Alina Tesi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SERVIZIO SOCIALE

Tesi di Laurea

Le comunità terapeutiche : storia e strategie operative. Il ruolo dell’assistente sociale nel percorso terapeutico comunitario del tossicodipendente

Relatore Prof. Giovanni Silvano

Laureanda Coca Alina Daniela

Anno Accademico 2009-2010

3

Indice Introduzione.....................................................................................................5 Capitolo 1 : La storia delle comunità terapeutiche ..........................................7 1.1 Le origini delle comunita`..................................................................................7 1.2 La nascita del termine “comunita` terapeutica”.......................................................9 1.3 La comunita` terapeutica per malati mentali..........................................................11 1.4 La comunita` terapeutica per tossicodipendenti.....................................................13 1.5 Modello anglo-sassone e modello americano.........................................................15

Capitolo 2 : Tipologia e classificazione delle comunità terapeutiche...............19 2.1 Comunità esplicitamente terapeutiche e implicitamente terapeutiche ............................19 2.2 Comunità di vita, comunità di accoglienza , comunità educative ,comunità terapeutiche...21 2.3 Classificazioni funzionali e descrizioni di tipi di comunità .......................................23

Capitolo 3: Strategie operative e modalità d’intervento ...................................27 3.1La strategia operativa delle comunita` terapeutiche .................................................27 3.1.1 La strategia operativa di base..........................................................................29 3.1.2 La strategia educativa centrata sul lavoro..........................................................31 3.1.3 La strategia terapeutica..................................................................................33 3.2Strategia operativa e rapporto operatori – residenti .................................................33 3.3Il

ruolo

dell`assistente

sociale

nel

percorso

terapeutico

comunitario

del

tossicodipendente...............................................................................................35

Capitolo 4: Le fasi del programma di recupero per tossicodipendenti...............41 4.1 Perche` la comunita` terapeutica. Punti di forza della comunita` terapeutica...................41 4.2 La questione delle tre fasi del programma terapeutico...............................................45 4.3 Comunità terapeutiche padovane i loro programmi terapeutici....................................51 4

4. 3.1 Comunita` Terapeutica “San Gregorio”-Padova .................................................51 4.3.2

Comunita` di Pronta Accoglienza “Villa Ida”-Padova.........................................53

Conclusioni.........................................................................................................57 Bibiografia..........................................................................................................59

Introduzione

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I servizi presso i quali ho svolto il mio tirocinio professionale mi hanno portato a conoscere il mondo delle comunita` terapeutiche (C.T). Il primo modulo di tirocinio si e` svolto presso il Sevizio per le Tossico-Dipendenze (Ser.T) di Rovigo, mentre il secondo presso il Centro di Salute Mentale di Rovigo, ambedue unita` operative del Dipartimento di Salute Mentale dell` ULSS 18. Fra le varie mansioni specifiche della figura professionale dell`assistente sociale all’interno del Ser.T c’è quella del reperimento per il conseguente inserimento del paziente tossicodipendente e/o alcolista presso la struttura comunitaria, dove seguirà il programma di trattamento socioriabilitativo. Come specialista che si serve più frequentemente della comunità terapeutica come risorsa, l`assistente sociale svolge una scrupolosa e dettagliata attività di studio, valutazione e catalogazione delle caratteristiche delle varie comunità presenti sul

territorio in base alla

tipologia dei loro programmi terapeutici di recupero. Il D.P.R. 9.10.1990, n. 309 stabilisce che i Ser.T possono avvalersi della collaborazione di enti ausiliari che gestiscono strutture per la riabilitazione e il reinserimento sociale dei tossicodipendenti (le cosiddette comunità terapeutiche) e attribuisce alla regione il compito di istituire l’Albo di tali enti ausiliari. La comunità terapeutica è definita come “una struttura residenziale e/o semiresidenziale con compiti terapeutico riabilitativi finalizzati al reinserimento dell'ospite nella società.” La Regione Veneto ha classificato le comunità terapeutiche in tre categorie in base al progetto terapeutico: Categoria A (comunità di accoglienza): strutture residenziali o semiresidenziali, che per il raggiungimento delle finalità di recupero adottano metodologie di tipo educativo, assegnando un ruolo preminente alla condivisione della vita comunitaria e dell'attività lavorativa. Categoria B (comunità terapeutiche): strutture residenziali o semiresidenziali, in cui l'intervento è personalizzato e articolato in una serie di proposte terapeutiche e riabilitative (psicoterapeutiche, educative, formative e culturali) anche a favore del nucleo familiare dell'utente. Esse prefigurano un intervento professionalmente definito volto al recupero della salute psichica e fisica del tossicodipendente attraverso una presa in carico personalizzata. Categoria C (comunità terapeutiche specialistiche): strutture terapeutiche specialistiche residenziali o semiresidenziali operanti in ambito pubblico o privato che si dimostrano in grado di assicurare un livello di intervento altamente qualificato e professionale per metodologia clinica, per figure professionali impiegate, nonché per le attività di ricerca clinica e sperimentale. Attualmente sono iscritte all’Albo regionale 30 comunità terapeutiche private, che si articolano in 85 sedi operative, con una disponibilità complessiva di 1.582 posti in programmi terapeutico6

riabilitativi, dei quali 1.386 residenziali distribuiti in maniera piuttosto diversificata nel territorio regionale. Le comunita`terapeutiche conosciute al Centro di Salute Mentale sono strutture extra-ospedaliere in cui si svolge una parte del programma terapeutico-riabilitativo e socio-riabilitativo per utenti di esclusiva competenza psichiatrica con lo scopo di offrire una rete di rapporti e di opportunità emancipative, tramite specifiche attività riabilitative. Tali strutture possono inoltre fornire un supporto residenziale in presenza di situazioni familiari particolarmente conflittuali. Si differenziano in base all’intensità dell’assistenza sanitaria (24 ore, 12 ore, fasce orarie), al numero di ospiti e alle finalità (mantenimento abilità residue, riabilitazione). La permanenza nelle strutture può essere prevista da periodi brevi (alternativa al ricovero in Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura), medi o lunghi in rapporto alla situazione psicopatologica della persona e alle situazioni sociali e relazionali concomitanti. In questo lavoro confluiscono diverse ricerche sviluppate intorno allo stesso oggetto: le comunità terapeutiche . La prima parte della tesi si basa sulla ricerca di notizie storiche , dove si descrive ed analizza lo sviluppo delle C.T. dalla loro nascita ad oggi. La prima parte ha permesso da un lato un analisi critica delle esperienze di C.T. che in Inghilterra e negli Stati Uniti hanno storicamente segnato la comparsa di queste forme di intervento sociale e sanitario, dall’altro l’evidenziazione della specificità del caso italiano, dovuta al fatto che molto spesso le comunità affondano le loro radici non tanto in un sapere e in una tecnologia psicologica, quanto in opzioni educative e di origine etico-religiosa. Proprio questo fatto è all’origine sia dell’affermazione e dello sviluppo straordinario delle comunità in Italia, sia del successo della concezione della tossicodipendenza non come “malattia psichica” ma come forma di fallimento e problema esistenziale La seconda parte invece è costituita dall’analisi più dettagliata della comunità terapeutica e le varie tipologie di C.T. in base alla loro metodologia operativa (presentando anche i progetti educativo-terapeutici di due comunita` operanti nel Veneto) e dell` ruolo dell`assistente sociale nel percorso terapeutico comunitario del tossicodipendente.

1° capitolo La storia delle comunità terapeutiche 1.1 Le origini delle comunità Il termine “comunità” deve essere visitato con estrema semplicità e cioè come una aggregazione 7

naturale di persone che condividono significativamente il loro vissuto quotidiano e che sono legate da vincoli di solidarietà. Una delle molte definizioni di comunità, molto appropriata in questo contesto, indica la comunità come un piccolo gruppo caratterizzato al suo interno da intense relazioni solidali, e totalizzante rispetto ai fini. Il termine che meglio si addice alla descrizione del contesto comunitario è quello di Gemeinschaft. Nella tradizione sociologica viene usato per individuare l’organizzazione sociale che scaturisce da rapporti primari tra individui uniti da solidarietà, integrazione e altruismo e per distinguere il significato del termine comunità, usato in questo senso, dal più generico significato di aggregato o gruppo esteso residente in un determinato territorio. Il processo sociale è caratterizzato (secondo Tonnies) da due modelli opposti. Il primo definisce la “comunità “come il prodotto della volontà organica che dà spontaneamente vita ai rapporti naturali e originari della famiglia e della vita comunitaria fondata su legami sentimentali e su valori profondi quanto inconsapevoli (autorità, pietà, lealtà); la coesione dei soggetti non è di tipo istituzionale, ma si basa su rapporti personali concreti. Il secondo modello definisce invece la“società” (Gesellshaft) ossia il prodotto della volontà arbitraria

e della riflessione

intellettuale che organizza i rapporti in base a leggi e contratti. Una relazione sociale deve essere definita “comunita’” se, e nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano .1

1 Weber M. ( 1968) Economia e società. Milano, p. 38 8

La definizione di comunità, intesa in questo senso, è oggetto degli sforzi di analisi più profondi di tutta la tradizione del pensiero sociologico: da Comte a Otonnies, a Weber, a Durkheim fino alle moderne distinzioni tra rapporti primari e secondari. Nella sociologia ad impianto fenomenologico il concetto di comunità può essere superato e reso ancor più chiaro dal termine “ mondo vitale quotidiano” che indica il luogo sociale in cui vige una relazione interpersonale a breve raggio e la definisce come produttrice di orientamento. La presenza di termini così ampi, chiari e noti nella moderna sociologia rende superfluo dare ulteriori spiegazioni e definizioni di raggruppamenti umani a breve raggio che presentano all’interno vincoli di solidarietà e sentimenti di affratellamento. Nel linguaggio corrente degli amministratori e degli operatori dei servizi va emergendo un frequente ricorso al termine “comunità“: psicologia di comunità, assistente di comunità infantili, operatrice di comunità per anziani, educazione di comunità. L’impressione è quella di una certa dissolvenza del termine che può andare a discapito della chiarezza (comunità = un particolare legame tra persone e un chiaro senso di appartenenza) e spingere il concetto verso una deriva di significato (comunità = qualsiasi raggruppamento di piccole o medie dimensioni che sarebbe desiderabile divenisse comunità; comunità = un contesto sociale in cui l’operatore cerca di far nascere rapporti di solidarietà). Non è infatti sufficiente la piccola dimensione del gruppo e la convivenza sotto lo stesso tetto per far innescare quel processo di affratellamento tipico della Gemeinschaft o, meno che mai, la produzione del concetto di un mondo vitale.

9

1.2 La nascita del termine “comunità terapeutica” Il termine “comunità terapeutica” si deve a T.F.Main nel 1946 che parlando del lavoro degli psichiatri inglesi del gruppo di Northfield descrisse l’ospedale come una comunità terapeutica.2 L’ufficializzazione di tale termine avvenne nel 1953 a conclusione dello studio dell’ Organizzazione Mondiale della Sanita` sulle organizzazioni psichiatriche internazionali in cui si proponeva l’idea che ogni ospedale psichiatrico dovesse trasformarsi in una comunità terapeutica. La prima “comunità terapeutica per tossicodipendenti“ è unanimemente considerata Synanon , fondata nel 1958 ad Ocean Park, California, da Charles E.Dederich, un ex alcolizzato recuperato attraverso l’Anonima Alcolisti. Synanon House non si autodefiniva “comunità terapeutica“ anche perché questo termine non era ancora di uso corrente . 3 Già alla nascita delle C.T. il rapporto tra operatori e residenti si mostra come punto critico dell’equilibrio interno del gruppo di aderenti a tale esperienza. La storia e lo sviluppo del movimento delle comunità terapeutiche possono, in parte, essere letti come il susseguirsi di modificazioni nel modo di intendere tale equilibrio. Ciò che accade quasi contemporaneamente negli anni ‘50 e 60 in Inghilterra e negli Stati Uniti ma, a ben vedere, in molti altri paesi, particolarmente in Italia, dove prendono forma esperienze di aggregazione comunitaria è una esperienza storica unica ed estremamente interessante. Può avere molte chiavi di lettura ed essere studiata secondo plurimi codici di interpretazione. Nella letteratura sulla storia delle comunità ne emergono almeno due: quello tecnico professionale che rimanda alla rottura della epistemologia psicologica e psichiatrica ed alla conseguente apertura verso un processo di partecipazione del paziente al processo terapeutico e quello comunitario che presenta la nascita dei gruppi di comunità come uno spontaneo associarsi di soggetti volti ad una ricerca di formazione interiore, di conoscenza psicologica e di indirizzi filosofico morale. La democrazia e la gerarchia (non a caso la prima distinzione tra il modello anglosassone e quello americano li designò come modello democratico e modello gerarchico), il senso del potere, la guida da parte di personalità carismatiche o l’orientamento dell’esperienza da parte di professionisti psicoterapeuti, la separatezza o l’integrazione della comunità terapeutica con il contesto sociale, la cronicità o la transitorietà dell’esperienza comunitaria, la concezione dell’uomo ed i valori sono alla base del diversi programmi di recupero.

2 Costantini D, Mazzoni S. (1984) Le comunita` terapeutiche per tossicodipendenti. NIS, p. 11 3 Yablonsky L. (1988) La comunità terapeutica, Roma

10

L’espressione “istituzione totale” vuole designare collegi, riformatori, caserme, prigioni, ospedali psichiatrici. Luoghi proposti come strutture educative, rieducative e di recupero che non sono stati in grado di svolgere un servizio educativo o riabilitativo ed hanno ripiegato su una mera funzione di contenimento, se non coercitiva, producendo un nuovo genere di disturbi quali la sindrome da istituzione totale, la deprivazione e la cronicizzazione della dipendenza. Le istituzioni totali infatti esercitano controllo su tutti gli aspetti della vita dei soggetti in esse presenti, non vi sono spazi per la libertà scelta né per la responsabilizzazione individuale, spesso anche l’adesione e l’ingresso sono imposti. Nelle istituzioni totali l’internato vive, mangia, dorme, lavora all’interno della struttura ed è, generalmente, privo dei suoi spazi personali e delle possibilità di seguire le sue abitudini. Chi detiene il comando chiede agli internati l’assoluto rispetto e la sottomissione.4 La struttura delle comunità terapeutiche si propone come alternativa alle istituzioni totali: pur nella medesima condizione di convivenza comune gli ospiti delle C.T. non sono mortificati nello sviluppo del sé, al contrario traggono beneficio dal programma riabilitativo a loro proposto.

