Berlin

  • May 2020
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Paul Westheim

Berlino, la città degli artisti

Berlino non è una “città d'arte”. Per lo meno, non nel senso che è proprio del termine in Germania. Il privilegio di potersi definire “città d'arte” da noi1 è vanto di quelle poche città la cui vita artistica è determinata, se non dominata, da un'accademia di antica fama e dalla schiera di intellettuali che vi appartengono. Città come Essen, come Mannheim, come Amburgo, come Francoforte, alle quali non si può certo disconoscere un pur sempre intenso rapporto con gli avvenimenti artistici, forse non sono definite città d'arte, in quanto non dispongono di simili concentrazioni di personalità artistiche. Anche Berlino non ne dispone, non almeno nella misura in cui possano rappresentare un tratto di spicco nel quadro generale della città. Certo, l'Accademia e il Glaspalast2 ci sono anche da noi, ma questo non ha alcuna importanza. Tali istituzioni sussistono giusto perché, una volta fondate, non sono state ancora abolite. La città stessa nutre, inoltre, ben poche ambizioni in questo senso. Di certo fa qualcosa per l'arte: ha una delegazione di estimatori che, di tanto in tanto, va in pellegrinaggio da un'esposizione all'altra e compra un quadro o una statua. Si acquista, inoltre, ciò che simili delegazioni acquistano di solito. In piacevole contrasto con quanto avviene in altre città, nella capitale del Reich i risultati di questa promozione dell'arte non si vedono. Gli acquisti scompaiono in un ufficio qualsiasi, nel quale qualche funzionario può compiacersene o anche non compiacersene. Esteriormente non si dà grande importanza all'arte, il che sembra far parte dell'indole del tipico berlinese, il quale non è propenso, peraltro, a dare grande importanza alle cose – per lo meno, non a quelle serie. Berlino non è una “città d'arte”, ma è una città vivace, forse la più vivace nel continente europeo. Berlino ha una vitalità pari soltanto alle città americane, colme di grattacieli. Una città che ha ritmo, 1 2

Il contesto è quello della Berlino del 1929, anno in cui Westheim scrive il presente saggio. Il Palazzo di Vetro di Monaco, centro espositivo inaugurato nel 1854, ha ospitato mostre internazionali d'arte fino al 1931, anno della sua distruzione a causa di un devastante incendio.

velocità, la velocità e il ritmo della ferrovia sopraelevata... Si insinua nei nervi, si insinua nelle persone. In senso buono, come in senso cattivo. Una città che rende mobili le persone, mobili anche mentalmente. Non c'è flemma nella città, nemmeno quella flemma affascinante che, con noncuranza, riposa sicura su una tradizione comprovata. La città obbliga le persone a stare continuamente sul chi vive, le dispone verso ciò che è e che può sopraggiungere, piuttosto che verso ciò che è stato. Un'attività dell'essere che, in larga misura, rende attivo anche il singolo. A buon diritto, dunque, una città di artisti, per i giovani, i creativi. Nulla per i sentimentali che, in riva ai ruscelli, carezzano sogni idilliaci, ma il vero e proprio punto di forza per coloro che sentono la melodia affluire in loro dal divampare della vita attiva. A Berlino conosco alcune persone che, quando sono stanche, esauste, nervose, trovano ristoro standosene sedute per una mezz'oretta nel dehors di un caffè in Potsdamer Platz o nei pressi della Gedächtniskirche. E osservano il trambusto della grande città che si agita davanti a loro: come i flussi di traffico si avvicinano rombando da tutte le direzioni, come i tram, le auto, le persone spinte, nella fretta, verso la loro meta formano un groviglio continuo che poi si districa, aumenta e si ritira, ondeggia, affiora e fluttua senza esaurirsi mai. Per loro tutto questo è come mezz'ora sulla spiaggia, come l'alta e la bassa marea, così i nervi si calmano proprio... Rimane in sospeso cosa ciò voglia dire per l'artista, come ciò possa essere più proficuo per l'artista di oggi: è più stimolante l'accuratezza ben temperata della città d'arte o questa alta tensione? Comunque sia, sembra che proprio in questo risieda una straordinaria attrattiva per gli artisti. Come Corinth e Slevogt hanno seguito Liebermann3 a Berlino e, in tal modo, hanno fatto quanto pareva scontato e necessario per la loro evoluzione artistica, così – si pensi solo alla “Brücke4” – negli ultimi due decenni si osserva a Berlino un afflusso ininterrotto di energie artistiche, da tutto il paese come anche dall'estero. Non vorrei ferire gli animi sensibili, la suscettibilità dei monacensi in primis, ma sembra che Berlino faccia passi da gigante sulla strada del divenire punto di riferimento, se non addirittura il punto di riferimento per le energie artistiche della Germania. 3 4

