Tessariol Luisa - Analisi di un assunto di Pierre Levy «… ascoltare, guardare, leggere significa insomma costruirsi. Nell’apertura all’impulso di significazione che viene dall’altro, lavorando, frammentando distruggendo il testo, noi contribuiamo alla costruzione della geografia semantica che vive in noi. Qui il testo funge da vettore, da supporto, da pretesto all’attualizzazione del nostro personale spazio mentale…. L’ipertestualizzazione oggettiva, trasforma in azione ed eleva alla potenza del collettivo questa identificazione incrociata del lettore e dell'autore». Arrivo… quasi sui titoli di coda… Da giorni leggo e rileggo questa frase domandandomi il motivo della mia scelta. Mi sono sentita in difficoltà, non riuscendo ad aggiungere altro, limitata. Ma è davvero un limite? In modo inconsapevole, sono rimasta per più di una settimana nella fase interpersonale/mediata esercitandomi ad interiorizzare (soliloqui continui che a volte ho provato a trascrivere), premessa necessaria per iniziare a “buttar fuori”, a restituire intenzionalmente i frutti dei propri discorsi interiori… a entrare in comunicazione. Ho allora “ascoltato”, “guardato”, “letto” cercando, in questa azione intensa e continua e a volte involontaria e inaspettata, di “costruirmi”. Scrive Larsen nel 1996: «La fruizione di […] testi “memorabili”, cioè quelli che per le più disparate ragioni si incidono nella nostra memoria, costituisce un “fattore formativo”». Scriveva Dolci nel lontano 1988: «Mentre è sempre più facile a uno, a pochi, il trasmettere verso miriadi di singoli […] per comunicare non basta l’iniziativa di un singolo: occorre anche l’attivo corrispondere di un altro, di altri». Scrisse Gadamer nel lontanissimo 1960: «Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile all’alterità del testo. Tale sensibilità non presuppone né un’obiettiva “neutralità” né un oblio di sé stessi, ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie presupposizioni e dei proprio pregiudizi». Il continuo processo circolare, fra precomprensione-comprensione-interpretazione, chiede e affina l’attitudine dialogico-interpretativa, implica una compenetrazione di logica e affettività, tende a un contatto tra prospettive in cui l’orizzonte dell’autore e quello dell’interprete, in virtù di riadattamenti continui, creano uno sfondo più ampio e comprensivo, non definito una volta per tutte, che li include entrambi.
Se riconosco nel testo qualcosa di rilevante per me e per il mio sistema di credenze e di valori, allora la lettura cessa di essere un’attività neutra, innocente, un’attività di astrazione logica dei significati e diventa un atto somatico, corporeo. Mi immergo nella pagina scritta e mi lascio coinvolgere. Quando la lettura va oltre la cognizione e si carica di affettività ed emozione genera il processo interpretativo nell’ambito del quale il testo diventa uno spazio di incontro virtuale tra il mondo dello scrittore e il mondo del lettore. Nel comporre il suo testo, un testo che si presti ad essere interpretato, lo scrittore non espone semplicemente dei fatti in forma neutrale o in sequenza, ma assume, rispetto a eventi e vicende, un suo personale filtro interpretativo, li legge e li propone alla luce delle sue convinzioni, delle sue idee e delle sue personalissime valutazioni. Ma la cosa singolare è che io lettore faccio altrettanto: nella fruizione del testo adotto un mio personale filtro interpretativo e non importa che io condivida credenze, valori e opinioni dello scrittore, è sufficiente che li accolga per aderirvi o per dissentirvi. In tal modo il testo diventa una specie di opera aperta, incompleta che attende il mio contributo per definirsi secondo quel principio di intersoggettività e di cooperazione che realizza la circolarità ermeneutica: il processo interpretativo avviato dallo scrittore si compone nell’atto della fruizione del testo con il mio processo interpretativo. Il testo, tramite la circolarità ermeneutica, viene traghettato dal piano del significato che è univoco, uguale per tutte le persone, frutto del processo di comprensione, al piano del senso che è l’essenza personalizzata che ciascuno estrae dal testo ed è frutto del processo di interpretazione. Il testo diventa spazio transazionale, unifica nella reciprocità l’autore del testo, il lettore e i molti contributi (conversazioni, letture, commenti…) che concorrono alla sua costruzione. In questa prospettiva lo “scrivere” da azione solitaria ed evento individualistico si trasforma in azione culturale ed evento interattivo configurandosi come esperienza collaborativa. Nello stesso modo in cui parlante e ascoltatore collaborano nella costruzione del discorso, così lo scrittore intrattiene un dialogo con un ipotetico lettore e insieme costruiscono il testo. Di fatto, la solitudine nella quale lo scrittore costruisce il testo è solo apparente, poiché, mentre compone, egli recupera letture e discorsi ascoltati in precedenza sull’argomento. Questa prospettiva getta una particolare luce sull’accoglimento dell’altro come “testo vivo”, la relazione dialogica diviene luogo di profondo sapere esistenziale in cui il soggetto definisce se stesso avvicinando l’altro, nel rispetto della sua distanza e differenza. È necessario però sottolineare che il discorso scritto, a differenza di quello orale, di per sé non potrebbe essere immediatamente discusso con il suo autore, poiché ha perso contatto con esso. L’autore potrebbe essere “accolto” se fosse possibile raggiungerlo.
