Andrea Ballatore Corso di laurea di Realtà Virtuale e Multimedialità matr. 248726
Esame di Storia del Cinema d’Animazione A.A. 2005/2006
Neco z Alenky (Alice) di J. Švankmajer, 1987
Per una rivoluzione costante e contraria, tutti i corpi ritornano al loro stato originario: condensandosi, il fuoco si trasforma in aria, l'aria in acqua, l'acqua in terra. Nulla conserva il proprio aspetto e la natura, che tutto rinnova, crea da una forma altre forme; e nulla, credetemi, nell'universo si dissolve, ma tutto cambia aspetto.
Ovidio, Le Metamorfosi, libro XV
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Ispirato più che tratto da Alice’s Adventures in Wonderland di Lewis Carroll, Alice è il primo lungometraggio di Jan Švankmajer. Nato a Praga nel 1934, Švankmajer frequentò per quattro anni l'Istituto di Arti Applicate, per poi approdare all'Accademia di Arti Visive. Entrò a far parte del celebre Laterna Magika Puppet Theatre, un'originale commistione ceca di teatro delle marionette, cinema e balletto. Negli anni successivi militò nell'attivo gruppo surrealista ceco, subendo direttamente la dura censura politica del regime comunista. Sviluppando in questo contesto la propria poetica, Švankmajer si cimentò nel cinema, realizzando dal 1964 a oggi (2006) una trentina di film, tra corti e lungometraggi. A livello tecnico, il tratto caratterizzante di Švankmajer è il miscuglio di live action e soprattutto di pixillation, spinta ai limiti delle sue possibilità. Nelle mani di Švankmajer, le marionette si rivitalizzano in innaturali aggregati di plastilina, legno, ossa e rifiuti di ogni genere: questo approccio rende possibile ogni deformazione, fusione o scissione tra corpi, annullando programmaticamente i confini tra vivo e non-vivo, animato e inanimato, liquido e solido. “Non mi piacciono i cartoni animati, preferisco ambientare il mio mondo immaginario nella realtà”, dichiarò in un’intervista rilasciata alla tv nazionale di Toronto nel 1984: il distacco radicale di Švankmajer dalla tradizione del cartoon statunitense avviene non solo a livello tecnico e formale, ma soprattutto a livello contenutistico. Definito “gigante del cinema contemporaneo” dalla rivista Positif e “incrocio tra Luis Buñuel e Walt Disney” da Milos Forman, Švankmajer riassume con estrema semplicità la sua ricerca: I vecchi libri di stregoneria dicevano che per scacciare un demone o un mostro, bisognava prima trovare il suo nome. E’ questo il metodo che uso per scacciare le mie angosce e le mie paure. Do’ loro un nome nei miei film.1
L’immaginario nel quale Švankmajer opera è permeato dalle visioni del Surrealismo cinematografico e pittorico, evidente sia nell’incedere narrativo, onirico e grottescamente assurdo quanto quello di Un Chien Andalou (Luis Buñuel, 1927), sia nella centralità di immagini e accostamenti inusuali, che sembrano provenire direttamente dall’inconscio. D’altronde, l’idea dell’aggregazione di oggetti funzionalmente incompatibili era già stata ampiamente esplorata da Salvador Dalì, Per i riferimenti alle interviste, si consulti l’ottimo sito Jan Švankmajer, Alchemist of the Surreal, www.illumin.co.uk/svank/ 1
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emblematicamente nella sua Venere di Milo con cassetti (La Vénus de Milo aux tiroirs, 1936-1964) e nel Telefono-aragosta (Téléphone-homard, 1936). D'altronde Švankmajer afferma con chiarezza che la sua adesione all'avanguardia non si limita all'adozione di un insieme di canoni estetici, ma di una vera e profonda psicologia, implicitamente sovversiva e liberatoria: Sul Surrealismo c'è un grande fraintendimento. La gente continua a guardarlo attraverso il prisma di alcune opere d'arte, di Dalì, per esempio; lo si considera superficialmente in termini estetici. Ma non esiste un'estetica surrealista; è una psicologia, una visione del mondo, che pone nuove domande sulla libertà, sull'erotismo, sull'inconscio [...]. Il Surrealismo offre un'alternativa all'ideologia offerta dalla maggior parte delle società moderne. [...] Se l'arte ha uno scopo, credo sia quello di liberare... sia l'artista sia lo spettatore. E se non raggiunge questo scopo, è solo una merce, un gioco estetico.2
