proporzione percentuale al livello atteso delle vendite (produzione) in quanto, in assenza di importanti cambiamenti nella struttura produttiva, c’è una certa stabilità fra livello dell'output (vendite/produzione) e livello dei fattori produttivi. Le materie prime rappresenta in media una certa percentuale del fatturato, così i servizi di varia natura ecc (si tratta di approssimazioni, di ipotesi di massima, sufficienti per l’indagine).

Un caso specifico riguarda il costo del lavoro, che, in genere, è da considerare un onere fisso o semi-fisso: le sue variazioni possono essere significative, nel breve periodo, principalmente per la variazione dei livelli retributivi, per il ricorso a lavorazioni su più turni e per gli straordinari.xlii Valutando i dati relativi agli inputs variabili ed al costo del lavoro si determina il costo monetario del fatturato atteso, che è pari alla sommatoria di tutti i costi operativi di natura monetaria sostenuti dall'impresa per effettuare la produzione, rettificati dalla variazione delle rimanenze (da tale configurazione di costo sono esclusi i costi operativi non monetari, ossia gli ammortamenti e eventuali accantonamenti). Questo è un valore fondamentale del processo in esame con cui si determina il margine operativo lordo prospettico (che rappresenta il flusso monetario potenziale della futura gestione operativa). Determinato il margine operativo lordo, si è comprende quale sarà la potenzialità finanziaria della gestione operativa e si capisce se essa possa coprire le uscite per investimenti, la distribuzione di dividendi ed il pagamento delle imposte. In questa fase, il risultato economico è provvisorio in quanto non comprende i valori della gestione extracaratteristica (da un lato, costi e ricavi, e, dall’altro, impieghi e fonti finanziarie). Si passa, quindi, alle ipotesi sulle decisioni aziendali future: le prime decisioni riguardano gli elementi del capitale circolante (durata dei crediti, consistenza delle scorte, durata dei debiti verso fornitori ecc.), le altre riguardano gli investimenti in capacità produttiva (e, eventualmente, in attività finanziarie) e la distribuzione di utili. Dati i valori delle vendite e degli acquisti, si stimano le voci del working capital e, quindi, si giunge al risultato reddituale (provvisorio perché sono state immesse solo le voci contabili della gestione tipica), che va

inserito nel prospetto di stato patrimoniale (nell’attivo, se trattasi di una perdita, oppure, nel passivo, se trattasi di un utile). Definiti stabilmente i valori suddetti, si considerano i valori afferenti alle partite finanziarie e, quindi, le relative modalità di copertura del fabbisogno finanziario. Le decisioni in materia di finanziamenti per l'esercizio successivo generano un certo surplus o deficit finanziario di gestione che determina le variazioni nel fondo cassa e nei debiti a breve termine (oltre ai relativi interessi capitalizzati dalle banche). Ciò definisce il surplus o il deficit finanziario della gestione prima di scegliere le fonti di finanziamento per coprire i fabbisogni finanziari manifestati, alla luce, delle uscite per rate di mutui preesistenti ancora da pagare e, dell’accesso a fonti finanziarie a medio termine (nuovi mutui) oppure ad aumenti di capitale proprio. Se il totale delle fonti generate dalla gestione – compreso il risultato reddituale – supera gli impieghi caratteristici, occorre, in ogni caso, indicare l’ammontare dei mezzi propri, senza fare ricorso all’indebitamento. Analogamente, sarà determinato l’ammontare (provvisorio) del fabbisogno finanziario come differenza tra impieghi e fonti finanziarie generate dalla gestione tipica: secondo PAROLINI (1999, 180), il fabbisogno finanziario reputato eccessivo e/o il risultato economico giudicato insoddisfacente possono essere corretti, riconsiderando i dati della gestione tipica fino a determinare una soluzione accettabile. In realtà un certo fabbisogno finanziario può essere ridotto, migliorando il rapporto tra costi e ricavi (l’aumento di redditività accresce l’autofinanziamento) o riducendo gli impieghi. Se, invece, l’impresa presenta una liquidità eccedente, si gestiscono le fonti finanziarie in eccesso in vari modi: distribuendo utili, accumulando liquidità in

