Aicarr Padova 21-6-07

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copertina padova

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ENERGIE RINNOVABILI: TECNICHE E POTENZIALITA'

Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria Riscaldamento e Refrigerazione

ISBN 978-88-95620-00-8 Copyright by A.I.CARR

€ 58,00

■ Convegno ENERGIE RINNOVABILI: TECNICHE E POTENZIALITA'

2-3 DI COPERTINA.QXD

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Sostenitori del convegno

Consulta Industriale AERMEC SPA Bevilacqua VR

FIERA MILANO INTERNATIONAL SPA Mostra Convegno Expocomfort

APEN GROUP SPA Pessano con Bornago MI

Milano

ANIMA Milano

GIACOMINI SPA S. Maurizio D’Opaglio NO

AUGUSTO CASTAGNETTI SPA Milano

AS.A.P.I.A. Bologna

HONEYWELL SRL Cernusco s/N MI

BLUE BOX GROUP SRL Piove di Sacco PD

CARRIER SPA Villasanta MI

JOHNSON CONTROLS HOLDINGS ITALY SRL YORK PRODUCT LINE Limbiate MI

CLIMAPRODUCT SPA Caponago MI

MC QUAY ITALIA SPA Ariccia RM

CLIMAVENETA SPA Bassano del Grappa VI

RC GROUP SPA Valle Salimbene PV

CLIVET SPA Villapaiera Feltre BL

REED BUSINESS INFORMATION SPA Milano

COFATHEC SERVIZI SPA Roma

RHOSS SPA Codroipo UD

DAIKIN AIR CONDITIONING ITALY SPA San Donato Milanese MI

SAGICOFIM SPA Cernusco s/N MI

ELYO ITALIA SRL Milano

SAUTER ITALIA SPA Milano

EMERSON NETWORK POWER Piove di Sacco PD

SCHNEIDER ELECTRIC SPA Baranzate MI

ENEL DISTRIBUZIONE SPA Roma

SIRAM SPA GRUPPO DALKIA Milano

ERCA SPA San Donato Milanese MI

TOSHIBA ITALIA MULTICLIMA SPA Agrate Brianza MI

EUROVENT CERTIFICATION Francia

TRANE ITALIA SRL Cusago MI

FERROLI SPA San Bonifacio VR

VELTA ITALIA SRL Terlano BZ

GEORG FISHER SPA Cernusco sul Naviglio MI

ROBUR SPA Verdellino/Zingonia BG SIEMENS SPA SETTORE BUILDING TECHNOLOGIES Milano SYSTEMA SPA Santa Giustina in Colle PD

UNIFLAIR SPA Conselve PD

VORTICE ELETTROSOCIALI SPA Zoate-Tribiano MI

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I

Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria, Riscaldamento, Refrigerazione

Energie rinnovabili: tecniche e potenzialità

Padova, 21 giugno 2007 Catania, 5 ottobre 2007 Bari, 18 ottobre 2007

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AICARR Via Melchiorre Gioia, 168 20125 Milano MI tel. 02-67479270 fax 02-67479262 e.mail [email protected] sito web - http://www.aicarr.it ISBN 978-88-95620-00-8 Copyright AICARR. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del volume può essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell’Editore. AICARR declina ogni responsabilità diretta e indiretta per il contenuto degli articoli pubblicati nel presente volume.

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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO Renato Lazzarin (Presidente), Ernesto Bettanini, Adileno Boeche, Pierfrancesco Brunello, Giuliano Cammarata, Alberto Cavallini, Ettore Cirillo, Giovanni Curculacos, Getulio Ferri, Dino Grossi, Gioacchino Guastamacchia, Alfio Russo, Viliam Stefanutti, Mauro Strada. Roberto Zecchin (Presidente Commissione Programmazione Convegni), Guido Poli (Segretario Generale AICARR)

COMITATO D’ONORE Roberto Formigoni, Presidente Regione Lombardia Guido Artom, Presidente Fiera Milano Solly Cohen, Amministratore Delegato Fiera Milano International Guido Carle, Presidente Anima Renzo Greco, Presidente Assistal

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PRESENTAZIONE Le recenti disposizioni legislative 192/05 e 311/06 e la quasi concomitante attivazione del “conto energia” hanno portato rapidamente alla ribalta le fonti rinnovabili. Di queste anche il pubblico con preparazione tecnica conosce spesso soltanto il nome; ne conosce poco o nulla le potenzialità, le tecnologie, i costi. Sono lacune che vanno colmate al più presto da parte dei progettisti, chiamati ad applicare correttamente queste tecniche. I costruttori devono recuperare un grave ritardo nei confronti di paesi come la Germania, la Danimarca o la Svezia che già da anni hanno realizzato un'industria del settore che vede nel mercato italiano, come sta già avvenendo per la Spagna, ottime prospettive di penetrazione. Questi sono i motivi che hanno spinto l'AICARR, anche a fronte dei segnali di forte interesse ricavabili dalle numerose adesioni alla Scuola AICARR alle lezioni su queste tematiche, a scegliere quest'anno per il Convegno di Padova-Bari-Catania il tema delle fonti rinnovabili. Si parlerà di solare termico e fotovoltaico, idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse senza dimenticare la collocazione delle rinnovabili nel recente quadro normativo e legislativo. Attraverso relazioni su invito sulle diverse tecnologie e numerose relazioni libere su applicazioni delle stesse, si vuole dare un primo contributo a colmare un ritardo di oltre vent'anni prodotto dall'inerzia delle Istituzioni e dalla mancanza di un piano energetico nazionale.

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INDICE Fabbisogni e risorse di energia: potenzialità delle fonti rinnovabili (relazione ad invito) Alberto Cavallini, Dipartimento di Fisica Tecnica, Università di Padova

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Tecnologia e applicazioni del solare termico (relazione ad invito) Renato Lazzarin, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali, Università di Padova sede di Vicenza

13

Misure di efficienza di collettori solari piani su un impianto di prova indoor Francesco Castellotti, Solarkey, Rivarotta di Teor UD

43

Analisi di possibili soluzioni da fonte rinnovabile nella climatizzazione residenziale e domestica Giuseppe Starace, Dipartimento di Ingegneria dell'Innovazione, Università del Salento, Lecce Manlio Ranieri, Libero professionista, Bari

63

Sistema modulare di ottimizzazione integrata Edificio-Impianto per la valutazione di tecnologie di climatizzazione innovative Giuseppe Corallo, Marco Citterio, Dipartimento TER - ENEA, Roma Luca Brodolini, Università degli Studi Roma3

79

La deumidificazione dell'aria per mezzo di ruote essiccanti elio-assistite: prestazioni e potenzialità Luigi Marletta, Gianpiero Evola, Fabio Sicurella, Dipartimento di Ingegneria Industriale e Meccanica, Università di Catania

99

Esigenze funzionali ed integrazione architettonica degli impianti solari negli edifici Alessio Gastaldello, Luigi Schibuola, Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, IUAV, Università di Venezia

121

Tecnologia e applicazioni del solare fotovoltaico (relazione ad invito) Luigi Zen, Helios Technology Srl, Carmignano di Brenta PD

135

Impianti fotovoltaici connessi in rete: produzione di energia elettrica da impianti entrati in esercizio nel 2006-2007 Valerio Fabbretti, Studio Energetica, Legnago VR Alan Begliorgio, Stefano Loro, VP Solar, Crocetta del Montello TV

159

Produzione di energia da biomasse e da altri combustibili non convenzionali (relazione ad invito) Giuliano Cammarata, Dipartimento di Ingegneria Industriale e Meccanica, Università di Catania

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Impianto di cogenerazione, teleriscaldamento e telerefrigerazione alimentato a biomasse legnose vergini Antonio Matucci, Marco Frittelli, CRIT Srl, Sesto Fiorentino FI

pag. 209

Energia eolica ed idroelettrica in Italia: possibilità di sviluppo degli impianti di piccola taglia (relazione ad invito) Filippo Busato, Marco Noro, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali, Università di Padova sede di Vicenza Davide Del Col, Dipartimento di Fisica Tecnica, Università di Padova

231

Energia dal terreno (relazione ad invito) Michele De Carli, Nicola Roncato, Angelo Zarrella, Dipartimento di Fisica Tecnica, Università degli Studi di Padova Roberto Zecchin, Dipartimento di Fisica Tecnica, Università di Padova TiFS Ingegneria, Padova

271

Un sistema a pompa di calore multisorgente per un edificio scolastico a basso consumo Renato Lazzarin, Filippo Busato, Fabio Minchio, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali, Università di Padova sede di Vicenza Gianluca Vigne, Areatecnica Vigne Associati, Sedico BL

307

Efficienza energetica e fonti rinnovabili nel settore residenziale monofamiliare: due esempi applicativi Francesco Fellin, TiFS Ingegneria Srl, Padova

323

L’utilizzo della geotermia a bassa entalpia: applicazioni con geoscambiatori a sviluppo verticale Luca Tirillò, McQuay Italia Spa, Ariccia RM

351

GAHP e GIS: pompe di calore ad assorbimento e accumuli stagionali interrati di ghiaccio per la climatizzazione annuale a basso impatto ambientale Aldo D'Ingeo, Robur Spa, Verdellino/Zingonia BG

365

Uso combinato del geoscambio e del solare termico per impianti di riscaldamento Franco Cipriani, Facoltà di Architettura L. Quaroni, Università La Sapienza, Roma Giorgio Galli, Dipartimento di Fisica Tecnica, Università La Sapienza, Roma

383

Aspetti tecnici economici e normativi dell'energia rinnovabile nell'edilizia anche alla luce del D.L. 192/2005 (relazione ad invito) Livio Mazzarella, Dipartimento di Energetica, Politecnico di Milano

395

L'aumento dell'efficienza energetica negli impianti di climatizzazione mediante l’utilizzo di risorse idriche Michele Vio, Thermocold Costruzioni Srl, Modugno BA

423

Nuova scuola media Pedagna: tipologia di costruzione ecosostenibile nel Comune di Imola Paola Saggese, Metec&Saggese Engineering Srl, Torino Mario Grosso, Luca Raimondo, DINSE, Politecnico di Torino

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Fabbisogni e risorse di energia: potenzialità delle fonti rinnovabili ALBERTO CAVALLINI Università di Padova - Dipartimento di Fisica Tecnica

RIASSUNTO Le fonti di energia primaria, quelle cioè direttamente disponibili nell'ambiente naturale e dalle quali l'umanità trae l'energia necessaria per il proprio sostegno e sviluppo, si possono suddividere in esauribili (combustibili fossili o nucleare per fissione), praticamente inesauribili (combustibile nucleare per fusione, fonti geotermiche) oppure rinnovabili (idroelettrico, solare termico e fotovoltaico, fonte eolica, biomasse, maree, moto ondoso, correnti marine, gradienti termici oceanici …). Le fonti rinnovabili sono in generale quelle che maggiormente soddisfano il concetto di sostenibilità. Vi è ormai una consapevolezza diffusa che è assolutamente necessario porre un freno allo sfruttamento intensivo delle fonti di energia fossile (che attualmente soddisfano attorno all'ottantacinque per cento dei fabbisogni energetici dell'umanità) per cercare di mitigare l'emissione di gas serra nell'atmosfera, con i conseguenti catastrofici mutamenti climatici che sembra già comincino a manifestarsi. Una prima, certamente non sufficiente risposta a questa emergenza globale, accanto a drastici provvedimenti di risparmio energetico ed incrementi nell'efficienza di tutti i processi energetici, è un maggior ricorso alle fonti rinnovabili d'energia. Questa relazione esamina la situazione e le potenzialità delle diverse fonti primarie d'energia. 1. FONTI ENERGETICHE PRIMARIE Le fonti energetiche primarie sono quelle direttamente disponibili nell'ambiente naturale, alle quali l'umanità fa ricorso (o potrà far ricorso in prospettiva) per soddisfare i propri fabbisogni d'energia; attraverso opportune trasformazioni energetiche, la forma in cui l'energia è presente nelle sorgenti primarie viene convertita nelle forme più adatte ai diversi usi finali. Le fonti energetiche primarie possono essere distinte in esauribili, praticamente inesauribili e rinnovabili. Come indicano le parole stesse, sono esauribili quelle fonti

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energetiche presenti nel nostro mondo in quantità finita (limitata), e la cui possibilità di Tabella 1 - Classificazione delle fonti primari d'energia. FONTI ENERGETICHE PRIMARIE

ESAURIBILI

Combustibili fossili convenzionali Id. non convenzionali Nucleare

PRATICAMENTE INESAURIBILI

RINNOVABILI

Geotermia alta/media temp. Id. temperatura neutra (GSHP)

Solidi (carbone etc.) Petrolio Gas naturale Scisti oleosi, Sabbie bituminose Fissione Fusione Rocce umide Rocce secche

Legame chimico Legame chimico Legame chimico

Legame nucleare Legame nucleare En. termica En. termica

Terreno

En. termica

Idraulica Eolica Solare diretta Maree, Onde Gradienti termici oceanici Biomasse, Rifiuti

En. gravit./meccanica En. meccanica En. radiante En. meccanica

Legame chimico

En. termica Legame chimico

rigenerazione è molto inferiore alla velocità di consumo; sono quindi destinate ad esaurimento; tali sono tipicamente le fonti combustibili fossili. Altre fonti mettono anch'esse in gioco riserve terrestri finite, ma il loro sfruttamento, ai tassi prevedibili di possibilità pratica, sarebbe possibile per molte migliaia d'anni. È questo il caso della fonte energetica nucleare, sia da fissione che soprattutto da fusione. Infatti, mentre con lo sfruttamento secondo la tecnologia attuale la sorgente nucleare da fissione deve essere considerata una risorsa esauribile, l'implementazione della tecnologia dei reattori veloci autofertilizzanti potrebbe assicurare per almeno 2500 anni il fabbisogno d'energia del mondo ai consumi attuali. Per quanto riguarda poi la sorgente nucleare da fusione, peraltro ancora non disponibile per rilascio di energia in forma controllata, facendo riferimento alla fusione di nuclei di deuterio e trizio in nuclei di elio, la disponibilità dei combustibili (diretta per il deuterio, derivata dal litio per il trizio) assicurerebbe accessibilità di energia all'umanità per tempi maggiori di molti ordini di grandezza di quanto stimato per la fissione nucleare. Nella stessa categoria di fonti energetiche è stata inserita la geotermia, per la quale bisogna naturalmente tener conto dei limiti nelle possibilità di sfruttamento. Per le sue caratteristiche, la fonte geotermica è anche spesso assimilata ad una fonte rinnovabile, come avviene in numerosi documenti normativi del nostro Paese. Per contro, sono dette rinnovabili quelle fonti che si rigenerano, che sono cioè ripristinate nella stessa quantità in cui sono consumate, e sono perciò inesauribili, almeno in una scala temporale di dimensione umana (sappiamo che anche il sole è destinato a morire). Lo schema nella figura 1 illustra una suddivisione delle principali fonti energetiche primarie sfruttabili nel nostro pianeta, assieme al tipo di energia ad esse associato. Si vede come tutte le forme di energia rinnovabile elencate, con la sola esclusione dell'energia ricavabile dalle maree, dipendono in ultima analisi dal flusso di energia radiante

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solare. Ogni anno la potenza radiante solare che colpisce il nostro pianeta ammonta a 5,4 106 EJ/anno; di questa circa il 30% è riflessa verso lo spazio, mentre la rimanente parte di 3,8 106 EJ/anno è assorbita dalla Terra: quasi ottomila volte il consumo energetico attuale dell'umanità (circa 480 EJ/anno). Tabella 2 - Anidride carbonica sviluppata per unità di energia prodotta (potere calorifico inferiore) nella combustione di combustibili fossili. S V IL U P P O D I C O 2 N E L L A C O M B U S T IO N E D I C O M B U S T IB IL I F O S S IL I C o m b u stib ile (p rod otto tip ico) C O 2 svilu p p ata [k g/k W h t ]

C arbon e 0,36

P etrolio 0,27

G as N atu rale 0,20

Un concetto che di recente ha assunto grande rilevanza nello sfruttamento delle fonti primarie di energia è quello della sostenibilità. Idealmente una fonte sostenibile d'energia è quella che non viene sostanzialmente compromessa dal suo continuo uso, il cui sfruttamento non è accompagnato da emissioni inquinanti od altri problemi ambientali e non induce problemi alla salute degli esseri viventi. Nella sintesi del Primo Ministro Norvegese Bruntland (1983), una fonte energetica sostenibile è quella che permette di soddisfare i fabbisogni del presente senza compromettere l'identica possibilità per le generazioni future. Poche delle fonti primarie d'energia si avvicinano a questo ideale. Non è certamente il caso delle fonti di combustibili fossili, che nel loro sfruttamento emettono inquinanti di vario tipo, e costituiscono di gran lunga la causa principale dell'effetto serra antropico, a causa dell'emissione in atmosfera dell'anidride carbonica CO2 (vedi Tabella 2 - i dati riportati sono medi per prodotti tipici, e fanno riferimento al valore del potere calorifico inferiore del combustibile). Ben noti sono anche i problemi posti dallo sfruttamento della fonte nucleare da fissione: sicurezza e smaltimento/deposito delle scorie, dismissione dell'impianto accanto ai costi e alla possibilità di indurre proliferazione degli armamenti atomici. Tabella 3 - Produzione annua e riserve provate primarie fossili nel 2005.

FONTI PRIMARIE FOSSILI – MONDO 2005 Fonte Petrolio Gas Naturale Carbone

Produzione [Mtep/anno] 3836,8 2474,7 2929,8

Riserve provate [Mtep] 156000 161000 454000

Rapporto Riserve / Prod. [anni] 40,6 65,1 155

Per quanto riguarda le fonti fossili esauribili, la Tabella 3 fornisce la situazione globale del 2005 per quanto riguarda la produzione annua e l'entità delle riserve provate; si usano le dizioni Petrolio, Gas Naturale e Carbone come equivalenti per combustibili liquidi, gassosi e solidi. Come Riserve provate si intendono quelle quantità che con ragionevole certezza le informazioni geologiche e tecniche indicano come recuperabili nel futuro nelle condizioni economiche ed operative esistenti. L'ultima colonna della Tabella 3 indica il rapporto tra l'entità della riserva provata a fine 2005 e la produzione dell'anno; è l'ipotetico tempo di esaurimento della risorsa considerata a produzione costante ed escludendo ulteriori rinvenimenti. È evidentemente

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solo un parametro da riguardare come indicativo della disponibilità residua della fonte. Si vede come i combustibili solidi costituiscano la risorsa fossile con maggiore disponibilità, ma purtroppo è anche quella che induce il più severo impatto da effetto serra antropico (cfr. la Tabella 2), almeno se mai troveranno applicazione pratica sistemi di sequestro (immagazzinaggio non nell'atmosfera terrestre) dell'anidride carbonica, in fase di ricerca almeno per i grandi impianti termoelettrici. 2. FABBISOGNO DI ENERGIA Le statistiche che forniscono il consumo energetico delle diverse aree geografiche del mondo non comprendono l'energia collegata agli alimenti degli esseri viventi coinvolti. Per contro comprendono anche quei prodotti energetici che vengono utilizzati per scopi non propriamente energetici, come ad esempio i prodotti petroliferi utilizzati per la fabbricazione di materie plastiche oppure fertilizzanti. Inoltre l'energia elettrica cosiddetta primaria (ottenuta dalle sorgenti idroelettrica, geotermoelettrica, nucleotermoelettrica, solare fotovoltaica, eolica …) non è conteggiata direttamente col proprio valore energetico (860 kcal/kWhe), ma piuttosto in termini di potere calorifico del corrispondente combustibile evitato nelle centrali termoelettriche tradizionali; la valorizzazione convenzionale attuale è 2200 kcal/kWhe, corrispondente ad un rendimento medio di conversione pari a 0,391. A questa situazione si conformano i dati riportati nel seguito, quando non altrimenti indicato. Si deve pure rimarcare che, anche per i dati riportati in questa stessa relazione, non sempre esiste perfetta coerenza, stante le differenti fonti informative utilizzate. Per questo tipo di statistiche, è ancora assai comune esprimere l'energia nell'unità empirica Mtep (megatep, cioè 106 tep), multipla dell'unità tep (tonnellata equivalente di petrolio). Risulta per definizione 1 tep = 107 kcal = 4,1868 1010 J; 1 Mtep = 1013 kcal = 116,3 108 kWh = 4,1868 10-2 EJ). Nel 2005 (ultimo anno per cui si possono reperire statistiche ufficiali o comunque dati sufficientemente attendibili - quando non espressamente indicato i dati annuali riportati nel seguito si riferiranno appunto al 2005), il fabbisogno globale di energia nel mondo è ammontato a circa 11500 Mtep/anno; il diagramma a torta della Figura 1 indica come questo fabbisogno è stato coperto dalle diverse fonti primarie.

Figura 1 - Partecipazione delle diverse fonti energetiche primarie al fabbisogno mondiale di energia nel 2005.

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Figura 2 - Partecipazione delle diverse fonti alla totale produzione di energia rinnovabile (biomasse incluse) nel Mondo, 2005.

Si vede come la fonte fossile (petrolio, carbone e gas naturale) copra circa l'85% dei fabbisogni, la quota rimanente essendo soddisfatta in parti circa uguali dal nucleare e dalle rinnovabili (sostanzialmente costituite dall'idroelettrico e dalle biomasse, come mostra il diagramma di Figura 2, che fornisce la percentuale di concorso delle diverse fonti rinnovabili alla totale produzione mondiale 2005 di energia rinnovabile, geotermia inclusa). Se si considerano l'atteso aumento della popolazione mondiale (da 6 miliardi di persone ad inizio secolo a circa 9 miliardi nel 2050), lo sviluppo economico e la necessità di aumentare il tenore di vita della parte più povera della popolazione mondiale, ben si comprende la previsione di un forte incremento della richiesta mondiale d'energia nel futuro prossimo. Secondo alcuni scenari [1], la domanda di energia raddoppierà da qui al 2050. Secondo una fonte autorevole [2], nel periodo 2003-2030 la richiesta d'energia a livello mondiale è destinata a crescere al ritmo medio del 2% per anno (0,7% per anno in Europa, 1,3% per anno in NordAmerica, 3,7% per anno in Asia, 2,8% per anno in America Centrale e Meridionale). In questo scenario, la percepita scarsità delle risorse petrolio e gas naturale con conseguente incremento di costo, spingerà certamente ad un aumento nell'utilizzo del carbone, la risorsa fossile più abbondante, soprattutto nelle aree geografiche con elevata disponibilità di questa fonte ed in rapida espansione economica (Cina, India, Indonesia, Sud Africa); il carbone è già attualmente la sorgente primaria maggiormente sfruttata a livello mondiale per la produzione termoelettrica. Il futuro per l'ambiente non si presenta quindi con incoraggianti prospettive. Quanto all'Italia, il consumo interno lordo di energia 2005 è stato di 197,8 Mtep/anno, distribuito tra le varie fonti primarie come illustrato nel diagramma a torta [3] della Figura 3, che fornisce anche l'evoluzione temporale del consumo energetico nazionale nel periodo 1963-2005. La dipendenza dalle fonti fossili è del 87,7%, con accentuata prevalenza delle più nobili (Gas Naturale e Petrolio). Manca naturalmente qualsiasi apporto primario dalla fonte nucleare, ma il nostro bilancio energetico dipende

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Figura 3 - Evoluzione del consumo energetico in Italia, e distribuzione per fonte nel 2005.

per il 5,5% da importazioni nette di energia elettrica, ottenuta pressoché totalmente dalla Francia, ove la produzione elettrica è per quasi l'80% di origine nucleare. L'apporto totale delle fonti rinnovabili (geotermia inclusa) ammonta al 6,8% del totale, non di molto superiore all'importazione netta di energia elettrica; le differenti fonti partecipano secondo quanto indicato nel diagramma a torta di Figura 4.

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Figura 4 - Partecipazione delle diverse fonti alla totale produzione di energia rinnovabile (biomasse incluse) in Italia, 2005.

Un elemento di debolezza strutturale del sistema energetico italiano è senz'altro dovuto alla forte dipendenza dalle fonti fossili; la media nell'Europa dei 25 è di poco inferiore all'80%, e quindi non di molto inferiore al valore per l'Italia. Ma il nostro Paese si trova ai primi posti per quanto riguarda la dipendenza dalle importazioni d'energia: 85% per l'Italia, contro poco più del 50% per l'EU-27. Quanto alle emissioni in atmosfera di gas serra, l'impegno dell'Italia nei confronti del Protocollo di Kyoto richiede una riduzione del 6,5% nel 2012 rispetto ai livelli di riferimento del 1990. Invece che una riduzione, la situazione attuale riscontra per l'Italia un incremento nelle emissioni di gas serra di circa il 13% rispetto ai livelli del 1990, che ha interessato soprattutto i settori dei trasporti (+27%) e la produzione di energia termoelettrica (+17%). Sarebbe quindi richiesta una riduzione nelle emissioni dell'ordine del 20% nei prossimi 5 anni, ottenibile con un'equivalente riduzione nel consumo di combustibili fossili. Anche l'Europa (EU-15) nel suo complesso non è in linea con l'impegno assunto di una riduzione dell'8% entro il 2012: alla fine del 2004 l'entità globale delle emissioni di gas serra ammontava al 99,1% del valore di riferimento 1990. Il recente documento strategico EU Una politica energetica per l'Europa [4] presenta un pacchetto di interventi sull'energia, per la sostenibilità e la lotta ai cambiamenti climatici quali presupposti per la competitività e la sicurezza. Contiene la proposta di abbattere l'emissione di gas serra di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020, puntando sull'incremento dell'efficienza energetica, l'adozione di tecnologie di cattura e stoccaggio di CO2 per le centrali elettriche a carbone, ed il ricorso a fonti rinnovabili. Il rinnovato impegno dell'Unione Europea verso un deciso incremento nel ricorso alle fonti energetiche rinnovabili per i propri consumi trova concretezza nel recente documento della Commissione: Tabella di marcia per le energie rinnovabili - Le energie rinnovabili nel 21° secolo: costruire un futuro più sostenibile [5].

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3. PROSPETTIVE DI SVILUPPO DELLE FONTI RINNOVABILI Nel 1997 l'Unione Europea si era posta l'obiettivo di raddoppiare, entro il 2010, l'apporto delle fonti rinnovabili ai propri consumi interni d'energia, passare cioè da 74,3 Mtep/anno nel 1995 a 150 Mtep/anno nel 2010 (12% del totale). Nel 2005 l'apporto delle energie rinnovabili per l'EU-15 è stato di 114,8 Mtep/anno, con un incremento del 55% rispetto al 1995. Nonostante i notevoli progressi compiuti, le proiezioni attuali indicano che nel 2010 l'apporto delle fonti rinnovabili al consumo interno europeo ben difficilmente supererà il 10%, mancando quindi l'obiettivo iniziale. La ragione più evidente di questo insuccesso è da ricercare nel fatto che nella gran maggioranza delle situazioni, allo stato attuale di sviluppo le fonti energetiche rinnovabili non costituiscono l'opzione a breve termine meno costosa in assenza di incentivi economici o comunque di norme legislative premianti Peraltro, contrariamente a quanto accaduto per le fonti tradizionali (fossili) d'energia, le fonti rinnovabili negli ultimi vent'anni registrano cali consistenti e costanti nei costi: ad esempio il costo dell'energia elettrica da fonte eolica è calato di circa il 50% negli ultimi 15 anni (con le dimensioni massime dei generatori cresciute di 10 volte), mentre il costo dei sistemi fotovoltaici solari è calato del 60% rispetto al 1990. Nonostante ciò il ricorso alle energie rinnovabili è mediamente ancora più costoso del ricorso alle tecnologie convenzionali, come mostra la Tabella 4, anch'essa elaborata in sede europea [5]. La Tabella presenta, per applicazioni nell'ambito europeo, il campo di variabilità dei costi netti delle differenti fonti energetiche (l'imposizione fiscale può alterare completamente il quadro), senza considerare i costi esterni (causati cioè dagli impatti negativi esterni conseguenti l'utilizzo di una fonte energetica; ad esempio, l'emissione di SO2 da parte di un impianto termoelettrico che impiega carbone, e che causa danni quantificabili agli edifici nell'area). Da notare che il costo delle energie rinnovabili varia molto in funzione delle risorse locali e delle tecnologie considerate. Inoltre il conteggiare gli oneri esterni certamente migliorerebbe il confronto dei costi a vantaggio delle sorgenti rinnovabili. Tabella 4 - Costi netti nella produzione di elettricità, calore e carburanti. FONTE

COSTI NETTI

Settore Produzione Elettrica Convenzionale Idroelettrico Generatori Eolici Off-shore Generatori Eolici On-shore Centrali a Biomassa, Biogas, RSU Solare FV (in rete) Centrali a marea

3,6 – 5 c€/kWh 2,9 – 14 c€/kWh 4,9 – 12,5 c€/kWh 3,6 – 8,5 c€/kWh 0,9 - 19,5 c€/kWh Min. 34, medio 65 c€/kWh 5,5 – 13 c€/kWh

Riscaldamento Convenzionale Utilizzo Biomasse Geotermia Collettori Solari Termici

1,5 - 2,7 c€/kWht 4,3 – 10,9 c€/kWht 3,3 – 12,2 c€/kWht 5,8 – 19,7 c€/kWht

Trasporti Convenzionale Biocombustibili 1° generaz. Biocombustibili 2° generaz

3,6 – 4,6 c€/kWh 4,9 – 6 c€/kWh 7,6 – 9,1 c€/kWh

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In questa situazione un maggior ricorso alle fonti rinnovabili d'energia può solo essere indotto da provvedimenti incentivanti e assetti legislativi premianti, in maniera da innescare un processo virtuoso che possa rendere queste tecnologie maggiormente competitive anche a livello di costo attraverso la produzione di massa, più investimenti nella ricerca applicata con conseguente miglioramento delle prestazioni. L'evoluzione del costo dell'energia primaria tradizionale è un ulteriore elemento importante a questo riguardo. L'Europa sembra ora intenzionata ad imboccare questa strada con decisione. La Commissione Europea infatti, come illustrato nel già citato documento [5], dopo attenta considerazione di fattibilità e potenzialità sia tecnica che economica, è giunta alla conclusione che una quota del 20% di energie rinnovabili nel mix energetico della UE è un obbiettivo possibile e necessario nel medio periodo. La Commissione propone pertanto che l'UE fissi un obiettivo obbligatorio (giuridicamente vincolante) di una quota del 20% di energie rinnovabili sul consumo energetico totale nel 2020, di conseguenza proponendo anche un nuovo quadro legislativo in materia di promozione e di utilizzo delle energie rinnovabili. Le proposte di queste misure legislative, assieme alle disposizioni destinate a favorire la maggior diffusione delle fonti energetiche rinnovabili nei settori della produzione di energia elettrica, uso finale termico e uso finale nei trasporti, ivi compresi i necessari meccanismi di controllo, dovrebbero essere presentate entro il 2007. Il raggiungimento di questo obiettivo permetterà di ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera di circa 700 Mt/anno, riducendo nel contempo la domanda di combustibili fossili di più di 250 Mtep/anno, di cui circa 200 Mtep/anno di importazione. Negli intendimenti della Commissione Europea, le fonti energetiche rinnovabili nell'UE-27 da qui al 2020 dovrebbero avere le seguenti potenzialità di sviluppo: Settore Produzione Energia Elettrica: la produzione di elettricità a partire da fonti energetiche rinnovabili dovrebbe aumentare dall'attuale 15% a circa il 34% dei consumi totali elettrici nel 2020. La fonte eolica potrebbe contribuire con una quota del 12% all'elettricità dell'UE nel 2020 (un terzo da impianti off-shore). La credibilità di questo obiettivo è giustificata pensando all'esempio della Danimarca, dove il 18% del consumo di elettricità è attualmente coperto dall'energia eolica; in Spagna ed in Germania le percentuali sono rispettivamente dell'8% e del 6%. Un altro settore che può crescere notevolmente è quello della biomassa, grazie all'utilizzo nelle centrali elettriche di legno, colture energetiche e rifiuti. Per quanto riguarda il fotovoltaico, l'energia solare termica e l'energia da maree, la loro crescita potrà ricevere un'accelerazione con il diminuire dei costi; è previsto che il costo del fotovoltaico diminuisca del 50% entro il 2020. Settore del Riscaldamento e Raffreddamento: entro il 2020 il contributo delle energie rinnovabili in questo settore dovrebbe più che raddoppiare rispetto alla quota attuale del 9%. Il contributo maggiore alla crescita potrebbe provenire dalla biomassa e richiedere sistemi domestici più efficienti e impianti di cogenerazione a biomassa ad alta efficienza. Il restante contributo alla crescita potrebbe essere dato dagli impianti geotermici e solari. La Svezia, ad esempio, ha installato più di 185.000 pompe di calore geotermiche, la metà di tutta l'Europa; se il tasso di installazione fosse lo stesso nel resto dell'Unione, in Europa le fonti geotermiche fornirebbero 15 Mtep/anno aggiuntivi. Allo

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stesso modo, se tutta l'UE raggiungesse i livelli della Germania e dell'Austria per quanto concerne gli impianti solari termici, il guadagno d'energia ammonterebbe a 12 Mtep/anno. La Commissione conclude che gli obiettivi in questo settore potrebbero essere in gran parte raggiunti semplicemente generalizzando le migliori pratiche attuali. Settore dei Trasporti: nel 2020 il contributo dei biocarburanti potrebbe ammontare a 43 Mtep/anno, corrispondente al 14% del totale mercato europeo dei carburanti per il trasporto. La crescita sarebbe garantita sia dal bioetanolo (attualmente 4% del mercato della benzina in Svezia; in Brasile, leader mondiale, il bioetanolo rappresenta attualmente più del 20% del mercato delle benzine), ed il biodiesel (che rappresenta già il 6% del mercato del diesel in Germania, leader mondiale). I cereali provenienti da produzione interna e la canna da zucchero tropicale sarebbero le principali materie prime utilizzate per la produzione di etanolo, alle quali si aggiungerebbe successivamente l'etanolo cellulosico prodotto a partire da paglia e rifiuti. L'olio di colza, di produzione interna e di importazione, resterebbe la principale materia prima utilizzata per la produzione di biodiesel, integrata da ridotte quantità di soia e di olio di palma e, successivamente, dai biocarburanti della seconda generazione, ossia il diesel Fischer-Tropsch, prodotto soprattutto a partire da legno coltivato. Infine la Tabella 5 riporta, per i tre principali settori di impiego finale delle fonti primarie rinnovabili (Produzione Elettrica, Produzione Termica e Trasporti), le potenze (o altre quantità) nominali installate alla fine del 2005 (quantità prodotta nel 2005 per i biocombustibili), assieme ai tassi di crescita. Per permettere un confronto. i dati sono riportati globalmente per l'intero mondo, per L'Europa (EU-25) e per l'Italia.

? 13 GWth 19 106 m2 2,6 GWth 2,5 109 L/yr 1,8 109 L/yr

220 GWth 88 GWth 125 106 m2 28 GWth

33 109 L/yr 3,9 109 L/yr

Utilizzo Biomasse Collettori Solari Termici con copertura/e Riscaldam. Geotermico

Produzione Etanolo Produzione Biodiesel 8% 85%

----14% 9%

15% -----

2005

ǻ04-05

ǻ%

9,3 %

60%

3,0 % 18,1%

--0,09 109 L/yr

Settore Produzione Carburanti per Trasporti 0,9 109 L/yr 0,4 109 L/yr 70,8% --3,6 109 L/yr 1,4 109 L/yr 64,7% 0,45 109 L/yr

12,4% 12,4% 13,5%

0,0003 GW

0,0065 GW

0,041 GW 0,51 GW

ǻ04-05

0,050 GWth 0,072 106 m2 0

1,33 GWth 1,91 106 m2 0,89 GWth

0,012 GW

0,025 GW

2,41 GW 1,64 GW

2005

IN ITALIA

0,37 GWth 0,53 106 m2 0,61 GWth

12,1 GWth 17,3 106 m2 7,49 GWth

Settore Produzione Energia Termica

0,0085 GW

0,64 GW

1,69 GW

0,100 GW

0,34 GW 6,2 GW

11,6 GW 40,5 GW

Settore Produzione Energia Elettrica

LEGENDA 2005: potenza nominale installata o quantità presente alla fine del 2005. Per i biocombustibili: produzione nel 2005. ǻ04-05: incremento della potenza o quantità o produzione nel 2005 rispetto al 2004. ǻ%: incremento percentuale nel 2005 rispetto al 2004.

Solare FV (in isola) Solare Termodinamico Centrali a marea

---

1,5-2% 8% 24% --3% 55%

ǻ%

IN EUROPA

--23,8%

15,7% 15,7% --

2,5%

34,8%

1,7 % 44,8%

ǻ%

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Solare FV (in rete)

12-14 GW 5 GW 11,5 GW 2-3 GW 0,3 GW 1,1 GW 200.000 case 0,3 GW ~0 ~0

ǻ04-05

750 GW 66 GW 59 GW 44 GW 9,3 GW 3,1 GW 650.000 case 2,3 GW 0,4 GW 0,3 GW

2005

NEL MONDO

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Grande Idroelettrico Piccolo Idroel. (<10MW) Generatori Eolici Centrali a Biomassa Centrali Geotermiche

ENERGIE RINNOVABILI

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Tabella 5 - Utilizzo attuale delle fonti energetiche rinnovabili per settore [6], [7].

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BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3] [4]

[5]

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ENEA - Rapporto Energia e Ambiente 2006, Analisi e Scenari. Aprile 2007. International Energy Outlook 2006. Ministero dello Sviluppo Economico, DG dell'Energia e delle Risorse Minerarie. Bilancio Energetico Nazionale 2005 (Definitivo 22 dicembre 2006). Commissione delle Comunità Europee - Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo ed al Parlamento Europeo: Una politica Energetica per l'Europa, Bruxelles, 10.1.2007. COM(2007) 1 definitivo. Commissione delle Comunità Europee - Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo ed al Parlamento Europeo: Tabella di marcia per le energie rinnovabili - Le energie rinnovabili nel 21° secolo: costruire un futuro più sostenibile, Bruxelles 10.1.2007. COM(2006) 848 definitivo. RENEWABLES - Global Status Report, 2006 Update. REN21. 6th Report - State of Renewable Energies in Europe, 2006. EurObserv'ER.

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Tecnologia e applicazioni del solare termico RENATO LAZZARIN Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali dell'Università di Padova, Vicenza

RIASSUNTO Ogni applicazione del solare termico deve tener conto della radiazione disponibile che viene stimata a partire da dati storici raccolti nelle diverse località. L’elemento tipico del solare termico è il collettore solare piano, la cui semplice struttura si è nel tempo perfezionata con il ricorso a superfici selettive o a tubi sottovuoto con l’intento di migliorarne l’efficienza. Il collettore solare piano opera per lo più con liquido ma sono stati realizzati soprattutto negli USA collettori solari ad aria. È possibile anche il ricorso a sistemi di captazione a concentrazione. Nel solare termico questi sistemi sono prevalentemente di tipo fisso, in particolare con elementi riflettenti a parabola composta (CPC) o piani. Elementi importanti dell’impianto solare sono l’accumulo dal cui dimensionamento e geometria corrette possono dipendere fortemente le prestazioni complessive di impianto ed il sistema di regolazione, che decide, con conseguenze altrettanto importanti, la gestione dell’impianto stesso. Gli impianti del solare termico possono essere a circolazione forzata o naturale. Le applicazioni tipiche sono i riscaldamenti a bassa temperatura, quali quelli dell’acqua sanitaria o di processo, dell’acqua di piscine ed infine di acqua od aria al servizio di un impianto di riscaldamento. Risulta possibile altresì il ricorso del solare termico anche nella produzione del freddo con sistemi molto diversi fra di loro, ma con prevalente ricorso a macchine frigorifere ad assorbimento. Un elemento fondamentale nel dimensionamento e nella valutazione economica dell’impianto è la previsione attendibile dell’energia che l’impianto può mettere a disposizione su base mensile. In molti casi tale previsione può essere ottenuta con un procedimento relativamente semplice e ormai molto conosciuto e sperimentato: la carta-f. 1. L’ENERGIA SOLARE DISPONIBILE Il primo aspetto da considerare nel solare termico è quello della disponibilità di energia. È noto che l’entità dell’energia solare che ogni giorno arriva sulla Terra è enorme (si può fare riferimento ad una potenza di 1,75x1017 W) ma quello che interessa

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è l’energia o la potenza specifica cioè per unità di superficie captante. Il suo valore si può stimare facilmente al di fuori dell’atmosfera: è in media attorno a 1353 W/m2 su di una superficie normale ai raggi del sole e tale valore caratteristico prende il nome di costante solare. La potenza ricevuta per irraggiamento varia al di fuori dell'atmosfera a seconda della giacitura della superficie: infatti vale la legge geometrica del coseno, dal momento che la potenza sopra indicata vale per unità di area proiettata sul piano normale ai raggi. La situazione cambia radicalmente quando arriva al livello del suolo: il primo motivo è l’assorbimento atmosferico. La radiazione si divide in una componente diretta che conserva il comportamento geometrico del raggio solare ed in una componente diffusa, derivante dall’interazione della radiazione con l’atmosfera. Questa componente non ha una disposizione geometrica definita ma si può dire che provenga da tutte le direzioni (e infatti non produce ombra). Un secondo motivo altrettanto e forse più importante è legato alla meteorologia e quindi alla variabilità delle condizioni atmosferiche. L’assorbimento atmoferico pesa in funzione del tipo di atmosfera attraversata e del cammino percorso (e quindi della posizione del sole nel cielo): con il sole vicino allo zenith ed con atmosfera trasparente si ha una potenza su superficie normale dell’ordine di 1 kW/ m2. Questo valore diminuisce sempre su superficie normale ai raggi quando la massa di aria attraversata aumenta, con valori fortemente dipendenti dalla turbidità atmosferica. Per quanto riguarda invece il comportamento legato agli eventi meteorologici, si effettuano delle previsioni, ricorrendo ai dati raccolti nel passato. Non si può affermare con sicurezza quanta energia sarà disponibile nel prossimo mese, ma si può avere un grado di fiducia sufficiente per molte applicazioni sull’entità dell’energia che in media risulterà disponibile in un certo mese e in una certa località. Per questo motivo risultano di grande utilità i dati storici di radiazione rilevati finalmente in modo sistematico in molte località del territorio nazionale. In una certa località la radiazione media che una superficie può captare non dipende solo dal periodo dell’anno e dalle condizioni meteorologiche incontrate, ma dalla giacitura della superficie. Quest’ultima caratteristica condiziona notevolmente sia l’energia captata su base annuale che ancor più quella disponibile su base temporale più breve (ad esempio un mese). Il dato storico normalmente disponibile per la radiazione è il valore giornaliero medio mensile su di una superficie orizzontale. Di qui si deve passare al valore su superficie inclinata e lo si può fare con algoritmi che tengono conto non solo della geometria che intercorre fra raggio solare e superficie, ma anche della diversa possibile distribuzione della radiazione nelle sue componenti diretta e diffusa e che di solito si deve stimare a partire dall’indice di serenità (rapporto fra radiazione globale rilevata al suolo e il valore al di fuori dell’atmosfera su superficie orizzontale). Quasi sempre nel solare termico la superficie captante resta fissa nella sua posizione ed è quindi importante identificare quale sia la giacitura preferibile. Essa dipende per lo più dalla latitudine ed orientativamente si può fare riferimento agli andamenti illustrati in fig. 1. Essi riportano il valore giornaliero per giacitura orizzontale, verticale, inclinata di 30° e di 60° per una superficie rivolta verso l’equatore e posizionata ad una latitudine di 40° in funzione del periodo dell’anno. Si vede come una superficie orizzontale presenti un valore massimo in corrispondenza al solstizio estivo, mentre la superficie verticale dia i valori più alti nel periodo invernale con valori assai bassi invece durante l’estate. I risultati migliori fra quelli riportati sono relativi ad una superficie inclinata come la latitudine-10°, mentre si ottengono valori buoni e migliori

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della superficie verticale durante l’inverno per un’inclinazione pari alla latitudine + 20°. Una domanda che viene posta spesso è quanto ci si perda a non seguire il percorso del sole se non su base giornaliera, almeno su base stagionale. La questione forse meno importante per il solare termico per il quale i costi e i pesi probabilmente non giustificano la realizzazione di un sistema di inseguimento, può essere di grande interesse per il fotovoltaico. Una prima risposta può essere fornita dal grafico di fig. 2 che illustra l’entità della radiazione giornaliera disponibile nei 6 mesi dell’anno attorno all’equinozio di fine estate alle latitudini di 30° e 45°. Il riferimento è alla radiazione orientativamente captata da una superficie ad inseguimento continuo del sole e che viene confrontata con una giacitura fissa orizzontale, inclinata quanto la latitudine e infine quanto la latitudine +15° e verticale.

Fig. 1 - Variazione della radiazione giornaliera incidente su di una superficie rivolta verso l'equatore per diverse giaciture in funzione del periodo dell'anno (latitudine 40°)

Fig. 2 - Radiazione specifica giornaliera nel corso di metà anno centrato sull'equinozio di fine estate alle due latitudini di 30° e di 45° per superficie ad inseguimento continuo del sole (curve superiori) e per giacitura orizzontale, pari alla latitudine, alla latitudine + 15° e verticale.

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La penalizzazione per aver mantenuto la giacitura fissa è dell’ordine del 50% nei mesi estivi mentre si riduce notevolmente nei mesi invernali. Un discorso diverso vale sia per inclinazione pari alla latitudine + 15° che ancor più per giacitura verticale. Qui la penalizzazione nei mesi estivi dimezza o addirittura riduce fino a 4-5 volte l’entità della radiazione captata. Questo deve far riflettere i progettisti dei sistemi integrati in facciata di edificio che possono risultare gravemente inefficienti proprio per la loro giacitura verticale. Un sistema ad inseguimento continuo presenta valori di radiazione incidente nel corso della giornata sempre superiori a quelli di un collettore fisso che può raggiungere al più il max valore al mezzogiorno solare nel corso di un equinozio per inclinazione pari alla latitudine (fig. 3). La figura evidenzia come oltre che un valore superiore di energia giornaliera captata, il sistema ad inseguimento, fornisca valori sistematicamente superiori che risultano assai vantaggiosi quando il sistema per funzionare richiede una soglia di radiazione da superare.

Fig. 3 - Flusso solare (kW/m2) nel corso di una giornata nel corso di un equinozio per un collettore fisso inclinato quanto la latitudine per per un collettore ad inseguimento continuo. Sono riportati anche i valori energetici medi per le due situazioni, mediati sulle 24 h.

Il sistema ad inseguimento continuo richiede il movimento della superficie almeno su due assi, vale ad dire un inseguimento del sole lungo il suo percorso apparente da Est ad Ovest ed un adattamento nella giacitura Nord-Sud per compensare la diversa altezza solare e mantenere in questo modo la superficie normale ai raggi del sole. Questa movimentazione risulta tecnicamente complessa e costosa. Ci si può chiedere se non possa risultare sufficiente un solo movimento, eventualmente realizzato su base stagionale. I movimenti che si possono considerare sono quelli da Est a Ovest per un collettore con il suo asse Nord-Sud orizzontale (fig. 4), ovvero da Nord a Sud per un collettore con suo asse Est-Ovest orizzontale (fig. 5) ma anche da Est a Ovest per un collettore con il suo asse Nord-Sud parallelo all’asse terrestre – fig. 6 (inclinato quanto la latitudine).

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Fatte queste posizioni può risultare utile la tabella riassuntiva dei valori di radiazione annua disponibile nelle diverse situazioni (Tabella I). Ancora più utile risulta la Tabella II che riporta il valore giornaliero tipico di radiazione nel corso dell’equinozio e dei solstizi per diverse geometrie di disposizione e movimento delle superfici di captazione. Di fatto la stragrande maggioranza delle applicazioni del solare termico è comunque ad orientazione fissa.

Fig. 4 - Geometria di un collettore con il suo asse di rotazione Nord-Sud orizzontale con movimento giornaliero Est-Ovest

Fig. 5 - Geometria di un collettore con il suo asse di rotazione Est-Ovest orizzontale con movimento giornaliero Nord-Sud

Fig. 6 - Geometria di un collettore con il suo asse di rotazione coincidente con l'asse terrestre e movimento giornaliero Est-Ovest

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Tabella I - Radiazione annua disponbile per diverse configurazioni della superficie captante (latitudine 45°) &RQILJXUD]LRQH ,QVHJXLPHQWRFRQWLQXR 'LVSRVL]LRQHRUL]]RQWDOH ,QFOLQD]LRQHGLƒ $VVHSRODUHFRQLQVHJXLPHQWR(VW2YHVW $VVH(VW±2YHVWRUL]]RQWDOHFRQ LQVHJXLPHQWR1RUG6XG $VVH1RUG6XGRUL]]RQWDOHFRQ LQVHJXLPHQWR(VW2YHVW

5DGLD]LRQH LQFLGHQWHDQQXD N:KPDQQR       

Tabella II - Radiazione giornaliera disponibile per diverse configurazioni della superficie captante nei tre periodi dei solstizi estivo ed invernale e dell'equinozio sia in valore assoluto che relativo al massimo ottenibile da un sistema ad inseguimento continuo del sole (QHUJLDUDFFROWD N:KP ULVSHWWRDGLQVHJXLPHQWR JLRUQR FRQWLQXR (VWDWH (TXLQ ,QYHU (VWDWH (TXLQ ,QYHU ,QVHJXLPHQWRFRQWLQXR       'LVSRVL]LRQHRUL]]RQWDOH       ,QFOLQD]LRQHGLƒ       ,QFOLQD]LRQHSDULDOODODWLWXGLQH       9HUWLFDOH       $VVHSRODUHFRQLQVHJXLPHQWR(VW2YHVW       $VVH(VW±2YHVWRUL]]RQWDOHFRQLQVHJXLPHQWR1RUG6XG       $VVH1RUG6XGRUL]]RQWDOHFRQLQVHJXLPHQWR(VW2YHVW       &RQILJXUD]LRQH

2. IL COLLETTORE SOLARE PIANO: COLLETTORI SOLARI A LIQUIDO; COLLETTORI SOLARI AD ARIA Il collettore solare piano nella sua configurazione più semplice è costituito: 1. da una piastra canalizzata solitamente metallica; 2. da uno strato di materiale isolante; 3. da una o più coperture trasparenti. La piastra ha la funzione di raccogliere la radiazione solare e di cedere l’energia ad un fluido termovettore, generalmente un’opportuna miscela di acqua e antigelo o aria. Salvo il caso che entro la piastra il fluido vada ad interessare l’intera superficie (lama fluida) come avviene spesso nei collettori ad aria, è importante avere un’ottima conducibilità termica che consenta il passaggio dalla piastra ai canali dell’energia raccolta anche con un salto di temperatura limitato. La piastra è solitamente costituita da un metallo ad elevata conduttività termica (rame o alluminio) anche se talvolta viene realizzata in acciaio usando adeguati spessori. Lo strato di materiale isolante limita le dispersioni nelle parti posteriore e laterale del collettore: la piastra si trova all’interno di un

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contenitore che ospita sia gli schermi trasparenti che l’isolante e protegge il collettore solare dagli agenti atmosferici. Per garantire una lunga resistenza del contenitore, esso viene realizzato spesso in acciaio inox o in alluminio. La fig. 7 evidenzia un semplice schema di un collettore solare piano. Si nota lo schermo trasparente nella parte superiore. Esso è per lo più realizzato in vetro, per la caratteristica nota del vetro di risultare molto trasparente alla radiazione solare, ma poco o nulla trasparente alla radiazione termica che si sviluppa dalla piastra calda.

Fig. 7 - Schema elementare di un collettore solare piano

Il rendimento di un collettore solare, cioè la frazione della radiazione solare incidente che viene fornita all’impianto come energia termica utile, risulta tanto migliore quanto maggiore è la trasparenza alla radiazione solare degli schermi trasparenti e la capacità di assorbimento della piastra. Si possono ottenere ottimi risultati su questo versante, utilizzando vetro a basso contenuto di Fe e con un rivestimento in nero fumo della piastra. Non bisogna dimenticare comunque che anche un vetro ad alta trasparenza risente fortemente dell’angolo di incidenza della radiazione, come illustrato dalla fig. 8 che mostra l’andamento tipico del prodotto trasmissività-assorbimento in funzione dell’angolo di incidenza rispetto al valore ad incidenza normale.

Fig. 8 - Andamento tipico del prodotto trasmissivitàassorbimento in funzione dell'angolo di incidenza della radiazione rispetto al valore ad incidenza normale

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L’altro elemento determinante dell’efficienza di un collettore solare è l’entità delle dispersioni. Queste interessano in quota ridotta il fondo e i lati del collettore, una volta che questi siano debitamente isolati, e riguardano soprattutto gli scambi termici convettivi e radiativi fra piastra del collettore e schermo trasparente di copertura. La piastra calda riscalda l’aria a contatto di questa e induce un moto convettivo che trasporta energia termica dalla piastra allo schermo trasparente: è per questo motivo che non risulta di utilità separare con un’ampia intercapedine d’aria la piastra dal vetro. Questo al contrario potrebbe agevolare i moti convettivi che risultano più ridotti con una spaziatura di un paio di cm che consentono di enfatizzare la resistenza viscosa opposta al movimento dell’aria da piastra e vetro. L’altra grande causa di dispersioni è dovuta alla radiazione che dalla piastra raggiunge il vetro. La piastra generalmente presenta in corrispondenza ad un elevato coefficiente di assorbimento anche un’elevata emissività. La quota emessa per radiazione aumenta con la quarta potenza della temperatura assoluta della piastra e risulta di poco inferiore a quella del corpo nero alla stessa temperatura. È ben vero che il vetro non lascia passare direttamente tale radiazione la cui lunghezza d’onda è quasi tutta sopra i 4 µm, ma nelle realizzazioni normali tende ad assorbire piuttosto che non a riflettere indietro tale radiazione che quindi riscalda il vetro. Il vetro, riscaldato dagli effetti convettivi e radiativi, disperde verso l’ambiente una quota più o meno grande dell’energia raccolta (fig. 9). Un primo provvedimento per ridurre le dispersioni fu il ricorso a superfici selettive per la piastra captante. Si tratta di superfici, normalmente realizzate tramite rivestimenti superficiali di ossidi metallici, che presentano la proprietà di assorbire con efficacia la radiazione nello spettro del visibile, mentre risultano riflettenti (e quindi poco assorbenti e di conseguenza poco emittenti) nell’infrarosso termico (fig. 10). La radiazione riscalda la piastra ma l’emissione radiante che ne deriva è una piccola frazione (spesso meno del 10%) rispetto a quella del corpo nero alla stessa temperatura. Aziende specializzate producono tali superfici in lunghi rotoli che presentano sovente una colorazione bluastra. Va ricordato che un comportamento non dissimile si può ottenere trattando opportunamente il vetro in modo da renderlo riflettente nei confronti della radiazione termica.

Fig. 9 - Meccanismi di scambio termico nell'ambito di un collettore solare piano

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Fig. 10 - Comportamento ottico di una superficie selettiva al variare della lunghezza d'onda della radiazione incidente

La fig. 11 illustra le possibili dispersioni che si possono avere con diverse configurazioni del collettore, fissata una temperatura di 80°C per la piastra, per una temperatura dell’aria di 10°C e una velocità del vento di 2 m/s. Si vede che il passaggio a doppio vetro, ovvero a superficie selettiva per la piastra permette di dimezzare le dispersioni in tali condizioni. Ancora meglio si può fare con doppio vetro e superficie selettiva, ma si tratta di una configurazione generalmente non utilizzata per la riduzione di trasparenza dovuta al doppio vetro e per il maggiore peso (anche se il vetro interno può essere realizzato di spessore ben più ridotto). Si osservi che il valore di dispersione è una sorta di soglia di radiazione per quella temperatura operativa del collettore. In altri termini, qualora la radiazione non superi il valore indicato, il collettore non è in grado di raccogliere energia utile.

Fig. 11 - Dispersioni complessive, per radiazione e convezione (W/m2) per diverse configurazioni di collettore solare; temperatura della piastra 80°C, temperatura dell'aria esterna 10°C, velocità del vento 2 m/s

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È intuitivo rendersi conto che l’efficienza di un collettore solare va diminuendo al crescere della sua temperatura operativa e in maniera tanto più rapida quanto meno la sua configurazione ostacola le dispersioni. L’effetto di soglia prima descritto risulterà penalizzante sempre di più al diminuire dell’intensità della radiazione incidente. La fig. 12 riassume in parte questo comportamento, mostrando come si riduce il rendimento del collettore all’aumentare della temperatura del fluido all’ingresso per diverse configurazioni, ma per un’intensità di radiazione fissata in 750 W/m2.

Fig. 12 - Rendimento di diverse configurazioni di collettori solari in funzione della temperatura del fluido all'ingresso per un'intensità della radiazione solare di 750 W/m2

Le prestazioni complessive di un collettore solare possono essere descritte in forma sintetica dall’equazione di Bliss (che prende il nome dal ricercatore che negli anni ’50 propose l’analisi termica di un collettore solare piano):   ) 8 7  7 K ) 5 WD  5 F IL D 

,E

Assumendo per ascissa il parametro FRUc(Tfi-Ta)/Iβ ne deriva l’equazione di una retta che prende il nome di retta di efficienza del collettore. In tale espressione Tfi e Ta sono rispettivamente le temperature del fluido all’ingresso del collettore e la temperatura dell’aria esterna, Uc è il coefficiente di dispersione del collettore (W/m2K), Iβ è l’intensità della radiazione solare (W/m2). Infine FR, chiamato fattore di asporto termico del collettore, è un parametro minore di 1 che indica l’attitudine della piastra a scambiare calore con il fluido termovettore. Esso è tanto più vicino all’unità quanto migliore è il trasferimento di calore dalla superficie della piastra ai canali e dai canali al fluido. Lo studio sperimentale del rendimento del collettore fornisce con buona approssimazione un andamento rettilineo che descrive in modo significativo le prestazioni del collettore solare (fig. 13).

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Fig. 13 - Retta di efficienza di un collettore solare piano

La retta di efficienza si presta agevolmente ad un’interpretazione fisica in cui l’intercetta con l’asse delle ordinate fornisce la quota di energia assorbita, mentre ogni punto della retta valutato all’ascissa considerata ripartisce la radiazione solare incidente nelle tre quote riflessa, dispersa ed utile (fig. 14).

Fig. 14 - Interpretazione fisica della retta di efficienza di un collettore solare

Il confronto fra l’andamento di rette di efficienza tipiche delle diverse configurazioni di collettori suggerisce il campo operativo più adatto (fig. 15). Mentre a temperature non molto diverse dalla temperatura ambiente le prestazioni di un normale collettore non selettivo sono assai simili a quelle delle altre tipologie, al crescere della temperatura operativa appare netta la superiorità dei sistemi con piastra selettiva a uno o a due vetri. Questi continueranno a fornire discrete frazioni di energia utile anche quando la temperatura dell’aria esterna risulterà piuttosto bassa e per una radiazione solare incidente anche non particolarmente elevata.

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Fig. 15 - Confronto fra rette di efficienza attribuibili a diverse configurazioni del collettore solare

Quando le temperature operative superino gli 80-90°C anche le configurazioni più efficienti dei collettori considerati tendono a fornire rendimenti piuttosto scarsi. Per arrivare a prestazioni migliori risulta necessario ridurre oltre alla frazione di energia perduta per radiazione anche quella perduta per convezione. In un primo tempo si sono ideati sistemi che limitassero il movimento dell’aria fra piastra e vetro con attrito viscoso dovuto ad esempio ad una fitta maglia di celle di piccole dimensione (sistemi a nido d’ape) o a pelliccia, costituita questa da fibre di vetro. Alla fine si è constatato che il sistema più semplice ed efficace era l’eliminazione stessa dell’aria. Si è così realizzato il collettore sotto vuoto. L’effetto di pressione che ne risulta ha poi costretto a modificare radicalmente la geometria del collettore, passando a quella tubolare. Ne è derivata la famiglia dei collettori a tubi sotto vuoto dei quali si sono realizzate molteplici versioni che non si possono qui certo descrivere tutte. La struttura più semplice prevede una fila di tubi di vetro sotto vuoto sovrapposta all’elemento captante: quest’ultimo è un foglio metallico cui sono collegati i canali di passaggio dell’acqua foggiato in modo da ospitare i tubi di vetro (fig. 16). La semicirconferenza inferiore dei tubi di vetro viene trattata con un rivestimento selettivo che consente una buona trasparenza nel visibile, ma che risulta riflettente nell’infrarosso. Il sistema è apparentemente penalizzato, come altri sistemi di geometria tubolare, dalla diversa trasparenza consentita dal vetro a seconda del punto della circonferenza del tubo interessato dalla radiazione solare, presentando la trasparenza massima solo nella zona di tangenza con il piano normale alla radiazione solare. La penalizzazione è solo apparente, perché resta tale anche per angoli di incidenza diversi dalla normale al collettore che invece risultano sempre più sfavorevoli per una lastra piana di vetro.

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Fig. 16 - Collettore solare a tubi sotto vuoto sovrapposti ad una piastra captante (collettore Philips)

Gran parte dei sistemi sottovuoto prevede che anche la sezione di captazione sia all’interno del tubo nella forma di solito di una lamina metallica selettiva collegata con dei tubicini in cui circola il fluido. Questi solitamente prevedono ingresso e uscita dallo stesso lato del tubo in modo da minimizzare i problemi di tenuta del vuoto particolarmente critici nella zone di contatto vetro-metallo che presentano coefficienti di dilatazione diversi. Una possibile sezione è quella riportata in fig. 17, dove si notano il doppio tubo di andata e ritorno, gli elementi di tenuta nella zona di entrata e di uscita e il getter, che è un elemento metallico, di solito realizzato in bario, che ha la funzione di eliminare con efficacia i gas residui dopo che il tubo è stato posto sotto vuoto. Il getter, opportunamente riscaldato, vaporizza e si combina con i gas residui, formando una pellicola argentea all’estremità del tubo.

Fig. 17 - Tubo sotto vuoto a piastra captante in rame e tubo di circolazione a U per il fluido termovettore (collettore solare Corning)

La fotografia riportata in fig. 18 illustra proprio la zona di ingresso-uscita del fluido dal tubo, mentre in fig. 19 si nota l’altra estremità del tubo.

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Fig. 18 - Particolare della zona di ingresso/uscita di un collettore a tubi sotto vuoto

Fig. 19 - Particolare dell’estremità sigillata di un collettore solare a tubi sottovuoto

Per lo scambio termico in questi collettori esiste un’altra soluzione con il ricorso ad un tubo di calore. Si tratta di un elemento sigillato contenuto all’interno del tubo sottovuoto e in buon contatto termico con la piastra captante che contiene un fluido che può cambiare di fase alle temperature operative del collettore (fig. 20). Il fluido, di solito appartenente alla famiglia dei refrigeranti, passa da fase liquida a vapore, riscaldato dallo scambio termico con la piastra. Il vapore passa nella parte alta del tubo, raffreddata dall’acqua che circola nell’impianto (fig. 21). Tale soluzione presenta il vantaggio di semplificare molto la parte idraulica del circuito con perdite di carico assai più ridotte che con le precedenti soluzioni. Inoltre limita il possibile riscaldamento del fluido che scorre nell’impianto. Questo in condizioni di stagnazione del collettore si può portare a temperature così elevate da creare dissociazione nella molecola dell’antigelo aggiunto all’acqua con conseguente acidificazione dello stesso e aumento della corrosività.

Fig. 20 - Tubo sottovuoto con elemento captante collegato ad un tubo di calore

Fig. 21 - Particolare del collegamento del tubo di calore con il circuito a liquido dell'impianto

Ogni collettore a tubi sottovuoto è costituito da un certo numero di tubi, intervallati fra di loro in modo da limitare l’ombra portata da un tubo su quello adiacente (fig. 22). Lo spazio interposto implica che una quota di radiazione possa risultare perduta, per cui si vedrà, parlando dei concentratori, che in alcuni casi si ricorre a superfici di concentrazione riflettenti nel retro dei tubi.