Le suggestioni di Švankmajer non si fermano pertanto al Surrealismo. Posta la debita distanza storica e filosofica per evitare paragoni grossolani, si può affermare che Švankmajer prenda dal Giardino delle delizie (c. 1510) di Bosch l’inquietante fauna fantastica, proiezione ante-litteram di un inconscio tormentato. Švankmajer cita poi i celebri ritratti dell'Arcimboldo, suo antenato ideale, che non a caso lavorò alla corte di Rodolfo II a Praga, all'epoca capitale europea della scienza e, soprattutto, dell'alchimia. Come fatto notare da Roland Barthes, le teste dell’Arcimboldo “evocano una vita tutta larvale, un pullulio di esseri vegetativi, vermi, feti, visceri al limite della vita, non ancora nati eppure già putrescenti.3” Questo interesse per una vita “brulicante” oltre la materia si può indubbiamente considerare il trait d’union tra Švankmajer e il pittore milanese, oltre ad un raffinato spirito satirico e burlesco4. Un'altra rilevante fonte di ispirazione è l'opera di Franz Kafka, a cui Švankmajer si riferisce quando dice: Nella nostra civiltà, il sogno, naturale fonte dell'immaginazione, è costantemente inibito, e al suo posto diamo assurdamente la precedenza alla “razionalità scientifica”5
Tra le fonti di ispirazione si possono citare inoltre Edgar A. Poe, Villiers de l'Isle-Adam, Horace Walpole e Federico Fellini.
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Geoff Andrew in conversation with Jan Svankmajer, Time Out, Settembre 1994 Roland Barthes, Arcimboldo, Abscondita, Milano, 2005 4 Un affascinante parallelismo tra Arcimboldo e Švankmajer apre il notevole cortometraggio dei fratelli Quay The Cabinet of Jan Švankmajer (1984). 5 Amos Vogel, "Hallo Berlin," Film Comment 24, No 3, Maggio-Giugno 1988, p. 63 3
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Alice Alice è una produzione particolarmente significativa nella filmografia di Švankmajer, da innumerevoli punti di vista. In un certo senso Alice si può quasi considerare come una tappa necessaria nella carriera di Švankmajer, prefigurata dai corti Jabberwocky (Zvahlav aneb Saticky Slameného Huberta, 1971) e Down to the cellar (Do pivnice, 1983). D'altronde, la sfrenata visionarietà e la varietà di interpretazioni possibili dei classici di Carroll continua ad attirare numerosi artisti di ogni disciplina6. Il solo Alice’s Adventures in Wonderland (1865) conta una dozzina di adattamenti cinematografici, molto eterogenei per qualità e intenzioni7. I due adattamenti maggiormente conosciuti sono Alice in wonderland (di Norman Z. McLeod, 1933), megaproduzione live action della Paramount, interpretata da stars del periodo (ad esempio Charlotte Henry, Cary Grant e Gary Cooper), che unisce materiale proveniente da Adventures in Wonderland e da Through the LookingGlass, e, naturalmente, Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice in Wonderland, 1951), notissimo film d’animazione Disney, sceneggiato da A. Huxley, poi eliminato dai credits per le sue presunte simpatie politiche, e diretto da Clyde Geronimi, Wilfred Jackson e Hamilton Luske. Le differenze tra il film Disney e quello di Švankmajer sono lampanti. Il film di Geronimi, Jackson e Luske, pur restando un episodio piuttosto anomalo del cinema d’animazione mainstream degli anni '50, edulcora i tratti più ambigui del romanzo, trasformando la protagonista in un'innocente eroina disneyana: la sottile morbosità delle situazioni, la totale assurdità dei personaggi e la trionfante assenza di logica sembrano ridimensionarsi in un semplice viaggio fantastico di una bambina annoiata. Mentre il filmico rimane praticamente invariato, il profilmico viene svuotato per adattarsi agli stretti parametri commerciali del film per l’infanzia, idealmente in accordo coi principi del codice Hays. Nell'analisi che segue, la descrizione delle scene non ha lo scopo di fornire un riassunto del plot, ma di evidenziare aspetti particolarmente rilevanti ai fini di questa trattazione.