cassa e/o in impieghi fruttiferi (titoli, conti correnti bancari attivi, immobili da affittare), o, valutando l’opportunità di potenziare la struttura produttiva aziendale. In quest’ultimo caso, secondo PAROLINI (1999, 181) vanno indicati, fra i ricavi, i proventi derivanti dalla gestione patrimoniale, favorendo la crescita della liquidità disponibile e del risultato reddituale. Dopo aver inserito gli ulteriori elementi contabili, come le imposte e le partite straordinarie (plus/minusvalenze e sopravvenienze), si modifica il risultato reddituale ed il fabbisogno finanziario. Se quest’ultimo aumenta, bisogna aumentare le fonti di finanziamento finché non sia ristabilita l’equivalenza – tra fonti ed impieghi.xliii L’uguaglianza tra fonti ed impieghi di capitale implica la congruenza del bilancio previsionale, in quanto nel risultato reddituale sono sintetizzati tutte i costi ed i ricavi dell’anno e, se tutto quadra, tale risultato è lo stesso di quello determinato nello stato patrimoniale come variazione del patrimonio netto di periodo. Conto economico previsionale riclassificato secondo il criterio funzionale - Riadattamento della tavola 4.1 MAZZOLA (2003, 167). Anno 1 Anno 2 Anno 3 Ricavi lordi - sconti ed abbuoni =ricavi netti di vendita -Costo variali del venduto =margine di contribuzione (MdC) - costi fissi di struttura - costi fissi di sviluppo = margine operativo lordo (MOL) - ammortamenti ed accantonamenti =risultato della gestione caratteristica +/- proventi ed oneri extra caratteristici = risultato operativo (RO) +/- proventi ed oneri finanziari =risultato di competenza +/- componenti straordinari =risultato ante imposte - imposte =reddito netto

Infine, si definiscono i saldi bancari a breve termine e si completa il quadro dei dati necessari per la proiezione. Il conto economico triennale include i costi d’esercizio ed i redditi previsti: secondo PINSON-JINNETT (2002, 88-89), le informazioni utili per la compilazione di un conto economico triennale possono essere desunte dal rendiconto pro forma del cash flow e dalle precedenti sezioni del business plan. Stato patrimoniale previsionale – Riadattamento tavola 4.2 MAZZOLA (2003, 169). Anno Anno 2 Anno 3 1 1. liquidità differite di gestione caratteristica 2. rimanenze 3. attività correnti (1+2) 4. passività non finanziarie a breve 5. capitale circolante netto (3-4) 6. immobilizzi tecnici 7. immobilizzi immateriali netti 8. immobilizzi finanziari 9. totale attivo fisso (6+7+8) 10. fondo FTR 11. capitale investito netto di gestione caratteristica (5+9-10) 12. liquidità immediate gestione extracaratteristica 13. altre immobilizzazioni gestione extracaratteristica 14. passività gestione extracaratteristica 15. capitale investito netto di gestione extracaratteristica (12+13-14) 16. capitale investito netto finale (15+11) 17. passività finanziarie nette a breve 18. passività finanziarie a medio/lungo 19. posizione finanziaria netta (17+18) 20. mezzi propri 21. totale a pareggio (20+21) Lo stato patrimoniale previsionale quantifica le attività e le passività dell’impresa realizzando la suddetta equivalenza tra fonti finanziarie ed impieghi di ricchezza aziendale di cui si è detto. Anche’esso presenta una caratterizzazione su base almeno triennale e, quando è riclassificato secondo lo schema funzionale, evidenzia la distinzione tra gestione caratteristica e gestione extracaratteristica: con le classi di valori (capitale circolante netto, attivo fisso netto, trattamento di fine rapporto) più direttamente influenzate dalla strategia competitiva si stima la