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Fig. 22 - Collettore a tubi sotto vuoto

Benché in Europa i collettori ad aria siano scarsamente utilizzati, vale la pena farne cenno, sia per il loro impiego piuttosto ampio negli USA che per la loro utilità in alcune applicazioni, particolarmente nel riscaldamento dell’aria di rinnovo degli edifici. La struttura di questi collettori è piuttosto semplice: di solito l’aria scorre a lama fluida a contatto con una piastra captante: il fattore limitativo allo scambio termico imputabile al basso coefficiente di convezione fra aria e parete è in parte temperato dalla possibilità di utilizzare per lo scambio l’intera superficie captante (fig. 23). Esiste anche una versione di collettore ad aria a tubi sottovuoto (fig. 24).

Fig. 23 - Esempio di collettore solare ad aria

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Fig. 24 - Collettore solare ad aria a tubi sottovuoto

La Tabella III riassume le possibili prestazioni dei diversi collettori fin qui descritti. Tabella III - Prestazioni tipiche di diverse tipologie di collettori solari piani a liquido o ad aria 7LSRGLFROOHWWRUH 3LDVWUDQRQVHOHWWLYDYHWUR OLTXLGR  3LDVWUDVHOHWWLYDYHWUR OLTXLGR  3LDVWUDQRQVHOHWWLYDYHWUL OLTXLGR  3LDVWUDVHOHWWLYDYHWUL OLTXLGR  3LDVWUDQRQVHOHWWLYDYHWUR DULD  3LDVWUDVHOHWWLYDYHWUR DULD  7XELVRWWRYXRWR OLTXLGR  7XELVRWWRYXRWR DULD 

)5 WD Q        

)58F :P.         

3. CONCENTRATORI SOLARI La possibilità di concentrare la radiazione solare va citata anche nel trattare il solare termico, benchè essa risulti di interesse prevalentemente nella trasformazione dell’energia termica dal sole in energia meccanica con raccolta dell’energia a temperature di diverse centinaia di gradi. I potenziali vantaggi di sistemi di concentrazione nel solare termico riguardano i costi generalmente molto più bassi dei sistemi di riflessione che corredano un concentratore rispetto al costo del sistema di assorbimento e al possibile innalzamento dell’intensità della radiazione sull’elemento assorbente, con un ragguardevole incremento di efficienza del collettore solare. Infatti tutta la radiazione al di sopra della soglia è utile e quindi un eventuale incremento della stessa diventa integralmente utile. Nell’ambito del solare termico vanno considerati i sistemi a concentrazione fissi o comunque ad inclinazione variabile su base stagionale per motivi di semplicità costruttiva e di gestione. In primo luogo vanno considerati i riflettori piani (fig. 25). Un

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elemento piano riflettente (una superficie in alluminio lucidato o in Mylar alluminizzato o altro) viene posta da un lato del collettore (o anche da entrambi i lati). La scelta dell’angolo relativo fra collettore e superficie va ottimizzata a seconda della stagione di utilizzazione, dal momento che la superficie riflettente può indurre ombre più o meno estese sul collettore solare. La fotografia di fig. 26 mostra una superficie di questo tipo e la tabella IV riporta dati sperimentali che illustrano il possibile vantaggio estivo della disposizione considerata. Come si vede, il vantaggio si riduce nel mese di settembre e probabilmente il sistema produrrà delle penalizzazioni nei mesi invernali, non considerate importanti nell’economia dell’impianto considerato, al servizio di un sistema di climatizzazione estiva. La disposizione di riflettori piani non consente grandi rapporti di concentrazione, mentre risultati decisamente migliori si possono ottenere con riflettori di tipo parabolico che nella versione sviluppata da alcuni ricercatori negli anni ’70 (Winston, Rabl, Baranov) riescono a produrre elevati rapporti di concentrazione anche con riflettore fisso. Si tratta dei riflettori CPC (Compound Parabolic Concentrator), realizzati mediante tronchi di parabola. Si dimostra che se il sistema di assorbimento della radiazione è posto fra i due fuochi di elementi di parabola tutta la radiazione che entra nell’apertura del sistema di riflessione viene indirizzata sull’assorbitore. La parte superiore delle parabole riflettenti risulta di scarsa utilità rispetto alla zona in prossimità dell’elemento assorbente, per cui frequentemente le parabole riflettenti vengono troncate (fig. 27).

Fig. 25 - Esempio di sistema di concentrazione con riflettore piano posto davanti al collettore

Fig. 26 - Realizzazione di sistema di concentrazione con riflettore piano cui si riferiscono i valori sperimentali di Tabella IV

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Tabella IV - Valori rilevati sperimentalmente sull'impianto di fig. 26 relativamente all'incremento di radiazione mensile disponibile per la presenza del riflettore piano 

0HVH *LXJQRSULPRDQQR /XJOLR 6HWWHPEUH *LXJQRVHFRQGRDQQR /XJOLR

5DGLD]LRQHLQ SUHVHQ]DGHO ULIOHWWRUH

5DGLD]LRQHLQ DVVHQ]DGHO ULIOHWWRUH

0-PPHVH     

0-PPHVH     

,QFUHPHQWR     

Fig. 27 - Geometria di un concentratore a parabola composta completa o troncata

La finalità del concentratore CPC è quella di far arrivare tutta la radiazione che entra nell’apertura del concentratore su di un assorbitore piano posto fra i due fuochi degli elementi di parabola. La forma del ricevitore può anche essere differente, ad esempio potrebbe essere un tubo. Si sono sviluppati dei metodi di progettazione che consentono di ottenere superfici riflettenti CPC che concentrano la radiazione su qualsiasi assorbitore di forma convessa. Questi sono stati utilizzati recentemente per sfruttare nei collettori a tubi sotto vuoto la radiazione non direttamente assorbita dal tubo (fig. 28).

Fig. 28 - Concentratore CPC per un collettore a tubi sotto vuoto

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4. L’ACCUMULO Il sistema di accumulo ha un ruolo assai importante nel determinare le prestazioni di un impianto solare. Infatti, a meno che l'impianto non sia molto sottodimensionato, per alcune ore della giornata o per alcuni giorni l’energia resa disponibile può risultare superiore al fabbisogno istantaneo. Accumulandola si può soddisfare il fabbisogno per periodi di scarsa o nulla disponibilità di radiazione solare. L’accumulo normalmente non supera il fabbisogno di alcuni giorni, spesso di una sola giornata. Sarebbe vantaggioso poter disporre di accumuli di tipo stagionale e, benchè vi siano dei primi tentativi con l’impiego del terreno (sistemi geotermici a tubi verticali), non si considera per ora un’alternativa del genere economicamente valida. L’accumulo è costituito generalmente da uno o più serbatoi contenenti acqua. Questo vale in particolare nel riscaldamento dell’acqua calda per usi sanitari, che spesso anche nelle soluzioni tradizionali è realizzata tramite un boiler ad accumulo. La capacità richiesta all’accumulo è legata alle dimensioni dell’impianto rispetto al fabbisogno. Valori orientativi possono essere di 50-100 litri d’acqua per m2 di collettore solare. Tendenzialmente valori più alti di capacità di accumulo consentono di disporre di maggiore energia utile a parità di superficie con vantaggi legati agli andamenti meteorologici in funzione dell’entità della domanda e della dimensione della sezione solare. Un’importante caratteristica dell’accumulo è la capacità di garantire un’adeguata stratificazione, soprattutto quando si fornisca allo stesso serbatoio anche l’energia termica ausiliaria. Per effetto di densità negli strati alti del serbatoio si avranno le temperature più elevate con i valori più bassi negli strati inferiori. Esiste tuttavia la tendenza ad un mescolamento più o meno rapido del contenuto dell’accumulo sia per scambio termico fra i diversi strati che per il movimento dell’acqua indotto dal prelievo e dal reintegro. Benché si cerchi in tutti i modi di favorire la stratificazione, prevedendo il reintegro nella parte bassa del serbatoio, con un deflettore che ne moderi gli effetti dinamici di immissione, il prelievo e l’integrazione nella parte alta ed il riscaldamento dall’impianto solare nella zona bassa con sistemi di scambio termico a serpentino immerso (fig. 29), la stratificazione non è garantita. Il rischio maggiore è che il sistema di integrazione riscaldi l’intero accumulo, limitando o impedendo del tutto la raccolta di energia solare. In ogni caso la temperatura in prossimità all’elemento di scambio con l’impianto solare condiziona fortemente la raccolta di energia solare stabilendo la soglia di radiazione al di sotto della quale il collettore non raccoglie energia.

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Fig. 29 - Tipico serbatoio di accumulo per impianto solare con possibile indicazione della stratificazione termica

Si sono messe a punto soluzioni anche ingegnose per favorire in ogni modo la stratificazione. Di fatto la soluzione probabilmente più semplice e sicura è la separazione fisica del serbatoio di accumulo solare da quello in cui viene fornita l’integrazione che potrebbe essere anche resa disponibile da un sistema di tipo istantaneo per la differenza di temperatura fra il valore ottenuto dall’impianto solare e il valore giudicato idoneo per l’utilizzazione. Per impianti di maggiori dimensioni è stato proposto un sistema a serbatorio multiplo in cui si affianca un serbatoio di preriscaldamento, dove entra il reintegro dalla rete idrica, con un serbatoio intermedio ed uno finale dove si può avere l’integrazione da fonte convenzionale (fig. 30). L’accumulo va gestito da un opportuno sistema di controllo che stabilisce, in funzione dell’intensità della radiazione solare rilevata e delle temperature misurate negli accumuli, su quale degli stessi sia più opportuno inviare l’acqua riscaldata dall’impianto solare. In linea di massima nelle prime e ultime ore della giornata in presenza di livelli modesti di radiazione l’impianto solare può operare in semplice preriscaldamento ai livelli termici più bassi, mentre nelle ore centrali della giornata l’impianto può “caricare” il serbatoio intermedio fino ad arrivare a temperature adatte all’utilizzazione e fornire il serbatoio di consumo. Resta da dire sui collettori solari ad aria. Per questi l’accumulo è di solito costituito da un letto di ciottoli di dimensioni simili che vengono attraversati dall’aria calda proveniente dai collettori e restituiscono l’energia raccolta, facendo circolare l’aria proveniente dagli ambienti da riscaldare.

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Fig. 30 - Schema di impianto solare a serbatoio multiplo: in condizioni di bassa insolazione l'impianto solare può servire il serbatoio di preriscaldamento. Per condizioni di insolazione più favorevoli l'impianto solare può servire il serbatoio intermedio o quello di consumo

5. IL SISTEMA DI REGOLAZIONE Il sistema di regolazione è un elemento fondamentale di tutti gli impianti solari a circolazione forzata. Stabilisce quando sia conveniente la raccolta dell’energia solare (e quando non) fornendo il comando di accensione o spegnimento di pompe o ventilatori. La logica maggiormente impiegata è quella del cosiddetto regolatore differenziale. Si basa sul rilievo delle temperature all’uscita dei collettori e all’interno del serbatoio (fig. 31). Il regolatore fa partire la pompa quando la differenza di temperatura supera un valore prestabilito (3-4°C). La pompa verrà spenta quando la differenza si riduce di un paio di gradi. Le due diverse differenze sono necessarie per impedire una potenziale instabilità del sistema. Il regolatore descritto non ha un comportamento del tutto soddisfacente. Anzitutto il rilievo di temperatura a pompa ferma è assai impreciso: solo la circolazione dell’acqua garantisce che effettivamente esiste un differenziale utile di temperatura. Inoltre non è univoco l’esito del rilievo di una sonda di temperatura nel serbatoio a causa della stratificazione: se posta troppo in basso darà il consenso alla partenza della pompa magari solo per l’ingresso di acqua dalla rete pur mancando l’occasione di raccolta di energia utile. Se posta troppo in alto farà perdere occasioni di raccolta di energia utile. Sarebbe consigliabile un maggior sforzo dei costruttori per perfezionare il sistema di regolazione, sfruttando le potenzialità dell’elettronica. Ad esempio potrebbe essere

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molto utile un rilievo di intensità di radiazione solare dal quale il regolatore potrebbe stabilire se e di quanto si superi ad un certo istante la soglia di funzionamento nei confronti di temperature rilevate nell’accumulo. Ovviamente la soglia andrà elaborata in funzione della tipologia del collettore e del rilievo di parametri ulteriori, tipicamente la temperatura dell’aria esterna.

Fig. 31 - Schema di un impianto solare con evidenziato il regolatore differenziale

6. IL RISCALDAMENTO SOLARE: IMPIANTI A CIRCOLAZIONE FORZATA; IMPIANTI A CIRCOLAZIONE NATURALE La circolazione dell’acqua in un impianto solare a liquido può essere realizzata mediante una pompa e si dice che la circolazione è forzata o dalla differenza di densità del liquido nelle diverse parti dell’impianto e si dice che la circolazione è naturale. Gli impianti a circolazione naturale sono realizzati di solito per il solo riscaldamento dell’acqua sanitaria per piccole utenze, spesso dotati di appena uno o due collettori solari (fig. 32). Il vantaggio di questi sistemi sta nella loro grande semplicità e quindi anche nel minore costo: risparmiano sia la pompa di circolazione che il sistema di regolazione e non richiedono il collegamento all’impianto elettrico. Nei climi dove non vi sia pericolo di gelo possono riscaldare direttamente l’acqua di consumo. Qualora debbano ricorrere ad uno scambiatore intermedio, il dimensionamento va fatto con cura per le piccole prevalenze disponibili. Essenziale è la presenza di una valvola di non ritorno che impedisca la circolazione inversa durante la notte con possibile raffreddamento dell’intero accumulo (fig. 33). Sono spesso venduti in forma di kit nel quale il costruttore ha provveduto ad inserire tutti gli elementi necessari al corretto funzionamento dell’impianto. Negli impianti di maggiori dimensioni e per il riscaldamento ambientale risulta quasi d’obbligo il ricorso alla circolazione forzata. Negli impianti più grandi lo scambio

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termico fra il fluido che scorre nei collettori solari e quello dell’impianto di riscaldamento è opportuno avvenga in uno scambiatore di calore esterno ben dimensionato: si adattano molto bene allo scopo gli scambiatori a piastre. Negli impianti di maggiori dimensioni i collettori vanno disposti secondo schiere parallele con un controllo di spaziatura che eviti un’eccessiva penalizzazione per le ombre che le schiere formano comunque a qualche ora della giornata su quelle che seguono (fig. 34).

Fig. 32 - Piccolo impianto a circolazione naturale con serbatoio incorporato

Fig. 33 - Schema di impianto a circolazione naturale con circuito chiuso per i collettori

Fig. 34 - Schiere di collettori solari piani in disposizione parallelo serie

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I collettori nella schiera è bene che non siano collegati tutti in parallelo. Infatti un gran numero di collettori in parallelo può dar luogo a cattiva distribuzione del fluido nei singoli collettori per le diverse perdite di carico incontrate. Si veda in fig. 35 l’andamento delle pressioni nei collettori alla base dei pannelli solari e all’uscita, rilevate sperimentalmente: si vede che il divario di pressione si assottiglia nei pannelli centrali di una schiera in parallelo con conseguente riduzione della portata d’acqua per quei pannelli. Il comportamento è confermato dagli andamenti della temperatura dell’acqua all’uscita in una schiera di 12 collettori in parallelo che rivelano temperature molto differenziate e legate alla portata d’acqua che attraversa ogni collettore (fig. 36): evidentemente dove le temperature sono più basse la portata è maggiore e viceversa.

Fig. 35 - Andamento delle pressioni sui collettori di ingresso e di uscita in funzione della distanza dall'ingresso nella schiera

Fig. 36 - Andamento delle temperature in uscita da una schiera di 12 collettori solari in parallelo per tre diverse portate inviate alla schiera

7. L’ENERGIA SOLARE E LA PRODUZIONE DEL FREDDO La produzione del freddo mediante energia solare è una delle applicazioni potenzialmente più attraenti, risultando solitamente massima la domanda di freddo proprio nei periodi di maggiore insolazione. Com’è noto si può ottenere un effetto frigorifero non solo con l’impiego del ciclo frigorifero a compressione che richiede energia meccanica (elettrica) per il suo funzionamento, ma anche con cicli termici che sfruttano in particolare l’assorbimento. La macchina ad assorbimento ha una lunga storia che parte dal 1859 e dai brevetti e realizzazioni dei fratelli Carré. Le due tipologie che si sono affermate nel tempo sono quelle con le due miscele acqua-ammoniaca e bromuro di litio-acqua nel ruolo rispettivamente di sostanza assorbente e di refrigerante. Le macchine che ne risultano sono molto diverse nelle caratteristiche, nell’architettura e nelle prestazioni con vantaggi e svantaggi che portano a preferire ora l’una tipologia, ora l’altra. Fin qui si è data per lo più la preferenza alla macchine a bromuro di litio-acqua per il livello termico più basso richiesto: possono funzionare a temperature anche poco superiori agli 80°C (di preferenza 90°C). Le controindicazioni principali sono la necessità di un raffreddamento di condensatore/assorbitore con torre evaporativa (non è

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sempre possibile il raffreddamento ad aria) e il maggiore costo della macchina. Inoltre nella stagione invernale la macchina va tenuta collegata all’impianto per evitare che cristallizzi, precludendo il successivo funzionamento. Le macchine ad acqua-ammoniaca richiedono temperature di fornitura termica superiori a 130°C (compatibili comunque con collettori a tubi sottovuoto o ancor più con collettori a concentrazione anche debole), ma possono essere raffreddate ad aria. Nella stagione invernale possono offrire un funzionamento a pompa di calore di maggiore interesse che non la tipologia concorrente, per la possibilità di scendere sotto gli 0°C all’evaporatore. Non è questa la sede per illustrare il funzionamento delle macchine ad assorbimento. Basti dire che possono produrre un effetto frigorifero, alimentandole con un livello termico prima specificato, ad una temperatura adatta al condizionamento (quelle ad acqua-ammoniaca anche alla refrigerazione). Il COP di solito ottenibile da queste macchine è dell’ordine di 0,5-0,8 a seconda della tipologia e della taglia. L’ottenimento di buone prestazioni da un impianto solare per la produzione del freddo è legato solo in parte alle macchine selezionate e dipende in maniera fortissima da come l’impianto è progettato e gestito. Le macchine ad assorbimento prestano un’inerzia termica piuttosto elevata. Un eventuale regolazione delle stesse in attacca-stacca può risultare molto penalizzante. Se gli intervalli fra accensione e spegnimento sono abbastanza lunghi da portare ad un raffreddamento della macchina il COP stagionale si può ridurre fortemente e può risultare in casi sfortunati anche metà di quello a regime. Si consideri a questo proposito la rappresentazione in fig. 37 del transitorio di funzionamento di una macchina ad assorbimento. Viene esaminato il funzionamento della macchina a partire dall’accensione (partenza delle pompe con alimentazione con acqua calda a 90°C). La capacità nominale si raggiunge solo dopo 30’. Il COP medio in questo intervallo di tempo è risultato di appena 0,4 ed anche il COP istanteneo raggiunto è inferiore al valore nominale (0,59 rispetto a 0,7). Inoltre per il loro funzionamento è necessario far circolare grandi quantità d’acqua, atteso che il dislivello dei temperatura nell’attraversare il generatore della macchina è di non più di 5°C e spesso è dell’ordine di 3°C. Questo significa che una macchina che produce 10 kW frigoriferi può richiedere una portata d’acqua di oltre 3000 kg/h al generatore ed altrettanti o più per il raffreddamento di assorbitore/condensatore. È importante un dimensionamento generoso dei circuiti idronici per evitare un consumo elettrico eccessivo per il funzionamento delle pompe di circolazione, consumo del tutto inaccettabile in un impianto a fonte rinnovabile.

Fig. 37 - Andamento in transitorio di capacità frigorifera e COP di una macchina ad assorbimento

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Per ottenere dei buoni risultati prestazionali con impianti di questo tipo, usando macchine frigorifere disponibili in commercio che nelle piccole taglie non prevedono il funzionamento parzializzato, risulta spesso utile il ricorso ad un accumulo di freddo che si affianca all’accumulo caldo dell’impianto solare. Il dimensionamento e la gestione dell’accumulo freddo risultano particolarmente delicati: anzitutto le sue dimensioni devono essere di solito dello stesso ordine di grandezza o maggiori dell’accumulo caldo, dal momento che quest’ultimo può lavorare su un intervallo di temperatura 2-3 volte più ampio. Infatti l’accumulo freddo opera tipicamente nel range 7-14°C, mentre l’accumulo caldo risulta utile nel range 80-100°C. L’impianto solare può alimentare la macchina che direttamente serve il carico frigorifero ovvero caricare l’accumulo freddo che a sua volta può soddisfare in tutto o in parte il carico in assenza di energia raccolta o accumulata (fig. 38). Gli schemi possono essere molto diversificati a seconda di come si voglia collegare la sezione solare alla macchina ad assorbimento e all’accumulo caldo e di come si risolva la problematica fondamentale della corretta stratificazione dell’accumulo freddo.

Fig 38 - Impianto solare per la produzione del freddo con accumulo caldo e accumulo freddo

8. METODI DI CALCOLO Nella progettazione di un impianto solare, nel mentre la parte idronica o aeraulica non si discosta molto da altre progettazioni tradizionali nel calcolo dei circuiti, delle perdite di carico, dei bilanciamenti e quindi nella scelta di pompe o ventilatori, esiste un aspetto sicuramente di grande differenziazione. Si deve valutare il bilancio economico dell’impianto e per far questo risulta necessario effettuare una valutazione attendibile dell’energia utile che l’impianto metterà a disposizione nel corso della sua vita utile. Di questo sono consapevoli anche i costruttori più sprovveduti quando denunciano un valore di rendimento che ci si può aspettare dai collettori solari da loro prodotti. Chi mi ha seguito in questo rapido excursus avrà già capito che questa affermazione è del tutto destituita di senso. Al di là del fatto che il rendimento del collettore dipende da una serie di fattori,

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condensati dalla retta di efficienza, per cui non si può affermare a priori che il collettore avrà un ben definito rendimento, tanto meno stagionale, si dimentica quale sia il ruolo dell’impianto cui la sezione solare risulta collegata. La dipendenza è dal tipo e distribuzione della domanda, dal dimensionamento dell’accumulo, dall’andamento meteorologico. Per questo motivo anche la metodologia un po’ meno rozza e che si trova anche su pubblicazioni qualificate, secondo la quale il rendimento medio si trova dalla retta di efficienza, inserendo il valore medio di radiazione e la temperatura media dell’acqua calda prodotta è completamente inattendibile. Si capisce che la dipendenza del rendimento stagionale deriva da una serie numerosa di parametri che interagiscono fra di loro in modo complesso. Di questa problematica si resero immediatamente consapevoli i “padri” del solare termico moderno, in particolare Duffie, Beckman e Klein, che oltre a produrre forse i migliori testi di riferimento moderni sul solare termico realizzarono con i loro collaboratori dell’Università del Wisconsin il programma di calcolo che resta tuttora il riferimento di tanti ricercatori del settore: il TRNSYS. L’acronimo sta per Transient System Simulation ed è un programma in linguaggio Fortran, la cui architettura è costituita da svariate subroutines, indicate come TYPE seguite da un numero caratteristico che descrivono il comportamento di un componente di impianto in maniera dinamica, vale a dire quale sia la sua risposta a dati in ingresso che variano con continuità (in realtà ad intervalli di tempo limitati, spesso 15’). Inizialmente i componenti descritti erano pochi: collettore solare, accumulo, pompe, ecc. Poi nel tempo si è formato una specie di club di utilizzatori del programma, che ora gira anche su un personal computer, e che si sono fatti carico di scrivere ulteriori types fino a descrivere componenti i più disparati, dalle pompe di calore ai moduli fotovoltaici agli accumuli a terreno. L’analisi di un impianto attraverso il TRNSYS è assai complessa e oltre a richiedere molto tempo per una corretta descrizione dei diversi componenti di impianto, collegando poi le diverse TYPES, impone la conoscenza dettagliata dell’anno tipo con tutti i molteplici valori dalla radiazione solare, temperatura dell’aria e velocità del vento. Anche di questo si resero subito conto i ricercatori prima citati che elaborarono una metodologia derivata dal programma di simulazione dinamica (nel frattempo testato su impianto reali, in particolare sulle diverse Solar Houses realizzate presso l’Università del Colorado). Questa metodologia di carattere semiempirico non è in grado di descrivere tutti gli impianti possibili, ma riesce a dare risultati attendibili per impianti di riscaldamento schematizzati come in fig. 39 che prevedono il riscaldamento ambiente e la produzione di una quota di acqua calda sanitaria, purché non superiore come carico al 20% di quanto fornito con il riscaldamento. Il metodo, diventato presto assai diffuso, va sotto il nome di Carta – f, perché basato su un grafico che fornisce sulla base di parametri caratteristici dell’impianto la frazione gratuita f (sta per free) del fabbisogno fornita dall’impianto solare.

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Fig. 39 - Schema di impianto tipo per il calcolo con il metodo della Carta -f

I parametri impiegati per il calcolo sono di due tipi ed indicati come Y ed X. Il primo parametro Y è legato prevalentemente alla radiazione incidente su base mensile e che il collettore è in grado di assorbire. Il secondo parametro X è invece legato soprattutto alle dispersioni che il collettore solare presenta. Si ricordera che entrambi i fattori indicati si possono evincere dalla retta di efficienza. Inoltre il fattore di asporto termico del collettore si può valutare tenendo conto di diverse ulteriori influenze quali l’efficienza dello scambiatore di calore dell’impianto, le dispersioni termiche delle tubazioni da e per la centrale termica, la disposizione in schiera dei collettori.  ) 5 $F  WD + E 1 <  /  ) 5 $F  ; 8 F 7 ULIL  7 G 'W /  Per quanto riguarda le altre grandezze nella relazione, L è il carico medio mensile, Td è la temperatura diurna media mensile, Trif è una temperatura di riferimento, posta convenzionalmente pari a 100°C, N è il numero di giorni nel mese e ∆t il numero di secondi nel mese. La fig. 40 riporta gli andamenti suggeriti dalla f-Chart che vengono descritti opportunamente anche in forma analitica, che si presta per l’impiego nell’ambito di solito utilizzato di un foglio elettronico.   I <   ;  <    ;   < 

Infine opportune correzioni apportate ai due parametri, in particolare al parametro X, permettono di stimare quale influenza possa avere un certo dimensionamento dell’accumulo (il riferimento per il metodo è di 75 kg/m2), ovvero quali possano essere le prestazioni di un impianto solare per la sola produzione dell’acqua calda sanitaria.

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Equazioni diverse ma di simile struttura permettono di descrivere anche il comportamento di impianti solari ad aria.

Fig. 40 - Carta - f per prevedere le prestazioni di sistemi solari a liquido

Va sottolineato che le valutazioni con il metodo descritto sono utili non solo per valutare l'energia che un impianto dimensionato in un certo modo può rendere disponibile in una data località, ma permettono anche di mettere a confronto scelte impiantistiche diverse, riguardanti tipologie di collettori selezionate, loro posizionamento, dimensionamento dell’accumulo termico o dello scambiatore di calore dell’impianto. Il metodo diventa così strumento essenziale per una corretta scelta riguardante l’impianto, ogniqualvolta questo superi le dimensioni del piccolo impianto monofamiliare, fornendo comunque all’occorrenza indicazioni anche per questo. L’attendibilità del metodo è confermata anche dalla scelta della UNI 8477 che indica questa metodologia di calcolo come l’unica appropriata a fornire stime per l’energia utile disponibile da un impianto solare. BIBLIOGRAFIA Il testo di riferimento per la trattazione del solare termico moderno è certamente: Duffie, J.A., Beckman W.A., Solar Engineering of Thermal Processes, 3rd Edition, John Wiley & Sons, 2006 p. 928 edizione aggiornata ed ampliata del classico volume Solar Thermal Processes pubblicato la prima volta nel lontano 1974. Il metodo della Carta–f è trattato da: Beckman W.A., Klein S.A., Duffie, J.A., Solar heating design by the f-Chart method, John Wiley & Sons, 1977. Una trattazione completa delle possibili applicazioni del solare termico, delle tecniche previsionali e degli schemi impiantistici si può trovare fra l'altro sui tre volumi:

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Lazzarin, R., Sistemi Solari Attivi: Manuale di Calcolo, Franco Muzzio Ed., Padova, pp.476, 1981. Lazzarin, R., Tecnologia e Progettazione del Collettore Solare: Sistemi Solari Attivi 2, Franco Muzzio Ed., Padova, pp.220, 1981. Cimmieri S., Lazzarin, R., La Progettazione degli Impianti Solari: Sistemi Solari Attivi 3, Franco Muzzio Ed., Padova, pp.293, 1983. Infine una trattazione piuttosto esauriente delle tecniche solari per la produzione del freddo si può trovare nel volume: Lazzarin, R., L'Energia Solare e la Produzione del Freddo, PEG Ed., Milano, pp.284, 1983.

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Misure di efficienza di collettori solari piani su un impianto di prova indoor FRANCESCO CASTELLOTTI Solarkey, Rivarotta di Teor, Udine

RIASSUNTO Nel processo di progettazione di un collettore solare piano è essenziale determinarne la prestazione energetica in termini di efficienza istantanea. Per tale scopo sono utili metodi numerici predittivi, ma la caratterizzazione completa si può ottenere solo con prove sperimentali. La misura su prototipi di collettori solari permette di verificare la bontà dei metodi numerici predittivi, di condurre un’analisi di sensibilità sui parametri progettuali (materiali, geometria, ….) e di caratterizzarne la qualità nei dettagli costruttivi (assemblaggio, sigillatura, …). A tal fine è stato progettato e realizzato un impianto di prova indoor, ovvero con irraggiamento artificiale, come banco di prova di diverse configurazioni di pannelli solari piani. È stata calcolata di volta in volta la curva di efficienza istantanea, indagando in tal modo sulla prestazione correlata a materiali e geometrie dell’assorbitore. I risultati ottenuti hanno permesso di individuare la soluzione tecnologia migliore. 1. INTRODUZIONE Esiste oggi in commercio una grande varietà di pannelli o collettori solari, accomunati dalla funzione che è quella di captare l’irraggiamento solare e trasferire l’energia termica ad un fluido termovettore. Si può tentare di classificarli secondo alcuni criteri:  struttura: piani o a tubi sottovuoto; Per i primi (pannelli piani), diverse sono le soluzioni per i seguenti componenti:  fluido termovettore: aria, acqua (miscela acqua-glicole);  copertura: scoperti, coperti (lastra di vetro extrachiaro, materiale plastico);  materiale dell’assorbitore: rame, alluminio, acciaio, acciaio inox, materiale plastico;  rivestimento dell’assorbitore: vernice nera opaca, vernice selettiva, rivestimento selettivo;  geometria dell’assorbitore: a tubi paralleli (arpa), a doppio passaggio, serpentino, roll-bond;

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 isolamento termico: poliuretano, lana di roccia, lana di vetro;  intercapedine interna: aria, gas nobile, sottovuoto. Differenti sono le scelte anche per il telaio di contenimento, realizzato in alluminio anodizzato, acciaio verniciato, acciaio inox, materiale plastico, vetroresina o legno. Non è banale anche la soluzione per la sigillatura del vetro sul telaio, ottenuta mediante una guarnizione in gomma, con silicone o con adesivi strutturali. I secondi (tubi sottovuoto) si distinguono invece secondo le seguenti scelte:  fluido termovettore: miscela acqua-glicole, alcool;  flusso: diretto, tubi di calore;  senza riflettore, con riflettore. L’elenco non vuol essere esaustivo, ma descrittivo delle soluzioni oggi più comunemente proposte; in passato sono stati utilizzati altri materiali e tecniche, poi abbandonate per i problemi sorti sul campo. È chiaro, quindi, che chi si pone l’obiettivo di progettare e realizzare un collettore solare ha il compito non facile di scegliere tra diverse soluzione tecniche. Il processo decisionale inizia con l’individuazione del driver del progetto, ovvero del requisito che guiderà tutte le altre scelte a valle. Può essere:  il costo di realizzazione, legato ai materiali, ma anche al processo produttivo necessario;  un certo valore di efficienza energetica o di resa annua;  una particolare prestazione di durata, resistenza meccanica o alla corrosione, ecc…;  a richiesta del mercato e i possibili numeri di produzione e margini; o una combinazione dei precedenti come:  resa annua normalizzata con il costo di realizzazione. Per quanto riguarda la prestazione energetica (in termini di efficienza istantanea o resa annua), il progettista deve avere conoscenza dell’importanza su di essa delle diverse soluzioni costruttive, mediante un’analisi di sensibilità dei principali parametri progettuali. Tale informazione può essere ottenuta in modo predittivo avvalendosi di modelli numerici per simulare la prestazione energetica del collettore solare, nel caso più semplice in regime costante (efficienza istantanea) o nel caso più complesso in regime variabile (resa annua) per una certa località climatica noto il carico termico. Nel primo caso, per un collettore solare piano, è possibile utilizzare alcune relazioni presentate in letteratura [1] che verranno di seguito riassunte; nel secondo caso, è possibile costruire un modello numerico in regime variabile di un impianto solare termico, completo di collettori, serbatoio di accumulo, controllo [2]. La fase predittiva permette di limitare il campo di analisi, ma l’informazione esaustiva può essere solo ottenuta in modo sperimentale, misurando sul campo le diverse configurazioni. In tal modo, è possibile testare materiali, geometrie, dettagli tecnici che magari il modello numerico non è in grado di simulare o considera solo sotto certe ipotesi. Al tempo stesso, è possibile tarare sperimentalmente i risultati del modello numerico rendendo questo più significativo e utile per valutazioni successive.

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In tal modo, la combinazione dei due strumenti, modello numerico e indagine sperimentale, risulta essenziale per individuare il collettore solare che meglio soddisfa il driver progettuale scelto. 2. IL MODELLO NUMERICO DEL COLLETTORE SOLARE Nell’attività di progettazione la definizione di un modello numerico è utile per prevedere il comportamento e la prestazione energetica del collettore solare, al variare della geometria, dei materiali, delle condizioni al contorno come le variabili meteorologiche, la portata e il tipo di fluido termovettore. È anche utile per programmare la successiva fase di indagine sperimentale. A tal fine è stato sviluppato un modello numerico per il calcolo dell’efficienza istantanea del pannello solare piano coperto, il più diffuso e comune in commercio. Il modello per il calcolo dell’efficienza istantanea è stato sviluppato mediante un foglio di calcolo, utilizzando le relazioni presenti in letteratura; qui di seguito saranno riportate solo le principali. Per quanto riguarda l’energia assorbita da un collettore solare, essa dipende dalle sue proprietà ottiche, cioè la trasmissività τ della copertura ed il coefficiente di assorbimento α della piastra. La trasparenza di una copertura dipende dall’indice di rifrazione nr e il coefficiente di estinzione ke. Il coefficiente di riflessione ρ, rapporto fra la radiazione riflessa e quella incidente, è funzione dell’indice di rifrazione e degli angoli di incidenza e rifrazione. L’energia trasmessa attraverso la copertura trasparente raggiunge la piastra dove viene in parte assorbita e in parte riflessa; quest’ultima torna alla copertura trasparente, dove viene in parte trasmessa all’esterno e in parte riflessa nuovamente sulla piastra. Le riflessioni multiple danno luogo a il prodotto trasmissività-assorbimento, dato da: WD WD

       D U G dove ρd è il coefficiente di riflessione per radiazione incidente a 60°. Una parte della radiazione solare incidente viene assorbita dalla copertura trasparente: questa energia non è interamente perduta poiché fa aumentare la temperatura del vetro e quindi fa diminuire le perdite della piastra. Per tener conto di questo contributo si aumenta il prodotto trasmissività-assorbimento e ci si riferisce ad un valore effettivo:



WD WD  D   H  N /  H

 

dove α1 è una costante, funzione di assorbimento ed emissività della piastra e L è lo spessore della lastra di vetro. L’energia termica assorbita è quindi: TD

WD ˜ * 

dove G è l’irraggiamento incidente.

 

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Per quanto riguarda l’energia perduta, essa dipende:  dalla temperatura della piastra assorbente, tp;  dalle proprietà radiative della piastra e della copertura trasparente (emissività termica);  dalle condizioni ambientali considerate, in termini di temperatura ambiente ta, temperatura equivalente della volta celeste e velocità del vento;  dall’isolamento termico posteriore e laterale del collettore. La piastra può scambiare calore con l’ambiente attraverso lo strato di isolante posteriore e laterale e attraverso la copertura trasparente. Nel primo caso si ha una resistenza R legata alla conduttività termica λ e allo spessore di isolamento s: 5

V



O

 

La resistenza dovuta alla convezione e radiazione termica posteriore e laterale è solitamente trascurabile rispetto a quella conduttiva. Quindi, l’energia dispersa dal fondo e dai lati è data da: T

W S  WD 5



 

Per quanto riguarda la copertura trasparente, si ha uno scambio termico per radiazione e convezione fra piastra e vetro: indicando con εp e εc le emissività della piastra e della copertura, lo scambio termico per radiazione è dato da: T

V 7S  7F 

HS





HF





 

dove si utilizzano le temperature assolute di piastra (Tp) e copertura (Tc). Noto il coefficiente di convezione αc,p-c, lo scambio termico per convezione fra piastra e vetro è dato da:

 T

D F  SF W S  WF 

 

Lo scambio termico tra la copertura e l’ambiente avviene per convezione e radiazione con la volta celeste. Introducendo il coefficiente di dispersione complessivo Uc, esso è pari a: 8F

 5F

    5D 5E

 

dove Ra è la resistenza termica complessiva verso l’alto (copertura) e Rb è la resistenza termica complessiva verso il basso (fondo). La differenza tra energia assorbita e perduta consente di determinare l’energia utile; tralasciando la dimostrazione, si può scrivere:

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TX

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) >TD  8 F WP  WD @ 

 

dove tm è la temperatura media del fluido termovettore entro il collettore. F’ è il fattore di efficienza del collettore ed è un parametro dimensionale che caratterizza la qualità dello scambio termico fra piastra e fluido; dipende dalle condizioni di funzionamento, ma soprattutto dalle caratteristiche costruttive del collettore, come l’efficienza di aletta. Si definisce fattore di asporto termico del collettore il rapporto tra l’energia utile effettivamente raccolta e quella che sarebbe stato possibile raccogliere se la piastra fosse mantenuta alla temperatura del fluido in ingresso: )5

0 ˜ F S WX  WL

TD  8 F WL  WD



 

dove M è la portata per unità di area, cp il calore specifico del fluido, tu la temperatura di uscita del fluido e ti la sua temperatura di ingresso. Si perviene quindi all’equazione di Bliss che consente di calcolare l’energia utile raccolta da un collettore:

 TX

)5 >TD  8 F WL  WD @ )5 > WD *  8 F WL  WD @ 

 

In definitiva, l’efficienza istantanea di un collettore può essere così espressa: K

)5 WD 

)58 F WL  WD  *

 

che è una retta con intercetta FR(τα) e pendenza FRUc in funzione di rette di efficienza sono espresse in funzione di

WL  WD *

; spesso le

WP  WD  La nuova intercetta η0 e *

pendenza m si ottengono moltiplicando per un coefficiente k pari a: N

0 ˜ FS 0 ˜ FS 

P 



 

3. ATTIVITÀ DI LABORATORIO La fase di laboratorio condotta ha avuto lo scopo di caratterizzare sperimentalmente le diverse opzioni nella progettazione del pannello solare. Si è trattato di individuare la prestazione energetica in termini di efficienza istantanea di diverse soluzione tecniche.

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3.1. Il laboratorio Presso lo stabilimento Thermokey di Rivarotta di Teor (UD), è stato progettato e realizzato un impianto di prova indoor, ovvero con irraggiamento artificiale sul piano pannello (Figura 1).

Figura 1. Schema dell’impianto di prova del pannello solare.

Si distinguono:  il circuito idraulico con la mandata al pannello e il ritorno dal pannello solare;  la pompa di circolazione e la valvola di taratura, per modulare la portata volumetrica da 20 fino a circa 150 l/h;  la valvola di miscelazione a 3 vie, per definire la temperatura di mandata, miscelando il ritorno caldo dal pannello e l’uscita dal serbatoio di accumulo;  i diversi sensori utili al monitoraggio: misuratori  di temperatura del fluido termovettore in mandata e ritorno e dell’aria ambiente;  di portata volumetrica in mandata;  di pressione differenziale (perdite di carico);

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 di pressione relativa del circuito;  di radiazione solare (piranometro)  di velocità dell’aria (anemometro);  componenti accessori (valvola di sicurezza, vaso di espansione, degasatore, valvole di intercettazione). 

 Figura 2. Viste di insieme dell’impianto di prova.

La scelta del tipo e numero di lampade da utilizzare è stata guidata dall’esigenza di avere un irraggiamento artificiale, nell’intensità e nello spettro simile, ma non necessariamente uguale a quello solare. Infatti, tutta l’indagine sperimentale è stata condotta con lo scopo di individuare le prestazioni delle diverse configurazioni del pannello solare e quindi si è operato un confronto relativo tra le stesse, senza la necessità estrema di ottenere un risultato assoluto. Per ricreare in condizioni indoor un livello di irraggiamento adeguato si sono utilizzate 28 lampade a incandescenza con riflettore in alluminio, ciascuna con una

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potenza elettrica di 120 W. In esse il filamento caldo raggiunge una temperatura pari a 2850 K e produce uno spettro di irraggiamento spostato sul vicino infrarosso (0,4÷3 µm centrato circa a 1 µm), rispetto al disco solare (con una temperatura di circa 6000 K, tra 0,4÷3 µm centrato sul visibile a 0,555 µm). Partendo da 100 W di potenza elettrica, il bilancio di una lampada ad incandescenza è il seguente:  radiazione visibile: 5 W  radiazione infrarossa emessa dal filamento: 61 W  radiazione infrarossa emessa dal bulbo: 22 W  perdite per conduzione e convezione: 12 W Pertanto, partendo da una potenza elettrica installata di 3360 W (28?120 W) si ottiene un irraggiamento (visibile e infrarosso) di tra 2218 e 2957 W, rispettivamente non contando e contando il contributo nell’infrarosso del bulbo che si riscalda. Infatti, tale emissione è in una regione dello spettro del lontano infrarosso e quindi oltre lo spettro solare. Nell’impianto di prova, tuttavia, per le esigenze di bilancio termico, sarebbe opportuno anche tenere conto di detto contributo che comunque contribuisce a riscaldare l’assorbitore del pannello solare. In definitiva, disponendo su una griglia 7x4 le lampade sopra il piano pannello, riferendosi ad una superficie lorda del collettore di 2,2 m2 si ottiene un irraggiamento adeguato agli scopi, pari a circa 1000 W/m2 nello spettro solare e a 1350 W/m2 comprendendo il contributo nel lontano infrarosso. Per avere la possibilità di lavorare con minori livelli di irraggiamento l’impianto elettrico è stato dotato di reostati per operare l’attenuazione dell’intensità. Per verificare il dimensionamento dell’impianto lampade, si è misurato l’irraggiamento medio prodotto alla distanza di 20 cm dal bulbo, posizionando il piranometro su una griglia di 60x18 punti sotto l’impianto lampade. I tre reostati sono stati regolati in modo che l’irraggiamento nello spettro solare rilevato sotto la perpendicolare di ciascuna lampada fosse costante e pari all’incirca a 1200 W/m2. La distribuzione ottenuta è riportata in Figura 3.

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Figura 3. Distribuzione dell’irraggiamento sul piano assorbitore in condizioni di parzializzazione.

Il valore medio di tale distribuzione è pari a circa 325 W/m2. Noto il grado di parzializzazione dei reostati è facile trovare il setting degli stessi per produrre un diverso valore medio: per esempio, la massima intensità (parzializzazione nulla) corrisponde a un valore medio di circa 1200 W/m2 che rientra nell’intervallo previsto nel dimensionamento.

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Figura 4. Foto dell’impianto lampade per l’irraggiamento artificiale.

3.2. La procedura di misura La procedura di misura prevede il calcolo del rendimento istantaneo η del pannello K

:  ,

 

solare pari a: dove W [W] è la potenza termica e I [W] è l’irraggiamento. La potenza termica raccolta :

P ˜ F S ˜ WX  WL 

 

dal pannello e ceduta al fluido termovettore (acqua o miscela acqua-glicole) è pari a: dove m ˙ [kg/s] è la portata di massa, cp [J/(kg K)] è il calore specifico a pressione costante, tu [°C] la temperatura di uscita e ti [°C] la temperatura di ingresso del fluido termovettore. La portata di massa è stata calcolata dal valore della portata volumetrica Q [m3/s] in mandata tenendo conto della densità media ρ [kg/m3] del fluido termovettore  P

4˜U 

 

tra l’ingresso e l’uscita: Anche per il calore specifico si è considerato il valore medio tra l’ingresso e l’uscita. Nel caso della miscela acqua-glicole i valori di ρ e cp sono ponderati con le frazioni di massa. Per i valori della temperatura del fluido in ingresso e in uscita si considera la media dei 2 sensori presenti. Per quanto riguarda il valore a denominatore della (14), può essere ottenuto riferendosi alla superficie dell’assorbitore (Sass), dell’apertura di captazione (Sa) o a ,

* ˜ 6L 

 

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dove G è l’irraggiamento specifico sul piano pannello [W/m2]; è chiaro che a parità di potenza termica e di irraggiamento specifico, l’efficienza aumenta al diminuire della superficie di riferimento. Per ogni configurazione del pannello solare si è proceduto secondo il seguente schema:  definizione della portata. La portata specifica che tipicamente attraversa un pannello solare è compresa tra 40 e 90 l/(h m2), riferita alla superficie lorda del pannello. Si è scelto un valore di circa 60 l/(h m2) che corrisponde a circa 130 l/h. Il valore è ottenuto agendo sulla valvola di taratura manuale.  definizione della temperatura di mandata. Tipicamente un pannello solare può lavorare in un intervallo di temperature comprese tra i 15 e i 60 °C in mandata. Nell’impianto di prova la temperatura è limitata inferiormente dal livello termico dell’accumulo, entro il quale il ritorno dal pannello viene raffreddato in una serpentina e poi inviato alla mandata. Avendo a disposizione acqua di rete come sorgente fredda ad una temperatura di circa 15 °C, la minima temperatura in uscita dal serbatoio e utilizzabile in mandata è stata di 20 °C. Il limite superiore è invece stato scelto pari a 70 °C. Come detto, la temperatura di mandata è ottenuta miscelando la portata di ritorno ricircolata e la portata di ritorno raffreddata entro il serbatoio: il movimento meccanico della valvola miscelatrice è comandato tramite l’uscita analogica dell’acquisitore. Il programma di acquisizione, in funzione dello scostamento dalla temperatura di setting, individua la regolazione della miscelazione, mediante un algoritmo con un guadagno PID (Proportional Integrative Derivative).  definizione del livello di irraggiamento. Impostato agendo sui reostati, non necessita di essere misurato, in ragione delle considerazioni sopra esposte. Solitamente si è lavorato alla massima intensità, ovvero con un irraggiamento specifico di 1200 W/m2.  avvio dell’acquisizione con risoluzione temporale di 5 s e calcolo dei valori medi ogni minuto;  raggiungimento delle condizioni di regime. Il sistema, dopo un periodo transitorio di oscillazione attorno le condizioni di setting in mandata, raggiunge una condizione costante nel tempo e solo allora il programma di acquisizione inizia a salvare ogni minuto su file i parametri utili ai calcoli.  quando su 5 min il valore medio della temperatura di mandata si discosta al più di 0,1 °C dal valore di setting e la deviazione standard è inferiore al 5%, il sistema in automatico modifica la temperatura di setting sul valore successivo (solitamente i valori sono stati 25-35-45-60-70 °C) L’indagine condotta ha voluto individuare la prestazione di diverse configurazioni del pannello solare, variando:  il materiale dell’assorbitore: alluminio, rame, acciaio;  la geometria dell’assorbitore: ad arpa (tubi paralleli), roll-bond;  il diametro esterno dei tubi: 10, 12, 16 mm;  la tipologia di giunzione tubo-aletta: estrusione, saldobrasatura, saldatura ad ultrasuoni.  lo spessore dell’aletta: 0,1, 0,2, 0,4, 1 mm;

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 il rivestimento dell’aletta: anodizzazione, vernice nera opaca, vernice selettiva, rivestimento basso-emissivo;  il vetro di copertura: extra chiaro, prismatico;  il telaio di contenimento: vetroresina, alluminio, acciaio zincato preverniciato;  il fluido termovettore: acqua di rete o miscela acqua-glicole. Di seguito si riporteranno i risultati descrittivi del ruolo del assorbitore solare, facendo variare materiale, tipologia di giunzione tubo-aletta e rivestimento. I risultati sono presentati con la curva di efficienza istantanea in funzione della temperatura di lavoro normalizzata t* [m2K/W] così definita: W

WP  WD  *

 

dove tm è la temperatura media del pannello tra ingresso e uscita: WP

WX  WL  

 

e ta è la temperatura dell’aria ambiente. Infatti, l’efficienza di un pannello solare varia con la temperatura media del fluido contenuto e la temperatura dell’aria ambiente, in ragione delle dispersioni termiche proporzionali alla loro differenza. Varia anche con l’irraggiamento secondo le relazioni esposte nel par. 3. Per esempio, in Figura 5 sono mostrate le curve dichiarate da 2 costruttori: 1. Assorbitore ad arpa a 13 tubi (diametro 8 mm) in rame, aletta da 0,2 mm, rivestimento selettivo (α=0,95, ε=0,05), vetro solare prismatico 3,2 mm (τ=0,89). 2. Assorbitore ad arpa a 8 tubi (diametro 12 mm) in rame, aletta da 0,2 mm, rivestimento selettivo (α=0,95, ε=0,05), vetro solare extra-chiaro 4 mm.

Figura 5. Curve di efficienza dichiarate da 2 costruttori.

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Le curve sperimentali possono essere descritte da polinomi di grado 1 (retta) o grado 2 (parabola): 

K K  N

WP  WD §W W ·  N ¨ P D ¸  * © * ¹

 

L’intercetta con l’asse delle ordinate η0 è l’efficienza in condizioni di dispersioni nulle (cioè quando tm=ta): si nota che poco si discosta dall’80%. La rimanente quota (20%) rappresenta le perdite per riflessione sull’assorbitore e di trasmissione solare attraverso il vetro. Naturalmente la condizione operativa di un pannello solare si sposta solitamente verso destra, quindi su valori di efficienza sempre inferiori. Spesso si fa riferimento ad una condizione operativa con:  tm=60 °C  ta=20 °C  G=800 W/m2 cioè t*=0,05 m2K/W cui ci si riferisce con η0,05. Nella Tabella 1 si riassumo i precedenti coefficienti, dichiarati dai 2 costruttori. Tabella 1. Coefficienti del polinomio dichiarati da 2 costruttori. 

II

S

    

K 

N>P.:@ N>P.:@ K

    

Confrontando la (12) con la (20), si capisce come, a parità di tutte il resto, un valore elevato di η0 significhi alte prestazioni nella trasmissione solare del vetro e nell’assorbimento dell’irraggiamento solare da parte della piastra sottostante; un valore basso di a1 (pendenza della curva) significa basse dispersioni termiche. Sia η0 che k1 sono legati al fattore di asporto termico, cioè alla capacità di trasferire il calore dalla piastra al fluido termovettore. Si nota come un elevato fattore di asporto termico influenzi in modo contrastante l’efficienza del pannello, aumentando allo stesso tempo η0 e k1. La condizione operativa media è descritta da η0,05: un valore alto descrive migliori prestazioni complessive, per esempio nell’arco di un anno. Conviene far notare in che modo i risultati sperimentali vengano dichiarati in accordo alla norma UNI EN 12975-2 [3] che è lo standard in materia per la certificazione delle prestazioni dei collettori solari. Secondo tale norma l’efficienza istantanea è espressa da una curva nella forma: 

K K  D

WP  WD §W W ·  D* ¨ P D ¸  * © * ¹

 

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con G0=800 W/m2 e solitamente a catalogo vengono dichiarati i 3 coefficienti η0, a1 (che corrisponde a k1) e a2 (espresso in m2K2/W). 4. I RISULTATI SPERIMENTALI Le misure condotte hanno interessato un collettore solare di dimensioni nominali 1x2 m2; l’assorbitore presenta sempre 8 tubi con 8 alette con larghezza 125 mm, ottenendo una piastra assorbente di poco inferiore ai 2 m2. Qui di seguito si presentano alcuni risultati sperimentali, omettendo per esigenze di esposizione alcuni dettagli realizzativi. 4.1. Il rivestimento dell’assorbitore Per indagare sull’importanza del rivestimento della piastra assorbente, si è condotto un confronto a parità di materiale e geometria dell’assorbitore (rame, 8 tubi ad arpa, diametro esterno 12 mm, spessore aletta 0,2 mm, tubo e aletta saldati agli ultrasuoni), nonché naturalmente di telaio di contenimento, isolamento termico, vetro di copertura. I valori per i coefficienti di assorbimento solare a e emissività termica e per i rivestimenti testati sono i seguenti:  rivestimento CERMET basso-emissivo: α = 0,95, ε = 0,05;  vernice nera selettiva: α = 0,90, ε = 0,4;  vernice nera opaca: α = 0,90-0,95, ε = 0,9. Per i primi due si dispone dei dati dichiarati dai fornitori, per la vernice nera opaca si indica un valore verosimile. In Tabella 2 si mostra l’esempio per un report di misura, con i dati sperimentali utili ad invidiare la curva di efficienza come polinomio approssimatore di 2° grado. Tabella 2. Esempio di report di misura (id 10). 

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Come si nota, all’aumentare della temperatura media del fluido termovettore il salto termico tra ritorno e mandata nel collettore diminuisce, passando da 10 °C per tm=29,9 °C a circa 7 °C per tm=63,5 °C, proprio in ragione delle maggiori dispersioni termiche correlate (ta varia di poco, G è costante).

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Figura 6. Curve di efficienza al variare del rivestimento dell’assorbitore.

I risultati sperimentali (Figura 6) confermano le previsioni da modello numerico: il rivestimento CERMET determina un’efficienza superiore in tutto in campo di lavoro. L’elevato coefficiente di assorbimento solare si traduce in elevato rendimento ottico η0; quest’ultimo è inferiore e pressoché uguale per gli altri due rivestimenti, anche se si nota un lieve vantaggio per la vernice nera opaca che evidentemente presenta un assorbimento solare maggiore rispetto a quella selettiva. Al diminuire dell’emissività termica aumenta l’efficienza dell’assorbitore proprio perchè diminuiscono le dispersioni termiche per irraggiamento nell’infrarosso verso l’ambiente esterno: si nota come l’elevata emissività termica della vernice nera opaca determini una pendenza più marcata nella curva. In definitiva, con le condizioni di laboratorio e per i prototipi misurati, l’efficienza media η0,05 per un pannello solare con assorbitore basso-emissivo vale circa il 40%; utilizzando una vernice selettiva si scende a circa il 35% e con una vernice nera opaca si ottiene un’efficienza media del 25% circa. 4.2. Tipologia di saldatura A parità di materiale e geometria dell’assorbitore (rame, 8 tubi ad arpa, diametro esterno 12 mm, spessore aletta 0,2 mm, vernice nera opaca) e del resto, si è confrontata la tecnica di saldatura:  saldatura agli ultrasuoni;  saldobrasatura.

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Figura 7. Curve di efficienza al variare della tecnica di saldatura.

In questo caso il modello numerico non è d’aiuto, in quanto non in grado di considerare le due diverse giunzioni. Il risultato migliore (Figura 7) si ottiene con la saldobrasatura che evidentemente crea un contatto termico maggiore: può essere un fatto prevedibile se si pensa che la saldatura agli ultrasuoni realizza una giunzione lineare con una zona di contatto piuttosto ristretta. Questo si traduce in un fattore di asporto termico a favore della saldobrasatura che influenza rendimento ottico e pendenza della curva di efficienza. Nelle condizioni medie, l’efficienza η0,05 passa da il 35% al 25% circa. 4.3. Tipologia di giunzione e materiale Si confrontano di seguito le seguenti configurazioni per l’assorbitore solare:  assorbitore in rame, geometria ad arpa (8 tubi da 12 mm e aletta da 0,2 mm), rivestimento basso-emissivo, saldatura agli ultrasuoni;  assorbitore in alluminio, geometria ad arpa (8 tubi da 12 mm e aletta da 0,5 mm), rivestimento basso-emissivo, saldatura agli ultrasuoni;  assorbitore in alluminio, geometria ad arpa (8 tubi da 12 mm e aletta da 1 mm), vernice nera opaca, profilo estruso. Il rame presenta conduttività termica circa doppia rispetto l’alluminio: 386 W/(mK) contro 207 W/(mK). Il modello numerico suggerisce che per ottenere analogo rendimento di aletta è necessario raddoppiare lo spessore dell’aletta stessa (naturalmente a parità del diametro del tubo e del tipo di giunzione). L’indagine sperimentale (Figura 8) ha confermato tale principio: utilizzando un’aletta in rame da 0,2 mm e un’aletta in alluminio da 0,5 mm si è ottenuta una curva

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di efficienza pressoché identica (nei limiti di una misura sperimentale su prototipi), con un’efficienza media η0,05 in entrambi i casi pari a circa il 40%.

Figura 8. Curve di efficienza al variare della tecnica di giunzione e del materiale.

Tale risultato può essere confrontato con la prestazione di un assorbitore in alluminio con tubo e aletta estrusi in un unico profilo, quindi senza giunzione meccanica o saldatura. Per un’estrusione omogenea e senza svergolature, lo spessore dell’aletta non può scendere sotto 1 mm e non essendo possibile depositare uno strato CERMET su tale manufatto, si è utilizzata la vernice nera opaca come rivestimento. La misura ha dimostrato che tale configurazione presenta un fattore di asporto termico superiore a qualsiasi altra tipologia testata, in ragione della migliore giunzione termica realizzata. Questo risultato è rafforzato se si pensa che il profilo estruso è semplicemente verniciato di nero opaco. La curva di efficienza misurata è sempre superiore alle due precedenti, determinando un’efficienza media η0,05 di poco inferiore al 50%. 5. IL PROGETTO FINALE Tralasciando il processo decisionale e l’analisi su tutti gli altri componenti del collettore (telaio di contenimento, isolamento termico, vetro di copertura, sigillatura, guarnizioni, …), l’attività di laboratorio ha permesso di individuare la configurazione ottima del collettore solare e di definire in tal modo i modelli da presentare a catalogo (Tabella 3). In Figura 9 si riportano le curve di efficienza della pre-serie dei collettori sviluppati e selezionati: modello Al-Black (assorbitore in alluminio estruso verniciatore di nero) e Cu-Blue (assorbitore in rame saldato agli ultrasuoni con rivestimento basso-emissivo). Il modello in alluminio presenta efficienza superiore nella zona sinistra del grafico: è la zona di funzionamento caratterizzata da elevato irraggiamento solare e temperatura

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dell’aria esterna moderata, tipici di un clima caldo. Il modello in rame presenta efficienza superiore nella zona centrale e destra del grafico: sono le zone di funzionamento in un clima temperato o freddo. Ecco che in funzione del clima o della stagione in cui si trova a lavorare il collettore solare, risulta più adatto l’uno o l’altro modello. A favore del modello con assorbitore in alluminio attualmente è il costo di realizzazione, legato al costo della materia prima e al costo del rivestimento basso-emissivo, decisamente superiore a quello di una vernice nera opaca. Tabella 3. Dati tecnici dei collettori solari sviluppati. &ROOHWWRUHVRODUH

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Figura 9. Curve di efficienza dei collettori sviluppati.

6. CONCLUSIONI Si è condotta un’indagine sperimentale sulla prestazione energetica di un collettore solare piano, mediante in un impianto di prova indoor. Al variare dei materiali, della geometria e delle configurazioni si è calcolata la curva di efficienza istantanea, individuando in tal modo il peso di ogni soluzione tecnica sulla resa energetica. I risultati hanno permesso di individuare i modelli di collettore da proporre a catalogo, caratterizzati da un rapporto tra resa energetica e costi ben noto già in fase di progettazione. Accanto alla versione con assorbitore in rame con saldature agli ultrasuoni e rivestimento selettivo, si è individuata la versione con assorbitore in alluminio, particolarmente adatta ai climi caldi e da un vantaggio in termini di costo. Tutte le possibili altre soluzioni tecniche sono allo stesso modo già individuate, sia in termini di costo che di efficienza energetica. BIBLIOGRAFIA (1) (2) (3)

R. Lazzarin, Sistemi solari attivi – Manuale di calcolo, F. Muzzio & c. Ed., 1981, Padova. AA.VV., TRNSYS: A Transient System Simulation Program, TRNSYS Manual, Version 16, 2004 (3) UNI EN 12975-2, Impianti solari termici e loro componenti, Collettori solari, Parte 2: Metodi di prova.

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Analisi di possibili soluzioni da fonte rinnovabile nella climatizzazione residenziale e domestica GIUSEPPE STARACE * - MANLIO RANIERI ** * Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione – Università del Salento, Lecce ** Libero professionista, Bari

RIASSUNTO L'entrata in vigore delle modifiche al decreto legislativo n.192/2005, apportate dal Dlgs. n. 311/2006, le forme di incentivazione economica dei governi, come anche la rinnovata attenzione ai cambiamenti climatici in atto e previsti dagli studiosi per il secolo a venire, spingono fortemente l’uso delle energie da fonte rinnovabile, in luogo di quelle da fonte tradizionale. Il caso della climatizzazione residenziale, in cui spesso le scelte sono affidate al singolo utente e dunque soggette a considerazioni principalmente legate alla immediata disponibilità finanziaria, non sempre recepisce le tendenze generali di orientamento e talvolta rischia di vanificare gli sforzi a livello dei governi degli Stati. La presente memoria offre un’analisi comparativa delle soluzioni legate all’utilizzo nel campo domestico dell’energia solare, geotermica e da biomasse, corredata da esempi applicativi ed analisi economiche relative a ciascuna di queste soluzioni, al fine di individuare una misura dell’appetibilità di soluzioni alternative tra di loro o, talvolta, integrate. 1. INTRODUZIONE Anche di fronte ad una consulenza qualificata che suggerisca di sostenere ad un privato un cospicuo investimento iniziale negli impianti termici domestici, a fronte di maggiori economie di esercizio, nella maggioranza dei casi, questi preferisce adottare soluzioni “tradizionali”. Il risparmio in bolletta viene, allo stato attuale, ancora difficilmente percepito come un vantaggio determinante nella scelta degli impianti termici. A questo diffuso atteggiamento sono da attribuirsi la mancata propensione all’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nella climatizzazione domestica e il proliferare di soluzioni da un lato economiche in termini di investimento iniziale, ma, dall’altro, energeticamente scriteriate. Sono un esempio di quanto detto l’ampio utilizzo di impianti di riscaldamento autonomi con caldaie monofamiliari, di gran lunga sovradimensionate solo per far fronte alle richieste immediate di acqua calda sanitaria,

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l’adozione di unità split autonome per singolo ambiente, spesso di infima classe energetica. Negli ultimi anni, tuttavia, per vari motivi, si sta assistendo ad una lentissima presa di coscienza delle problematiche energetiche, complici gli aumenti delle tariffe, alcuni fenomeni o eventi di grosso impatto mediatico come i black-out elettrici, le alluvioni, i periodi di siccità, i paventati surriscaldamento del pianeta e innalzamento delle temperature medie stagionali, forti campagne di sensibilizzazione e la messa a punto di un più convinto ed efficace sistema di incentivazioni per gli interventi di riqualificazione energetica con l’utilizzo di fonti rinnovabili. Per le tecnologie per le quali gli interventi legislativi sono stati più validi si sono registrate le maggiori performance di mercato; per i settori non interessati da forme di incentivazione si osservano, invece, maggiori ostacoli alla diffusione. Resta da sottolineare, inoltre, che l’energia più “pulita” e più “rinnovabile” è certamente quella che non viene prodotta. Questo per evidenziare che prima di installare un qualsiasi impianto termico è fondamentale accertarsi che l’involucro edilizio sia in grado di contenere al massimo le dispersioni termiche e che gli apparati da utilizzare per sfruttare l’energia rinnovabile siano efficienti. Giova infatti ricordare che gli edifici residenziali esistenti hanno efficienze energetiche mediamente scarse, e che una serie di interventi di retrofit su di essi potrebbe portare a risparmi energetici da non sottovalutare, con spese relativamente contenute [1]. Ad uno sguardo attento, è vero che sprecare energia da fonte rinnovabile, sebbene apparentemente gratuita, può risultare economicamente più grave che sprecare energia derivante da combustibili fossili. 2. LE FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI PER LA CLIMATIZZAZIONE RESIDENZIALE Analizzando lo stato attuale delle tecnologie disponibili, appare opportuno limitare le fonti energetiche alle quali ci si può rivolgere. Queste sono costituite dal sole, dal sottosuolo e dalle biomasse. Delle tre la prima è senza dubbio la più incentivata e quella cui ci si riferisce più frequentemente. Questa osservazione non ne sancisce la supremazia in termini energetici. Se il sole presenta il grande vantaggio di rappresentare una fonte energetica del tutto gratuita e direttamente disponibile – al contrario dell’energia geotermica, che in qualche modo deve essere “catturata” artificialmente dal sottosuolo o di quella da biomasse che deve essere curata e coltivata, è vero che essa risulta di disponibilità per nulla costante rispetto all’energia del terreno e più difficile da utilizzare rispetto ad un termocamino alimentato a pellet. Analizzando nel dettaglio le tre fonti energetiche citate, si possono passare in rassegna i modi più consolidati per sfruttarle, ponendosi l’obiettivo di analizzarne i vantaggi e gli svantaggi, nonché le possibili combinazioni. La Tabella I riporta un elenco delle soluzioni maggiormente utilizzate allo stato attuale.