Si pensi, ad esempio, all’inno hippie White Rabbit dei Jefferson Airplane, allo straordinario videogioco 3d American McGee's Alice (edito da Electronic Arts) e al recente adattamento teatrale della compagnia romagnola Fanny & Alexander. 7 l’Internet Movie Database ne riporta addirittura 19, di cui molti difficilmente verificabili. 6
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Prologo Alice si apre con un’inquadratura della protagonista, interpretata da Kristýna Kohoutová, unica attrice umana del film, che lancia meccanicamente sassi in una tazza di tè. La sorella di Alice è in campo solo parzialmente. Alice sembra annoiata, e la sorella maggiore appare come una figura autoritaria, lontana e muta. Il mondo degli adulti appare subito non conciliabile con quello dei bambini8. Nell'economia narrativa, Alice ha un ruolo duale: quello di protagonista diegetica e narratrice extradiegetica, ripresa con un primissimo piano sulla bocca e doppiata da Camilla Power nella versione inglese. Švankmajer, con la consueta ironia, dichiara quasi esplicitamente che non si tratta di un film per bambini. L'Alice-narratrice dice “Now we will see a film, made for children, perhaps”. La razionalità viene programmaticamente bandita: “You must close your eyes, otherwise you won’t see anything”. Švankmajer preferisce gli aspetti visuali e sonori alle parole, e lo dimostra riducendo all'essenziale i lunghi e intricati dialoghi del romanzo. Il Virgilio che guiderà la protagonista nel suo viaggio non tarda ad apparire: il Bianconiglio (White Rabbit), uno squallido peluche con un teschio di coniglio come testa, è inchiodato al pavimento della camera di Alice e si schioda ferendosi sul petto. Dalla ferita cade segatura, che il coniglio provvede a rimangiare. La segatura è infatti il sangue e il principale cibo della bizzarra fauna del Wonderland švankmajeriano: lo scarto di lavorazione del legno, materiale principale della maggior parte degli oggetti del film, si trasfigura emblematicamente in linfa vitale. Il Bianconiglio usa la ferita come taschino per l'orologio e, dopo un veloce spuntino di segatura, corre in una desolata pietraia verso un vecchio tavolo, dicendo di essere in ritardo. Il tavolo ha un cassetto, nel quale il Bianconiglio entra e scompare. Cercando di seguirlo, Alice tira la maniglia, che le resta in mano: il cassetto è una sorta di portale magico9. Da questo momento in poi, lo svolgimento dell’azione può essere diviso in 6 unità, corrispondenti ad altrettanti ambienti, interconnessi da portali. Ogni parte corrisponde circa a due capitoli del romanzo di Carroll.
In buona parte della produzione di Švankmajer si avverte questa cesura insanabile: l'artista ebbe un'infanzia traumatica, sia per eventi esterni (l'occupazione nazista) che interni (si descrive come un bambino di introversione patologica, pauroso e disadattato). 9 Si noti che le due teste di plastilina di Dimensions of Dialogue (Moznosti dialogu, 1982) escono, per l'appunto, da un cassetto. 8
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L’anticamera Alice cade su un mucchio di foglie, in una piccola stanza spoglia, arredata solo con un tavolo, identico a quello nella pietraia. Le foglie vengono aspirate dal cassetto. Su una parete si aprono due porte, una molto piccola, l’altra di dimensioni normali, chiuse a chiave. Alice trova una pozione in una boccetta di inchiostro, la beve e rimpicciolisce. La bambina, attraverso l’escamotage della pozione magica, si trasforma in una piccola bambola lenci, consunta e impolverata, sorta di alter-ego švankmajeriano, col quale può cercare di attraversare la porta più piccola. L’antidoto alla pozione è un biscotto coriaceo che le permette di tornare alle dimensioni normali. Attraverso la porta, Alice scorge una scenografia teatrale, ma non riesce comunque a passare. Frustrata dai tentativi andati a vuoto, scoppia a piangere. In pochi secondi il pianto inonda la stanza. Un piccolo topo, legato a uno scrigno in miniatura, nuota affannosamente verso la testa di Alice, scambiandola per una piccola isola. Messosi in salvo, il topo estrae dallo scrigno una pentola e un mestolo, costruisce un piccolo falò usando i capelli di Alice come combustibile, e inizia a cucinare. Alice osserva passivamente la scena, incuriosita dallo strano animale, e conclude la gag surreale dicendo “Now this is going too far...” e sbarazzandosi del topo. Si noti come Švankmajer non approfondisca intenzionalmente il profilo psicologico di Alice, aspetto invece di interesse centrale per Carroll: l’animatore ceco ritrae una bambina dura, insensibile, un’osservatrice che ha un’influenza molto ridotta sul mondo in cui agisce. Švankmajer esplicita la natura autoreferenziale del suo interesse per l’infanzia dicendo “Non mi interessa il mondo immaginario dei bambini in generale, quello lo lascio volentieri agli psicologi. Quello che mi interessa è innanzitutto dialogare con la mia infanzia. L’infanzia è il mio alter-ego”.