1.3 La comunità terapeutica per malati mentali 4 Basaglia F. (1968) L’istituzione negata . Torino, p. 23 11

Fino agli anni 50 l’orientamento generale della psichiatria era quello di considerare “cronica“, in gran parte irreversibile, la malattia mentale e le cause erano ricercate unicamente in fattori biologici. Il fattore ambiente era totalmente ignorato, almeno fino alla nascita della “psichiatria sociale”. Anzi, era proprio l’adattamento all’istituzione l’unico obiettivo di normalizzazione del paziente internato. Maxwell Jones è lo psichiatra che, con il suo carisma, i suoi studi e le sue applicazioni pratiche, ha maggiormente contribuito allo sviluppo dell’esperienza delle comunità per malati mentali; tanto da diventare il caposcuola del modello anglosassone di C.T. Lo studioso iniziò la sua attività nel 1947 nella prima comunità terapeutica dell’Ospedale Henderson di Londra, mentre nel 1962 divenne direttore dell’Ospedale Dingleton di Melrose nei pressi di Edimburgo (Scozia) dove sperimentò le sue teorie di trattamento comunitario sui pazienti del reparto di psichiatria. In quegli anni in Inghilterra si legiferava sull’apertura dei reparti negli ospedali, ed inoltre progredivano gli studi dei trattamenti di gruppo, dei trattamenti familiari e di psichiatria sociale. Inoltre lo sviluppo della teoria del sistemi sociali negli anni ‘60-70 da parte delle scienze comportamentali contribuiva a dar credibilità alle scoperte di Jones 5. Le intuizioni di Maxwell Jones erano fondate sulla rivoluzione del modello internazionale introducendo dei canoni di comunicazione più “democratici” (paritari) tra medico e paziente, paziente che era coinvolto nella gestione diretta dell’ambiente di vita attraverso la responsabilizzazione nelle attività mediante i ruoli di cui era investito dalla comunità. Con queste innovazioni venivano stravolti i fondamenti dell’istituzione totale e rotti i vecchi meccanismi di controllo e contenimento per proporre un nuovo tipo di approccio e di trattamento delle malattie mentali. La comunità terapeutica inglese non nasce spontaneamente come nuova struttura di riabilitazione ma prende forma da un importante processo di ristrutturazione dell’ospedale psichiatrico con il fine di dare maggior rilievo alle influenze del gruppo, dell’ambiente e dei rapporti interpersonali nella riabilitazione del paziente lungodegente. I criteri di ammissione alla C.T. erano la adesione volontaria e il rispetto da parte dell’ospite delle regole scritte ed orali intorno alle quali si struttura il gruppo. I metodi si fondavano sulla analisi collettiva del vissuto quotidiano, sulla comunicazione che stimola la relazione interpersonale e sul costante tentativo di superamento dell’autorità all’interno della comunità. Il tutto finalizzato alla riappropriazione di comportamenti sociali 5 Jones M. (1987) Il processo di cambiamento. Milano, pp. 11-12

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adeguati, in modo da rendere possibili il distacco indolore e fisiologico dal programma al momento giusto ed il reinserimento sociale. Il modello di C.T. elaborato da Jones non rifiutava dunque l’istituzione in quanto tale, ma tendeva a promuovere la partecipazione del residente alla gestione della struttura ed impegnava in un diverso modo di concepire il rapporto medico-paziente.6 La proposta di Jones superava l’idea di Goffman che l’istituzionalizzazione fosse solo legata ad una

concezione

spaziale

dei

luoghi

di

restrizione

e

giungeva

ad

individuare

l’istituzionalizzazione come conseguente alla tipizzazione dei ruoli. Le scoperte e le proposte delle C.T. sono incentrate sulla partecipazione, tendono ad intervenire sul clima relazionale interno, a favorire il senso di appartenenza ad un gruppo in “statu-nascenti”. Non si tratta di una nuova cura ma di una complessa ristrutturazione delle modalità di organizzazione interna e di gestione delle relazioni. Non era sufficiente l’abolizione della istituzione totale per produrre salute mentale, era anche necessario inserire i pazienti in un clima vitale per favorire un percorso terapeutico di crescita e di cambiamento. Ha indubbiamente nuociuto alla proposta di Jones l’enfasi con cui l’OMS ha accolto la sua metodologia proponendo che l’ospedale psichiatrico, dovesse essere nel suo insieme una C.T. Le conseguenze sono state dapprima la volgarizzazione del termine C.T. nella cultura psichiatrica (ragione per cui molti reparti hanno assunto tal denominazione senza presentale alcuna caratteristica in tal senso) e poi la radicalizzazione della proposta antiistituzionale che si è mostrata con “ la negazione dell’istituzione come unica modalità”.7 Con questi presupposti l’esperienza non poteva dare la gran messe di frutti positivi che si attendevano e così già nel 1968 viene annunciato, in modo molto affrettato, il fallimento della C.T. per malati mentali. Non è giusto comunque considerare fallita una esperienza solo perché mancavano quei criteri di comprensione che, alla luce dell’esperienza attuale, sono molto più chiari e possono essere individuati in almeno due elementi mancanti nel quadro descrittivo delle esperienze delle C.T.: in primo luogo la ricognizione sulle modalità di rapporto all’interno. Non basta la caduta della tipizzazione dei ruoli medico-paziente (per molti versi anche negativa perché diminuisce l’autorità e può celare numerose mistificazioni), occorre investigare sulla natura dei legami che si instaurano tra le persone all’interno della CT. L’area della relazionalità e le posizioni che reciprocamente assumono i diversi soggetti sono meccanismi molto più profondi e sottili della pura e semplice libertà di comunicazione. La psicologia relazionale ha dato un notevole contributo alla comprensione delle posizioni metacomunicate tra i componenti del gruppo occorrerà però attendere la ripresa, più recente degli 6 Jones M. (1987) Il processo di cambiamento. Milano, pp.11-12 ; 7 Basaglia, F. (1968) Istituzione negata. Torino, p. 147

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studi sull’empatia per raggiungere una più attenta comprensione dei fenomeni relazionali in comunità. Non è a caso che uno degli elementi più in uso delle attuali strutture di comunità per il recupero di tossicodipendenti sia l’interpretazione continua del vissuto e la ricerca del suo senso. La condivisione di sentimenti, mediante l’utilizzo dell’ empatia, del vissuto altrui può riaprire la persona verso stati d’animo e di mente riempienti ma senza la successiva loro interpretazione, definizione e verbalizzazione, il processo di crescita non è completo e duraturo. In secondo luogo la teoria che stava alla base delle prime C.T. per pazienti psicotici trascurava il fatto di prendere in attenta considerazione il clima sociale esistente all’interno della C.T . E non si tratta solo dell’ ”ambiente terapeutico” protettivo in cui possa strutturarsi ogni atto della giornata come un momento del processo terapeutico. V’è bisogno di individuare qualcosa di più: comprendere che la piena partecipazione all’esperienza richiede che il gruppo sia sempre in “statu-nascenti“, viva cioè intensamente la consapevolezza di star compiendo qualcosa di eccezionale ed unico e sia unito intorno ad un progetto. Il successo delle prime C.T. ed i successi terapeutici dell’esperienza di Gorizia sono dovuti probabilmente più a questo clima che non alle metodologie approntate.8

1.4 La comunità terapeutica per tossicodipendenti Le comunità per tossicodipendenti hanno un percorso di sviluppo totalmente diverso. La struttura a cui si fa ufficialmente risalire la storia delle comunità di recupero è Synanon. Charles E. Dederich ricava dall’esperienza maturata negli Alcoholics - Anonymous la lezione che per uscire da situazioni di dipendenza è necessario l’aiuto e il controllo reciproco di soggetti che, in un percorso di ricerca, relazione e appoggio comune, decidono di liberarsi dalla dipendenza. Yablosky afferma che le caratteristiche esteriori di Synanon sono molto simili a quelle di molte comunità per il recupero dei tossicodipendenti. In genere chi è capace di costruire e gestire una comunità è un efficace comunicatore che sa scegliere i veicoli più adatti alla diffusione del messaggio ed alla offerta di aiuto che vuole proporre. Synanon probabilmente non è l’unica struttura che negli anni ’50 tenta di offrire una risposta totalmente autogestita al problema della tossicodipendenza; è sicuramente la più grande e quella che ha segnato una tappa fondamentale nella storia delle strutture di recupero. Sembra però che tali strutture siano da descriversi come un particolare fenomeno sociale emergente, connesso ad altri che andavano fiorendo negli Stati 8 Basaglia F. (1968) L’istituzione negata. Milano, p. 165 14

Uniti, come per esempio quello delle comunità hippies, delle sette o delle svariate aggregazioni che hanno costellato il panorama sociale americano. 9 E’ probabilmente l’incontro di Dederich con Yablonsky, Daniel Casriel ed altri numerosi professionisti della salute mentale a fare di Synanon un modello interessante per la costituzione di comunità. Solo più tardi Daniel Casriel modificherà il modello di Synanon dando vita a Daytop Lodge. Nel corso degli anni ’80 il modello della C.T., rinnovato attraverso il Daytop si diffonde articolandosi in diversi paesi del mondo. In queste nuove strutture il ruolo dei professionisti diventa sempre più rilevante e la leadership non viene più assunta da un solo ex tossicodipendente ma emergono svariati modelli di leadership. I programmi ispirati al Daytop lasciano alle spalle l’esperienza di Synanon e si strutturano, organizzandosi mediante l’apporto di tecnici , in fasi prestabilite e con strumenti professionali. Le tappe dei diversi centri d’ispirazione Daytop sono schematiche: in alcuni casi esiste una preaccoglienza più o meno lunga dove il tossicodipendente viene motivato all’ingresso in comunità (alcuni programmi invitano l’interessato a partecipare a gruppi di preparazione); il motivo conduttore delle procedure di ammissione è quello sperimentato a Synanon e cioè rendere difficile e desiderabile l’ingresso per aumentare la motivazione al cambiamento. La prima tappa prevede l’azzeramento dei diritti, in specie del diritto di possesso, ed al nuovo residente vengono affidate incombenze senza grande impegno. Successivamente si attua un processo di più forte coinvolgimento attraverso i gruppi di incontro ed un impegno di lavoro più rilevante. Avanzando il programma gli viene richiesto di occuparsi responsabilmente dei nuovi arrivati per introdurli alle regole della comunità e progressivamente diventa possibile una certa riapertura nei confronti dell’esterno mediante incontri con i parenti. Il processo terapeutico culmina con la fase del reinserimento, attuata generalmente attraverso due tappe, e con la successiva uscita dalla comunità del residente.10 Gli elementi operanti in C.T. sono dunque il coinvolgimento nella esperienza, il fatto di poter raggiungere successi tangibili, la crescita sociale di status, il possesso di un nuovo ruolo sociale, il riesame di se stessi che favorisce l’accertamento dell’identità profonda, l’intenso rapporto con il gruppo che funziona da controllo sociale. I modelli da imitare sono vicini e rappresentati da soggetti che hanno fatto le stesse esperienze negative ma sono cambiati; dunque sono credibili. Il fatto di poter cambiare la propria 9 Yablonsky L. (1989) La comunità terapeutica. Roma, p. 29 10 Yablonsky , L. (1989) La comunità terapeutica. Roma , pp.198-199

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condizione , non attendendo che il tempo trascorra , ma usandolo in maniera efficace per ottenere successi, rende possibile la scelta di rimanere e trattiene il residente dai richiami al suo precedente stile di vita. Inoltre il residente è entrato volontariamente e dunque non ha alcun interesse a fingere o mentire e quando è tentato a rifugiarsi utilizzando vecchie dinamiche consolidate, può essere indotto a rivelare la verità poiché sa che ciò è positivo per lui . Anche il lavoro nelle comunità spontanee non è un esercizio per impiegare il tempo ma una vera necessità per la micro-collettività. Intorno all’esercizio del lavoro si costituisce un senso di autostima ed una consapevolezza di appartenenza. La vicinanza di modelli, la volontarietà, il desiderio di cambiare, il fatto di sentirsi utili rendono la residenza in comunità anche avvincente e motivano al rimanervi anche per il lungo tempo proposto dai programmi di recupero.

1.5 Modello anglosassone e modello americano Come si è detto all’inizio il punto di riferimento per una trattazione circa i modelli di comunità è la descrizione dei prototipi delle C.T. e cioè: il “modello anglosassone“ e il “modello americano“. Le due matrici hanno impianti, origini, metodi e storia differente . La troppa enfasi posta su alcune caratteristiche distintive dei due modelli non fa però chiarezza circa gli obiettivi criteri attraverso cui è possibile comprendere le loro autentiche differenze. In sintesi queste esperienze sono state così descritte: il modello anglosassone basato sul principio di considerare la riabilitazione sociale alla stregua di un processo educativo capace di utilizzare il potenziale terapeutico dello staff e dei pazienti. Gli strumenti principali utilizzati a tale scopo: la vita di comunità vera e propria, il clima terapeutico, l’interscambiabilità dei ruoli e il confronto quotidiano che stimola l’apprendimento di nuove modalità di rapporto con gli altri. Il modello americano invece basato sulla spontaneità della richiesta di aiuto alla CT da parte della persona, che si affida al rigido sistema di regole che contribuiscono alla rieducazione ed alla risocializzazione. Lo staff, in questo modello, è distinto dagli altri membri della C.T., i quali però hanno la possibilità, salendo la scala gerarchica, di entrare a far parte essi stessi dello staff. 11

Questa è la ragione di fondo che ha dato origine alla dizione “modello democratico“ e

“modello gerarchico“, connotazione artificiosa, perché l’uso di tali aggettivi non descrive specificatamente i connotati delle due diverse matrici e, tanto meno, il diverso sviluppo che le C.T. inglesi ed americane hanno avuto. La pubblicità avuta da tale distinzione molto equivoca è presumibilmente da ricercare nell’effetto 11 Costantini D., Mazzoni S. (1982) Comunita` terapeutiche e tossicodipendenza.Rivista S.S. n°3 , pp.5152

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che il termine “democratico“ produceva nel contesto socio – politico degli anni ’70 che, animato da forti e positive tendenze anti – istituzione totale, vedeva nelle comunità inglesi un modello di trasformazione efficace delle strutture manicomiali in comunità terapeutiche. Ciò non toglie legittimità ai contenuti di democrazia presenti all’interno di tal modello ma la dizione utilizzata non è sufficiente a discriminare in modo obbiettivo le C.T. inglesi da quelle americane. D’altro canto la dizione gerarchico non rende giustizia al complesso stile di lavoro delle C.T .americane ma spiega il solo processo di crescita gerarchica che il residente vive nel programma di recupero e che lo porta a percorrere i vari gradi di carriera nello staff. Il confronto tende a cambiare il comportamento deviante attraverso l’esternazione di opportune osservazioni nei confronti del comportamento deviante. Infatti il comportamento negativo è così fortemente amplificato che la vittima lo eviterà a tutti i costi nel futuro, molto similmente ad una bambino che impara ad evitare il contatto con il fuoco; questo approccio è chiamato condizionamento operante o modificazione di comportamento. E’ importante ricordare che a dispetto degli stretti ruoli e del linguaggio violento associato a delle situazioni di confronto nelle C.T. americane questi episodi sono spesso seguiti da riconciliazioni e da espressioni di affetto dal personale delle C.T. inglesi. Non e` solo questo stile di lavoro a differenziare i modelli. Ma le differenze tra CT anglossasone e la C.T. americana sono enormi, ma recentemente, con una migliore compresione tra i due gruppi, un comune sviluppo sta apparendo e crescendo, verso un apprendimento inter-culturale. Comunque, dobbiamo ricordare che la C.T. inglese e` un aspetto speciale della salute mentale e tende a curare tutti i tipi di malattia mentale. Più specificatamente la C.T. inglese è una struttura per la salute mentale, un setting ospedaliero democratico e aperto con una organizzazione medica, gerarchica e formale. Sull’altra sponda le C.T. americane sono originalmente intese per il trattamento dei tossicodipendenti in strutture relativamente piccole con l’uso di operatori ex tossicodipendenti. Si può dire che la C.T. anglosassone si appoggia primariamente a tecniche di modificazioni del comportamento e quelle americana a quelle di apprendimento sociale. Ambedue gli approcci vivono sul clima informale di comunità (sia nella C.T. inglese sia in quella americana è difficile distinguere gli operatori dai pazienti basandosi sui loro vestiti e sul loro modo di fare). Ambedue si fondono su frequenti incontri comunitari con libera espressione dei sentimenti. Ambedue ritengono che il residente possa dare un contributo fondamentale alle riunioni. La maggior differenza è che la C.T. americana è una struttura sociale gerarchica 17

dove i ruoli e le decisioni sono emanate dal vertice, mentre nella C.T. anglosassone vengono fatti seri tentativi di coinvolgere ciascuno nei processi di decisione. Il potere ultimo delle C.T. americane rimane nelle mani del leader, nelle C.T. inglesi è distribuito attraverso il sistema sociale mediante numerosi leader formati professionalmente. 12