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Tabella I: Possibili utilizzi di fonti energetiche alternative per la climatizzazione residenziale

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Dall’elenco delle fonti appena indicato sono state omesse due fonti energetiche molto utilizzate per la produzione di energia su larga scala: il vento e l’acqua. Queste sono, allo stato attuale e per questi scopi le più sfruttate in Italia. Al livello delle piccole utenze, tuttavia, la diffusione di micro-turbine eoliche risulta altamente dispendiosa rispetto agli scarsi rendimenti ottenibili con installazioni su piccola scala. Per l’idroelettrico, installazioni di piccola taglia sono assolutamente sconvenienti, oltre che tecnicamente complesse. 3. LA FONTE ENERGETICA COSTITUITA DAL SOLE L’energia solare è la fonte energetica rinnovabile che raccoglie la maggiore attenzione da parte di operatori del settore degli impianti termici e degli utenti finali. Se ne parla con riferimento ai pannelli solari termici e a quelli fotovoltaici, talvolta omettendo colpevolmente di sottolineare quanto il suo uso diretto e consapevole consenta di conseguire risparmi notevoli. Allo stato attuale, di sicuro le tecnologie di soddisfazione delle esigenze termiche degli edifici da fonte solare più consolidate sono: • il riscaldamento dell’acqua sanitaria mediante collettori solari, con accumuli ben coibentati e ad alta stratificazione, • il riscaldamento degli ambienti mediante collettori solari e un sistema di distribuzione adeguato, ad ampia superficie radiante, quale ad esempio i pannelli radianti [2] • la produzione di energia elettrica mediante pannelli solari fotovoltaici, utile ad alimentare una pompa di calore elettrica con ciclo a compressione di vapore [3]. Se raccogliere energia solare tramite pannelli solari termici evita passaggi multipli e conseguenti perdite, è anche vero che rimane l’esigenza di una integrazione con altra fonte termica, per il caso di assenza o insufficienza di radiazione solare rispettivamente durante la notte e in una giornata nuvolosa, e che non vi è possibilità di soddisfare direttamente le esigenze di raffrescamento estivo.

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Figura 1.a: Flussi energetici per l’impianto cstituito da pannelli solari fotovoltaici e pompa di calore

La soluzione di convertire l’energia solare in energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici presenta, al contrario, lo svantaggio di una trasformazione in più (tra l’altro con rendimenti molto scarsi, di poco superiori al 10%), ma permette di effettuare climatizzazione sia estiva che invernale; grazie ai meccanismi di “scambio sul posto” con l’ente di gestione della rete elettrica è possibile sfruttare, infatti, tutta l’energia prodotta, non essendovi necessaria contemporaneità tra la produzione di energia e il suo utilizzo locale. A queste considerazioni bisogna aggiungere che la produzione di energia mediante pannelli fotovoltaici è quella coperta dalla più redditizia fonte di incentivazione statale, il “Conto Energia”, e pertanto appare ancora più appetibile. Più complicato dal punto di vista impiantistico, ma certamente con promettenti prospettive future, è integrare i collettori solari termici con un chiller ad assorbimento [4]. Questo sfrutterebbe, durante la stagione calda, l’energia termica prodotta dai pannelli solari e consentirebbe la sostituzione di un climatizzatore elettrico. L’integrazione non potrebbe avvenire senza ripercussioni sull’impianto originario per il fatto che le temperature dell’acqua necessarie all’attivazione del ciclo ad assorbimento sono più elevate di quelle raggiunte con il ricorso a pannelli solari ordinari. Si dovrebbero, allora, utilizzare pannelli sotto vuoto, maggiormente costosi. Si tratta, dunque, di una soluzione che supera i limiti più gravi degli impianti indicati in precedenza. Un grave ostacolo alla diffusione di questa tecnologia è certo nei costi elevati, soprattutto per il gruppo frigorifero ad assorbimento. I grafici delle figure 1 e 2 illustrano le differenze fra le tre soluzioni in termini di utilizzo dell’energia disponibile, costi di installazione e vantaggi dell’investimento.

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(QHUJLDSHUVDQHO VHUEDWRLRGLDFFXPXOR  (QHUJLDSHUVDSHU VLVWHPDGLGLVWULEX]LRQH  (QHUJLD8WLOH

Figura 1.b: Flussi energetici per l’impianto con solare termico per solo riscaldamento

Figura 1.c: Flussi energetici per l’impianto con pannelli solari termici sotto vuoto e gruppo refrigeratore ad assorbimento (caso estivo. Per il caso invernale vedi fig. 1.b)

Figura 2: Confronto dei costi di impianto e relativi VAN per applicazioni solari

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I costi di impianto ed i relativi VAN1 sono stati ricavati con le seguenti ipotesi: • Abitazione isolata di circa 150 m2, ad alta efficienza energetica con valore dell’indice di prestazione energetico per la climatizzazione invernale secondo Dlgs. 311/06 pari a 35 kWh/(m2 anno) • Impianto fotovoltaico a totale copertura del fabbisogno energetico per la climatizzazione estiva ed invernale • Campo solare di alimentazione del refrigeratore ad assorbimento a copertura del 70% del fabbisogno totale per la climatizzazione estiva ed invernale. Il restante 30% dell’energia termica è integrato mediante gas metano • Campo solare di alimentazione all’impianto di riscaldamento a copertura del 70% del fabbisogno invernale. Il restante fabbisogno estivo ed invernale è ottenuto mediante pompa di calore elettrica • Impianto di climatizzazione a pannelli radianti • Impianti di riferimento per calcolare i risparmi economici in bolletta e la differenza del valore dell’investimento (necessari ai fini del calcolo del VAN): riscaldamento con caldaia standard a metano (rendimento 90%) e raffrescamento con gruppo refrigeratore avente EER 2,5 • Sfruttamento della detrazione IRPEF del 55% per il solare termico ed altri interventi di incremento dell’efficienza energetica; sfruttamento anche del sistema dei certificati bianchi (tranne per il caso del fotovoltaico, perché non cumulabili con il Conto Energia) Nella tabella II sono riportati i valori stimati dei costi di impianto utilizzati per il calcolo dell’investimento. Tabella II: Costi stimati degli investimenti J

62/$5()27292/7$,&2 3G&(/(775,&$

62/$5(7(50,&23(5 62/25,6&$/'$0(172 3G&(/(775,&$ 62/$5(7(50,&2 5()5,*(5$725($' $6625%,0(172

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3RPSDGLFDORUH ,PSLDQWRGLGLVWULEX]LRQH 3DQQHOOLVRODUL 5HIULJHUDWRUHDGDVVRUELPHQWR ,PSLDQWRGLGLVWULEX]LRQH

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1

Per il Valore Attuale Netto (VAN) dell’investimento, che rappresenta il valore, attualizzato alla data dell’investimento, dei guadagni che questo frutta, al netto della spesa iniziale, vale la relazione: )& M 9$1 ¦  ,R  M M   5 dove Io rappresenta l’investimento iniziale, FCj i flussi di cassa di ciascun anno j (ossia i profitti derivanti dall’investimento al netto delle eventuali spese, nel caso di specie rappresentati dai risparmi in bolletta), R il tasso di interesse.

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I costi d’impianto appaiono dal più alto al più basso nell’ordine seguente: la soluzione con pannelli fotovoltaici e pompa di calore elettrica presenta la spesa iniziale più alta di tutte, mentre quella dei pannelli solari termici per solo riscaldamento è la più bassa. Analizzando le rese energetiche e la percentuale di utilizzo durante tutto l’arco dell’anno (estate ed inverno), sembrerebbe che l’impianto più conveniente sia quello con pannelli solari termici associati al gruppo ad assorbimento [5]. In questo caso il costo del refrigeratore incide in maniera rilevante, in quanto la tecnologia non è particolarmente diffusa, soprattutto per le potenze medio-basse. Una sensibile riduzione di questi costi porterebbe a dei risultati interessanti. Nel calcolo del VAN di soluzioni concorrenti per il residenziale emerge che l’incentivazione è l’elemento maggiormente determinante ai fini della scelta tra soluzioni alternative. Allo stato attuale l’unica tecnologia premiata nell’investimento è quella del solare fotovoltaico, che non è quello maggiormente efficiente. Quanto al calcolo delle emissioni evitate di CO2, con l’utilizzo dei sistemi da fonte rinnovabile fin qui presi in considerazione in alternativa agli impianti tradizionali, si è proceduto ai calcoli riassunti nel grafico di figura 3. A questi dati si perviene considerando che, in Italia, per ogni kWh elettrico prodotto, si immettono in atmosfera circa 0,58 kg di CO2, mentre per ogni kWh termico prodotto da una caldaia autonoma tradizionale 0,2 kg di CO2. La climatizzazione estiva tradizionale è stata ipotizzata ricorrendo ad un chiller di EER pari a 2,5. 4. LA FONTE ENERGETICA COSTITUITA DAL SOTTOSUOLO Il funzionamento di una pompa di calore geotermica è quello di una normale pompa di calore con ciclo a compressione di vapore realizzato con una sorgente termica costituita dal terreno. Attraverso lo scambio fluido-terreno (tramite una rete di scambiatori costituiti da tubazioni opportunamente dimensionate), si può sfruttare la modesta variabilità della temperatura del terreno durante l’intero anno, e ottenere efficienze di funzionamento sensibilmente più alte rispetto a quelle di una comune pompa di calore aria-acqua, risparmiandosi anche di dover affrontare il fastidioso problema dello sbrinamento dell’evaporatore [6]. Una normale pompa di calore acqua-acqua , abbinata ad uno scambiatore geotermico e ad un impianto di distribuzione a bassa temperatura (a pannelli radianti o a fan-coil) può raggiungere valori di COP intorno a 4,5 mantenendoli pressoché costanti per tutta la stagione invernale. La pompa di calore geotermica può servire l’impianto anche durante la stagione estiva, per il raffrescamento degli ambienti, lavorando anche in questo caso in condizioni termodinamiche assolutamente favorevoli, questa volta in condensazione, rimuovendo le difficoltà di gestione dell’impianto tipiche delle giornate particolarmente calde e raggiungendo un EER elevato e in maniera quasi indipendente dalle oscillazioni giornaliere della temperatura esterna. I costi d’impianto per una pompa di calore geotermica si rivelano piuttosto elevati per piccole applicazioni, in special misura quando l’installazione delle sonde geotermiche debba essere eseguita senza sfruttare lavori di sbancamento già previsti per il cantiere. Una sonda geotermica verticale in opera a servizio dell’abitazione da 150 m2

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Figura 3: CO2 evitata con l’utilizzo delle tecnologie da fonte solare

presa ad esempio in questo lavoro può costituire un costo pari anche a più dell’a metà dell’intera spesa prevista I risparmi di esercizio stentano a giustificare questo tipo di soluzione per utenze residenziali monofamiliari [7]. Per sonde orizzontali di tipo semplice o di tipo slinky, si possono ottenere, sempre per questo tipo di applicazioni, risparmi davvero ridotti, dovendo, inoltre, riservare molta superficie alla posa degli scambiatori. Comparando la pompa di calore geotermica con il solare termico abbinato ad un chiller ad assorbimento, si ottengono i risultati rappresentati in figura 4, in termini di VAN e di CO2 evitata.

Figura 4: Confronto fra Chiller ad assorbimento servito da campo solare e pompa di calore geotermica

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I costi dell’impianto e il VAN sono più vantaggiosi nel caso di pompa di calore geotermica, anche se questa soluzione promette un minore risparmio sulle emissioni di CO2. Questo è dovuto principalmente al fatto che la pompa di calore geotermica considerata è elettrica e che in Italia l’acquisto di energia elettrica è dispendioso. Per abbattere i costi degli scambiatori acqua-terreno si può ricorrere a soluzioni alternative. Possono esistere situazioni in cui è disponibile una certa quantità d’acqua in serbatoi interrati a servizio di altri scopi, che può essere utilizzata per scambiare calore con il terreno; nel caso di un condominio in città, potrebbe essere il caso di una riserva idrica anti-incendio, mentre nel caso di una abitazione isolata fuori città, di una cisterna di raccolta di acqua piovana per uso irriguo. Per una vasca di raccolta di acqua piovana di forma cubica e volume pari a 3000 litri (volume utile per irrigare un giardino di circa 200 m2) e con pareti in calcestruzzo non isolato con una superficie di scambio pari a circa 10 m2 si può riuscire a scambiare con il terreno una potenza termica superiore a 10 kW, avendo già considerato che non tutta la superficie di scambio è a contatto con il terreno in profondità. Per il caso della abitazione isolata da 150 m2 di superficie coperta, nell’ipotesi che questa casa abbia a disposizione una cisterna di raccolta dell’acqua piovana, risulterebbe possibile eliminare quindi, quasi del tutto la spesa relativa all’acquisto e alla posa in opera dello scambiatore geotermico che gravava sul costo dell’impianto, riducendo l’investimento a quello di un impianto ordinario a pompa di calore (salvo le maggiori spese per l’impianto idrico di adduzione al serbatoio interrato). 5. LA FONTE ENERGETICA COSTITUITA DALLE BIOMASSE Nella pratica si definiscono con il termine biomasse tutte le sostanze di origine biologica non fossile. Per quanto riguarda questo lavoro, le biomasse interessano in quanto combustibile e, perciò, in quanto possibile fonte di energia termica. Ad oggi la biomassa più facilmente reperibile sul mercato e con ottime proprietà fisiche (buon potere calorifico) è rappresentata dal pellet. Il pellet è un agglomerato di trucioli di segatura e scarti di lavorazione del legno, pressati meccanicamente fino ad ottenere alte densità e piccoli volumi. Esso può presentare eccellenti caratteristiche (alto contenuto energetico, facile trasportabilità, basso contenuto di ceneri, costi ragionevoli); di conseguenza le caldaie alimentate da pellet appaiono la tecnologia più immediata per utilizzare biomasse per la climatizzazione. Allo stato attuale esiste, inoltre, una tecnologia per produrre un olio combustibile di caratteristiche praticamente identiche al gasolio (il “biodiesel”) a partire da oli vegetali di vario tipo. Esso potrebbe essere utilizzato per il revamping delle caldaie a gasolio ancora oggi presenti sul territorio nazionale, senza necessità di particolari modifiche d’impianto. Con costi di riconversione trascurabili si potrebbe evitare l’immissione in atmosfera di grandissime quantità di CO2. Se si ipotizza di riconvertire un impianto di riscaldamento centralizzato di un edificio con 20 appartamenti da 80 m2 ciascuno, assumendo che ogni appartamento presenti un indice di prestazione invernale pari a circa 60 kWh/m2anno risulterebbe che

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l’intero palazzo ha un fabbisogno di energia termica invernale pari a 96.000 kWh/anno (FETedificio). La produzione di energia termica con una vecchia caldaia a gasolio, per la quale può ipotizzarsi un rendimento globale pari a 0,8, causerebbe una immissione in ambiente di CO2 pari a 0,3 kgCO2/kWhtermico. Il fabbisogno di energia primaria tiene naturalmente conto del rendimento della caldaia, per cui sarebbe pari a 120.000 kWh/anno. (FEPedificio=FETedificio/h) La produzione di CO2 ai fini del riscaldamento dell’edificio varrebbe allora 36.000 kgCO2/anno (PCO2=120.000 x 0,3). Considerando che gli edifici riscaldati con caldaie a gasolio sono ancora numerosi e che la recente legislazione tende a disincentivare il passaggio da impianti centralizzati ad impianti autonomi, si può facilmente intuire come il ricorso al biodiesel possa rappresentare una soluzione interessante dal punto di vista ambientale, soprattutto se abbinata all’introduzione di contabilizzatori dell’energia consumata e migliori sistemi di regolazione climatica, che costituiscono comunque interventi dai costi limitati. Per battere questa strada bisogna, tuttavia, superare l’ostacolo del maggior costo del biodiesel rispetto al gasolio tradizionale; su questo aspetto non vi è ancora sensibilità in questo senso a livello politico in Italia. Allo stesso modo si può pensare di utilizzare biogas ottenuto mediante gassificazione o pirolisi da biomasse di varia natura [8] in sostituzione del gas naturale. Questi processi di produzione di bio-combustibili gassosi, fra l’altro, appaiono economicamente competitivi ed in rapida espansione, per cui non ne è da escludere una diffusione su larga scala. Nemmeno è da escludere la possibilità di ricorrere a un bruciatore a biodiesel o a biogas per l’alimentazione di un gruppo ad assorbimento per la climatizzazione estiva e con funzioni di semplice caldaia per il riscaldamento invernale: questa soluzione presenterebbe costi di impianto sensibilmente più bassi rispetto a quelli in cui il refrigeratore ad assorbimento è asservito da pannelli solari termici, ma costi di esercizio sicuramente più alti perché la biomassa si acquista, mentre l’energia del sole no. Questa soluzione è interessante solo se si già si dispone di una caldaia a gasolio funzionante efficacemente riconvertibile o di biomasse a basso costo (scarti di potatura o di lavorazioni agricole), in assenza di spazi adeguati per l’installazione dei pannelli solari. 5.1. Le biomasse per la cogenerazione Alle biomasse si può attingere anche per la cogenerazione su scala ridotta (microcogenerazione). Il motivo di questa scelta è legato principalmente a due aspetti: il primo è la scarsa disponibilità sul commercio di micro- o mini- cogeneratori, il secondo, più importante, è che per un edificio residenziale non esiste una utenza termica sufficiente, che smaltisca l’energia termica proveniente dal cogeneratore. Il pieno sfruttamento avviene solo durante la stagione invernale per il riscaldamento degli ambienti e per la produzione di acqua sanitaria. Questo va a danno della convenienza economica dell’investimento. Attualmente le soluzioni proposte nel campo della cogenerazione applicata alla climatizzazione degli ambienti sono tutte concentrate all’utilizzo di un motore a

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combustione interna che produce energia elettrica per alimentare una pompa di calore per la climatizzazione, con un recuperatore che utilizzi il calore di scarico dello stesso motore per riscaldare l’acqua destinata agli impianti idrico-sanitari. Una soluzione di questo tipo può usufruire del meccanismo di incentivazione legato ai certificati bianchi, nonché di quello dei certificati verdi nel caso in cui si usi come combustibile una qualsiasi biomassa. In quest’ultimo caso vi sarebbero benefici notevoli sia in termini economici, a patto di riuscire a contenere i costi di impianto, dovuti, per una fetta consistente, al costo del cogeneratore, sia in termini ambientali. Su questo argomento sono presenti numerosi studi,in letteratura, come ad esempio quello dell’Università di Pisa [9] che si è occupata nello specifico di cogenerazione di piccola potenza da biomassa. In quella sede sono state confrontate diverse soluzioni, tra le quali la più conveniente è risultata quella costituita da una turbina a gas alimentata da una caldaia a biomasse. E’ stato, inoltre, effettuato un confronto fra vari tipi di biomasse, per determinare quella che porta ad una maggiore convenienza di utilizzo. La sperimentazione effettuata ha avuto ad oggetto una micro-turbina a gas da 100 kWe, utile all’alimentazione di un intero condominio. I risultati ottenuti possono essere sintetizzati nella tabella III. Tabella III – Principali dati dell’utilizzo di un impianto cogenerativo di 100 kWe S S 5HQGLPHQWRHOHWWULFR 5HQGLPHQWRFRPSOHVVLYRGHOFRJHQHUDWRUH &RVWRGHOO¶LPSLDQWRGLVRODFRJHQHUD]LRQH &RVWLGHOODELRPDVVDXWLOL]]DWDFRPHFRPEXVWLELOH &RVWLGLPDQXWHQ]LRQH 5LFDYLGDOODYHQGLWDGLHQHUJLDLQHFFHGHQ]D 5LFDYLGDOODYHQGLWDGHLFHUWLILFDWLYHUGL 5LFDYLGDOODYHQGLWDGHLFHUWLILFDWLELDQFKL

J

  ¼N:H GDD¼WRQ ¼N:KH ¼N:KH ¼N:KH ¼N:KW

Ai ricavi indicati in tabella III vanno aggiunti i risparmi per energia elettrica non acquistata e per energia termica non prodotta. Vi sono, inoltre, in fase avanzata di studio, anche diversi progetti relativi alla micro-cogenerazione, di possibile interesse per il settore della climatizzazione residenziale [10]. Esistono ad oggi sul mercato diverse case produttrici di apparecchiature per la produzione combinata di energia elettrica e termica di piccola potenza. Il limite della maggior parte di queste applicazioni è quello di utilizzare, nella maggior parte dei casi, combustibili fossili. Sebbene questo possa consentire un interessante risparmio energetico, per gli scopi di questo lavoro è più interessante riferirsi alle soluzioni alimentate a biomasse. Va rilevato che, allo stato attuale delle cose, questa tecnologia è ancora in fase di evoluzione; risulta, pertanto, difficile effettuare un confronto in termini di costi e di benefici con le altre soluzioni fin qui descritte, che sono già molto più consolidate.

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6. L’USO COORDINATO E CONTEMPORANEO DI PIÙ TECNOLOGIE DA FONTE RINNOVABILE Lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile può essere contemporaneo e ciò ottiene lo scopo di raggiungere risultati di efficienza più alti per il fatto di superare i limiti delle singole tecnologie. E’ possibile individuare più possibili interazioni tra le quali la prima presa in considerazione è quella dalla pompa di calore geotermica assistita da fonte solare [11]. L’idea consiste nello sfruttare l’acqua calda prodotta da un collettore solare termico per innalzare la temperatura di evaporazione durante la stagione invernale. Questo consente di ridurre la dimensione del pannello solare rispetto al caso in cui esso venga usato direttamente per l’alimentazione dei terminali di riscaldamento e di ottenere una continuità di esercizio anche in mancanza di sole. Lo schema impiantistico è riportato in figura 5: L’acqua riscaldata dal collettore solare viene inviata al circuito di scambio termico fra il terreno e l’acqua dell’evaporatore, miscelandovisi in maniera opportuna e innalzandone la temperatura a valori più alti di quelli possibili con il solo effetto geotermico. In questo modo il funzionamento della pompa di calore migliora sensibilmente, fino ad ottenere valori di COP anche superiori a 5, in quanto la temperatura di evaporazione può essere innalzata fino al suo limite costituito dal minimo rapporto di compressione sopportabile dal compressore.

Figura 5: Pompa di calore geotermica con integrazione solare

Per questa soluzione bisogna prevedere di smaltire tutta l’energia captata dal collettore solare durante l’estate (a meno del suo utilizzo diretto come acqua sanitaria), stagione in cui l’acqua calda in circolo al condensatore della pompa di calore risulterebbe controproducente ai fini dell’efficienza dell’impianto. E’ necessario, allora, dotarsi di sistemi di smaltimento del calore o di inibizione della capacità del pannello di captare l’energia solare.

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La figura 6 illustra i flussi energetici di questa soluzione:

Figura 6: Flussi energetici per pompa di calore geotermica assistita da fonte solare

La scelta di una pompa di calore geotermica è compatibile anche con l’utilizzo di un pannello fotovoltaico. In questo caso essa potrebbe alimentarsi dell’energia elettrica prodotta a partire da quella solare, con il vantaggio di dovere disporre di una superficie captante inferiore grazie alla migliore efficienza di una pompa di calore geotermica rispetto ad una tradizionale. Più interessante appare, invece, la possibilità di combinare solare termico e fotovoltaico; alcuni studiosi delle università di Hong Kong e di Hefei [13] hanno sviluppato una metodologia per sfruttare a loro vantaggio due effetti negativi dei pannelli solari fotovoltaici. E’ noto, infatti, che più del 80% dell’energia solare incidente su un collettore fotovoltaico non riesce ad essere trasformata in energia elettrica, ma viene accumulata sotto varie forme, la più importante delle quali è l’energia termica. L’innalzamento di temperatura del pannello causa , inoltre, un ulteriore decadimento delle prestazioni della stessa sua efficienza. L’idea consiste nel raffreddare il pannello mediante acqua per evitare questo effetto di decadimento dovuto alle alte temperature, utilizzando l’acqua calda così ottenuta per usi sanitari o di intergazione al riscaldamento degli ambienti all’interno dell’involucro edilizio (figura 7). Un vantaggio ulteriore può essere ottenuto sovrapponendo questo pannello “termico-fotovoltaico” ad una parete dell’edificio, avendo cura di scegliere quella con l’orientamento più favorevole. In questo modo si incrementa l’isolamento della parete, con vantaggi evidenti ai fini delle dispersioni termiche, e perciò dei consumi durante tutto l’anno. Lo studio citato ha evidenziato uno sfruttamento di circa il 39% dell’energia solare

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incidente per utenze termiche, un lieve incremento del rendimento del generatore fotovoltaico e una riduzione di quasi il 50% della potenza necessaria per la climatizzazione estiva nei locali che hanno come parete esterna quella ricoperta dal pannello.

Figura 7: fotografia e schema impiantistico di pannelli solari termici – fotovoltaici (PVT)

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La figura 8 rappresenta i flussi energetici relativi a questa soluzione solare integrata:

Figura 8: Flussi energetici per sistema solare combinato fotovoltaico-termico

7. CONCLUSIONI L’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile nella climatizzazione residenziale è ancora ad uno stadio di poca diffusione rispetto alle sue potenzialità per effetto dei costi di impianto elevati. Allo stato attuale sembra molto difficile far breccia ad un livello culturale così capillare e tanto soggetto a considerazioni puramente economiche solo di breve periodo. L’intervento degli enti pubblici mediante incentivi risulta ancora fondamentale per la diffusione di massa dell’energia rinnovabile e ne è esempio lampante il campo del fotovoltaico. Un’altra strada da percorrere, tuttavia, per incrementare l’efficienza e l’appetibilità delle soluzioni da fonti rinnovabili appare quella di combinarne più d’una al fine di sfruttare al meglio le caratteristiche positive di ciascuna di esse, ottimizzandone in questo modo l’efficienza e massimizzando il risparmio nel loro esercizio . Giova, comunque porre l’accento sul fatto che le prime verifiche da attuare prima dell’investimento in un impianto termico è fondamentale ridurre al massimo i consumi dell’utenza, provvedendo a involucri edilizi ben isolati, ben orientati e ad una strategia di utilizzo consapevole. L’utilizzo della fonte rinnovabile non legittima alcuno spreco di energia.

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Sistema modulare di ottimizzazione integrata edificio-impianto per la valutazione di tecnologie di climatizzazione innovative GIUSEPPE CORALLO, MARCO CITTERIO, LUCA BRODOLINI (*) ENEA-Dipartimento TER; (*) Università degli Studi ROMA3

RIASSUNTO Lo studio comparativo di tecniche innovative per la climatizzazione degli edifici, nella ricerca del miglior compromesso costi/benefici, porta a considerare l’ impianto come non separabile né dal particolare edificio dove deve essere collocato, né dalle condizioni meteorologiche della località dove tale edificio sorge. Per tenere conto di questo fatto è stato approntato un sistema di calcolo modulare, basato sul software TRNSYS , che permette di simulare contemporaneamente sia l’edificio che l’ impianto per ottimizzarne i parametri di funzionamento, anche in relazione alle condizioni meteorologiche del luogo prescelto. L’ ottimizzazione viene effettuata con una routine esterna basata su metodi evoluzionistici, facendo variare contemporaneamente alcuni parametri scelti a piacere tra quelli di maggior interesse, al fine della minimizzazione del tempo di Pay-Back, con riferimento ad una configurazione standard di paragone composta da una caldaia e da un condizionatore a compressore elettrico. 1. INTRODUZIONE L’impiego di modelli di simulazione per la progettazione e la verifica delle prestazioni energetiche di edifici ed impianti, sta diventando sempre più una pratica diffusa. Questo avviene soprattutto grazie alla maggiore disponibilità di potenza di calcolo, ma anche grazie ad un deciso miglioramento delle interfacce utente della maggior parte dei programmi di simulazione. In particolare questo secondo aspetto, consentendo un più rapido inserimento dei dati necessari a definire i sistemi oggetto di studio, allevia notevolmente il lavoro di preparazione del modello di calcolo e rende in tal modo questa attività, un tempo eminentemente appannaggio di centri di ricerca, possibile anche per gli studi professionali. La maggiore disponibilità di modelli di calcolo avanzati consente quindi di realizzare un dimensionamento migliore dei sistemi impiantistici, in relazione sia alle caratteristiche termofisiche che alle condizioni d’uso degli edifici ad essi collegati, ma

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anche e soprattutto alle condizioni climatiche del sito in cui il sistema edificio impianto è localizzato. Questo avviene grazie al fatto che i modelli più affidabili effettuano calcoli dinamici e possono quindi tener conto di tutti quei fenomeni transitori che influenzano notevolmente le prestazioni di un sistema energetico. Questa evoluzione delle potenzialità di calcolo e progettazione ben si inserisce in un quadro di crescente interesse per l’impiego delle fonti rinnovabili nel funzionamento degli edifici. Molti dei fenomeni connessi con l’uso delle rinnovabili e, per esempio, dei sistemi di illuminazione e ventilazione naturale, infatti, richiederebbero un sistema di calcolo dinamico sia dell’impianto che dell’edificio. D’altra parte, la possibilità di ricorrere, abbastanza agevolmente, a questi strumenti, mette a disposizione dei progettisti una nuova metodologia di approccio alla progettazione, in grado di produrre una messe di dati e di informazioni inimmaginabile fino a pochi anni fa. La flessibilità insita nella maggior parte dei modelli in oggetto, infatti, consente di variare moltissimi parametri di qualunque sistema sul quale si intenda voler realizzare uno studio approfondito. In particolare, gli impianti che integrino fonti rinnovabili richiedono in genere un notevole sforzo di valutazione delle diverse possibili soluzioni e configurazioni (dimensionamento degli elementi captanti, degli accumuli, dei sistemi di integrazione) in relazione ai profili di carico ipotizzabili. Il numero delle variabili in gioco è quindi considerevole, e l’esplorazione di tutte le possibili combinazioni richiederebbe l’esecuzione, in alcuni casi, di centinaia di simulazioni. Da tutte queste considerazioni nasce dunque l’importanza di poter disporre di un sistema che non solo gestisca l’esecuzione di questo gran numero di simulazioni, ma che sia anche in grado di ridurre considerevolmente il numero di casi da esplorare, riducendo i tempi di calcolo, e di individuare la configurazione ottimale del sistema oggetto di studio in base a parametri tecnico – economici. Lo scopo di questo lavoro è dunque quello di sviluppare uno strumento di ottimizzazione di sistemi energetici complessi, basato sulla esecuzione di simulazioni dinamiche del sistema edificio-impianto. Le simulazioni dinamiche sono state realizzate utilizzando il codice TRNSYS. 2. IL CODICE TRNSYS Il codice TRNSYS (Transient System Simulation Program) è stato sviluppato negli anni 70 dall’Università del Wisconsin. Si tratta di un ambiente per la simulazione di sistemi dinamici, inclusi gli edifici multizona. Il codice nasce essenzialmente per la simulazione di sistemi solarizzati (collettori solari, accumulo, etc.) ma rapidamente il suo impiego viene esteso all’uso per la simulazione di edifici prima e di altri impianti poi. La grande diffusione del TRNSYS è stata favorita innanzitutto dalla sua estrema flessibilità, essendo un codice modulare nel quale l’utente può configurare il sistema oggetto di studio a suo piacimento, inserendo i maggiori dettagli possibili (tubi, pompe, valvole, serbatoi, sistemi di controllo etc.). Un altro punto di forza di TRNSYS è costituito dal fatto che si tratta di un codice aperto, il

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che consente a qualunque utente, purché dotato di competenze informatiche sufficienti, di realizzare il proprio modello di uno specifico componente, qualora esso non sia reperibile fra le centinaia di componenti già validati e disponibili nelle librerie del codice. Questa facilità di inserimento di nuovi componenti (TYPES) ha quindi favorito sia la grande diffusione del codice che la grandissima disponibilità di componenti sviluppati dai ricercatori di tutto il mondo. TRNSYS viene comunemente utilizzato per lo sviluppo di configurazioni di sistemi energetici innovativi: dal semplice sistema di produzione di acqua calda, alla progettazione dei sistemi edificio/impianto, compresi i sistemi e le strategie di controllo, il comportamento degli occupanti, i sistemi che utilizzano energie rinnovabili (fotovoltaico, solare termico, eolico, celle a combustibile) o sistemi di microcogenerazione. Il modulo che simula l’edificio è basato sul metodo delle funzioni di trasferimento; la descrizione dell’involucro edilizio, dei guadagni solari, dei guadagni interni avviene per mezzo di un preprocessore che facilita l’immissione dei dati e che rende disponibile in libreria le caratteristiche termofisiche di un notevole numero di materiali edilizi e la composizione di moltissime tipologie di pareti e solai. Le condizioni climatiche della località in cui si trova il sistema oggetto di studio possono essere definite per mezzo di files contenenti i dati meteorologici delle principali località italiane ed europee. Il sistema è dotato di un processore solare in grado di calcolare, a partire dalla radiazione misurata sull’orizzontale, la radiazione solare diretta e diffusa su una superficie comunque orientata ed inclinata. Il codice calcola, ad ogni time step definito dall’utente, tutte le grandezze necessarie a caratterizzare il comportamento energetico del sistema oggetto dello studio. Nel caso di un edificio, per esempio, vengono calcolate la temperatura e l’umidità dell’aria interna, la quantità di energia impiegata dall’edificio per mantenere la temperatura desiderata, l’energia che è entrata per effetto dei guadagni solari, quella che si è dovuta impiegare per il trattamento dell’aria. 3. STRUTTURA DEL CODICE DI CALCOLO Il codice sviluppato è costituito da una programma principale che permette di scegliere i parametri da ottimizzare (superficie di pannelli solari; volumi di accumulo; potenza di generatori termici etc.), per una data configurazione edificio-impianto descritta virtualmente col TRNSYS. Il valore aggiornato dei parametri da ottimizzare viene di volta in volta inviato al TRNSYS, trattato come una semplice subroutine che rimanda indietro i consumi energetici ricalcolati. Tali consumi vengono inviati dal programma principale alla subroutine che calcola la Funzione Obiettivo (F.O.) da minimizzare, nel nostro caso il tempo di Pay-Back (PBT) della configurazione edificio-impianto prescelta. La subroutine della F.O. a sua volta ne richiama altre necessarie al suo calcolo e rinvia il valore calcolato alla routine di ottimizzazione. Il calcolo viene iterato cambiando opportunamente i parametri mediante un

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opportuno algoritmo di minimizzazione, sino al raggiungimento del loro ottimo ai fini della minimizzazione della F.O. Quando la F.O. è il PBT della configurazione prescelta, la subroutine della F.O. riceve da altre subroutines i valori aggiornati dei costi di esercizio e di impianto insieme a quelli di una configurazione di riferimento, costituita dallo stesso edificio dotato di impianto tradizionale, caldaia standard a metano e condizionatore d’ aria a compressore elettrico. I costi dell’ energia vengono calcolati con precisione in base ai contratti di fornitura in vigore nel luogo dove sorge l’ edificio, tenendo conto di tariffe e tasse, e dai consumi annui di elettricità e di gas determinati di volta in volta dal TRNSYS durante le iterazioni.

Fig. 1 - Schema di flusso del programma di ottimizzazione

4. ALGORITMO DI MINIMIZZAZIONE Particolare cura è stata dedicata alla scelta dell’ algoritmo di minimizzazione perché il compito da svolgere è stato il trattamento di una funzione chiaramente non analitica che si presentava assai complessa e con caratteristiche ignote relativamente a linearità ed eventuali punti di discontinuità rispetto alle variabili da ottimizzare.

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Per tale motivo si è pensato sin dall’ inizio di evitare metodi di convergenza basati sul calcolo delle derivate di tali variabili. L’algoritmo scelto per questo lavoro è il PSO (Particle Swarm Optimization) [1] considerato uno degli strumenti migliori nel contesto degli algoritmi evolutivi, caratterizzati dalla capacità di adattamento, cioè la possibilità di modificare la propria struttura durante l’evoluzione al fine di migliorare la performance dell’algoritmo stesso. Il PSO è stato sviluppato nel 1995 da uno psicologo, James Kennedy, ed un ingegnere elettronico, Russel Eberhart, i quali si interessarono ai primi esperimenti per la modellizzazione del comportamento sociale in molte specie di volatili. In particolare concentrarono la loro attenzione sul modello sviluppato dal biologo Heppner. L’analogia con il problema di ottimizzazione può essere definita come: • Individui: configurazioni di tentativo che si spostano e campionano la funzione obiettivo in uno spazio reale a N dimensioni. • Interazione sociale: un individuo trae vantaggio dalle ricerche degli altri dirigendosi verso la regione del punto migliore globalmente trovato. La caratteristica che risulta essere importante, nella ricerca dell’ottimo, è legata al concetto di vicinanza. Infatti ogni singolo individuo è influenzato dalle azioni degli individui ad esso più vicini: secondo Kennedy ed Eberhart se la propagazione dell’informazione avviene attraverso dei sotto-gruppi, questo basta a garantirne la globale conoscenza a tutto il gruppo.

Fig.2 - Influenza tra le particelle [2].

In tal modo la particella ‘a’ risente delle azioni di ‘b,c,d’ anche se si sono allontanate reciprocamente. Si considerano quindi le ‘particelle’ (o configurazioni) create dall’algoritmo come ‘artificial life’, individui che si spostano attraverso le coordinate di uno spazio n-dimensionale. A seguito di uno spostamento la particella invia le sue coordinate ad una funzione che le applica al problema e ne misura la fitness, cioè ne valuta la vicinanza alla soluzione migliore del problema. L’ « intelligenza » di ogni singola particella risiede nel fatto che essa è in grado di immagazzinare le informazioni riguardanti la sua attuale posizione, la sua velocità, il valore migliore di fitness da essa trovato e le relative coordinate. E’ questa capacità, insieme alla capacità di interazione con gli individui ad essa vicina, che influenza gli

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spostamenti successivi. L’m-esima (m = 1, 2, . . . , µ) particella (o configurazione) è schematizzata come un punto nello spazio di ricerca N-dimensionale, il cui vettore posizione (vettore dei parametri) è: x = (x1, . . . , xN) Ogni particella vola nello spazio delle soluzioni con una velocità rappresentata dal vettore: v = (v1, . . . , vN) Naturalmente, in corrispondenza di ogni vettore dei parametri x, si considera il valore della funzione di fitness, F = F(x), che codifica il tipo di problema di ricerca che stiamo affrontando: o minimo o massimo della funzione. Quindi, ogni punto nel dominio delle possibili soluzioni è completamente definito dai tre parametri posizione, velocità e valore di fitness: a = (x, v, F(x)) In figura 3 sono schematizzati i passaggi principali dell’algoritmo.

&UHD]LRQH FDVXDOH GHOOD SRSROD]LRQH GL 1 SDUWLFHOOH FDUDWWHUL]]DWH GDO YHWWRUH SRVL]LRQH [LHGDOYHWWRUHYHORFLWjYL

3HU RJQL SDUWLFHOOD YLHQH FDOFRODWD OD IXQ]LRQH RELHWWLYRDOO¶LVWDQWHNHFRQIURQWDWDFRQLOPLJOLRU YDORUHRWWHQXWRSHUTXHOODSDUWLFHOOD 3LN 

6L FRQIURQWDQR OH PLJOLRUL VROX]LRQL RWWHQXWH GD RJQL SDUWLFHOOD H VL YDOXWD OD PLJOLRU VROX]LRQH JOREDOH DOO¶LVWDQWHN 3JN 

6L DJJLRUQDQR L YHWWRUL YHORFLWj 9L H VL YDOXWDQROHQXRYHSRVL]LRQLDOO¶LVWDQWHN ;LN ;LN9LN

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1R

9DORUHGLRWWLPR 3J 



Fig.3 - Schema di flusso algoritmo PSO.



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Il PSO parte da una popolazione iniziale di particelle, ossia da un insieme di possibili soluzioni scelte in modo pseudo-causale rispettando i limiti dello spazio di ricerca. Per ogni particella ‘i’ è stata proposta una variazione della posizione xi del tipo [2] Xi k+1 = Xi k + Vi k+1; dove vi k+1 è una velocità calcolata come Vi k+1 = Wk Vi k + C1R1 (Pi k - Xi k)+ C2R2 (Pg k - Xi k); Pik rappresenta la migliore posizione della particella ‘i’ all’istante k e Pgk rappresenta la miglior posizione globale dell’intero insieme di particelle all’istante k. Wk è un peso di inerzia per correggere la velocità, C1R1 e C2R2 sono due fattori di apprendimento positivi, che influenzano la performance individuale relativa alle performance passate e la performance individuale relativa al gruppo [3]. Ossia, ogni particella segue due soluzioni “migliori”, ottenute in corrispondenza di due “migliori” valori di fitness: la miglior soluzione raggiunta finora nella storia di ogni individuo, Pik (miglior soluzione locale); e la miglior soluzione tra tutte le particelle della popolazione, ottenuta finora, Pgk (miglior soluzione globale) . Il ciclo evolutivo continua fino quando non si raggiunge una condizione di stop predefinita.

Fig.4 - Posizione e velocità della particella [2].

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Fig. 5 - Esempio di convergenza verso il minimo della funzione obiettivo.

I risultati ottenuti con l’ algoritmo illustrato sono stati sin da subito molto soddisfacenti, tanto da farci desistere dal provarne altri, che tuttavia potrebbero essere impiegati con eguale successo. 5. FUNZIONE OBIETTIVO I parametri che si considerano più interessanti per decidere se investire o meno sulla realizzazione solare sono: - Il maggior valore dell’investimento iniziale I0 - Il tempo di ritorno dell’investimento, PBT Allo scopo di determinare tali voci, verranno considerati i costi attuali dell’energia elettrica e del gas con le opportune imposte così da poter confrontare l’impianto da ottimizzare con quello di climatizzazione tradizionale, preso a riferimento. Ci si aspetta che l’impianto solare abbia costi di investimento maggiori rispetto al caso tradizionale, ma che consenta di risparmiare annualmente sui costi di esercizio. Lo scopo dell’investimento dal punto di vista economico, è quindi quello di riuscire a recuperare la maggior spesa sostenuta per l’impianto solare attraverso una riduzione della spesa annua. Il maggior valore dell’investimento iniziale I0 viene quindi inteso come la differenza tra la somma spesa per l’impianto solare (I0s) e per quello convenzionale(I0c). Il PBT è definito come l’anno (n) in cui si ha l’uguaglianza tra il maggior valore dell’investimento iniziale e la sommatoria dei flussi di cassa attualizzati: ,

Q

¦I L 

L FD

Q

I FL

¦   L L 

$

Q

L

¦ L 

FF  F V ˜   LL L   L $ L 

Dove CC e CS sono rispettivamente i costi di esercizio annui relativi alla configu-

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razione di riferimento e quella in esame. Tale espressione è stata utilizzata in un programma Fortran in grado di fornire il PBT dell’impianto in funzione delle variabili viste sinora. Per la valutazione economica sono stati assunti i seguenti valori dell’indice di attualizzazione iA e di inflazione ii : - iA : 2.75% - ii : 3.5% L’indice ii è stato determinato dallo studio dell’andamento dei costi dell’energia elettrica e del gas, mentre quello iA è stato ricavato dai dati Istat [ 11; 12 ]. 6. ESEMPIO APPLICATIVO Per mettere a punto il nuovo programma di ottimizzazione e verificarne la funzionalità è stata utilizzata una configurazione edificio-impianto già studiata ed ottimizzata per tentativi mediante il TRNSYS [ 11; 12 ]. Lo studio in questione riguardava un impianto di solar cooling dedicato ad un edificio ad uso ufficio situato a Roma, sede della Shap S.p.A.. Lo schema di impianto, Fig. 5, prevede un campo solare costituito da collettori a concentrazione IND-300 della Solel, percorsi da olio diatermico che a sua volta scambia calore nel generatore di una pompa ad assorbimento Acqua-Ammoniaca reversibile, modello GAPH-AR. Sono inoltre presenti una caldaia di reintegro, in caso di condizioni climatiche avverse e accumuli per l’ acqua lato utenza e per l’ olio lato collettori, per migliorare le prestazioni dell’ impianto. E’ stato scelto quindi di produrre sia acqua calda che refrigerata a seconda della stagione, per sfruttare il maggior rendimento delle macchine ad assorbimento durante la stagione fredda anche in assenza di radiazioni solari utilizzabili. Inoltre è prevista una caldaia a gas di back-up ed eventualmente un accumulo di olio posto tra campo solare e caldaia.

Fig. 5 - Schema dell’ impianto da ottimizzare

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6.1. Velocità del calcolo Dal momento che lo scopo che ci eravamo prefissi è quello di ottenere uno strumento rapido per studi preliminari di fattibilità, questo doveva essere caratterizzato da una accettabile velocità di calcolo dei parametri utili alla comparazione con varie soluzioni impiantistiche. Infatti, avere a disposizione uno strumento in grado di effettuare ottimizzazioni in breve tempo è, dal punto di vista tecnico-economico, un vantaggio non indifferente. Il rischio di dover fare numerose iterazioni con un programma complesso come il TRNSYS è proprio quello di riuscire ad eseguirle solo con un tempo esageratamente lungo. Tale rischio si è tramutato in certezza durante i primi approcci, per cui il fattore velocità è divenuto rapidamente il nostro maggior problema da risolvere. Per risolvere il problema sono state contemporaneamente battute diverse strade, la prima di queste è stata quella di usare TRNSYS come semplice subroutine su piattaforma Visual Fortran Compaq 6.6 . Il secondo passaggio decisivo è stato quello di evitare l’ uso di calcoli ed iterazioni accessorie mediante l’ opzione di interfacciare TRNSYS con software esterni pesanti tipo MATLAB. Nella libreria di TRNSYS non sono infatti presenti né collettori solari parabolici lineari, né pompe ad assorbimento con caratteristiche adattabili a quelli oggetto della simulazione affrontata in questo progetto. Si è quindi fatto ricorso alla possibilità fornita dal TRNSYS di realizzare nuovi componenti utilizzando il linguaggio di programmazione Fortran. Per esempio, partendo dalle caratteristiche del pannello solare prescelto e dall’equazione di bilancio energetico del pannello, si è costruito il modello del pannello solare, attraverso una subroutine Fortran incorporata nel TRNSYS come nuovo componente della libreria.. L’ ultimo problema è sorto quando, sempre nel tentativo di velocizzare il procedimento, abbiamo utilizzato time-steps di simulazione in TRNSYS intorno ai 15 minuti. Infatti, con il nostro caso applicativo, dato che TRNSYS simula un edificio virtuale con tanto di regolazione della temperatura e relativi transitori, l’utilizzo di semplici regolatori on/off con time-steps superiori a ~5 minuti, confliggeva con tale necessità, fornendo risultati falsati nelle temperature. Infatti tali regolatori, come componenti software del TRNSYS, vanno a campionare i valori da regolare in base al time-step scelto per la simulazione. Purtroppo però, quando l’ azione del regolatore On-Off vuole essere più rapida del time-step impostato, ne risulta una continua pendolazione delle variabili controllate, causata dalla non realistica lentezza di risposta dei regolatori, forzata dalla scelta del time-step.

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Fig. 6 - Andamento della temperatura in una stanza dell’edificio

Per ovviare a tale inconveniente si sono dovute utilizzate delle tecniche di regolazione alternative, con l’ intento di ottenere temperature stabili all’ interno delle varie stanze dell’ edificio simulato e poter calcolare i vari consumi energetici in modo realistico. Tale modifica ha permesso di ottenere temperature degli ambienti realisticamente vicine ad un valore costante, Fig. 6, pur utilizzando un time-step sufficientemente lungo per le nostre esigenze. Il risultato delle varie fasi di aumento della velocità del calcolo ha portato il tempo di calcolo dalle molte ore necessarie inizialmente ai circa 30 minuti attuali con time-step di simulazione di 15 minuti e trenta iterazioni complessive su tre variabili ottimizzate. 6.2. Edificio semplificato Una volta messo a punto il programma di ottimizzazione si è pensato di effettuare uno studio di ottimizzazione condotto sullo stesso edificio in forma semplificata. Dal momento che riprodurre un edificio reale all’ interno del TRNSYS è una operazione laboriosa e molto dispendiosa in termini di tempo, si è pensato di creare un software rapido per progetti di fattibilità tecnico-economica di prima battuta. L’ idea base è stata quella di verificare la differenza di risultati tra l’ edificio vero ed un semplice parallelepipedo vuoto, caratterizzato dallo stesso rapporto volume/superficie, costruito con gli stessi materiali ed orientato nello stesso modo sul suolo.

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6.3. Ottimizzazione Il confronto diretto tra due o più soluzioni scelte, è un caso classico che si presenta in fase di studio di fattibilità e normalmente richiede molto tempo anche con l’ aiuto del calcolatore. Dopo uno studio preliminare, sono stati individuati alcuni parametri in grado di influire sul valore del PBT, ed è stato dato il via a diverse ottimizzazioni su tali parametri, anche con lo scopo di testare la validità dell’algoritmo stesso. Con riferimento allo schema di Fig. 5, lo studio di ottimizzazione è stato effettuato in due varianti: senza e con accumulo di olio diatermico. Nella rappresentazione di ogni ottimizzazione verranno riportati tre grafici ognuno corrispondente ad una singola iterazione di ottimizzazione, nel dominio n-dimensionale in cui si intende far trovare la combinazione migliore degli n parametri ai fini della minimizzazione della F.O.. 6.3.1. Edificio completo: impianto senza accumulo di olio diatermico La prima ottimizzazione è stata condotta sulla configurazione costituita dall’edificio descritto all’interno del TRNSYS in modo completo e con l’ impianto caldofreddo privato dell’ accumulo di olio. Come parametri di studio si sono scelti l’area dei collettori solari ed il volume di accumulo di acqua lato utenza. Il grafico, fig. 7, che mostra l’andamento delle particelle nel dominio bidimensionale delimitato da volume di olio 0.2-0.5 m3 e superficie del campo solare 24-35 m2, fa vedere in sequenza un raggruppamento verso la soluzione ottimale già sufficientemente raggiunta alla terza iterazione. La barra colorata a destra di ciascun grafico mostra la scala in cui la F.O. è calcolata per le varie particelle. Tale scala si restringe al passare delle iterazioni, segno che, come desiderato, tutte le particelle nel complesso si spostano via via verso la soluzione di minimo relativo del PBT. Le iterazioni vengono fissate inizialmente insieme al numero di particelle iniziali generate, generalmente già alla quarta iterazione si sono ottenute fluttuazioni inferiore ad un mese sul PBT, per cui il numero di iterazioni prima del termine dei calcoli è stato posto pari a tre. E’ tuttavia possibile, come usuale, utilizzare anche criteri di convergenza che verifichino da soli il raggiungimento dello scostamento della F.O. a meno di un valore prefissato piccolo a piacere.

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Fig. 7 – Edificio Completo: Collettori;Accumulo Utenza (Iter. 1-3)

L’ottimizzazione ha portato ad una configurazione in cui sono previsti: • Area collettori: 28.7 m2 • Accumulo utenza: 0.42 m3 • PBT: 13.9 anni a cui corrispondono:  Costo impianto solare: 30660 e  Consumo Gas = 1015 m3 Il PBT di tale configurazione è strettamente legato al costo dei pannelli solari, mentre la presenza dell’accumulo di acqua lato utenza risulta utile solo a migliorare il funzionamento della macchina, che è dotata di regolazione On-Off ed è quindi bene evitare cicli ripetuti troppo brevi. Infatti, dato che la temperatura del serbatoio è vincolata ad appartenere ad un range di temperature compatibile con l’impianto di distribuzione all’ utenza (riscaldamento max 50°C ; raffrescamento min 7°C) tale accumulo mal si presta a compensare le inevitabili fluttuazioni dell’ energia solare. Quindi anche installando un accumulo utenza maggiorato, qualora questo abbia

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raggiunto la massima temperatura di esercizio, si devono necessariamente disallineare i pannelli solari per non generare altra energia non altrimenti accumulabile. Una maggiore massa di acqua lato utenza ha la funzione di volano termico, allungando i tempi dei cicli On-Off della macchina. Però, a macchina accesa, se in quel dato frangente non è disponibile l’energia solare, comporta aumenti indesiderati del consumo della caldaia ausiliaria. 6.3.2. Edificio completo: impianto con accumulo di olio diatermico. Per ovviare alle manchevolezze dello schema precedente abbiamo inserito anche un accumulo di olio diatermico per uno sfruttamento maggiore dell’ energia solare.

Fig. 8 – Edificio Completo: Collettori;Accumulo Utenza; Accumulo Olio (Iter. 1-3)

Quindi si è dato corso ad una ottimizzazione sul PBT in cui in aggiunta ai parametri precedenti si ha anche tale accumulo di olio diatermico, nel range 0-0.5 m3. Alla fine dell’ottimizzazione, fig. 8, si è giunti quindi ad una configurazione caratterizzata da: • • • •

Area collettori: 31.5 m2 Accumulo di olio diatermico: 0.15 m3 Accumulo utenza: 0.3 m3 PBT: 14.4 anni

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A tale configurazione corrispondono:  Costo impianto solare = 32677 e  Consumo gas = 924 m3 Come si può notare, la presenza dell’accumulo aggiuntivo dell’ olio determina una maggiore estensione del campo solare, perché il programma di ottimizzazione si accorge che è possibile sfruttare meglio tale risorsa. A causa del prezzo elevato dell’ olio diatermico considerato (9.8 e/kg), l’ottimizzazione tende a raggiungere valori non troppo alti del volume di olio, che comunque garantiscono un risparmio di ~9 % sul gas consumato rispetto alla configurazione precedente, anche se con un PBT leggermente superiore. 6.3.3. Edificio semplificato: impianto senza accumulo di olio diatermico. Utilizzando il modello di edificio semplificato, si è iniziato come nello studio precedente con l’ottimizzare l’impianto privo di accumulo dell’olio. In questo caso si è ottenuto l’ottimo in corrispondenza di: • Area collettori: 24.8 m2 • Accumulo utenza: 0.32 m3 • PBT : 14.7 anni a cui corrispondono i valori di :  Costo impianto solare: 29891 e  Consumo gas: 1227 m3 In questo caso, fig. 9, non tutte le particelle sono giunte ad una configurazione di ottimo ma si tratta comunque di valori che permettono ‘distanze’ accettabili dal valore minimo della funzione obiettivo.

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Fig. 9 – Edificio Semplificato: Collettori Solari; Accumulo Utenza (Iter. 1-3)

6.3.4. Edificio semplificato: impianto con accumulo di olio diatermico. Infine, sempre con il modello di edificio semplificato, è stato aggiunto anche un accumulo di olio diatermico. La configurazione ottimale, fig. 10, risulta: • • • •

Area collettori: 34.0 m2 Accumulo olio diatermico: 0.18 m3 Accumulo utenza: 0.33 m3 PBT: 15.3 anni

a cui corrispondono:  Costo Impianto Solare: 33034 e  Consumo gas: 1042 m3

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Fig. 10 – Edificio Semplificato: Collettori Solari; Accumulo Utenza; Accumulo Olio (Iter. 1-3)

Come si nota dal confronto tra le due configurazioni, il campo solare nel secondo caso risulta molto maggiore (+37%) ma il PBT ne risente poco (+5%). Questo è dovuto alla presenza dell’accumulo di olio che permette di ridurre notevolmente i consumi di caldaia (-16%). 6.4. Confronto dei risultati A questo punto andiamo ad analizzare i risultati ottenuti nelle quattro diverse ottimizzazioni effettuate per valutare la validità della semplificazione dell’edificio. 

 5LFKLHVWDFDOGR N:K 

(',),&,2 &203/(72 

(',),&,2 6(03/,),&$72 

5LFKLHVWDIUHGGR N:K 





I K Fig. 11 - Confronto carichi termici

Pur avendo utilizzato le stesse strategie di controllo della temperatura interna all’ edificio, per garantire la confrontabilità dei risultati, dalla fig. 11, si ha uno scostamento relativo al calcolo dei carichi termici di circa il +30% a causa del diverso modo di

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simulare gli effetti dell’ inerzia termica insito nei due modelli descrittivi dell’ edificio. Ora valutiamo l’errore sul calcolo per il dimensionamento dei componenti e successivamente sul calcolo del payback-time, per l’impianto senza accumulo di olio diatermico.  ('&203/(72 ('6(03/,),&$72

$UHDFROOHWWRUL $FFXPXOR &RQVXPR P  XWHQ]D P  FDOGDLD P       

3%7  



Fig. 12 - Confronto componenti dell’impianto senza accumulo olio diatermico.

Come si vede in fig. 12, il dimensionamento dei componenti risente di uno scostamento del 13% sulle dimensioni dei pannelli che in tale configurazione risultano l’elemento di maggior rilievo sul calcolo del PBT. L’impianto nel caso di edificio semplificato risulta sottodimensionato, ma nonostante ciò il PBT risulta superiore del +5%. Tale scostamento è dovuto al diverso contributo della caldaia di back-up nei due casi: per essa infatti si ha uno scostamento del +20% che incide notevolmente sul PBT. Analizziamo ora la configurazione con accumulo di olio diatermico, fig. 13. 

$UHD FROOHWWRUL P  

(' &203/(72 ('  6(03/,),&$72

$FFXPXOR $FFXPXOR ROLR &RQVXPR XWHQ]D P  GLDWHUPLFR P  FDOGDLD P 

3%7 DQQL 















Fig. 13 - Confronto componenti dell’impianto con accumulo olio diatermico.

Si nota come in questo caso la semplificazione dell’edificio determini una variazione dei componenti con uno scostamento di solo +10%. L’accumulo dell’ olio svolge in ogni caso un ruolo importante per la riduzione dei consumi ed anche in questo caso il PBT è soggetto ad una variazione di valutazione pari a +6%. CONCLUSIONI Con questo lavoro è stato raggiunto un risultato utile a progettisti e ricercatori nel campo energetico legato al settore civile, con la creazione di uno strumento rapido ed efficiente per ottimizzare i vari componenti di una data configurazione edificio-impianto. I casi di esempio mostrati permettono di capire agevolmente il vantaggio di utilizzare tale strumento, che con grande rapidità riesce da solo a trovare la soluzione migliore ai fini dell’ ottimo energetico, variando contemporaneamente tutte le variabili da esplorare.

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La verifica di confronto effettuata con un modello semplificato di edificio, fornisce risultati già buoni ma ulteriormente migliorabili, e potrà servire, in un prossimo futuro, come base per sviluppare un software semplice e rapido a disposizione del progettista che non ha il tempo di diventare un esperto di codici di simulazione dedicati. BIBLIOGRAFIA [1]

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La deumidificazione dell’aria per mezzo di ruote essiccanti elio-assistite: prestazioni e potenzialità LUIGI MARLETTA, GIANPIERO EVOLA, FABIO SICURELLA Dipartimento di Ingegneria Industriale e Meccanica, Università di Catania

RIASSUNTO Un’interessante alternativa ai tradizionali sistemi HVAC è costituita dalle unità di trattamento aria basate sul principio della deumidificazione chimica per adsorbimento, realizzata a mezzo di sostanze dette essiccanti (o adsorbenti), le quali hanno la proprietà di trattenere, all’interno di micro-porosità, il vapor d’acqua presente nell’aria. La rigenerazione, necessaria per liberare il materiale dal vapor d’acqua raccolto, può essere effettuata a temperature inferiori ai 70°C, prospettando l’utilizzo di energia solare come fonte energetica. Nel presente lavoro vengono descritti i principali schemi impiantistici adottati nei sistemi di ventilazione e trattamento aria basati sull’uso di rotori essiccanti in silica-gel, al fine di identificare lo schema che risulti energeticamente più efficiente. L’analisi procede quindi considerando un caso studio, relativo al condizionamento di uno stesso edificio sito in tre diversi contesti climatici (Trapani, Roma, Milano). Per ciascuna località vengono valutate le prestazioni di un sistema con rotore essiccante elio-assistito; al variare della superficie di collettori solari installati, le prestazioni del sistema vengono caratterizzate in chiave energetica, valutando il consumo annuo di energia primaria e calcolando indici di prestazione quali il REP (Rapporto di Energia Primaria) ed il COP del sistema. I risultati mostrano chiaramente la convenienza nell’uso di sistemi essiccanti elioassistiti per la deumidificazione dell’aria, che si propongono quindi come valida alternativa ai sistemi tradizionali ed aprono interessanti scenari per l’uso delle energie rinnovabili nel campo del condizionamento ambientale. 1. INTRODUZIONE. Gli impianti di climatizzazione hanno lo scopo di predisporre l’aria da immettere in ambiente in condizioni termoigrometriche tali da abbattere i carichi termici e la produzione interna di vapore. Nel caso specifico del condizionamento estivo dell’aria quest’obiettivo si consegue sottoponendo l’aria ad un processo di raffreddamento e

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deumidificazione, seguito da un post-riscaldamento sensibile. Più in particolare, la deumidificazione nei sistemi HVAC viene normalmente realizzata tramite un processo di raffreddamento al di sotto del punto di rugiada; tale processo conduce però l’aria ad una temperatura notevolmente inferiore rispetto a quella richiesta per una confortevole distribuzione dell’aria in ambiente. A tal fine, infatti, l’aria dovrebbe essere distribuita attorno ai 18 °C, ma il processo di deumidificazione summenzionato richiede un raffreddamento ad una temperatura di circa 7-8 °C inferiore. E’ allora necessario un processo di postriscaldamento prima di immettere l’aria in ambiente, che richiede ulteriore fornitura di energia termica, come mostrato in Figura 1, dove è riportato una schema di massima di un’unità di trattamento aria (UTA) convenzionale e del corrispondente ciclo termodinamico; è inoltre da segnalare come il chiller a servizio della batteria fredda lavori a temperature ridotte, e quindi con valori ridotti del COP.

Figura 1 – Schema e ciclo termodinamico per UTA convenzionale.