dinamica del capitale investito connessa a un dato piano industriale e l’ammontare degli impieghi di capitale direttamente collegati alla strategia competitiva realizzata, dato dalla dimensione del capitale impiegato nella gestione caratteristica. Così si comprende il ruolo della gestione caratteristica nella più ampia dinamica di attesa del capitale investito aziendale. 12 Il calcolo del break even point. Mediante il diagramma di redditività si determina il punto di pareggio (break even point) e si quantifica la flessibilità operativa aziendale alla luce della relazione esistente tra volumi venduti e risultato economico. Il punto di pareggio operativo, noto come break even point, individua le vendite che permette di coprire, tramite i ricavi attesi, i costi operativi, ossia gli oneri legati alla gestione tipica/caratteristica dell’azienda. Esistono due configurazioni di break even point: l’una riferita espressamente ai volumi di vendita, l’altra espressa in termini di fatturato (ossia il prodotto tra prezzo e volumi di vendita). Qualunque sia la configurazione prescelta, in corrispondenza del punto di pareggio, l’importo complessivo dei ricavi uguaglia il totale dei costi operativi. Ripartendo questi ultimi in costi fissi e costi variabili ed esplicitando, da entrambe le grandezze di tale uguaglianza, le quantità prodotte e vendute (Q), se ne ricerca il “valore ottimale” (Q*), secondo i seguenti passaggi algebrici: Ricavi totali = Costi totali operativi, Ricavi totali = Costi fissi + costi variabili, Ricavi unitari x Q = costi fissi + costi variabili x Q, Q x (Ricavi – costi variabili) = costi fissi, Q* = costi fissi / (ricavi – costi variabili).

Il denominatore del suddetto rapporto è il margine unitario di contribuzione che quantifica il contributo marginale della singola unità venduta a spesare i costi fissi ed a generare un utile operativo; quindi, si avrà: Q* = costi fissi / margine unitario di contribuzione

Il summenzionato punto di pareggio rappresenta il punto di intersezione tra la linea dei ricavi totali e la linea dei costi totali, come, di seguito, evidenziato graficamente. La distanza tra la retta dei ricavi e quella dei costi operativi totali individua, a sinistra del punto di pareggio, la perdita operativa, ed evidenzia, a destra di tale punto, il reddito operativo: nel primo caso, infatti, i costi operativi superano i ricavi, mentre, nell’altro, vale il contrario.xliv

C pr

Analiticamente, l’elemento più difficile da determinare è il margine di contribuzione percentuale, ma tale difficoltà può essere gestita in tre modi: o

come media ponderata dei prezzi e dei costi variabili relativi ai vari

prodotti/servizi offerti, ossia rapportando il margine medio unitario al ricavo unitario medio, qualora la gamma sia limitata; o

rapportando il margine totale ai ricavi totali;

o

deducendo il margine percentuale dal ricarico percentuale.xlv La formula del punto di pareggio è adattabile per determinare il fatturato che consente di sia coprire tutti i costi di gestione sia di ottenere un utile netto ritenuto soddisfacente. A tal fine, occorre aggiungere ai costi fissi il valore del reddito operativo desiderato. Il fatturato che permette di raggiungere tale obiettivo è pari al rapporto tra la somma dei costi fissi di gestione tipica (CFT) ed il reddito operativo ottimale (RO*) ed il margine di contribuzione percentuale (MCP) fatturato* = (CFT +RO*) / (MCP). xlvi Il rischio operativo di un’azienda è pari alla probabilità di subire risultati economici altalenanti (molto negativi e/o molto positivi) per fluttuazioni inattese nei volumi di produzione e di vendita. Tale rischio è legato al livello del punto di pareggio ed al grado di elasticità operativa (pari al differenziale tra costi e ricavi totali misurati prima e dopo il punto di pareggio).xlvii In genere, i due elementi sono legati, in quanto le aziende con un elevato punto di pareggio hanno, di solito, una grande notevole rigidità operativa, mentre le imprese con un break even point ridotto tendono ad essere più flessibili. Ciò è dovuto alla correlazione negativa presente tra costi fissi e costi variabili: infatti, l’aumento dei primi, dovuto all’investimento in immobilizzazioni (con conseguente ampliamento della capacità produttiva), riduce l’incidenza dei costi