12 Jones M. (1987) Il processo di cambiamento. Milano, p. 34

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2° capitolo Tipologia e classificazioni delle comunità terapeutiche 2.1 Comunità esplicitamente terapeutiche e comunità implicitamente terapeutiche. Luigi Cancrini (1982) dà un contributo interessante nella direzione sul come comprendere le ragioni della diversità tra i due modelli (anglosassone ed americano) . Cancrini discute del fatto che una prima differenza rilevante tra i due tipi di C.T. sta nella diversità delle condizioni in cui si trovano i soggetti ai quali si rivolgono le due esperienze comunitarie: nel primo caso si tratta di persone rinchiuse in ospedale psichiatrico in maniera coatta e la C.T. si presentava come un’alternativa umana all’isolamento ed alla mortificazione caratteristica della vita istituzionale. Nel secondo caso le persone (alcoolisti, tossicodipendenti) facevano una scelta e si affidavano arbitrariamente alla C.T. per essere aiutati in un luogo protetto. L’osservazione è molto pertinente poiché riequilibra le prese di posizione troppo facilmente critiche nei confronti delle C.T. americane (o, per essere più precisi, del modello d’intervento che ad esso venivano attribuito) e sul sistema di potere presenti in tali esperienze Cancrini continua la sua riflessione indicando le differenze tra i due modelli.13 Nel modello anglosassone gli individui sono tutti egualmente responsabili di fronte a se stessi ed al gruppo, mentre nel modello americano la possibilità di essere responsabili va conquistata. Nel modello anglosassone l’individuo è accettato e valorizzato nei suoi termini personale, mentre nell’altro modello viene accettato solo nei termini della sua capacità di adeguarsi alle regole della comunità; Nonostante l’umanizzazione della vita dell’ospedale nella C.T. di M. Jones, l’individuo si realizza solo in quanto paziente, mentre nella C.T. americana ognuno è consapevole che, se lo desidera e si impegna, potrà diventare parte dello staff stesso. E’ ormai matura la presa di distanza dalla definizione di modello democratico e gerarchico; tali termini, ormai insufficienti, vengono superati. La questione viene ripresa in Italia, anche in ragione dello sviluppo di comunità si allineano con la tradizione inglese ed americana. Partendo dal presupposto che tutte le strutture che hanno il fine del cambiamento della personalità siano strutture terapeutiche, comprese quelle che rifiutano tale aggettivo, viene formulata la dizione di “comunità esplicitamente terapeutiche e comunità implicitamente terapeutiche”. Non tutte le comunità si definiscono apertamente come 13 Cancrini L. (1982) Quei temerari sulle macchine volanti. Roma, p. 17

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terapeutiche. Alcune di esse (le definiremmo esplicitamente terapeutiche) si propongono al tossicodipendente come una struttura utile alla liberazione di forze esistenti all’interno della sua personalità e allo sviluppo di un suo personale progetto di vita, ma tendono a raggiungere un simile scopo in tempi più o meno rigidamente stabili, all’interno di un programma terapeutico che prepara a un’ipotesi di rientro nella società circostante. Organizzate in modo diverso, altre comunità (le definiremmo qui implicitamente terapeutiche) non prevedono programmai o fasi e rifiutano apertamente, a volte, la definizione normalizzante che sottolinea il carattere “terapeutico“ della loro attività. Presentandosi come proposta di vita alternativa alla società rifiutata dal tossicodipendente, questo tipo di comunità richiede a chi vi entra, una vera e propria scelta di vita: venirne a farne parte significa accettare l’idea di vivere e lavorare insieme, all’interno di una microsocietà che contrappone i suoi valori a quelli prevalenti all’esterno e che non programma (in coerenza con questa filosofia) rientri vissuti come scopo del lavoro comunitario. 14 Le differenze tra i modelli di comunità sono dunque ancora solo culturali e non necessariamente metodologiche; le differenti metodologie sarebbero espressione, dal punto di vista dei fondatori, del modo di distanziarsi dai valori dominanti del contesto sociale e sul conseguente modo di intendere il significato di recupero. Le procedure di ammissione sono molto diverse. Invece di preparare il tossicomane all’esperienza comunitaria tentando di modificare attraverso il coinvolgimento attivo della sua famiglia e di altre realtà significative per lui il reale della sua esperienza, motivandolo al cambiamento. Le differenze che vengono successivamente rilevate riguardano, oltre alla presa di contatto e la gestione dell’astinenza, anche la struttura organizzativa, il ruolo del leader carismatico, la durata dell’esperienza, la fusionalità con la vita comunitaria da parte del residente. Il tentativo di Cancrini di individuare nella consapevolezza della terapeuticità le differenti filosofie sottostanti ai modelli non è però convincente: in primo luogo perché se una struttura sociale si definisce in un certo modo e non in un altro , non lo fa sicuramente sulla base di qualche equivoco, ma per una scelta precisa maturata sulla base della sua esperienza, della sua cultura , del suo linguaggio. C’è qualcosa di invasivo nella definizione tipologica di Cancrini che, infatti, ha suscitato molte perplessità nei movimenti delle comunità di recupero. Inoltre non può nemmeno giustificarsi sulla base del richiamo ad un diverso modo di concepire le problematiche della società 14 Cancrini, L. (1982) Quei temerari sulle machine volanti. Roma, p. 171

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contemporanea e la definizione di tossicodipendente. Infatti se si analizzano gli scritti, i giornali e le produzioni delle diverse comunità in quegli anni appare una visione della realtà sociale molto simile. La analisi del contesto socio- politico da parte delle diverse comunità in Italia si andrà fortemente differenziando solo negli anni successivi. Sembra più legittimo ipotizzare invece che le diverse tipologie di comunità prendano le loro specifiche forme sulla base delle caratteristiche di esperienza e personalità dei fondatori e sulla base della tipologia dei soggetti incontrati e dei loro bisogni.

2.2

Comunità di vita, comunità di accoglienza, comunità terapeutiche,

comunità educative Cagossi afferma che le comunità non fanno selezione degli utenti sulla base di valutazioni psicopatologiche e che quindi la proposta di Cancrini di collegare le tipologie di comunità alle tipologie psicopatologiche dei soggetti che ad esse si rivolgono non trova riscontro effettivo nelle modalità di accoglienza e di selezione. 15 La proposta di Cancrini merita dunque di essere ripresa perché, pur non essendo presente nelle modalità di accoglienza nessuna forma esplicita di selezione dei soggetti, è possibile formulare l’ipotesi che esista qualche affinità elettiva tra le persone che si rivolgono ad un modello di comunità ed il clima sociale esistente all’interno di questa. In primo luogo perché l’invio presso l’una o l’altra esperienza comunitaria avviene quasi sempre attraverso conoscenze personali e dirette dei soggetti tossicodipendenti con altri che li hanno preceduti nella esperienza di recupero, oppure mediante l’attrazione e la simpatia verso l’immagine conosciuta attraverso i mass media dei fondatori di comunità o della atmosfera che si vive all’interno di un certo centro comunitario. Nell’ottica della terapia psicoanalitica di Cagossi vengono del tutto ribaltati i criteri di Cancrini; così come Cancrini tendeva a definire ogni intervento comunitario come terapeutico, Cagossi tende a limitare la definizione di terapeutico ad un modello individuato e circoscritto di comunità le quale pongono la propria struttura interna al totale servizio della funzione terapeutica, da mostrarsi del tutto divergenti dalle esperienze teoriche e pratiche messe in atto dalle comunità per tossicodipendenti. All’interno di queste infatti sono compresenti tutti gli stili di lavoro e di intervento individuati da Cagossi. Le aree metodologiche dell’intervento comunitario sono le 15 Cagossi M. (1988) Comunità terapeutiche e non. Roma, p. 246 22

seguenti: comunità terapeutiche, che si ispirano a modelli psicoterapici; comunità di accoglienza, che offrono un gruppo contenitore non espulsivo, tollerante, dalle relazioni solidali e dirette; comunità di vita, costruite sulla regola del contratto, della responsabilità e reciprocità, del lavoro; comunità educative. 16 Vi sono comunità il cui metodo di lavoro è centrato sui modi di mettersi in relazione; si tratta di una metodologia che richiede delle procedure personalizzate ed una intensa frequenza dei rapporti tra operatori e ragazzi ospiti. Questa metodologia comporta un rapporto molto alto tra operatori ed ospiti e come tale limita fortemente le dimensioni della comunità. Esistono poi delle comunità il cui metodo di lavoro è centrato sul gruppo, in quanto il fattore di cambiamento; vengono sfruttati allo scopo i processi di affiliazione e le dinamiche che notoriamente caratterizzano i gruppi informali . Vi sono comunità il cui metodo di lavoro è centrato sulla condivisione di un modello di vita; si tratta di aderire ad un progetto ispirato ai valori promossi dalla comunità: il ragazzo è messo alla prova in rapporto alla condivisione dei valori nell’esperienza del vivere quotidiano. Alcune comunità danno un rilievo metodologico assoluto al lavoro produttivo le cui istanze relative di competenza e responsabilità sono ritenute efficaci per la crescita personali e il cambiamento. Vi sono infine comunità che centrano esplicitamente il proprio lavoro sulla presa di coscienza dei conflitti profondi che determinano i comportamenti e le reazioni. Non è possibile strutturare una comunità che non lasci un adeguato spazio al lavoro, o che si dedichi esclusivamente a questo, una comunità che non prenda cura del corpo e della salute dei suoi residenti, che non offra spazio di relazionalità , che non si proponga come bersaglio per processi di identificazione, che non garantisca una corretta responsabilizzazione dei residenti e che non cerchi di offrire loro strumenti di più profonda autocomprensione mediante psicoterapia, momenti di meditazione individuali o collettivi, formazione umana, ricerca esistenziale, riflessione filosofica . Diversi autori si propongono di fare un quadro delle comunità operanti nel recupero dei tossicodipendenti. La storia del fenomeno comunitario viene individuato in due movimenti improntati sulle psicoterapie comportamentistiche, sul confronto di gruppo del modello inglese ed americano fusi insieme e il modello comunitario in forma di comuni che nascono soprattutto in Germania, negli anni ’70, dedite prevalentemente al lavoro agricolo e che rifiutavano e bollavano come repressivo e reazionario ogni programma terapeutico strutturato. Queste sono comunità di vita che hanno l’obiettivo di ricondurre la persona all’altezza di un 16 Cagossi M. (1988) Comunità terapeutiche e non . Roma, pp.212-213 23

sistema di valori, in cui ogni cosa deve essere guadagnata, conquistata e confrontata con gli altri membri del gruppo. Vi sono poi comunità che si affidano ad una metodologia di approccio centrata sulla psicoterapia, con conseguente risoluzione dei conflitti dinamici sottostanti . E vere proprie comunità di lavoro, che trovano nell’ergoterapia lo strumento principale di recupero. Secondo altri studiosi il termine “comunità terapeutica” viene usato in maniera indiscriminata e tentano di leggere gli orientamenti culturali e metodologici presenti in queste. Sarebbero in atto cinque tendenze: Comunità che leggono la tossicodipendenza soprattutto come sintomo di un disagio psicologico di natura individuale. Tali esperienze non puntano l’attenzione sulla scoperta di nuovi valori e sulle modificazioni delle condizioni ambientali come strumenti di cambiamento ma piuttosto guardano a produrre il cambiamento sulla base di un progetto terapeutico impostato sui valori culturali e sociali della persona e proposto in modo esplicito. Vi sono poi comunità che danno una lettura della tossicodipendenza che trova origine nell’insoddisfazione e nell’inadeguatezza alla realtà sociale. Queste strutture si pongono l’obiettivo di fornire alla persona gli strumenti per una lettura dell’esperienza di emarginazione e di modificare le condizioni ambientali e sociali che hanno portato al disagio . Un’altra tendenza privilegia la problematica evolutiva e si pone come famiglia sostitutiva, risorsa che il giovane utilizza per riappropriarsi di una progressiva autonomia. Una quarta tendenza è rappresentata da quelle comunità che si propongono come microsocietà alternative alle quali si aderisce con una vera e propria scelta di vita, di adesione ai valori e agli ideali che la comunità propone. Infine le comunità che interpretano la tossicodipendenza come una forma moderna di povertà che va aiutata in forma caritativa.