Un’interessante alternativa ai sistemi HVAC convenzionali è rappresentata dai sistemi basati sull’uso di materiali essiccanti solidi; questi sono materiali porosi in grado di attrarre e trattenere il vapor d’acqua all’interno della loro struttura capillare in quantità notevolmente superiore al loro peso, tramite un processo denominato adsorbimento. I più comuni materiali adsorbenti sono le zeoliti (naturali e sintetiche) e i gel di silice; questi ultimi sono più adatti in presenza di elevata umidità. L’entità dell’adsorbimento è proporzionale alla differenza tra la pressione parziale del vapore nell’aria e all’interno del materiale essiccante; poiché è possibile incrementare la pressione parziale del vapore nel rotore aumentandone la temperatura, si rende possibile la rigenerazione del materiale

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tramite riscaldamento, a temperature anche inferiori ai 60-70°C, in base al materiale e alle condizioni al contorno [1]. 2. LE CARATTERISTICHE DEI ROTORI ESSICCANTI I materiali essiccanti sono normalmente organizzati in forma di rotore; come mostrato in Figura 2. Il rotore è costituito da un cilindro metallico, normalmente realizzato in alluminio, provvisto di strutture di supporto concentriche; su queste vengono fissati dei fogli corrugati in fibra ceramica impregnati di materiale essiccante. Il essiccante è fortemente legato alla fibra ceramica, in modo da evitare che esso possa essere trascinato dalla vena d’aria che attraversa il rotore. I rotori essiccanti hanno solitamente una larghezza compresa fra 10 e 50 cm, mentre il diametro può variare tra i 10 e i 400 cm; la velocità di rotazione è molto bassa (da 5 a 30 giri per ora). Per mezzo di partizioni fisse la sezione frontale del rotore viene suddivisa in due parti, normalmente di uguali dimensioni; mentre da un lato l’aria di processo viene deumidificata, nella restante sezione della ruota il materiale essiccante viene rigenerato tramite un flusso d’aria calda precedentemente riscaldato alla temperatura necessaria. In tal modo è possibile garantire al sistema la continuità di funzionamento [2].

Figura 2 – Principio di funzionamento di un rotore essiccante.

Le prestazioni dei rotori essiccanti sono normalmente descritte in diagrammi simili a quelli mostrati in Figura 3, dai quali è possibile ricavare le condizioni di uscita dell’aria di processo (temperatura a bulbo secco, umidità assoluta) in funzione del titolo iniziale dell’aria di processo (in ascissa) e della temperatura iniziale dell’aria di processo (è il parametro che distingue le diverse curve). Ogni diagramma si riferisce ad un determinato valore di velocità dell’aria, velocità di rotazione e, soprattutto, di temperatura di rigenerazione. Il diagramma in basso, in particolare, si riferisce ad una temperatura di rigenerazione di 80°C, a differenza dei 60°C cui si riferisce il diagramma superiore; è dunque possibile valutare quanto una più elevata temperatura di rigenerazione possa incrementare la capacità deumidificante del rotore, misurata dalla variazione del titolo dell’aria di processo.

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Figura 3 – Curve caratteristiche di un rotore essiccante (in alto: Trig = 60°C - in basso: Trig = 80°C)

Nell’esempio mostrato in Figura 3, a parità di titolo di ingresso (xin = 10 g/kg di aria secca), l’entità della deumidificazione passa da ∆x = xin - xout = 10 - 4.4 = 5.6 (g/kg) per Trig = 80°C a ∆x = 10 - 6.3 = 3.7 (g/kg) per Trig = 60°C.

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E’ inoltre importante rilevare che il processo di deumidificazione realizzato dal materiale essiccante è accompagnato da un considerevole aumento di temperatura dell’aria di processo, a causa del calore latente di condensazione rilasciato dal vapore sottratto all’aria. Negli esempi proposti, la temperatura dell’aria di processo in uscita dal rotore è pari rispettivamente a 39°C (per Trig = 60°C ) e 47°C (per Trig = 80°C ), prospettando dunque la necessità di eseguire un processo di post-raffreddamento al fine di raggiungere le opportune condizioni d’immissione in ambiente. 3. SCHEMI IMPIANTISTICI E INDICI DI PRESTAZIONE. In Figura 4 si riporta il layout di un’unità di trattamento aria basata sul principio della deumidificazione tramite rotore essiccante (sistema DEC), insieme al corrispondente ciclo termodinamico tracciato sul diagramma psicrometrico. Lo schema proposto è il più comune fra quelli possibili, ed è spesso citato in letteratura con il nome di “ciclo Pennington” ([3],[4]). L’aria di processo è prelevata dall’esterno (punto E) e invita ad una batteria di preraffreddamento (trasformazione EB), in cui si opera una prima contenuta riduzione del titolo dell’aria. Quindi l’aria viene deumidificata nel rotore essiccante (BC), ma il processo genera un notevole incremento della temperatura. Per questo motivo l’aria di immissione necessita di un raffreddamento al fine di raggiungere la temperatura di immissione desiderata; tale processo di raffreddamento viene realizzato in due passaggi successivi: il primo ha luogo in uno scambiatore rotativo per il recupero del calore sensibile (CD), in cui si realizza anche il pre-riscaldamento del flusso di rigenerazione (A’F); il secondo stadio è realizzato in una batteria di raffreddamento convenzionale (DD’), alimentata da acqua fredda. Infine, l’aria di immissione può essere ulteriormente raffreddata tramite un saturatore adiabatico, il quale consente, tra l’altro, di controllarne il titolo (D’I). Per quanto riguarda l’aria di rigenerazione, essa viene pre-riscaldata all’interno dello scambiatore rotativo (A’F) e quindi portata alla temperatura di rigenerazione desiderata in una batteria di riscaldamento alimentata da acqua calda (FG). In seguito alla rigenerazione del rotore, il flusso d’aria, caratterizzato da umidità molto elevata, viene scaricata in atmosfera. Il processo di pre-raffreddamento operato all’interno dell’saturatore (AA’) è adottato in quanto, distanziandosi le temperature medie dei due fluidi, è possibile ridurre la dimensione del recuperatore e incrementare l’entità del preraffreddamento (CD). Chiaramente non sempre vengono realizzati tutti i processi mostrati in Figura 4. Il pre-raffreddamento EB è adottato soltanto quando il titolo dell’aria esterna, prelevata ai fini della ventilazione, è troppo elevato per essere abbattuto soltanto dal rotore essiccante; in effetti, infatti, un rotore essiccante è in grado abbattere, nella migliore delle ipotesi, circa 8-9 grammi di vapore per ogni kilogrammo di aria trattata, qualora si lavori con temperature di rigenerazione inferiori ai 70 °C. Inoltre, la presenza del processo (D’I) dipende dallo schema di regolazione adottato; al fine di garantire un valore appropriato per il titolo di immissione xI, è possibile infatti seguire due diverse strategie:

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Figura 4 – Layout e diagramma psicrometrico relativi ad un sistema HVAC dotato di rotore essiccante (ciclo Pennington o ciclo base).

1. Lavorando con temperatura di rigenerazione costante, al variare delle condizioni al contorno si perde il controllo del titolo in uscita dal rotore essiccante; in questo caso è necessario ricorrere al processo (D’I) per inseguire il valore corretto di xI. 2. Si effettua una regolazione sulla temperatura di rigenerazione tG, onde ottenere una variazione nel titolo di fine deumidificazione xC. Operando in modo da garantire xC = xI, non sarà necessario ricorrere al saturatore (D’I). In questo caso il ciclo termodinamico risulta leggermente modificato come in Figura 5. In alcuni casi, come mostrato in Figura 4, si realizza il by-pass di una frazione limitata dell’aria di rigenerazione, generalmente attorno al 20%, a monte della batteria calda. In tal modo si riduce il consumo energetico associato alla rigenerazione, ma si rende il processo un po’ meno efficace, a causa della minore portata d’aria utilizzata a tale scopo.

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Figura 5 – Diagramma psicrometrico relativo al ciclo base senza regolazione tramite saturatore adiabatico.

Infine, qualora non risulti possibile o conveniente estrarre dall’ambiente condizionato l’aria destinata alla rigenerazione, è possibile optare per lo schema mostrato in Figura 6, in cui l’aria di rigenerazione viene prelevata dall’esterno. Risulta dunque chiaro che i sistemi HVAC basati sull’uso di rotori essiccanti possono lavorare secondo differenti modalità, per le quali diverse prestazioni energetiche possono essere attese. Per questo motivo è stata svolta un’indagine preliminare al fine di comprendere quale modalità di funzionamento, a parità di carico termico e di condizioni esterne, riesca a garantire le migliori prestazioni. Le modalità di funzionamento analizzate sono le seguenti: • • • • •

Ciclo base (Figura 4). Ciclo base con by-pass del 20% sulla rigenerazione, con saturatore adiabatico. Ciclo base come sopra, senza saturatore adiabatico (Figura 5). Ciclo con rigenerazione tramite aria esterna (configurazione E, Figura 6). Ciclo HVAC classico

Il confronto è stato effettuato considerando un’utenza con le caratteristiche riportate in Tabella I, alla quale deve essere fornita aria primaria ai fini della ventilazione e dell’abbattimento del carico latente. Il rimanente carico sensibile sarà invece gestito tramite ventilconvettori installati in ambiente; per questo motivo non si riporta il valore del carico sensibile, che rimane comunque costante in tutti i casi . Le condizioni di riferimento per l’aria esterna sono tE = 32°C e ϕE = 60% (a cui corrisponde xE = 18 g/kg), mentre in ambiente si deve garantire tA = 26°C e ϕA = 50% (xA = 10.5 g/kg). L’analisi è stata chiaramente estesa ad un equivalente UTA convenzionale, per cui è stato assunto il fattore di by-pass BF = 0.12.

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Figura 6 – Layout e diagramma psicrometrico relativi ad un sistema HVAC dotato di rotore essiccante (ciclo con rigenerazione tramite aria esterna).

In funzione dei dati riportati in Tabella I, è possibile valutare la portata d’aria di rinnovo Gv, coincidente con la portata d’immissione, il carico latente del locale QL ed il titolo di immissione xI. La temperatura d’immissione è stata fissata pari a TI = 18 °C; *Y

JY ˜

6 LD

  PK   4 /

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6  U ( ˜ Q ˜ 9 ˜ U ˜ [ (  [ $ LD

4/ UV ˜ * Y ˜ U

  JNJ 



  :  



   

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Tabella I – Caratteristiche del locale in esame. 6XSHUILFLHLQSLDQWD $OWH]]D 9ROXPH ,QGLFHGLRFFXSD]LRQH 5HTXLVLWLGLYHQWLOD]LRQH ,QILOWUD]LRQH &DULFRODWHQWHVSHFLILFR

6  P  K  P  9  P  LD  PSHUVRQD  JY >P KÂSHUVRQD @ Q  K  T/  :SHUVRQD 

Per tutti i sistemi analizzati si è dunque proceduto al tracciamento dei cicli termodinamici sul diagramma psicrometrico. A tal fine, con riferimento ai sistemi DEC, si è utilizzato un rotore in silica-gel di diametro d = 965 mm, operante con velocità di rotazione w = 24 RPH e con velocità d’attraversamento dell’aria va = 2.5 m/s; le prestazioni del rotore, in particolare la temperatura di rigenerazione richiesta e le condizioni dell’aria di processo in uscita, sono state determinate tramite strumenti di calcolo forniti dal costruttore. Si è inoltre assunto ηr = 0.71 ed ηe = 0.9 rispettivamente come efficienza dello scambiatore recuperativo e degli evaporatori. La fase di preraffreddamento (EB) nei sistemi essiccanti è stata limitata alla temperatura tB = 22°C. Le prestazioni dei sistemi sono state caratterizzate tramite il COP ed il Rapporto di Energia Primaria (REP), definiti come di seguito: &23

P V ˜ K $  K ,  4F  4K



5(3

P V ˜ K $  K ,  4F 4K  &23F ˜ K HO K K



  

In cui ms rappresenta la portata d’aria d’immissione, valutata in kg/s, Qc e Qh sono rispettivamente la potenza frigorifera e termica richiesta dalle batterie di scambio termico, ηel = 0.37 è l’efficienza media nazionale di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ηh = 0.91 è il rendimento della caldaia a servizio della batteria calda. Per quanto riguarda il termine COPc, cioè il COP del chiller a compressione di vapori a servizio delle batterie di raffreddamento, si è assunto, da dati di catalogo, COPc = 3.22 nell’impianto convenzionale e COPc = 3.55 nel sistema DEC; tale differenza è giustificata dal fatto che nei cicli relativi ai sistemi essiccanti le trasformazioni di raffreddamento si fermano a temperature di circa 20°C, il che consente al chiller di essere alimentato con acqua a temperatura maggiore (15°C, contro i 7°C di un chiller convenzionale) e quindi di lavorare con efficienza più elevata. Come mostrato in Tabella II, l’adozione di un by-pass del 20% sul lato rigenerazione migliora l’efficienza del sistema, grazie alla riduzione di circa 1 kW della potenza termica Qh fornita dalla batteria calda; altrettanto rilevante è il vantaggio conseguente dall’adozione del ciclo termodinamico in cui l’inseguimento del titolo di immissione è basato non sull’uso di un saturatore adiabatico, ma sulla regolazione della temperatura di rigenerazione (COP = 0.304 e REP = 0.331, contro COP = 0.292 e REP = 0.314 del caso in cui è presente il saturatore). Risulta invece penalizzante la pratica di prelevare aria esterna ai fini della rigene-

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razione (Figura 6); gli indici di prestazione energetica decadono infatti di circa il 25% rispetto al caso ottimale. Tabella II – Prestazioni dei sistemi analizzati.

Dall’analisi sin qui condotta, risulta in conclusione evidente che i sistemi alternativi proposti garantiscono migliori prestazioni rispetto ad un equivalente sistema HVAC convenzionale, eccezion fatta per la configurazione E. 4. PRESTAZIONI STAGIONALI: UN CASO STUDIO Dall’analisi precedente, condotta con riferimento a condizioni climatiche di progetto, è stata individuata la configurazione più conveniente relativamente ai sistemi DEC; tale configurazione risulta essere quella basata sull’utilizzo di aria estratta dall’ambiente condizionato ai fini della rigenerazione, con by-pass del 20% sulla batteria calda e regolazione basata sulla variazione della temperatura di rigenerazione piuttosto che sull’uso di un saturatore. A questo punto, solo per la configurazione ottima, è stato effettuato un confronto più accurato con i sistemi convenzionali, basato sulla valutazione delle prestazioni annuali. Con riferimento al caso studio precedentemente introdotto, si è immaginato l’impianto funzionante in tre diverse contesti climatici (Milano, Roma, Trapani), e per ognuno dei casi considerati si è proceduto all’analisi del profilo orario delle grandezze psicrometriche caratterizzanti tutti i punti dei cicli termodinamici. L’analisi è stata estesa ai mesi in cui risulta necessario operare una deumidificazione dell’aria esterna prima dell’immissione in ambiente, cioè da Aprile a Ottobre. Le condizioni climatiche caratteristiche dei siti selezionati sono riassunte in Figura 7; in Figura 8, invece, sono rappresentati i profili giornalieri del contenuto di vapore nell’aria esterna e della radiazione solare per un mese tipico della stagione estiva. E’ possibile dunque notare che Trapani è caratterizzata da un clima caldo e umido, mentre Roma e Milano hanno un clima meno caldo e moderatamente umido; a Milano si raggiungono i valori più alti di umidità relativa, ma in effetti il parametro che maggiormente influenza le prestazioni dei sistemi considerati è il titolo dell’aria esterna, che risulta di gran lunga superiore a Trapani. Per quanto riguarda le condizioni interne di progetto, si è assunto tA = 25 °C e ϕA = 50% (xA = 10 g/kg) nel periodo Giugno-Settembre, e tA = 23 °C (xA = 8.8 g/kg) nei mesi di Aprile, Maggio e Ottobre. L’impianto è stato considerato in funzione dalle ore

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9.00 alle ore 18.00, con carichi termici costanti e corrispondenti a quelli già proposti in Tabella I.

Figura 7 – Caratterizzazione del clima nei mesi estivi per le località considerate.

Figura 8 – Andamento del titolo esterno e della radiazione solare nel giorno medio di Agosto.

L’analisi delle condizioni di funzionamento del sistema DEC ha condotto, in primo luogo, alla determinazione dei profili della temperatura di rigenerazione richiesta dal rotore per operare la necessaria deumidificazione. Come mostrato in Figura 9, i valori più elevati ricorrono a Trapani, a causa del più alto carico di deumidificazione: a fronte di un titolo d’immissione pari a xI = 7.9 g/kg, l’aria esterna ha un contenuto di vapore xE che raggiunge picchi di 17-18 g/kg (in Agosto e Settembre), e per operare una deumidificazione di tale portata (tra gli 9 e i 10 g/kg) il rotore in silica-gel necessita di essere rigenerato a circa 70-75 °C. Temperature di rigenerazione notevolmente inferiori sono richieste a Roma (diagramma omesso per brevità) e Milano; qui, in virtù di una deumidificazione dell’ordine dei 4-5 g/kg, è sufficiente rigenerare a 45-50 °C. In effetti, in alcuni casi sarebbero sufficienti temperature anche inferiori, ma su indicazioni del produttore

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del rotore essiccante si è posto un limite inferiore di 45 °C alla temperatura di rigenerazione, intervenendo quindi con il post- raffreddamento evaporativo qualora, in seguito a tale limitazione, il titolo di fine deumidificazione xC risulti più basso del titolo di immissione xI (Figura 4).

Figura 9 – Profili giornalieri della temperatura di rigenerazione (sx: Trapani, dx: Milano).

Figura 10 - Profili giornalieri della richiesta di potenza termica e frigorifera (Luglio) (CS: sistema convenzionale, DS: sistema DEC)

In Figura 10 sono invece mostrati, con riferimento al solo mese di Luglio, i profili orari della potenza termica e frigorifera richiesta dalle batterie di scambio termico di entrambi i sistemi analizzati. Nel sistema essiccante (DS) il contributo maggiore è associato alla potenza termica richiesta per assistere la fase di rigenerazione, mentre nel sistema convenzionale (CS) la potenza frigorifera supera ampiamente la potenza termica richiesta dal post-riscaldamento. I valori di picco si raggiungono a Trapani in Settembre alle ore 14.00, con Qc = 40.8 kW per la batteria fredda del sistema convenzionale e Qh = 25 kW per la batteria di rigenerazione del sistema DEC. I profili di Figura 10, replicati per ognuno dei mesi considerati, possono essere utilizzati per il calcolo del consumo mensile EP di energia primaria, secondo l’equazione (4), in cui N rappresenta il numero di giorni nel mese. Nel valutare il COP del chiller

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condensato ad aria si è tenuto conto della dipendenza di tale parametro dalla temperatura esterna dell’aria, secondo la relazione (5), ricavata interpolando i dati forniti dal costruttore. W

 (3

§ 4F 4 · 1 ˜ ¨¨  K ¸¸GW  © K HO ˜ &23F K K ¹

³







 





 

W

&23F W (

 ˜ W

 (



  ˜ W (   ˜ &23R 

In (5), COPo rappresenta il COP del chiller nelle condizioni di riferimento (tE = 35 °C), assunto pari a 2.95 e 3.25 rispettivamente per il sistema convenzionale e il sistema DEC. I risultati dell’equazione (4) sono riportati, per il solo caso di Trapani, in Figura 11. Il sistema DEC garantisce, in ogni mese, minori consumi d’energia primaria, associati principalmente alla fase di rigenerazione.

Figura 11 – Valori mensili del consumo di energia primaria (Trapani) (Sinistra: Sistema Convenzionale – Destra : Sistema DEC)

L’analisi fin qui condotta non tiene però conto dei consumi elettrici associati agli ausiliari (pompe di circolazione, ventilatori). Tali contributi potrebbero sovvertire il giudizio, in quanto in un DEC è lecito aspettarsi consumi ausiliari molto più elevati; sono infatti presenti due ventilatori, uno per la mandata e uno per la rigenerazione, e le perdite di carico sono notevolmente superiori rispetto all’UTA convenzionale, a causa della presenza di componenti quali il rotore essiccante e lo scambiatore recuperativo. In Tabella III si riportano a tal fine i valori della potenza elettrica assorbita dagli ausiliari d’impianto.

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Tabella III – Assorbimenti elettrici degli ausiliari d’impianto.

&RQYHQ]LRQDOH

9(17,/$725( 0$1'$7$ :

9(17,/$725( 5,*(1(5$=,21( 

(VVLFFDQWH

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3203( : :

Tabella IV – Consumo annuo di energia primaria. 

75$3$1,

520$

0,/$12

87$&RQYHQ]LRQDOH

 *- 

 *- 

 *- 

87$'(&

 *- 

 *- 

 *- 

5LVSDUPLR(QHUJLD3ULPDULD







Figura 12 – Distribuzione del consumo di energia primaria fra i diversi componenti.

Tenendo conto dei consumi ausiliari, è possibile dunque risalire ai valori del consumo annuo complessivo di energia primaria, riportato in Tabella IV, in cui si vede come il sistema DEC garantisca risparmi energetici compresi tra il 10 % e il 15 %. Dall’analisi di Figura 12, si evidenzia inoltre che il contributo degli ausiliari non è assolutamente trascurabile (circa il 15% dell’energia primaria totale), a differenza del sistema convenzionale (circa il 4%). 5. L’UTILIZZO DELL’ENERGIA SOLARE Essendo alimentati da energia termica a temperatura medio-bassa, i sistemi DEC si prestano all’utilizzo di energia solare, prospettando quindi ulteriori vantaggi rispetto a quelli già evidenziati nel precedente paragrafo ([6], [7], [8], [9]). Risulta quindi interessante quantificare il risparmio di energia primaria conseguibile con l’adozione di

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una sezione solare, costituita da collettori solari piani, per la produzione dell’acqua calda richiesta dal sistema essiccante per la fase di rigenerazione. In Figura 13 è descritto lo schema di massima della sezione solare di un sistema DEC. Sul circuito primario, che collega i collettori solari al serbatoio d’accumulo, la pompa di circolazione P1 si attiva solo quando i collettori sono in grado di fornire energia termica al serbatoio (T2 - TS > ∆Tmin); la valvola deviatrice V1 consente il passaggio dell’acqua attraverso il generatore di calore ausiliario quando la temperatura TS risulta inferiore alla temperatura Tin richiesta all’aria in ingresso alla batteria ai fini della rigenerazione.

Figura 13 – Schema semplificato della sezione solare a servizio dell’impianto DEC.

Qualora invece si abbia TS > Tin, la valvola V2 si aprirà per consentire la miscelazione con una frazione dell’acqua di ritorno alla temperatura Tout, ed una quantità minore di fluido termovettore sarà prelevato dal serbatoio. Ai fini della determinazione del consumo stagionale d’energia primaria, associato all’entrata in esercizio del generatore ausiliario, è dunque necessario conoscere il profilo orario della temperatura TS (assunta, per semplicità, uniforme) e della temperatura Tin. Quest’ultima dipende dalle condizioni richieste ai fini della rigenerazione, e può essere calcolata secondo la (6), in cui Kbc = 35 (W/m2·K) ed Abc = 38.4 (m2) rappresentano rispettivamente la trasmittanza e la superficie di scambio termico della batteria calda; TF, TG e Qh sono noti in quanto determinati tramite l’analisi dei cicli termodinamici, mentre ∆Tbc è il salto termico subito dall’acqua nella batteria calda, calcolato facendo riferimento ad una portata costante mu = 2100 l/h. 7LQ





7*  '7EF  7) ˜ H  H

. EF $ EF § ˜¨ '7  7) 7* ·¸ 4K © EF ¹

. EF $ EF § ˜¨ '7  7) 7* ·¸ 4K © EF ¹



'7EF

4K  FS ˜ PX



 

Per determinare il profilo orario della temperatura TS è invece possibile utilizzare le equazioni (7) e (8), che derivano dalla scrittura del bilancio energetico in regime non

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stazionario rispettivamente sui collettori solari e sul serbatoio d’accumulo. Il profilo della radiazione solare Iβ (W/m2), disponibile sulla superficie dei collettori, inclinata di un angolo β rispetto al piano orizzontale, è stato ricavato a partire da dati CNR riferiti alla radiazione su superficie orizzontale, mediante la formula di Liu-Jordan [10].  P F S 7  7 0VFS ˜

G76 GW

>

@

)5 $ & , E ˜ WD  8 & 7  7(  



)S ˜ PF S 7  7  8$ 6 76  7(  P X F S 76  7RXW 



 



 

Nelle equazioni precedenti, il termine Fp rappresenta una funzione logica che descrive l’attivazione o lo spegnimento della pompa di circolazione P1 sul circuito primario, definita come nell’equazione (9). Il significato ed il valore assegnato a tutti gli altri parametri sono riassunti in Tabella V. )S

­ ® ¯

LI 7  7V ! '7PLQ LI 7  7V d '7PLQ









 

Tabella V – Valori di progetto dei parametri relativi alla sezione solare. )5 W D P $& 8& 0V 86 $6

)$7725(',$6325727(50,&2 7UDVPLVVLYLWjFROOHWWRUH $VVRUELPHQWRFROOHWWRUH 3RUWDWDIOXLGRFLUFXLWRSULPDULR 6XSHUILFLHFDSWDQWHFROOHWWRUH 7UDVPLWWDQ]DFROOHWWRUH 'LPHQVLRQHVHUEDWRLRGLDFFXPXOR 7UDVPLWWDQ]DVHUEDWRLRGLDFFXPXOR 6XSHUILFLHGLVSHUGHQWHVHUEDWRLR

    NJVÂP  9DULDELOH  :PÂ.   NJP   :PÂ.  9DULDELOH

Per la risoluzione del sistema di equazioni differenziali (7) e (8) si è fatto ricorso al metodo di Eulero, che consiste nell’approssimare la funzione continua nella variabile τ, che rappresenta la soluzione del sistema, in un’insieme discreto di valori. Secondo tale approccio, la derivata temporale di TS può essere scritta come in (10), e di conseguenza la (8) può essere riscritta secondo la (11): G76 GW 76 W

76 W'W 

76 W  'W  76 W  'W









 

'W )S PF S 7 W  76 W'W  8$ 6 76 W'W  7( W  P X F S 76 W'W  7RXW W    0V F S

^











`

Ciò significa che la temperatura TS all’istante t può essere determinata a partire dal suo valore all’istante (τ - ∆τ), ed in funzione di tutti gli input al sistema (T2, Iβ, T0) valutati all’istante τ. Il passo temporale ∆τ deve essere piccolo quanto basta per dar

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luogo ad una soluzione convergente; in questa analisi si è assunto ∆τ = 60 (s). La soluzione del set di equazioni differenziali richiede inoltre la definizione del valore della variabile TS all’istante τ = 0. In effetti, però, il profilo temporale di TS non dipende dal valore assegnato a TS (0); il sistema è soggetto a forzanti periodiche (radiazione solare, temperatura esterna) quindi, una volta estinto il transitorio iniziale, la sua risposta è periodica e indipendente dal valore iniziale. Sulla base di queste considerazioni sono state effettuate, per ognuno dei contesti climatici analizzati, delle simulazioni relative alla prestazione della sezione solare del sistema DEC, ipotizzando un valore di superficie captante variabile da 20 m2 a 50 m2. Obiettivo ultimo di tali simulazioni, come già accennato, è la determinazione del profilo orario della temperatura TS e della temperatura Tin, noti i quali è possibile quantificare il consumo giornaliero d’energia primaria EPg associato all’attivazione del generatore ausiliario: W

(3J

³ W

P X F S 7LQ  76 KK

GW 

VH7LQ!76  



Figura 14 – Profili di temperatura all’interno del serbatoio di accumulo.

 

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In Figura 14 si riportano alcuni risultati relativi al calcolo della temperatura TS; la maggiore disponibilità di radiazione solare consente di raggiungere, nella città di Trapani, temperature di accumulo più elevate, che crescono inoltre significativamente all’aumentare della superficie captante. Ciò però non implica necessariamente che a Trapani sia possibile conseguire risparmi di energia primaria più importanti; a fronte della maggiore temperatura disponibile nell’accumulo, è anche maggiore la richiesta temperatura di rigenerazione (Figura 9), e quindi sarà più elevata la temperatura Tin dell’acqua in ingresso alla batteria calda. Per questo motivo, la frazione F di energia termica da fonte solare non varia considerevolmente, a parità di superficie captante, nelle diverse località (Figura 15). Nel range di valori di superficie captante considerati, la frazione F assume valori compresi tra il 40 % e l’80 %. I risparmi di energia primaria conseguiti rispetto al sistema convenzionale sono notevoli; confrontando i valori mostrati nel diagramma di Figura 15 con quelli riportati in Tabella IV, emerge la possibilità di risparmiare fino al 60% di energia primaria adottando la massima superficie captante, in quanto i consumi complessivi, comprendenti anche le aliquote associate alla produzione del freddo, si riducono, a Trapani, da 218 GJ/anno (sistema convenzionale) a 89 GJ/anno (DEC con sezione solare da 50 m2). Risparmi percentuali fino al 55% possono essere conseguiti a Roma e Milano. E’ da notare inoltre che i consumi associati agli ausiliari elettrici, quali pompe e ventilatori, assumono in un sistema DEC solare rilevanza percentuale ancor più considerevole; i risultati di Figura 16 si riferiscono, a titolo di esempio, all’impianto dotato di una superficie captante AC = 40 m2, e dimostrano come la somma dei consumi di pompe e ventilatori possa giungere a rappresentare il 35% dei consumi totali dell’impianto. Conviene a questo punto valutare le prestazioni dei sistemi analizzati tramite un indice adimensionale che rapporti i consumi energetici all’effetto utile prodotto nei confronti dell’utenza, cioè al carico termico complessivamente abbattuto. In questo senso conviene riprendere la definizione di REP già introdotta in (3), estendendola al caso di un sistema che lavora in regime non stazionario, come proposto in (13).

Figura 15 – Frazione solare (sinistra) e consumo annuo di energia primaria (destra) per i sistemi DEC assistiti da energia solare.

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Figura 16 - Distribuzione dell’energia primaria per sistema DEC assistito da energia solare.

La definizione proposta potrebbe, però, risultare particolarmente penalizzante in contesti caratterizzati da un clima molto umido, nei quali, a parità di utenza, il processo di deumidificazione prende avvio da un titolo xE molto più elevato, come nel caso di Trapani. In questo caso, dunque, il denominatore della (13) aumenterebbe rispetto ad un clima più secco, mantenendosi invece costante il numeratore. Per questo motivo si propone un secondo parametro, detto Rapporto di Energia Primaria Normalizzato, espresso dalla (14), al fine di disaccoppiare, e quindi normalizzare, il REP rispetto alla quantità di vapore acqueo da rimuovere dall’aria esterna. I risultati ottenuti con riferimento ad entrambi i parametri sono riportati in Figura 17 e Tabella VI, dalle quali si evince che i sistemi analizzati esprimono i migliori valori del REP normalizzato proprio nel sito caratterizzato dal clima più umido. W

PHVL

¦ ³ 1P ˜

 5(3 5(3QRUP

P V ˜ K $  K , GW

W

(3

³ 5(3 W ˜ [ W



[ ( W  [ , W ˜ GW  $ W  [ , W

 





 





 

Figura 17 – Rapporto di Energia Primaria per sistemi DEC assistiti da energia solare.

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Tabella VI - REP per sistemi convenzionali e DEC non assistiti da energia solare. 

75$3$1,



&RQYHQ] '(&

520$

0,/$12

&RQYHQ]

'(&

&RQYHQ]

'(&

5(3













5(3QRUP















CONCLUSIONI I risultati ottenuti nel presente lavoro dimostrano che l’uso di unità di trattamento aria basate su rotori essiccanti assistiti da energia solare si presenta come valida alternativa alle UTA convenzionali, consentendo di conseguire risparmi di energia primaria fino al 60%. La tecnologia si presenta particolarmente interessante soprattutto nei climi caldi e umidi, caratterizzati da significativa disponibilità di radiazione solare; se ne potrebbe dunque prospettare l’esportazione presso i paesi in via di sviluppo del bacino mediterraneo. Per climi particolarmente umidi, però, i cicli standard considerati in questo studio possono risultare non idonei, in quanto richiederebbero una fase di predeumidificazione alquanto impegnativa; per questo motivo sono in fase di studio cicli termodinamici alternativi che meglio si adattino a questi climi. E’ inoltre da segnalare che i sistemi DEC, a fronte di migliori prestazioni energetiche, risultano notevolmente più complessi, e richiedono quindi una maggiore quantità di energia primaria all’atto della loro produzione. In un prossimo lavoro si valuteranno dunque le prestazioni dei sistemi DEC in chiave LCA, per valutarne la convenienza alla luce del loro intero ciclo di vita. BIBLIOGRAFIA [1]

[2]

[3] [4] [5] [6] [7]

Lazzarin R., Gasparella A. New ideas for energy utilisation in combined heat and power with cooling: I. Principles. Applied Thermal Engineering 17(4) (1997). pp. 369-384. Lazzarin R., Gasparella A. New ideas for energy utilisation in combined heat and power with cooling: II. Applications. Applied Thermal Engineering 17(5) (1997). pp. 479-500. Daou K., Wang R.Z., Xia Z.Z., Desiccant cooling air conditioning: a review. Renewable & Sustainable Energy Reviews 10 (2006), pp. 55-77. Mazzei P., Minichiello F., Palma D. HVAC dehumidification systems for thermal comfort: a critical review. Applied Thermal Engineering 25 (2005), pp. 677-707. CNR, Dati climatici per la progettazione edile ed impiantistica, Roma, 1982 Halliday S.P., Beggs C.B., Sleigh P.A., The use of solar desiccant cooling in the UK: a feasibility study. Applied Thermal Engineering 22 (2002), pp. 1327-1338. Henning H-M., Erpenbeck T., Hindenburg C., The potential of solar energy use

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in desiccant cooling cycles. International Journal of Refrigeration 24 (2001) pp. 220-229. [8] Henning H-M. (editor), Solar-Assisted Air-Conditioning in Buildings. A Handbook for Planners. Springer Wien NewYork, 2004. [9] Mavroudaki P., Beggs C.B., Halliday S.P., The potential for solar powered singlestage desiccant cooling in southern Europe, Applied Thermal Engin. 22 (2002), pp. 1129-1140. [10] Lazzarin R. Sistemi solari attivi. Manuale di calcolo. Franco Muzzio editore, 1981.

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Esigenze funzionali ed integrazione architettonica degli impianti solari negli edifici ALESSIO GASTALDELLO, LUIGI SCHIBUOLA Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, IUAV Università di Venezia

RIASSUNTO Le prestazioni energetiche dei sistemi solari attivi, solare termico e fotovoltaico, sono fortemente influenzati dall'orientamento e dall'inclinazione adottata nell'installazione di pannelli solari. Attualmente c'è la tendenza a favorire gli impianti solari che presentano una forte integrazione con l'edificio da un punto di vista architettonico. Tuttavia questo approccio progettuale può implicare pesanti penalizzazioni nelle prestazioni annuali degli impianti solari installati. E' pertanto necessario fornire ai progettisti una chiara e utile informazione, fin dalle prime fasi del progetto riguardo l'influenza sulle prestazioni causate da parametri di installazione diversi rispetto a quelli normalmente suggeriti. In questa memoria il problema di questa penalizzazione è analizzato in dettaglio per mezzo di modelli e viene presentata una stima in base alle conseguenti procedure di calcolo. Lo scopo è quello di permettere una precisa consapevolezza del problema al fine di raggiungere il miglior compromesso fra esigenze architettoniche ed energetiche. 1. INTRODUZIONE La rinnovata crescita del costo dei combustibili fossili dovuti soprattutto al vertiginoso aumento del consumo energetico conseguente lo sviluppo industriale di grandi paesi, come la Cina e l'India, cui si aggiunge la crescente preoccupazione ambientale per le emissioni di anidride carbonica ripropongono il problema del ricorso a fonti energetiche alternative ed in particolare a quelle rinnovabili. Costi energetici ed ambiente ecco le due cause fondamentali che spiegano l'attuale risveglio di interesse per le possibilità applicative dell'energia solare, energia pulita e rinnovabile per eccellenza. Occorre però fare tesoro dell'esperienza negativa degli anni Settanta. In quegli anni si presentò la prima grande crisi energetica che venne vissuta in termini di previsioni a breve termine anche eccessivamente drammatiche. Una delle conseguenze fu certamente la grande attenzione nei riguardi delle energie alternative e in particolare quella solare. Purtroppo un forse eccessivo entusiasmo iniziale, non accompagnato da una diffusa ed

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adeguata conoscenza tecnica delle possibilità, ma anche dei limiti della tecnica solare senza dubbio giocò pesantemente a sfavore del successo di questa tecnologia. Prestazioni degli impianti realizzati decisamente inferiori al previsto provocarono una rapida disaffezione nei riguardi del solare. Occorre quindi oggi impegnarsi per diffondere una corretta cultura impiantistica evidenziando le esigenze funzionali e le effettive possibilità di questo tipo di impianti. Affermarne i limiti e le relative problematiche non significa contrastare l'impiego dell'energia solare, ma viceversa evidenziare un'area applicativa, delimitata ma esistente, di reale convenienza per il loro impiego. Viene allora qui affrontato con una precisa quantificazione il problema dell'effetto sulle prestazioni di un impianto solare delle scelte relative alle modalità di installazione dei captatori solari e in particolare la scelta del loro orientamento e della loro inclinazione. 2. L'INTEGRAZIONE ARCHITETTONICA La crescita di interesse per la tecnologia solare si è recentemente concretizzata in Italia, anche a livello legislativo, in una serie di provvedimenti che prevedono l'obbligo o semplicemente nuovi incentivi per l'installazione di impianti solari termici e fotovoltaici. Partiamo dal decreto legislativo 192 del 2005 recentemente integrato dal decreto 311/06. Negli allegati viene imposto l'obbligo del ricorso ad energie rinnovabili per coprire almeno il 50% del fabbisogno energetico necessario per la produzione dell'acqua calda sanitaria. In questo caso il riferimento al solare termico, anche se non esplicitamente dichiarato, risulta evidente. Pure il fotovoltaico viene reso obbligatorio. L'effettiva applicazione di questi obblighi dipende però dall'emanazione dei decreti applicativi di cui siamo per ora in attesa. Anche la finanziaria del 2007 si occupa però dell'energia solare. La riduzione di imposta del 55% (ripartita in tre anni ) delle spese documentate relative all'installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda fino ad un importo massimo di 60.000 Euro certamente dà un aiuto decisivo per una netta convenienza finanziaria di un investimento dedicato all'installazione di un impianto solare. Nella stessa finanziaria si ha poi l'anomalia di un comma (comma 20) che interferisce con la legislazione edilizia in quanto non riguarda un incentivo economico bensì obbliga l'installazione di un impianto fotovoltaico con una potenza di picco pari ad almeno 200 Wp per singola unità immobiliare presente, come condizione affinché un comune conceda l'autorizzazione alla costruzione di nuovi edifici. Già le prestazioni minime previste come obblighi potranno comportare specie per l'installazione di pannelli solari nei condomini, problemi relativi al reperimento di spazi adeguati ed adatti. C'è infatti l' esigenza di una minima distanza tra le schiere di collettori per evitare un mutuo ombreggiamento che si aggiunge all'eventuale problema di ombre riportate da edifici adiacenti. Risulterà difficile a volte rispettare la prescrizione generale che considera ottimale per i collettori l'orientamento Sud ed una inclinazione prossima alla latitudine della località. Già per soddisfare metà del fabbisogno energetico relativo ad una richiesta minima di 50 litri di acqua calda sanitaria al giorno per persona si deve installare una superficie netta di captazione tra 05,-1 m2 in base al tipo di collettore per ogni persona prevista. A questa si aggiunge la prescrizione degli impianti fotovoltaici. Per avere la potenza minima di picco richiesta occorre installare circa 1,5 m2 di pannello fotovoltaico

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per ciascuna unità immobiliare. I tetti dei nostri edifici rischiano di non essere sufficienti a volte neppure per le richieste minime. A questo si aggiunge un effetto estetico che può diventare decisamente poco gradevole. Il problema dell'integrazione architettonica fra impianti solari ed edificio si manifesta quindi fin d'ora fondamentale sia con riferimento alle esigenze funzionali che al risultato estetico. Di conseguenza nell'ultima versione del Conto Energia per l'incentivazione del fotovoltaico esso viene affrontato in termini di tariffa premiante per chi realizza l'integrazione architettonica. Precisamente vengono proposte tariffe differenziate in base al grado di integrazione architettonica con l'edificio come riportato in tabella I. Con completa integrazione architettonica si ha un aumento dell'incentivo tra il 21% e il 22,5% a seconda della fascia di potenza. Tabella I - Tariffe incentivanti del Conto Energia (D.lgs 45 del 23/02/07) )DVFHGL SRWHQ]D N:S    !

,PSLDQWLQRQ LQWHJUDWL ¼N:K ¼N:K ¼N:K

,PSLDQWLSDU]LDOPHQWH LQWHJUDWL ¼N:K ¼N:K ¼N:K

,PSLDQWLFRQLQWHJUD]LRQH DUFKLWHWWRQLFD ¼N:K ¼N:K ¼N:K

Gli impianti parzialmente integrati sono quelli in cui i moduli fotovoltaici sono installati in modo complanare alle superfici dell'edificio (tetti o facciate), ma senza sostituire il rivestimento di tali superfici. Gli impianti integrati sono invece quelli in cui i moduli fotovoltaici assumono anche la funzione di materiali di rivestimento delle superfici in sostituzione di quelli tradizionali (tegole, vetrate, ecc). Con lo stesso criterio vengono classificati i moduli fotovoltaici installati su elementi di arredo urbano, barriere acustiche, pensiline, frangisole, parapetti, balaustre, persiane. E' evidente che in tutti questi casi la prescrizione relativa all'inclinazione (latitudine), e spesso anche l'orientamento (Sud), ottimale finiscono in subordine rispetto all'esigenza della complanarità con la superficie esistente che privilegia quindi moduli con inclinazione quasi nulla oppure verticali ed orientamenti pari a quelli di tale superficie. E' quindi necessario investigare gli effetti di questa integrazione architettonica sull'energia raccolta dai captatori solari. 3. LA RADIAZIONE SOLARE DISPONIBILE SUL PIANO DEL COLLETTORE La radiazione globale effettivamente disponibile I a livello del suolo è la somma della radiazione diretta Ib (cioè i raggi che arrivano direttamente dal disco solare) e della radiazione diffusa Id  , , E  , G     Se si considerano le superfici non orizzontali comunque orientate, nel calcolo della radiazione globale incidente si deve aggiungere una componente riflessa, dovuta alla radiazione riflessa dal terreno e dalle superfici circostanti, la cui intensità è influenzata dai valori di albedo che le caratterizzano. Per l'intensità della radiazione su

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un piano inclinato dell'angolo β, nella (1) si deve quindi considerare anche la componente riflessa dal suolo:

  , E

, EE  , G E  , U E 



  

La componente Ibβ può essere esattamente calcolata a partire Ib dato che il passaggio da una all'altra dipende solo dalla geometria e quindi si usa la relazione trovata in assenza di atmosfera quando la radiazione è solo diretta: ,E FRV T E , EE , E ˜ ,E ˜ , E ˜ 5E  GLUHWWD    , FRV dove θ è l’angolo di incidenza della radiazione solare diretta sul piano orizzontale mentre θβ sul piano inclinato. Le componenti diffusa Ibβ e riflessa Irβ dipendono anche dall’angolo di vista del cielo e del terreno dal piano inclinato che sono facilmente esprimibili in funzione del solo angolo β nel caso non ci siano altre superficie in prossimità (rilievi montuosi, edifici): GLIIXVD

,G E



ULIOHVVD

 , UE

,G ˜

  FRV E  

, ˜U˜

  FRV E  



 



 

dove ρ è la riflessività media del suolo (0,2 terreno normale, 0,7 neve). Tabella II – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente disponibile sul piano del collettore con diversi orientamenti ed inclinazioni per Venezia. La variazione è riferita alla radiazione a Sud ed inclinazione 30° (5,58 GJ/m2) Inclinazione : 68' 6(62 (6729(67 1(12 125'

     

     

     

     

     

     

     

Utilizzando i valori medi orari dell’intensità della radiazione solare diretta e diffusa sul piano orizzontale contenuti negli anni tipo disponibili per diverse località italiane [1] distribuite su tutto il territorio nazionale è quindi possibile valutare in modo preciso la radiazione oraria disponibile su un piano con inclinazione ed orientamento qualunque. In questo caso per tale calcolo è stata utilizzata una subroutine di servizio presente nel codice TRNSYS, programma ben noto e collaudato per la simulazione degli impianti solari [2]. Vengono qui riportati nelle tabelle II, III e IV per brevità solo i risultati per Venezia (latitudine 45°30’), Roma (latitudine 41°48’) e Palermo (latitudine 38°11’) rispettivamente, come rappresentativi dell’intero territorio nazionale. Precisamente si

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fornisce nei tre casi la riduzione percentuale della radiazione solare disponibile annualmente su una superficie con inclinazione variabile da 0 a 90° con passo di 15° per ciascuno dei quattro orientamenti fondamentali e quelli intermedi fra loro. La riduzione percentuale è riferita all’orientamento ed inclinazione più favorevoli che hanno cioè fornito la massima radiazione annuale disponibile sul piano del collettore. In tutte tre le località la condizione più favorevole si ha con orientamento Sud ed inclinazione di 30°. Tabella III – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente disponibile sul piano del collettore con diversi orientamenti ed inclinazioni per Roma. La variazione è riferita alla radiazione a Sud ed inclinazione 30° (6,29 GJ/m2) ,QFOLQD]LRQH 68' 6(62 (6729(67 1(12 125'

     

     

     

     

     

     

      

Si osservi come in tutte tre le località, a parità di inclinazione, la penalizzazione rispetto all’orientamento Sud comincia effettivamente ad essere significativa solo per uno scostamento superiore ai 45° verso Est od Ovest. Per quanto riguarda l’inclinazione, a parità di orientamento, l’indicazione dei risultati presentati è diversa in base all’orientamento. Tabella IV – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente disponibile sul piano del collettore con diversi orientamenti ed inclinazioni per Palermo. La variazione è riferita alla radiazione a Sud ed inclinazione 30° (7,54 GJ/m2) Inclinazione: SUD SE-SO EST-OVEST NE-NO NORD

0 -10,0 -10,0 -10,0 -10,0 -10,0

15 -2,6 -5,0 -11,4 -18,5 -21,7

30 0,0 -3,9 -15,0 -29,2 -36,2

45 -2,5 -6,9 -20,6 -39,9 -49,5

60 -10,0 -13,9 -27,7 -49,2 -61,3

75 -21,7 -24,1 -36,1 -56,7 -70,3

90 -36,8 -36,5 -45,3 -62,7 -73,8

Per gli orientamenti più penalizzati cioè Est, Ovest, Nord ed intermedi fra questi, per aumentare la radiazione incidente conviene ridurre l’inclinazione. Invece per gli orientamenti prossimi al Sud l’inclinazione ottimale è intermedia cioè nel campo nell’intorno della latitudine del luogo cioè tra i 15 e i 45°. Si rileva però come in tutti tre i casi il risultato migliore sia a 30° cioè leggermente inferiore alla latitudine. Da questa prima analisi la prescrizione generale di un’inclinazione ottimale pari alla latitudine non appare del tutto corretta. E’ però evidente che il risultato dipende anche dai dati meteorologici di riferimento e in particolare dal rapporto tra componente diretta e componente diffusa della radiazione. Per le pareti verticali la penalizzazione supera sempre il 30% raggiungendo già ad Est ed Ovest valori nell’intorno del 45%. Questo è particolarmente importante per il

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fotovoltaico in quanto dimostra che anche l’incentivo per la completa integrazione, circa il 22%, non è assolutamente in grado di controbilanciare la riduzione della prestazione dei pannelli. Anzi la penalizzazione è ancora maggiore del valore qui riportato considerando che una minore produzione comporta un minor guadagno relativo alla quota economica conseguente l’autoconsumo o la vendita all’ente erogatore. La perdita economica cresce ancora in presenza di altri incentivi quali ad esmpio quelli legati ad interventi di riqualificazione energetica o in certi edifici pubblici quali scuole ed ospedali. 4. MECCANISMI DI ASSORBIMENTO DI UN COLLETTORE PIANO Un collettore solare piano è normalmente costituito da una piastra captante caratterizzata da un elevato coefficiente di assorbimento solare e da una copertura trasparente per assicurare il passaggio della radiazione e contemporaneamente ridurre le dispersioni impedendo che l’aria esterna lambisca direttamente la piastra calda.

Figura 1 - Schematizzazione di un collettore solare piano

Il raggio solare incidente colpisce quindi anzitutto la copertura trasparente. Secondo le leggi dell’ottica una variazione nella velocità di propagazione del mezzo provoca alla interfaccia fra i due mezzi con diversa velocità una riflessione parziale, la

Figura 2 - Riflessioni multiple in una lastra trasparente

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cui entità varia con l’angolo di incidenza, ed una rifrazione della quota trasmessa. Si definisce coefficiente di riflessione il rapporto tra radiazione riflessa e radiazione incidente: La quota trasmessa It, attraversando lo strato trasparente, subisce poi un parziale assorbimento che dipende dal cammino percorso e quindi dallo spessore della lastra e dall’angolo di rifrazione conseguente l’angolo di incidenza. Della parte trasmessa solo la quota τ·It raggiunge l’altro lato della lastra. Anche alla seconda interfaccia (lastra-aria) avviene un analoga riflessione e trasmissione. La quota τ di radiazione totale alla fine trasmessa è la conseguenza di una serie di riflessioni multiple secondo il meccanismo di figura 2. I cui contributi successivi sono però sempre meno significativi dato che si riducono di entità. In modo analogo la quota che raggiunge la piastra viene in parte subito assorbita, secondo un coefficiente di assorbimento α che è funzione dell’angolo di incidenza θ, ed in parte viene riflessa. Quest’ultima, grazie di nuovo alle riflessioni multiple sulla copertura, non è tutta perduta (figura 3).

Figura 3 - Assorbimento sulla superficie captante di un raggio incidente sulla copertura

La quota totale alla fine assorbita dalla superficie captante viene chiamata prodotto trasmissività-assorbimento (τα) ed indicata tra parentesi perché, in base a quanto detto, risulta essere maggiore del semplice prodotto di τ per α. Dipende fortemente dall’angolo di incidenza e quindi varia molto durante la giornata. Il prodotto (τα)θ per un angolo di incidenza θ può essere calcolato in funzione del corrispondente (τα)n ad incidenza normale (cioè θ=0). Il rapporto tra i due precedenti prodotti trasmissività-assorbimento viene detto modificatore con l’angolo di incidenza e per un collettore solare piano risulta facilmente valutabile con la seguente relazione: WD T WD Q

D

E   FRV T





dove: a=1,17 a=1,19

b=0,17 con una copertura trasparente b=0,19 con due coperture trasparenti



 

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Dalla figura 4 si osservi il drastico calo del modificatore e quindi della quota di radiazione incidente captata per angoli di incidenza superiori a 60°. Poiché le tre componenti diretta, diffusa e riflessa hanno angoli di incidenza diversa, per ciascuna di esse occorre valutare il corrispondente modificatore con l’angolo di incidenza. Per la radiazione diffusa si assume l’uniformità della volta celeste e quindi un angolo medio costante valutabile in funzione dell’inclinazione e comunque prossimo a 60°. Per la riflessa dipende dall’inclinazione della superficie. Per la diretta l’incidenza dipende da orientamento, inclinazione, ora e data per ciascuna località.

Figura 4 - Modificatore con l’angolo di incidenza per un pannello solare piano

Risulta quindi chiaro che per un collettore piano l’energia assorbita dalla piastra dipende fortemente dall’angolo di incidenza. Pertanto a parità di energia incidente sul piano del collettore l’energia assorbita dalla piastra captante può risultare molto variabile in funzione dell’angolo di incidenza. Possiamo concludere che l’orientamento e l’inclinazione influenzano sicuramente anche l’efficienza di captazione. Tabella V – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente assorbita dalla piastra captante di un collettore piano con diversi orientamenti ed inclinazioni per Venezia. La variazione è rispetto al caso con orientamento Sud ed inclinazione 30°. Inclinazione: SUD SE-SO EST-OVEST NE-NO NORD

0 -14,6 -14,6 -14,6 -14,6 -14,6

15 -4,6 -7,4 -15,1 -24,5 -28,8

30 0,0 -4,5 -17,6 -34,7 -42,6

45 -1,3 -6,4 -22,1 -43,7 -55,6

60 -8,2 -12,6 -28,5 -51,0 -65,3

75 -20,5 -23,2 -36,6 -57,0 -69,0

90 -36,6 -36,6 -46,1 -62,6 -71,9

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Utilizzando di nuovo il programma TRNSYS per le tre località si sono valutate le energie assorbite dalla piastra captante durante l’anno al variare di inclinazione ed orientamento. A tale scopo con passo orario si sono valutate le tre componenti, diretta, diffusa e riflessa della radiazione e i relativi angoli di incidenza in base ai quali l’equazione (6) ha fornito il modificatore del prodotto trasmissività-assorbimento per ciascuna componente. In questa analisi si sono considerati i coefficienti a e b per il caso più comune di collettore piano con una sola copertura trasparente. Tabella VI – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente assorbita dalla piastra captante di un collettore piano con diversi orientamenti ed inclinazioni per Roma. La variazione è rispetto al caso con orientamento Sud ed inclinazione 30°. Inclinazione: SUD SE-SO EST-OVEST NE-NO NORD

0 -11,9 -11,9 -11,9 -11,9 -11,9

15 -3,0 -5,6 -12,6 -21,3 -25,6

30 0,0 -3,7 -15,6 -32,0 -39,9

45 -2,7 -6,8 -20,8 -41,8 -53,8

60 -11,0 -14,0 -27,9 -49,9 -65,3

75 -24,5 -25,3 -36,5 -56,6 -69,9

90 -41,4 -39,2 -46,3 -62,5 -72,7

Si è quindi calcolata l’energia assorbita dalla piastra come somma delle tre componenti. Si riportano nelle tabelle V, VI e VII di nuovo solo per Venezia, Roma e Palermo, la riduzione percentuale della radiazione assorbita annualmente dalla piastra captante al variare dell’inclinazione e dell’orientamento. La riduzione percentuale è riferita alla condizione migliore (verso Sud ed inclinazione 30°). Si noti che tale riduzione è la stessa per qualunque valore del modificatore ad incidenza normale (τα)n. Tabella VII – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente assorbita dalla piastra captante di un collettore piano con diversi orientamenti ed inclinazioni per Palermo. La variazione è rispetto al caso con orientamento Sud ed inclinazione 30°. Inclinazione: SUD SE-SO EST-OVEST NE-NO NORD

0 -13,3 -13,3 -13,3 -13,3 -13,3

15 -3,5 -6,2 -13,9 -23,5 -28,3

30 0,0 -3,8 -16,7 -34,9 -43,9

45 -2,3 -6,6 -21,9 -45,3 -58,0

60 -11,0 -14,0 -28,9 -53,7 -69,8

75 -25,0 -25,5 -37,5 -60,3 -75,2

90 -42,7 -39,6 -47,3 -65,7 -77,1

Complessivamente possiamo dire che il meccanismo di assorbimento della radiazione solare nel collettore piano accentua in modo significativo la penalizzazione legata ad un’installazione non favorevole. Per un pannello fotovoltaico che normalmente presenta una superficie di protezione delle celle fotovoltaiche è possibile ragionare in modo assolutamente analogo. E’ quindi possibile individuare un modificatore con l’angolo di incidenza del prodotto trasmissività-assorbimento valutato ad incidenza normale]. In figura 4 è riportato il suo tipico andamento in funzione dell’angolo di incidenza della radiazione

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solare [3]. Come per i collettori termici anche in questo caso si riportano in tabella VIII, le variazioni percentuali dell’energia solare assorbita dal pannello fotovoltaico per diversi angoli ed inclinazioni per brevità solo nel caso di Venezia. I risultati ottenuti confermano sia qualitativamente che quantitativamente quelli già trovati per i collettori piani termici.

Figura 4 - Modificatore con l’angolo di incidenza per un pannello fotovoltaico

Tabella VIII – Variazione percentuale dell’energia solare annualmente assorbita dalla piastra captante di un pannello fotovoltaico con diversi orientamenti ed inclinazioni per Venezia. La variazione è rispetto al caso con orientamento Sud ed inclinazione 30°. ,QFOLQD]LRQH 68' 6(62 (6729(67 1(12 125'

     

     

     

     

     

     

      

5. VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI CON IL METODO DELLA CARTA f L’attuale normativa tecnica prevede la valutazione delle prestazioni annuali per un impianto solare termico mediante il metodo della carta f (norma UNI 8477-2 [4]) . Si tratta di una procedura di calcolo semplificata sviluppata negli anni Settanta a partire dai risultati ottenibili con il programma di simulazione TRNSYS e che permette di ottenere la frazione F del fabbisogno annuale di energia coperta dall’impianto solare calcolando le corrispondenti frazioni mensili f . In questo caso la valutazione della radiazione solare

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incidente sul piano dei collettori e della radiazione assorbita dalla piastra captante è fatta a livello di giorno medio mensile. Per una trattazione completa sul metodo della carta f si rimanda per brevità a testi specifici [5] e [6]. Qui si accenna solo che partendo dall’espressione analitica della frazione coperta f su base mensile si introducono due termini adimensionali Y ed X: 



) U ˜ $F ˜ W D ˜ + E ˜ 1  /

<



 

dove L è il fabbisogno energetico mensile, F’r il fattore di asporto termico del collettore eventualmente corretto in base alle caratteristiche dell’impianto. N è il numero dei giorni del mese, + E è la radiazione giornaliera media mensile e W D è il prodotto trasmissività-assorbimento medio mensile calcolato come media ponderata dei tre corrispondenti prodotti riferiti alle componenti diretta, diffusa e riflessa.

;

) U ˜ $F ˜ 8 F ˜   W G ˜ ' W  /



 



dove Uc è il coefficiente di dispersione termica del collettore, W G è la temperatura esterna media mensile, media possibilmente estesa più correttamente al solo periodo diurno, ∆t è il numero di secondi nel mese. Il calcolo di f viene ottenuto mediante una correlazione empirica ricavata in base ai risultati di molte simulazioni delle prestazioni annuali di impianti solari realizzate proprio utilizzando il programma TRNSYS. Al variare delle caratteristiche dell’impianto, del clima e dell’utenza si possono ottenere infatti un gran numero di coppie di valori di X ed Y a ciascuna delle quali corrisponde un valore di f. Si è costruito di conseguenza un polinomio di interpolazione per questi risultati. La correlazione semplificata al fine proposta dal metodo della carta f è la seguente:  I

  ˜ <    ˜ ;     ˜ <     ˜ ;      ˜ <   

 



La correlazione qui presentata vale per i sistemi a liquido cioè per i collettori solari più frequentemente utilizzati per la produzione di acqua calda sanitaria con o senza l’uso combinato per il riscaldamento di ambienti. Vediamo ora un’applicazione del metodo al caso di un impianto per un fabbisogno giornaliero di 1800 l/giorno a Venezia. Può essere il caso di un condominio con 12 appartamenti, una media di tre persone per unità ed un consumo di acqua calda a 48°C pari a 50 l per persona al giorno. Si utilizza un modello di collettore piano con ingombro 2x1,29 m, superficie captante netta di 2,38 m2. Collettore con piastra selettiva, parametri caratteristici Fr(τα)n =0,85 e FrUc =4,5 W/m2K. L’impianto presenta 12 collettori (28,56 m2 netti) e un accumulo di 75 l/m2 di superficie captante.

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Tabella IX – Foglio di calcolo delle prestazioni di un impianto solare per la produzione di acqua calda sanitaria con il metodo della carta f. /RFDOLWj /DWLWXGLQH 9HQH]LD  $QJROR GLYLVWD GHOFLHOR  OLWULJLRUQR &DULFR 0HVH JHQQDLR IHEEUDLR PDU]R DSULOH PDJJLR JLXJQR OXJOLR DJRVWR VHWWHPEUH RWWREUH QRYHPEUH GLFHPEUH

JLRUQR            

G

           



U            

,QFOLQD]LRQHVXSHUILFLH $]LPXWKVXSHUILFLH   $QJRORGL YLVWDWHUUD   )U WD Q  &ROOHWWRUH

Y

Y

Y VV

Y VU

           

           

)U8F

0LQLPR + N-P +E 0-P +G 0-P                                                

$FFXPXOR +            

+ E            

 OLWULP



+G+ 5E$=,                         

$ 0HVH JHQQDLR IHEEUDLR PDU]R DSULOH PDJJLR JLXJQR OXJOLR DJRVWR VHWWHPEUH RWWREUH QRYHPEUH GLFHPEUH

Y

0HVH JHQQDLR IHEEUDLR PDU]R DSULOH PDJJLR JLXJQR OXJOLR DJRVWR VHWWHPEUH RWWREUH QRYHPEUH GLFHPEUH

T

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Y VU

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D            

           



/  N-PHVH 0HVH JHQQDLR  IHEEUDLR  PDU]R  DSULOH  PDJJLR  JLXJQR  OXJOLR  DJRVWR  VHWWHPEUH  RWWREUH  QRYHPEUH  GLFHPEUH  

WD E WD Q WD  WD Q TE                                     WD U WD Q

;F$            

$UHD


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;            

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Y VV

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1XP

/  N-PHVH ' W  0V            

WD G WD Q



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)

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5E            

7 G  ƒ&            

5 + E 0-P + E N-P                                    

;$            

;F$            




In tabella IX si riporta lo sviluppo del calcolo che può essere facilmente ottenuto con un semplice foglio di lavoro. In questo caso si considera l’orientamento Sud con inclinazione a 45°. I dati solari di partenza e cioè le due componenti, diretta e diffusa, della radiazione giornaliera media mensile sul piano orizzontale sono stati qui ricavati dai dati annuali De Giorgio già utilizzati.



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Utilizzando il metodo della carta f si è anche valutata l’influenza dell’inclinazione sulla frazione annuale F coperta. In figura 5 si riportano l’andamento della frazione F e della relativa variazione percentuale rispetto ai 45° che si è rivelata in questo caso l’inclinazione migliore.

Figura 5 - Frazione annuale F e sua riduzione (%) al variare dell’inclinazione dei collettori per l’impianto considerato. La riduzione è riferita all’inclinazione ottimale di 45°

Nonostante la semplificazione del ricorso al giorno medio mensile, le radiazioni incidente ed assorbita valutati con il metodo della carta f sono assolutamente in linea con 

2ULHQWDPHQWR6XG9HQH]LD



5DGLD]LRQH *-P

    

,QFFDUWDI

,QF7516<6



$VVFDUWDI

$VV7516<6

 ƒ

ƒ

ƒ ƒ ƒ ,QFOLQD]LRQHFROOHWWRUL

ƒ

ƒ

Figura 6 - Confronto tra le radiazioni annuali incidente ed assorbita valutate con il metodo della carta f e con il TRNSYS al variare dell’inclinazione dei collettori per l’orientamento Sud.

quelle ottenute con la valutazione oraria eseguita con il TRNSYS. Si confrontino a tale proposito in figura 6 queste due radiazioni valutate su base annuale con le due diverse procedure. Sono praticamente le stesse. Ciò nonostante la carta f dà un’indicazione finale diversa dalla semplice analisi delle radiazioni, dato che la migliore frazione F si ottiene per un’inclinazione di 45° cioè pari alla latitudine del luogo invece di 30°. Si tratta d’altronde di un risultato già ben noto dalla letteratura tecnica. Questo aumento

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dell’inclinazione infatti permette una migliore prestazione nei mesi invernali che migliora il risultato annuale anche in presenza di un leggero calo della radiazione incidente annuale dovuta la periodo estivo. 6. CONCLUSIONI Un orientamento ed un’inclinazione della superficie captante che si discostano dai valori ottimali possono penalizzare fortemente le prestazioni degli impianti solari. La penalizzazione legata ad una riduzione dell’energia solare disponibile sul piano del captatore viene ulteriormente incrementata dal meccanismo di assorbimento della piastra captante data la dipendenza dall’angolo di incidenza. Per i pannelli fotovoltaici la penalizzazione nel caso di un’installazione su parete verticale è talmente forte per tutti gli orientamenti che certo non può essere interamente compensata dagli incentivi previsti dal conto energia in caso di integrazione architettonica con l’edificio. L’inclinazione ottimale in Italia è prossima ai 30°. Per il solare termico le indicazioni limitate agli effetti sulla radiazione incidente e disponibile non sono sufficienti. Occorre quindi sempre una valutazione completa con un metodo semplificato come la carta f o più sofisticato come il TRNSYS. BIBLIOGRAFIA [1]

Mazzarella L., Dati climatici “G. De Giorgio”, atti Giornata di Studio a memoria di “Giovanni De Giorgio”, Politecnico di Milano, Dipartimento di Energetica. Milano 1997. [2] Solar Energy Laboratory, TRNSYS a Transient System program, rel 14.2, University of Wisconsin, Madison, USA. [3] King David L., Kratochvil Jay A.,. Boyson William E., Measuring the solar spectral and angle of incidence effects on photovoltaic modules and irradiance sensors, Proceedings of the 1994 IEEE Photovoltaics Specialists Conference, 1997. [4 ] UNI, Energia solare, Calcolo degli apporti per applicazioni in edilizia, Valutazione degli apporti ottenibili mediante sistemi attivi o passivi, norma UNI 8477, parte seconda, 1985. [5] Duffie, John, Beckam William., Solar engineering of Thermal Processes, New York, John Wiley & Sons, Inc. 1991. [6] Schibuola L., Cecchinato L., Sistemi solari attivi e passivi negli edifici, Società editrice Esculapio, Bologna, 2005.