Il castello Alice, continuando ad inseguire il Bianconiglio, attraversa un ruscello e arriva ad un castello fatto di blocchi di legno. Provando ad aprire una porta, Alice rompe nuovamente una maniglia. La ricorrenza di questo elemento sembra ribadire la necessità di abbandonare gli schemi razionali per poter proseguire. Le porte e i cassetti del Wonderland non si aprono con le maniglie. Entrata nel castello, Alice viene attaccata dal Biancoconiglio, diventato improvvisamente aggressivo. Dopo aver ingaggiato questa lotta bislacca, il coniglio 7
chiede rinforzi con un fischietto: una carrozza con un nutrito gruppo di creature irrompe sulla scena, in un tripudio di scricchiolii e rumori lignei. Similmente al Bianconiglio, gli animali hanno un cranio come testa, e corpi assemblati da scheletri, peluche e varie cianfrusaglie. Tutto il regno animale è rappresentato: negli ibridi sono distinguibili elementi di mammiferi, uccelli, pesci e rettili. Lo sgangherato esercito, comandato dal Bianconiglio, assedia Alice nel castello. Gli animali decidono di inviare un rettile dal camino in avanscoperta. Alice assesta un forte calcio al rettile in discesa, lanciandolo a grande distanza, gag “cinetica” che strizza l’occhio al cinema delle attrazioni. Atterrando, il rettile si ferisce gravemente e giace immobile in una pozza di segatura. Il Bianconiglio interviene repentinamente cucendogli le ferite, mentre gli altri animali osservano l’operazione preoccupati. Nel suo complesso, la scena trasmette allo spettatore sensazioni contrastanti e, anche se l’intento comico-grottesco è palesato dalla gag del calcio al rettile, tutto rimane immerso in un’atmosfera da incubo. Il principale artificio utilizzato da Švankmajer per ottenere questo straniamento è la manipolazione del sonoro: i suoni emessi dalle creature sono un concerto di clangori eterogenei e difficilmente identificabili, una colonna sonora diegetica totalmente aliena al contesto. Queste disturbanti intuizioni sinestetiche derivano probabilmente dagli esperimenti con l’acido lisergico, organizzati dalle autorità militari ceche nel 1972, a cui Švankmajer partecipò come volontario10. La battaglia viene infine vinta dagli animali, che fanno catturare Alice da una creatura volante, un folle ibrido tra un letto e un uccello rapace, che la fa cadere in un pentolone. Nel pentolone, Alice viene ricoperta da una sorta di involucro, che la fa apparire come una vecchia bambola, e viene trascinata dagli animali in un magazzino.
Il magazzino Alice si libera dall’involucro, in una sorta di muta mostruosa, riprendendo la forma umana che gli animali avevano cercato di sottrarle. Nel magazzino ci sono barattoli che conservano gli oggetti più disparati: frammenti di scheletri, pagnotte di pietra, uova, orologi e le onnipresenti cianfrusaglie. Sotto lo sguardo di Alice, gli oggetti del magazzino entrano in un caleidoscopio di trasformazioni. Le uova si schiudono e ne fuoriescono piccoli teschi, le pagnotte si ricoprono di chiodi, una grossa bistecca si dimena e striscia per terra. Alice apre un barattolo di carne in Si veda l’articolo “Out of my head” del Guardian: http://film.guardian.co.uk/features/featurepages/0,4120,576459,00.html 10