variabili sui ricavi e, parità di altre condizioni, fa crescere il rendimento delle attività interne. Una prima misura della flessibilità operativa è data dall’indice di flessibilità, pari al rapporto tra i costi variabili rilevati nel punto di pareggio ed i costi fissi totali: indice di flessibilità = (costi variabili nel punto di pareggio)/(costi fissi totali). Il rischio operativo è legato alla struttura dei costi dell’impresa e dalle scelte di make or buy relative al dimensionamento aziendale delineato in precedenza: le imprese con una struttura di costo rigida (frutto di una forbice tra ricavi e costi totali

molto

ampia)

reagiscono

con

difficoltà

a

minori

volumi

di

produzione/vendita, poiché hanno poche possibilità di comprimere i costi. All’aumentare del fatturato, le stesse rilevano minori costi totali per la predominanza dei costi fissi nella loro configurazione di costo. Le imprese con una struttura di costo flessibile riescono, invece, a comprimere molto i propri costi, che sono in prevalenza variabili. All’aumentare della produzione e del fatturato, tali imprese migliorano di poco il proprio risultato, in quanto registrano allo stesso tempo l’aumento dei ricavi e la rapida crescita dei costi, per definizione, legati a tale maggior fatturato. La scelta ottimale del grado di flessibilità o di rigidità dipende, da un lato, dalla probabilità attribuita al verificarsi di oscillazioni nei volumi di produzione/vendita intorno al punto di pareggio e, dall’altro, dalla propensione al rischio del soggetto economico.xlviii Al piano industriale va allegato ogni altro documento utile per arricchire l’analisi.xlix 3. Conclusioni Il business plan – nella sua accezione più ampia – è lo strumento migliore con cui presentare l’impresa “all’esterno”: è opportuno curarne gli aspetti formali e

sostanziali, come asserito da PAROLINI (1999, 15). Esso è importante ai fini della comunicazione esterna dell’impresa nei momenti cruciali della sua esistenza: avvio delle attività e/o crescita dimensionale. l Serve, a tal fine, l’impegno di professionisti dotati di skills adeguati ad un’analisi prospettica robusta e ben dettagliata, anche quando il business plan è utilizzato come strumento di programmazione interna. Secondo PAROLINI (1999, 16-18), il business plan rivolto all’esterno va “recapitato” tramite una terza parte, con una buona reputazione ed un legame con il destinatario stesso. Secondo PAROLINI (1999, 18), la messa a punto della formula imprenditoriale, quindi, è parallela alla predisposizione degli schemi di bilancio revisionale: è fuori luogo considerare proiezioni economiche e finanziarie slegate dalle analisi descrittive condotte nelle parti discorsive del piano di impresa. li In estrema sintesi, tre sono le aree operativamente presenti in un business plan ben fatto, ossia l’analisi del sistema competitivo, la definizione della formula imprenditoriale nei suoi molteplici aspetti (mercato obiettivo, sistema di prodotto, politica di comunicazione, struttura aziendale) e le proiezioni economiche e finanziarie. Con il business plan si produce, quindi, un modello che simula scenari alternativi a seguito di variazioni in certe variabili e che predispone il percorso attuativo di scelte gestionali concrete: in estrema sintesi, PAROLINI (1999, 139142) considera un bilancio previsionale come il modo migliore per quantificare gli sviluppi futuri di un’impresa tramite risultati economici e finanziari. Date queste descrizioni tecniche sarà possibile esplicitare flussi (redditi attesi e liquidità stimata) e stocks (patrimonio, investimenti e connesso fabbisogno finanziario) consonanti con la parte descrittiva del business plan. Infatti, secondo GUZZETTI (1998, 13), di fronte all’esigenza di uscire dall’ottica di breve periodo di collocare l’impresa nel suo complesso in una prospettiva

pluriennale, la pianificazione strategica serve decidere oggi cosa fare domani, in quanto serve per stabilire quale futuro si desidera che essa abbia e che passi fare perché ciò si realizzi: il business plan aiuta a prevenire nuove opportunità per formulare la missione e le politiche d’azienda, definire gli obiettivi, strategie ed azioni fondamentali per raggiarli e disporre di un piano economico e finanziario utile a controllare il tutto.