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Tecnologia e applicazioni del solare fotovoltaico LUIGI ZEN Helios Technology Srl, Carmignano di Brenta (PD)

RIASSUNTO Nella presente relazione si descrivono nel modo più comprensivo possibile la teoria sul fotovoltaico e le possibili applicazioni. Nella prima parte vengono illustrati la teoria e gli aspetti fisici dell'effetto fotovoltaico. Dopodichè si descrive la filiera del silicio, dalla quale hanno origine le due largamente diffuse tecnologie del silicio monocristallino e policristallino. Infine si illustra una panoramica delle tecnologie commerciali per la realizzazione di moduli fotovoltaici, sia attualmente in uso che probabili future. Nella seconda parte della relazione si illustrano le possibili applicazioni del solare fotovoltaico, raggruppate nei due sottotipi di impianto, classificati come stand alone (a isola) e connesso a rete (grid connected). In particolare, per quanto riguarda gli impianti connessi a rete, viene descritto il meccanismo di incentivazione sulla produzione di energia elettrica “Conto Energia”, con riferimento al recente Dlgs del 19/02/07. 1. TEORIA DELL’EFFETTO FOTOVOLTAICO 1.1. Cenni storici La parola “fotovoltaico” deriva dall’unione di due termini: il primo, greco, “phos” ovvero “luce” ed il secondo “volt”, unità di misura della differenza di potenziale elettrico, la quale prende nome da Alessandro Volta, famoso scienziato che con la sua “pila” ha documentato gli effetti elettrici di interazione tra i materiali conduttori. In effetti con il termine “fotovoltaico” si intendono tutti quegli elementi o dispositivi i quali, esposti sotto i raggi solari o un’analoga radiazione ionizzante, sono in grado di erogare una forza elettromotrice in corrente continua. L’effetto fotovoltaico è in prima analisi un’evoluzione dell’”effetto Volta” scoperto da Alessandro nel 1800, fenomeno per cui due elementi conduttori (piombo e zinco) posti a contatto tra loro danno origine ad un campo elettrico polarizzante il quale, se opportunamente superato grazie alla presenza di un “catalizzatore” (H2SO4), permette un

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flusso di corrente continua e quindi la generazione di una forza elettromotrice. Sulla base della scoperta di Volta, nel 1836 lo scienziato Edmond Becquerel fece degli studi e scrisse la “Memoria sugli effetti elettrici prodotti sotto l’influenza dei raggi solari“. Qualche anno dopo, nel 1876, Heinrich Hertz studiò per la prima volta l’effetto fotovoltaico in solido sul Selenio, ma le efficienze di conversione registrate erano molto basse, comprese solamente tra l’1% ed il 2%. La prima cella fotovoltaica commerciale (e quindi per “commerciale” si intende un prodotto producibile su scala industriale in modo ripetibile, che sia fisicamente stabile ed abbia un costo accettabile) fu realizzata negli USA nel 1954 dai tecnici di laboratorio della Bell Industries Chapin, Fuller e Person. Essa sfrutta la tecnologia del silicio cristallino, tecnologia peraltro ancor oggi largamente utilizzata nella produzione di celle e moduli fotovoltaici. 1.2. Cella fotovoltaica in silicio cristallino: aspetti fisici L’elemento base di una cella fotovoltaica in silicio cristallino è appunto il silicio. Il supporto utilizzato per la realizzazione della cella, caratterizzato da una purezza definita di “grado solare”, è inizialmente costituito da un wafer di Silicio di tipo “p” (drogato con degli atomi di boro (B) in parti per milione) e quindi con un eccesso di cariche positive (+). Il wafer viene poi sottoposto ad una diffusione con fosforo (P) tale da creare una zona di tipo “n”, caratterizzata da un eccesso di cariche negative (-) .Viene così creata una giunzione “p-n” (fig. 1) che presenta quindi un forte campo elettrico locale (effetto Volta). Gli elettroni polarizzati nel wafer, dal punto di vista energetico si trovano nella cosiddetta “banda di valenza” e non potrebbero ancora muoversi. Grazie ai raggi solari incidenti sulla superficie della cella, un’adeguata energia dei fotoni porta gli elettroni nella Fig. 1.1 – Cella fotovoltaica e circuito equivalente “banda di conduzione”, ovvero essi si muovono e generano un flusso di corrente, tanto più elevato quanto più elevata è la potenza radiante dei raggi solari. La continua presenza del campo elettrico di giunzione impedisce quindi la ricombinazione degli elettroni durante il loro movimento. La corrente elettrica generata

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viene quindi utilizzata per essere immessa in una batteria o per alimentare un carico in presa diretta (es. impianti connessi a rete). 1.2.1. Cella fotovoltaica in silicio cristallino: circuito equivalente Come descritto in Fig. 1.1, dal punto di vista elettrotecnico il circuito equivalente di una cella fotovoltaica è costituito da: 1. Un generatore ideale di corrente in serie. L’intensità di corrente generata dalla cella fotovoltaica è indipendente dal carico ad essa applicato, mentre è direttamente proporzionale all’intensità della radiazione solare incidente. Possiamo dire in linea generale che le variazioni di corrente misurabili in una cella sono pertanto dovute a fluttuazioni della potenza solare radiante (nuvole, stagioni, ecc.) 2. Un diodo in parallelo. In effetti la presenza della giunzione p-n rende la cella fotovoltaica simile ad un grosso diodo attivo, caratterizzato da una tensione di circuito aperto pari alla “tensione di giunzione” (0,4-0,6V), valore quindi piuttosto stabile nel tempo e poco dipendente dalla radiazione solare del momento. 3. Una resistenza serie. Essa riassume complessivamente il contributo delle resistenze dovute a: caratteristiche fisiche dei materiali, resistenza derivante dalla temperatura di funzionamento e quindi dall’agitazione termica ecc. 1.3. Efficienza di conversione L’efficienza di conversione di una cella fotovoltaica è il rapporto tra la potenza solare radiante totale incidente la cella e la potenza elettrica effettivamente erogata dalla cella stessa. La potenza radiante solare non convertita si trasforma in calore, inutile e penalizzante per la conversione. L’efficienza di conversione di una cella dipende dai materiali di cui essa è costituita e dal tipo di tecnologia utilizzata per realizzarla. Attualmente la tecnologia di realizzazione che assicura le maggiori efficienze di conversione ad una cella commerciale é quella del silicio cristallino (monocristallino e multicristallino). Si consideri che alle nostre latitudini geografiche, la radiazione solare incidente sulla superficie terrestre raggiunge quotidianamente nelle ore centrali della giornata un valore massimo di potenza radiante pari a 1000 W/m2. Prendendo come esempio una cella fotovoltaica realizzata secondo la tecnologia del silicio cristallino e considerate tutte le perdite di conversione dovute ai fattori descritti in Fig. 1.2 qui sotto, si può notare che l’efficienza di conversione media di una cella si attesta attorno al 16%. Tale valore seppur piuttosto basso, è attualmente il massimo che si può ottenere con tecniche commerciali, quindi che consentano la realizzazione di celle producibili su scala industriale in modo ripetibile, che siano fisicamente stabili ed abbiano un costo accettabile. Nel paragrafo 1.5 verrà fatta un’analisi comparativa tra le efficienze di celle e moduli realizzati secondo le attuali tecniche produttive.

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Fig. 1.2. - Efficienza di conversione di una cella in silicio cristallino

Per uniformità internazionale nelle condizioni di test, la misura delle caratteristiche elettriche di celle e moduli fotovoltaici deve avvenire secondo le Standard Test Conditions (STC), che sono le seguenti: 1. Potenza della radiazione luminosa 1000 W/m2 2. Temperatura della/delle cella/e 25 °C 3. Massa d’aria AM = 1,5 Questo standard di misura è stato istituito per assicurare che le caratteristiche elettriche di celle e moduli fotovoltaici dichiarate dal costruttore, siano misurate alle stesse condizioni di laboratorio e siano fedelmente riproducibili quando sono installati nei sistemi fotovoltaici veri e propri. 1.4. Filiera del Silicio per l’industria fotovoltaica E’ pur vero che il nostro territorio è ricco di sabbia e quindi di quarzite, elemento da cui si ricava il silicio, ma le lavorazioni da compiere per il suo ottenimento sono purtroppo molte e costose. Proprio per questo motivo il costo finale di un modulo fotovoltaico non è immotivatamente elevato. Infatti dalla fusione della quarzite (SiO2) assieme al carbonio (C) si ottiene il silicio “di grado metallurgico” (SiO2 + 2C = Si + 2CO), caratterizzato da un grado di purezza del 99%. L’elemento così ottenuto non è ancora sufficientemente puro ai fini dell’industria elettronica e solare, perciò è generalmente impiegabile solamente per l’industria chimica e dell’alluminio. Per essere utilizzabile nell’industria fotovoltaica, la così denominata “sabbia di Silice” deve subire un complesso processo di raffinazione (solar refining). Al termine di questo processo essa ottiene un grado di purezza del 99,99% e quindi la denominazione di silicio “di grado solare” (solar grade, SG-Si). In modo parallelo, per

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ottenere un grado di purezza del 99,9999% (poly-silicon) necessario per l’uso nell’industria elettronica, la sabbia di silice subisce un complicato e costoso processo di raffinazione (distillazione frazionata, metodo Siemens) e diventa così silicio “di grado elettronico” (electronic grade, EG-Si). Nel caso di un non raggiunto grado di purezza

Fig. 1.3 – Silicio di grado elettronico e di grado solare

desiderato o contaminazioni durante il processo di raffinazione, il silicio non conforme diventa utilizzabile per l’industria fotovoltaica. Come mostrato qui sotto in Fig. 1.4 il

Fig. 1.4 - Silicio di grado solare e di grado elettronico per l’industria fotovoltaica

silicio di grado solare destinato per l’industria fotovoltaica, viene cresciuto con il metodo “Heat Exchange Method”, (HEM). Il silicio viene fuso in un forno ad arco e poi lasciato raffreddare secondo tempi e temperature controllate. Si ottiene in questo modo del silicio multicristallino in pani a forma di parallelepipedo, secondo le esigenze del costruttore. I pani diventeranno poi dei lingotti di base rettangolare o quadrata, i quali a loro volta saranno tagliati in sottilissimi wafer dello spessore di circa 200 micron (spessori minimi per ottenere un maggiore numero di wafer per lingotto). Questi wafer saranno poi processati e diventeranno delle celle fotovoltaiche in silicio multicristallino. Per quanto riguarda l’industria elettronica, il polyslicon puro al 99,9999% viene cresciuto in lingotti cilindrici (RODs) con il “Metodo Czochralsky”, un processo in un forno ad arco a temperatura e velocità di crescita controllati, il quale permette di ottenere dei RODs in silicio monocristallino, iperpuro, polarizzato e perfettamente uniforme come richiesto dall’industria elettronica. La parte iniziale e terminale di questi RODs, di forma conica,

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chiamate “testa” e “coda” non perfettamente pure, verranno riutilizzate e rifuse con il metodo MEH per produrre silicio multicristallino per l’industria fotovoltaica. I RODs a base cilindrica in silicio monocristallino ottenuti vengono quindi tagliati in wafer dello spessore di 400-600 micron e destinati per : 1. Industria elettronica dei semiconduttori se conformi alle specifiche (purezza ecc.) 2. Industria solare fotovoltaica a) wafer di grado solare in Si monocristallino nel caso in cui i RODs non rientrino nelle specifiche o contaminati durante il processo di crescita/taglio. b) wafer di scarto di produzione dell’industria dei microprocessori (contaminazione, errori di progettazione dei chip, altro) che diventano wafer di grado solare in Si monocristallino dopo un adeguato processo industriale di recupero (wafer reclaiming) da parte delle industrie fotovoltaiche. Con il processo “layer stripping” i wafer vengono recuperati mediante la rimozione degli strati superficiali dei wafer stessi precedentemente processati. Ciò è possibile grazie al notevole spessore dei wafer (400-600 micron) che sono quindi rilavorabili per produrre celle fotovoltaiche. Il silicio di grado solare monocristallino è in generale caratterizzato, data la sua maggiore purezza, da un’efficienza di conversione più elevata di qualche percento rispetto al silicio multicristallino. Nonostante quanto appena descritto, i costi sempre più elevati della materia prima silicio (puro almen al 99,99%) stanno portando molte aziende, al fine di aumentare la loro capacità produttiva ma mantenere comunque dei costi di produzione competitivi, nel puntare maggiormente verso il silicio multicristallino e l’adozione di avanzate tecniche di produzione, le quali possano esaltarne le caratteristiche e renderlo comparabile al silicio monocristallino. Qui sotto, in Fig. 1.5, un riassunto di quanto detto.

Fig. 1.5 - Produzione di moduli fotovoltaici in silicio monocristallino e multicristallino

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1.5. Stato dell’arte sulle tecnologie di produzione di celle e moduli fotovoltaici Attualmente le tecnologie commerciali di produzione di celle e moduli fotovoltaici maggiormente utilizzate sono le seguenti: 1. Silicio monocristallino: come da quanto descritto nel paragrafo precedente, questa tecnologia è una delle due cosiddette del silicio cristallino. La cella realizzata con questa tecnologia è caratterizzata da un’efficienza di conversione media del 14-17% (efficienza del modulo 12-15%), la massima ottenibile tra le tecnologie commerciali. Morfologicamente, specialmente se utilizzata per i moduli fotovoltaici destinati agli impianti connessi a rete, la cella ha una forma detta “pseudosquare”, ovvero il risultato della squadratura di un wafer circolare da 6” o 8”. Il suo colore caratteristico è nero e, a conferma della polarizzazione ed orientamento del silicio monocristallino di cui è composta, essa riflette in modo omogeneo la luce, assumendo la stessa tonalità scura in ogni direzione. Dal punto di vista elettrico, il degrado delle prestazioni outdoor dei moduli fotovoltaici realizzati con tale tecnologia è ormai assodato (20 anni di esperienza) e si attesta in una diminuzione di potenza di picco, rispetto al valore nominale di fabbrica, di circa l’1% / anno. 2. Silicio policristallino: questa tecnologia è la seconda delle due cosiddette del silicio cristallino. La cella realizzata con questa tecnologia, leggermente meno efficiente della precedente, è caratterizzata da un’efficienza di conversione media del 13-16% (efficienza del modulo 11-14%). Morfologicamente, essa è di forma perfettamente quadrata, come risultato del taglio di un lingotto opportunamente cresciuto delle dimensioni volute. Poiché il silicio policristallino raffreddato naturalmente presenta degli spazi molecolari non regolari, è storicamente noto che una cella in silicio policristallino riflette in modo diverso la luce e quindi è frequente notare delle macchie di tonalità diversa sulla superficie della cella stessa. Era diffusa storicamente anche l’abitudine, per aumentare l’efficienza della cella, trattarla in superficie con sostanze antiriflesso, molte volte di vario colore per renderle più esteticamente piacevoli. Dal punto di vista elettrico, il degrado delle prestazioni dei moduli fotovoltaici realizzati con tale tecnologia è ormai assodato (20 anni di esperienza) e si attesta in una diminuzione di potenza di picco, rispetto al valore nominale di fabbrica, di circa l’1% / anno. Nuove tecniche di produzione stanno permettendo alle celle in silicio policristallino di ottenere efficienze di conversioni simili a quelle delle celle in silico monocristallino. 3. Silicio amorfo o film sottile: con questa tecnologia in generale si realizza direttamente un modulo fotovoltaico piuttosto che una singola cella. Esso viene realizzato depositando del silicio su un supporto di varia natura, anche metallico, per la realizzazione di un modulo caratterizzato da un’efficienza di conversione media registrata del 5-7%. Tale valore non elevato è dovuto appunto al fatto

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che il silicio viene distribuito, a differenza delle due precedenti tecnologie in modo non uniforme nel supporto, pertanto la conversione fotovoltaica è caratterizzata da una maggiore resistenza dei materiali alla penetrazione da parte della corrente erogata. Ad occhio nudo il modulo realizzato con questa tecnologia appare bluastro-violaceo con una variazione di tonalità uniforme (prismatica) a seconda dell’angolo di riflessione della luce incidente. Il vantaggio dato da questo tipo di modulo è che può essere realizzato con forme diverse, a differenza di quelli in silicio cristallino, e quindi essere “personalizzabile”. Dal punto di vista elettrico questa tecnologia, che è stata raffinata e resa commercializzabile e “competitiva” solo da pochi anni, è penalizzata per il fatto che il modulo degrada rapidamente nelle prestazioni durante il primo/secondo anno di vita, per poi stabilizzarsi, con una diminuzione di potenza di circa l’1% / anno. Resta comunque il dubbio sulla resa e stabilità in outdoor di questa tecnologia, poiché non esiste uno storico, almeno ventennale, come già documentato per le tecnologie del silicio cristallino.

In merito alle tecnologie non ancora rese commerciali, sono recentemente emerse le seguenti: 1. Tellururo di Cadmio (CdTe): questa tecnologia è stata sviluppata con lo scopo di permettere la realizzazione a bassissimo costo di moduli fotovoltaici con efficienze di conversione accettabili. In effetti i sostenitori e studiosi impegnati nella messa a punto ed utilizzo di tale tecnologia sarebbero in grado di assicurare un’efficienza massima di conversione, come documentato dall’ENEA, del 10,5%. Resta comunque perplessità sui risvolti politico/ambientali legati a questa tecnologia poiché essa prevede l’utilizzo del cadmio (Cd), elemento radioattivo. Nonostante i produttori si dichiarino in grado di assicurare l’ermeticità del prodotto, e quindi scongiurare contaminazioni, restano comunque forti dubbi sulla diffusione di tale tecnologia per il

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fatto che: a)

è molto probabile che chi desidera produrre energia utilizzando fonti rinnovabili per limitare l’inquinamento dovuto all’emissione di CO2 vorrà farlo utilizzando prodotti il meno inquinanti possibile, e quindi evitando di usare moduli contenenti un elemento radioattivo

b)

Attualmente i moduli fotovoltaici potrebbero essere classificabili come “generatori” di energia ed in ogni caso non sono ancora soggetti alle recenti regolamentazioni europee ROHS (Reduction of Some Abzardous Substances), le quali obbligano i produttori a ridurre, se non eliminare, alcune sostanze inquinanti utilizzate per la realizzazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche. A questo punto ritengo sarà imminente il momento in cui la normativa ROHS verrà applicata anche per i moduli fotovoltaici e quindi la tecnologia CdTe incontrerà seri impedimenti se non divieti assoluti.

2. CIGS (CuInGaSe2 Copper-Indium, Gallium Diselenide): questa tecnologia a film sottile dai costi ridotti ma di recente introduzione, ha permesso di registrare in un modulo una buona efficienza di conversione (12,1%) e potrebbe costituire, una volta standardizzata, una valida alternativa alla tecnologia del silicio. Riesaminando quanto descritto si può concludere che le tecnologie commerciali attualmente più efficienti ed affidabili sono quelle del silicio mono e policristallino. Ad inizio pagina una tabella riassuntiva di quanto discusso. 1.6. Moduli fotovoltaici Un modulo fotovoltaico è in generale il risultato del collegamento in serie di un determinato numero di celle fotovoltaiche. I primi moduli fotovoltaici storicamente realizzati, nati per l’esigenza di ricaricare delle batterie, erano (e ancor oggi sono) costituiti da circa 32 celle in serie, la cui tensione ai morsetti di uscita, approssimabile attorno ai 16,5-17VDC al punto di massima potenza, era tale da definirli “a 12VDC nominali”. Storicamente, con il diffondersi dei sistemi fotovoltaici, i moduli sono stati poi realizzati con stringhe di circa 72 celle in serie e definiti quindi “a 24VDC nominali” (collegabili direttamente a batterie da 24VDC). La tensione di uscita di questi moduli dipende sempre quindi dalla tensione di giunzione (0,6-0,7V) delle celle in serie. Con la diffusione degli impianti connessi a rete attualmente vengono realizzati moduli con un numero di celle variabile (ma sempre attorno alle 60-70 unità), poiché essi devono essere collegati a loro volta in serie per essere collegati all’ingresso di inverter per la connessione in rete. Poiché la tensione di uscita di un modulo in silicio cristallino è determinata dal numero di celle collegate in

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serie per realizzarlo, la sua corrente di uscita sarà invece determinata dall’area delle celle stesse utilizzate. Variando la loro area il costruttore può quindi, a parità di tensione nominale di uscita, ottenere i moduli con la potenza nominale di uscita desiderata. Leggermente differente è invece l’approccio adottato per i moduli in silicio amorfo o in film sottile, per i quali la tensione (di giunzione o di “spessore” del materiale) di uscita dipende dalla fisica dei materiali e non comporta dei collegamenti in serie. La corrente di uscita dipende poi dall’area impegnata dal modulo. L’assemblaggio di un modulo fotovoltaico avviene con metodi e materiali standard ormai comuni alla maggioranza dei produttori mondiali. Viene realizzato un sandwich con i seguenti materiali posizionati in sequenza l’uno sopra l’altro: 1. Vetro temperato ad alta trasparenza: è un vetro anteriore infrangibile antiriflesso che generalmente permette una trasmissibilità della luce di almeno il 90% 2. EVA (Etilene-Vinil-Acetato): foglio plastico che ha la funzione di isolare elettricamente e da eventuale umidità le celle, dando nel contempo elasticità meccanica al sandwich 3. Celle fotovoltaiche: collegate in serie tramite ribbons in lega Cu-Ag 4. EVA (Etilene-Vinil-Acetato): foglio plastico che ha la funzione di isolare elettricamente e da eventuale umidità le celle, dando nel contempo elasticità meccanica al sandwich 5. Tedlar: foglio plastico posteriore adeguatamente spesso e robusto che assicura isolamento elettrico e rispetto agli agenti atmosferici Il sandwich così ottenuto viene poi posizionato in un forno di laminazione ad alto vuoto ed alta temperatura. Ciò consente di ottenere un laminato sottovuoto con tutti gli strati del sandwich perfettamente aderenti e immuni agli agenti atmosferici. Per garantirne la robustezza meccanica, viene poi inserita una cornice in alluminio anodizzato. Questa tecnica di costruzione consente al modulo di operare con un’integrità meccanica fino a più di trent’anni. Per comprovare la qualità dei moduli fotovoltaici realizzati, i costruttori hanno la possibilità di dotare i loro prodotti di alcuni tipi di certificazioni, tra le quali le due più importanti sono:

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1. Certificazione CEI/IEC 61215: questa certificazione, emessa da organismo accreditato (JRC, TÜV, ecc.) permette al costruttore di garantire che il modulo certificato è in grado, per un periodo di vent’anni, di rimanere integro sotto l’azione degli agenti atmosferici quali impatto grandine, pressione vento, pioggia, ecc. Se non volutamente fornita dal costruttore per moduli destinati ad impianti a batteria, la certificazione CEI/IEC 61215 è un prerequisito obbligatorio per gli impianti connessi alla rete di distribuzione qualora si desideri accedere alle tariffe incentivanti erogabili dallo Stato. 2. Certificazione di grado di isolamento di Classe II: questa certificazione consente al costruttore di affermare che la resistenza alla dispersione del modulo realizzato è elevatissima (dell’ordine dei GΩ) e quindi le correnti tra un polo del modulo e la cornice dello stesso sarà pressoché nulla, tale da poterlo classificare come dispositivo in Classe II di isolamento. Questa peculiarità è un indice di qualità di prodotto, poiché consente di poter affermare che il laminato è di ottima fattura. Quindi sarà più remota la possibilità nel tempo che l’umidità penetri all’interno dello stesso degradando le prestazioni del modulo stesso. In secondo luogo una buona resistenza di isolamento eviterà, negli impianti connessi a rete, che l’inverter si fermi automaticamente dal produrre energia causa resistenza di isolamento di ingresso moduli troppo bassa. 2. APPLICAZIONI DEL SOLARE FOTOVOLTAICO 2.1. Tipologie di impianto fotovoltaico I moduli fotovoltaici nacquero dall’esigenza di poter alimentare utenze elettriche, in corrente continua o corrente alternata, nei luoghi in cui la consueta rete di distribuzione elettrica non era presente o dove era economicamente costoso o non possibile installarla. I sistemi fotovoltaici storicamente più diffusi sono quindi quelli a batteria, ma attualmente grazie all’evoluzione dell’accessoristica disponibile e ad una maggiore informazione degli utenti sono nati altre tipologie di sistemi fotovoltaici che possiamo riassumere nel seguente diagramma:

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Le tipologie di sistemi che attualmente ricoprono la maggior parte delle applicazioni di moduli fotovoltaici sono le seguenti: 1. Impianti stand alone o ad isola 2. Impianti connessi a rete o grid connected. Entrambi i tipi di impianto si basano sul concetto fondamentale per cui il modulo fotovoltaico, dotato di tensione e correnti continue proprie, viene utilizzato per convertire l’energia solare in energia elettrica. I criteri di progettazione degli impianti dipendono in primo luogo dal luogo di installazione dell’impianto, periodo di utilizzo delle utenze, consumi complessivi e tempi di utilizzo delle utenze stesse. Per gli impianti stand alone, il modulo fotovoltaico dovrà, in media quotidiana, durante le ore di sole, immettere in batteria la quantità di energia sufficiente ad alimentare i carichi di entità e tempo di utilizzo noti. Non solo le condizioni meteorologiche medie della radiazione solare sono determinanti ai fini della producibilità di energia da parte dei moduli, ma lo sono anche quelle stagionali. L’inverno è caratterizzato da una radiazione solare media nettamente inferiore (alle nostre latitudini circa il 50%) rispetto a quella estiva. Per questa ragione, il progettista di sistemi fotovoltaici stand alone considererà il caso peggiore (worst case) di radiazione solare disponibile. Per una stima della radiazione solare su piano inclinato ed orientato disponibile nelle varie stagioni sono disponibili delle tabelle normalizzate. Citiamo ad esempio quelle relative alle norme UNI 10349 – 8477, o quelle divulgate dall’ENEA. Negli impianti connessi a rete, invece, spariscono sia le batterie che il concetto di immagazzinamento e scorta dell’energia, la quale viene invece trasferita in presa diretta nelle rete elettrica locale grazie all’utilizzo di un dispositivo chiamato inverter. Per questo tipo di impianti è interesse del progettista massimizzare la produzione media annua di energia, sapendo che essa verrà scambiata con la rete elettrica di distribuzione in modo bidirezionale. Per consentire un corretto funzionamento di un impianto fotovoltaico, sia stand-alone che connesso a rete, è inoltre di fondamentale importanza installare i moduli con adeguati inclinazione rispetto al piano orizzontale e orientamento rispetto a Sud (Azimut 0°). Ciò per poter ottenere la massima produzione di energia a seconda del tipo di funzione a cui l’impianto stesso deve assolvere. Infatti, la producibilità attesa da parte dei

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moduli subisce variazioni sensibili a causa di un non corretto posizionamento in elevazione ed orientamento dei moduli stessi. 2.2. Impianti Stand Alone L’impianto stand alone o impianto ad isola è un impianto a batteria in corrente continua la cui configurazione è generalmente composta da: (Fig. 2.1): 1. Uno o più moduli fotovoltaici 2. Uno o più regolatori di carica 3. Una o più batterie 4. Utenze alimentate in corrente continua

Fig. 2.1. - Esempio di impianto Atand Alone

1. I moduli fotovoltaici, collegati in configurazioni miste serie/parallelo a seconda della loro tensione nominale di targa e corrente complessiva alle Standard Test Conditions (STC) desiderata, hanno come preaccennato la funzione di immettere in batteria l’energia elettrica quotidianamente generata. Il loro numero dipende quindi dalle condizioni di progetto, ovvero da quanta energia in Ah si desidera ottenere (nel worst case) per alimentare i carichi previsti. La tensione nominale in continua dei sistemi fotovoltaici normalmente realizzati è 12VDC, 24VDC, o 48VDC. 2. La batteria ha la funzione di immagazzinare l’energia prodotta dai moduli e cederla ai carichi durante il loro funzionamento. Poiché i moduli fotovoltaici presentano ai

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loro morsetti di uscita una tensione variabile con il carico e con le condizioni di radiazione solare del momento, la batteria svolge quindi anche la funzione di stabilizzatore di tensione, la quale ai suoi morsetti rimane molto costante. Ciò consente un’adeguata immissione di corrente da parte dei moduli, la quale in questo modo non risentirà più del carico ma sarà solamente dipendente dall’intensità della radiazione solare. Poiché i moduli fotovoltaici in condizioni di maltempo generano solamente una piccola quantità rispetto all’energia producibile attesa, la batteria svolge anche la funzione di riserva di energia (backup). Infatti, nei sistemi stand alone ben progettati, essa possiede una capacità complessiva sufficiente a consentire la corretta alimentazione dei carichi per 8-10 giorni di maltempo prolungato. Tale energia verrà restituita dai moduli nei periodi di migliore insolazione. Le batterie più idonee per l’utilizzo negli impianti fotovoltaici sono le batterie stazionarie a scarica ciclica: esse devono quindi potersi scaricare più volte, anche profondamente (1000 cicli di scarica profonda o 10 anni di vita operativa), durante il loro periodo operativo, per fornire sempre quando necessario energia di riserva e ritornare successivamente perfettamente cariche. Sono recentemente molto diffuse batterie solari VRLA (Valve Regulated Lead-Acid) di tipo Pb in sospensione gel. 3. Il regolatore di carica svolge una funzione di controllo del flusso di energia dai moduli verso la batteria e dalla batteria verso i carichi. Esso viene quindi inserito tra i moduli fotovoltaici ed il resto del sistema per assolvere due funzioni principali: - Evitare un’eccessiva scarica della batteria. Quando, per motivi di scarsa radiazione solare prolungata nel tempo, i moduli fotovoltaici non riescono ad immettere in batteria l’energia quotidianamente necessaria per i carichi, avviene che il resto dell’energia viene fornito dalla riserva di batteria (backup). Se però questa condizione di deficit energetico perdura nel tempo la batterie potrebbe trovarsi in condizioni di capacità troppo bassa e danneggiarsi se eccessivamente scaricata (effetto memoria). Per questo motivo in generale i regolatori di carica in commercio scollegano (cutoff) l’uscita carichi quando la batteria raggiunge in scarica circa il 30% della propria capacità e riattiveranno l’uscita solamente quando la batteria avrà recuperato in ricarica il 50% della propria capacità. - Evitare un’eccessiva carica della batteria. Quando per motivi di scarso utilizzo dei carichi, la batteria si trova in condizioni di carica completa, eccedere nella sua carica comporterebbe il suo danneggiamento. Per questo motivo in queste condizioni interviene una funzione di parzializzazione di carica (PWM) che scollega in frequenza i moduli fotovoltaici dalla batteria. Ciò evita danni alla batteria (surriscaldamento, solfatazione) mantenendo sempre una corrente in ingresso da parte dei moduli (trickle charge) che ne evitano l’autoscarica. Oltre a queste due funzionalità principali il regolatore di carica è stato nel tempo raffinato nelle sue caratteristiche. Attualmente viene equipaggiato anche con un microprocessore il quale permette equalizzazione di carica in funzione della temperatura, analisi dello scambio di energia del sistema, capacità di regolazione di soglie, moni-

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toraggio remoto ecc. Sarà compito del progettista assicurarsi che il flusso in Ah dai moduli verso la batteria e in uscita dalla batteria verso i carichi sia compatibile con la portata massima di targa in ampere del regolatore stesso. La configurazione iniziale descritta in Fig. 2.1 può essere estesa con più regolatori di carica in parallelo alla stessa batteria, tutti indipendenti compatibilmente con le loro caratteristiche di targa, per realizzare sistemi di qualsivoglia dimensione. Quando però, oltre a semplici carichi in corrente continua si desidera alimentare elettrodomestici o carichi a 230VAC, viene utilizzato un inverter con ingresso in continua a 12-24-48VDC ed uscita in corrente alternata a 230VAC 50Hz (Fig. 2.2).

Fig. 2.2 - Impianto con carichi misti a 24VDC e 230VAC

Gli inverter attualmente in commercio di migliore qualità sono in grado di erogare potenze anche elevate (configurazioni Master-Slave) con uscita ad onda sinusoidale pura e quindi in grado di alimentare senza problemi tecnici (armoniche, onde riflesse) qualsiasi tipo di dispositivo. Nel tempo gli impianti stand alone, sempre più conosciuti, hanno trovato impiego in svariate applicazioni outdoor in molti campi come lampioni solari, segnalazioni stradali, stazioni offshore ecc. di cui presentiamo qui sotto alcune foto.

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2.3. Impianti connessi a rete (grid connected) Gli impianti connessi a rete prevedono il collegamento di paralleli di stringhe di più moduli fotovoltaici in serie in ingresso ad uno o più convertitori statici, chiamati inverter, i quali convertono l’energia entrante in corrente continua ed erogano energia in corrente alternata. Questa energia prodotta viene immessa nella rete locale esistente e viene assorbita dalle utenze locali o, in caso di esubero, scambiata con la rete elettrica di distribuzione che la riceve. La Delibera dell’Autorità dell’Energia Elettrica e del Gas (AEEG) 224/00 del 6 dicembre 2000 consente di effettuare lo scambio di energia elettrica alla pari per impianti fotovoltaici fino a 20kW di potenza allacciata. In precedenza, il DLGS N. 79, del 16 marzo 1999 regolamentava la liberalizzazione del mercato elettrico dell’energia. Successivamente a queste delibere e ad ulteriori decreti che consentono a privati, enti pubblici ed aziende di immettere in rete energia elettrica in varie modalità, ENEL distribuzione ha emesso delle norme tecniche che regolano il collegamento e l’esercizio degli impianti connessi alla rete elettrica di distribuzione. Ne citiamo due in particolare: - per impianti con potenza allacciata a partire da 1kW fino ai 50kW: Norme ENEL DK5940 Ed. 2.2 Aprile 2007 - per impianti oltre i 50kW e fino a 1MW ENEL DK5940 – DK5600.

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Solamente i dispositivi (inverter, interruttori, ecc.) conformi a queste norme sono considerati collegabili alla rete elettrica di distribuzione, e solamente questa conformità può dare accesso agli incentivi statali sull’autoproduzione di energia. Il principio generale di collegamento di un impianto connesso a rete è raffigurato qui a destra in Fig. 2.2: uno o più inverter vengono collegati in parallelo nella rete monofase (se la potenza allacciata alla rete è inferiore ai 6kW) o trifase, sempre compatibilmente con la potenza impegnata di contratto ed immettono energia in rete. Per “potenza allacciata alla rete” si intende la somma delle potenze massime di targa degli inverter utilizzati nell’impianto (come indicato nei data sheet). Una caratteristica fondamentale dei convertitori è che essi non erogano in alcun modo energia se non è presente il segnale della rete di distribuzione o se esso non rientra nelle specifiche ENEL (0,8Vn ≤ V ≤ 1,2Vn e 49,7Hz ≤ f ≤ 50,3Hz). Gli inverter si sincronizzano con il segnale di rete ed erogano potenza perfettamente allineata in fase e frequenza. Come protezione da guasti, fermi o anomalie di rete deve essere prevista l’installazione o l’intervento di un opportuno “dispositivo di interfaccia”. In regime di “scambio di energia alla pari” o in regime di produzione, accanto al preesistente contatore di energia viene inserito un nuovo contatore che contabilizza solo ed esclusivamente l’energia in esubero, non autoconsumata dalle utenze locali. Il computo dell’energia scambiata da parte del gestore della rete avviene su base annua. Per gli impianti in regime di scambio si prevede solamente il conguaglio dell’energia autoprodotta, quindi il valore dei kWh in esubero rispetto ai consumi viene solamente accumulato in un credito di energia che, se non utilizzato, si estingue in tre anni. In regime di produzione invece il valore dell’energia non autoconsumata è pari al valore della tariffa di vendita dell’energia in vigore (circa 0,095 €/kWp). Secondo il recente Dlgs. del 19/02/07, denominato Conto Energia, si prevede inoltre l’installazione di un ulteriore contatore che contabilizza Fig. 2.2 – Schema di principio impianto connesso a rete tutti i kWh prodotti dall’impianto connesso a rete, siano essi consumati o meno, kWh che verranno retribuiti dallo Stato con delle tariffe incentivanti variabili a seconda della taglia dell’impianto ed il grado di integrazione architettonica dello stesso.

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Lo schema elettrico generale di un impianto connesso a rete monofase è raffigurato qui sotto in Fig. 2.3. Distinguiamo:

Fig. 2.3 – Schema elettrico generale di un impianto connesso a rete monofase

1. Campo fotovoltaico: è costituito dalle varie stringhe in parallelo di moduli in serie. La tensione nominale complessiva di stringa è in generale elevata (200-300VDC) per consentire all’inverter elevate efficienze di conversione. La somma delle potenze nominali di targa in Wp dei moduli fotovoltaici determinano la cosiddetta potenza nominale dell’impianto (Wp, kWp, MWp) 2. Quadro di Campo: Il quadro di campo contiene dei sezionatori di stringa (obbligatori secondo la normativa “protezione contro guasti”) dei fusibili per sovracorrenti, eventuali diodi di blocco contro le correnti inverse e scaricatori di sovratensione (di Classe II per protezione da sovratensioni indotte da fulmine). 3. Gruppo di conversione: è l’insieme di dispositivi che costituiscono l’inverter, schematizzabile a blocchi in a) stadio di ingresso e conversione segnale DC/AC b) eventuale trasformatore che consente la separazione galvanica tra lato DC e lato rete c) dispositivo di sincronizzazione, controllo ed interfaccia con la rete. Un impianto connesso a rete trifase può essere costituito da tre inverter trifase (o multipli di tre) collegati in sequenza alle tre fasi della rete, oppure da un unico inverter trifase centralizzato (Fig. 2.4).

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Fig. 2.4 – Impianti connessi a rete: a) monofase b) trifase

E’ ormai diffusa l’abitudine di dotare gli impianti connessi a rete con opportuni dispositivi di monitoraggio e memorizzazione dati (datalogger e sensori) che consentono, anche in modo remoto (GSM, web), di controllare il funzionamento dell’impianto. Qui sotto viene illustrata una serie di realizzazioni di impianti. (Nuova Thermosolar, ESPE).

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2.2.1. Il Decreto Conto Energia Il recente decreto “Conto Energia” del 19/02/07 firmato dal Ministro delle Attività Produttive e dal Ministro della Tutela dell’Ambiente e del Territorio, è il risultato dell’esperienza derivante dai due precedenti decreti del 28 luglio 2005 e del 6 febbraio 2006 in merito di incentivazione statale sulla produzione di energia da parte di privati, enti pubblici ed aziende. In linea con i precedenti decreti e delibere, comprese quelle dell’AEEG (ultima la 90/07), viene incentivata la produzione di energia per impianti connessi a rete a partire da 1kWp in poi. In prima analisi la scelta di incentivare gli impianti fotovoltaici è motivata per il fatto che essi comportano quanto segue: -

Uso di una fonte inesauribile Completa modularità Elevata affidabilità Funzionamento automatico Manutenzione limitata Possibilità di utilizzare superfici marginali o altrimenti inutilizzabili Non inquina e contribuisce alla diminuzione dell’inquinamento stesso Il decreto Conto Energia ha lo scopo di permettere una riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera rispetto ai valori registrati negli anni ’90. Questo intento è la conseguenza all’adesione dell’Italia al Trattato di Kyoto, secondo il quale lo stato italiano dal 2007 sarà sottoposto a penali di e100 per

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ogni tonnellata CO2 eccedente i limiti prefissati. Grazie al fatto che la produzione di 1kWh di energia mediante fonti rinnovabili evita l’emissione di 0,53kg di CO2 derivante dalla combustione di combustibili fossili, dalla tabella qui a lato (ENEA) è possibile concludere che il loro contributo alla riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera è notevole. L’entità della tariffa incentivante del Conto Energia è basata su un sistema ibrido composto da una tariffa che sarà erogata dal Soggetto Attuatore (GSE, Gestore del Sistema Elettrico) per tutta l’energia prodotta dall’impianto fotovoltaico e dal riconoscimento del valore dell’energia elettrica autoconsumata o ceduta al gestore locale della rete (valore di scambio o di cessione). Il sistema d’incentivazione stabilisce che ad ogni unità di energia elettrica prodotta (kWh) con impianti fotovoltaici sia riconosciuta una tariffa incentivante differenziata sulla base della potenza dell’impianto e della tipologia di installazione (a partire da 1kWp in su, senza limitazione, per 3000MWp complessivi entro il 2016, per impianti entrati in esercizio in data successiva al 01/10/05). Secondo il decreto si definiscono tre figure principali: 1. Soggetto Attuatore: Nella veste del GSE, è incaricato dallo Stato a ricevere le richieste di incentivazione ed erogare le tariffe incentivanti secondo le taglie di potenza installate dai Soggetti Responsabili 2. Soggetto Responsabile: colui che è titolare del contratto di fornitura con il gestore della rete, presenta la domanda per l’incentivazione, a impianto fotovoltaico già realizzato e lo tiene in esercizio 3. Gestore della Rete (ENEL, ASM): ente che fornisce l’energia elettrica e contabilizza l’energia scambiata/venduta dal Soggetto Responsabile. Premettendo che a oggi, 14 maggio 2007, la modulistica aggiornata secondo il recente Dlgs. del 19 febbraio 2007 e secondo la delibera 90/07 dell’AEEG per Ia richiesta delle tariffe incentivanti non è ancora disponibile, i tempi di svolgimento dell’iter burocratico e la documentazione da inviare al GSE e ENEL per l’accesso alle tariffe incentivanti sono grossomodo i seguenti: 1. Richiesta allacciamento alla rete di distribuzione mediante presentazione del progetto preliminare dell’impianto (da inviare al gestore della rete ENEL ecc.). 2. Contemporanea apertura di una D.I.A. (Dichiarazione Inizio Attività). Questa operazione è di fondamentale importanza perché il decreto in primo luogo parla di incentivazione di impianti dove non esistano vincoli di alcun tipo. In secondo luogo perché sono i vari Uffici Tecnici comunali a dare il loro nulla osta a opere edili. 3. Certificato di collaudo dell’impianto (installatore)

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4. Il Soggetto Responsabile comunica al Soggetto Attuatore (GSE) la comunicazione di entrata in esercizio dell’impianto 5. Entro 60 giorni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto il Soggetto Responsabile invia al Soggetto Attuatore (GSE) la richiesta di incentivazione tramite Allegato “A” (o simili) + dichiarazione giurata per la non cumulabilità degli incentivi. L’invio al GSE dei documenti relativi ai punti 3, 4 e 5 potrebbe avvenire anche in un'unica spedizione. 6. Entro 60gg il Soggetto Attuatore (GSE) comunica al Soggetto Responsabile l’entità della tariffa incentivante in base alle valutazioni fatte sulla relazione tecnica ricevuta dal Soggetto Responsabile richiedente. Ad inizio paragrafo è già stato sottolineato che gli impianti fotovoltaici possono essere collegabili alla rete di distribuzione se soddisfano i requisiti richiesti delle norme ENEL DK. Per poter accedere alle tariffe incentivanti gli impianti connessi a rete inoltre devono: 1. Essere conformi alle norme di buona tecnica che sono riportate nell’Allegato 1 del decreto (CEI /IEC 61215 ecc.) 2. Essere realizzati con componenti nuovi, comunque non utilizzati in altri impianti. Le tariffe incentivanti concesse variano a seconda della potenza di picco dell’impianto installato dal richiedente e dal grado di integrazione architettonica dell’impianto stesso sul sito ospitante.

a)

b)

c)

Fig. 2.5 – Gradi di integrazione, architettonica

In base al grado di integrazione architettonica si classificano quindi tre tipi di impianto: 1. non integrato (es. Fig. 2.5 a)) 2. a parziale integrazione architettonica (es. Fig. 2.5 b)) 3. a totale integrazione architettonica (es. Fig. 2.5 c))

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Rimandando per i dettagli su una corretta classificazione del grado di integrazione architettonica di un impianto a quanto espressamente enunciato nel Dlgs, le tariffe incentivanti possibili per le varie tipologie di impianto sono come dalla tabella qui sotto:

Le tariffe incentivanti qui riportate saranno erogate ai beneficiari per un periodo di vent’anni dalla data di messa in esercizio degli impianti. Esse non subiranno variazioni ed adeguamenti nel tempo salvo ulteriori futuri decreti. Saranno ammessi all’incentivazione impianti fino al raggiuingimento di installazioni complessive di 1400MWp (monitorabili via web nel sito del GSE). Al raggiungimento di tale limite cumulato, privati e aziende avranno 14 mesi di tempo per realizzare un impianto e richiedere la tariffe incentivanti. Gli enti pubblici avranno invece 24 mesi di tempo. Come preaccennato, il limite massimo cumulabile è fissato per 3000MWp complessivi entro il 2016. Nel diagramma a torta qui sotto (ENEA) si cerca di dare una valutazione percentuale dei costi complessivi di un impianto connesso a rete installato e funzionante.

Secondo gli attuali valori di mercato, alle nostre latitudini geografiche, per un impianto connesso a rete di piccola taglia che godrà delle tariffe incentivanti il tempo di ammortamento medio previsto dell’investimento iniziale è di circa dieci anni. Per un impianto di grossa taglia (50kWp) il tempo di ammortamento medio si riduce a circa 8 anni. Molte banche si sono attrezzate erogando servizi di finanziamento agevolato per

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permettere la realizzazione degli impianti evitando ai beneficiari l’onere dell’investimento iniziale. 3. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Pubblicazioni ENEA 2. Pubblicazioni ISES 3. Foto impianti: Nuova Thermosolar Srl, ESPE Srl.

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Impianti fotovoltaici connessi in rete: produzione di energia elettrica da impianti entrati in esercizio nel 2006-2007 VALERIO FABBRETTI*, STEFANO LORO**, ALAN BEGLIORGIO** * - Studio Energetica, Legnago (Verona) ** - VP SOLAR , Crocetta del Montello (Treviso)

RIASSUNTO La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei diversi Decreti Ministeriali che incentivano la produzione di energia elettrica da fonte solare fotovoltaica ha dato notevole impulso alla realizzazione di impianti fotovoltaici connessi alla rete elettrica nazionale. Nell’ambito delle valutazioni preliminari di redditività dell’impianto va determinata la produzione annua attesa di energia dell’impianto fotovoltaico e normalmente si ricorre a programmi di simulazione che, utilizzando come base di partenza i dati meteo della norma UNI 10349, simulano il funzionamento dell’impianto considerando il giorno medio mensile. Vengono qui presentati dati di produzione che a titolo sperimentale sono stati raccolti su quattro impianti entrati in esercizio tra il 27/06/2006 e il 12/02/2007 di diversa potenzialità di picco e confrontati con le simulazioni effettuate. Per un impianto (quello da 2,31 kWp) sono stati registrati anche i dati delle letture giornaliere ai due contatori installati dalla società di distribuzione dell’energia elettrica dal momento dell’entrata in esercizio dell’impianto. In questo modo si è calcolata a consuntivo la quota di copertura solare dell’energia prodotta dall’impianto FV rispetto al fabbisogno dei carichi elettrici dell’utenza e la frazione di energia prodotta utilizzata direttamente, rispetto al fabbisogno dei carichi elettrici dell’unità abitativa in analisi. 1. INTRODUZIONE Se dal punto di vista tecnico la normativa di riferimento per la progettazione degli impianti fotovoltaici si presenta ampia e dettagliata circa le caratteristiche che devono possedere i diversi componenti, per quanto concerne il dimensionamento ovvero la scelta della taglia dell’impianto da realizzare, si evidenzia la necessità di entrare più nel merito di aspetti legati alla simultaneità di produzione e consumo di energia piuttosto che legati soltanto alla valutazione della potenza dei carichi elettrici allacciati all’utenza. La quantità di energia che l’impianto fotovoltaico può produrre su base annua diviene parametro fondamentale per quantificare non solo quanta autonomia energetica

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l’impianto è in grado di fornire all’utenza a cui è collegato, ma anche per valorizzare economicamente l’incentivo che può essere richiesto, noto come conto energia. Da queste considerazioni nasce l’idea di raccogliere e organizzare dati di impianti già in funzione da mesi per individuare come le diverse variabili in gioco influenzino i risultati in termini di energia prodotta e come e quanto questi risultati coprano i fabbisogni, sempre più nell’ottica del cliente-produttore di energia che diviene soggetto attivo e non solo passivo. 2. SCHEMA DI PRINCIPIO IMPIANTO FOTOVOLTAICO CONNESSO ALLA RETE ELETTRICA (GRID CONNECTED) La figura 1 evidenzia quelli che sono i componenti fondamentali che costituiscono un impianto fotovoltaico. Nel caso di impianti connessi alla rete elettrica nazionale, i componenti fondamentali sono due: i moduli fotovoltaici che costituiscono il campo o generatore fotovoltaico e il convertitore statico di corrente da continua ad alternata o inverter. Negli impianti grid connected non sono presenti batterie di accumulo; l’energia non consumata direttamente dalle utenze elettriche al momento della produzione viene immessa in rete e la cessione è regolamentata come vendita o scambio sul posto (si può optare per questa modalità per gli impianti fino a 20 kW di picco). Vengono installati due contatori, uno per la misura dell’energia elettrica prodotta e l’altro (bidirezionale) che misura prelievi ed immissioni di energia nella rete elettrica.

Figura 1 - Schema di principio di impianto fotovoltaico grid connected

Le norme che devono essere soddisfatte dai costruttori di moduli fotovoltaici e di inverters sono riportate nell’allegato 1 del Decreto Ministeriale del 19 febbraio 2007 (Ministero Sviluppo Economico, 2007) mentre per quanto concerne l’ottimizzazione della produzione di energia elettrica del campo fotovoltaico vanno verificati alcuni aspetti fondamentali quali: - orientamento e inclinazione della superficie del campo fotovoltaico; - curva caratteristica corrente – tensione del modulo fotovoltaico;

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numero di moduli in serie in ogni stringa; numero di stringhe in parallelo; tensioni di ingresso all’inverter; range MPP (maximum power point) dell’inverter scelto; rendimento dell’inverter ai carichi parziali; accoppiamento campo fotovoltaico – inverter; perdite di energia elettrica lungo le linee corrente continua e corrente alternata.

Per la determinazione del rendimento dei singoli componenti e del rendimento del sistema fotovoltaico completo è opportuna la conoscenza di formule che consentano di simulare il comportamento del sistema anche ai carichi parziali. 3. PROGRAMMA DI SIMULAZIONE Il software usato per la simulazione dinamica degli impianti fotovoltaici utilizza l’ora come intervallo di tempo per il passo di calcolo della simulazione. Fornisce risultati di previsione poi raggruppati su base mensile e annua. La banca dati meteo è tratta dalla norma UNI 10349. Il software calcola la conversione dell’irraggiamento solare in energia sulla superficie dei moduli tenendo conto delle performance dei moduli fotovoltaici sotto condizioni di carico parziale. Il punto di funzionamento sulle curve caratteristiche dei moduli è dato dall’MMP (maximum power point) e si assume che venga raggiunto dall’inverter. Nella valutazione dell’energia prodotta sono considerate anche le perdite di energia elettrica dovute ai collegamenti dei moduli nelle stringhe e gli eventuali paralleli tra stringhe. Il rendimento di conversione da corrente continua a corrente alternata viene calcolato utilizzando le curve caratteristiche dell’inverter fornite dai costruttori che attribuiscono le performance di conversione di energia a condizioni di carico parziale. In questa sezione non ci dilunghiamo sull’analisi delle diverse variabili che influenzano il rendimento di un modulo fotovoltaico; si ricorda solo che le variabili di influenza principali sono l’irraggiamento e la temperatura della cella fotovoltaica. Per una analisi più approfondita si rimanda all’ampia letteratura disponibile. Ricordiamo la definizione di “potenza di picco” e cioè la potenza generabile dal modulo fotovoltaico alle condizioni standard (STC) secondo la norma IEC 60904 e cioè: 1. Irraggiamento sulla superficie captante di 1.000 W/m2 2. Temperatura di esercizio della cella: 25°C ± 2°C 3. Distribuzione spettrale della radiazione solare conforme alla IEC 60904-3 e massa d’aria AM=1,5 4. IMPIANTI MONITORATI: SCHEDE TECNICHE In questo paragrafo sono riportate le caratteristiche principali degli impianti monitorati desunte dalle Schede tecniche finali di impianto spedite al GSE (Gestore dei Servizi Elettrici) alla fine dei lavori di installazione. Nel seguito gli impianti saranno identificati con la loro potenza di picco.

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4.1. Caratteristiche generali degli impianti fotovoltaici

Tabella I – Caratteristiche generali degli impianti. /RFDOLWj

'DWDHQWUDWD LQHVHUFL]LR

7LSR LPSLDQWR

7LSR LQVWDOOD]LRQH

,QFOLQD]LRQH

2ULHQWDPHQWR

1RYH 9, 



7HWWRSLDQR

ƒ

68'



/HJQDJR 95  /HJQDJR 95  6DQ3RORGL 3LDYH 79 



6WUXWWXUDVX FDSDQQRQH 3DU]LDOPHQWH LQWHJUDWR 6WUXWWXUDVX WHWWRSDLQR 6WUXWWXUDVX FDSDQQRQH

7HWWRDIDOGD

ƒ

ƒVXGHVW



7HWWRSLDQR

ƒ

68'



7HWWRSLDQR

ƒ

68'



 

3RWHQ]D GLSLFFR LPSLDQWR N:S  

4.2. Caratteristiche tecniche degli impianti fotovoltaici Tabella II – Caratteristiche tecniche degli impianti. 3RWHQ]D GLSLFFR LPSLDQWR N:S  



J

3URGX]LRQH DQQXDDWWHVD N:K 

6XSHUILFLHQHWWD GHOFDPSR IRWRYROWDLFR P 

























S

7LSRGLPRGXOL

1XPHUR PRGXOL

3RWHQ]D GLSLFFR PRGXOR :S 

1XPHUR LQYHUWHUV

6LOLFLR SROLFULVWDOOLQR 6LOLFLR SROLFULVWDOOLQR 6LOLFLR SROLFULVWDOOLQR 6LOLFLR SROLFULVWDOOLQR

























5. CONFRONTO TRA DATI SPERIMENTALI E LE SIMULAZIONI SULLA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA Secondo le simulazioni effettuate gli impianti in analisi dovrebbero presentare rese specifiche annue (kWh/kWp) tra i 1.041 e 1.104 (vedi tabella III). Per il calcolo della produzione annua attesa, secondo le modalità descritte nel paragrafo 3, si sono utilizzati i dati meteo del capoluogo di provincia della località di ciascun impianto preso in esame.

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Tabella III – Rese specifiche annue calcolate (simulazioni) degli impianti fotovoltaici monitorati. S J S 

,PSLDQWR)91RYH 9, GDN:S ,PSLDQWR)9/HJQDJR 95 GDN:S ,PSLDQWR)9/HJQDJR 95 GDN:S ,PSLDQWR)96DQ3RORGL3LDYHGDN:S

3RWHQ]D GLSLFFR LPSLDQWR N:S 

   

3URGX]LRQH DQQXDDWWHVD N:K 

5HVD VSHFLILFD N:KN:S 

   

   

I dati di produzione di energia elettrica sono riferiti a misurazioni effettuate a valle dell’inverter sul lato in corrente alternata. I dati sono aggregati su base mensile e confrontati con le simulazioni effettuate secondo le modalità descritte al paragrafo 3 ed evidenziati negli istogrammi seguenti.

Figura 2 - Confronto tra simulazioni e misure di produzione di energia elettrica da impianto fotovoltaico da 5,78 kWp

Figura 3 - Confronto tra simulazioni e misure di produzione di energia elettrica da impianto fotovoltaico da 2,31 kWp

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Figura 4 - Confronto tra simulazioni e misure di produzione di energia elettrica da impianto fotovoltaico da 19,89 kWp

Figura 5 - Confronto tra simulazioni e misure di produzione di energia elettrica da impianto fotovoltaico da 48,96 kWp

Si può notare in tutti i casi analizzati una tendenza ad ottenere risultati di produzione di energia superiori alle attese. Estrapolando su base annua i valori conseguiti, limitatamente ai due impianti in funzione da almeno sei mesi per i quali si stanno registrando valori superiori del 20 e 22% rispetto a quanto calcolato (impianto da 5,78 kW e impianto da 2,31 kW), si potrebbero ottenere rese specifiche annue tra 1.200 e 1.300 kWh/kWp. E’ probabile che la variabile irraggiamento, che negli ultimi anni si è assestata a valori superiori alla media, sia la principale causa di questi risultati ma rimane, a nostro avviso, la necessità di sviluppare codici di calcolo che attingano da banche dati più ampie in termini di località e di dati meteo (irraggiamento, temperature, …) e che si configurino come strumenti di ausilio per i progettisti nella fase di dimensionamento del

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campo fotovoltaico e dell’impianto. Questo aspetto assume un ulteriore livello di importanza se si considera che per gli impianti che ricevono l’incentivo in conto energia, all’energia elettrica prodotta viene corrisposto un introito economico percepito per 20 anni dal momento di entrata in esercizio dell’impianto e le suddette variazioni di produzione di energia possono intervenire in modo significativo sul tempo di ritorno dell’investimento. 6. QUOTA DI COPERTURA SOLARE DELL’ENERGIA ELETTRICA PRODOTTA DALL’IMPIANTO FOTOVOLTAICO RISPETTO AL FABBISOGNO DEI CARICHI ELETTRICI DELL’UTENZA Una delle domande più frequenti che ci si pone quando si valuta l’opportunità dell’installazione di un impianto fotovoltaico connesso alla rete elettrica e per il quale sia presente un’utenza elettrica sul medesimo punto di consegna è “quanto sarà autonoma l’utenza rispetto ai prelievi della rete elettrica?” Poiché non è possibile prevedere esattamente giorno per giorno produzione e consumo di energia elettrica (legati a diverse variabili) a meno di definire profili di carico su base statistica, dare una risposta alla domanda del paragrafo precedente risulta alquanto difficile. Nel caso dell’impianto da 2,31 kW per il quale l’utente ha attivato un contratto di scambio sul posto, sono state rilevate giorno per giorno per sei mesi dalla data di entrata in esercizio dell’impianto le letture dei due contatori: quello dell’energia elettrica prodotta (PRD) e quello bidirezionale dal quale si evince l’energia prelevata dalla rete (P) e l’energia immessa in rete (I). L’unità abitativa a cui è allacciato l’impianto fotovoltaico ha le seguenti caratteristiche: Villetta a schiera ad angolo Anno di costruzione: 2002 Superficie utile: 160 m2 + garage Nucleo familiare di 4 persone Contratto di fornitura di energia elettrica con potenza di 4,5 kW Consumi energia elettrica ultimi anni: 4.412 kWh nel 2005, 4.344 kWh nel 2006. Considerando quindi il fabbisogno dei carichi elettrici di 4.378 kWh/anno (media degli ultimi due anni) si nota già che l’impianto è stato dimensionato per una quota di copertura solare su base annua del 55% (secondo calcoli di simulazione). Secondo le definizioni presenti nel Manuale operativo di scambio sul posto (Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas – ed. 2006) indichiamo con: PRD l’energia elettrica prodotta P l’energia prelevata dalla rete I l’energia immessa in rete e definiamo con F il fabbisogno dei carichi elettrici presenti nell’utenza considerata. Queste grandezze sono espresse in kWh.

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Con riferimento al giorno (i-esimo) abbiamo: Fi = PRDi – Ii + Pi CSi = PRDi / Fi ove CS è la quota di copertura solare dell’energia elettrica prodotta dall’impianto fotovoltaico rispetto al fabbisogno dei carichi elettrici dell’utenza.

Figura 6 - Andamento del parametro CSi giornaliero (quota di copertura solare) dal 07/11/2006 al 07/05/2007 (impianto fotovoltaico da 2,31 kWp)

Si definisce inoltre: FCSi = ( PRDi – Ii ) / Fi ove FCS è la frazione di energia elettrica prodotta dall’impianto fotovoltaico utilizzata direttamente rispetto al fabbisogno dei carichi elettrici dell’utenza. Questo numero è sempre minore o uguale a 1 e definisce il grado di autonomia dell’utenza rispetto alla rete elettrica.

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Figura 7 - Andamento del parametro FCSi giornaliero (frazione di energia elettrica prodotta utilizzata direttamente) dal 07/11/2006 al 07/05/2007 (impianto fotovoltaico da 2,31 kWp)

Tabella IV – Andamento dei parametri CS e FCS mensili e progressivi (impianto FV da 2,31 kWp).  &6M )&6M &6SURJUHVVLYR )&6SURJUHVVLYR  1RYHPEUH     'LFHPEUH     *HQQDLR     )HEEUDLR     0DU]R     $SULOH     E gli stessi risultati della tabella IV sotto forma grafica:

Figura 8 - Andamento del parametro CSj mensile (quota di copertura solare) da novembre 2006 ad aprile 2007 (impianto fotovoltaico da 2,31 kWp)

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Figura 9 - Andamento del parametro FCSj mensile (frazione di energia elettrica prodotta utilizzata direttamente) da novembre 2006 ad aprile 2007 (impianto fotovoltaico da 2,31 kWp)

Nell’attesa di completare l’analisi su base annua che nei prossimi sei mesi include quelli estivi ove si avrà una certa incidenza dei consumi di energia elettrica per i due condizionatori presenti, possiamo concludere che estrapolando i dati del caso esaminato la quota di copertura solare CS annua potrebbe superare il 60%, mentre la frazione di energia prodotta utilizzata direttamente FCS potrebbe assestarsi tra intorno al 30%. Le principali variabili che influenzano questi risultati nel caso di unità abitativa civile sono: - la potenza scelta per l’impianto FV; - tutte le variabili che influenzano la produzione di energia elettrica dell’impianto FV; - il fabbisogno dei carichi elettrici dell’utenza; - il profilo dei carichi elettrici dell’utenza e conseguentemente le abitudini degli occupanti. Nel caso di impianti fotovoltaici con punto di consegna su una utenza di tipo residenziale la scelta del contratto di scambio sul posto col distributore di energia elettrica si dimostra vantaggiosa per recuperare la frazione di energia elettrica non utilizzata direttamente. Oltre al recupero dell’energia c’è il vantaggio di natura economica giacché con lo scambio sul posto l’energia viene ritornata al clienteproduttore l’anno successivo a quello di immissione e quantificata ad un valore superiore (quasi il doppio) di quello che si potrebbe ricavare dalla vendita diretta dell’energia. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Ministero dello Sviluppo Economico, Decreto 19 febbraio 2007 Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare in attuazione dell’articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2007, n. 387. G.U. n. 45 del 23-02-2007. UNI 10349: Riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Dati climatici. Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG), Manuale operativo del servizio di scambio sul posto, Milano, aprile 2006.