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scatola, pieno di grossi scarafaggi. Queste sequenze mettono al centro due aspetti della poetica švankmajeriana: la rivitalizzazione gli oggetti e il rapporto con il cibo. Gli oggetti, che creano una fitta trama che accomuna e unifica tutte le parti del film, sono scarti dei processi produttivi industriali, oggetti quotidiani e cibi particolarmente indigesti. Quando infonde la vita in materia morta o che non ha mai vissuto, Švankmajer sa di compiere una sorta di rito tribale: Mi servo dell’animazione solo quando voglio dare vita ad alcuni oggetti quotidiani attraverso la metamorfosi. Il surrealismo esiste nella realtà, non al margine di essa. [...] Tutto quello che sta intorno a noi ha vita propria, inclusi gli oggetti inanimati, perché la vita e’ sorta in loro quando qualcuno li ha toccati. Lei sa per sua esperienza che può toccare lo stesso oggetto ogni volta in maniera differente, in base all’umore del momento. Le emozioni che sono presenti in noi in questo stesso istante confluiscono in parte degli oggetti che tocchiamo. Questi momenti, queste emozioni, trapassano agli oggetti, convertendosi in testamento di quello che accadde in quell’ambiente nel quale rimangono. Il mio desiderio è far si’ che gli oggetti rivelino queste emozioni. Per questo considero che l’animazione e’ magia. In questo senso si può accomunare un animatore a uno sciamano.11
Circondata da questi oggetti, Alice sembra affamata e il suo appetito è destinato a rimanere frustrato. Il rapporto col cibo viene svuotato di ogni piacere e spesso sconfina nel puro disgusto. Infatti, come già detto, il menù offerto ad Alice è tutt'altro che invitante: pozioni scure e viscose, biscotti e pagnotte di pietra, funghi di legno, bistecche animate, scatolette piene di insetti brulicanti, etc. Scrive Israel Diego Aragon: Questa ossessione di Švankmajer per il cibo deriva dal fatto che durante l'infanzia fu sempre obbligato a mangiare. Ciò nonostante, un atto tanto “intrascendente” e quotidiano si trasforma in un elemento chiave per la storia, conferendogli poteri magici (Alice) o metaforici. Allo stesso modo il cannibalismo, presente tanto nei corti (Food, Dimensions of Dialogue) che nei film (Otesanek, Fausto), mostra come la golosità irrefrenabile delle sue creature non sia tanto alimentare quanto piuttosto distruttiva.
Terminate le metamorfosi, Alice nota dei buchi sul pavimento di legno, contornati di segatura. Da questi buchi escono e rientrano calzini animati, simili ai vermi giganti di Dune (id., D. Lynch, 1984). L'attenzione di Alice viene poi catturata dal cassetto di un tavolo. Dopo aver prevedibilmente rotto la maniglia, Alice usa un paio di forbici per forzarlo. Dal cassetto esce il Bruco (Caterpillar), una calza con occhi di cristallo e “la dentatura di un cavallo buñueliano”, secondo la definizione di Philip Strick12. Dopo aver lanciato un fungo di legno sul pavimento, il Bruco ci si avvolge sopra e offre ad Alice una porzione del fungo, dicendo “One side will make you grow, the other side will make you shrink”. Alice ne rompe due pezzi, uno per lato, e se li mette in tasca. Geoff Andrew, Conversation with Jan Švankmajer, in Time Out, ottobre 1998 Philip Strick, Monthly Film Bullettin, no. 658, pp. 319-320
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Dopo lo strano incontro, Alice entra in un'altra stanza. Per terra c'è una piccolissima casa saltellante, dalla quale proviene il pianto di un bambino. Usando il fungo, Alice ne aumenta le dimensioni. Mentre dall'abitazione vengono lanciati piatti e stoviglie, un luccio antropomorfo con vestiti settecenteschi porta ad Alice un invito ufficiale della Regina. Alice entra nella casa, e vi trova una grottesca parodia famigliare: il Bianconiglio allatta un maiale avvolto in fasce, che strilla con la voce di un neonato, mentre una rana, vestita come il messaggero della Regina, si aggira fra le stoviglie rotte catturando insetti con lingua. Vedendo Alice, il Bianconiglio le lancia il maiale-neonato. Il maiale si dirige verso una porta.