2.3 Classificazioni funzionali e descrizioni di tipi di comunità La necessità di distinguere tra modelli di comunità scaturisce dalla intenzione di comprendere meglio attraverso quali processi possa avvenire il recupero dei tossicodipendenti. Si è visto come diverse scuole psicologiche tendano a riconcettualizzare procedure d’intervento proponendo la loro visione interpretativa e terapeutica come paradigma per comprendere il processo di cambiamento in comunità. Lo sviluppo di tali studi porta a vedere come la realtà delle comunità sia molto più complessa del previsto. Prende così corpo l’ipotesi di raggruppare le diverse comunità in tre modelli; oltre alle comunità terapeutiche ed a quelle fondate su gruppi d’incontro, vengono individuate comunità 24

con un orientamento educativo centrato sul lavoro. Si deve partire dalla distinzione tra comunità residenziali e comunità non residenziali. All’interno della prima tipologia vengono distinte in comunità chiuse e comunità aperte ed ancora in comunità autoritarie, comunità carismatiche e comunità democratiche. David Kennard(1998), che da molti anni opera nel settore delle comunita` residenziali in Inghilterra, pone l`accento su tre elementi per definire le tipologie posibili: il tipo di utenza, la tipologia del personale e le attivita` svolte. A questi fattori, Luisa Brunori(2007) aggiunge l`uso e la gestione del tempo e l`accordo economico che e` sotteso con il paziente e la comunita` esterna per quanto riguarda la situazione residenziale17. Le C.T. non residenziali vengono proposte come Cooperative di lavoro, Gruppi di accoglienza, Alcolisti Anonimi, Day – Hospital, Free Clinic . E’ di comprensione immediata come tale schematizzazione non faccia giustizia dei modelli di comunità effettivamente presenti nella realtà. L’ unico elemento portatore di riflessione può essere la distinzione tra comunità residenziali e non residenziali. Alla luce dello sviluppo attuale degli interventi per riabilitazione dei tossicodipendenti la questione della residenzialità o non residenzialità ha assunto un notevole rilievo: alcuni modelli tradizionali di comunità ad orientamento educativo e terapeutico, hanno infatti strutturato esperienze alternative alla residenzialità e molti servizi si sono dedicati ad approntare strutture diurne che presentano aspetti di convivenza comunitaria . 18 Anche la questione della residenzialità deve però essere posta all’interno di modelli che abbiano preso in più attenta considerazione le diverse strategie di intervento attuate dalle comunità. Molti ricercatori dichiarano che non esistono regole codificate che indichino la tecnica da seguire per la costruzione ed il mantenimento di una comunità terapeutica e che ciascun gruppo differisce dall’altro e tende ad organizzarsi in modo autonomo e originale . I tipi di comunità non sono infatti diversi solo perchè alcuni hanno un metodo consolidato ed altri no, perché taluni esplicitano un metodo, altri lo sottointendono, altri ancora rifiutano il concetto di metodo nel timore che possa imprigionare in schemi troppo stretti e ripetitivi il processo di lavoro . Palmonari traccia un’ampia storia nei processi di lavoro comunitario nei settori dei servizi psichiatrici e delle comunità per tossicodipendenti. Più che tentare di formulare delle tipologie esprime preoccupazione per il linguaggio disomogeneo con cui si utilizzano termini come comunità, comunità terapeutica, comunità residenziale, struttura intermedia.19 Egli muove forti 17 Brunori, L. , Raggi Cristian ( 2007) Le comunita` terapeutiche. Bologna, pp. 20-21 18 D’Amico N. ( 1985) Sfida alla droga .Comunità terapeutiche come e dove . Milano, p.46 19 Palmonari A. (1991) Comunità di convivenza e crescita della persona. Bologna, p.252

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critiche che mettono fortemente in dubbio la validità di alcune esperienze di comunità infatti afferma che in quasi tutti i tipi di strutture si sente l’urgenza di avere a disposizione uno strumento operativo di tipo comunitario(fondato cioè sulla vita in comune di soggetti in difficoltà ed operatori impegnati nei loro confronti) idoneo ad affrontare e superare le varie difficoltà che le diverse tipologie di ospiti presentano. In altre parole nessuno mette in dubbio l’esigenza di disporre, per i casi più gravi, di un trattamento che incida sull’esperienza del soggetto in difficoltà più della psicoterapia(o psicoanalisi) svolta nel tipico setting ambulatoriale. Questa esigenza si traduce però nella attivazione di forme di convivenza definite in modo spesso confuso, sia perchè non è stata superata la contraddizione fra “inserimento del soggetto in un ambiente terapeutico“ e “mantenimento del soggetto nel suo ambiente di vita“, sia perchè, pur parlando spesso di comunità terapeutiche, i criteri puntuali per l’attivazione di un ambiente terapeutico sono spesso disattesi . 20 L’utilizzo del termine terapeutico, riferito all’ambiente, produce preoccupazioni e contraddizioni. Dentro l’ambiente esiste infatti una struttura di relazioni ed un clima sociale; le relazioni possono essere analizzate e valutate in chiave psicologica ma il clima può essere interpretato solo in chiave sociologica, nella fattispecie è necessario verificare la sua capacità a produrre senso della vita. Senza una prospettiva di carattere sociale il concetto di comunità si restringe fino ad assumere il solo risvolto di una somma di relazioni primarie fra individui. Un gruppo sociale o una comunità non sono solo l’unione di individui e la rete di relazioni esistenti tra loro: sta in ciò la difficoltà nel definire le tipologie di comunità. E’ stata questa la ragione per cui sono stati coniati altri termini da utilizzare invece del solo “comunità terapeutica“.

.

20 Ibidem, p.255

26

1.

27

3 ° capitolo

Strategie operative e modalità d’intervento 3.1 La strategia operativa delle diverse comunità Il fenomeno della crescita vertiginosa delle comunita` terapeutiche e` in parte collegabile ad un sentimento di emergenza nei confronti di un fenomeno, l`abuso di sostanze stupefacenti, la cui gravita` era stata prevista da pochi e nei confronti della quale, sopratutto, non era stata preventivata l`inefficacia dei metodi tradizionali di cura, sia medici che psicologici. Unitamente ad un innegabile ritardo da parte dello Stato(per lo meno in Italia) questi presupposti hanno consentito la proliferazione di risposte terapeutiche non sempre ineccepibili. Caratteristica frequente delle prime comunita`, ideologiche o meno, e` per esempio la mancanza di una valida standardizzazione del trattamento, della metodologia di raccolta ed analisi dei dati e, sopratutto, di verifica dei risultati ottenuti. Se tale situazione poteva essere comprensibile nella prima fase del tamponamento dell`emergenza, ora e` assolutamente necessario migliorare sistematicamente gli approcci metodologici degli interventi comunitari. Tale indispensabilita` si impone per almeno tre ordini di motivi: 1) E` auspicabile una tensione verso un perfezionamento continuo delle conoscenze sulle tossicodipendenze e sulle proposte di intervento; 2) Per questo scopo deve essere possibile un agevole trasferimento delle informazioni anche all`

esterno di ogni singola comunita` terapeutica, permettendo un conseguente confronto tra differenti impostazioni teoriche ed operative; 3) Devono essere proposti agli organi di competenza progetti di ricerca e di intervento che,

documentatamente, meritino l`investimento di capitale pubblico. 21 Negli ultimi anni si è visto allargarsi il panorama tra modelli terapeutici ed altri modelli di comunità residenziali, sia nei metodi di lavoro che nelle ideologie. Questo ha comportato come conseguenza la nascita dei diversi modelli di organizzazione interna e delle diverse concezioni a cui esse si riferiscono.22 Dalla analisi delle attività svolte nelle diverse strutture residenziali è scaturito che ci sono alcuni raggruppamenti significativi. Le strategie operative individuate sono: a) Strategia specialistica orientata alla psicoterapia; b) Strategia operativa di base; c) Strategia educativa fondata sul lavoro. 21 Zanusso, G., Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, pp. 86-87 22 Labos, (1986) Cultura degli operatori e qualità dei bisogni degli utenti nei servizi per le tossicodipendenze in Italia . Roma, p. 90

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La psicoterapia di gruppo, la psicoterapia individuale, la supervisione d’equipe e la compilazione della cartella utente lascia intravedere i confini di una strategia operativa specialistica orientata all’intervento psicoterapeutico, in cui le stesse attività che esulano il rapporto diretto con l’utenza sono orientate al completamento, per così dire, formale – burocratico del rapporto terapeutico o al monitoraggio delle implicazioni e/o dei percorsi da questo imboccati (supervisione di equipe) 23

La strategia operativa di base è la più diffusa nelle comunità operanti nella realtà italiana. Tale modello ha la caratteristica centrale nel processo di recupero comunitario e cioè la ricerca di armonia nel gruppo di comunità attuata mediante un continuo confronto che modula le personalità dei residenti nella direzione di un maggior equilibrio relazionale. Spesso emerge anche il legame tra colloqui di sostegno all’utenza , attività laboratori o progetti di reinserimento sociale, quindi una strategia educativa centrata sul lavoro particolarmente attenta al destino sociale degli utenti. 24 La strategia educativa centrata sul lavoro sembra quella meno diffusa e porta a presumere un certo livello di specializzazione. Appare come strategia emergente che non rimanda nè ad un modello di comunità terapeutico in senso stretto, nè al modello relazionale e di incontro tradizionale. Sembra piuttosto che sia l’esito della trasformazione di alcune strutture, precedentemente di tipo esclusivamente educativo, in comunità di recupero, trasformazione prodotta dalla necessità di adeguare strutture tradizionali ai bisogni emergenti. 25

3.1.1 La strategia operativa di base Nella sociologia del gruppo comunitario organizzato, nella strategia operativa di base, appaiono 23 Labos, (1986) Cultura degli operatori e qualità dei bisogni degli utenti nei servizi per le tossicodipendenze in Italia . Roma, p.1 24 Ibidem, p. 92 25 Idem

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queste caratteristiche : •

Il gruppo di comunità vive un equilibrio dinamico, tende cioè sempre a nuovi equilibri attraverso il superamento delle crisi determinate dall’ingresso dei nuovi e dall’uscita dei residenti anziani.



La presenza del residente in questo tipo di comunità è transitoria e temporanea, ciò garantisce il costante rinnovamento delle persone e della struttura grazie alle varie relazioni che si intessono tra persone, nell’arco dei due o tre anni della durata del programma, e la perpetuazione della struttura comunitaria come cornice capace di riorientare verso strade di crescita e cambiamento della personalità .



La dinamica sociale che sta alla base del modello di comunità tende a proporsi come circolo virtuoso in espansione: la progressiva crescita di ogni residente verso una maggiore responsabilità fa crescere anche la capacità operativa della comunità, la quale a sua volta fa crescere un numero maggiore di persone che aumentano ancor più la dinamica di crescita.

Ogni comunità terapeutica, secondo Ottemberg, per vari aspetti essenziali, si differenzia l’una dall’altra. Ciascuna di esse acquisisce un proprio stile e carattere sotto l’influsso del gruppo che la organizza e mantiene, della composizione della popolazione di utenti nonchè della collocazione e del tempo in cui il programma si è sviluppato. Nella C.T. dai suoi inizi fino ad oggi, si sono avuti molti cambiamenti; cambiamenti che continuano a verificarsi con sempre maggiore rapidità.26 I cambiamenti a cui si fa riferimento sono dovuti alla composizione della popolazione che chiede aiuto alla comunità, al cambiamento delle droghe consumate, al numero degli utenti notevolmente aumentato. Altri cambiamenti nelle C.T. sono dovuti alla formazione di livello superiore che i membri dello staff del programma hanno ricevuto. La formazione fornita agli operatori, relativamente ai concetti ed alla metodologia della C.T., è cambiata in alcuni aspetti, sottolineando cioè “il perchè dell’azione“ e “quale risultato si vuole raggiungere con l’azione” e non semplicemente il “che cosa fare“ ed il “come fare”.27 Un’altro concetto di base nella C.T. è l’auto-aiuto, la ferma convinzione che ogni residente debba essere il protagonista della propria vita . La C.T. fornisce un luogo sicuro, un ambiente ordinato, il sostegno e l’aiuto fidato da parte di uno staff specializzato; ma sono i residenti che devono confrontarsi con loro stessi e l’uno con l’altro. 26 Ottemberg D.J. (1993) La comunità terapeutica e il pericolo del fenomeno culto. CeIs , Roma : p. 3

27 Ottemberg D.J. (1993) La comunità terapeutica e il pericolo del fenomeno culto . Roma, p. 4 30

Facendo così essi forniscono la motivazione e conferiscono alla comunità la sua forte capacità di stimolare l’apprendimento sociale e di favorire la maturazione personale. La strategia operativa di base consiste appunto nel promuovere una partecipazione ed una responsabilizzazione di ampia portata del residente che abbia già percorso una buona parte del programma di recupero fino a coinvolgerlo nella direzione e nella gestione della comunità stessa. Nella evoluzione attuale dei diversi programmi rimane come un punto fermo avere una esperienza di responsabilità, questa diventa così una parte integrante del programma di recupero .28 “Il responsabile viene scelto tra i residenti in comunità che abbiano vissuto in prima persona l’esperienza della droga e dell’emarginazione“ 29 Quando sono gli stessi residenti che entrano a far parte dello staff , la posizione dell’operatore professionale può oscillare dalla totale estraneità alla comunità, ad una supervisione esterna, alla funzione di controllo, alla gestione in prima persona della vita quotidiana. La natura della strategia operativa di base è abbastanza semplice: si tratta di innescare un processo di cambiamento sociale che, una volta attivato continua a funzionare riproducendosi. La strategia operativa di base tende, attraverso il dialogo continuo, gli incontri quotidiani, le riunioni formative o di confronto, la collaborazione sul lavoro, ad innescare il numero più alto possibile di rapporti. Tale processo sviluppa il senso di appartenenza alla comunità e stabilizza il nuovo entrato nella scelta di proseguire nel suo percorso riabilitativo. La prima dimensione di crescita relazionale sta in tale dinamica. Il meccanismo della fase di crescita insiste sul processo di responsabilizzazione che porta i residenti ad investire sempre più nelle proprie capacità e motivazione: per il buon esito del percorso di cambiamento individuale e della crescita del gruppo. L’uscita dalla comunità si presenta come esito finale delle modificazioni del gruppo, il membro anziano rischia infatti di essere di ostacolo all’impegno dei soggetti con un tempo di programma più breve, perchè occupa spazi che debbono essere riempiti da persone che, attraverso il desiderio di crescere, maturare e ricoprire un ruolo, devono procedere nel loro percorso di programma. Inizia così la fase del suo reinserimento. Più il programma di recupero è avanzato e più numerose possono diventare le occasioni di contatto individuale con il territorio, con la famiglia , con le istituzioni. Anche le verifiche a casa sono da considerarsi parte integrante del percorso di reinserimento.