Se durante una conversazione si chiede a qualcuno di spiegare una sua affermazione, questi è nelle condizioni di farlo; interrogando invece un testo, non si hanno risposte, se non quelle stesse parole, che avevano suscitato in noi la domanda. Ma oggi attraverso un semplice link posso collegarmi ad infinite risorse fino ad entrare virtualmente in contatto con l’autore… a cui qualcuno per me ha posto delle domande. Multimedialità e interazione permettono di superare lo schema letterario lineare rendendo reale ed esplicita “l’intricata ragnatela di percorsi sostenuta dalle cellule del cervello” descritta mirabilmente da Kenkō in “Momenti d’ozio”: «Che strana, delirante sensazione mi invade quando mi rendo conto di aver passato interi giorni davanti a questo calamaio, senza aver nulla di meglio da fare, annotando a casaccio tutti i pensieri strampalati che mi passavano per la testa». Certo è importante essere consapevoli che mai “comprenderemo” tutto lo scibile umano, può infatti nascondersi in questo gesto “magico” l’illusione di raggiungere la totalità delle informazioni, ma questa consapevolezza deve spingerci a migliorare la nostra capacità di vagliare e selezionare i dati, sapendo che questo atto “solitario” contribuisce a stabilire il valore dei contenuti che altri cercheranno. Normalmente quando pensiamo al concetto di intelligenza lo associamo a un qualcosa di intimo, soggettivo, personale, diverso da soggetto a soggetto. L’intelligenza collettiva, teorizzata da Levy, al contrario è distribuita ovunque, non esiste in nessun luogo ma si trova dappertutto. Il sapere diventa collettivo, ognuno condivide la propria conoscenza e partecipa, con le competenze possedute. Il punto di partenza è ancora una volta l’ascolto. Un ascolto proiettato all’esterno, nei confronti dell’ambiente circostante, ma allo stesso tempo un ascolto rivolto verso l’interno dell’intelligenza stessa. Idee, opinioni, valutazioni, proposte, invenzioni emergono e assumono importanza proprio perché c’è qualcuno che ascolta e recepisce. In questo modo è possibile costruire una nuova memoria planetaria decostruendo la memoria dominante. La decostruzione, intesa come promozione della capacità di mettersi in questione, di rivisitare le proprie idee, diventa un processo di revisione, di relativizzazione, di storicizzazione, di decentramento delle proprie categorie concettuali. La verità non si dà allora come evidenza “oggettiva” di un mondo dato fuori di noi, ma rimane compito, costruzione attiva in cui il soggetto conoscente interviene con i suoi paradigmi. Si sviluppa all’interno di una struttura, che Dolci avrebbe definito maieutica, fondata sull’interdipendenza delle parti fra loro e di ognuna con l’insieme; il punto di partenza è un bisogno comune o il desiderio di conoscere, di avvicinarsi ad un significato, di scandagliare un quesito, di far emergere una prospettiva. Il bisogno comune spinge alla ricerca cooperativa della risposta
attraverso le differenti esperienze di ognuno intorno al problema. Così nell’interazione comunicativa si fondono i poteri individuali con la condivisione dell’impegno: esercizio di immaginazione per potenziare la creatività di ognuno, esercizio di divergenza per ricercare convergenze, esercizio di ascolto dell’altro per comprendere la diversità d’opinione come dono arricchente e integrante, nella convinzione che le conclusioni via via raggiunte sono e rimangono aperte. L’immagine della costellazione coniata da Umberto Eco quale simbolo del 3° millennio, mi sembra possa adattarsi a rappresentare anche la “potenza del collettivo”, essa «richiama alla mente la luce di tante singole stelle: raggruppate insieme formano una meravigliosa costellazione ma mantengono nondimeno, ognuna individualmente, una bellezza impareggiabile. Lo splendore del cielo di notte sta proprio nella combinazione della loro diversità».
La naturale collocazione di questa breve dissertazione sarebbe stata un ambiente wiki in cui condividere con altri stimoli e proposte per approdare ad un testo a più mani e più menti, ma la natura del compito non contemplava tale possibilità. Confesso che per un po’ ho accarezzato l’idea di simulare la costruzione del testo qui esposto in wikispaces accreditandomi con tre differenti account. Avrei “interpretato” più parti cercando di rendere espliciti e consultabili tutte le fasi di elaborazione che si possono invece rintracciare nel mio pensiero e nei file del mio computer. Ho abbandonato presto l’idea per la difficoltà nel controllare e nel rendere comprensibile tutto il percorso. Così ripensando alla mia scelta iniziale mi sono chiesta se avessi inteso utilizzare una tecnologia per veicolare un’idea o avessi individuato l’assunto per esercitare una particolare tecnica di scrittura.