La sala da tè Seguendo il maiale, Alice arriva nella stanza del Cappellaio Matto (Mad Hatter), rappresentato come una logora marionetta di legno scuro, controllata da fili ben visibili. Il Cappellaio è seduto a un tavolo con un sudicio coniglio di peluche a carica (March the Rabbit). La scena è caratterizzata da una selvaggia creatività. Del personaggio carrolliano Švankmajer evidenzia la mania patologica per gli orologi e per la pulizia delle tazzine, tralasciando completamente la lunga sequenza di giochi di parole, indovinelli e trabocchetti a cui il Cappellaio sottopone Alice nel VII capitolo del romanzo. La protagonista osserva la delirante parodia del rito britannico del tè, quasi senza parteciparvi. Il Cappellaio ripete “I want a clean cup” e cambia sedia, mentre il coniglio spalma del burro su orologi da taschino. La ciclicità di queste azioni illogiche richiama quella di molte gag: il Bianconiglio quando consulta l'orologio lo deve ripulire dalla segatura e schiocca gli incisivi ogni volta che incrocia lo sguardo della bambina, Alice rompe tutte le maniglie con la stessa dinamica cinetica, etc. In un certo senso, sono gag “rituali”: Švankmajer le ripete fino a svuotarle di ogni humour, calandole in una sorta di fatalismo sardonico. La scena viene interrotta dall'irruzione surreale del Bianconiglio, estratto dal cilindro del Cappellaio, come nel numero di un folle prestigiatore. Il Bianconiglio scappa su una scala a chiocciola. Alice gli chiede di fermarsi, e lo segue. Nella sala da tè si nota con particolare evidenza l’erosione che intacca tutti gli oggetti-attori e gli elementi della scenografia. Tale erosione ha ovviamente una precisa funzione estetica. Švankmajer filma quasi esclusivamente in interni con muri crepati, con l'intonaco scrostato e ammuffito, arredati poveramente e associabili forse, per i parametri di uno spettatore occidentale, agli stereotipi di povertà e frugalità del periodo comunista. I fondali naturalistici del cinema d’animazione americano classico lasciano il posto a scenari sudici, in cui la sensazione di erosione 10
e sporcizia è quasi tattile. In quest'ottica, il Cappellaio Matto è quindi rappresentato come una vecchia marionetta di legno, abbandonata per decenni in un magazzino, divorata dalle tarme all’interno e annerita dall’umidità all’esterno.
Il teatro Quasi seguendo un andamento circolare, Alice arriva nel teatro intravisto attraverso la piccola porta dell'anticamera. Nascosta da un lenzuolo steso, Alice osserva due cavalieri, fuoriusciti da due carte da gioco, che stanno tirando di scherma. Nel teatro passano il Re (The King) e la Regina di Cuori (Queen of Hearts), seguiti da un corte di carte da gioco di ogni fattura, colore e dimensione, e dal Bianconiglio, che li segue con aria servile. La parata è commentata dal canto ironico di uccelli (probabilmente extradiegetici), che ottiene l'effetto di straniamento già descritto a proposito della scena dell'assedio. La volubile Regina ordina poi al Bianconiglio di decapitare i due cavalieri. Il Bianconiglio sfodera le forbici, oggetto già usato da Alice per aprire alcuni cassettiportale, ed esegue l'ordine. I due cavalieri decapitati continuano comunque a combattere e tutti personaggi in scena scompaiono dietro le quinte. Trovatasi da sola, Alice esplora la scenografia. Dietro una quinta, vede il Cappellaio Matto e il coniglio a carica giocare a carte. Il coniglio chiude una mano con la Regina di Cuori, che fuoriesce dalla carta da gioco, e condanna alla decapitazione anche loro. Il Bianconiglio esegue, ma i due continuano la partita dopo essersi scambiati le teste. L'esercizio del potere assoluto della Regina è quindi farsesco, vista l'evidente immortalità dei suoi sudditi. Le condanne a morte sono quindi il pretesto per nuove e inaspettate metamorfosi. La Regina nota Alice e la invita a giocare a croquet, facendo portare dal Bianconiglio due portaspilli da usare come palle. Le mazze sono dei fenicotteri di cartone. La partita non si può svolgere perchè, prima del turno di Alice, i portaspilli si trasformano in ricci e i fenicotteri in galline, che cominciano a scorrazzare per il teatro. Il Bianconiglio porge ad Alice un vecchio quaderno, raccomandandole di impararlo a memoria. Per l'ennesima volta il Bianconiglio esce di scena e Alice lo segue, chiedendogli di fermarsi.