Bibliografia •

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http://it.wikipedia.org/wiki/Capitale_circolante_netto

i

Secondo MANZI – MANZI (1999,739) non esiste un modo univoco di strutturare un business plan (e ciò è testimoniato dalla notevole letteratura sull’argomento): la presente analisi beneficerà, tra l’altro, delle trattazioni presentate in PAROLINI (1999), BORELLO (20022), e PINSON–JINNETT (2002), nonché, per gli aspetti più generali, PAROLINI (1991) e GUZZETTI (2002). ii Infine, il quadro è completato dalla determinazione del punto di pareggio, che, come si vedrà, definisce la quantità minima di output necessaria a coprire i costi totali generati dalla gestione aziendale. iii Se la questione richiede una specifica trattazione, identificando la struttura organizzativa prescelta ed indicando elementi ulteriori (i responsabili principali e delle relative mansioni). iv Ossia i curricula dei membri del gruppo imprenditoriale (e/o dei dipendenti cui sono demandate le funzioni chiave), le descrizioni dell’output aziendale (schede di prodotto o descrizioni del processo produttivo), i prospetti inerenti investimenti strategici ed i relativi costi, reports dettagliati dei tests di mercato, altre spiegazioni delle previsioni economiche e finanziarie. v È opportuno individuare, con precisione, le singole categorie di clienti da servire, avendo cura di apprenderne – con le più opportune forme tecniche – le abitudini, i gusti, e le scelte economiche. vi Bisogna descrivere la filosofia che ispira le scelte di marketing e la definizione del prezzo, nonché il relativo piano di comunicazione – ossia la modalità concreta con cui raggiungere i potenziali clienti affinché gli stessi divengano effettivi acquirenti dei prodotti dell’azienda. Inoltre, lo studio della concorrenza è completato dal confronto della struttura di prezzo e della qualità del prodotto/servizio offerto rispetto a quello dei concorrenti. vii Elencati i vantaggi e gli svantaggi dei sistemi distributivi disponibili, si motiva la scelta adottata, prevedendo, in alternativa al sistema principale, gli strumenti necessari ad ottenere una distribuzione “esente da guasti” al fine di soddisfare il cliente. A tal fine, si devono pianificare i costi di un anno e ripartirli su base mensile per poterli collocare nelle celle del piano del cash flow. viii Quando persone esterne all’impresa citano favorevolmente il frutto dell’attività di quest’ultima, il messaggio è percepito come un giudizio piuttosto imparziale: secondo PINSON – JNNETT (2002, 49) ciò equivale ad un annuncio a pagamento. ix Tali notiziari assumono la forma di lettere, schede di partecipazione a concorsi, brochures e depliants: in tal caso, il piano di marketing spiega come è stata costruita la mailing list, il tipo di materiale spedito e quale risposta l’azienda attende, citando i risultati di eventuali passate esperienze di direct mail. x La quota associativa, l’abbonamento a pubblicazioni di settore e la quota di partecipazione a convegni e seminari sono tutti elementi da inserire nel rendiconto del cash flow. xi Mediante bozzetti e fotografie, bisogna presentare anche le informazioni relativi a qualsiasi diritto di proprietà (copyright, marchi di fabbrica, brevetti) ed è opportuno interpretare i singoli piani di marketing in termini di esigenze finanziarie per quantificare i costi dei prodotti/servizi da offrire sul mercato. xii Il modo in cui un nuovo prodotto/servizio è accolto dal mercato può essere influenzato da svariati elementi, tra cui il clima e le stagioni. Secondo PINSON-JINETT (2002, 53), l’inizio di gennaio e settembre sono i periodi migliori per spedire via posta volantini e cataloghi, perché, in questi mesi, i consumatori sembrano essere più ricettivi agli acquisti per corrispondenza. Le principali esposizioni di regali avvengono nei mesi estivi ed a dicembre, durante le quali si concretizza la maggioranza degli acquisti all’ingrosso. La primavera, infine, tende ad essere il momento migliore per introdurre un nuovo tipi di servizi. xiii Infatti, secondo PINSON – JINNETT (2002, 53-54), è una decisione di marketing l’ubicazione di un grande magazzino al dettaglio, che va situato nei pressi del relativo mercato target e deve essere provvisto di un’idonea area di parcheggio, oltre ad essere conforme ai regolamenti urbanistici di zona. xiv Le associazioni di categoria e gli ordini professionali forniscono – tramite i loro periodici – questo genere di informazioni con cui arricchire il piano di marketing, dato che le nuove tecnologie possono spingere all’introduzione di nuovi processi ovvero a nuovi prodotti/servizi. xv Per i business complessi (e/o già avviati), l’essere inseriti in un network di imprese alleate è un vantaggio competitivo: se ciò è rilevante, vanno sintetizzati gli aspetti principali (le alleanze e gli accordi già raggiunti con altre aziende, i futuri possibili accordi con altri soggetti economici). xvi È opportuno costruire in economia i cespiti non disponibili sul mercato. xvii Tale partnership può, infatti, prevedere accordi di medio/lungo termine con fornitori particolari con cui lavorare in modo continuativo: quest’ultima ipotesi è ottimale quando l’azienda ha bisogno di elementi specializzati (componenti/semilavorati dotati di caratteri particolari) e vale la pena svolgere, insieme al fornitore, la progettazione di queste risorse. xviii In questi casi, l’azienda presenterà un maggiore fabbisogno di investimenti – sotto forma di strutture produttive – e di una maggior quota di costi fissi (ad esempio, per l’impiego una più numerosa forza lavoro interna). xix Come si vedrà, questa manovra determina la sostituzione di costi fissi mediante costi variabili: come noto, i primi sono indipendenti dall’entità della produzione, mentre gli altri sono direttamente proporzionali a quest’ultima variabile. xx Questa soluzione garantisce un elevato utilizzo degli impianti aziendali e permette di aumentarne il potere contrattuale nei confronti dei fornitori: la perfetta conoscenza dei costi di produzione permette all’impresa di minacciare “in modo credibile” i propri terzisti, costringendo questi ultimi a non aumentare i prezzi pena il potenziamento della