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Produzione di energia da biomasse e da altri combustibili non convenzionali GIULIANO CAMMARATA Dipartimento di Ingegneria Industriale e Meccanica – Università di Catania

SOMMARIO La produzione di energia attraverso biomasse, da cui derivare i biocombustibili, è argomento di grande attualità, come dimostra anche l’interesse del Governo degli USA per il bioetanolo. Si presenta in questa nota una breve rassegna delle tematiche associate alla produzione di biomasse e alle applicazioni energetiche oggi possibili, con un breve accenno anche al motore Stirling. Viene poi presentata anche una breve rassegna delle tecnologie utilizzate per gli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti che rappresentano una sorgente non tradizionale non più indifferente di energia. In particolare si presenta la tecnologia dei forni a griglia, dei forni a letto fluido, dei forni a pirolisi a bassa temperatura, dei reattori al plasma detti anche a pirolisi ad alta temperatura. Di tutte le tecnologie sono rappresentati i pregi e i difetti. 1. INTRODUZIONE In base al rapporto del World Energy Outlook (WEO) del 2005, oggi in parte superato dagli sviluppi del mercato dei prodotti petroliferi degli ultimi 18 mesi, uno degli scenari previsti, il più virtuoso, è quello che vede gli stati consumatori (e fra questi quelli europei) investire nel risparmio energetico perseguito sia con il maggior utilizzo delle energie alternative che come incremento dell’efficienza degli impianti convenzionali. Il WEO prevede una riduzione dei consumi del 10% circa entro il 2030 contro un incremento di consumi, con le regole di mercato attuali, del 50% ed un pari incremento di produzione di CO2. Si intuisce l’importanza dell’obiettivo del risparmio energetico anche in connessione a quanto indicato dal Protocollo di Kyoto e successive modifiche sulla riduzione delle immissioni di CO2 in atmosfera. Inoltre sarebbero ancora più preoccupanti, oltre all’incremento dell’effetto serra atmosferico, gli effetti di inquinamento ambientali (SOx, NOx, …). Di recente anche gli USA stanno investendo nelle biomasse e c’è da credere che daranno un impulso sensibile allo sviluppo di queste tecnologie. In questo nota si vuole evidenziare lo sviluppo nel campo della produzione di

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energia da biomasse e da altri combustibili non convenzionali, quali il CDR (combustibile da rifiuto) o rifiuti industriali di varia natura. Certo l’argomento si presenta molto vasto e meritevole di approfondimenti in altri settori della produzione energetica ma si vuole qui limitare il campo di interesse ai soli due aspetti sopra citati. Sempre il rapporto WEO prevede un incremento delle energie alternative fino ad una incidenza dell’1% o poco più del consumo energetico globale ed un incremento dell’1,3% annuo dell’utilizzo di biomasse e combustibili derivati da RSU e scarti del legno. Pur con una ancora bassa incidenza sul consumo totale, l’utilizzo delle biomasse presenta interessanti caratteristiche anche in connessione alla riduzione delle immissioni di CO2 in atmosfera. Va ancora osservato che il ricorso alle fonti alternative di energia e alla biomasse, pur con valori ancora marginali rispetto al consumo totale energetico europeo, ha grande impatto sulla riduzione delle importazioni energetiche che si prevede che passeranno, dal 2006 al 2030, dal 50% al 70% (vedi Libro Verde U.E. del 2006). Si tratta di una dipendenza energetica molto elevata (anche se fortemente diversificata fra i vari stati membri europei) che comporta notevoli implicazioni politiche. 2. PRODUZIONE DI ENERGIA DA BIOMASSE Il termine biomassa (vedi Figura 1) indica quanto ottenuto da materiali organici vegetativi o da essi derivati, i residui da agricoltura, foreste, zone urbane e dalla lavorazione del legno. In pratica la biomassa è derivata da colture specifiche o da residui organici di varia natura. La produzione della biomassa è naturale può rappresentare una grande risorsa per lo sviluppo dell’ambiente ad esempio con la riforestazione (oggi voce importante per alcuni paesi europei) e il conseguente maggiore assorbimento di CO2 presente nell’atmosfera.

Figura 1: Produzione della biomassa

L’aspetto interessante dell’utilizzo della biomassa è rilevabile dalla Figura 2 nella quale è rappresentato il cosiddetto ciclo del carbonio. In pratica la produzione della biomassa consuma biossido di carbonio che poi viene riemesso dai cicli termici di utilizzo (gas, biodisel, …) secondo la seguente reazione tipo.

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Figura 2: Ciclo del Carbonio

& [ + \ 2]  [ 

\ ] \  2 o [&2  + 2    

Si osservi che l’energia rilasciata da questa reazione è indipendente dal tipo attivazione: combustione, pirolisi o gassificazione. In pratica se il char di pirolisi o il gas prodotto dalla gassificazione sono bruciati si ottiene sempre la stessa entalpia di reazione. Resta comunque la differenza nella diversità di utilizzazione del combustibile e nel modo di rilascio del calore. Va inoltre considerato che il contenuti di vapore acqueo prodotto dalla combustione del gas è relativamente elevato a causa sia dell’idrogeno presente nel combustibile sia per l’umidità presente nel combustibile da biomassa che evapora per effetto del riscaldamento.. Per questo motivo l’efficienza di combustione migliora se la biomassa viene essiccata prima della combustione. In definitiva l’utilizzo delle biomasse non costituisce aggravio al bilancio della CO2 in atmosfera e quindi si ha il massimo rispetto dell’ambiente e dei criteri di eco compatibilità. In fondo l’utilizzo delle piante (legno, torba, paglia,…) è vecchio quanto l’Uomo. Una coltivazione mirata alla produzione di biomassa mediante colture ad elevata produzione di massa (pini, eucalipti, ..) e a rapido accrescimento (canna da zucchero, mais, soia, ..) può incidere notevolmente sulla riduzione dei consumi di prodotti petroliferi. Si calcola una produzione attuale di biomassa di circa 150 miliardi di tonnellate l’anno di biomassa (principalmente da vegetazioni selvatiche). Il messaggio subliminale della biomassa è che la coltivazione di vegetazione specifica può essere vista come una sorta di coltivazione dell’energia per effetto delle trasformazioni che saranno esaminate fra breve. In Figura 3 si ha una sintesi dei possibili processi di trasformazione dai materiali primari di biomassa in prodotti ed energia. E’ facile osservare come la chimica alla base di questi processi di trasformazione sia oggettivamente complessa e come i prodotti ottenuti siano di primario interesse per l’Uomo.

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Figura 3: Processi di conversione delle risorse biologiche

La conversione in energia può avvenire sia mediante syngas (variamente prodotto) che mediante combustibili di sintesi detti biocombustibili. Questi ultimi sono miscele solide, liquide o gassose che possono essere utilizzati come combustibili in vario modo. Le biomasse solide provengono quassi esclusivamente dal legno (biomasse cellulosiche) o da scarti urbani. I biocombustibili liquidi sono i cosiddetti biodisel e i bioalcoli. Il biogas è dato dal syngas (ad esempio mediante pirolisi) o da produzione batterica per lo più anaerobica. 2.1. Utilizzo della biomassa per conversioni termiche Ai fini della produzione di energia la biomassa si presta ad alcune trasformazioni interessanti, come illustrato in Figura 4. I prodotti finali da biomassa sono: - gas combustibile; - Idrocarburi - Oli combustibili biodiesel). Oggi sta assumendo grande importanza il biodiesel prodotto da acidi grassi (esteri metilici) esterificati, su catalizzatori basici, mediante alcoli (metanolo). La catena del biodiesel è rappresentata in Figura 5. Lo schema di produzione è raffigurato in Figura 6. Anche l’olio grezzo, ottenuta ad esempio per spremitura meccanica di semi ed estrazione mediante solvente, si presenta interessante per l’utilizzo come combustibile. Il confronto delle proprietà degli oli combustibili con il combustibile tradizionale è riportato in Figura 7.

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Il biodiesel presenta un numero di cetani fra 54 e 58, un contenuto di zolfo sotto i 10 ppm, assenza di benzene, una buona conservabilità ed una buona lubricità. E’ possibile osservare come il P.C.I. sia del tutto confrontabile con il gasolio a fronte di un basso contenuto di zolfo ed un numero di cetani che può anche arrivare a 56.

Figura 4: Trasformazioni termiche della biomasse

Figura 5: Catena del biodiesel

Uno sviluppo importante, come combustibile, ha l’etanolo. Introdotto fin dal 1920, ha conosciuto un grande interessa dopo la crisi energetica del 1979. Il Brasile ha fortemente sviluppato la diffusione di questo combustibile di origine vegetale (principalmente canna da zucchero) oltre il 60% della produzione mondiale. L’etanolo viene commercializzato sotto forme di miscele avente varie sigle: E10, E85 e E95. L’etanolo è ottenuto principalmente dalla fermentazione di grandi masse amidose e zuccherine.

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L’Unione Europea prevede uno sviluppo produttivo dell’ordine del 6% nel 1010 e del 20% entro il 2020.

Figura 6: Schema di produzione del biodiesel

 Figura 7: Confronto del biodiesel con il combustibile tradizionale

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Per la gassificazione si utilizzano varie metodologie. Per impianti di piccola taglia si possono utilizzare gassificatori semplici del tipo indicato in Figura 8. Per impianti di grossa taglia si utilizzano gassificatori a letto fluido, vedi Figura 9, molto utilizzati nei paesi nordici per la lavorazione dei trucioli di legno.

Figura 8: Schema di gasificatore a sviluppo verticale

Figura 9: Esempio di gassificatore a letto fluido con motore diesel da 750 kWe

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2.1.1. Impianti di utilizzazione termica Possono essere utilizzati impianti con tecnologia classica sia per la produzione di calore (ad esempio per teleriscaldamento) che di energia elettrica. Sono spesso utilizzati impianti a ciclo Hirn nei quali il generatore di vapore è opportunamente modificato per l’utilizzo di combustibili da biomassa. Al fine di migliorare il rendimento di combustione nelle centrali a carbone si può utilizzare la co-combustione (cofiring) che consiste nel sostituire una percentuale di carbone (10-20%) con biomassa. Questa tecnologia ha il pregio di ridurre la produzione di CO2, SO2 , N2O e risulta abbastanza conveniente (tempi di pay back valutato negli USA intorno agli 8 anni). Il cofiring può essere utilizzato anche per sostituire gas naturale con syngas o biogas con buone efficienze per impianti di piccola taglia. E’ spesso utilizzato un impianto in contropressione parziale per avere contemporaneamente sia vapore che energia meccanica/elettrica. Anche gli impianti di cogenerazione sono possibili e con taglie energetiche anche di grande interesse. Se si utilizzano impianti di gassificazione è possibile avere anche cicli combinati gas-vapore.

Figura 10: Schema di impianto a ciclo combinato gas – vapore

Per piccole potenze risulta conveniente utilizzare motori a combustione interna (solitamente motori diesel modificati alimentati con biogas o con syngas opportunamente filtrati a monte dell’utilizzo). 2.1.2. Uso dei mori Stirling con biomasse Per taglie di qualche decina di kW di potenza si stanno sperimentando anche mori

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Stirling. Uno schema per potenza da 30 kW è illustrato in Figura 11. In Figura 12 si ha una foto del motore Stirling e in Figura 13 si ha il layout di un impianto completo di gasificatore per biomassa. Vari progetti sono in corso di sviluppo per questo tipo di motori con potenze variabili da 3 a 75 kW. Il rendimento complessivo risulta buono e variabile fra il 20 e il 24%. 2.1.3. Gassificazione e pirolisi Il materiale viene portato a temperature piuttosto elevate (800°C) per trasformato in gas ed olio combustibile. Nel caso della pirolisi il procedimento avviene in condizioni di assenza d’ossigeno per ottenere anche altri prodotti oltre al gas (liquidi e solidi in percentuali diverse detto olio pirolitico). In alcuni processi si pirolizzano ulteriormente i liquidi per ottenere syngas e residui solidi carboniosi. L’olio pirolitico può avere anche utilizzo diretto come combustibile a basso contenuto di zolfo (p.c.i. di 27 MJ/kg) o anche per la produzione di biodiesel. La produzione di olio pirolitico è principalmente determinata dalla velocità di pirolizzazione. Con tempi ridotti (dell’ordine del secondo) si hanno percentuali di liquidi pirolizzati dell’ordina dell’80% mentre con tempi lunghi si ha formazione di syngas e char carboniosi. Nel caso di gassificazione si opera in difetto di ossigeno per ottenere principalmente syngas (monossido di carbonio, idrogeno, ..). La gassificazione può essere a letto fisso o fluido a seconda che il materiale sia o meno tenuto in sospensione da un getto d'aria mentre subiscono il procedimento. Nei gas prodotti si trovano discrete quantità di polveri e di catrame, che pongono dei limiti all’utilizzabilità dei gas in campo elettrico.

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Figura 11: Schema di motore Stirling da 30 kW

2.1.4. Produzione di biogas da discariche naturali Una discarica naturale ben isolata, ad esempio con teloni impermeabili, fornisce una discreta quantità di biogas ottenuto da processi di decomposizione delle sostanze organiche contenuti nei rifiuti. Per la raccolta del biogas si utilizzano opportune reti di captazione costituite da pozzi verticali collegati a raggiera da tubazioni orizzontali forate per la facilitare la raccolta del biogas, come schematizzato in Figura 14. Il sistema di raccolta funziona agevolmente grazie alle pressioni interne ai materiali in discarica. Il biogas può essere raccolto in recipienti o direttamente convogliati in centrali per produzione di energia elettrica o termica (ad esempio per teleriscaldamento). Si osserva che il biogas prodotto dalla decomposizione di materie organiche è molto ricco di metano e quindi la sua raccolta ha anche il beneficio di ridurre l’effetto serra. Si ricorda, infatti, che il metano è circa 10 volte più attivo della CO2.

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Figura 12: Foto di un impianto Stirling da 30 kW



Figura 13: Schema completo di un impianto Stirling con biogas

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Figura 14: Sistema di raccolta del biogas da una discarica

3. PRODUZIONE DI ENERGIA DA RIFIUTI Una categoria di generatori termici che si sta affermando in questi ultimi anni è quella dei termovalorizzatori dei rifiuti solidi. Questa tecnologia, fino a pochissimi anni fa relegata in una fase da laboratorio e implementata solo in paesi più sensibili al rispetto dell’ambiente, oggi trova applicazione anche in Italia a seguito di alcune direttive europee e del noto Decreto Ronchi (D.Lgs 22/97), pur con notevole ritardo rispetto ad altre nazioni europee. Si fa strada, quindi, la cultura della valorizzazione termica dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU) e in genere di tutte le tipologie di rifiuti che le leggi vigenti propongono. Alla base di questa filosofia vi è il concetto di recupero energetico oltre che materiale di alcune frazioni riciclabili quale la plastica, i materiali ferrosi, la carta .... I RSU o loro assimilabili sono, infatti, prodotti organici capace di fornire energia se opportunamente combusti con un potere calorifico inferiore (pci) che varia da 1800 ÷ 4500 kcal/kg a seconda della tipologia di prodotto. Considerando una produzione realistica di RSU di 1.5 kg/p/g (kg di RSU per persona al giorno) e la popolazione residente nel nostro paese ci si rende conto della enorme quantità di RSU disponibili giornalmente, senza considerare le altre produzioni quali quelle industriali e ospedaliere. Per dare un valore concreto nella sola provincia di Catania si hanno circa 1.200 t/g di RSU tal quale che potrebbe fornire (supponendo un valor medio del pci=2000 kcal/kg) circa 2.790.000 kWh e cioè una quantità di energia corrispondente al consumo energetico familiare medio di circa 30.000 famiglie. Negli ultimi due decenni si sono affermate alcune tecnologie per la termovalorizzazione e in particolare si ricorda: la combustione a griglia, la combustione a letto fluido, la pirolisi a bassa temperatura e, di recente, la pirolisi ad alta temperatura mediante reattori al plasma. Si tratta di tecnologie, vecchie e nuove, che presentano una serie di problematiche sia impiantistiche che operative. Gli impianti di termovalorizzazione con forni a griglia sono probabilmente quelli

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più conosciuti e in Italia se ne hanno alcune realizzazioni (anche recenti, come a Brescia e Ferrara) perfettamente funzionanti. Gli impianti a letto fluido possono considerarsi una evoluzione dei precedenti poiché utilizzano per la combustione il metodo delle caldaie circolanti a pressione atmosferica (ACFB) con sensibile riduzione della temperatura di combustione e maggior controllo delle emissioni atmosferiche. Entrambe le tipologie sopra indicate utilizzano quale prodotto di combustione il CDR (Combustibile Da Rifiuto) ottenuto dai RSU mediante pretrattamento di essiccazione per eliminare l’umidità e le frazioni riciclabili. Gli impianti a pirolisi a bassa temperatura, sia endotermica che esotermica, si basano su conoscenze ormai secolari della scissione pirolitica dei legami molecolari delle sostanze organiche. Nei forni rotanti pirolitici si raggiungono temperature dell’ordine di 500÷600 °C e, in atmosfera ridotta di ossigeno, avviene la scissione pirolitica dei rifiuti formando, in genere, gas pirolitico con residuo di coke detto di pirolisi. Il gas così prodotto ha un pci di circa 4000÷5000 kcal/kg e può essere utilizzato, previo trattamenti di depolverizzazione, lavaggio e desulfurazione (in alcuni casi anche in relazione al tipo di rifiuto utilizzato) per far marciare una turbina a vapore ovvero anche, per gli impianti di piccola taglia (di solito al di sotto di 100.000 t/anno), motori endotermici con produzione diretta di energia elettrica. Il coke di pirolisi può essere utilizzato per alimentare forni, come carbonella o per alimentare un impianto di craking per produrre altro gas di sintesi. In quest’ultimo caso si producono residui vetrosi non lisciviabili che possono facilmente essere portati a discarica. Gli impianti a pirolisi ad alta temperatura sono i più recenti e rappresentano un salto tecnologico nella termovalorizzazione dei RSU. Essi possono trattare praticamente tutte le tipologie di rifiuti (solidi o liquidi) e producono syngas e residui solidi basaltici. 3.1. Sistemi a pirolisi a bassa temperatura La pirolisi è un processo chimico di scissione dei legami delle molecole organiche in atmosfera priva (o scarsamente presente) di ossigeno in modo da ottenere gas (detto gas di sintesi o syngas) e prodotti residuali solidi. La pirolisi e la gassificazione conseguente ottengono principalmente i seguenti risultati: - Riduzione dei problemi di deposito degli RSU in discarica attraverso la riduzione dei volumi in gioco e la scomposizione termica definitiva di prodotti potenzialmente pericolosi - Trattamento specifico dei materiali (RSU) in entrata. - Trattamento decentralizzato degli RSU con minori contaminazioni ambientali. - Conversione di materiali - per i quali non sarebbe possibile alcun riutilizzo - in materiali utilizzabili (residui carboniosi, metalli) ed energia. - Un notevole contributo alla riduzione di emissioni di anidride carbonica in quanto tale processo è sostitutivo della abituale della abituale produzione di energia mediante combustibili fossili. - Un composto carbonioso residuo della pirolisi. Nei processi industriali esistenti i metalli, ferrosi e non, in esso ancora presenti vengono estratti e lo stesso può, in

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seguito, essere utilizzato come carbone attivo negli impianti di filtrazione, come sostanza porosa per la produzione di mattoni o come combustibile nelle centrali termoelettriche. Lo si può inoltre sottoporre al processo di gassificazione. - Attraverso la gassificazione il residuo carbonioso della pirolisi viene convertito in granuli vetrosi completamente inerti dal punto di vista chimico-fisico che possono essere offerti quali prodotti per l’industria edile o inviati in discarica senza restrizioni ambientali di sorta. Grazie alla sua stabilità chimica intrinseca tale materiale può essere immagazzinato dovunque per periodi illimitati senza che si renda necessaria alcuna precauzione. 3.1.1. Processo di utilizzazione dei RSU Al fine di predisporre la frazione di RSU al trattamento termico si procede alla compressione e formazione di cubi privi il più possibile di aria mediante apposita macchina (pressa). Il modulo di pirolisi al plasma a bassa temperatura (600÷900 °C mediante reattori rotanti) tratta una portata di materiale variabile con la taglia del reattore (di solito 2-5 t/h) e produce gas composto essenzialmente da idrogeno, monossido di carbonio, ossido di carbonio e prodotti vari in percentuali che dipendono dalla natura chimica dei rifiuti utilizzati. In pratica il processo pirolitico scinde i legami chimici dei composti organici producendo syngas. Tutto ciò che non è scisso chimicamente si ritrova in basso al reattore pirolitico sotto forma di coke di pirolisi cioè di carbonella che può anche essere utilizzata per alimentare forni industriali, per produrre altro gas (processo di craking) o essere portato a discarica. Poiché il coke non è del tutto non lisciviabile il suo smaltimento richiede, in Italia, un pre-trattamento prima di essere portato a discarica. Dopo un successivo trattamento volto a separare le polveri ed estrarre ulteriori particelle metalliche il syngas viene raffreddato istantaneamente (quenching) e lavato (Scrabber) in modo da produrre gas purissimo per la successiva fase di produzione del metanolo. Parte del syngas è utilizzato per la produzione dell’energia elettrica necessaria all’autosufficienza dell’impianto mediante motori alimentati a gas per produrre elettricità. Il funzionamento del reattore è di almeno 8.000 ore/anno con fermate funzionali di circa due mesi per anno. 3.1.2. Fasi principali del processo Le fasi principali del pirolitici sono: · Pretrattamento dei RSU mediante frantumazione e preparazione dei cubetti compressi per l’alimentazione del reattore per la pirolisi; · Post trattamento del gas di sintesi mediante raffreddamento, lavaggio, depolverizzazione e desulfurazione (eventuale); · Processi termici: frantumazione e preparazione dei cubi compressi per l’alimentazione del reattore per la pirolisi. Nella Figura 15 si ha lo schema impiantistico di un moderno impianto a pirolisi a bassa temperatura con forno rotante del tipo endotermico.

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Figura 15: Layout di processo per impianti a pirolisi

3.1.3. Essiccazione dei rifiuti I RSU vengono prima trattati per l’eliminazione delle frazioni ferrose e metalliche, dei materiali plastici e vetrosi. Alla fine del processo vengono essiccati, in camere riscaldate a vapore, fino ad un’umidità residua del 10% circa, al fine di ottimizzare il successivo processo di gassificazione. L’essiccamento viene effettuato in tamburi rotanti riscaldati indirettamente con vapore che può essere prodotto dallo stesso impianto a pirolisi. Il processo di essiccamento sfrutta il calore di essiccazione del vapore e quindi la massima temperatura di contatto per il materiale, all’interno del tamburo di essiccamento, è di circa 190 °C. Il vapore esausto proveniente dall’essiccazione dei rifiuti viene condensato in un’apposita torre di lavaggio con addizione di soda al fine di eliminare ogni odore residuo. Dopo l’essiccazione il materiale viene indicato come fluff. 3.1.4. Pirolisi e gassificazione Il tamburo pirolizzatore è dotato di un particolare sistema di alimentazione in grado di garantire un minimo ingresso di aria e di fluff e realizzare, quindi, una buona compattazione del fluff stesso. L’entrata totale di aria imbibita con la massa di fluff è inferiore al 5%. A causa della rotazione e dell’inclinazione del tamburo il materiale si muove lentamente attraverso il tamburo in direzione dell’estremità posteriore. Durante questo tempo (circa 50 minuti) il materiale distilla in atmosfera priva di ossigeno: alla fine si producono il gas di pirolisi e residui solidi essenzialmente rappresentati da grafite e

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solidi inerti (scorie carboniose). I residui soliti vengono espulsi mediante una coclea orizzontale e quindi raffreddati. L’atmosfera inerte fa sì che persino all’avviamento non vi sia alcun pericolo di incendio o di esplosione. Il coke di pirolisi raffreddato viene convogliato in atmosfera inerte in un silo. Mentre effettua questo processo un separatore magnetico provvede a rimuovere i residui di materiali ferrosi contenuti nel coke (da unire a quelli grossolani separati durante la fase di pretrattamento dei rifiuti). La rimozione dei metalli non ferrosi viene effettuata mediante un flusso turbolento per quanto riguarda i pezzi più grossi e mediante vagliatura per quanto riguarda i fini. Il tamburo pirolizzatore viene riscaldato indirettamente, fatta eccezione per la messa in marcia, il bruciatore viene fatto funzionare mediante l’utilizzo dello stesso gas di pirolisi previamente depurato. Lo sfruttamento energetico del gas di pirolisi e la qualità della combustione (bassa concentrazione di NOx) vengono positivamente influenzati dalla particolare configurazione della camera di combustione. Gli scarichi della combustione passano attraverso uno scambiatore di calore nel quale viene preriscaldata l’aria per la crakezzazione del gas. 3.1.5. Torcia di sicurezza La torcia di sicurezza provvede a bruciare il gas quando esiste un disservizio del normale funzionamento dell’impianto. Questa torcia è collegata al tamburo pirolizzatore, al sistema di lavaggio del gas e al sistema di stoccaggio del gas. Nel caso in cui il sistema di crakezzazione del gas dovesse avere dei problemi è possibile bloccare il relativo condotto di adduzione del gas mentre viene aperto quello di adduzione alla torcia. Anche in caso di aumento di temperatura del sistema di lavaggio gas o nell’eventualità in cui la pressione del sistema di stoccaggio gas dovesse essere troppo elevata, un sistema di valvole del medesimo tipo provvede ad inviare gas alla torcia di sicurezza. Durante il funzionamento normale la torcia è alimentata (per essere mantenuta alla temperatura ottimale e nelle condizioni operative necessarie) con gas di pirolisi così da potere entrare in azione in qualsiasi momento ad una temperatura di combustione ottimale. 3.1.6. Craking dei gas pirolitici Il gas di pirolisi è essenzialmente costituito da una miscela di idrocarburi evaporati, di vapore acqueo, polveri di grafite, idrogeno, biossido di carbonio, monossido di carbonio e azoto. Il gas di pirolisi viene condotto in un ciclone a gas caldissimo per essere depolverizzato e quindi entra nell’unità di craking. La polvere viene rimossa dal ciclone ed è così evacuata e trasportata verso il successivo sistema di gassificazione. Il gas viene fatto scorrere in condotte riscaldate al fine di evitarne il raffreddamento e la conseguente condensazione. Il gas di pirolisi così depolverato presenta una temperatura di circa 500 °C ed arriva all’unità di craking passando attraverso un letto di

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coke caldissimo. In conseguenza di ciò la sua temperatura aumenta sino ad 1100 °C. In seguito alle varie reazioni chimiche endotermiche che consumano parte dell’energia, la temperatura del gas all’uscita dell’unità di craking è di circa 900 °C. In quel momento, ovvero dopo circa 3÷5 secondi, il gas di pirolisi viene trasformato in un gas stabile ed in particolar modo gli idrocarburi sotto forma di vapore vengono scissi in idrogeno, metano e monossido di carbonio. In aggiunta a quanto sopra detto il vapore acqueo presente nel gas di pirolisi viene trasformato, dal carbonio presente nel coke, in monossido di carbonio e idrogeno in base alla ben nota reazione eterogenea acqua-gas 3.1.7. Mineralizzazione del coke di pirolisi Come già detto, esistono numerose possibilità di utilizzo per il coke di pirolisi (scorie carboniose), pertanto è ipotizzabile che parte del coke di pirolisi a lungo andare possa essere variamente impiegato ad esempio per la produzione di cemento o laterizi. Tuttavia, attualmente, si ritiene che tutto il coke di pirolisi debba possibilmente essere mineralizzato. Ciò include anche l’utilizzo intermedio del coke di pirolisi quale materiale filtrante. Si deve tener presente che la gassificazione permette di ricavare la maggior parte dell’energia del materiale in entrata sotto forma di gas combustibile il cui utilizzo contribuisce in modo favorevole al bilancio energetico dell’impianto in quanto, una volta depolverizzato e lavato, questo gas può essere immediatamente utilizzato. Il coke dopo il processo di gassificazione lascia alcuni granuli inerti non lisciviabili e vetrificati che possono essere ancora utilizzati nell’industria del cemento o quale inerte per costruzioni civili. 3.1.8. Lavaggio dei gas di pirolisi e gassificazione Il gas grezzo ottenuto viene lavato e raffreddato. Innanzi tutto il gas passa attraverso una fase di quench (raffreddamento) con acqua che lo raffredda da 1500 a 900 °C, quindi in una successiva fase di raffreddamento, sempre con acqua, che riduce la temperatura del gas da 900 a 70°C. Durante la fase di raffreddamento dal ricircolo liquidi utilizzato viene estratto uno spurgo ricco di metalli pesanti che vengono separati ed arricchiti mediante sedimentazione e filtro-pressatura. In una seconda fase di lavaggio il tenore di HCl presente nel gas viene ulteriormente ridotto. In questa sezione del sistema viene a prodursi una debole soluzione di HCl che viene neutralizzata con soda. In questo modo il pH oscilla fra 7÷8. Il materiale in entrata contiene un certo quantitativo di Cl che viene mobilizzato dal processo termico e dilavato dal gas in questa unità. Dopo la neutralizzazione il Cl assume l’aspetto di sale disciolto nell’acqua di lavaggio. Successivamente questo sale viene recuperato, tramite evaporazione, sotto forma di granuli secchi. In relazione alla sostanza utilizzata per la neutralizzazione (idrossido di calcio e idrossido di sodio) il sale recuperato può essere il cloruro di sodio o il cloruro di calcio. La scelta fra queste due possibilità viene fatta al fine di conseguire

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un riciclaggio ottimale del sale quale prodotto da riutilizzare. Il gas viene invece avviato ad una ulteriore filtrazione. Per evitare la condensazione del gas umido nel filtro, la sua temperatura viene innalzata sino a circa 5 °C oltre il punto di rugiada. Il cosiddetto filtro sul sulphurex viene utilizzato per rimuovere completamente la presenza di idrogeno solforato. Il filtro sulphurex opera ad assorbimento secco in una speciale forma di ossido di ferroidrossido. Questo materiale è in grado di trasportare un elevato carico di zolfo e al raggiungimento della sua saturazione lo zolfo elementare può essere estratto ed avviato alla rigenerazione presso la casa fornitrice. La sequenza del filtraggio è completata da un filtro a carboni attivi per ridurre al minimo i composti di carbonio organico a molecole complesse. Detto filtro ha comunque una funzione di sicurezza in modo da garantire una buona qualità dei gas anche nel caso in cui le altri parti del sistema di lavaggio gas non dovessero funzionare in modo ottimale. 3.1.9. Trattamento delle acque di lavaggio gas L’acqua utilizzata per la depurazione del gas viene fatta raffreddare a circa 25÷30 °C per garantire la massima efficienza di lavaggio. Il raffreddamento viene realizzato un circuito secondario dell’acqua raffreddato ad aria in appositi air cooler. L’acqua di lavaggio arriva ad una vasca di sedimentazione che costituisce anche il ricettore delle acque reflue provenienti dai vari circuiti dell’impianto. La polvere separata dal gas nella fase di lavaggio sedimenta, quindi, nella vasca di sedimentazione. Gli inquinanti inorganici contenuta nell’acqua sedimentata vengono inglobati nei grani di vetro. Il filtrato liquido presenta un tenore di sale (principalmente cloruri) di circa il 10%. Il refluo si fa passare attraverso un procedimento di ozonizzazione al fine di eliminare la presenza di NaCN. 3.1.10. Produzione dell’energia elettrica Il syngas ottenuto dal processo di pirolisi, lavato e depolverizzato, può essere utilizzato, in virtù del suo potere calorifico di circa 4000 kcal/kg o 16000 kJ/kg, per far marciare un impianti di produzione di energia elettrica. Negli impianti di taglia superiore ai 150.000 t/anno si ha una buona produzione di gas e la taglia degli impianti giustifica un ciclo a vapore del tipo Hirn, raggiungendo rendimenti termodinamici superiori al 30%. Per impianti di piccola taglia (potenza complessivamente prodotta < 10 MWe) si possono usare motori endotermici che, utilizzando il syngas come combustibile, producono energia elettrica mediante accoppiamento diretto con un alternatore. Naturalmente questa tipologia di impianti ha rendimenti del 20÷24 % e quindi molto inferiori rispetto ai cicli a vapore, pur con una sensibile economia di acquisto. Inoltre questi impianti sono compatti e richiedono una manutenzione ridotta soprattutto per la mancanza della turbina a vapore che richiede un’attenzione continua ed una manutenzione programmata.

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3.1.11. Rispetto dell’ambiente e conformità alle leggi La tecnologia a pirolisi a bassa temperatura soddisfa tutti i requisiti di legge e le normative europee relativamente agli impianti di trattamento e discarica per i rifiuti solidi urbani e in particolare la Circolare Ministero Industria Commercio e Artigianato (MICA) 23/4/97 n. 380/3 (G.U. 30/4/97 n. 99 nota come Decreto Ronchi). In Particolare sono perfettamente rispettati gli artt. 4 (Recupero dei Rifiuti) e 5 (Smaltimento dei Rifiuti) essendo la tecnologia proposta all’avanguardia nel recupero energetico. Utilizzando un processo originale ed i più moderni sistemi di trattamento delle emissioni la tecnologia pirolisi ottiene il rispetto di tutti i valori limite imposti dalla legge mantenendo peraltro un ampio margine di sicurezza. 3.2. Impianti a griglia Questi impianti usano la tecnologia standard e consolidata della combustione ad alta temperatura (griglia) e media temperatura (letto fluido, vedi nel prosieguo). Hanno bisogno di una sezione filtrante ad alto costo per l’eliminazione delle diossine ed hanno scarichi di prodotti di combustione in atmosfera. Inoltre producono generalmente energia mediante cicli a vapore (cicli Hirn semplici o combinati). Il materiale bruciato in caldaia deve essere precedentemente essiccato (CDR) in modo da ridurre l’umidità presente negli RSU originari. Ciò richiede forni di essiccamento o superfici per la preparazione del compostaggio. Il generatore di vapore è di tipo a griglia e l’impianto produce direttamente energia elettrica, mediante ciclo Hirn, con turbina a vapore a ciclo combinato ad alto rendimento. 3.2.1. Preparazione del CDR (Pretrattamento dei RSU) La fase di pretrattamento dei RSU è indispensabile in questa tipologia di impianto. Lo scopo è di produrre un Combustibile da Rifiuto (CDR) che abbia un pci di 3500÷4500 kcal/kg. I RSU vengono triturati e le varie frazioni (umida e secca) vengono vagliate e separate. La frazione umida viene inviata alla preparazione del compost mentre la frazione secca viene vagliata per la separazione di materiali ferrosi e metallici in genere (ad esempio l’alluminio utilizzato nelle lattine delle bevande), della plastica (ove possibile) e del vetro. La rimanente parte, opportunamente ridotta di dimensioni mediante un mulino a martelli, compone il CDR (o RDF in versione inglese). La percentuale di CDR che si prepara varia in funzione della composizione iniziale dei rifiuti trattati e pertanto il pci che si ottiene è anch’esso variabile. 3.2.2. La griglia di combustione L’elemento fondamentale dei forni a griglia è la griglia di combustione. Data la natura composita del combustile usato (CDR) e della variabilità del suo pci occorre avere

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una griglia che consenta la combustione più completa possibile variando la quantità d’aria di combustione in funzione anche della qualità (termica e dimensionale) del pezzame. In Figura 16 si ha lo schema funzionale di una delle più usate griglie di combustione per CDR, la griglia Martin. In essa sono visibili i seguenti componenti: (4), Tramoggia di alimentazione, (6), Sistema idraulico di alimentazione, (7), Ventilatore d’aria di combustione, (8), Zone dell’aria primaria situate sotto la griglia, (9), Focolaio, (10), Ugelli di aria secondaria, (11). Caldaia. Il sistema prevede prima l’insufflamento di aria primaria al di sotto delle griglie di alimentazione e poi di aria secondaria per la completa combustione dei gas caldi che si sono formati sulla griglia stessa. Le pareti del focolaio e le pareti di separazione della caldaia stessa sono realizzate mediante tubi ad alette longitudinali saldate. 3.2.3. Caldaia per impianti a griglia La caldaia di questa tipologia di impianti è, di solito, a più passaggi e contiene una sezione convettiva che raffredda i fumi in modo da ridurne la temperatura dei gas e delle ceneri all’ingresso dell’ultimo passaggio. Questo è costituito da un surriscaldatore con tubi orizzontali seguito da un economizzatore che costituisce un vero e proprio passaggio di scambio finale.

Figura 16. Schema di funzionamento di una griglia Martin®

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A valle dell’economizzatore è posto un ciclone ed un reattore a secco, come indicato in Figura 17 per l’impianto di Lisbona da 2000 t/g (attualmente il maggiore d’Europa), dove viene iniettata calce spenta per la separazione e l’eliminazione dei componenti acidi presenti nei fumi. La calce che ha reagito viene raccolta in filtro a maniche insieme alle ceneri che sono poi descorificate e poi portate a discarica. 3.2.4. Produzione di Potenza elettrica Le centrali di termovalorizzazione con forni a griglia sono le più numerose nel mondo e sono solitamente accoppiate con cicli a vapore e/o con cicli cogenerativi per la produzione contemporanea di vapore per riscaldamento urbano, come ad esempio per la centrale ASM di Brescia. I rendimenti termodinamici sono superiori al 35% e in cicli combinati si hanno valori ancora maggiori. 3.2.5. Problematiche di esercizio delle centrali a griglia Le centrale a griglia sono certamente quelle di tecnologia più consolidata e diffusa. Esse assommano conoscenze derivate dai vari campi dell’impiantistica termica e chimica e non presentano sorprese di sorta. Malgrado la loro apparente semplicità esse sono costose (forse le più costose in assoluto) per il notevole costo della sezione di filtraggio, trattamento dei fumi ed abbattimento delle diossine. E' importante sottolineare che i limiti di emissione imposti per l'utilizzo dei RSU come fonte di energia sono estremamente restrittivi, a tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente. L'utilizzo di CDR in generatori di vapore a griglia, unitamente alla sezione di trattamento dei fumi, raggiunge il rispetto di tali ai limiti. Il sistema di controllo in continuo delle emissioni permette la rilevazione e la registrazione della temperatura dei fumi della concentrazione di O2, di polveri, di SO2, di HCl, di CO, di NOx e di sostanze organiche volatili. Viene inoltre controllata in continuo la temperatura nella camera di combustione il cui valore minimo, prescritto dalla normativa vigente, è 850°C.

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 Figura 17: Schema di caldaia a griglia e di ciclone

3.2.6. Reazione comunitaria alle centrali a griglia Le centrali di termovalorizzazione con forni a griglia presentano notevole difficoltà di accettazione da parte delle popolazioni vicine al sito dell’impianto per il timore di fughe di diossine e furani nel caso di malfunzionamento delle apparecchiature di controllo. La Valutazione di Impatto Ambientale presenta, pertanto, difficoltà non facili da superare per gli aspetti sociali. In alcune regioni d’Italia si sono avuti rifiuti decisi delle autorità locali e delle popolazioni interessate per la costruzione di nuove centrali di termovalorizzazione a griglia. Il loro inserimento risulta più agevole in zone industriali o comunque lontane dai centri abitati. 3.3. Centrali con caldaie a letto fluido Queste rappresentano un’evoluzione delle centrali con forni a griglia viste in precedenza ed utilizzano la combustione detta a letto fluido che si ottiene insufflando aria dal basso in quantità (e quindi portata) tale da far assumere alla massa di materiale la caratteristica di un fluido. Le particelle non sono più coese come di solito sono in assenza del galleggiamento provocato dal flusso di aria. Si osserva, infatti, che all’aumentare della velocità dell’aria insufflata, si ha una andamento crescente delle perdite di carico fino a quando le particelle (di piccolo diametro, di solito dell’ordine di qualche millimetro) iniziano una specie di galleggiamento che fa assumere alla massa un comportamento tipico dei fluidi. Se allora si utilizza una volume di controllo nel quale si manda aria dal basso e particelle di materiale (coke di carbone o di CDR) immesse lateralmente si ha, per opportune portate dell’aria, la formazione del letto fluido. In queste condizioni. In Figura 18 si ha lo schema di funzionamento di un combustore a letto fluido del tipo circolante.

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In un cilindro (riser) si insuffla aria dal basso e si alimenta (con CDR ridotto in piccole particelle mediante apposito frantumatore) lateralmente. L’aria di insufflaggio è in quantità sufficiente alla combustione e pertanto si ha, all’interno del combustore, una combustione continua ad una temperatura che va dai 900 °c a 850°C. Nei sistemi a letto fluido circolante il trasporto del materiale di combustione è sensibile e tale da innescare una circolazione che viene controllata da un condotto discendente (downcomer) che riporta le particelle elutriate all’ingresso del combustore principale.

Figura 18: Schema di funzionamento di un combustore a letto fluido

La combustione a letto fluido presenta notevoli vantaggi rispetto alla combustione normale a griglia. La temperatura di combustione è in genere più bassa (circa 900 °C rispetto a circa 1200 °C dei forni a griglia tradizionale) e questo consente di avere una minore quantità di diossina prodotta. Inoltre alla base del reattore principale si possono aggiungere additivi chimici (di solito CaCO3 o solfati) che abbattono gli ossidi COx ed NOx nei fumi. Si ha anche una minore dimensione (circa il 40% in meno) della caldaia e quindi un minor costo dei materiali (acciai) necessari per costruire questi impianti. Per contro si ha un maggior dispendio di energia per l’insufflamento dell’aria e il mantenimento delle condizioni di innesco del letto fluido circolante. Anche il controllo di questi impianti è notevole dovendo assicurare sempre le condizioni sia termodinamiche di combustione che fluidodinamiche di circolazione a letto fluido. Oggi si possono avere caldaia a letto fluido (FB) sia di tipo atmosferico (ACFB) che in pressione (PCFB). Quest’ultima tipologia di impianto (di derivazione svedese) presenta dimensioni ancora più ridotte e sembra essere la naturale evoluzione degli

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impianti a pressione atmosferica che, però, sono oggi più diffusi e conosciuti. Le centrali a letto fluido necessitano di un pretrattamento dei RSU così come visto per quelle a griglia. Da questa sezione di preparazione viene prodotto il CDR (Combustibile da Rifiuti) che viene poi ridotto in minutissime particelle mediante un mulino. Rispetto alle centrali a griglia sono più ridotte le sezioni di filtraggio dei fumi per la minore pericolosità dei prodotti di combustione proveniente dalla combustione controllata a letto fluido. Anche la produzione di ceneri appare più ridotta rispetto alle caldaie a griglia (10% rispetto al 30%) e quindi i costi di gestione e di trasporto a discarica sono sensibilmente minori. 3.3.1. Caldaia a letto fluido atmosferica (APFB) Si tratta del tipo più antico e ancora il più utilizzato di combustione a letto fluido. Si utilizza il regime a bolle con combustione a pressione atmosferica. Il fluido di lavoro è l’aria che serve anche come comburente per la combustione. La caldaia è costituita da un grosso cilindro nel quale si ha in basso una griglia che distribuisce il flusso d’aria in modo uniforme, evitando la formazione di canali d’aria preferenziali. Al di sopra della griglia si pongono strati di calcare e altri materiali inerti che hanno lo scopo di reagire con i composti del tipo COx ed NOx per trasformarli in composti non gassosi e quindi non inquinanti per l’atmosfera. La temperatura di combustione è limitata a 800 900 °C (anche per effetto del forte eccesso d’aria necessaria per la fluidizzazione) e ciò comporta notevoli benefici alla combustione poiché si evita la formazione delle diossine. Nelle applicazioni impiantistiche la caldaia a letto fluido atmosferico (APFB) sostituisce la caldaia tradizionale a tutti gli effetti, producendo vapore a 550580 °C e pressioni di circa 30 40 bar. Questa caratteristica rende le caldaie APFB molto utili nel refurbishment di impianti a vapore obsoleti che vengono trasformati in impianti a polverino di carbone. 3.3.2. Caldaia a letto fluido circolante atmosferica (APCFB) In questo caso si utilizza il regime detto turbolento per cui la caldaia a letto fluido è costituita da un grosso cilindro con griglia inferiore ma con un secondo cilindro laterale (detto downcomer) nel quale si raccoglie il particolato che viene trasportato fuori dal primo cilindro per elutriazione. Queste caldaie sono più recenti rispetto a quelle con moto a bolle ed hanno dimensioni più ridotte per effetto del miglior regime di combustione (anche per effetto della turbolenza propria del regime di moto) che si ottiene. In ogni caso si hanno dimensioni di caldaia di circa 40% inferiori rispetto a quelle con moto a bolle con un risparmio di una analoga quantità in peso di acciaio. 3.3.3. Caldaia circolante pressurizzata (PCFB) Sono le caldaie più innovative e lavorano in regime turbolento con fluido circolante

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con il doppio cilindro. La pressione in caldaia è maggiore di quella atmosferica (qualche bar) e ciò comporta, oltre ad una migliore efficienza di combustione, una riduzione di oltre il 50% delle dimensioni e del peso di acciaio impegnato. 3.3.4. Caldaia a letto fluido Con riferimento alla centrale di Lomellina si ha lo schema di impianto di Figura 19 che riporta la sezione caldaia a letto fluido e di trattamento dei fumi. La centrale di Lomellina tratta 146.000 t/a di RSU e RSUA e produce una potenza netta di energia elettrica pari a 17 MWe. Come si può osservare dalla figura, si tratta di caldaia del tipo circolante a pressione atmosferica con immissione del polverino di RDF dal basso. La preparazione del polverino di RDF richiede un impianto di polverizzazione preliminare che occupa, nel layout complessivo dell’impianto, uno spazio non indifferente. A valle di questa sezione di combustione si ha un normale impianto a vapore per la produzione di potenza elettrica del tutto simile a quella vista per le centrali a griglia. Il ciclo utilizzato è di tipo Hirn con produzione cogenerativa variabile. Poiché la combustione a letto fluido è più pulita rispetto a quella a griglia tradizionale, gli impianti di depurazione dei fumi sono notevolmente più ridotti e certamente meno impegnativi, avendosi minori quantità di NOx, COx , SOx ed altri inquinanti. In Figura 20 si ha una vista assonometrica dell’insieme della caldaia a letto fluido e del generatore di vapore a recupero termico. 3.3.5. Trattamento delle ceneri degli impianti a griglia e a letto fluido Le ceneri attualmente prodotte in tutti gli impianti di termovalorizzazione tradizionali con forni a griglia e a letto fluido contengono numerosi metalli e composti chimici vari. Queste ceneri possono anche essere umide per la fase di lavaggio finale a valle di filtri elettrostatici e sono in percentuale variabile da poco più del 12% nelle caldaie a letto fluido a quasi il 35% per quelle a griglia tradizionali. Una bella quantità di prodotti di scarto che oggi viene trasportata nelle discariche pubbliche. e ceneri purtroppo sono lisciviabili è cioè possono essere dilavata dalle acque e inquinare il sistema delle falde sotterranee e quindi, in attuazione delle nuove direttive europee, non potranno essere smaltite tal quali ma dovranno subire un processo di inertizzazione. Un sistema oggi proposto ed utilizzato in alcune grandi centrali di termovalorizzazione europee (vedi Cenon in Francia ove si ha una centrale da 400.000 t/anno di RSU con produzione di 120.000 t/anno di ceneri) è quello di vetrificarle mediante trattamento al plasma ad altissima temperatura. Mediante le torce al plasma (vedi nel prosieguo) si raggiungono temperatura variabili fra 4000 e 7000 °c e quindi tali da fondere le ceneri in uno slag (una specie di lava basaltica) che viene poi raffreddato per formare mattonelle, portacenere e prodotti vari da riutilizzare. In Francia è addirittura nato il consorzio VIVALDI che ha lo scopo di trovare sistemi di sfruttamento dello slag prodotto dalle torce per fini commerciali. Lo slag è un materiale vetroso e non lisciviabile e pertanto, oltre all’uso come

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materiale da costruzione o di abbellimento, può essere portato a discarica tranquillamente con grande vantaggio anche per la notevole riduzione di peso e volume (da 330 kg iniziali per tonnellata di RSU bruciata a 20 kg di slag prodotta dalla torcia).

Figura 19: Schema della sezione caldaia a letto fluido e trattamento fumi di Lomellina

La problematica dell’utilizzo dello slag è comune agli impianti di termovalorizzazione al plasma che sono trattati nel successivo capitolo.

Figura 20: Vista assonometrica di una caldaia a letto fluido e del generatore a recupero

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3.4. Impianti al Plasma Le prime torce al plasma sono state sviluppate ed utilizzate nell’industria metallurgica e chimica e in particolare per: · fusione dei rottami · recupero dell’alluminio, nell’industria chimica · produzione di Acetilene dal gas naturale · produzione di materiali speciali L’idea di base degli impianti al plasma è di utilizzare le torce al plasma per gassificare (cioè produrre syngas mediante pirolisi ad alta temperatura) i RSU secondo la metafora di Figura 21. L’elemento innovativo di questa tecnologia è la torcia al plasma che, come si vedrà fra poco, è capace di produrre del plasma a temperature elevatissime (le maggiori raggiunte in processi industriali controllati) e tali da provocare una dissociazione termochimica di tutto ciò che viene investito. Se il materiale dissociato è di tipo organico allora si produrrà gas di sintesi e quindi energia altrimenti si provocherà solamente la fusione del materiale metallico o di qualunque altra natura. Quest’ultimo procedimento viene oggi utilizzato per fondere materiali metallici alluminosi (lattine usate) per avere nuovamente materia prima per nuovi utilizzi. 3.4.1. La torcia al plasma Esistono torce alimentate in Corrente Continua (DC) e torce alimentate in Alternata (AC). Per le applicazioni ai RSU è conveniente utilizzare torce DC: esse necessitano di un convertitore AC–DC, ma sono più perfezionate rispetto alle torce AC. 3.4.2. Modalità di Funzionamento della torcia al plasma Per quando riguarda le modalità di funzionamento, le torce al plasma si possono classificare in due gruppi (vedi Figura 22): · arco trasferito; · arco non trasferito.

Figura 21: Metafora per gli impianti al plasma

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Figura 22: Sistemi ad arco trasferito e non trasferito

Nel tipo ad arco trasferito l’elettrodo nel corpo della torcia funge da anodo o da catodo (a seconda del modello di torcia) mentre il materiale che deve essere trattato funge da altro elettrodo. 3.4.3. Polarità della torcia della torcia al plasma La modalità di lavoro della torcia ad arco trasferito con anodo sulla torcia e catodo nel materiale da trattare è conosciuta come “polarità inversa”. La pratica opposta è nota come “polarità diretta”, vedi Figura 23. Nel caso della torcia ad arco non trasferito entrambe gli elettrodi sono inseriti nella torcia. Similmente a quanto detto per le torce trasferite, quelle non trasferite operano in polarità inversa quando l’elettrodo posteriore funge da anodo e quello anteriore da catodo, viceversa quando il catodo è costituito dall’elettrodo anteriore e l’anodo da quello posteriore esse funzionano in polarità diretta. Ci sono delle notevoli differenze di comportamento tra le torce ad arco trasferito e non trasferito riguardo al trattamento dei rifiuti. Poiché le torce ad arco trasferito lasciano passare corrente attraverso il materiale fuso che deve essere trattato, si può determinare una considerabile componente di riscaldamento per effetto joule nell’energia che viene trasferita al rifiuto. Questo crea temperature più alte che genera correnti convettive nel bacino di fusione contribuendo alla omogeneizzazione della fusione. Quindi un sistema con torcia ad arco trasferito è in grado di trattare una portata maggiore di materiale, inoltre esso utilizza generalmente un flusso volumetrico di gas di un ordine di grandezza inferiore rispetto alle torce ad arco non trasferito; una portata di gas più piccola può essere importante per il trattamento dei rifiuti in quanto si riduce in questo modo la quantità di particolato trasportato nel sistema di pulizia del gas di sintesi, il volume del gas combustibile è inoltre minore e quindi si riducono le dimensioni del sistema di pulizia dei gas.

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Figura 23: Schemi principali di torce al plasma

Figura 24: temperature massime raggiungibili con le torce al plasma

Lo svantaggio principale della torcia ad arco trasferito è che il materiale deve essere conduttivo, mentre la maggior parte del materiale inorganico presente generalmente nel rifiuto risulta conduttivo solo allo stato fuso, questo potrebbe rendere l’avvio della torcia estremamente difficoltoso dopo arresti improvvisi, causando serie difficoltà di gestione operativa. Tutte queste esigenze possono essere ampiamente soddisfatte attraverso l’utilizzo della torcia ad arco non trasferito a polarità diretta il cui schema è mostrato nella seguente figura. In funzione della polarizzazione si possono raggiungere le temperature indicate nella Figura 24 ove in ascisse si ha la distanza fra gli elettrodi.

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3.4.4. Gas attivi utilizzati Per il funzionamento delle torce occorre utilizzare un gas di attivazione che può essere, di solito, uno dei seguenti: · Argon (richiede sistema di accumulo) · Elio (richiede sistema di accumulo) · Azoto (richiede sistema di accumulo) · Aria (non richiede sistema di accumulo) · Vapore d’acqua (richiede sistema di preparazione. 3.4.5. Utilizzo della torcia per RSU La torcia al plasma trova impiego anche nella termo-valorizzazione dei RSU. Essa, infatti: · consente elevate temperature tali portare a fusione e pirolisi il RSU. · l’elevata temperatura nel bagno fuso consente la conversione in gas (reforming) del carbonio presente.

Figura 25: Schema del funzionamento del reattore al plasma

3.4.6. Termocinetica e chimica di base Le reazioni principali che interessano l’applicazione delle torce al plasma sono indicate in Figura 26 ove è data anche la composizione del gas di sintesi. Dall’esame di questa si può dedurre che il gas prodotto è sufficientemente pulito, non presente impurezze inquinanti (diossine,…) ed è sufficientemente pulito per le applicazioni civili ed industriali che si possono fare.

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Figura 26: Termocinetica e digrammi di equilibrio nelle torce al plasma per RSU

3.4.7. Il Bilancio energetico Il bilancio energetico effettuato nel reattore al plasma dipende, ovviamente, dalla composizione dei RSU e quindi dalla percentuale di composti organici presenti, dall’umidità, .. Mediamente per RSU avente pci. di 2400 kcal/kg si ha il bilancio indicato in Figura 27 per tonnellata di RSU introdotta nel reattore. La composizione del syngas è data in Figura 28 e in Figura 29 si quella dello slag per RSU. Questa composizione varia al variare della tipologia di rifiuti utilizzati. In pratica i componenti di maggior peso sono idrogeni (H2), azoto (N2) e monossido di carbonio (CO) La composizione dello slag, anch’essa variabile con la tipologia di rifiuti utilizzati, presenta forti percentuali di Si, Al, Na e Ca con tracce di altri componenti.

Figura 27: Bilancio energetico nel reattore al plasma

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Sezione del reattore al plasma

Il reattore al plasma per RSU ha una particolare geometria studiata sia per consentire la cinetica delle reazioni sopra indicate sia per il reforming del carbone prodotto dalle stesse reazioni.

Figura 28: Composizione del syngas

A questo scopo si utilizza un getto di vapore d’acqua indirizzato verso la sezione contenente i prodotti fusi (alla base).

Figura 29: Composizione dello slag

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La sezione schematica di un reattore al plasma con torce a polarità diretta con gas aria è riportata in Figura 30. Le dimensioni sono piuttosto contenute: il diametro è di circa tre metri e l’altezza di circa cinque metri.

Figura 30: Sezione tipica del reattore al plasma per RSU

3.4.9. Il trattamento dei rifiuti · · · · · · · · · · · ·

Processo di pirolisi e vetrificazione può essere applicato a: Rifiuti Solidi Urbani ed Assimilati Rifiuti Ospedalieri e Farmaceutici Rifiuti Agricoli e scarti di produzione (morchia olearia, raspi, etc.) Rifiuti Tossici e Nocivi Rifiuti Debolmente Radioattivi Recupero “in situ” di terreni inquinati: Discariche Abbandonate e/o Abusive Rifiuti Sepolti Oli da combustione Residui da industria chimica Rifiuti navali

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Le torce al plasma sono particolarmente convenienti per l’eliminazione di rifiuti industriali, terre radioattive, fanghi industriali, rifiuti ospedalieri e quant’altro richieda attenzione particolare nello smaltimento. Una delle applicazioni principali, infatti, è la vetrificazione di rifiuti pericolosi grazie all’elevata temperatura raggiungibile. 3.4.10. Lay-out di un impianto al plasma Lo schema generalizzato a blocchi di un tipico impianto al plasma è indicato in Figura 31. La sezione di produzione dell’energia può essere sia con macchine termiche o mediante ciclo combinato Joule-Hirn. In quest’ultimo caso si hanno rendimenti di trasformazione molto elevati e la produzione netta di energia risulta superiore al 50% di quella propria dei RSU.

Figura 31: Schema impiantistico

3.4.11. Trasformazioni del processo al plasma In sintesi le trasformazioni principali che sono effettuate in un impianto al plasma sono: · Trasformazione dei componenti organici in gas di pirolisi altamente energetico (nel quale si ha, circa, H2= 53%, CO=35%) · Trasformazione dei componenti inorganici in massa lavica, lo slag, (tipo basalto) totalmente inerte e non tossica, non lisciviabile, contenente all’interno i metalli pesanti, utilizzabile come materiale da costruzione. In Figura 32 si ha una tipica fuoriuscita di slag da un reattore al plasma per RSU. In Figura 33 si hanno varie tipologie di materiali ottenuti dalla slag mediante diversa velocità di raffreddamento e/o con l’aggiunta di inerti (terre) per ottenere colorazioni particolari. Si ricordi che anche se non si volesse utilizzare lo slag per trasformazioni

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particolari esso può essere vantaggiosamente portato a discarica poiché totalmente inerte e non lisciviabile. Il materiale fuso può essere utilizzato anche per la fabbricazione di fibre di lana di roccia, mattonelle per pavimentazione stradale, pietrame per uso ferroviario (ballast),… 3.4.12. Caratteristiche principali del processo al plasma Nella seguente tabella si ha la sintesi delle caratteristiche principali degli impianti al plasma in relazione a quelle tipiche di un inceneritore. Dal confronto risultano evidenti i vantaggi presentati dalla tecnologia al plasma sia in termini operativi (minori richieste impiantistiche) che di flessibilità. Anche dal punto di vista ambientale il confronto, indicato nella successiva tabella, risulta più favorevole agli impianti al plasma per tutti gli aspetti considerati. In definitiva i vantaggi offerti possono così riassumersi: · è ecologico (non è una combustione!); · non emette fumi e sostanze tossiche quali Diossine e Furani; · non produce ceneri; · non produce scorie di fondo; · è economico e redditizio; · ha dimensioni ridotte - fino a 30% di risparmio sull’investimento (rispetto a inceneritore convenzionale; · produce energia in eccesso rispetto a quella necessaria al suo funzionamento; · è flessibile in quanto può trattare insiemi di rifiuti quali RSU-RSA anche umidi (fino al 70% u.r.), metalli, plastiche e vetro, copertoni e rifiuti ospedalieri, ceneri agricole e da allevamenti, ecc.; · è modulare: da 150 a oltre 5.000 ton/giorno (RSU/RSA); · possibilità di aggiungere moduli anche in tempi successivi; · la torcia può funzionare dal 30 al 110% della sua potenza nominale e ciò garantisce una maggiore operazionalità di questi impianti rispetto ad altre tipologie; · dimensioni ridotte dell’impianto con superfici coperte da un minimo 1.500 m2 a un massimo di 10.000 m2 (superficie totale da 1 a 5 ettari) con un’altezza 10-15 m; · Assenza di fumi; · Acque integralmente riciclate per uso interno; · Può essere costruito anche in cava dismessa e da recuperare; · Un impianto medio (250÷300 ton/giorno) può essere alimentato giornalmente da 1420 autocompattatori. Inoltre La costruzione e il funzionamento nel territorio di un impianto al plasma ad alta tecnologia favorisce: · il lavoro indotto per la aziende locali, per la costruzione ed operazione dell’impianto; · lo sviluppo di nuovi posti di lavoro per la conduzione dell’impianto; · l’innalzamento del livello tecnologico e della competitività delle aziende esistenti del territorio; · la costituzione e lo sviluppo di un polo industriale ad alta tecnologia da parte di aziende attratte dalla disponibilità di energia e di manodopera di alta qualificazione;

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· sviluppo del livello occupazionale nel territorio; · riduzione del carico fiscale specifico sulla popolazione; · inertizzazione totale di sostanze tossiche in tempi compatibili con le raccomandazioni europee; · recupero delle aree inquinate da rifiuti tossici. Tabella 1: Confronto di alcune tipologie di impianto

Figura 32: Materiale fuso in uscita dal reattore al plasma

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 Figura 33: Varie tipologie di slag raffreddato

Tabella 2: Confronto fra le tipologie di residui

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 3.4.13. Smaltimento di rifiuti speciali I rifiuti speciali (ospedalieri, industriali e nocivi) richiedono una procedura di smaltimento controllata. Di solito gli impianti a pirolisi a bassa temperatura, griglia e a letto fluido possono smaltire i rifiuti ospedalieri e industriali purché vengano dotati di particolare griglie di alimentazione separate da quelle per i RSU e assimilabili. I fanghi di scarico industriali e da espurgo di pozzi possono ancora essere smaltiti da queste tipologie di impianto e vengono utilizzate diverse tecniche per alimentare i forni. Ad esempio si possono mescolare i fanghi in percentuale con i RSU in modo da formare un impasto non eccessivamente molle. Nei forni rotanti a pirolisi si può avere una bocca di alimentazione separata che alimenta, a cicli alterni, i forni stessi. Per i rifiuti tossici e radioattivi (terre contaminate, prodotti di scarto dell’industria nucleare, …) i mezzi di smaltimento non sono molti. Per decenni si è utilizzata la torcia al plasma per vetrificarli e renderli quindi non lisciviabili. Pertanto gli impianti al plasma per RSU possono, con una alimentazione separata e controllata, smaltire qualsivoglia tipologia di prodotti.

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3.4.14. Smaltimento delle frazioni differenziate Il Decreto Ronchi prevede la raccolta differenziata obbligatoria dei RSU. Attualmente esiste un notevole divario fra le regioni del nord e quelle del sud. Nelle prime si sono raggiunte percentuali di differenziazione che hanno raggiunto il 36% a Brescia e percentuali di poco inferiori in altre grandi città. Nel Sud d’Italia la raccolta differenziata è ancora da inventare e in alcuni casi si raggiungono percentuali dell’ordine del 5%, ancora basse. Le frazioni differenziate dovrebbero essere conferite ai consorzi predisposti per legge al riuso di questi materiali ma spesso le frazioni differenziate vengono egualmente smaltite in discarica. In pratica si ha una sorta di soddisfacimento della legge per la raccolta differenziata ma non per il riuso. In pratica è come trasportare a discarica la frazione umida mediante autocompattatrici e con altri camion le frazioni differenziate. Gli impianti di termovalorizzazione possono certamente utilizzare con profitto alcune frazioni differenziate, escluse quelle vetrose e metalliche. La carta e la plastica, infatti, elevano il potere calorifico dei rifiuti e migliorano il CDR prodotto dal pretrattamento. Un discorso diverso si potrebbe fare sulla convenienza energetica del riuso delle frazioni differenziate rispetto all’utilizzo negli impianti di termovalorizzazione. Il riuso richiede, infatti, una ulteriore quantità di energia di lavorazione che risulta essere maggiore di quella che se ne potrebbe ottenere negli impianti di termovalorizzazione. Questo tipo di analisi viene detta Life Cicle Analysis e si avvale di considerazioni di tipo termodinamico ed exergonomico oggi molto importanti. Probabilmente l’impostazione delle leggi attualmente in vigore risulta già vecchia rispetto alle nuove concezioni exergonomiche attuali. Il riutilizzo dei materiali aveva certamente un significato (anche morale) se confrontato con il consumismo e con la discarica dei RSU tal quali. Oggi con gli impianti di termovalorizzazione possiamo ottenere di più, in senso termodinamico e sinergico, mediante trasformazione dei rifiuti in energia primaria che mediante il riuso delle frazioni differenziate energetiche. La raccolta differenziata dei materiali metallici (ferrosi e alluminosi in particolare) può consentire un riuso proficuo degli stessi perché possono essere riportati in fonderia e quindi utilizzati quale materia prima. Anche il vetro può essere riciclato nelle vetrerie anche se non con la stessa efficacia dei materiali metallici. La carta può essere riciclata per ottenere carta di minore pregio ma che, in ogni caso, riduce il consumo di nuova cellulosa. La plastica può essere riciclata per ottenere prodotti definiti utili (sistemi di imballaggio, utensili per giardinaggio, ….) ma che spesso stentano a trovare una collocazione di mercato. La domanda di fondo è allora questa: se per riciclare questi prodotti debbo consumare energia primaria in quantità maggiore di quella che gli stessi materiali produrrebbero negli impianti di termovalorizzazione è ancora conveniente riciclare? L’energia primaria è ottenuta mediante fonti prevalentemente non rinnovabili e quindi si ha sia un impoverimento energetico che un maggiore inquinamento dovuto all’emissione di gas serra in atmosfera.