28 Ibidem, pp. 6-8 29 Gelmini P. (1998) Così semplicemente. Indicazioni per i residenti dei Centri Comunità Incontro. Roma

31

3.1.2 La strategia educativa centrata sul lavoro Più si tende verso una strategia educativa centrata sul lavoro più la fase di reinserimento viene ad occupare una parte consistente del programma ed acquisisce metodi e tempi dimensionati alle esigenze del residente. Le soluzioni che vengono adottate sono molteplici: dalla formazione di cooperative di lavoro stabili attraverso le quali l’esperienza di comunità si trasforma in processo lavorativo e viene a cadere progressivamente la necessità di convivenza. L’inserimento nel mondo del lavoro o il recupero dell’istruzione scolastica inizia a partire dalla stessa comunità in cui il soggetto torna al termine dell’orario e degli impegni di lavoro e di studio. L’esperienza di comunità si estende dunque ad altri ambiti ad essa esterni e tendenzialmente si allunga. Le comunità che lavorano sulla base di una strategia educativa centrata sul lavoro spesso non utilizzano nemmeno l’espressione programma. Per questo modello di intervento infatti non è possibile definire cosa voglia dire e quanto debba essere importante la fase di accoglienza. L’accoglienza è spesso immediata, o successiva ad alcuni colloqui conoscitivi volti piuttosto ad informare sulle caratteristiche della comunità ed a verificare le motivazioni della persona ad un processo di cambiamento. Spesso gli strumenti del lavoro educativo sono di tipo conoscitivo e riflessivo : le comunità che adottano la strategia educativa propongono momenti di lettura e di discussione formativa , usano il diario quotidiano personale o di gruppo, inoltre propongono momenti di concentrazione e riflessione su se stessi , chiedono la autovalutazione dei progressi fatti e invitano i residenti a verbalizzare (o riportare in una relazione) sul proprio progetto personale. La crescita educativa non si propone attraverso complesse interpretazioni del vissuto degli ospiti, tende invece a far assimilare regole, orari, disciplina, modi di rapporto, senso dell’organizzazione, senso del lavoro. Proprio per evitare interpretazioni psicologiche del vissuto e discussioni (nella vita di comunità ad orientamento educativo contano i fatti e non le attività di confronto) tali strutture propongono regolamenti interni molto articolati nei quali sono stabilite con precisione le attività di ogni singola giornata, gli orari, il programma settimanale e si suggeriscono i compiti, anche nel dettaglio, di ogni singolo incarico e responsabilità. Tutto ciò lascia poco spazio alla approssimazione e consente di verificare in modo diretto il grado di adeguamento alle indicazioni educative proposte. In luogo di un programma viene proposto un piano educativo a cui deve aderire la comunità nel suo complesso (compresi operatori, educatori, volontari, obbiettori). L’esperienza comunitaria deve essere totalmente condivisa da tutti ed i momenti di gruppo debbono raccogliere sempre la comunità nel suo complesso. Il momento dell’uscita dalla 32

comunità non è stabilito in termini rigidi ma viene valutato dai responsabili ed organizzato in maniera articolata coinvolgendo famiglia, territorio, analizzando le opportunità di lavoro o di studio, prendendo in considerazione ogni possibile forma di soluzione. Il reinserimento non viene visto come un passaggio brusco dall’interno della comunità alla società ma come un processo che parte da momenti ed occasioni di distacco sempre più frequenti. Verifiche a casa, semiresidenzialità, utilizzo di appartamenti esterni ai centri comunitari o di laboratori e negozi dove esercitare attività professionali, sono le tappe più diffuse. E intorno a tali tappe si organizza gran parte del lavoro del piano educativo comunitario. Molti soggetti, infatti, che lasciano la comunità, rimangono nella sua area di riferimento partecipando a momenti associativi ed incontri periodici. Sono diventati infatti portatori della proposta comunitaria che si esprime anche nelle valenze politico – sociali. Spesso gli ex residenti continuano a vivere e gestire attività economiche in qualche modo collaterali alla comunità. Infatti molti laboratori attivati per fornire formazione professionale ai residenti divengono vere e proprie attività produttive ed i responsabili di tali laboratori sono ex residenti che gravitano intorno alle comunità e professionalità, in senso psicoterapeutico, degli operatori. La presenza di professionisti può essere interna o esterna alla struttura ed alla sua filosofia; nell’uno o nell’altro caso la comunità può divenire un semplice contenitore di persone che accedono alla psicoterapia o può attivare esperienze socio – terapeutiche fondate sul gruppo. Anche il tipo di psicoterapia utilizzato può orientare diversamente la rete di relazioni interne al gruppo. La strategia terapeutica pura, porta ad escludere un gran numero di comunità che, storicamente definite C.T., hanno strategie miste tra l’educativo e il terapeutico .

3.1.3Strategia terapeutica La descrizione della strategia terapeutica porta piuttosto dentro l’operatività di comunità che accolgono malati di mente o tossicodipendenti considerati affetti da disturbi mentali organici secondari concomitanti all’uso di sostanze. Nel caso la comunità evolva nella direzione della professionalizzazione degli interventi e diminuisca la caratterizzazione di socioterapia (costruzione di un ambiente terapeutico, terapia di gruppo, delle famiglie, terapia occupazionale) perderà progressivamente i connotati di comunità 33

per entrare nella posizione di “struttura intermedia” (tra l’istituzione manicomiale e i consultori per terapie ambulatoriali). Le esperienze di strutture intermedie sono abbastanza eterogenee, sono piccole comunità inserite nel contesto urbano, in cui far sperimentare agli ospiti rapporti interpersonali significativi, con una attenzione costante alle esigenze individuali. Non va dimenticato, comunque, che la struttura intermedia può rappresentare un ulteriore anello di un circuito psichiatrico ancora inteso in senso ospedaliero, che può provocare cronicità nei pazienti, irrigidendosi in forme istituzionalizzate. 30 Il rischio di talune comunità protette, centri diurni e comunità terapeutiche che presentano una struttura organizzativa centrata sulla professionalità degli operatori in senso psichiatrico e psicologico e sulla loro forte presenza numerica all’interno della organizzazione è infatti quello di allontanarsi sempre più dal presupposto su cui si fonda la comunità e cioè sulla presenza di elementi di partecipazione degli utenti che si richiamano alla strategia operativa di base. Quando la tensione umana e la spinta partecipativa viene a scemare a vantaggio della professionalità e delle prerogative di ruolo degli operatori vanno a perdersi gli elementi caratteristici del processo di cambiamento comunitario e la struttura può essere considerata un manicomio, una clinica o una istituzione psicoterapeutica tradizionale che prevede alcuna partecipazione effettiva alla conduzione della comunità da parte dei residenti.

3.2 Strategia operativa e rapporto operatori – residenti In sintesi è possibile vedere che le diverse strategie di lavoro corrispondono a differenti modi di interpretare il problema della tossicodipendenza e, di conseguenza, di porre maggiormente l’accento sulle diverse dinamiche relazionali da agire con il tossicodipendente . •

La strategia operativa di base pone l’accento sull’organizzazione e sulle dinamiche che innesta nel gruppo la progressiva responsabilizzazione



La strategia educativa centrata sul lavoro mette in particolare risalto il processo di reinserimento.



La strategia terapeutica tende a sottolineare la fase centrale, di cambio della personalità, nel residente.

Gli interventi adottati hanno una specificità metodologica che investe sia la qualità professionale degli operatori sia la loro qualità: una maggiore o minore presenza di operatori rispetto al numero dei residenti ed una loro più o meno marcata formazione in senso professionale 30 Palmonari A. (1991) Comunità di convivenza e crescita della persona. Bologna, pp. 95-96 34

corrispondono alle diverse strategie . L’evoluzione delle diverse strategie e la loro compresenza nelle strutture ha portato a rendere sempre più complesse le funzioni svolte da ciascun modello di comunità. Questo ha prodotto l’aumento del numero di operatori nelle strategie terapeutica ed educativa e l’apertura, a fianco dei tradizionali programmi residenziali, di strutture semiresidenziali per l’accoglienza, di laboratori per il reinserimento sociale o i particolari training per la gestione di gruppi di trattamento. Spesso tali strutture sono parte integrante del processo di recupero e presentano la stessa denominazione della comunità residenziale che le ha generate. Tutte queste attività danno vita a due modalità operative : da una parte l’utilizzo di una strategia centrata

sull’intervento

terapeutico

dall’altra

di

una

strategia

centrata

sul

lavoro .31L’orientamento di queste attività sembra confermare l’ipotesi che gran parte delle strutture semiresidenziali sono una articolazione diretta del programma terapeutico delle comunità che più chiaramente si richiamano a fasi prestabilite ed a modelli terapeutici delle comunità che più chiaramente si richiamano a fasi prestabilite ed a modelli terapeutici e di orientamento. Infatti molti di questi centri hanno identica denominazione delle comunità residenziali . Il modello centrato sulla strategia operativa di base non sembra invece aver allargato le sue differenziazioni ma sembra aver delegato alcune funzioni ad altri organismi presenti nel territorio con cui le comunità di questo tipo hanno rapporti. Nel tentativo di verificare le strategie attraverso il modo di organizzarsi delle strutture semiresidenziali e non residenziali in base al rapporto operatori – utenti sono apparse alcune importanti osservazioni. Esistono diverse comunità dove ci sono molti utenti a fronte di pochi operatori, senza qualifica professionale e senza contratto di lavoro determinato, che gravitano attorno ad un alto numero di strutture diurne di tipo associativo, esistono anche strutture semiresidenziali con alto numero di operatori che si autodescrivono come “centro di reinserimento“ , “cooperativa“, “laboratorio“ e che fanno pensare a strutture di reinserimento attivate come modelli post – comunità. Tale diversità può essere attribuita al fatto che alcune funzioni dei programmi comunitari sono stati dislocate all’esterno delle comunità residenziali, in specie di quelle che si fondano su una strategia operativa di base, e che esse siano diventate il principale compito delle organizzazioni collaterali alle comunità d’incontro. La nascita di gruppi locali, favorita dalle comunità di incontro, che esercitano le funzioni della prima accoglienza o quelle dell’aiuto al reinserimento di chi esce dalla struttura comunitaria ha 31 Labos (1993) Strategie operative nei servizi per le tossicodipendenze.Roma, pp.84-85 35

consentito alle comunità di incontro di non modificare la loro strategia di recupero, centrata fondamentalmente sulla residenzialità e sul processo di responsabilizzazione .

3.3 Il ruolo dell`assistente sociale nel percorso terapeutico comunitario del tossicodipendente All’interno del Ser.T il polo sociale ha assunto ruolo e funzioni specifiche entro cui la professionalità dell’assistente sociale è venuta sempre meglio definendosi come risorsa sia nel rapporto con l’utenza sia nella costruzione e mantenimento della rete con altre strutture di riferimento. All’interno dell’ Unità Operativa Ser.T l’assistente sociale fa parte integrante di un’equipe pluridisciplinare; ha il compito di contribuire all’analisi del problema presentato dalla persona , in questo caso la dipendenza da sostanza o da alcool, partecipando alla definizione del piano d’intervento (programma terapeutico finalizzato), alla sua realizzazione e verifica dei risultati ottenuti. Il suo contributo specifico consiste nell’individuare gli aspetti più propriamente sociali o socioassistenziale della persona, che di solito presenta problemi di natura complessa con componenti che toccano sia il sociale, sia il sanitario e lo psicologico.32 Un’altro passo importante per la formulazione del piano terapeutico è il reperimento delle varie risorse che vi faranno parte integrante (comunitarie, psico-sociali) che vengono ritenute, insieme alla persona, le più idonee per dare un’efficace risposta alle varie problematiche che il caso presenta . Una delle attività effettuate durante le diverse riunioni di coordinamento fra assistenti sociali è stato quello di elaborare un modello operativo che disciplini gli inserimenti in comunità terapeutica . All’ assistente sociale vengono richieste, per la cura dell’inserimento comunitario, le seguenti conoscenze ed attività: •

puntuale e costante aggiornamento rispetto alle normative che regolano questo tipo d’intervento,



costanti contatti e diretta conoscenza delle strutture comunitarie presenti sul territorio locale e non;



colloqui di valutazione e sostegno alla persona;



interventi con i familiari, che sono da considerarsi parte attiva ed integrante per la buona realizzazione del progetto;

32 Zini M.T. , Miodini S. (1997) Il colloquio di aiuto. Roma, pp. 124

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verifiche periodiche, tramite visite nella struttura comunitaria, effettuando incontri con gli operatori di riferimento della comunità e colloqui individuali con la persona in trattamento.

Verrà di seguito esplicato come si arriva all’inserimento della persona nella struttura comunitaria. Il processo d’aiuto si attiva al momento della richiesta. La richiesta d’inserimento presso la comunità terapeutica può essere di due tipi : da parte dell’equipe del servizio (Ser.T) e diretta della persona. E’ l’assistente sociale che, al momento che l’equipe valuta l’esigenza di un inserimento presso la struttura comunitaria, avvia un’articolato e complesso processo di accompagnamento della persona tossicodipendente/alcooldipendente(e spesso della sua famiglia) finalizzata al cambiamento. La complessità di questo intervento spesso viene sottovalutata , non tenendo in considerazione il grado di sofferenza interiore che, sia la persona richiedente sia la famiglia, provano. Spesso questo tipo di richiesta arriva al servizio con un carattere di urgenza estrema. La tossicodipendenza spesso porta alla pretesa de “tutto subito“. Il ricorso, quindi, ad un’inserimento comunitario deve essere opportunamente valutato e condiviso con la persona interessata. La richiesta fatta direttamente dall’utenza invece si può verificare in qualsiasi momento del trattamento territoriale. La persona chiede di essere inserito presso una struttura comunitaria o lo chiedono i suoi familiari e/o membri del suo entourage. Nel primo caso l’assistente sociale contribuisce a valutare quanto sia propria la richiesta o sia determinata da fattori contingenti (rottura relazioni familiari con conseguente richiesta di inserimento presso la comunità come unica speranza di rinsaldare gli stessi, oppure imminente esecuzione di provvedimenti dell’autorità giudiziaria, quindi effettuare il programma di riabilitazione presso una struttura comunitaria in alternativa al carcere) . Nel secondo caso è opportuno verificare quanto la richiesta sia condivisa dalla persona interessata e da questi percorribile, oltre che chiarire con tutti i soggetti interessati e coinvolti, le reali motivazioni che li hanno spinti a chiedere l’inserimento in una comunità terapeutica. Le fasi operative sono: Preaccoglienza - Accoglienza- Ingresso- Verifica andamento programma comunitario- Reinserimento sociale. Si ritiene utile scindere la fase della pre- accoglienza da quelle successive. In tale fase si realizza una attenta selezione dei soggetti da inserire, basata su procedure di attesa e su colloqui successivi che servono per valutare “la motivazione” di chi intende entrare in comunità: non si tratta di fare aspettare, quanto di verificare da un lato se la persona ha ben chiaro cosa vuole ottenere dal percorso comunitario, dall’altro di verificare se la comunità a cui la persona verrà 37

indirizzata può rispondere alle sue esigenze. In tal modo è possibile filtrare le richieste di inserimento comunitario che spesso giungono al servizio in maniera confusa e frettolosa, valutando dunque se questo tipo di risorsa rappresenta la risposta alla richiesta di aiuto. 33 In questa fase del processo riabilitativo, gli utenti sono estremamente fragili e distraibili, per cui deve essere assodato che, in ogni caso, il processo e` diretto solamente dall` Ser.T e dalla struttura e questi sono favorevoli ad una brusca e completa rottura con il contesto relazionale nel quale il tossicodipendente era precendentemente inserito. Visite, lettere e telefonate effetuate con persone estranee al nucleo familiare devono essere poste attentamente al vaglio del servizio e la frequentazione di tale persone si ritiene opportuna sopratutto se disposte a diventare parte integrante del trattamento. Salvo casi eccezionali, i servizi non ritengono opporuno che in fase di preaccoglienza il tossicodipendente resti a casa da solo. Avendo ora molto tempo a disposizione, l`utente viene quindi invitato a collaborare a tutti gli effetti alla conuzione familiare. Il ruolo ed i suoi compiti devono pero` essere stabiliti in modo univoco e di concerto, possibilmente ache attraverso la modalita` del contratto scritto. Nel programma di preaccoglienza possono inoltre essere incluse alcune prescrizioni che coinvolgono in prima persona tutti i familiari. Quindi la vita dell`utente e della sua famiglia viene monitorata attentamente dall`assistente sociale in quanto e` dai piccoli, quali invisibili arbitrii di tale soggetti, che spesso la stessa sussistenza del trattamento e` messa in crisi. La liberta, infatti, verra` poi concessa gradualmente, mentre un aggancio o un trattamento abortiti sono difficilmente recuperabili. Oltre a tutto, l`utente deve entrare nell`ottica che ha scelto e continua a scegliere giornalmente e deliberatamente il supporto che gli viene proposto e che quindi, se anche costrittiva, la “medicina amara” della comunita` terapeutica e` da intendersi come frutto della sua libera attivita` volitiva.34 Durante tutto il periodo di preaccolienza, l`utente dovra` essere regolarmente monitorato anche attraverso la ricerca dei cataboliti di sostanze stupefacenti nelle urine e nei capelli. Solo al raggiungimento del rispetto consolidato del programma di preaccoglienza e dell` astinenza dall`assunzione di sostanza stupefacenti, si considera opportuna l`accoglienza nella struttura. Orientativamente si ritiene che la fase di preaccoglienza dovrebbe variare fra qualche settimana ed un paio di mesi, in quanto se troppo corta puo` avere un effetto poco consistente, mentre se troppo lunga puo` risultare difficilmente sopportabile per la famiglia o per il tossicodipendente, 33 Zini M.T. , Miodini S. (1997) Il colloquio di aiuto. Roma, p. 23 34 Zanusso, G. , Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 124