capacità produttiva ‘interna’ e la successiva eliminazione degli acquisti presso di loro. xxi Infine, è opportuno scegliere se acquistare o affittare gli immobili nei quali sarà svolta l’attività aziendale: occasioni interessanti potrebbero, talora, spingere le imprese in fase di avvio ad acquisire la proprietà di immobili altrimenti oggetto di contratti di affitto. Questa modalità d’acquisizione conviene, di regola, per le start ups, permettendo di ridurre l’esborso monetario (e, quindi, liberando risorse importanti) ed aumentando la flessibilità operativa (specie perché agevola l’impresa nel caso di cambio della sede). xxii In verità, variazioni molto consistenti nei volumi di vendita implicano, in genere, variazioni nei costi variabili unitari, per lo più legati a riduzioni nei prezzi d’acquisto ovvero in aumenti nelle rese dei materiali. xxiii In realtà, la relazione tra questi elementi presenta un andamento “a scalini”: aumenti consistenti nei volumi implicano incrementi di capacità produttiva e, quindi, favoriscono l’aumento dei costi fissi (e viceversa). xxiv Con il processo di ammortamento si ripartisce, su un arco temporale pluriennale, il costo dei beni in argomento – che sono detti cespiti. Cumulando nel tempo le quote di costo relative ai singoli esercizi amministrativi (anni solari) è possibile segnalare il grado di utilizzo dei beni in esame. xxv Un discorso a parte merita l’avviamento, ossia la capacità dell’impresa di produrre sovraredditi a motivo della sua funzionalità economica ed operativa … sul punto, si veda per tutti TROINA (19933). xxvi Come noto, la cessione di immobilizzazioni determina il realizzo di componenti straordinari di reddito, ossia plusvalenze e/o minusvalenze patrimoniali, a seconda che il prezzo incassato dal venditore sia maggiore o minore del valore residuo da ammortizzare. Quest’ultimo valore è, infatti, pari alla differenza tra il costo storico del cespite ed il fondo di ammortamento (valore cumulato delle quote d’ammortamento). xxvii Sulla differente remunerazione del capitale di credito e del capitale proprio aziendale, così come per la distinzione tra debiti di funzionamento e debiti di finanziamento, si veda – per tutti – TROINA (19933). xxviii PAROLINI (1991, 209) precisa che la differenza tra costi e ricavi dà origine ad un utile, quando i ricavi sono superiori ai costi, viceversa, invece, si ottiene una perdita. Gli utili rappresentano una fonte di liquidità e contribuiscono a coprire (ridurre) il fabbisogno finanziario; le perdite rappresentano un impiego di liquidità e, quindi – assorbendo flussi di denaro – contribuiscono ad aumentare il fabbisogno finanziario dell’impresa. xxix Sull’opportunità di questa corrispondenza tra fonti ed impieghi durevoli e non durevoli a causa del matching delle loro scadenze, si veda - per tutti - … xxx Secondo http://it.wikipedia.org/wiki/Capitale_circolante_netto, il capitale operativo (o capitale circolante o working capital secondo la terminologia finanziaria) è l'ammontare di risorse che compongono e finanziano l'attività operativa di una azienda e rappresenta l’indicatore che ne verifica l'equilibrio finanziario nel breve termine. xxxi Secondo http://it.wikipedia.org/wiki/Capitale_circolante_netto, una prima