Pittore e personalità di spicco nel panorama artistico della Berlino a cavallo tra Ottocento e Novecento. Esperienza artistica che nasce a Dresda nel 1905 e si scioglie nel 1913. Il gruppo di artisti che anima questo movimento sono vicini alle istanze dell'Espressionismo.

Eppure, quel che attira gli artisti a Berlino non è nemmeno, come spesso si ritiene, un mercato in grado di offrire possibilità di vendita. È vero che Berlino ha conosciuto di recente un enorme impulso sotto il profilo del mercato artistico. Il commercio di oggetti d'arte, le aste, le esposizioni e l'editoria hanno registrato una rapida espansione. Al profano può sembrare che il mercato d'arte di Berlino si sia impossessato delle più vaste possibilità, tanto più che fa notevolmente parlar di sé in merito al mancato talento dei berlinesi per la salvaguardia delle informazioni. In realtà, per lo meno al giorno d'oggi - in cui, come non si può fare a meno di notare, la situazione economica generale non permette più, o meglio, non permette ancora l'acquisto di opere d'arte – il mercato di Berlino offre rilevanti opportunità, solo nel senso che mancano, non tanto, le occasioni per acquistare opere d'arte, quanto piuttosto, coloro che facciano l'uso sperato di tali opportunità. Il che riguarda soprattutto gli artisti oggi attivi, i quali devono tuttavia riconoscere che altrove in Germania la situazione è ben peggiore. Per di più Berlino non è in senso stretto una città di collezionisti. Il numero di antiquari, naturalmente non trascurabile date le dimensioni della capitale del Reich, è stato riunito da Bode intorno alla Kaiser-Friedrich-Museumsverein5. L'ostilità di tutti gli ambienti pubblici, specialmente dei sovrintendenti ai musei, nei confronti di tutta la produzione artistica contemporanea può essere stata una delle ragioni sostanziali per cui collezioni d'arte moderna davvero significative non si sono quasi sviluppate a Berlino, o almeno, non hanno raggiunto un'estensione paragonabile a quella che ha interessato le grandi città dell'Ovest e del Sud-Ovest. Come la collezione Arnhold costituiva la lodevole eccezione per l'epoca impressionista, così anche il Postimpressionismo sembra aver trovato a Berlino un solo grande collezionista in grande stile: ovvero, l'ormai defunto Berhard Koehler. Di certo, come hanno mostrato le esposizioni di opere d'arte nuova provenienti da proprietà private e allestite nel Kronprinzenpalais - che, detto per inciso, a confronto con gli altri paesi, si pensi solo al Palazzo del Lussemburgo a Parigi, è una delle più moderne gallerie, se non la più moderna collezione pubblica al mondo – c'è una notevole quantità di persone raffinate che, 5

L'associazione, fondata da Wilhelm von Bode nel 1897 per dare nuovo impulso alla scena artistica berlinese, svolge tutt'ora un'importante ruolo di promozione. Una possibile traduzione addomesticante potrebbe essere Società degli Amici del Kaiser-Friedrich-Museum.