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oppure prolungare eccessivamnete la durata del trattamento complessivo. Abbiamo anche riscontrato che una fase di preaccoglienza male condotta e` sovente la premessa per un trattamento fallimentare o comunque non soddisfacente. E` quindi della massima importanza non contrarre eccessivamente la durata di tale periodo, resistendo alle pressioni esercitate dal tossicodipendente e/o dalla famiglia perche` venga accolto rapidamente (Costantini, Mazzoni, 1984) 35 Dopo la fase di preaccoglienza e la valutazione del caso in equipe l’ assistente sociale individua la comunità più idonea; vengono presi contatti con l’operatore della struttura della fase dell’accoglienza. Contemporaneamente si struttura un processo con la persona e con il suo sistema socio-familiare volto a seguire questo delicato periodo di conoscenza della risorsa. In questa fase saranno costanti i contatti Ser.T e comunità al fine di uno scambio d’informazioni e conoscenze utili alla successiva predisposizione del piano terapeutico individualizzato. Al termine di questa fase sarà possibile stabilire i tempi e le modalità del percorso terapeutico e formulare il progetto, condividendolo con la persona e gli operatori della C.T. Al momento dell’ingresso è indispensabile che sia stato definito il progetto individualizzato. All’interno di questo progetto deve essere definito il referente /i del caso , sia per il Ser.T sia per la comunità, e devono essere specificati gli obiettivi, gli strumenti, i tempi e le modalità di verifica, per cui è necessario: •

definire gli obiettivi da perseguire in relazione alle problematiche della persona ,



individuare gli strumenti da utilizzare per la soluzione degli stessi (psicoterapia , colloqui di sostegno, gruppi di auto-aiuto, interventi pedagogico – educativi , educazione al lavoro);



prevedere, per particolari situazioni, un supporto esterno in collaborazione al programma comunitario, da realizzarsi tramite l’equipe del Ser.T stesso o da altri enti o cooperative convenzionate , operanti sul territorio;



determinare i tempi di durata massima dell’inserimento e prevedere i tempi delle varie fasi del programma di trattamento;



concordare visite periodiche in comunità per effettuare colloquio individualizzato con l’utente e per riunioni con gli operatori di riferimento della struttura, al fine di verificare l’andamento dell’inserimento e / o eventuali modifiche al programma riabilitativo

La figura professionale dell’assistente sociale è sempre presente nel percorso terapeuticoriabilitativo del tossicodipendente. E` sempre l’assistente sociale che instaura un rapporto di scambio d’informazioni con vari servizi pubblici interessati nel buon andamento del progetto individuale orientato al recupero della persona, fornisce inoltre il suo aiuto agli ospiti che serve a 35 Ibidem, p. 125 39

rafforzare la loro motivazione al cambiamento,36si occupa del sostegno alle famiglie , insieme all’educatore professionale e/o psicologo, conducendo i gruppi di auto-aiuto e i gruppi di sostegno . 37 L`assistente sociale attua visite periodiche nella comunita` per verificare l`andamento del programma comunitario e fissa incontri periodici con l’operatore della struttura. Partecipa alle riunioni di equipe e questi incontri vertono spesso sulla ridefinizione o aggiustamento dei tempi di attuazione del progetto, oltre che della metodologia da applicare. Nella fase del reinserimento sociale si è reso necessario differenziare il momento del percorso comunitario, nel caso del quale la struttura rappresenta ancora un riferimento sia logistico sia emotivo, da quello specifico del reinserimento sociale, dove la persona riprende e rafforza i contatti con la realtà locale che lo riaccoglierà una volta uscito dalla comunità. In quest’ultimo caso, l’assistente sociale del Ser.T struttura contatti frequenti con le persone e l’equipe della comunità, finalizzati all’accompagnamento dello stesso nell’uscita dalla struttura. Si perfezionerà pertanto il progetto riabilitativo individualizzato, tenendo conto delle risorse personali della persona, della sua acquisita capacità di affrontare la realtà esterna. Al tempo stesso si concorderanno frequenti incontri con i suoi familiari che serviranno a preparare il rientro dello stesso in famiglia. Successivamente l’assistente sociale del Ser.T in collaborazione con l’ equipe avvierà i necessari collegamenti con le agenzie sociali, presenti nella realtà locale al fine di ottenere tutte le risorse utili a favorire la totale reintegrazione della persona nel tessuto sociale di appartenenza. Per quanto riguarda l`aspetto lavorativo, per esempio, “l`obiettivo primario non e` un assunzione in un luogo di lavoro, ma il consolidamento di qualita` e capacita` della persona, affinche` riesca a mantenere un` attivita` lavorativa con continuita`38. La funzione di sostegno esercitata dall`assistente sociale del Ser.T e dalla comunita` terapeutica e` realmente indispensabile se pensiamo che molti tossicodipendenti appena usciti dalla struttura sono pervasi da un`intensa euforia difficile da contenere e canalizzare. Classici sono gli esperimenti di chi, sentendosi ormai al sicuro, vuole dimostrare a se stesso di essere in grado di controllare l`assunzione di sostanze stupefacenti ed alcoliche.

36 Zini M.T. , Miodini S. (1997) Il colloqui di aiuto. Roma, p. 76 37 Zini M.T. , Miodini S. (1999) Il Gruppo come strumento di lavoro. Roma, p. 89

38 Sanfilippo, B. , Galimberti, G. et al. (2004) Alcol, alcolismi: cosa cambia?. Milano, p. 159

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4° capitolo Le fasi del programma di recupero per tossicodipendenti 4.1 Perche` la comunita` terapeutica. Punti di forza della comunita` terapeutica Perche` ricorrere alla comunita` terapeutica quando sono possibili interventi psicologici ben piu` sperimentati ed economici dal duplice punto di vista del tempo e dell`investimento economico? La risposta e` semplice: perche` la letteratura e l`esperienza testimoniano ampliamente che “il setting terapeutico tradizionale ha dato scarsi o comunque inferiori risultati con tossicodipendenti rispetto ad un approccio globale come quello comunitario” (Cancrini, De Gregorio, Cancrini, 1993; Catalano et al., 1990-1991) 39 In seguito intendo accenare alcuni punti di forza che fanno della comunita` terapeutica probabilmente l`intervento elettivo nella maggior parte delle tossicodipendenze, sopratutto di quelle con andamento cronico. Non intendo pero` tratteggiare le caratteristiche di una specifica comunita` esistente, ma prendere in considerazione quelle caratteristiche di base che accomunano pressoche` ogni comunita` terapeutica, indipendentemente dal fatto che queste possano essere definite “implicitamente” o “esplicitamente terapeutiche”. (Cancrini, De Gregorio, 1982) Pregio della situazione comunitaria e` innanzitutto di offrire un trattamento intensivo e strutturato che come tale e` predisposto a far fronte anche ad un problema cronico e coinvolgente le aree comportamentali, intrapsichiche e relazionali come appunto la tossicodipendenza. La comunita` terapeutica accetta ed accoglie il tossicodipendente nonostante le sue “colpe” ed i suoi difetti, al contrario dell` ostracismo esercitato dalla societa` ma, nello stesso tempo, e` fornitrice di norma ed organizzazione, funzioni abitualmente carenti o disfunzionali nell` ambito familiare di provenienza.

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L`aspetto contenitivo e` quello che inizialmente offre una piu` efficace

opportunita` di agganciare questi soggetti, in quanto possono vedere la comunita` terapeutica come luogo dove rifugiarsi e riposarsi da uno stile di vita estremamente logorante che non riescono piu` a sostenere. Provenendo da una situazione caratterizzata dalla massima incostanza ed evanescenza delle relazioni umane e degli stati di coscienza, gli utenti trovano nella comunita` terapeutica un luogo in cui viene perseguito l`obiettivo di mantenere la massima costanza e coerenza delle relazioni interpersonali (Marcelli, Bracconier, 1983; Liotti, 1993). La comunita` appare allora come luogo principe per la riaggregazione di una individualita`,

di una storia e di stati di coscienza

39 Zanusso, G., Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 81 40 Ibidem, p. 82

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frammentati, occasione per non fuggire piu` alla propria individuazione ed ai propri dolori.41 E` anche per questo che l`entrata in una comunita` e` sovente caratterizzata da tonalita` dell` umore fortemente disforiche, in quanto il tossicodipendente e` costretto a confrontarsi con se stesso e con le ferite accumulate nella sua vita. La presenza degli operatori e degli altri utenti giunti a differenti fasi di recupero si prospetta come un` apertura a nuove e piu` adeguate possibilita` di essere che, se anche derise o affato considerate all`inizio del trattamento, possono alla fine risultare uno dei veri punti di forza nel raggiungimento di un obiettivo terapeutico soddisfacente. Il gruppo rappresenta lo specchio di parti, comportamenti e frammenti di storia personale e a causa del contesto e delle persone con cui si deve confrontare e` molto piu` difficile sfuggire ad importanti feedbacks sulla propria persona.In questa situazione l`operatore si deve necessariamente proporre come base sicura, non spaventante per un individuo che ha assolutamente bisogno di una stabilita` relazionale riparativa. (Liotti, 1993) Solo in questo modo il tossicodipendente potra` usufruire della affidabilita` e della empatica costanza dell`operatore come catalizzatore relazionale per esperienze emozionali corettive che possano fungere da luogo di interconnessione di frammenti di vita mai raccontati prima (Liotti, 1993) 42 Molto importante e realmente determinante e` la rigida strutturazione del tempo, caratteristica comune a quasi tutte le comunita` terapeutiche. Ogni ambito di questo tipo ha una organizzazione delle attivita` piuttosto precisa. Il tossicodipendente, invece, proviene da una relazione con la vita dove il sincronizzatore temporale principale e` lo “sbattersi”, la ricerca coatta e costante dei mezzi, delle conoscenze e dei tempi per ottenere le sostanze stupefacenti. Il tempo rimanente e` invece spesso dominato dall`attesa e dalla presenza di un sentimento di noia piu` o meno pervasivo, un vero e proprio “disturbo della relazione con il tempo” (Maggini, Dalle Luche, 1991) 43 La vita di comunita`, fortemente ritualizzata, e` una componente che incide profondamente sulla costituzione di un tempo interiore nei suoi utenti. Un ordine ed una sequenza precisi degli eventi della giornata-tipo scandiscono le attese, la prevedibilita` degli eventi, il tempo per lavorare, per divertirsi, per pensare a se stessi, in un modo assolutamente sconosciuto al tossicodipendente. Questo contribuisce a dissolvere giorno dopo giorno l`interiore fumosita` e magmaticita` della strutturazione del tempo. Nel tossicodipendente, infatti, spesso il divertimento non e` mai veramente tale, come pure il lavoro o il dolore, ma tutto e` spesso vissuto con una modalita` esperienziale delle relazioni e delle emozioni connotata dalla confusione e dalla profonda 41 Zanusso, G., Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 82, 42 Ibidem, p. 83 43 Ibidem, p. 84

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difficolta` a “distilare” i contenuti affetivi. Considerando che le emozioni rappresentano la nostra bussola nel mondo, ne consegue che una linearizzazione della strutturazione del tempo, incidendo anche sulle emozioni, alla fine non puo` che migliorare profondamente la qualita` della vita del tossicodipendente (Mammana, 1993) e la sua predisposizione al cambiamento.44 Un altro punto di forza della comunita` terapeutica rappresenta il fatto che l`accettazione di un tossicodipendente in tale ambito, permette poi di incrementare enormemente la frequenza e la qualita` delle osservazioni che possono essere compiute su di esso. In un setting tradizionale, infatti, si avrebberero a disposizione solo un numero di dati ridotti e molto difficili da elaborare, in quanto tali soggetti sono spesso manipolativi, falsi, con scarse motivazioni e scadenti capacita` di introspezione, senza poi considerare la possibilita`del mantenimento di un regolare rapporto terapeutico. L`assunzione di sostanze alcoliche e stupefacenti viene agevolmente controllata nell`ambito comunitario dove, attraverso l`osservazione sistematica ed opportune analisi mediche, si puo` sempre avere il polso della situazione, garantendo che l`intervento avvenga nelle migliori condizioni psicofisiologiche. La comunita` terapeutica deve essere considerata come una sorta di “zona franca” dove non vengono espresse valutazioni di merito sul tossicodipendente e dove alcuni degli infiniti problemi legati alla carriera tossicomanica sono temporaneamente e parzialmente sospesi. L`ambiente relazionale fortemente agganciato alle abitudini disfunzionali e` ora evitato e l`equilibrio delle relazioni familiari, spesso cristalizzato in una situazione di impasse, viene alterato in modo da permettere una riorganizzazione in una direzione strategicamente orientata. In questa situazione di sosta provissoria l`utente e` allora spontaneamente predisposto ad effetuare un lavoro di presa di coscienza graduale della propria condizione. L`ultimo punto di forza a cui volevo fare riferimento in questo lavoro e` rappresentato dai processi di apprendimento che si possono identificare nel corpo della comunita` terapeutica. In seguito intendo elencare brevemente questi processi di apprendimento che contribuiscono positivamente al progetto terapeutico. Tutti i modelli di comunita` terapeutica, e invero tutti i gruppi sociali, comportano una serie di norme e limitazioni comportamentali a carico dei loro membri, e una serie di possibili sanzioni positive e negative, che possono andare da una semplice disapprovazione senza formalita` a un voto di censura o a un`ammonizione verbale, dalla perdita di privileggi a una diminuzione di

44 Zanusso, G., Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 85

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status o addirittura all`espulsione.

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Entro il quadro delle norme del gruppo e delle sanzioni, la

comunita` terapeutica fa qualcosa di piu`, mobilitando a suo sostegno le forze della pressione sociale dei pari che generano un processo a breve termine di modificazione del comportamento. Aiutare un altro e` il modo migliore per aiutare se` stressi, quindi attraverso il processo di aiuto reciproco si puo` verificare un reale apprendimento. Il confonto e` una forma di aiuto tra pari che e` specifica della comunita` terapeutica,

un tipo speciale di feedback sociale e rapresenta

l`elemento piu` importante dell`intero processo terapeutico. La comunita` terapeutica fornisce occasioni per l`espressione di sentimenti molto vicini alla superficie ( specialmente rabbia e ostilita`), nonche` pressioni a usare queste occasioni. Nelle comunita` terapeutiche si cercano due tipi di apprendimento: controllo ed espressione. L`espressione dei sentimenti superficiali diventa un`apertura per l`esplorazione di altri strati di sentimenti, per imparare a esprimerli, ad accettarli, a integrarli in un senso di se` che si va svelando e a decidere quali scopi personali sorgono da questa nuova comprensione.