definizione sintetica consiste nella “differenza algebrica tra attività correnti e passività correnti”. Questa espressione non permette di interpretare, in modo corretto, le dinamiche dei flussi di cassa, perché considera, ad un tempo, elementi operativi (rimanenze, fornitori, ecc.) ed elementi finanziari (cassa, debiti vs. banche, sconti fatture). xxxii Le altre voci del working capital sono prive del medesimo legame al giro d’affari: ad esempio, se il fatturato raddoppia, le scorte aumentano, di conseguenza, anche se non nella stessa proporzione. xxxiii Diverse sono le alternative per ridurre il ciclo finanziario: selezionando la clientela, dilazionando al massimo il pagamento dei debiti ai fornitori e gestendo con oculatezza, le scorte presenti in magazzino. xxxiv Secondo PAROLINI (1999,143), il grado di ragionevolezza dei tempi di cui sopra dipende per lo più dal tipo di attività e dall’importanza strategica da esso assegnata. xxxv Secondo MAZZOLA (2003, 163), le proiezioni pluriennali vanno integrate, almeno per il primo esercizio o il primo biennio di previsione, con preventivi infrannuali (semestrali o trimestrali), non solo per le aziende con un business dotato di una forte componente stagionale, ma anche per quelle che mirano a cambiare la strategia operativa. xxxvi Questa sezione del business plan permette di valutare la performance dei risultati aziendali, evidenziando la capacità dell’impresa di essere indipendente da fonti esterne di finanziamento e permette di evitare improvvise carenze di liquidità. In altri termini, evidenzia quanto l’impresa è capace di essere autosufficiente rispetto ai suoi debitori e finanziatori: infatti, è strategico disporre di regolari ed abbondanti flussi di cassa grazie agli introiti derivanti dalla vendita dei prodotti ovvero dalla prestazione dei servizi aziendali. xxxvii Questo prospetto riguarda solamente le transazioni che implicano i movimenti di denaro contante e non contempla, infatti, i costi ed i ricavi non monetari (ammortamenti, svalutazioni e voci similari). xxxviii La prima documentazione analizzata da un potenziale finanziatore è il rendiconto del cash flow. A tali prospetti vanno, altresì, aggiunti i documenti utili per condurre l’analisi trimestrale di budget, ossia lo strumento per confrontare le previsioni con i risultati effettivi: il rendiconto del cash flow è realmente efficace se aggiornato trimestralmente con i risultati delle analisi condotte a livello di budget. Nel caso di nuove attività, ovviamente, mancano tali elementi di confronto e non si può condurre l’analisi trimestrale di budget finché non vi sia (stata) un’operatività dell’azienda per almeno tre mesi. xxxix Tale sfasamento e la suddetta assenza di riserve di liquidità – a parità di condizioni – rende più stringente i vincoli caratteristici delle economie dotate di esigue risorse finanziarie. xl Il budget annuale ha la stessa finalità del rendiconto pro forma del cash flow per valutare le performances reali in rapporto alle previsioni effettuate. xli Il periodo considerato dipende dalla turbolenza tecnologica del mercato target e dai tempi di messa a punto del progetto imprenditoriale: è, comunque, opportuno analizzare il progetto aziendale considerando il periodo successivo