ancor oggi, hanno la nobile passione – una volta tanto nel senso proprio del termine – di adornare la loro casa con opere d'arte nuova, spesso opere d'arte nuova di inestimabile valore. E questi amanti dell'arte, che non si possono propriamente definire collezionisti, per lo più interessati in maniera molto personale anche ai "loro" stessi artisti, sono invero un elemento sulla base del quale si potrebbe sviluppare l'atmosfera artistica ancor assente, benché, finora, il tentativo di metterli in più stretto contatto tra loro per mezzo di un'organizzazione non abbia ancora avuto un esito felice. È stato ripetutamente accertato che, a partire da Ibsen, da Hauptmann, da Strindberg e Wedekind fino a Brecht e Barlach e infine anche Piscator, quasi tutto ciò che di teatrale abbia palesato in Germania un valore duraturo si è affermato a partire da Berlino. E se anche il pubblico berlinese, vuoi per la sua tendenza ad un ostinato scetticismo, vuoi per la sua insopportabile predilezione per uno snobismo da esaltati, non gode certo di un'ottima reputazione, non si può tuttavia contestare che questa comunità teatrale di Berlino, molto ampia ed estremamente partecipe, sia piuttosto ben intessuta di elementi aperti all'entusiasmo, che – in nessun modo sprovvisti di capacità di valutazione – si adoperano in maniera tanto positiva e decisa quanto solo un pubblico è in grado di fare. Se allo stesso modo, da Messel fino a Poelzig, Taut, Mendelssohn o Mies per l'architettura, da Liebermann e Munch fino a Kokoschka per la pittura, da Lehmbruck e Barlach fino a Grosz per la scultura, si cercasse di stabilire sotto quali aspetti e in che misura Berlino abbia fatto da battistrada e, soprattutto, che cosa abbia ignorato, forse il risultato sarebbe ancora più strabiliante. So bene che il pubblico della scena artistica berlinese presenta una considerevole quantità di aspetti spiacevoli: è sensazionalista, modaiolo e civetta fin troppo volentieri con la stravaganza. Ma dal punto di vista della creazione artistica è un interlocutore eminentemente attivo, prende posizione, parteggia con passione, è decisamente favorevole o contrario. È troppo critico, ma anche troppo sicuro di sé, per accettare passivamente o per rassegnarsi imperturbabile a quanto gli viene proposto. Quella stima rispettosa che si inchina di buon grado di fronte a un nome o a una fama in qualche modo già acquisiti non gli importa; in compenso, rasenta il fanatismo nell'esprimere la propria predilezione e la propria avversione. E perciò diventa un fattore col quale, in ogni caso, l'artista deve fare i conti.

Di fronte a questo pubblico è pur sempre possibile farsi strada anche attraverso la peculiarità della propria opera e, per questo, Berlino è una città per artisti. A dire il vero, questa “assenza di pregiudizi”, come si suol dire, ha anche il suo rovescio. Per molti non è nient'altro che mera assenza di giudizio, una qual sorta di infondatezza che si fa schiava non della deleteria cieca fiducia nell'autorità, bensì della non meno deleteria superstizione con cui si guarda all'ultima notizia sensazionale e allo slogan più attuale. Questo snobismo, che non è meno squallido e, per lo meno, altrettanto beota della mania di soffocare ogni più alta aspirazione per mezzo di una zavorra di convenzioni, detta eufemisticamente “tradizione”, è purtroppo un vizio molto diffuso a Berlino. Ragion per cui, all'ingannatore capita, tra l'altro con relativa facilità, di trovare un pubblico a Berlino. Di recente non c'è quasi stata alcuna snobberia artistica, alcuna “tendenza”, alcuno slogan, che non abbia trovato seguito a Berlino. Questo è il fondamento di ciò che viene definita “attività” ed è pur vero che, in Germania, è Berlino la città che ha sviluppato quest'attività e le degenerazioni dell'attività nella maniera più orgiastica. Certe figure – all'interno della cerchia degli artisti, nel commercio degli oggetti d'arte, come anche nel pubblico della scena artistica – forse possono affermarsi solo in una città come Berlino. Se un capitolo estremamente increscioso riguarda il fatto che, in certi luoghi, proprio le energie artistiche più valide non possano quasi emergere, se non con somma fatica, di certo si apre un capitolo ancor più increscioso, se si guarda all'assoluta facilità con cui tali bolle di sapone possono levarsi in quest'atmosfera berlinese. Non c'è da meravigliarsi, spesso il vero talento non ha avuto modo di crescere e, travolto da questo vortice, non riesce ad affermarsi. Per questo Berlino è anche una città davvero pericolosa per l'artista che non sia ancora riuscito a mettere radici in un terreno ben saldo.

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