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La comunita` fornisce sempre modelli positivi di ruolo, ad

esempio l`ex tossicodipendente, che ilustrano il tipo di cambiamento personale desiderato. L`apprendimento e il cambiamento facilitati dal processo di identificazione si verificano sia a livello comportamentale sia, alla fine, a livello di co ncetto di se`, a seconda di quali possibilita` il soggetto vede per se` stesso e di quali specifiche norme ideali puo` interiorizzare dal modello. Tramite l`attivita` costruttiva e le acquisizioni si sviluppano l`orgoglio e un senso di valore personale, basati sul riconoscimento della propria competenza da parte di se` stessi e degli altri. Questo processo di apprendimento contribuisce a sviluppare una positiva abitudine al lavoro. La struttura autosufficiente e compatta della comunita` terapeutica rafforza il processo di pressione positiva dei pari e ne charisce il significato nell`interesse collettivo e condiviso, aumentando la coesione del gruppo. A livello individuale viene promosso un senso di responsabilita` verso i propri pari e verso la comunita`terapeutica.

4.2 La questione delle tre fasi del programma terapeutico Per comprendere le articolazioni dei metodi di trattamento del tossicodipendente è necessario visitare in profondità la strutturazione interna dei programmi e le diverse fasi messe in atto. Tale operazione non è semplice poichè se nel passato alcune strutture comunitarie avevano un atteggiamento polemico con la riduzione in fasi della loro attività , nell’attuale linguaggio delle strutture di comunità le fasi sono diventate un comune modo di descriversi e sono rappresentate 45 Corulli, M. (1997) Terapeutico e antirapeutico:cosa accade nelle comunita` terapeutiche? Torino, p. 92 46 Ibidem, p.95

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anche laddove in effetti non ci sono. Dal rifiuto di vedere schematizzato in termini rigidi tutto il processo di cambiamento di un tossicodipendente verso un equilibrio interiore ed una riapertura alla vita le comunità, nel loro complesso, sono passate alla accettazione della tripartizione classica del programma anche quando tale tripartizione non può essere giustificata. A volte perchè tale riduzione schematica non fa giustizia alla dinamica interiore e relazionale della persona, a volte tende a far assomigliare ad una carriera il programma di recupero, altre volte ancora il reinserimento sociale non ha motivo di essere concepito come problema o ancora perchè il processo di psicoterapia non termina in comunità ma continua per anni dopo le dimissioni dalla struttura . Altre comunità invece sottolineano in modo marcato il passaggio da una fase all’altra del soggetto in programma poichè e ritengono che le gratificazioni e le ricompense servano a migliorare l’autostima da parte del soggetto e lo invoglino a proseguire nel cammino. Sono queste le comunità che più marcatamente hanno un intervento centrato sul trattamento del tossicodipendente.47 Nella strategia operativa di base non sono presenti schematizzazioni e tappe che sanciscono sottofasi , non viene indicato un tempo stabilito per ciascuna fase e nemmeno viene individuato il momento preciso del passaggio da una all’altra. Eccezione fatta per l’ingresso in comunità e l’uscita o altri eventuali spostamenti o cambiamenti di posizione e di ruolo all’interno della struttura. Tale modello di comunità è però costretto a modificarsi sotto la pressione di bisogni emergenti e deve adeguarsi, differenziandosi, alla personalizzazione degli interventi rivolti alla singola persona.

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Non tutti i soggetti che chiedono alle comunità un

programma di recupero hanno le medesime esigenze , così come non tutte le comunità possiedono i mezzi per far fronte ai bisogni di chi a loro si rivolge. Per taluni soggetti un programma fondato su la strategia operativa di base non è sufficiente. L’analisi delle fasi serve, inoltre, a comprendere, dentro lo schema già proposto delle strategie operative, molti altri elementi dei vari modelli di comunità esistenti. Le strategie di lavoro, la posizione dell’operatore nei confronti della struttura comunitaria, la specifica professionalità dell’operatore, l’importanza data al processo di responsabilizzazione del residente, il suo grado di partecipazione alla gestione della comunità, l’utilizzo di soggetti che hanno terminato il programma nella conduzione della comunità, sono elementi concreti e validi per distinguere la ti pologia della struttura e per connotare le specificità dei programmi attuati. A seconda di come si muove questa complessa struttura di rapporti e di posizioni all’interno della comunità diviene prevalente l’impostazione operativa di base o quella più orientata alla terapia, quella educativa o 47 Cagossi M. (1988) Comunità terapeutica e non . Roma; p. 146 48 Gelmini P. (1988) Così semplicemente . Indicazioni per i residenti dei Centri Comunita` Incontro. Roma, p.56 46

quella centrata sul lavoro o quella medico – psichiatrica di controllo sociale o quella medicoassistenziale. La struttura di comunità di recupero non prescinde, in genere , dalle tre note fasi di: 1.Accoglienza; 2. Residenzialità (crescita interiore , cambio della personalità) 3.Reinserimento, pur attribuendo una diversa importanza a ciascuna di esse. L’identità di una comunità e la sua personalità complessiva trae spesso origine dall’incentrarsi prevalentemente su una specifica attività intorno alla quale viene costruito il modello complessivo. La fase di accoglienza dei nuovi ingressi rappresenta un passaggio importante nel processo terapeutico. La dinamica di sviluppo del gruppo di comunità è prodotta dalla crescita e dal cambiamento dei residenti che progressivamente si assumono responsabilità sempre più rilevanti nel gruppo e dalla accoglienza di altri soggetti. L’accoglienza riorganizza complessivamente il gruppo in base ai nuovi ingressi la cui presenza dà una fisionomia e nuovi stimoli alla comunità nel suo complesso. Su questi elementi si fonda la strategia operativa di base tipica dei modelli di comunità più semplici. E` utile conferire al momento dell`ingresso in comunita` terapeutica una particolare formalita`, se non una vera e propria solennita`. Deve essere realmente palpabile per il nuovo utente che si tratta di un “rito di passaggio” attraverso il quale lui accede ad una nuova dimensione d`esistenza che sicuramente per alcuni utenti assume anche un aspetto di intensa spiritualita`.49 Compatibilmente con le esigenze della struttura, si ritiene proficuo che a tale evento partecipi il maggior numero possibile di utenti e operatori, in primis il responsabile, senza per questo paralizzare l`attivita` della comunita`. Tale occasione sara` particolarmente significativa per l`utente appena arrivato ma, allo stesso tempo, rivestira` un significato rilevante anche per coloro che gia` hanno aderito al trattamento. Accogliere un nuovo arrivato, infatti, permette all`utenza di mantenere sempre vivo il ricordo delle proprie condizioni di partenza ed offre inoltre l`opportunita` di tirare provvisoriamente le somme del percorso fino a quel momento effetuato. E` consigliabile che ogni partecipante alla riunione di accoglienza faccia una breve presentazione di se`, invitato dal conduttore della riunione a raccontare qualcosa di significativo del proprio percorso terapeutico, del motivo per cui sta continuando il trattamento e , se lo ritiene opportuno, a rivolgere un augurio al nuovo arrivato. Allo stesso modo gli stessi operatori possono presentarsi brevemente per farsi conoscere e dimostrare la propria piena disponibilta`, utilizzando anche corette modalita` di espressione emozionale e di autoapertura. E` opportuno che il nuovo utente si presenti per ultimo, in modo che sia gia` creata un`atmosfera sufficientemente calda all`interno della quale un`autoapertura puo` risultare meno difesa e per

49 Zanusso, G., Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 126

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questo meno ansiogena e piu` produttiva. 50 Terminata la riunione la comunita` riprende il normale corso di svolgimento delle attivita` giornaliere. Si ritiene che il nuovo arrivato debba essere inserito all`interno di mansioni che privilegiano abbondantamente il versante comportamentale, con un minimo investimento di responsabilita`. All`inizio del trattamento e` infatti importante che l`utente sia occupato in senso molto concreto, magari con attivita` fisicamente faticose, con pochi spazi lasciati all`arbitrio ed alla riflessione speculativa. L`impegno sul versante comportamentale conferisce maggiore stabilita` emotiva ed una piu` intensa concentrazione rispetto ad occupazioni che coinvolgono direttamente aspetti cognitivi. Si tratta di accorgimenti preziosi, se teniamo presente che il piu` alto tasso di abbandono del trattamento comunitario avviene nei primi tre mesi dell`accoglienza, soprattutto nel primo (Condelli, De Leon, 1993). 51 Le mansioni svolte all`interno di una comunita` terapeutica debbano evolversi in funzione del progresso terapeutico, incrementando progressivamente l`autonomia, la responsabilita` e la sofisticazione delle prestazioni richieste. Per quanto riguarda la tipologia delle attivita` lavorative, e` augurabile che agli utenti vengano proposte occupazioni interessanti o, meglio ancora, che rappresentino un vero e proprio apprendistato utile per la succesiva fase del reinserimento. Le attivita` svolte possono essere le piu` diverse, dalla pulizia e manutenzione della struttura fino alla produzione industriale o artistica di alto livello. Quando possibile e` poi una prassi da consigliare il rinforzo dei miglioramenti ottenuti con un compenso materiale, tale accorgimento non solo rinforza in modo univoco l`impegno dimostrato dagli utenti, ma rende una disponibilita` economica che, anche se magari minima, puo` rilevarsi preziosa per l`utente nella fase di accogilenza e di reinserimento, in quanto attraverso il suo lavoro puo` per lo meno pagarsi una parte delle proprie incombenze economiche. Durante tutta la fase di accoglienza ogni soggetto partecipa ad attivita` terapeutiche, sia di gruppo che individuali. E` auspicabile che ogni utente possa disporre di incontri strutturati a scadenza da valutare caso per caso, da effettuarsi con un operatore possibilmente professionale che funga da punto di riferimento privilegiato. Anche con la famiglia e` opportuno mantenere un rapporto costante per tutta la durata dell`accoglienza e del trattamento in generale, relazione la cui frequenza e modalita` di strutturazione varia ampliamente in funzione della comunita`, del tipo di famiglia e del modello teorico d`intervento attraverso il quale si e` deciso di operare. La comunita` terapeutica non deve mai essere considerata dal tossicodipendente come la 50 . Zanusso, G., Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 126 51 Ibidem, pag. 127

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“piazza” e per questo motivo alcuni accorgimenti aiutano a creare un`atmosfera meno “deviante” rispetto a quella presente nei loro tipici luoghi di ritrovo. Anche per sottolineare l`aspetto di rito di passaggio rappresentato dall`accoglienza, e` utile invitare l`utente appena arrivato a sottoporsi ad un taglio di capelli che in molti casi serve ad allontanarlo dal precedente aspetto di trasgressione e trascuratezza. Allo stesso tempo, l`abbigliamento deve essere decoroso ed il linguaggio piu` “pulito” possibile perche` il tossicodipendente in trattamento deve abituarsi a parlare il linguaggio della societa` nel suo complesso. 52 Non è però possibile che un intervento volto alla ricostruzione della personalità si limiti alla sola accoglienza o si fondi semplicemente su colloqui di orientamento e di psicoterapia individuale. Soggetti tossicodipendenti che provengono da anni di emarginazione sono portatori di ambivalenze che ingannano anche l’operatore più esperto e la sua professionalità non può bastare da sola ad aprire le possibilità di cambiamento di tali persone. V’è bisogno di un forte coinvolgimento della persona nella sua globalità e cioè attraverso quel vissuto comunitario che ingloba l’individuo per tutto l’arco della giornata. Tale coinvolgimento è la premessa per un processo di cambiamento della personalità e di maturazione mediante la responsabilizzazione nella comunità .53 Quindi la fase di residenzialita`, di trattamento e di crescita` interiore della persona e` estremamente complessa e difficile per l`utente in quanto questo deve mettersi in gioco e prendere in mano la propria esistenza. La residenzialita` e intesa dal pedagogista Massimo Rabboni(2003) come una “tecnologia educativa dello spazio, del tempo, del corpo, degli ogetti e degli apparati simbolici che produce degli effetti educativi, indipendentemente dagli obbiettivi stessi di un programma terapeutico o di un programma didattico”54 Senza la fase del reinserimento la struttura comunitaria tende ad essere un sistema di riferimento stabile e chiuso; inoltre un programma non può considerarsi svolto con successo se il soggetto non è tornato a vivere nel più ampio contesto sociale. In questo senso, la comunita` e` intesa come “progetto”, ovverosia quella che fa la conessione con la comunita` esterna allargata. La comunita` come progetto si colloca infatti in antitesi con la comunita` cosidetta “deposito”55, la quale si costituisce come struttura difensiva, accogliendo al suo interno persone potenzialmente dannose alla realta` esterna, senza alcuna intenzione di riconnetterle, successivamente, nel sociale piu` vasto da cui provengono. Capita spesso, infatti, che trattamenti apparentemente ben riusciti all`interno della comunita` terapeutica incappino in disastrose disfatte nel momento in cui si confrontano con la realta` esterna. Per alcuni utenti, poi, sembra si possa parlare di una vera e 52 Zanusso, G. , Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 129 53 D` Amico N. (1985) Sfida alla droga . Comunità terapeutiche: come e dove. Milano, p. 133 54 Rabboni, M. (2003) Residenzialita`. Luoghi di vita, incontri di saperi. Milano, p.49 55 Brunori, L. , Raggi Cristian ( 2007) Le comunita` terapeutiche, Bologna, p.14

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propria ricaduta fisiologica ad un anno circa dalla dimissione che viene parzialmente recuperata successivamente (Dal Cengio, 1991).56 E` quindi importante che la comunita` sia presente anche in questi momenti delicati che possono franare, oppure, paradossalmente, rinforzare un lungo e sofferto lavoro riabilitativo. L`occasione in cui un utente torna a reinserirsi a tutti gli effetti nel tessuto sociale e` una fase di estrema delicatezza. Si ritiene che per ogni soggetto dovrebbe essere prevista una specifica modalita` di reinserimento che pero` non preveda mai da parte della comunita` l`interruzione programmatica di ogni forma di relazione. L`allontanamento dalla struttura dovrebbe essere piuttosto graduale, se possibile impedendo all`utente un impatto troppo brusco con la famiglia e la societa` in genere. In alcuni casi si puo` prevedere una riduzzione progressiva delle ore trascorse in comunita`, in altri ancora l`uscita dalla struttura e` quasi netta. Ad ogni modo e` opportuno mantenere una relazione ufficiale con l`utente, rapporto che prende la forma di colloqui e/o partecipazioni a riunioni di gruppo e che difficilmente e` opportuno che superi il limite dei due anni. Inoltre, come gia` effetuato per la fase di accoglienza, e` fortemente consigliabile strutturare anche il reinserimento come un contratto fra la comunita` terapeutica da una parte, e l`utente e i suoi familiari dall`altra. Tale impostazione e` estremamente importante per frenare il clima di rilassamento e di euforia che quasi inevitabilmente si produce con l`ingresso nella fase di reinserimento. L`ultima tappa del trattamento deve essere ponderata in base alle caratteristiche ed all`evoluzione specifica del percorso riabilitativo di ogni utente, ma in linea di massima il focus della fase di reinserimento debba essere costituito da un`attenta attivita` di monitoraggio e di sostegno, unitamente alla stimolazione ed alla collaborazione nelle attivita` di problem solving che inevitabilmente saranno notevolmente sollecitate da questa fase della vita dell`utente. Inolte bisogna prestare una particolare attenzione al pericolo che l`utenza, ancora in trattamento a tutti gli effetti, si frequenti fra loro, perche` si ritiene che questi soggetti abiano bisogno di freqentare persone estranee al mondo della tossicodipendenza e soprattutto che non frequentino altri utenti della stessa comunita`. I rapporti umani, anche se profondi, sono molto agevolati in comunita` terapeutica e si ritiene che l`utente in reinserimento di debba essercitare nella difficile abilita` di instaurare nuove relazioni umane impegnando e sviluppando capacita` comunicazionali e relazionali che altrimenti sarebbero destinate all`atrofia progressiva (cfr. Catalano et al., 1990-

56 Zanusso, G.; Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 129

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1991). 57 La fase di reinserimento e` anche utile che venga impiegata per un lavoro di “rifinitura” dell`intervento terapeutico e un utente in questa fase puo` essere definito come un “prodotto non finito”, ricco di sbavature ed imperfezioni inevitabili in quanto precedentemente isolato dal reale contesto sociale. Con il reinserimento possiamo allora assistere alla produzione di comportamenti, emozioni e pensieri che in comunita` non potevano essere affrontati e modificati in modo completamente effiacce, soprattutto se il trattamento era di tipo residenziale.