alla fase di primo sviluppo. xlii Se, però, si prevedono incrementi e/o sostituzioni della forza lavoro, politiche di esternalizzazione della produzione e simili eventi, il costo del lavoro potrà variare sensibilmente anche nel breve termine. xliii Maggiori debiti implicano oneri finanziari addizionali che riducono il reddito di periodo e accrescono il fabbisogno finanziario e, quindi, richiedono la necessità di finanziamenti aggiuntivi. Con l’indebitamento vanno inseriti i relativi oneri finanziari tra i componenti negativi di reddito nel conto economico. xliv Il punto di pareggio può essere espresso in termini di fatturato per le aziende multiprodotto: in questo caso, non ha senso quantificare il numero dei pezzi venduti per “andare in pareggio”, poiché i prodotti hanno differenti prezzi, costi variabili unitari e margini operativi, mentre è utile definire il valore del “fatturato minimo da conseguire per coprire tutti i costi operativi”. Conviene, invece, ragionare in termini di volumi quando esiste un comune denominatore per i diversi prodotti/servizi dell’impresa, in relazione al quale si determina il valore di pareggio in ragione dei pezzi venduti. Così, va “evitata” la variabile fatturato quando non si possa distinguere le variazioni dei prezzi da quelle rilevate nei volumi di vendita. xlv Il ricarico percentuale è rappresentato dal margine in percentuale del costo variabile; il margine di contribuzione percentuale è dato dal margine rapportato al prezzo di vendita. Sul punto si rimanda all’esempio proposto da PAROLINI (1999, 161-2). xlvi A tal fine, vedasi le considerazioni contenute in TROINA (*,*). xlvii La flessibilità operativa di un’impresa è legata all’incidenza dei costi variabili sui ricavi: maggiore è tale incidenza, più ridotto sarà il summenzionato differenziale, poiché, all’aumentare dei volumi prodotti/venduti, cresceranno anche i costi variabili e minore sarà il margine disponibile per la copertura dei costi fissi. Secondo PAROLINI (1999, 163), se il differenziale in esame è molto esigua prima del punto di pareggio, lo stesso accadrà, simmetricamente, anche al di là di tale intersezione. xlviii Per i dettagli specifici della questione, si rinvia a PAROLINI (1999,164-166). xlix Ossia i curricula dei membri del gruppo imprenditoriale (e/o dei dipendenti cui sono demandate le funzioni chiave), le descrizioni dell’output aziendale (schede di prodotto o descrizioni del processo produttivo), i prospetti inerenti investimenti strategici ed i relativi costi, reports dettagliati dei tests di mercato, altre spiegazioni delle previsioni economiche e finanziarie. Secondo MANZI-MANZI (1999,743-4), è meglio rinviare alla documentazione di supporto, i dettagli tecnici più specialistici, quali il layout dei macchinari, la gestione delle scorte, i metodi di programmazione della produzione ed il controllo della qualità dal punto di vista tecnico ed organizzativo. l PAROLINI (1999, 15-16) fornisce, a tal fine una serie di suggerimenti “pratici” per redigere un piano di business efficace da parte di chi è chiamato a predisporre siffatto documento. In tal senso, si rinvia all’analisi dettagliata di PINSON – JINNETT (2002) e di PAROLINI (1991). li PAROLINI (1999, 139) adatta lo studio delle voci di bilancio ai fini del fabbisogno finanziario, perché, studiando il capitale netto finale, considera, in modo unitario, tutti gli utili ritenuti (riserve legali, statutarie e/o straordinarie e gli utili di esercizi precedenti, non ancora destinati) quali fonti finanziarie generate dai redditi prodotti in esercizi precedenti, a prescindere da ulteriori classificazioni.

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