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3.4.15. Emissione della CO2 Un bilancio sull’emissione di CO2 mediante termovalorizzazione con forni a griglia porta ai seguenti risultati (fonte ASM di Brescia): · contributo netto di CO2 per conferimento di RSU a discarica: 690 kg/tRSU · contributo netto di CO2 per conferimento a termovalorizzatore -550 kg/tRSU Pertanto per ogni tonnellata di RSU conferita al termovalorizzatore si ha una differenza di 1240 kg di CO2 scaricata in atmosfera. Se confrontiamo questo dato con la maggiore produzione di CO2 per la maggiore quantità di energia necessaria al riciclo si intuisce come tutta l’attuale legislazione debba essere rivista. Gli accordi di Kyoto impongono agli stati europei una riduzione non indifferente della produzione di CO2 e per l’Italia si dovrebbe avere una riduzione del 6.5% rispetto al 1990. Se non si rivede in senso anche energetico la legislazione italiana ed europea questo obiettivo diviene difficile da realizzare. Un calcolo effettuato dalla ASM di Brescia mostra come con 40 impianti aventi la potenziali equivalente del termovalorizzatore di Brescia (240.000 t/anno di CDR) si potrebbe avere una riduzione di 20.000 di tonnellate di CO2 entro 2012, rispettando pienamente gli impegni di Kyoto.

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Impianto di cogenerazione, teleriscaldamento e telerefrigerazione alimentato a biomasse legnose vergini ANTONIO MATUCCI, MARCO FRITTELLI CRIT SRL – Sesto Fiorentino (FI)

RIASSUNTO L’impianto a biomasse oggetto dell’intervento progettato, da realizzare nel Comune di Calenzano (FI), prevede la combustione di biomassa cippata di legno vergine su un forno a griglia mobile per:  produzione di energia elettrica (circa 800 kWe) tramite un ciclo organico ORC che viene alimentato da un circuito ad olio diatermico a 310 °C;  produzione di acqua calda fino ad una temperatura massima di 105°C per teleriscaldamento urbano ad uso civile / terziario / edilizia pubblica (circa 3,5 MWtermici) ottenuta dal recupero termico del calore di condensazione del ciclo ORC e dal recupero termico sull’economizzatore fumi. L’acqua della rete di teleriscaldamento, è distribuita alle sottostazioni di scambio, costituite da scambiatori di calore a piastre, per il trasferimento del calore dalla rete all’impianto di riscaldamento interno all’utenza. In periodo estivo la stessa rete alimenta un impianto decentralizzato per la produzione di acqua refrigerata con l’impiego di un gruppo frigorifero ad assorbimento. La relazione illustra gli aspetti di maggiore criticità dovuti sia all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto, sia alle conseguenti scelte tecniche effettuate. 1. INTRODUZIONE Gli impianti di cogenerazione a biomassa sono oggi ritenuti una valida opzione nell’utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica anche da parte delle associazioni ambientaliste. Ciò nonostante tale tipologia di impianto incontra ancora enormi difficoltà nell’accettazione da parte dei cittadini, ma anche degli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni. La mancanza di formazione e sensibilizzazione, la scarsa conoscenza delle opzioni tecniche, la costruzione di impianti a biomassa di grosse dimensioni finalizzati alla sola produzione elettrica, sono certamente alla base di tale difficoltà.

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La progettazione di un impianto a biomasse, anche se finalizzato alla cogenerazione, ovvero all’utilizzazione della biomassa non solo per la produzione di energia elettrica ma per lo sfruttamento anche dei cascami di calore, risente necessariamente di questa situazione e pertanto deve orientarsi verso soluzioni che assicurino una tutela ambientale maggiore di quella richiesta dalle vigenti normative. Oltre a ciò risulta anche indispensabile una attività di comunicazione e trasparenza verso gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni per poter arrivare all’accettazione di un simile impianto sul territorio. Questo necessariamente porta ad un incremento dei costi di realizzazione e può incidere nella fattibilità economica dell’intervento. A differenza dei grandi impianti finalizzati alla sola produzione di energia elettrica, dove viene massimizzato il rendimento elettrico e la redditività economica (ma non il rendimento termoelettrico globale), se si escludono i pochi impianti che si inseriscono in cicli industriali, nel momento in cui si parla di cogenerazione a biomassa occorre necessariamente pensare a reti di teleriscaldamento. Ciò obbliga ad una localizzazione degli impianti in prossimità di centri abitati, fattore che incide in maniera ancora più forte nella loro accettabilità. In tale ambito si inserisce appunto il progetto presentato. 2. L’UTILIZZO DELLA BIOMASSA Il territorio delle Province di Firenze e Prato ha un patrimonio boschivo notevole, talvolta oggetto di abusi, degrado e incuria. La presenza di significativi quantitativi di biomassa sul nostro territorio offre una opportunità non solo energetica ma anche di razionalizzazione delle risorse e di occupazione. Nella produzione energetica dalle biomasse non è corretto parlare solo di impianto: l’impianto è infatti il risultato del lavoro di un “sistema” o meglio di una intera “filiera produttiva” che utilizza scarti e materiali naturali di scarso valore offrendo una opportunità per il territorio. Il modello di “sistema” che si intende attuare a Calenzano, intende sfruttare pienamente le opportunità date dall’impiego della materia prima energetica di natura vegetale, in questo caso cippato di legno vergine, in termini di vantaggi ambientali e occupazionali. Gli aspetti positivi che derivano dal sistema suddetto sono pertanto i seguenti:  lo smaltimento del materiale legnoso di scarto delle aziende agricole può essere rivalutato dalla filiera energetica delle biomasse;  la valorizzazione dei materiali boschivi facilita la preservazione e la tutela dei boschi (maggior sicurezza anche ai fini di incendio), nonché agevola il turismo ambientale che può usufruire di ambienti naturali più accessibili;  la filiera delle biomasse apporta occupazione nei territori ad alto rischio di spopolamento come le comunità montane;  è possibile intervenire sul territorio con corrette opere di riforestazione: queste permettono di recuperare terreni altrimenti abbandonati per destinarli alla produzione di biomasse. Anche le coltivazioni dedicate esclusivamente a produrre biomasse da

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destinare alla produzione elettrica non fanno eccezione alla naturale caratteristica di filtro delle piante e creano nuove opportunità di lavoro. Esistono già esperienze positive in tal senso: Tirano e Dobbiaco sono sistemi funzionanti ed esemplificativi in Italia, ma molti e più numerosi interventi realizzati in Europa indicano chiaramente l’interesse e l’importanza dell’utilizzo energetico della biomassa. La produzione di energia elettrica dalla combustione delle biomasse, se abbinata ad impianti di teleriscaldamento urbano, potrebbe dunque diventare una ottima opportunità di sfruttamento di una fonte di energia rinnovabile, se gestita in modo razionale e sostenibile. 3. CRITERI DI DIMENSIONAMENTO DELL’IMPIANTO In considerazione della volontà del committente di realizzare un impianto centralizzato per il teleriscaldamento urbano è stato necessario pensare ad una adeguata localizzazione in prossimità del centro abitato. Questo, come già indicato, porta ad adottare ulteriori attenzioni progettuali nelle scelte tecniche al fine di rispettare i criteri base di accettabilità:  dimensionamento sulla base della possibilità di pieno sfruttamento del combustibile biomassa, ovvero sulle richieste locali di energia termica ed eventualmente frigorifera;  dimensionamento sulla disponibilità locale di biomassa;  minimo impatto sull’ambiente con particolare riferimento alle emissioni in atmosfera;  minimo impatto sulla viabilità locale;  impiego di tecnologie provate ed affidabili;  monitoraggio e controllo delle prestazioni ambientali a garanzia della corretta gestione dell’impianto. Quanto sopra concorre a determinare la scelta della potenzialità dell’impianto, che comunque deve consentire di avere al tempo stesso una fattibilità economica tale da garantire un ritorno economico in tempi sufficientemente contenuti. Primo passo della progettazione è stata dunque l’individuazione delle esigenze di riscaldamento nell’area di influenza dell’impianto. Ciò ha richiesto un’analisi preliminare dei fabbisogni energetici degli edifici esistenti e di futura realizzazione sulla base dei piani urbanistici e strutturali. In considerazione dei fattori di contemporaneità dei carichi termici, sono state poi individuate anche tipologie diverse di utilizzo presenti o di futura realizzazione quali piscine, alberghi, scuole, abitazioni, impianti sportivi, terziario. Di fatto comunque la tempistica di realizzazione dei futuri interventi di edificazione costituisce una incognita che potrebbe avere una certa incidenza sul ritorno economico dell’intervento. Sulla base dei fabbisogni energetici individuati è stata quindi verificata l’effettiva disponibilità di approvvigionamento della biomassa. Al tempo stesso è stato definito che l'approvvigionamento della biomassa combustile dovesse avvenire esclusivamente entro un raggio di 50 km dalla centrale, con l’intento di non gravare sulla viabilità regionale e non necessitare di lunghi spostamenti di automezzi per il trasporto del materiale

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organico. L’approvvigionamento e il trasporto del materiale per la combustione è un altro aspetto ambientale da non sottovalutare, assieme agli eventuali disagi creati alla viabilità locale. Le emissioni derivanti dal trasporto sono funzione della tipologia di strada da percorrere, velocità di percorrenza ma soprattutto della distanza da percorrere. Tabella I – emissioni da camion di 32-40 t alla velocità media di 80 km/h [1] [ ]

Inquinante CO2 (anidride carbonica) CO (ossido di carbonio) NOx (ossidi di azoto) VOC (composti organici volatili) PM (particolato)

Grammi/veicolo al km 1.672,48 5,15 28,384 2,282 0,400

Risulta evidente come all’aumentare del fabbisogno di biomassa dell’impianto sia necessario ampliare sempre più il bacino di intervento, sia per trovare la biomassa necessaria, sia per “calmierare” il prezzo della biomassa resa all’impianto. Questo porta necessariamente ad un incremento dei percorsi dei veicoli interessati al trasporto e quindi ad un incermento delle emissioni. L’impianto in oggetto è stato quindi tarato su un fabbisogno minimo di biomassa che rappresenta circa il 20% della disponibilità interno di un bacino di circa 50 km di raggio. In tali ipotesi gli automezzi che arrivano giornalmente all’impianto dovrebbero risultare dell’ordine delle 12 – 15 unità, che potranno ridursi in funzione della portata dei camion impiegati (in ogni caso il numero di mezzi interessati non risulta significativo ai fini del traffico locale). In considerazione di tutti gli aspetti precedentemente indicati, ma anche della situazione derivante dal recente riordino del settore dell’energia indotto dalla approvazione della Legge 23 Agosto 2004, n. 239, sono state quindi valutate soluzioni impiantistiche che rimanessero nel campo della microgenerazione e che quindi fossero in grado di generare una potenza elettrica non superiore ad 1 MW con una potenza termica immessa inferiore a 6 MW. Impianti di questa taglia offrono i seguenti vantaggi:  regime di norme autorizzative semplificate per l’istallazione;  possibilità di accedere al regime di scambio dei certificati verdi. Per contro gli svantaggi che presentano si possono riassumere in:  ridotta flessibilità di utilizzo a carichi parziali;  limitato numero di soluzioni impiantistiche possibili sulla base di un’analisi costi – benefici;  necessità di un grado di automazione elevato (con la supervisione di addetti per le operazioni di carico e scarico di biomassa, reagenti, scorie e per la manutenzione);  costi di realizzazione e di gestione più elevati se rapportati al kW installato rispetto ad impianti di grandi dimensioni.

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4. TIPOLOGIA E QUANTITATIVI DI BIOMASSA PER L’IMPIANTO IN OGGETTO Il progetto sviluppato prevede l’utilizzo di cippato prodotto da un mix di tipologie di specie arboree e vegetali di diversa natura; in ogni caso trattasi esclusivamente di biomasse combustibili vergini quali:  materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;  materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate;  materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura;  materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine. Le principali tipologie di legname previsto sono le seguenti:  Tagli forestali, prevalentemente conifere (Pino, Abete), verrà utilizzato in larga misura legname non pregiato;  Tagli sui corsi d'acqua, vegetazione idrofila (Pioppo bianco, Pioppo Nero, Salix sp., etc);  Scarti agricoli, quasi esclusivamente ramaglie di ulivo e in minima parte potature vite;  Potature verde pubblico e privato, composizione varia (Conifere, Tigli, Bagolari, Lecci, etc). Tabella II –biomassa prevista in alimentazione all’impianto Alimentazione impianto Fabbisogno biomassa annua 9.000/12.000 t/anno Fabbisogno biomassa giornaliero 35-40 t/gg Funzionamento 24 h/gg Periodo di fermo annuo 30 gg circa % media di umidità legname 30% Tipologia biomasse: da potature di verde urbano 2.000-2.500 t/anno da gestione forestale 5.000-8.000 t/anno da manutenzione corsi d'acqua 1.000 t/anno da manutenzione verde privato 500 t/anno da scarti agricoli (potature ulivo) 2.000 t/anno

Per quanto sopra esposto, nelle condizioni di progetto, il materiale sarà così caratterizzato:

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Tabella III – caratteristich emedie della biomassa in alimentazione all’impianto Umidità relativa di progetto P.C.I. medio di progetto Peso specifico medio

% kJ/kg kg/m3

30 12.866 300

Come noto la biomassa ha comunque caratteristiche piuttosto variabili, accentuate dalle diverse tipologie di legname che perverranno stagionalmente all’impianto: a tale scopo esso è stato progettato per avere una adeguata flessibilità di impiego. Tabella IV –variabilità prevista per la biomassa in alimentazione all’impianto P.C.I. Portata sulla griglia

kJ/kg kg/h

min 9.200 2.200

design 12.866 1.574

max 15.000 1.350

5. SCELTA DELLE ALTERNATIVE Per la conversione di energia termica in energia elettrica sono possibili tre soluzioni tecnologiche, che differiscono sostanzialmente per tipologia di fluido termovettore e taglia impiantistica minima tale da rendere economicamente recuperabile l’investimento richiesto. L’analisi è iniziata dalla possibilità di impiego di un ciclo a vapore di tipo tradizionale. Quella a vapore è il tipo di tecnologia più consolidata nell’ambito della conversione di energia termica in energia elettrica, anche per la potenzialità elettrica di interesse (inferiore ad 1 MW elettrico). Le configurazioni impiantistiche in cui può essere utilizzata una turbina a vapore in cogenerazione su questa taglia di impianto sono fondamentalmente due: è possibile la soluzione con impianto a contropressione in cogenerazione (in cui l’utenza termica è servita dal fluido termovettore che circola in un condensatore pressurizzato in cui condensa il vapore allo scarico della turbina) o con spillamento controllato dove parte del vapore che fluisce nella turbina che viene estratto e fatto condensare in un apposito scambiatore. In particolare, per la specifica applicazione dove si intendeva appunto gestire anche una rete di teleriscaldamento urbano, è stata valutata la possibilità di impiego di una turbina a doppia girante e spillamento regolato tra corpo di alta pressione e corpo di bassa pressione. Disponendo di circa 6 MW termici in ingresso come biomassa la producibilità di vapore si aggira attorno ai 7000 kg/h che consentono di avere una produzione elettrica di circa 1 MW. Per consentire un efficiente recupero termico si deve provedere poi uno spillamento di vapore tra i due corpi della turbina per l’alimentazione dell’impianto di teleriscaldamento. Per le esigenze del progetto si è ipotizzato uno spillamento di 3 t/h: la produzione elettrica netta con lo spillamento ipotizzato risuterà di circa 800 kWe. Il rendimento medio di potenza elettrica si attesta su valori del 20 % per valori del rendimento globale (termico + elettrico) dell’ordine dell’ 80 – 85 %.

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Tabella V – comportamento di una turbina vapore a doppio stadio con e senza spillamento per il teleriscaldamento Ipotesi condizioni di utilizzo Vapore vivo Pressione abs. T1 Temperatura T1 Pressione abs T2 Temperatura T2 Vapore scarico Pressione abs. T1 Temperatura T1 Pressione abs. T2 Temperatura T2 Potenza, Portata Portata vapore T1 Portata vapore T2 Potenza ai morsetti

1° stadio

2° stadio

[barabs] [°C] [barabs] [°C]

40,00 400,00 4,30 204,00

40,00 400,00 4,30 204,00

[barabs] [°C] [barabs] [°C]

4,50 204,00 0,15 54,00

4,50 204,00 0,15 54,00

[kg/h] [kg/h] [kW]

6500,0 6500,0 1192

6500,0 3500,0 854

Questa soluzione implica la produzione di vapore surriscaldato almeno a 350°C e 35 bar, anche se sarebbe da prendere in considerazione ragionevolmente l’ipotesi di arrivare a 400°C e 40 bar. Ciò comporta la realizzazione di una caldaia di livello elevato come caratteristiche realizzative, nonché di un impianto di trattamento dell’acqua di alimento relativamente complesso in rapporto alla potenzialità dell’impianto di produzione di energia elettrica che va a servire. In alternativa, vista la potenzialità limite fissata, può risultare interessante per la generazione di energia elettrica impiegare un motore a vapore con i seguenti vantaggi:  si può utilizzare un generatore di vapore a pressione piuttosto ridotta e quindi più vicina a quella dei generatori usati normalmente per la produzione di vapore tecnologico;  la temperatura di surriscaldamento del vapore può essere inferiore a quella richiesta da un generatore che alimenti una turbina, pur prestando attenzione alle perdite energetiche per scambio termico;  la distribuzione per una macchina a due tempi risulta semplificata con l’immissione del vapore attraverso valvole comandate e lo scarico attraverso luci affacciate direttamente al collettore di alimento della rete di vapore; E’ però possibile il trascinamento dell’olio di lubrificazione del pistone da parte del vapore con diversi inconvenienti in rete e negli utilizzatori: anche se il problema può essere risolto con l’adozione di un separatore rimangono i problemi della gestione e manutenzione di una macchina alternativa. A questo si aggiungano la scarsa diffusione di questa tecnologia, i bassi rendimenti e la difficoltà di utilizzare questa tipologia di impianto per la produzione anche di energia termica al teleriscaldamento. La terza possibilità analizzata è stata quella costituita dall’impiego del ciclo Rankine con fluido organico. Questo è simile in tutto e per tutto ad un ciclo a vapore tradizionale, eccetto per il fluido operativo costituito da un fluido organico ad alto peso molecolare. Per sua natura questo ciclo è destinato al teleriscaldamento: per chiudere il

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ciclo esiste l’esigenza di condensare il vapore del fluido organico e per far questo è necessaria acqua alla temperatura di 70°C circa. Questo legame stretto fra produzione elettrica e di calore può costituire in alcuni casi un problema: in assenza di richiesta di calore per avere la produzione elettrica occorre dissipare energia oppure ridurre l’energia introdotta diminuendo ovviamente anche la produzione elettrica. Il suo utilizzo differisce quindi in maniera sostanziale rispetto a quello di un impianto con turbina vapore, ma laddove esista l’esigenza di calore durante buona parte dell’anno un impianto a fluido organico può certamente costituire una valida alternativa. Questa tipologia di impianti ha avuto in tempi recenti una larga diffusione in tutta Europa proprio in abbinamento a reti di teleriscaldamento, raggiungendo elevati standard qualitativi e di affidabilità. I vantaggi che risiedono nell’adozione di un fluido organico sono essenzialmente costituiti da:  assenza di necessità di operatore caldaista patentato ed operatività dell’impianto totalmente automatizzata;  elevata efficienza della turbina con ridotto stress per le parti meccaniche dovuto alla ridotta velocità periferica;  assenza di riduttore per il generatore elettrico;  assenza di erosione della palettatura con maggiore durata ed affidabilità dell’impianto;  procedure di avvio/arresto semplificate; Applicazioni caratteristiche sono non solo quelle di recupero calore da impianti di combustione di biomassa ma anche quelle nel campo del recupero di calore da fonti a bassa temperatura. La taglia di questi impianti relativamente alla produzione elettrica oscilal in un range di potenza compreso da pochi kW a 3 MW. Tabella VI – comportamento di un ciclo ORC per teleriscaldamento

A fronte dei vantaggi precedentemente indicati esistono anche alcuni svantaggi, oltre alla già citata esigenza di dissipare il calore di condensazione del ciclo:  il trasferimento di calore tramite uno scambiatore ad olio diatermico causa l’assorbimento di una parte del calore scambiato tra i fumi di combustione ed il generatore di vapore dell’ORC;

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 la presenza del circuito ad olio diatermico comporta un costo addizionale per quanto riguarda il consumo di olio e la sua sostituzione; Confrontando tali alternative, ed analizzandole anche sotto il punto di vista della fattibilità economica, è stata scelta la soluzione con ciclo ORC che consentiva una gestione e manutenzione più semplice e sicura dell’impianto. Dovendo realizzare un nuovo impianto, non inserito in cicli tecnologici civili e/o industriali dove la preparazione del personale risulta già consolidata, si è ritenuta determinante la maggior semplicità di utilizzo dei circuiti ad olio diatermico e dei sistemi di produzione di energia elettrica con circuiti chiusi. 6. CARATTERISTICHE ESSENZIALI DELL’IMPIANTO La combustione delle biomasse legnose sarà realizzata in un forno a griglia mobile dove le condizioni operative per il controllo della combustione risultano le seguenti:  alimentazione automatica del combustibile;  controllo automatico della combustione.tramitte controllo della temperatura e del tenore di ossigeno con regolazione automatica del rapporto aria combustibile attraverso il controllo dell’alimentazione, del movimento della griglia e della portata di aria di combustione;  ricircolo fumi. Il recupero termico del contenuto entalpico dei fumi di combustione avverrà tramite una caldaia ad olio diatermico. L’olio diatermico, riscaldato alla temperatura di circa 310°C, viene inviato all’evaporatore dell’impianto di produzione di energia elettrica che utilizza, in ciclo chiuso, un fluido organico (ORC Organic Rankine Cycle). L’impianto di produzione di energia elettrica è in tal caso costituito da:  evaporatore del fluido organico, tramite olio diatermico;  turbina a fluido organico, accoppiata a generatore sincrono, con la quale viene effettuata la produzione di energia elettrica;  economizzatore per pre-riscaldo fluido organico;  scambiatore di calore (condensatore) dove il calore viene recuperato per l’alimentazione della rete di teleriscaldamento in acqua calda. A valle della caldaia a recupero e dell’economizzature, un sistema di trattamento fumi costituito da cicloni e filtri a manica consentirà ai fumi di scarico di rispettare ampiamente i limiti di emissione previsti per questi impianti. Nelle sue linee essenziali, gli impianti tecnologici principali della centrale sono composti dagli elementi riportati nella figura 1.

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Fig. 1: schema dell’impianto

Lo schema semplificato riportato in figura 2 individua il processo tecnologico precedentemente illustrato.

Fig. 2: schema del processo

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Sulla base delle caratteristiche della biomassa in ingresso si stima una capacità operativa media della griglia di 1.574 kg/h. Considerando poi il ciclo di lavoro su cui si svilupperà l’attività dell’impianto (24h/g per 245 gg/anno) è possibile determinare la capacità produttiva attesa. Tabella VII – dati generali sulla capacità produttiva dell’impianto

Per il trattamento fumi, oltre al necessario ciclone per la separazione delle polveri pesanti, è stata prevista una filtrazione a tessuto. Il filtro a tessuto è un depolveratore automatico ad emissione costante: per questo a livello progettuale è stato ritenuto preferibile rispetto ad un elettrofiltro. Questo peraltro è anche il motivo di fondo della valorizzazione della filtrazione su tessuto che si è verificata negli ultimi anni in concomitanza col progressivo abbassamento dei limiti di concentrazione degli inquinanti fissati dalle norme. Inoltre il filtro a tessuto, essendo utilizzabile sia come depolveratore sia come reattore chimico, potrebbe essere in futuro utilizzato per abbassare ulteriormente i livelli inquinanti qualora le normative lo richiedessero. I filtri a tessuto basano il loro funzionamento sul principio elementare in base a cui un fluido convettore di polveri che attraversa un tessuto vi deposita le polveri con granulometria maggiore delle maglie del mezzo di filtrazione e pertanto è in grado di trattenute le polveri più fini generatesi nel processo di combustione. Feltri e tessuti sono in grado di trattenere particelle di dimensioni anche notevolmente inferiori rispetto a quelle dei loro pori, infatti, dopo le prime ore di funzionamento di un tessuto nuovo, la captazione delle particelle non è dovuta solo al tessuto quanto anche ai ponti di polvere che si formano nello spessore del tessuto, tra una fibra e l'altra (condizionamento del tessuto). La captazione avviene per tre meccanismi diversi, ciascuno prevalente in un determinato intervallo dimensionale:  le particelle di dimensione superiore a circa 1m non sono in grado di seguire, a causa della loro massa, le accelerazioni del fluido che le trasporta attraverso gli ostacoli del

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mezzo filtrante e rimangono da questo catturate per impatto inerziale;  differentemente, la massa esigua delle particelle di dimensione compresa tra 1 e 0.2 µ rende insignificante tale effetto. Queste particelle tendono a seguire il percorso del fluido e rimangono catturate soltanto quando sbattono nell'ostruzione o vi giungono a distanza ravvicinatissima (intercettazione diretta);  le particelle di dimensioni minori di 0.2 m seguono anch'esse la corrente del fluido, ma vi si muovono disordinatamente, con reciproche collisioni, per fenomeni diffusionali (moto browniano). Questi movimenti determinano occasioni di contatto tra particelle e mezzo filtrante costituendo così il meccanismo predominante della ritenzione (cattura per diffusione). Il rendimento di captazione risulta così elevato anche per particelle aventi dimensioni inferiori ad 1 micron. E’ stato così previsto un filtro a moduli multipli per consentire il lavaggio delle maniche sia in modalità on-line che off-line, e la sua sicurezza nei periodi in cui l’impianto non risulta presidiato (possibilità di escludere automaticamente una cella). Tabella VIII –caratteristiche del filtro a maniche Tipo Portata fumi Temperatura in esercizio continuo Temperatura massima in esercizio Numero di moduli Superficie minima filtrante Perdite di carico massime Materiale maniche

Filtro maniche 15000 130 180 3 420 180 ryton

Nm3/h °C °C m2 mmca

7. IL REGIME AUTORIZZATIVO La normativa regionale Toscana (L.R. 39/2005) prevede che venga rilasciata una Autorizzazione Unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di Energia, demandando alle Province competenti la redazione della fase istruttoria che deve prevedere una Conferenza dei Servizi entro 90 gg dalla consgena della documentazione allo Sportello Unico provinciale. Questo da una parte è volto a semplificare l’iter, nonché a fornire al richiedente la certezza di tempi autorizzativi definiti, dall’altra rende più complessa l’elaborazione della documentazione e quindi più lungo il periodo che intercorre fra la fattibilità tecnico-economica e la fase autorizzativa poiché si rende necessario effettuare scelte tecniche anche di dettaglio che altrimenti sarebbero state rimandate alla fase di progettazione esecutiva. Per il raggiungimento dell’autorizzazione unica è stato necessario quasi un anno di lavoro e la realizzazione di una progettazione particolarmente dettagliata. Particolare attenzione è stata quindi posta nella progettazione delle parti che potevano avere influenza sulle emissioni in atmosfera e sulla loro ricaduta al suolo. Non a caso era già stata effettuata nella prima fase del progetto una precisa scelta sul sistema di filtrazione con filtri a tessuto, scelta apprzzata da parte degli enti preposti alle autoriz-

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zazioni. Nelle tabelle che seguono si riportano i limiti di emissione ed i sistemi di controllo e gestione richiesti per un impianto di potenza termica immessa inferiore a 6 MW, quale quello in oggetto. Tabella IX – limiti di emissione

Tabella X – condizioni di esercizio

Gli apparati di controllo per il monitoraggio in continuo delle emissioni non sono richiesti a livello di istallazioni impiantistiche di potenzialità inferiori a 6 MW. Nonostante che l’impianto fosse stato progettato per rispettare pienamente i limiti di emissione previsti da normativa, e nonostante la scarsa rilevanza della ricadute al suolo individuata attravreso lo studio di impatto ambientale, si è ritenuto opportuno prevedere anche un sistema di controllo in continuo delle emissioni in atmosfera al fine di assicurare la corretta gestione ambientale dell’impianto, la visibilità delle sue performance, ed un ulteriore feedback sulla gestione tecnica dell’impianto. Si è pertanto previsto il monitoraggio al camino dei principali inquinanti quali NOx, SO2, CO, oltre al monitoraggio di ossigeno, temperatura e portata dei fumi. Il sistema di analisi previsto è composto da:  sistemi di prelievo del gas campione con linea flessibile riscaldata;  armadio di analisi completo di aspirazione e condizionamento del gas campione;  analizzatore a microprocessore certificato TÜV composto da: modulo (NDIR), per la misura di CO, NO, SO2 modulo (Paramagnetico), per la misura di O2,

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unità centrale di controllo collegata tramite bus ai moduli di analisi  convertitore NO2/NO  misura portata fumi  misura temperatura fumi  PC per supervisione e gestione dati 8. IMPATTO AMBIENTALE Trattandosi di un impianto al di sotto dei 6MW termici e sotto 1 MW elettrico non è prevista l’obbligatorietà della V.I.A. Ciononostante al fine di rendere il più chiaro e trasparente possibile il comportamento di questo impianto è stata effettuata una valutazione di impatto ambientale delle emissioni in atmosfera, che rappresenta per questa tipologia di impianto l’impatto più significativo, se non l’unico, sull’ambiente. Il modello prescelto per la valutazione della diffusione degli inquinanti è un modello gaussiano stazionario che permette di gestire reti di rilevamento particolarmente complesse (reticoli quadrati, rettangoli, polari o composizioni di diverse tipologie di reticoli). Il codice diffusionale è stato utilizzato nella duplice versione di Short Term e di Long Term per verificare sia gli impatti sul breve periodo (medie orarie) sia sul lungo periodo (annuali e stagionali). La modellazione di Short-Term utilizzata é finalizzata a simulare condizioni particolarmente sfavorevoli (l’analisi eseguita viene anche detta di carattere “sanitario”): in questo modo si ottengono infatti le massime concentrazioni previste nelle zone più sensibili dal punto di vista ambientale. La valutazione di “Long-Term” è effettuata relativamente allo studio delle concentrazioni al suolo mediamente raggiunte nel periodo di esame di un anno e permette di verificare quali siano le aree sottoposte, nel lungo periodo, ad un carico ambientale mediamente più elevato rispetto alle altre. Gli intervalli di tempo utilizzati per la mediazione dei valori di concentrazione sono gli stessi intervalli di riferimento a cui sono riferiti i valori limite per la qualità dell’aria dalla normativa vigente. Sono state quindi prese in esame le seguenti tipologie di inquinante:  ossidi di azoto (NOx)  monossido di carbonio (CO)  polveri totali (PM)  ossidi di zolfo (SOx) I recettori sono stati considerati tutti ad un altezza dal suolo pari a 2 metri su una griglia di ricettori differenziata con centro nel camino (coordinate x,y (0,0)) La griglia risulta più fitta in prossimità del camino (dimensione della maglia elementare di griglia di 20 metri per 20 metri) per poi allargarsi agli estremi dell’area di valutazione di lato pari a 4 km (maglia elementare di 100 metri per 100 metri. Poiché uno degli obiettivi del progetto era quello di massimizzare la dispersione degli inquinanti sul territorio, il progetto si è concentrato sulla definizione della configurazione ottimale del camino, anche utilizzando i risultati della stessa analisi diffusionale

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che è stata quindi ripetuta più volte con diverse caratteristiche del punto di emissione. Una volta definiti i parametri ottimali del camino in relazione alla zona dove è ubicato l’intervento (altezza pari a 22 m con velocità dei fumi allo sbocco compresa fra i 15 e i 20 m/s ed una temperatura di uscita di 160°C), è stata realizzata una analisi diffusionale completa per tutte le tipologie di inquinanti indicati. Nelle figure seguenti si riportano i risultati grafici limitatamente alle concentrazioni derivanti dall’inquinante NO2.

Fig.4: short term – inquinante NO2

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Fig.5: long term inquinante NO2

L’impiego di un camino di altezza significativa è stato valutato positivamente, anche se rimane ovviamente un impatto legato alla sua visibilità, impatto che comunque è stato ritenuto meno importante rispetto alla sua capacità di dispersione degli inquinanti. Occorre considerare che i risultati sono stati ottenuti considerando ipotesi estremamente cautelative, quali ad esempio una emissione continua e pari ai valori limite definiti per normativa e riportati alla precedente tabella IX. Nello svolgimento dello studio sono state adottate anche altre ipotesi conservative per l’effettuazione delle valutazioni: ciononostante i risultati ottenuti e riportati in tabella XI per ognuna delle specie simulate, presentano dei valori massimi di concentrazione per la ricaduta al suolo in assoluto largamente inferiori ai limiti fissati dalla normativa vigente. Basandosi anche sui dati monitorati da impianti esistenti e da stime di progetto, la situazione attesa per le emissioni di NOx e SO2 risulta notevolmente migliore rispetto a quanto indicato nei valori limite, stessa situazione per le polveri. Da tali considerazioni risulta maggiormente evidente come l’impatto ambientale dell’impianto proposto risulti trascurabile, semprechè siano adottati adeguati dispositivi di trattamento fumi e camini correttamente dimensionati. Di seguito si riportano quindi, in forma tabellare, i risultati completi dell’analisi raffrontati con i valori previsti dalla normativa allora vigente. Nella colonna A sono

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indicati i valori massimi registrati in prossimità del nucleo abitato mentre in colonna B i massimi assoluti che si possono verificare in prossimità dell’impianto. Tabella XI – valori di riferimento e risultati della simulazione

Chiaramente il tipo di combustibile caratterizza la tipologia di inquinanti emessi: a fronte di una consistente riduzione di inquinanti quali la CO2 (vista come bilancio globale) si ha una maggiore immissione di inquinanti caratteristici della combustione di combustibili solidi quali gli NOx. Gli ossidi di azoto vengono generati in tutti i processi di combustione perché questi vengono fatti sempre avvenire in eccesso d’aria: quindi, date le temperature di processo si realizzano reazioni ossidative dell’azoto. L’eccesso d’aria è maggiore quando vengono usati combustibili solidi, o liquidi ad alto peso molecolare: pertanto appare logico che la minor produzione di azoto si realizzi quando come combustibile viene utilizzato il metano che, essendo gassoso, richiede il minor eccesso d’aria. Il maggiore responsabile dell'inquinamento antropico da ossidi di azoto rimane comunque il traffico autoveicolare che rappresenta quasi il 50% della produzione globale. L’analisi diffusionale non prende poi in considerazione l’effetto della diminuzione delle concentrazioni in atmosfera delle specie chimiche analizzate derivanti dagli impianti termici attualmente presenti sul territorio e di fatto sostituiti dal nuovo impianto: tale emisiioni sono poi di solito caratterizzate da punti di emissione piuttosto bassi la cui ricaduta si fa sentire proprio nell’intorno dell’impianto stesso, ovvero nel nucleo abitato. Volendo andare anche a considerare gli inquinanti emessi in termini quantitativi assoluti risulterà necessario effettuare un bilancio ambientale più esteso che prenda in considerazione anche tutti gli altri effetti correlati alla realizzazione di un simile impianto. Infatti se da un lato l’impianto presenta necessariamente delle emissioni concentrate in un punto (che comunque vengono disperse in maniera efficace in una area estesa come dimostrato dalla valutazione di impatto realizzata), dall’altro abbiamo una serie di bilanci positvi in termini di emissioni sostituite derivanti da:

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 emissioni sostituite dal mancato funzionamento delle centrali termiche a gas metano e a gasolio presenti sul territorio per la produzione degli stessi quantitativi di calore;  emissioni sostituite dal mancato consumo elettrico di apparecchiature ausiliarie per il funzionamento delle centrali termiche locali (pompa ricircolo caldaia, bruciatore ,..);  emissioni sostituite derivanti dalla produzione degli stessi quantitativi di energia elettrica;  emissioni evitate dalla combustione incontrollata della biomassa legnosa raccolta dalle aziende agricole;  emissioni evitate da incendi indesiderati derivanti da tali sistemi di combustione incontrollata e dalla mancanza di manutenzione del patrimonio boschivo. Sulla base del ciclo di funzionamento previsto (che consente di recuperare dall’impianto 22.344 MWh per la produzione di acqua calda e 4.704.000 kWh/anno di energia elettrica) sarebbe dunque possibile effettuare anche una valutazione quantitativa degli inquinanti sostituiti, basandoci ad esempio sui fattori di emissione specifici indicati dalla Europea Environment Agency, dalla EPA o dagli stessi dati pubblicati da ENEL nell’ambito dei rapporti ambientali annuali. Nella scelta dei fattori emissivi da diversi sistemi di combustione esiste una certa discrezionalità che può portare a delle valutazioni in qualche modo arbitarie. Si ritiene utile invece evidenziare almeno le emissioni sostituite per la produzione dei quantitativi di energia elettrica producibile dall’impianto. Considerando una condizione media impiantistico degli impianti che attualmente producono energia elettrica sul territorio nazionale, sulla base del “rapporto ambientale ENEL” anno 2004 la situazione emissiva che si va a eliminare risulta la seguente. Tabella XII – emissioni equivalenti sostituite per la produzione di energia elettrica Emissioni di inquinanti dal mix di centrali termoelettriche presenti sul territorio nazionale kg/GWh g/kWh kWh/anno kg/anno CO2 690 4.704.000 3.245.760,00 NOx 0,6 4.704.000 2.822,40 CO 166 0,166 4.704.000 780,86 SO2 1 4.704.000 4.704,00 COT 34,2 0,0342 4.704.000 160,88 Polveri 0,04 4.704.000 188,16

Nella prima colonna, in kg/GWh, sono indicati i valori di emissione [2] ricavati da fattori di emissione EPA per una centrale a ciclo combinato alimentata a metano di potenzialità 700 MW ed elevato rendimento elettrico 55% (tali valori non risultavano infatti disponibili dal rapporto citato). A questo carico ambientale sostituito dal funzionamento dell’impianto a biomasse, come già indicato, andrebbe aggiunto anche quello evitato e derivante anche dalle altre emissioni sostituite.

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Rimane certo comunque che le emissioni dall’impianto sono da considerarsi in buona parte come emissioni sostitutive e non aggiuntive rispetto a quelle attuali. 9. RETE DI TELERISCALDAMENTO La rete di teleriscaldamento ritenuta più adatta alle esigenze del bacino di utenza preso in considerazione, è una rete a due tubi interrati, del tipo ramificato, percorsa da acqua calda. Parallelamente alla rete di teleriscaldamento, per tutto il percorso della stessa, verrà posato anche un cavidotto corrugato in PEAD contenente il cavo BUS di segnale per la rete di trasmissione dati fra le sottocentrali ed il sistema di controllo e supervisione. Il primo tratto della rete dalla centrale termica a biomasse fino alla centrale di soccorso e stazione di pompaggio (posta a circa 500 m dalla centrale) sarà del tipo a portata costante e verrà alimentata dalle pompe situate nell’edificio di centrale. In tale tratto non sono presenti utenze da alimentare. Il secondo tratto della rete, dalla sottostazione di pompaggio in poi, è del tipo a portata variabile al fine di ridurre i costi di esercizio e di consentire una maggiore flessibilità di funzionamento: la potenza immessa nella rete potrà quindi essere controllata attraverso la portata ed eventualmente attraverso l’innalzamento della temperatura nel ramo di mandata. Il funzionamento alle condizioni nominali è previsto con acqua di ritorno alla temperatura di 70°C che, dopo aver effettuato il raffreddamento del ciclo ORC, verrà innalzata dal condensatore fino a 90°C (con funzionamento del ciclo ORC a pieno carico). Successivamente l’acqua della rete potrà essere ulteriormente riscaldata tramite l’utilizzo dell’economizzatore fumi fino alla temperatura di 95 °C. Per la tipologia di impianto individuato risulta di fondamentale importanza il recupero termico del calore di condensazione dal ciclo ORC in quanto questo risulta strettamente legato alla produzione elettrica raggiungibile. Di fatto tale aspetto, nonostante la preliminare analisi dei fabbisogni energetici, costituisce la principale incognita sia in ambito progettuale per la definizione della taglia ottimale, sia in ambito di valutazione di fattibilità economica volta a determinare il tempo di ritorno dell’investimento. In questa situazione è necessario pensare ad una rete di tipo aperto, intendendo con questo che saranno possibili ulteriori ampliamenti con l’alimentazione di altre utenze o di sottoreti appositamente realizzate (e in grado di funzionare anche autonomamente). Lo scopo è quello di far sì che il calore prodotto dalla centrale a biomasse sia quello necessario a coprire la base minima delle richieste dell’area servita: questo consentirà di allungare il periodo di esercizio dell’impianto e di ridurre al minimo la necessità di raffreddamento del circuito con sistemi di dissipazione per assicurare la condensazione del ciclo ORC. La stessa rete dovrà poi rimanere in esercizio anche nel periodo estivo per la produzione di acqua calda sanitaria. In questa prospettiva è stato necessario andare ad individuare anche le potenziali richieste di condizionamento estivo da soddisfare tramite l’impiego di gruppi ad assorbimento locali previsti per la produzione decentralizzata di acqua refrigerata. E’ proprio nel periodo estivo che la temperatura della rete potrebbe

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essere ulteriormente innalzata per consentire un miglior funzionamento degli assorbitori. Sebbene come noto il COP dei gruppi ad assorbimento alimentati ad acqua calda risulti modesto, risulta comunque un recupero termico che evita il dover installare gruppi elettrici con i sempre crescenti problemi di disponibilità di potenza elettrica sulla rete nel periodo estivo. In particolare nel progetto è stata individuata un’area di richieste di condizionamento sufficientemente concentrate che hanno portato a prevedere la realizzazione di una unica sottocentrale termo-frigorifera presso questi utilizzi: tale sottocentrale alimenta a sua volta una rete di distribuzione secondaria funzionante sia in periodo invernale per il vettoriamento dell’acqua calda ad uso riscaldamento ambienti, sia in periodo estivo per il trasporto di acqua refrigerata ad uso condizionamento. Questo ha permesso di prevedere l’installazione di un gruppo frigo ad assorbimento per una potenzialità di 1500 kW frigoriferi che potrà utilizzare in periodo estivo una buona parte del calore reso disponibile dal recupero dall’impianto a biomassa. La parte rimanente sarà destinata al riscaldamento dell’acqua calda sanitaria ad uso civile distribuita su tutta la rete. Il dimensionamento del gruppo ad assorbimento è stato effettuato considerando un salto termico all’evaporatore di 20-25°c, questo per consentire il pieno sfruttamento dell’energia termica vettoriata sulla rete principale. 10. CONCLUSIONI L’integrazione di un simile impianto nel tessuto urbano, appare certamente come una soluzione praticabile applicando tecnologie ormai mature ed affidabili ed anzi auspicabile anche sotto il profilo ambientale. Lo studio svolto sulla valutazione degli impatti ambientali, relativamente alla componente atmosfera, dovuti alle emissioni di diverse tipologie di inquinanti da un impianto di trattamento delle biomasse vergini per fini energetici dimostra il limitato impatto di questa tipologia di impianti laddove sia previsto il recupero termico. In termini di qualità dell’aria inoltre si sostituiscono molteplici emissioni puntiformi con scarsa capacità diffusionale (minime altezze degli scarichi), difficilmente controllabili, e localizzate proprio in prossimità delle abitazioni servite che sicuramente impattano localmente in termini di concentrazione di inquinanti. In sostanza il risultato che si ottiene dalla centralizzazione degli impianti termici in aree esterne a quelle del nucleo abitato è quella di alleggerire proprio la pressione esercitata sull’ambiente dalle emissioni dovute alle attuali centrali termiche, singole o condominiali, installate presso le utenze termiche della rete di teleriscaldamento. Anche la fattibilità a suo tempo eseguita ha portato a stimare un tempo di ritorno di circa 6 anni a fronte di un investimento complessivo di circa 8.000.000,00e. (impianti e rete di teleriscaldamento), al netto di una quota di contributo regionale a fondo perduto. Tale tempo di ritorno è però sensibile a molti fattori fra i quali ovviamente il valore dei certificati verdi, aumentato in questi ultimi due anni, ed il costo della biomassa cippata che attualmente si attseta attorno ai 40 e/t e che anch’essa risulta crescente negli ultimi anni.

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BIBLIOGRAFIA [1] [2]

Fonte TRT trasporti e Territorio Emissioni di centrali a ciclo combinato Daniele Fraternali - Olga Oliveti Selmi Novembre 2003 Richmacc Magazine).

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Energia eolica ed idroelettrica in Italia: possibilità di sviluppo degli impianti di piccola taglia FILIPPO BUSATO*, DAVIDE DEL COL**, MARCO NORO* * Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali, Università di Padova – Sede di Vicenza ** Dipartimento di Fisica Tecnica, Università di Padova

RIASSUNTO Gli obiettivi assegnati all’Italia in sede europea quanto allo sviluppo delle rinnovabili comporteranno un incremento al 2010 dell’attuale produzione di energia elettrica verde tra 25 e 30 TWh (su un totale previsto di 340 TWh). Risulta necessario quindi incrementare l’apporto di tutte le fonti rinnovabili, in primis quelle legate direttamente al sole e con più elevata producibilità annua. In tal senso, appaiono interessanti i recenti sviluppi che hanno avuto le due tecnologie forse più conosciute e da più tempo utilizzate, l’eolico e l’idroelettrico, in particolare negli impianti di piccola taglia. Nella presente memoria vengono analizzate queste due tecnologie con particolare riguardo alle applicazioni cosiddette “mini”, cioè con taglie degli impianti dell’ordine dei chilowatt fino a qualche centinaio di chilowatt. Dopo una introduzione sullo stato dell’arte riguardante i sistemi eolici e idroelettrici per la conversione energetica, si vogliono analizzare gli aspetti normativi, dando una descrizione del quadro legislativo entro cui si pone lo sviluppo di impianti di questo tipo. Verrà quindi descritto il cammino che deve percorrere un ipotetico investitore, dal momento dell’ideazione del progetto fino alla sua realizzazione e successiva gestione, anche in termini di costi e barriere. 1. INTRODUZIONE Il Protocollo di Kyoto, elaborato nel 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, introduce degli obblighi quantitativi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti per i Paesi industrializzati. Ciò impegna tra l’altro l’Italia a sviluppare l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, quale strumento per contenere il consumo di combustibili fossili e ridurre le emissioni in atmosfera. Con fonti rinnovabili ci si riferisce comunemente a quei flussi di energia che vengono resi disponibili con lo stesso tasso con cui vengono consumati [1]. L’energia eolica e l’energia idroelettrica costituiscono i sistemi più tradizionali di energie rinnovabili. E per queste due forme si possono fare alcune considerazioni simili, specie con riferimento agli impianti di piccola taglia.

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Lo sfruttamento della forza dell’acqua per produrre energia è stato considerato un mezzo sicuro ed affidabile sin dall’inizio della rivoluzione industriale. Si pensi ai mulini ad acqua utilizzati per macinare i cereali, per muovere segherie o telai, oppure per spremere l’olio. Più recente è la diffusione di sistemi che sfruttano il vento per la produzione di energia. In questi ultimi anni in Europa sono notevolmente aumentati i siti per la produzione di energia elettrica dal vento, nei luoghi dove le condizioni climatiche, orografiche e ambientali permettono il migliore sfruttamento della risorsa vento. Ciò ha contribuito ad affinare le tecnologie ed a ridurre i costi delle attrezzature eoliche: attualmente infatti sono disponibili sul mercato macchine eoliche di tutte le taglie, sicure e tecnologicamente affidabili. Come riportato da APER [2], l’Italia al 31 dicembre 2006 ha raggiunto una potenza eolica installata di oltre 2.100 MW, che rappresenta una posizione di rispetto in Europa sebbene ancora distante dai valori di Paesi come Germania (20,6 GW di potenza installata) e Spagna (11,6 GW). In Figura 1 è riportata la potenza eolica cumulata a fine 2006 nei dieci Paesi con maggiore potenza.

Figura 1 - Potenza eolica cumulata installata nel mondo al 31 dicembre 2006 (Fonte: Global Wind Energy Council).

A partire dall’installazione delle prime centrali, l’eolico in Italia ha subito nel tempo una crescita alterna per ragioni legate prevalentemente alle procedure autorizzative, alle modalità di connessione alla rete elettrica ed alla modifica del sistema di incentivazione. La Figura 2 mostra la potenza eolica installata in Italia negli anni 2001-2006. Le barre riportano sia il valore di potenza installata in ciascun anno sia la potenza cumulata. Nel 2004 si è assistito alla ripresa del settore, con 360 MW installati. Questi dati sono stati confermati e migliorati nel 2005, con l’installazione di ulteriori 450 MW. Per

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quanto riguarda la potenza eolica installata nel corso del 2006, essa ha mostrato una lenta crescita nei primi sei mesi dell’anno riprendendosi poi nei mesi finali.

Figura 2 - Potenza eolica installata in Italia dal 2001 al 2006 (Fonte: ENEA).

Nel complesso, la crescita eolica del 2006 può essere considerata buona, anche se leggermente inferiore alle aspettative, con 417 nuovi MW installati e molte iniziative portate avanti da un’ampia pluralità di soggetti. A livello regionale Puglia e Campania ospitano il 40% della potenza totale ma si sono notati interessanti sviluppi anche in Basilicata e Sicilia. La ripartizione della potenza installata per regione è riportata in Figura 3. Seppur promettente, la diffusione degli impianti eolici in Italia è ben lontana da pareggiare il contributo offerto dai sistemi idroelettrici. La situazione si può riassumere dicendo che la potenza eolica installata in Italia è di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella relativa agli impianti idroelettrici. L’idroelettrico costituisce la più importante e tradizionale fonte di energia rinnovabile in Europa e ad oggi copre l’11% della produzione complessiva di energia elettrica. In Italia l’idroelettrico costituisce la più importante risorsa energetica interna, rappresentando il 24% della potenza efficiente lorda installata e fornendo il 14% della produzione elettrica lorda complessiva. La produzione idroelettrica, che si concentra nelle regioni settentrionali e in particolare in Lombardia, Piemonte e Trentino, costituisce inoltre il maggior contributo nazionale (75%) alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

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Figura 3 - Potenza eolica cumulata installata nelle singole regioni italiane al 31/12/06.

Dall’analisi dei dati del 2005 relativi agli impianti idroelettrici ([3]) emerge la predominanza del numero di impianti di piccola taglia, caratterizzati da una potenza di impianto inferiore a 1 MW. Questo tipo di impianti vengono in genere classificati come sistemi mini- e micro-idroelettrici. In termini di numero di installazioni, questi impianti costituiscono il 56% del totale sebbene il loro contributo sul totale della potenza cumulata sia solo del 2%. In termini di produzione di energia essi contribuiscono per il 3,8%, come riportato in Tabella 1. Secondo la terminologia adottata in sede internazionale, vengono denominati microimpianti idroelettrici le centrali di potenza inferiore a 100 kW. Tabella 1 - Potenza installata e produzione di energia da fonte idroelettrica in Italia nel 2005, divisa per taglia di impianto (Fonte TERNA). Potenza MW <1 >1 Totale

Numero di impianti % 1157 56,1 905 43,9 2062 100,0

Potenza efficiente lorda MW % 419 2,0 20923 98,0 21342 100,0

Produzione lorda GWh % 1998 3,8 49984 96,2 51982 100,0

La potenza di un impianto si definisce, come si vedrà più avanti, dal prodotto di portata e salto. In linea generale i microimpianti idroelettrici possono essere a bassa od alta prevalenza, possono funzionare ad acqua fluente o a deflusso regolato ed infine possono essere realizzati direttamente sul corso d’acqua o posti su opportune opere di derivazione del flusso. La fonte idroelettrica può essere utilizzata in sistemi non collegati in rete, a servizio di utenze da pochi chilowatt, oppure in sistemi connessi alla rete in bassa tensione. In genere sono micro-impianti realizzati per l’autoconsumo, che possono cedere la rimanente energia prodotta.

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Gli impianti micro-idroelettrici possono trovare applicazione in tutte quelle situazioni in cui esiste un fabbisogno energetico da soddisfare e la disponibilità di una portata d’acqua, anche limitata, su di un salto anche di pochi metri. In simili circostanze l’introduzione di sistemi di utilizzo delle acque risulta di impatto limitato senza modificare l’uso prevalente del corso d’acqua. In zone montane, ad esempio, vengono realizzate, o rimesse in funzione, microcentrali su corsi d’acqua a regime torrentizio o permanente, spesso a servizio di piccole comunità locali o fattorie ed alberghi isolati, e gestite all’interno di una pianificazione che predilige per la tutela e conservazione del territorio la generazione distribuita rispetto a quella concentrata, convenzionale, e di grossa taglia. Un altro settore di applicazione in crescente sviluppo è quello del cosiddetto recupero energetico. In linea generale, ogni qualvolta ci si trovi di fronte a sistemi di tipo dissipativo, quali punti di controllo e regolazione della portata con presenza di salti, è possibile installare una turbina finalizzata al recupero energetico della corrente. La convenienza economica di un microimpianto su di un sistema idrico di questo tipo va valutata e dipende, tra l’altro, dai salti e dalle portate a disposizione. A questo proposito, si consideri che nel caso dell’idroelettrico i costi di investimento possono essere molto variabili a causa della tipologia strutturalmente diversa di ogni impianto. E’ particolarmente difficile, quindi, proporre dei riferimenti di costo validi in generale. I dati disponibili in letteratura, con ampi intervalli di stima, testimoniano la difficoltà di fornire valori di riferimento, e comunque si riferiscono normalmente ad impianti di grossa taglia. Nel caso di un impianto idroelettrico a piccolo salto, con potenza inferiore a 1 MW, ma comunque superiore ai 100 kW, il costo di investimento totale (comprensivo cioè dei macchinari e di tutte le opere necessarie) è mediamente compreso tra 4000 e 5000 e/kW. Questi costi si abbassano sensibilmente nel caso degli impianti eolici. Anche qui, per la verità, è assai difficile indicare valori di riferimento per il costo di investimento e per il costo di generazione, specie nel caso di installazioni microeoliche, intendendo con ciò impianti con una potenza installata inferiore a 100 kW, in analogia all’idroelettrico. Per impianti sotto i 20-30 kW circa l’impiego dell’impianto eolico è perlopiù domestico, mentre al di sopra si può trattare di applicazioni prossime a quelle industriali, tipicamente di qualche centinaio di chilowatt. Tra i benefici di applicazioni del microeolico si può annoverare il servizio a zone altrimenti isolate o raggiungibili mediante opere di maggior impatto; l’attuazione di una politica di regionalizzazione della produzione elettrica; il contributo alla diversificazione delle fonti; la riduzione della dipendenza energetica da fonti convenzionali della zona interessata dal progetto; la non emissione di sostanze in vario modo inquinanti. Non si può tuttavia trascurare l’impatto ambientale del micro-eolico, che presenta elementi in comune con quello dei grandi impianti, poiché interferisce con i medesimi elementi naturali, pur determinando risultati percettivi diversi. Da una parte le microturbine hanno dimensioni notevolmente minori rispetto ai grandi aerogeneratori, conseguentemente necessitano di spazi limitati e sono relativamente poco visibili. Dall’altra però sono spesso installate in prossimità delle utenze che possono soffrirne la presenza in termini di spazio sottratto ad altri usi, accettabilità dal punto visivo, interferenze alle comunicazioni ed effetti elettromagnetici. Pur se quantitativamente non

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rilevanti questi inconvenienti devono preliminarmente essere messi in conto nello studio di fattibilità del progetto. Dalla letteratura e da informazioni a disposizione dei produttori, si può stimare, nel caso di un impianto eolico di 1-2 MW, un costo di investimento totale compreso tra 1400 e 1800 e/kW. 2. STATO DELL’ARTE DELLA TECNOLOGIA 2.1. L’eolico 2.1.1. L’energia del vento Il principio di funzionamento del generatore eolico è la conversione dell’energia cinetica di una massa d’aria in lavoro meccanico. Tale principio è noto sin dall’antichità, ma è stato sviluppato dal punto di vista teorico in tempi relativamente recenti; è noto infatti che la densità di potenza per unità di sezione della vena fluida è 3 $

 U ˜ Y   

>:Pð@

dove ρ è la densità dell’aria [kg/m3] e v la velocità [m/s]. Meno noto è che oltre ai limiti posti dalle efficienze di trasformazione (aerodinamiche, meccaniche, elettriche) all’estrazione di potenza dal vento, esiste un limite teorico espresso dalla legge di Betz ([4]) come una frazione, precisamente 16/27, della densità di potenza della corrente. La densità di potenza massima estraibile è quindi pari a 3 $

  U ˜ Y   >:Pð@  

La forte dipendenza dalla velocità, espressa dalla terza potenza della stessa, suggerisce come sia molto importante, ai fini della produzione di energia, poter disporre di un sito ove la ventosità sia elevata, e di misurazioni anemologiche precise, in quanto eventuali errori di misura nella velocità del vento verrebbero amplificati nella previsione di energia ottenibile. 2.1.2. La ventosità E’ stato osservato sperimentalmente che la “Funzione di ripartizione” della velocità del vento in una località, per periodi multipli di un anno, è quasi sempre approssimabile da: ) Y H

§Y· ¨ ¸ ©F¹

N



dove v è la velocità del vento in [m/s], c e k rispettivamente il fattore di scala e il fattore di forma. La distribuzione in esame è una distribuzione di Weibull e rappresenta la

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probabilità che la velocità del vento sia superiore al valore v. La distribuzione può anche essere scritta come: Y

) Y   ³ I [ G[  

dove f(x) rappresenta la densità di probabilità della velocità del vento. E’ anche vero che in alcune località che risentono di fenomeni meteorologici stagionali molto forti, come ad esempio le zone monsoniche o le valli interne della California, la funzione di ripartizione è in realtà la composizione (somma) di due distribuzioni di Weibull distinte (con valori distinti per c e k) [5]. Con riferimento alla distribuzione di Weibull si possono ricavare, dai valori di c e k, i valori di vm e σ2, rispettivamente la media e la deviazione standard della velocità del vento1. Ricavare le funzioni inverse non è possibile in maniera algebrica; in questo caso si fa ricorso ad una serie di relazioni empiriche riportate come segue: 

N

§V · ¨¨ ¸¸ © YP ¹

F

 · § YP ˜ ¨   ¸ N ¹ ©

 

 N



E’ importante ricordare che i valori di c e k possono differire in maniera significativa anche a distanze non rilevanti per diverse situazioni del microclima e dell’orografia, quindi la distribuzione di Weibull non può essere considerata una base certa per la previsione della produzione di energia eolica. Vi sono anche approcci empirici al problema: ad esempio per stimare la produttività eolica di un sito l’European Wind Association fornisce un’interessante “regola del pollice”, che fornisce l’energia per unità di superficie in funzione della velocità media vm secondo la seguente formula: (



 ˜ YP 

>N:K PðDQQR @

Ai fini della progettazione di un impianto o del semplice studio di fattibilità, è però determinante la conduzione di una campagna di misurazioni. Alcune informazioni preliminari possono essere ottenute in rete; la crescita dell’interesse che l’energia eolica ha riscosso negli ultimi anni ha portato infatti alla realizzazione di un Atlante Eolico dell’Italia [6] a cura del CESI. Questo Atlante deve essere ovviamente utilizzato a livello di indagine conoscitiva su quali zone del nostro Paese siano maggiormente promettenti dal punto di vista delle condizioni del vento. L’Atlante mostra, oltre alle velocità medie del vento a 25 m, a 50 m, e a 70 m di quota, anche la producibilità [MWh/MW] in termini di energia producibile annualmente rispetto alla potenza installata. All’indagine conoscitiva dovrà seguire poi una campagna di misure adeguata.

1 Ricavare v e σ2 da c e k richiede l’utilizzo della funzione Γ di Eulero (applicazione del concetto di “fattom riale” ai numeri non interi), si veda [4].

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Figura 4 - Atlante Eolico d’Italia: mappa della velocità media annuale del vento, a 25 m dal suolo (sx), a 50 m (centro), a 70 m (dx).

Immagini tratte dall’Atlante Eolico d’Italia sono apprezzabili in Figura 4; si individuano a prima vista le zone più ricche, in termini di risorsa eolica, cioè la Daunia, il nord della Sardegna e la parte ovest della Sicilia. E’ inoltre molto interessante notare, anche senza entrare nel dettaglio delle singole zone, come per altezze di 25 m dal suolo siano poche le aree di interesse per lo sviluppo di insediamenti nel nord Italia, mentre per altezze di 70 m (adatte però solo a macchine di grande taglia) vi sono alcune zone dell’Appennino emiliano che presentano qualche interesse. Questa affermazione conferma quanto l’individuazione di un buon sito eolico sia fortemente condizionata da fattori quali l’orografia locale e l’altitudine rispetto al suolo. 2.1.3. Gli aerogeneratori Le macchine per la produzione di energia elettrica dal vento si chiamano aerogeneratori. Le diverse tecnologie si possono classificare secondo alcuni criteri, ad esempio quello dell’orientamento dell’asse o quello del principio aerodinamico di funzionamento. Secondo l’orientamento dell’asse le macchine si dividono in: – Macchine ad asse verticale; – Macchine ad asse orizzontale. Secondo il principio aerodinamico di funzionamento le macchine si dividono invece in: – Macchine ad azione; – Macchine a reazione; – Macchine miste.

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 Figura 5 - Macchine ad asse verticale ad azione (sx) e a reazione (dx).

Le macchine ad asse verticale possono essere del tipo ad azione (tipo rotore Savonius) oppure a reazione (tipo rotore Darrieus), e presentano l’indiscusso vantaggio dato dal funzionamento indipendente dalla direzione del vento (Figura 5). Le prime possono essere azionate direttamente dal vento, mentre le seconde devono essere messe in rotazione tramite un motore esterno (può essere lo stesso generatore usato da motore); infatti per le prime la forza motrice è l’impulso equivalente alla variazione della quantità di moto del flusso d’aria prima e dopo l’incontro con la superficie della pala, mentre per le seconde la coppia motrice è data dalle sole componenti di portanza generate dal flusso d’aria sulle pale; tale coppia è nulla quando la macchina è ferma. Le macchine ad asse orizzontale, di gran lunga le più diffuse, e il cui funzionamento dal punto di vista aerodinamico la colloca a metà strada tra una macchina ad azione e una a reazione, sono invece condizionate dalla direzione del vento e sono spesso munite di un piccolo timone di direzione che le orienta nel modo corretto. Le turbine ad asse orizzontale posso essere del tipo “upwind” o “downwind”: il primo tipo presenta il rotore davanti al traliccio (è il tipo più diffuso), mentre il secondo presenta il rotore dietro al traliccio (rispetto alla direzione del vento). La tipologia di macchina “downwind” è dotata di un albero strallato e presenta il vantaggio di poter sopportare la spinta del vento anche con l’ausilio di cavi di sostegno posti davanti al traliccio, mentre le macchine “upwind” devono essere realizzate con un traliccio molto robusto che si comporta rispetto alla sollecitazione del vento come una trave a sbalzo, e presentano il vantaggio del fatto che il rotore viene investito da una corrente di vento praticamente indisturbata. Nella Figura 6 è possibile osservare tre tipologie di rotore ad asse orizzontale: il classico multipala americano, il multipala olandese e il multipala moderno. Nella figura si può apprezzare la caratteristica che differenzia queste macchine dal punto di vista aerodinamico, cioè la “solidità” (solidity) ovvero il rapporto tra l’area del cerchio descritto dalla rotazione delle pale e la superficie efficace (normale all’asse di rotazione) delle pale stesse. Il secondo elemento caratteristico dal punto di vista funzionale è la “tip speed ratio” indicata nel seguitocon λr: è il rapporto tra la velocità del vento indisturbato e la velocità periferica della pala.

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Figura 6 - Rotore multipala americano (sx), olandese (centro), multipala di nuova generazione (sx).

L’indice che caratterizza le prestazioni dei generatori eolici è l’efficienza CP, espressa come: &3

3

$   U ˜ Y 

cioè il rapporto tra l’energia prodotta e quella associata alla corrente d’aria. Il limite teorico del CP è pari a 16/27.