4.3 Comunita` terapeutiche padovane e i loro programmi terapeutici Le Comunità scelte per gli inserimenti delle persone residenti nel nostro territorio (Provincia di Rovigo) sono fondate prevalentemente su strategie educative e strategie terapeutiche anche se in alcune di queste appaiono con evidenza elementi della strategia operativa di base. In seguito faro` riferimento ad alcune strutture alle quali ci siamo rivolti più frequentemente, ma ovviamente queste sono molto di piu`. Nata nel 1982, la Cooperativa Sociale Terra.A e` una cooperativa di tipo "A" che gestisce vari progetti di animazione sociale, educativi, formativi e terapeutici a Padova, nella sua provincia e nel territorio del Veneto, svolgendo attività principalmente in sei aree: bambini e ragazzi (0-14 anni), giovani (15-30 anni), anziani, immigrazione, dipendenze e disabilità. La cooperativa gestisce tre unità di offerta di tipo residenziale per tossicodpendenti, in cui operano équipe interpofessionali composte da educatori, psicologi, psicoterapeuti, pscichiatri, infermieri, mediatori linguistico-culturali, maestri d'arte, esperti di attività motoria. Queste sono “Villa Ida” e “San Gregorio”, rispettivamente una pronta accoglienza ed una comunità residenziale di base ai sensi della DGRV 3618/2007 e la comunita` terapeutica per alcolisti “Galileo”. 57 Zanusso, G.; Giannantonio, M. (1996) Tossicodipendenza e comunita` terapeutica: strumenti teorici e operativi per la riabilitazione e la psicoterapia. Milano, p. 131

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4.3.1 Comunita` terapeutica “San Gregorio” di Padova La Comunita` terapeutica “ San Gregorio” nasce nel 2005 per opera della Cooperativa Sociale Terr.A . E` una struttura residenziale di tipo B/ intensivo che opera nel campo della tossicodipendenza. Puo` accogliere fino a 25 utenti. Il progetto educativo-terapeutico promuove il recupero delle risorse individuali perdute o inibite dall`uso di sostanze stupefacenti e si pone come fine ultimo il reinserimento della persona nella societa. Destinatari Il pogetto si rivolge a persone tossicodipendenti o alcoldipendenti, anche in presenza di forte disagio psichico, d`entrambi i sessi, che esprimano un`adeguata motivazione ad intraprendere un percorso terapeutico-riabilitativo e che necessitino di un intervento psico-terapeutico. Obiettivi generali In generale il percorso proposto dalla struttura propone i seguenti obiettivi: -verifica della iniziale motivazione al trattamento, accoglienza dell`utente e suo inserimento in struttura; -disintossicazione e assistenza all`assunzione di terapia farmacologica adequata sotto specifico controllo del medico referente o psichiatra della struttura; -regolazione del comportamento (a cominciare dalla partecipazione alla vita comunitaria, nel rispetto delle regole e dei programmi) -sviluppo e consolidamento della motivazione al cambiamento (consapevolezza che nasce dal riconoscimento del proprio malessere) -avvicinamento e coinvolgimento della famiglia da parte degli operatori; -impostazione di un Piano di Trattamento Individualizzato che definisca gli obiettivi, le strategie ed il percorso per la modifica dei comportamenti inadeguati. Obiettivi specifici e metodologia di intervento Il percorso si svolge in forma residenziale ed e` suddiviso in tre fasi. 1. La prima fase ha una durata di circa 3 mesi e prevede la partecipazione dell`utente alla vita e all`organizzazione della comunita`, la sua integrazione con gli altri ospiti della struttura, la maturazione della sua motivazione al trattamento; 2. Nella seconda fase, che ha una durata di circa 6 mesi, viene favorito un processo di conoscenza e crescita personale. Particolare attenzione viene posta all`aspetto comportamentale: l`insieme

delle

norme,

degli

impegni

e delle

resposabilita`

assegnate

l`apprendimento di abilita` sociali e lo sviluppo di una “nuova identita` personale”; 52

favoriscono

3. La terza fase ha una durata di circa 7-8 mesi. E` finalizzata al completo reinserimento lavorativo, sociale e familiare. La prima tappa della fase di reinserimento e` residenziale e dura indicativamente 3-4 mesi, la seconda e` semiresidenziale e` dura circa 4 mesi. Il passaggio da una fase all`altra e` condizionato dal tempo necessario per avviare percorsi di ricerca del lavoro e successivo consolidamento di un`occupazione, dalla capacita` di relazionarsi con l`esterno e di condurre una vita adeguata, e dal rispetto delle regole proposte dalla comunita`. Metodologia: •

Colloqui individuali con operatori e psicoterapeuta;



Gruppi mono-tematici focalizzati su argomenti relativi a conoscenza ( consapevolezza dei propri meccanismi di difesa), famiglia (condivisione ed elaborazione della propria storia familiare), affettivita` (comprensione delle dinamiche mese in atto nelle relazioni ed elaborazione di modalita` piu` adeguate), societa` (analisi delle risorse individuali, progetti di vita`);



Gruppi di self-help ( aspetti comportamentale, relazionale ed emotivo);



Seminari informativi condotti dallo psicologo;



Attivita` di tipo lavorativo a scopo terapeutico-educativo, svincolate da finalita` produttive e a scopo di lucro;



Attivita` di laboratorio



Attivita` sportive e ricreative



Incontri familiari.

Qualora il percorso educativo proposto si mostrasse scarsamente indicato per le caratteristiche personali dell`utente, dopo un periodo di inserimento nella prima fase, utile a far fronte alla disintossicazione e recuperare una buona condizione psicofisica, e` possibile attuare un programma di reinserimento graduale che si attiene il linea di massima alla metodologia della terza fase del percorso, in questo caso pero` i tempi potranno essere piu` lunghi. Lo scopo consiste nel fornire all`utente strumenti necessari per la coretta gestione di se` e abilita` per far fronte alla frustrazione e per prevenire possibili ricadute.

4.3.2 Comunita` di Pronta Accoglienza “ Villa Ida” di Padova La Comunita` di Pronta Accoglienza “ Villa Ida “ e` una comunita` specialistica che opera nel campo della dipendenza, associata a disturbi di personalita`. Nasce nel 2005 in collaborazione con il Ser.T dell`USSL 16 di Padova e si prefigge il compito di accogliere le persone tossicodipendenti in grave difficolta`. Offre quindi un suppoto nei momenti di “crisi” in cui e` 53

piu` elevato il rischio di overdose. Si propone come un luogo protetto in cui la persona possa riprendersi fisicamente e mentalmente, ed avviare eventualmente una riflessione sulla propria vita in modo da individuare possibili percorsi che possano migliorarne le qualita`, nel rispetto delle sue esigenze e delle sue risorse. Per raggiungere tale obiettivo, la comunita`, che puo` accogliere al massimo 15 residenti, lavora in rete con associazioni ed enti che operano nel campo della tossicodipendenza e del disagio sociale in genere. Destinatari “ Villa Ida” accoglie persone tossicodipendenti maggiorenni di ambo i sessi che manifestano una situazione di “crisi” accompagnata da un grave disagio, non risolvibile a livello ambulatoriale ed ospedaliero, che comporta: •

Elevato rischio di overdose;



Grave deterioramento delle condizioni psicofisiche;



Mancanza di un adeguato suppoto familiare e/o sociale;



Ripetuti ed infruttosi tentativi di disintocassicazione.

Obiettivi La struttura garantisce uno spazio di contenimento e una funzione di supporto che permetta alla persona tossicodipendente di “riprendere fiato” rispetto ad una situazzione fortemente a rischio per la sua stessa vita. In tale ambito, in accordo con i servizi invianti si perseguono i seguenti obiettivi: •

Favorire una coretta assunzione da parte dell`utente della terapia farmacologica prescritta dai servizi attraverso il monitoraggio quotidiano da parte degli operatori;



Effetuare un approfondimento diagnostico;



Redigere, in collaborazione con il Servizio inviante, un progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato;



Favorire lo sviluppo di una motivazione al cambiamento;



Migliorare le conoscenze da parte dell`utente relativamente alla prevenzione all infezioni (HIV, epatiti);



Migliorare lo stato di salute, la funzionalita` psichica e piu` in generale la qualita` di vita dell`utente



Attivare, quando possibile, un intervento con il suo gruppo familiare;



Inviare l`utente, al termine dell`intervento previsto e previa valutazione con il servizio di provenienza, presso altre strutture presenti nel territorio ove possa eventualmente continuare il processo di cambiamento rispetto ad uno stile di vita “drug free”.

Metodologia di intervento 54

Il trattamento si svolge in forma residenziale e dura al massimo tre mesi. Durante questo periodo possono essere monitorate le urine dell`utente per la ricerca dei metaboliti di oppiacei, stimolanti, sedativi, cannabinoidi e alcool. Strumenti educativi e terapeutici Per il raggiungimento degli obiettivi vengono utilizzati i seguenti strumenti: •

Colloqui individuali con gli operatori e gli psicologi della Comunita`;



Seminari individuali;



Gruppi di self-help;



Gruppi di espressione corporea;



Tecniche di rilassamento;



Attivita` di tipo lavorativo a scopo terapeutico-educativo, svincolate da finalita` produttive e a scopo di lucro;



Attivita` sportive e ricreative;



Attivita` di laboratorio.

A questo proposito, sono attualmente attivati laboratori di shiatsu, lingua inglese ed espressione artistica allo scopo di promuovere la consapevolezza del proprio corpo e stimolare le capacita` cognitive e la creativita` degli utenti. Servizi medico-psichiatrici Una volta che l`utente e` inserito in comunita`, in caso di bisogno si avvia la somministrazione della terapia farmacologica stabilita dal servizio inviante. La struttura di pronta accoglienza predispone i servizi medico-psichiatrici e socio-riabilitativi, erogati dal personale della struttura (medico psichiatra, psicologo, infermiere ed educatori). E` inoltre curata l`integrazione e la collaborazione con gli altri operatori ed i professionisti degli enti invianti. Servizi psicologici Parallelamente all`intervento medico, si avvia un intervento di trattamneto psicologico continuativo sia a livello individuale che di gruppo. Tale intevento si articola in colloqui individuali e attivita` di gruppo. Nello specifico il colloquio individuale ha finalita` di counseling e di sostegno con lo scopo di agevolare l`utente nel fronteggiare ed elaborare i momenti di crisi. Le attivita` di gruppo prevedono incontri strutturati quotidiani con lo scopo di organizzare la vita comunitaria e di sanare le micro-conflittualita` proprie delle dinamiche relazionali di gruppo. Altri incontri a cadenza settimanale prevedono l`approfondimento di tematiche specifiche. Viene altrsi offerto un servizio anche alle famiglie che vengono seguite sia singolarmente che in gruppi multi-familiari con frequenza settimanale. Processo terapeutico-educativo 55

L`e`quipe educativa orienta la vita in comunita` garantendo il rispetto di un insieme di norme, di ruoli e di responsabilita` progressive che conferiscono una cornice chiara per l`avvio del processo di cambiamentodell`utente. Viene definito per ogni residente un piano di trattamento, con obiettivi e tempi ben definiti, concordato con l`utente stesso e con il servizio inviante. All`interno della comunita`, in un contesto di apprendimento sociale, e` possibile sperimentare patterns identificatori adeguati e modalita` di comportamanto che ricevono immediato feed-back dal gruppo, promuovendo un processo di crescita` affettiva e cognitiva. Periodicamente l`e`quipe valuta con l`utente il raggiungimento degli obiettivi precedentemente concordati. La permanenza in comunita` prevede l`astensione da sostanze psicotrope, ad eccezione di quelle previste dal sostegno farmacologico prescritto dal medico, e il divieto assoluto di comportamenti aggressivi e/o violenti, pena l`allontanamento dalla comunita`.

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Conclusioni Dal mio lavoro è possibile rilevare che in Italia le comunità terapeutiche hanno rappresentato storicamente e rappresentano tutt’oggi un elemento strategico di grande rilievo per la realizzazione di intervento di cura, riabilitazione, e reinserimento sociale nel settore della Tossicodipendenza. L’evoluzione del fenomeno disagio e delle dipendenze negli ultimi venti anni e la riflessione critica sulle proprie attività hanno portato le varie C.T. a differenziare il loro programma terapeutico- educativo in rapporto ai bisogni della persona modulando percorsi sulla pluralità delle domande. Così sono state messe a punto le diverse risposte mirate che vanno ad aggiungersi ai programmi residenziali esistenti. Gli interventi delle comunità hanno superato una dimensione puramente contenitiva, sviluppando nuove metodologie, attivando nuovi percorsi di formazione, connotandosi come percorsi terapeutici/riabilitativi ed integrandosi con sempre maggiore frequenza con le altre realtà operanti, comunque radicate nel territorio. Tanto più gli interventi hanno acquisito esperienza e qualificazione, tanto più si è reso necessario un coordinamento tra le varie proposte ed una verifica qualitativa delle prassi d’intervento, per evitare il rischio dell’autorappresentazione, monitorando costantemente l’adeguatezza della “risposta” ai nuovi bisogni espressi dall’utenza, nel rispetto delle regole dettate dalla normativa vigente in merito (L. 309/90 e successive integrazioni e modifiche). Partendo da questo presupposto è molto importante evidenziare che per rendere correttamente accessibili tutte le risorse disponibili sul territorio ed agevolare la formulazione di progetti individuali corrispondenti ai reali bisogni della persona tossicodipendente/alcoolista, si rende indispensabile una sinergia tra gli interventi del servizio pubblico, in fattispecie nella figura del Ser.T, e delle comunità terapeutiche, perseguendo una collaborazione costante, su un piano di pari dignità. Giocherà un ruolo molto importante, per l’attuazione di questo punto, l’azione di mediazione e di progettazione dell’assistente sociale in quanto e` l’operatore professionale preposto a creare e sviluppare i rapporti professionali, basati su processi operativi oramai consolidati, con le varie strutture comunitarie.

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Bibliografia 59

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