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Il tribunale Alice entra in una stanza, arredata solo con tavolo, a cui sono seduti il Re e la Regina, che invitano “l'imputata” a entrare. A fianco del tavolo ci sono tutti gli animali del Wonderland, che accolgono Alice con un concerto di clangori minacciosi. La scena è strutturata come un processo, in cui Alice è l'imputata, il Re il giudice e gli animali la giuria. Mentre la Regina sembra desiderare solo la decapitazione dell'imputata, il Re vuole seguire un insondabile iter burocratico. Lo svolgimento del processo infatti è già completamente scritto sul quaderno dell'imputata, che dovrebbe limitarsi ripetere i passaggi prestabiliti. Il Re accusa Alice di aver mangiato dei biscotti magici. La bambina si difende dicendo “I didn't eat anything... Or hardly anything”. Gli animali rispondono ostilmente col solito rumore di ferraglia. Il Re, spiazzato dalla risposta inaspettata, ordina ad Alice di leggere il quaderno, invitandola ad attenersi al testo, secondo il quale l'imputata dovrebbe pentirsi e poi chiedere alla Corte la massima pena prevista, accontentando finalmente la sanguinaria Regina. Alice prova a giustificarsi, dicendo che non capisce l'accusa. Il Re si convince della colpevolezza di Alice, che mangia i biscotti davanti a lui, e ordina la decapitazione, decisione acclamata dalla giuria. Intenzionali o casuali che siano, gli echi kafkiani abbondano in tutta la scena: fin dalle sue premesse, il processo appare come un rito inscenato da un potere insondabile che non risponde a nessun criterio razionale, in cui l’accusa è tanto assurda quanto la giuria e le modalità di svolgimento. Evitando una forzata lettura politica, che potrebbe far accomunare il processo ad Alice ai processi farsa delle purghe staliniane, si può comunque notare un generale intento farsesco. L’autorità, incarnata una sagoma di cartoncino parlante, viene immersa in quella che si potrebbe definire “straniamento švankmajeriano”, in bilico perenne tra parodia grandguignolesca, inquietudine orrorifica e astrazione surrealista. Alice si risveglia, sentendo l'eco delle forbici e domandandosi “Which one?”, mentre tutti i personaggi passano in una veloce carrellata onirica. Al risveglio, la bambina trova in un cassetto le forbici del Bianconiglio, e conclude enigmaticamente il film dicendo “He’s late, as usual... I think I’ll cut his head off”. Su questo finale “aperto”, Philip Strick avanza un'ipotesi socio-psicologica: Il finale, in cui Alice attende di mozzare la testa al suo falso “maestro”, è sinistramente personale: [Alice] è ora libera dalla tirannia degli adulti, ma il solo potere che questa conquista le ha dato è quello della distruzione.
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Ovviamente non ci sono indizi sufficienti per individuare una chiave di lettura univoca. Švankmajer minimizza, ironicamente, dicendo che si tratta di “un puro esempio di sogno infantile”. Quello che la protagonista ha ottenuto nel suo viaggio nel Wonderland, che si tratti della liberazione dalle costrizioni sociali o della discesa nella follia, è implicitamente inafferrabile e rimane ineluttabilmente confinato nei territori dell’inconscio.
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Scheda del film Produzione:
Scritto e diretto da Soggetto basato su testi di Prodotto da Produttori esecutivi: Assistenti alla produzione: Coordinatrice della produzione: Production manager: Fotografia di Animato da Montato da Direzione artistica di Assistenti: Suono di Versione inglese di Cast:
Condor Film (Zurigo)/Hessicher Rundfunk (Germania dell'Ovest)/Film Four International (UK), 1987, colore, mono, 84 minuti. Jan Švankmajer Lewis Carroll Peter-Christian Fueter Keith Griffiths e Michael Havas Hannes Bressler e Paul Madden Eva Heiglová Jaromír Kallista Svatopluk Malý Bedrich Glaser Marie Zemanová Eva Svankmajerová e Jirí Bláha Nikolka Kreková, Karolina Glaserová, Terezka Chudobová, Ivona Krehová, Vasek Svankmajer Ivo Spalj e Robert Jansa Larry Sider e Heather Morley Kristýna Kohoutová
Bibliografia • • • • • •
Giaime Alonge, Alessandro Amaducci, Passo Uno: l’immagine animata dal cinema al digitale, Lindau 2003 Lewis Carroll, Alice's Adventures in Wonderland, 1865, http://rackham.artpassions.net/aliceinwonderland.html Michel Ciment, Lorenzo Codelli, Entretien avec Jan Švankmajer, Positif No. 345 Israel Diego Aragon, Jan Švankmajer: ocho claves y una paradoja, Letras de Cine No. 8 Jan Švankmajer, Alchemist of the Surreal, http://www.illumin.co.uk/svank Jan Uhde, Jan Švankmajer: The Prodigious Animator from Prague, http://kinema.uwaterloo.ca/jusva941.htm
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