Figura 7 - Curve caratteristiche dei generatori: solidità e λr (sx), coppia e λr (centro), Cp e λr (dx).

In Figura 7 sono rappresentate le curve caratteristiche degli aerogeneratori; le macchine con elevata solidità (multipala americano) lavorano con λr bassi (in condizione di massimo CP), hanno coppie di lavoro elevate ed efficienze modeste, mentre le macchine di nuova generazione lavorano con λr elevati, hanno coppie di spunto modeste ma efficienze più elevate. La maggior parte delle applicazioni per la produzione di energia connesse alla rete (esclusi i piccoli impianti a servizio di rifugi montani e impianti a bordo di imbarcazioni) adotta oggi la tecnologia del rotore tripala “upwind”, disponibile ormai con diametri fino 120 m e potenze fino a 4,5 MW.



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Tabella II - Categorie di generatori eolici. &DWHJRULD 0LFUR±HROLFR 0HGLDWDJOLD *UDQGHWDJOLD

'LDPHWURURWRUH P  ' ' '!

3RWHQ]DQRPLQDOH N:  3 3 3!

La Tabella II suddivide i generatori nelle 3 categorie indicate; tale suddivisione non è rigida e deve essere intesa come potenza per unità di generazione. Il controllo della potenza prodotta dall’impianto eolico è necessario per effettuare il “cut in” (accensione) e il “cut off” (spegnimento) dell’impianto a seconda delle necessità e delle condizioni di vento accettabili, e può essere effettuata essenzialmente in due modi: – Attraverso il controllo d’imbardata “yaw control” (stallo passivo), cioè spostamento dell’asse di rotazione rispetto alla direzione del vento (questo sistema può creare dei problemi di resistenza strutturale); – Attraverso la variazione dell’angolo d’attacco delle pale, cioè il “pitch control” (stallo attivo, questo sistema rende il mozzo evidentemente più complicato). Il primo sistema appare il più semplice da realizzare, mentre il secondo è il più complesso. A volte è previsto anche il frazionamento della pala in due sezioni, una ad angolo d’attacco variabile e una ad angolo fisso (“partial span pitch control”). Dal punto di vista elettromeccanico, il mozzo del rotore è collegato ad un moltiplicatore di giri a sua volta collegato al generatore elettrico, che può essere del tipo sincrono o asincrono. Nel primo caso è necessario inserire un convertitore tra il generatore e la rete, mentre nel secondo caso il generatore può essere connesso direttamente alla rete, a patto di accettare una velocità di rotazione “quasi” fissa, a meno dello scorrimento, che sarà legato alla coppia erogata e quindi alla potenza prodotta. Per poter lavorare in condizioni di λr elevato e costante, quindi con elevate efficienze, è necessario poter modulare la velocità di rotazione (e di conseguenza quella periferica) in funzione della velocità del vento; per fare ciò sia con motore asincrono sia con motore sincrono si deve disporre del convertitore. Il “pitch control” in questo caso diventa non solo una tecnica per controllare la potenza prodotta, ma anche per massimizzarla, ottimizzando a seconda della velocità di rotazione della macchina l’angolo di incidenza delle pale. 2.1.4. Il micro-eolico Le esigenze degli aerogeneratori di piccola taglia si riassumono nei seguenti punti: Necessità di una tecnologia semplice e poco costosa; Privilegio della robustezza e dell’affidabilità sull’efficienza; Impossibilità di effettuare controlli e manutenzioni sofisticati; Necessità di limitare il numero delle possibili fermate per manutenzione o sostituzione dei componenti; – Possibilità di funzionamento “stand-alone”. Le caratteristiche che si dovrebbero avere nelle macchine sono quindi: – – – –

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Generalmente ad asse orizzontale, “upwind”; Pale in fibra di vetro, fibra di carbonio o legno; Orientamento mediante timoni direzionali; Controllo della potenza mediante “yaw control” (stallo passivo); Velocità di “cut in” > 3 m/s e di “cut off” < 25 m/s; Regime di rotazione minimo compreso tra 100 e 200 rpm; Generatore sincrono a magneti permanenti (PMG) multipolari a 30 – 40 poli; Convertitore AC/DC/AC per sistemi connessi alla rete; Controller del livello di carica per sistemi “stand alone”. Gli aspetti positivi legati agli impianti eolici di piccola taglia sono legati ad una localizzazione del sito che è più agevole rispetto a quella degli impianti di grossa taglia, ad un impatto visivo ed ambientale contenuto e alla compatibilità con le reti elettriche in bassa tensione. Il mercato potenziale per questo tipo di tecnologia è abbastanza ampio, con il conseguente impatto che si potrebbe avere sia a livello di standardizzazione e industrializzazione del prodotto sia a livello di generazione diffusa dell’energia elettrica. Vi sono tuttavia alcuni aspetti negativi legati perlopiù alla taglia ridotta degli impianti, che sono il costo unitario elevato (1500 – 2000 e/kW installato, rispetto circa 1000 delle macchine di taglia medio grande), il difficile contenimento dei costi di manutenzione e gestione e di conseguenza il maggior costo dell’energia prodotta.

Figura 8 - Curve di prestazione di macchine da 5-6 kW (sx) e 15-20 kW (dx).

La Figura 8 rappresenta invece le curve di prestazione per due gruppi di macchine, il primo tra 5 e 6 kW e il secondo tra 15 e 20 kW (dati forniti dai costruttori). Si noti in particolare come la curva di prestazione della macchina Fortis Montana da 5,8 kW (grafico di sx, linea marrone) registri un calo di potenza oltre i 18 m/s di velocità del vento; è questo l’effetto tipico del controllo di potenza tramite stallo passivo “yaw control”. Le restanti macchine, che presentano una curva piatta alle alte velocità del vento, sono invece dotate di controllo di potenza tramite stallo attivo “pitch control”. 2.1.5. Caratteristiche specifiche e confronti di alcuni prodotti A seguire vengono riportati alcuni dati tecnici relativi a prodotti commercializzati a catalogo. In Figura 9 si trovano le informazioni relative ad una macchina Jonica, con

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pale in resina rinforzata con fibre di vetro e controllo di potenza e sovravelocità a stallo attivo. In Figura 10 vi sono informazioni su alcuni modelli della Eoltec per potenze da 6 a 70 kW; anche questi modelli sono dotati di sistema di controllo di potenza a stallo attivo e, come il precedente, di generatore sincrono a magneti permanenti.  0RGHOOR



SRWHQ]D

N:

-,03 

SRWHQ]D#PV

N:



GLDPHWURURWRUH

P

3DOH



YHORFLWjFXWLQ

PV

 LQUHVLQDYLQLOHVWHUHULQIRU]DWDFRQILEUHGL YHWUR 

YHORFLWjQRPLQDOH

PV



YHORFLWjGLURWD]LRQH

JLULPLQ

JHQHUDWRUH



FRQWUROORGLSRWHQ]D



 VLQFURQRDPDJQHWLSHUPDQHQWLDIOXVVR DVVLDOH $WWLYRFRQYDULD]LRQHGHOSDVVR

FRQWUROORVRYUDYHORFLWj



$WWLYRSDVVLYRYDULD]LRQHGHOSDVVRHVWDOOR

7RUUH



PWXERODUHVXSLDVWUDEDVHDQQHJDWD QHOSOLQWRGLIRQGD]LRQH





Figura 9 - Dati tecnici e immagine del generatore Jonica JIMP20.

 0RGHOOL



SRWHQ]DQRPLQDOH

N:







GLDPHWURURWRUH

P







QXPHURSDOH PDWHULDOHSDOH









YHORFLWjURWD]LRQH JLULPLQ FRQWUROOR JHQHUDWRUH

6FLURFFR :LQGUXQQHU

ILEUDGLYHWUR 



&KLQRRN

 FRPSRVLWDLQUHVLQD  $WWLYRFRQWUROORGLSRWHQ]D VHUYRDVVLVWLWRPDVVLPRSXQWR GLSRWHQ]DDYHORFLWjYDULDELOH



VLVWHPDFHQWULIXJRVLJLOODWR



VLQFURQR30*DO1HRGLPLRPXOWLSRODUHDGLQVHU]LRQHGLUHWWD

UHJROD]LRQHSRWHQ]D

VWDOORFHQWULIXJR0337 HOHWWURQLFR

IUHQRDHURGLQDPLFRFRQ PHVVDLQEDQGLHUDGHOOHSDOH

YHORFLWjFXWLQ

PV





YHORFLWjQRPLQDOH

PV







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NJ







7RUUL



PVWDQGDUGDWLUDQWL 





WXERODUHDWLUDQWL DXWRSRUWDQWHWUDOLFFLR

Figura 10 - Dati tecnici dei generatori Eoltec e immagine del modello Scirocco.

Per quanto riguarda i costi degli aerogeneratori la Figura 11 riporta il costo specifico (per unità di potenza) ordinato secondo la taglia della macchina. Come era lecito attendersi il costo specifico della potenza installata decresce con l’aumentare della taglia della macchina.

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Figura 11 - Costi del solo aerogeneratore in funzione della taglia della macchina.

Tabella III - Costi di alcune alternative di impianto finito per due diversi valori di altezza dell’albero (escluse le connessioni elettriche) [7].

¼ 7XUELQD

N: P

N: P

P

P

















7RUUH

















3DUWHHOHWWULFD

















)RQGD]LRQL

















6SHGL]LRQH

















,QVWDOOD]LRQH

















727$/(

 

 

 

  

Esaminando i costi di tutte le rimanenti parti dell’impianto, in Tabella III si trovano quelle che sono le principali voci di costo per la realizzazione (sono state considerate 2 potenze e 2 diverse altezze dell’albero); sono esclusi i costi dell’eventuale studio di fattibilità, dell’indagine anemometrica, del progetto e delle connessioni elettriche. Tuttavia tali costi possono variare fortemente da caso a caso, per cui non si è ritenuto opportuno includerli in un calcolo che è invece abbastanza preciso. L’incidenza marginale dei costi sul totale è rappresentata graficamente in Figura 12; si può apprezzare come l’incidenza del costo della torre aumenti con l’aumentare dell’altezza, con la quale si ha anche un ovvia diminuzione dell’incidenza della turbina e della parte elettrica.

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Figura 12 - Rappresentazione grafica della Tabella III. [7]

2.1.6. Analisi della producibilità con il software RETScreen A questo punto si ritiene opportuno fare una breve accenno all’analisi di fattibilità di un impianto eolico attraverso l’utilizzo del software disponibile gratuitamente sul sito di RETScreen [8]. RET è l’acronimo di Renewable Energy Technologies, ed è un’unione di forze tra Governo canadese, esperti di settore e mondo accademico, che ha sviluppato una serie di software per l’analisi di progetti nel campo delle rinnovabili. Il software sviluppato per l’eolico chiede, per la valutazione della producibilità, l’inserimento delle curve di prestazione della macchina e dei coefficienti c e k della distribuzione di Weibull, oppure la scelta di una località dal database fornito con il software. In questa trattazione sono stati forniti i valori di c e k calcolati a partire dai dati meteo forniti dall’aeronautica o dall’ARPA, per tre località: S. Antioco (costa sud ovest della Sardegna), la Daunia (al confine tra la Puglia e la Campania) e la costa toscana in provincia di Grosseto. La Tabella IV confronta alcuni modelli di impianto esaminati per le tre località considerate. Come era lecito attendersi, all’aumentare dell’altezza di installazione la produttività aumenta per tutti i modelli. A parità di altezza invece, la produttività è molto diversa anche per modelli con curve di prestazione simili. Si nota inoltre che i modelli dotati di regolazione di potenza a stallo passivo “yaw control” hanno una produttività che è poco più della metà di quella dei migliori modelli con controllo di potenza a stallo attivo “pitch control”.

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Tabella IV - Produttività (ore equivalenti) di alcune turbine eoliche in tre siti considerati. [7] RUHHTXLYDOHQWL DOWH]]DWRUUH (ROWHF:LQGXQQHUN : -DFREV -RQLFD-LPS 9HUJQHW*(9 :HVW:LQGN : 3URYHQ:7 %HUJH\([FHON : )RUWLV$OL]HN : 9HUJQHW*(9 :HVW:LQGN : (QIORN : (ROWHF6FLURFFRN : -ERUQD\,QFOLQN : 3URYHQ:7 )RUWLV0RQWDQDN : 9HUJQHW*(9 9HUJQHW*(9 :HVW:LQGN :



726&$1$ 





6$5'(*1$ 





38*/,$ 



                 

                 

                 

                 

                 

                 

                 

                 

                 

A questo punto sarebbe forte la tentazione di effettuare un confronto preliminare diretto con la producibilità di un impianto fotovoltaico in termini di ore equivalenti nelle stesse zone. Tuttavia il confronto diretto non può essere effettuato; infatti il concetto di producibilità del sistema fotovoltaico è legato alle condizioni di insolazione annuali, mentre i risultati di produttività eolica del software della RETScreen derivano dalla ventosità del sito in esame e dalla curva di prestazione della macchina considerata. E’ invece possibile confrontare la producibilità fotovoltaica, che vale 1250 ore a Grosseto, 1400 ore in Sardegna e 1300 ore in Daunia, con la producibilità eolica riportata nell’Atlante Eolico [5], che vale (a 50 m di quota) 1500 ore a Grosseto, 3000 ore in Sardegna e tra 2500 e 3000 ore in Daunia. 2.2. L’idroelettrico 2.2.1. Caratteristiche generali degli impianti idroelettrici Il principio è ben noto: l’energia meccanica (potenziale o cinetica) di una massa d’acqua viene convertita in energia elettrica in appositi macchinari. Lo sfruttamento di tale forma di conversione dell’energia è documentato fin dall’antichità, ai tempi di greci e romani, per la macinazione del grano. Gli impianti possono essere classificati in base a diversi aspetti: 1. la potenza elettrica installata: si parla in tal caso di grande idro (Pel > 10 MW) e di piccolo idroelettrico (SHP, Small Hydro Power), con Pel < 10 MW. Quest’ultima classe, cui si fa riferimento nella memoria per le potenzialità di diffusione, può essere a sua volta suddivisa in due sotto-classi costituite da: micro centrali, con potenza inferiore a 100 kW, e mini centrali, con potenza non superiore a 1 MW;



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2. modalità di presa e accumulo delle acque: impianti ad acqua fluente (privi di qualsiasi capacità di regolazione e, pertanto, la portata derivabile durante l’anno è funzione del regime idrologico del corso d’acqua); con bacino (l’acqua derivata dal corso d’acqua viene accumulata in modo da avere un’autonomia massima di 1-2 settimane); con serbatoio (l’acqua derivata dal corso d’acqua viene accumulata in modo da far funzionare la turbina per un periodo di varie settimane e durante i periodi di picco); 3. entità del salto2 disponibile: alta, media e bassa caduta (rispettivamente > 100 m, fra 30 e 100 m, fra 2 e 30 m): 4. portata: piccola, media, grande, altissima portata, rispettivamente Q < 10 m3/s, Q = 10 ÷ 100 m3/s, Q = 100 ÷ 1000 m3/s, Q > 1000 m3/s). In relazione alla capacità di regolazione della potenza producibile (punto 2), fra gli impianti non regolabili occorre menzionare, per le applicazioni di micro-idro, quelli inseriti in sistemi idrici: un’alternativa alla dissipazione di energia attuata attraverso apposite valvole in molti schemi idrici consiste nell’inserimento di una turbina per la produzione di energia elettrica. A fronte di interventi minimi sul sistema esistente, questo consente un interessante recupero energetico in sistemi di canali di bonifica, acquedotti, circuiti di raffreddamento di condensatori, e sistemi idrici vari. Viceversa, fra gli impianti regolabili con serbatoio od accumulo, sono da ricordare le centrali cosiddette di pompaggio, in cui cioè si sfruttano delle macchine (molte volte le stesse turbomacchine che funzionano come motrici di giorno ed operatrici di notte) per pompare l’acqua da un bacino inferiore a quello superiore nelle ore vuote (giustificabile solo dal punto di vista economico in virtù della differenziazione del valore dell’energia elettrica nelle diverse fasce orarie). In generale, un impianto idroelettrico è costituito da componenti civili e idrauliche (opere di presa, di convogliamento e di restituzione, centralina) e da opere elettromeccaniche (turbina, alternatore, quadri elettrici, sistemi di comando). Il numero delle diverse componenti e la loro complessità costruttiva e conseguentemente operativa e gestionale, variano evidentemente in funzione della dimensione dell’impianto. La potenza effettivamente prodotta da un impianto è, ovviamente, un valore definito istantaneamente e funzione di numerose variabili, fra cui le più importanti sono la portata d’acqua effettivamente utilizzata Q (m3/s), il salto netto disponibile H (m) ed il rendimento complessivo η:  3 W  UJK W + W 4 W  >:@ con ρ = densità dell’acqua (1000 kg/m3), g = accelerazione di gravità (9,81 m/s2). Tale formula può essere utilizzata sia per il dimensionamento che per il calcolo della producibilità dell’impianto. La portata effettivamente utilizzata influisce certo sulla potenzialità dell’impianto; il dimensionamento dello stesso non va chiaramente effettuato sul valore medio di portata (in un anno o in un mese), perché tale grandezza 2 Inteso come salto lordo o geodetico (differenza di quota (in metri) fra il punto di prelievo a monte ed il punto di restituzione a valle). La potenza netta dell’impianto sarà invece funzione del salto netto o motore, al netto cioè delle perdite di carico distribuite (canali e condotte) e localizzate (prese, griglie, curva, valvole, ecc.).

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risulta in generale fortemente variabile (perché funzione, ad esempio, della piovosità o dello scioglimento dei ghiacciai) e si rischierebbe di non riuscire a sfruttare appieno il potenziale disponibile (sottodimensionamento delle macchine) o di uscire dalla convenienza economica (sovradimensionamento)3. Si utilizza quindi la curva di durata delle portate, che fornisce i valori di tempo (o percentuale di tempo) in cui la portata è maggiore o uguale del valore riportato in ordinata. Questo, assieme al concetto di Deflusso Minimo Vitale (DMV)4, sono gli elementi che consentono un corretto dimensionamento della macchina idraulica e quindi dell’impianto (Figura 13).

Figura 13 - Curve di durata della portata per un impianto idroelettrico per due diversi valori della portata nominale. La scelta della portata nominale, e quindi il dimensionamento dell’impianto, va effettuata cercando di minimizzare il tempo in cui l’impianto opera “in regolazione” (cioè con Q
Resta infine da commentare la variabile η(t): si tratta del rendimento globale, dato dal prodotto del rendimento idraulico della turbina (funzione del tipo di macchina, della relativa taglia e del grado di parzializzazione di funzionamento), del rendimento del moltiplicatore di giri (tipicamente presente negli impianti mini-idro a causa del basso numero di giri delle turbine rapportato a quello del generatore elettrico accoppiato, valori tipici 0,95÷0,98), del rendimento del generatore elettrico (0,88÷0,95 in funzione della taglia) e del rendimento dell’eventuale trasformatore di tensione presente per l’allacciamento alla rete di distribuzione e degli ausiliari.

3 Tali

considerazioni vengono fortemente mitigate nei casi di sfruttamento dei sistemi idrici (quali canali di irrigazione, acquedotti, ecc.) nei quali la portata è più costante durante l’anno. 4 Il DMV (Deflusso Minimo Vitale) è la portata d’acqua minima che deve essere garantita al corso d’acqua per garantire, nel lungo termine, la salvaguardia delle strutture naturali; esso viene stabilito dalle Autorità di Bacino e dalle Regioni che, tramite i Piani di Tutela delle Acque (PTA), stanno introducendo formule di calcolo da applicare alle nuove concessioni idroelettriche e gradualmente anche a quelle esistenti per raggiungere differenti obiettivi di quantità e qualità delle acque entro il 2008 e 2016. Tale vincolo deve essere tenuto in considerazione durante le fasi di progetto dell’impianto, anche in considerazione dell’ulteriore vincolo di portata minima in turbina (tale valore è funzione del tipo di macchina ed è generalmente variabile tra 0,1 e 0,3).

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Si possono avere, in condizioni nominali, valori di η variabili fra 0,6 e 0,8 per le mini centrali, ma fino a 0,5 per le micro. Tali valori, piuttosto bassi se confrontati con quelli delle centrali di grossa taglia (che possono superare il 90%), non devono portare a conclusioni affrettate: l’impiego della risorsa idroelettrica su piccola scala interessa realtà locali che prevedono un uso dell’energia prodotta diverso da quello tipicamente industriale. Gli impianti di mini e micro idraulica possono trovare applicazione in tutte quelle circostanze in cui sussista un fabbisogno energetico locale da soddisfare e la disponibilità di una portata d’acqua, anche limitata, su di un salto anche di pochi metri. In queste circostanze, gli impianti hanno un impatto limitato e non modificano l’uso del corso d’acqua. Per quanto riguarda la producibilità dell’impianto in un certo intervallo di tempo, ovvero la quantità massima di energia che gli apporti giunti alla presa dell’impianto consentirebbero di produrre nelle condizioni più favorevoli di salto geodetico, essa può essere calcolata da: ( 7

7

U ˜ J ˜ + ˜ ³ 4 W ˜K W ˜ GW  

>-@



Se il periodo di riferimento è l’anno e l’andamento di Q(t) deriva da una curva di carico media riferita ad un numero sufficientemente elevato di anni, si parla di producibilità media annua. Chiaramente, l’energia elettrica effettivamente prodotta dall’impianto potrà essere più o meno diversa dalla producibilità media in relazione ai valori assunti dalle numerose variabili in gioco. 2.2.2. Turbine idrauliche La turbina idraulica è la componente principale nella realizzazione di un sistema idroelettrico poiché la sua scelta è quella che incide maggiormente nel valore dell’investimento e deve essere fatta principalmente sulla scorta della portata utile e del salto. E’ composta principalmente di due parti: il distributore, che ha lo scopo di indirizzare il flusso in arrivo, regolare la portata e, soprattutto, trasformare in tutto o in parte l’energia da piezometrica (energia utile in termini di pressione) a cinetica, e la girante, che completa la conversione dell’energia (cinetica + quota rimanente di energia di pressione) in energia meccanica all’albero. La prima fondamentale classificazione fra le turbine si ha proprio in base all’entità della conversione nel distributore (si parla di grado di reazione): quando la trasformazione da energia potenziale ad energia cinetica avviene in modo completo nel distributore la turbina si dice ad azione, altrimenti viene detta a reazione. Si può dimostrare che la velocità periferica di una macchine è tanto maggiore quanto più alto è il grado di reazione: si parla perciò di macchine veloci ed ultraveloci (grado di reazione elevato) e macchine lente (grado di reazione basso). Le prime (per le quali vi è il problema di non lasciar diminuire troppo la velocità periferica) vanno bene per le basse cadute, mentre le seconde per le alte (in cui viceversa vi è il problema di ridurre la velocità periferica). Si arriva così a classificazioni di massima delle diverse tipologie di turbine attualmente disponibili sul mercato, in funzione del salto disponibile e della portata elaborata (Tabella V e Figura 14).

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Tabella V - Tipologie di turbine idroelettriche e relativi campi di variazione del salto utilizzabile 7LSRGLWXUELQD .DSODQHDGHOLFD )UDQFLV 3HOWRQ 2VVEHUJHU 0LWFKHOO%DQNL  7XUJR

&DPSRGLYDULD]LRQHGHOVDOWR P      

Figura 14 - Campi di funzionamento dei diversi tipi di turbine più utilizzate. La figura è stata elaborata integrando i valori comunicati da vari costruttori europei; i limiti non sono rigidi, variando da costruttore a costruttore in funzione della tecnologia utilizzata e pertanto il diagramma ha carattere orientativo.

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Figura 15 - Numero di giri caratteristico per i principali tipi di turbina

Una classificazione simile, ma complementare, può essere fatta sulla scorta del numero di giri caratteristico della macchina (Figura 15), parametro adimensionale che mette in relazione velocità di rotazione (in giri al minuto), portata (in metri cubi al secondo) e salto utile (in metri): 4  QV Q ˜    + Infine, un ulteriore parametro che caratterizza le diverse turbine è la velocità di fuga, cioè la velocità della girante quando il carico elettrico del generatore accoppiato è nullo: in genere il rapporto tra questo parametro e la velocità nominale è variabile fra 2 e 3,2 per le Kaplan e fra 1,8 e 2 per le altre. Le principali turbine ad azione sono le Pelton, le Turgo e le Ossberger (dette anche Banki-Mitchell o a flusso incrociato) ([10]). In questo caso, come già accennato, l’acqua esce dal distributore e colpisce le pale con la massima velocità possibile (velocità torricelliana, pari a  ˜ J ˜ + ) corrispondente al salto netto dell’impianto H, mentre le ruote girano in camere a pressione atmosferica. Certamente le Pelton sono le più note, perché utilizzate anche nei grandi impianti idroelettrici. Il distributore è costituito da un regolatore (ugello convergente o spina Double) che può essere presente in numero da uno a otto (in funzione della taglia della macchina), migliorando così la capacità di regolazione ed il rendimento in parzializzazione; le pale, con la tipica forma “a cucchiaio”, sono imbullonate o fuse d’un sol pezzo con la ruota, tipicamente in acciaio (Figura 16). Esistono anche sistemi di taglia piccolissima, come quelli di Figura 17, dell’ordine del chilowatt o frazioni, per applicazioni tipicamente “domestiche”. Il difetto principale di questo tipo di macchine è l’incapacità di sfruttare completamente il salto geodetico disponibile, in quanto la pressione dell’acqua all’uscita della girante è atmosferica e non si sfrutta quindi il salto tra questa e il pelo libero del canale di scarico. La disposizione della macchina può essere sia ad asse verticale che orizzontale. Valori tipici di salto e portata di utilizzo sono, rispettivamente, da 50 fino ad oltre 1000 m e da poche decine di litri al secondo a 4÷5 m3/s.

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 Figura 16 - Turbina Pelton da 208 kW (47,5 m di salto utile, 500 l/s di portata) della Espe S.r.l. (sinistra) e turbina Pelton con generatore asincrono da 75 kW (1008 g/min, 180 m di dislivello) della Ac-Elektronik (destra)





Figura 17 - Microturbine Pelton: modello da 50-500 W della Irem S.p.a., accoppiato ad un generatore in corrente continua a magneti permanenti a 24 V (sinistra) e gruppo turbina-alternatore (sincrono tri o mono fase autoeccitato) con distributore a sei getti con tre valvole di regolazione (potenza da 1 a 15 kW a seconda dello specifico modello)

Nelle turbine Turgo (adatte fino a salti di circa 300 m) il getto d’acqua colpisce le pale con un angolo di 20° rispetto al piano mediano; inoltre, a differenza della turbina Pelton, può colpire più pale contemporaneamente (Figura 18) ([10]). A parità di potenza il diametro risulta inferiore, con maggiori velocità periferiche e possibilità di accoppiamento diretto al generatore; la conseguente mancanza del moltiplicatore di giri può comportare quindi minori costi e maggiore affidabilità. Sono disponibili anche modelli da poche centinaia fino a poche decine di chilowatt; il principale svantaggio è il rendimento minore rispetto alla Pelton.

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Figura 18 - Schema ed esempio di turbina Turgo accoppiata ad un generatore trifase, potenza variabile da 0,2 a 30 kW, salto utile da 2 a 45 m, portata da 3 a 160 l/s a seconda del modello (Fleximedica S.r.l.)

Sempre per le piccole e piccolissime potenze sono disponibili anche le turbine a flusso incrociato, in quanto sono macchine molto semplici e poco costose e che non necessitano di particolare manutenzione (Figura 19). L’acqua immessa dal distributore sulla periferia esterna della ruota agisce una prima volta sulle pale e prosegue poi attraversando la parte centrale, aperta, per esercitare una seconda azione di spinta sul lato opposto e fluendo quindi nel canale di scarico. E’ possibile mantenere relativamente elevati i rendimenti (80÷86%) anche a carico parziale regolando opportunamente l’apertura del distributore in modo da interessare al flusso solo alcune sezioni della ruota (che può avere un notevole sviluppo longitudinale). Stante la possibilità di utilizzare un tubo diffusore conico per creare una pressione inferiore a quella atmosferica nella camera della turbina, si può recuperare il salto, altrimenti inutilizzato, tra ruota e canale di scarico, riuscendo in tal modo ad utilizzare tale turbina anche con salti molto bassi (dell’ordine di pochi metri) ([10]). 

 Figura 19 - Schema ed esempio di turbina Banki per portate da 20 a 70 l/s con dislivello di 20 m

Per quanto riguarda le turbine a reazione invece, le principali tipologie sono: Francis, ad elica e Kaplan. In comune hanno la già citata caratteristica di completare la conversione dell’energia di pressione in energia meccanica nella girante; come elemento caratteristico vi è la presenza, a valle della stessa, di un tubo diffusore divergente che, pescando nel canale di scarico e mantenendosi costantemente pieno d’acqua, provoca una depressione barometrica e quindi un’aspirazione sotto la girante stessa, corrispondente all’altezza di questa sullo specchio libero del canale di scarico (si riesce



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così a sfruttare anche questo salto il che, per basse cadute, può determinare la convenienza economica dell’investimento). Le turbine Francis sono le più note e coprono un campo molto ampio al variare del grado di reazione. All’aumentare di quest’ultimo (Figura 14 e Figura 15): – il flusso passa da quasi completamente centripeto (viene deviato in senso assiale solo nelle immediate vicinanze dello scarico e perciò la macchina risulta molto schiacciata) a quasi completamente assiale (maggior sviluppo in senso assiale); – costruttivamente, ciò è visibile sia dalla forma delle pale della girante (che passano da lunghe a strette a brevi e larghe) sia dalla distanza del distributore dall’ingresso della pala (che aumenta); – la velocità della ruota aumenta (aumenta il numero di giri caratteristico) ed il numero di pale diminuisce (macchine veloci hanno 8-12 pale per potenze medie, macchine lente hanno 18-20 pale per potenze elevate). In Figura 20 sono visibili alcuni modelli di turbine Francis, in cui si possono notare gli elementi caratteristici: la voluta a spirale (che convoglia l’acqua dalla condotta al distributore), il distributore (formato da pale, in tutto o in parte orientabili per la regolazione della portata) e la girante.

  Figura 20 - A sinistra: diversi tipi di girante Francis (con grado di reazione crescente da sinistra a destra). A destra: turbina Francis della Zeco S.r.l.(P=90 kW, H=41÷80 m, Q=130÷160 l/s)

Le turbine ad elica sono turbine a flusso assiale (grado di reazione elevato, pari a 0,65÷0,7), sono caratterizzate da un numero molto limitato di pale (3÷7) con il distributore molto distante dalla girante (il flusso viene deviato con grande anticipo da radiale ad assiale). Come nelle Francis, vi è una voluta a spirale che porta l’acqua al distributore e quindi alla girante; sono utilizzate in impianti con salti molto contenuti (da 2 a 25 m) con portate da pochi fino a 150 m3/s. Le Kaplan, oltre a queste caratteristiche, si differenziano per la possibilità di regolazione, oltre che tramite le pale del distributore, anche mediante le pale della girante che sono orientabili. Questo determina il vantaggio di poter mantenere il rendimento costante e prossimo a quello massimo per un ampio campo di variazione della portata (fino al 30% di quella nominale). Le installazioni con questa tipologia di turbina sono le più diverse, soprattutto in applicazioni di mini-idro. In Figura 21 si vedono alcuni esempi di possibili configurazioni in tal senso.

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 Figura 21 - Possibili configurazioni di installazione di turbine ad elica in impianti mini-idro

Si accenna infine all’esistenza di due particolari tipi di turbina. Il primo, detto “a spirale di Archimede”, è una macchina che può essere realizzata delle dimensioni opportune (in relazione al sito in esame) e può sfruttare salti bassissimi (anche dell’ordine del metro) con portate medio-basse (fino a 5,5 m3/s), con potenze generabili da pochi chilowatt fino a 300 kW (Figura 22). Assieme al vantaggio di un rendimento costante fino a gradi di parzializzazione dell’ordine del 20% (e quindi possibilità di sfruttare per maggior tempo i corsi d’acqua a disposizione), si può citare anche la possibilità di limitare la necessità di griglie e sgrigliatori fra le opere di presa, grazie alla capacità della coclea di lasciar passare al suo interno eventuale fauna ittica e piccoli detriti. Il secondo tipo di turbina cui si accenna è la Peace Turbine: può funzionare in correnti d’acqua senza la necessità di usufruire di un salto, installate singolarmente o in serie sullo stesso asse, oppure ancora “in cascata” sullo stesso corso d’acqua ad una distanza che dipende dalla velocità della corrente stessa. I dati dichiarati dal costruttore indicano che una turbina singola con un diametro di 1 m, sviluppa una potenza di 1 kW immersa in una corrente d’acqua con velocità di 1 m/s e 8 kW se la velocità è di 2 m/s.

Figura 22 - A sinistra: turbina a coclea (chiocciola di Archimede) della Ritz-Atro GmbH (portata 1400 l/s, dislivello 2 m, potenza del generatore 18,2 kW). A destra: prototipo di Peace Turbine della EuroEnergie AG, composto da tre turbine sullo stesso asse, ha una produttività di 100.000 kWh/anno in una corrente d’acqua con velocità di 1,5 m/s.

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Si riportano, infine, gli andamenti tipici dei rendimenti delle principali tipologie di turbine in funzione del grado di parzializzazione (Figura 23) ([10]).

Figura 23 - Rendimenti tipici delle principali turbine in funzione della portata elaborata

2.2.3. Progettazione e costruzione degli impianti mini-idro Le fasi principali e i relativi i passi che un investitore deve seguire sono: progettazione; iter autorizzativo; ricerca del consenso locale; costruzione; gestione. Nella fase di progettazione si definiscono tutti i componenti di un impianto idroelettrico: – le opere di presa dell’acqua: dipendono dalla tipologia del corso d’acqua intercettato e dall’orografia locale, mentre il tipo di filtro e l’opportunità di automatizzarne la pulizia dipendono dalla portata derivata e dall’entità dei corpi solidi trasportati dal flusso; – le opere di convogliamento dell’acqua alla turbina: canali o condotte forzate, dipendono anch’esse dall’orografia, dalla portata e dalla turbina stessa, è possibile l’uso di tubazioni in plastica (PEAD o PVC) per pressioni fino a 16 bar; – il tipo di turbina; – il moltiplicatore di giri: è consigliabile installare turbina e generatore che girino alla stessa velocità e quindi senza necessità di questo componente, con un miglioramento nel rendimento globale d’impianto; – il generatore elettrico: attualmente tutti gli impianti utilizzano generatori a corrente -

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alternata trifase, sincroni o asincroni. Come noto, i primi, generando energia alla stessa tensione, frequenza ed angolo di fase della rete, vengono eccitati tramite un sistema ausiliario ed un regolatore di tensione a diodi raddrizzatori; sono più costosi rispetto agli asincroni e si utilizzano per alimentare piccole reti, nelle quali la potenza del generatore rappresenta una quota sostanziale del carico del sistema. Gli asincroni invece girano ad una velocità funzione della frequenza della rete cui sono collegati, dalla quale assorbono la corrente e l’energia magnetizzante: non possono quindi funzionare in isola e si usano comunque maggiormente in grandi reti, dove la loro potenza rappresenta una quota minoritaria del carico; – infine vi è il trasformatore di tensione per adattare la tensione da quella del generatore a quella più adeguata al trasporto (tipicamente media tensione, cioè sotto i 35 kV, ma può essere direttamente bassa tensione per i micro impianti). Oltre a queste apparecchiature, negli impianti da qualche decina di chilowatt in su sono presenti anche dei quadri di comando e d’automazione, per consentire la messa in esercizio, il funzionamento e l’eventuale messa fuori servizio dell’impianto in sicurezza e senza bisogno di presidio permanente di personale. I tempi ed i costi richiesti dalla progettazione esecutiva possono variare in funzione della specifica tipologia di impianto: un periodo indicativo può essere di 12-16 mesi di progettazione per una spesa che può variare intorno al 4-5% del costo di investimento (il quale a sua volta può variare fortemente in funzione della taglia e della tipologia d’impianto, fra i 2000 e i 4500 e/kW). Le difficoltà che si incontrano in questa fase possono derivare essenzialmente da modifiche e varianti progettuali richieste dall’autorità pubblica. Per quanto riguarda la fase di costruzione, è difficile generalizzare. Si riportano alcuni dati inerenti gli impianti ad acqua fluente derivati da un’indagine effettuate dall’Aper (Associazione Produttori Energia da fonti Rinnovabili, [11]): tale fase può durare 10÷15 mesi e prevedere costi pari al 90% del costo d’investimento per impianti la cui vita attesa è di 30 anni, pari cioè alla durata della concessione. L’analisi delle diverse componenti dei costi di costruzione evidenzia come siano sempre le opere civili ad avere il maggior peso (> 50% dei costi di costruzione), seguite poi da opere elettromeccaniche, gruppo idroelettrico e accessori. I costi di connessione alla rete possono essere invece molto variabili in funzione del tipo di tensione, della distanza della centrale dalla linea di distribuzione locale, dal tipo di linea di distribuzione, comunque dell’ordine del percento. Gli impianti mini e micro idroelettrici possono assumere tipicamente due configurazioni: ad “alta caduta” (salto sopra i 30-40 m) ed a “bassa caduta” (sotto i 30 m). Si noti come, in generale, i primi risultino meno onerosi dei secondi poiché, a parità di potenza installata, il deflusso attraverso la turbina è minore, risultando più contenute le opere idrauliche e parte di quelle civili. In una tipica situazione ad “alta caduta” sono presenti: lo sbarramento (una diga o traversa che può essere in calcestruzzo ma anche in materiali diversi come semplicemente massi posti trasversalmente alla corrente o terra con nucleo centrale impermeabile argilloso che si spinge fino al terreno impermeabile di fondazione, eventualmente ricoperta da fogli saldati di geotessile), le opere di presa di parte della

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portata del fiume, il canale (se possibile a cielo aperto per contenere i costi) che adduce l’acqua al bacino di carico, dal quale parte la condotta forzata che porta all’edifico di centrale e quindi alle turbomacchine, ed infine le opere di scarico. Gli impianti a “bassa caduta” hanno principalmente due schemi: con canale di derivazione (si crea uno sbarramento che deriva la portata necessaria, con lunghezze del canale comunque di solito molto modeste) o senza (lo sbarramento comprende sia le opere di presa, sia la centrale, sia le opere di scarico dell’acqua). Esiste poi un’ulteriore configurazione, detta “a sifone”, possibile per salti tipicamente fino a 10 m (ma esistono esempi anche di 30 m) e che consente di ridurre al minimo le opere civili e quindi di ridurre fortemente, anche del 30%, i costi d’investimento. L’installazione di impianti in canali irrigui può avvenire, tipicamente, secondo due schemi, a seconda che l’impianto debba essere progettato contemporaneamente al canale (il canale viene allargato in modo da poter ospitare la camera di carico, la centrale, il canale di restituzione e il by-pass laterale, utile per assicurare la continuità della fornitura dell’acqua per l’irrigazione anche in caso di fuori servizio del gruppo) oppure il canale sia già esistente (viene effettuato un leggero allargamento per poter ospitare la presa e lo scaricatore di superficie). 3. QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO Nell’analisi della normativa vigente si vuole procedere con una suddivisione in macroaree di riferimento, riguardanti: – la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; – procedure amministrative ed autorizzative per la costruzione di impianti eolici ed idroelettrici. Per gli scopi della presente memoria, ci si riferisce qui, in particolare, alla normativa riguardante gli impianti di piccola taglia. 3.1. Produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: incentivi e prezzi di produzione Senza voler fare un excursus storico (per il quale si rimanda ad opportuni riferimenti, [12]), ci si limita, per brevità, a descrivere la situazione odierna. L’attuale contesto normativo italiano discende dai seguenti documenti, nazionali ma soprattutto internazionali, fra cui: – la “Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità” che prevede una percentuale di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, entro il 2010, pari al 22% del consumo globale di elettricità nel mercato europeo (UE-15). Tale Direttiva è stata recepita in Italia con il D.L. 29/12/2003 n. 387; – il Protocollo di Kyoto, ratificato nel dicembre 2004, che impegna gli Stati firmatari a ridurre, per il periodo 2008-2012, le emissioni di gas serra di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990, di cui la Direttiva 2003/87/CE per l’istituzione del mercato delle emissioni è una conseguenza;

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– la Direttiva 96/92/CE di liberalizzazione del settore elettrico per la realizzazione di un mercato unico, recepita in Italia con il Decreto n. 79 del 16/03/1999 (“decreto Bersani”). Gli obiettivi indicativi fissati dalla Direttiva 2001/77/CE per gli Stati membri non saranno verosimilmente raggiunti senza l’adozione di ulteriori politiche di promozione e di sostegno. Possibili meccanismi di sostegno pubblico alle rinnovabili sono riconducibili a tre grandi categorie: – il meccanismo delle “tariffe di alimentazione” (feed-in tariffs), in cui l’incentivo è definito preventivamente dal legislatore o viene determinato in una seconda fase a seguito di una procedura di gara per l’assegnazione. La tariffa incentivante, meglio nota come incentivo in conto energia, è garantita al produttore per la cessione dell’energia prodotta al gestore della rete cui è connesso l’impianto (in Italia utilizzato ad esempio per incentivare il fotovoltaico); – la definizione di quote obbligatorie e il meccanismo dei Certificati Verdi (CV): vi è un obbligo per il produttore di provare periodicamente che una certa quantità di elettricità prodotta proviene da fonte rinnovabile. I CV sono lo strumento per verificare che l’obbligo sia stato ottemperato e al tempo stesso per far sì che i produttori possano raggiungerlo attraverso l’acquisto dei CV anziché attraverso la produzione diretta. Questo meccanismo prevede un regime sanzionatorio in caso di mancato adempimento dell’obbligo; – i sistemi basati su incentivi fiscali (IVA agevolata, detassazione di tutto o parte dei combustibili utilizzati, ecc.) o contributi diretti (finanziamenti parziali e a fondo perduto all’investimento, spesso utilizzati dalle amministrazioni locali per il finanziamento di piccoli impianti); – l’aumento di consapevolezza e sensibilità alle questioni ambientali da parte dei clienti ed il contestuale ampliamento dell’offerta da parte dei produttori di energia per diversificare il proprio portafoglio hanno fatto nascere, negli ultimi anni, strumenti volontari di promozione delle energie rinnovabili con diffusione comunitaria. Tra questi è da menzionare il RECS (Renewable Energy Certificate System). Sono titoli che attestano la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile per una taglia minima pari ad 1 MWh e sono distinti dall’erogazione fisica dell’energia che sottendono. In Italia possono accedere al circuito RECS tutti gli impianti che producono energia rinnovabile, secondo le disposizioni della direttiva comunitaria 2001/77/CE, e che non siano ammessi a beneficiare del regime dei certificati verdi. Mediante il loro consumo, l’acquirente finanzia l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili testimoniando, pertanto, il suo impegno a favore dell’ambiente. In tale contesto si inserisce la normativa italiana. Il già citato D.L. 79/99 rivoluziona l’assetto del settore elettrico in Italia e, quindi, la produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare, si è assunto il meccanismo dell’obbligo, in capo ai produttori di energia da fonti convenzionali, di immettere un quantitativo minimo (inizialmente pari al 2% dell’energia prodotta nell’anno solare precedente) di energia prodotta da fonti rinnovabili, eventualmente tramite l’acquisto dei CV. Rispetto alla normativa precedente, il decreto si pone due obiettivi principali: quello di conciliare la promozione delle rinnovabili e la creazione di un mercato liberalizzato e quello di limitare gli incentivi alle sole fonti rinnovabili, non includendo, come aveva fatto il CIP

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6/925, le cosiddette assimilate [12]. Il successivo e già citato D.lgs. 387/03 ha apportato alcune modifiche ai meccanismi di incentivazione nazionale. In particolare, per gli scopi della memoria: – l’aumento del quantitativo minimo di elettricità rinnovabile a carico di produttori e importatori da immettere nel mercato elettrico per gli anni 2005-2007 dello 0,35% all’anno; – la previsione di specifiche agevolazioni e incentivazioni per gli impianti di piccola taglia, quali l’obbligo di ritiro a condizioni agevolate dell’energia prodotta da parte dei distributori cui l’impianto è allacciato (art. 13) e la disciplina del servizio di scambio sul posto per gli impianti sotto i 20 kW (art. 6). L’AEEG6 ha determinato le condizioni tecniche ed economiche di agevolazione degli impianti di potenza inferiore ai 10 MVA (delibera 34/05 come successivamente modificata dalle delibere 49/05, 64/05, 165/05 e 256/05 relativamente ai ritiri obbligati e delibera 28/06 per il servizio di scambio sul posto); – la semplificazione delle procedure autorizzative attraverso l’introduzione dell’autorizzazione unica (art. 12) (vedi par. 3.2); – la semplificazione delle modalità di accesso alle reti nonché condizioni economiche agevolate dei servizi di connessione in capo ai produttori (art. 14). Nel caso italiano, tali aspetti sono contenuti negli artt. 12 e 13 della delibera 281/05, così come modificata dalle delibere 28/06, 86/06 e 100/06 dell’AEEG. Volendo quindi sintetizzare il complesso ed ampio panorama normativo, possiamo affermare che chi gestisce un impianto da fonte rinnovabile, ed in particolare eolico o mini-idraulico, ha due modalità di cessione e vendita dell’energia elettrica prodotta: – mediante un regime amministrato; – nell’ambito del mercato. In entrambi i casi è comunque prevista la possibilità di autoconsumo dell’energia prodotta, nei termini stabiliti sempre dal Decreto n. 79/997. 3.1.1. Cessione dell’energia elettrica mediante il regime amministrato. Tale materia, come detto, è regolata dalla delibera n. 34/05 (e successivi aggiornamenti) secondo lo schema riportato in Figura 24. Il produttore che richiede al gestore di rete cui l’impianto è connesso il ritiro dell’e-

5 Provvedimento n. 6 del 1992 del Comitato Interministeriale Prezzi relativamente ai prezzi dell’energia elettrica relativi a cessione, vettoriamento e produzione per conto dell’Enel e alle condizioni tecniche per l’assimilabilità alle fonti rinnovabili. 6 Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. 7 Per autoproduttore si intende la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica (vedi art. 4, num. 8, legge 6 dicembre 1962, n. 1643) degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del DL n.79 del 16.3.99.

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nergia elettrica prodotta, può richiedere che lo stesso gestore stipuli e gestisca, per conto del produttore, i contratti col GRTN (ora Terna) necessari per immettere energia elettrica in rete. In sostanza, il produttore che ne faccia richiesta (secondo uno schema di convenzione di durata annuale e rinnovabile, riportato come allegato alla stessa Delibera) può cedere la propria energia al gestore della rete cui è allacciato ai prezzi illustrati nella Figura 25 (aggiornati ogni mese sul sito dell’AU8). Tale energia viene destinata dai gestori di rete al GRTN (Terna) e da questi venduta all’AU e ai clienti del mercato libero. Per i “piccoli” (< 10 MVA) impianti a fonti rinnovabili ed ibridi, il gestore della rete cui è connesso l’impianto riconosce al produttore un prezzo pari al prezzo medio di vendita dall’AU alle imprese distributrici per la vendita al mercato vincolato. Per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili9 con potenza >=10 MVA il gestore riconosce ai produttori il prezzo di cui al precedente punto. Non rientrano invece nella disciplina regolata dal Documento gli impianti a fonti rinnovabili programmabili ed ibridi di potenza >= 10 MVA.

Figura 24 - Schema dell’attuale situazione regolamentata dalla delibera n. 34/05 dell’AEEG per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili 8

Acquirente Unico, società che ha il compito di assicurare la fornitura di energia elettrica, a prezzi competitivi e in condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza del servizio, ai “clienti vincolati”. 9 L'Autorità definisce non programmabili le seguenti fonti rinnovabili: eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice ed idraulica, limitatamente, per quest'ultima fonte, agli impianti ad acqua fluente, ad eccezione di quella ceduta al GRTN nell'ambito delle convenzioni in essere stipulate ai sensi dei provvedimenti Cip n. 15/89, n. 34/90, n. 6/92, nonché della deliberazione n. 108/97.

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Infine, la delibera prevede che i gestori di rete riconoscano ai produttori il prezzo di cui ai precedenti punti al netto dei costi sostenuti dagli stessi gestori per le “gestione commerciale” dell’energia trattata (corrispettivi di dispacciamento, di trasporto, amministrativi). Per l’intero anno di durata della convenzione, su richiesta del produttore, per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza nominale elettrica fino a 1 MW10 i gestori di rete riconoscono i seguenti prezzi minimi garantiti, definiti per scaglioni progressivi11: – per i primi 500.000 kWh annui: 96,4 e/MWh; – da oltre 500.000 fino a 1 milione di kWh annui: 81,2 e/MWh; – da oltre 1 milione fino a 2 milioni di kWh annui: 71 e/MWh; – oltre 2 milioni di kWh annui: il prezzo dell’AU (per fasce o indifferenziato).

Figura 25 - Prezzi di cessione dall’AU alle imprese distributrici nel periodo gennaio 2006 – febbraio 2007

I prezzi minimi garantiti sono stati riconosciuti al fine di garantire la copertura dei costi di piccoli impianti che utilizzano risorse rinnovabili marginali, non in grado di partecipare al mercato, caratterizzati da diseconomie di scala e costi specifici elevati, quali quelli di cui stiamo trattando in questa memoria. La scelta di una soglia riferita alla potenza nominale elettrica pari a 1 MW è stata fatta tenendo conto di quanto previsto dalla legge n. 239/04 (commi 85÷89) in materia di semplificazione degli iter autorizzativi per gli impianti di microgenerazione. Il servizio reso dal gestore di rete al quale l’impianto cede l’energia ha dei costi: un fisso pari a 120 euro all’anno per ciascun impianto ed un variabile pari allo 0,5% del controvalore dell’energia ritirata. 10

In particolare, per gli impianti idroelettrici si parla di potenza nominale media annua di 1 MW. Valori aggiornati, rispetto a quelli del 2005, aggiungendo il 40% della variazione percentuale media annua dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (che nel 2006 è stata del 2,1%). Al momento in cui si scrive l'Autorità ha emanato un documento per la consultazione (atto n. 6/07 del 7 febbraio 2007) per verificare la possibilità di aggiornamento dei valori dei prezzi minimi e degli scaglioni. 11

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3.1.2. Cessione di energia elettrica nell’ambito del mercato Il produttore di energia da fonti rinnovabili può decidere alternativamente di cedere l’energia nell’ambito del libero mercato, attraverso contratti bilaterali effettuati con i grossisti12 oppure mediante il sistema della borsa elettrica. Nel primo caso si tratta di un accordo diretto e di tipo privato fra le parti, nel quale si regolamenta, tra gli altri, l’oggetto del contratto, le modalità di cessione dell’energia, il prezzo dell’energia (differenziato o no nelle fasce orarie), le garanzie contrattuali ricorrenti fra le parti, la modalità di contabilizzazione dell’energia (misura) e le modifiche del contratto. Per quanto attiene invece l’accesso alla borsa, benché sia scarsa la partecipazione diretta di operatori da fonti rinnovabili, gli stessi hanno l’opportunità di cedere l’energia in borsa al valore del PUN (Prezzo Unico Nazionale) o del Prezzo Zonale che si determina in occasione della separazione in zone del mercato elettrico che si verifica nel caso di congestioni sulla rete elettrica nazionale ([12]). 3.1.3. Meccanismo del Certificati Verdi Si vuole brevemente accennare alle peculiarità del funzionamento dell’incentivazione delle fonti rinnovabili tramite il meccanismo dei CV. Come già scritto, produttori ed importatori di energia da fonte non rinnovabile hanno un obbligo di immissione di energia rinnovabile determinato anno per anno. Tali soggetti possono adempiere l’obbligo producendo direttamente energia rinnovabile e richiedendo per tale produzione l’emissione dei relativi CV, che andranno gradualmente ad azzerare il proprio conto titoli gestito dal Gestore Servizi Elettrici (GSE). Oppure possono importare direttamente dall’estero energia rinnovabile, riconosciuta tale sulla base delle procedure gestite dal GSE; oppure possono alternativamente acquistare i CV emessi dal GSE a favore di soggetti terzi o attraverso contrattazione bilaterale con tali produttori o nel mercato dei CV (in cui vengono offerti titoli sia da operatori privati sia dal GSE stesso). Compiti del GSE sono quindi: – quantificare la produzione nazionale e le importazioni di energia non rinnovabile soggetta all’obbligo; – emettere e annullare, su richiesta dei produttori, i CV relativi alla produzione di energia da impianti qualificati dal GSE stesso come IAFR (Impianti Alimentati da Fonti Rinnovabili) e dagli impianti rinnovabili di propria competenza (CIP6/9213); – rilasciare la qualifica IAFR agli impianti riconosciuti in possesso dei requisiti stabiliti dalla regolamentazione; La richiesta dei certificati può essere fatta “a consuntivo” (in base all’energia effettivamente prodotta dall’impianto nell’anno precedente rispetto a quello di 12

Sono intermediari che comprano energia dai produttori per rivenderla ai clienti idonei. La normativa, per favorire il decollo del mercato dei CV in considerazione della scarsità di offerta nella fase iniziale degli investimenti, ha stabilito che gli impianti CIP6/92 entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999 avessero diritto ai CV e che questi fossero emessi a favore del GSE con la finalità di copertura dell'offerta in caso appunto di scarsità rispetto agli obblighi imposti. 13

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emissione) oppure a “preventivo”, in base alla producibilità attesa dell’impianto. Il GSE emette, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, i certificati verdi spettanti. Il periodo di riconoscimento dei CV è fissato in otto anni (dodici in base a quanto previsto dal recente D.lgs. 152/06) ed i CV rilasciati per la produzione di un anno possono essere usati anche per ottemperare l’obbligo relativo ai due anni successivi. Nel 2005 gli impianti IAFR per i quali è stato emesso il maggior numero di CV sono gli idroelettrici (38,4% del totale), seguiti dagli eolici. Rispetto invece alla categoria di intervento, gli impianti IAFR per i quali è stato emesso il maggior numero di certificati sono quelli di nuova costruzione (63%) e i rifacimenti parziali di impianti (24%), come illustrato nella Figura 26 ([13]). Il peso degli impianti di nuova costruzione è riconducibile principalmente alla diffusione di impianti eolici, mentre i rifacimenti riguardano prevalentemente gli impianti idroelettrici.

Figura 26 - Impianti che hanno ottenuto la qualifica IAFR nel 2005 suddivisi per fonte energetica (sinistra) e per categoria di intervento (destra).

Per avere un’idea del valore economico di un CV ci si può riferire al prezzo di vendita dei certificati emessi dal GSE a proprio favore, che costituisce una sorta di pricecap per l’intero mercato in condizioni di scarsità di offerta (prezzo al di sotto del quale vi è domanda per i CV di produttori privati) (Tabella VI). I prezzi offerti da produttori terzi, in borsa e nelle negoziazioni, si sono attestati, negli anni 2002÷2005, su valori del 4÷8% al di sotto del prezzo CV da CIP6/92. Tabella VI - Prezzi di vendita dei CV emessi dal GSE a proprio favore ([13]) $QQRGL HPLVVLRQH



   

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3.1.4. Qualifica IAFR La qualifica ha lo scopo di caratterizzare tecnicamente l’impianto per stabilire, in funzione delle diverse categorie d’intervento e per le diverse tipologie di centrali, la producibilità annua che ha diritto al rilascio dei titoli. In particolare il decreto MAP 24/10/05 recante “Aggiornamento delle direttive per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili ai sensi dell’articolo

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11 comma 5 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n° 79”, relativo agli impianti a fonte rinnovabile; ha introdotto le seguenti principali novità rispetto ai decreti precedenti in materia di modalità di qualificazione: – l’introduzione per gli impianti idroelettrici del rifacimento parziale particolarmente oneroso, quale nuova tipologia di intervento che abilita a richiedere la qualificazione ed il successivo rilascio dei CV (si tratta di un intervento che implica ricostruzioni di notevole complessità e costi specifici non inferiori a 2 Me/MW) (si veda il riferimento [13] per una descrizione maggiormente dettagliata delle diverse categorie d’intervento definite dal GSE); – una ridefinizione del potenziamento degli impianti idroelettrici che deve essere caratterizzato da un costo specifico minimo di 0,1 Me/MW ed ai quali vanno riconosciuti CV corrispondenti al 5% della produzione netta. In attesa delle nuove procedure in fase di valutazione da parte dei competenti Ministeri, il GSE sta procedendo alla qualifica degli impianti a fonte rinnovabile secondo la procedura già esistente: – il produttore presenta al GSE apposita domanda, per ogni specifico impianto, completa di tutta la documentazione prevista dal già citato DM 24/10/2005. Al GSE dovrà essere, altresì, comunicata ogni variazione relativa agli impianti, ivi inclusa l’avvenuta entrata in esercizio; – le richieste di qualifica sono, quindi, valutate dalla commissione di qualificazione del GSE (ogni richiesta di qualifica è affidata operativamente ad un referente tecnico abilitato a contattare l’operatore che ha presentato la domanda di qualifica); – il GSE deve pronunciarsi entro 90 giorni dal ricevimento della domanda, vigendo il principio del silenzio assenso. Il calcolo dell’energia elettrica per l’emissione dei CV avviene secondo le modalità riassunte in [13] e qui sintetizzate: – per gli impianti nuovi, riattivati oppure completamente rifatti, alimentati da fonti rinnovabili, tutta l’energia elettrica prodotta annualmente ha diritto al rilascio dei certificati verdi; – nel caso di impianti potenziati, l’energia riconosciuta ai fini dei certificati verdi è pari al 5% dell’energia prodotta per gli impianti idroelettrici, mentre per tutte le altre tipologie di impianti è pari alla differenza tra la produzione netta annua effettivamente conseguita dopo l’intervento e la media della produzione degli ultimi cinque anni significativi antecedenti il potenziamento; – per gli impianti idroelettrici sottoposti a rifacimento parzialmente l’energia riconosciuta deriva da una formula binomia, dove il primo termine valuta l’aumento di energia prodotta rispetto alla media degli ultimi dieci anni significativi antecedenti l’intervento ed il secondo termine tiene conto dell’investimento e delle modalità gestionali dell’impianto. 3.2. Iter autorizzativo Il DLgs n. 112/98 si occupa del conferimento di compiti e funzioni amministrative e legislative dello Stato alle Regioni ed agli enti locali. In particolare, le Regioni assumono un’importanza notevole, poiché l’art. 30 prevede che “sono delegate alle

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Regioni le funzioni amministrative in tema di energia, ivi comprese quelle relative alle fonti rinnovabili, all’elettricità, all’energia nucleare, al petrolio ed al gas, che non siano riservate allo Stato ai sensi dell’articolo 29 o che non siano attribuite agli Enti Locali ai sensi dell’articolo 31”. In relazione all’argomento del presente paragrafo, cioè l’autorizzazione alla costruzione e gestione di impianti da fonti rinnovabili, occorre aggiungere che lo stesso Decreto, all’art. 31, ha attribuito alle Province la competenza per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia di potenza inferiore a 300 MW, e tra questi rientrano senz’altro le centrali di produzione di energia rinnovabile. Si assiste dunque all’attribuzione della competenza legislativa alle Regioni e di quella amministrativa alle Province. Il quadro sopra tracciato è stato fortemente modificato dalla riforma del titolo V della Costituzione e, in particolare, dall’art. 117 che attribuisce e ripartisce la potestà legislativa (legge 3/2001). Tale disposizione fissa pari dignità tra la potestà statale, quella regionale e quella “concorrente”. Tra le materie in cui si esplica la potestà concorrente l’art. 117 annovera la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; ciò porta a pensare che alle Regioni vadano le competenze autorizzative sugli impianti di produzione e trasporto dell’energia senza più i limiti di potenza fissati dal DLgs n. 112/98. In questo contesto di incertezza si inserisce il già citato Decreto n. 387/03, volto a promuovere lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili, coinvolgendo sia lo Stato che le Regioni, chiamandoli a contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali. A tal fine, infatti, è previsto che lo Stato individui l’obiettivo indicativo nazionale, cioè la quota di energia “verde” che deve essere annualmente prodotta, demandando alla Conferenza Unificata la ripartizione di tale obiettivo nazionale in obiettivi indicativi regionali. In concreto sono state previste diverse delle misure volte a favorire la diffusione delle fonti rinnovabili, tra cui quelle previste dall’art. 12 circa le disposizioni per la razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative per la costruzione e la gestione di impianti di generazione che fanno uso, appunto, di fonti rinnovabili. Si tratta del cosiddetto procedimento unico, caratterizzato dai seguenti aspetti: – come già accennato, la competenza al rilascio dell’autorizzazione14 è attribuita alle Regioni, che possono esercitarla direttamente oppure delegarla ad altro soggetto istituzionale (ad esempio alle stesse Province che avevano la competenza con il precedente DLgs n. 112/98); – i tempi del procedimento sono fissati con precisione: la Regione, entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione, deve convocare una conferenza di servizi e il termine massimo per la conclusione del procedimento non può essere superiore a 180 giorni. In sostanza, attraverso tale conferenza, l’amministrazione procedente potrà convocare in un’unica assemblea tutte le amministrazioni competenti 14 L'autorizzazione regionale riguarda sia la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, ma anche gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi.

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a pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione15, a conclusione della quale, in caso di esito positivo, potrà provvedere immediatamente al rilascio dell’autorizzazione. Ogni amministrazione vi partecipa attraverso un unico rappresentante, legittimato ad esprimere il voto, e le decisioni vengono prese a maggioranza. In tal modo le amministrazioni dissenzienti vengono private del potere di veto (e ciò contribuisce non poco allo snellimento della procedura), con alcuni correttivi che permettono di distinguere tra i vari pareri sfavorevoli espressi e di rimandare in tal caso la decisione ad organi superiori; – l’art. 12 prevede comunque che la Conferenza Unificata debba approvare delle linee guida per lo svolgimento del procedimento unico. Sotto questo profilo si pone tuttavia un problema e cioè come devono comportarsi le Regioni in attesa della loro predisposizione, tenuto conto che non è possibile bloccare il meccanismo del rilascio delle autorizzazioni. In effetti, le Regioni attualmente danno attuazione al procedimento unico anche in assenza delle linee guida nazionali, ma emanandone di proprie. Per quanto concerne la documentazione da produrre ai fini autorizzativi, per impianti di potenza inferiore ai 20 kW è sufficiente presentare la DIA (Dichiarazione Inizio Attività) al Comune competente, nel rispetto dei vincoli storico-paesaggistici ed architettonici della zona. Per impianti di taglia superiore la richiesta di Autorizzazione Unica dovrà essere accompagnata dagli opportuni permessi (permesso di costruire, eventuale Valutazione di Impatto Ambientale, domanda di allacciamento alla rete, ecc…), nonché dalle autorizzazioni specifiche per il tipo di fonte utilizzata (ad esempio la concessione di derivazione d’acqua nel caso di impianti idroelettrici). Il concetto di Autorizzazione Unica, pur non essendo di fatto diventato concretamente operativo, ha tuttavia contribuito in maniera più o meno diretta a semplificare l’iter autorizzativo. Nonostante ciò le questioni procedurali restano di fatto tra le principali cause di ritardo nella realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Tra le difficoltà più comuni riscontrate a livello nazionale si ricordano: – per l’idroelettrico: la tempistica incerta nel rilascio del disciplinare di concessione per l’utilizzo delle acque da parte dell’Ente preposto (Regione o Provincia); – per l’eolico: i problemi legati all’impatto ambientale e l’allacciamento alla rete elettrica, ad esempio la presenza di aree protette per le quali non è pensabile che vengano realizzati impianti eolici di dimensioni considerevoli, oppure il caso di aree ventose poste in corrispondenza dei crinali montuosi e quindi di zone isolate, sicuramente poco servite dalla rete elettrica. Va detto tuttavia che, nelle esperienze di molti operatori del settore, non si è ancora visto l’atteso snellimento promesso con l’introduzione del procedimento unico, anzi la 15

La funzione di tale procedimento è quella di far confluire in un unico contesto una pluralità di amministrazioni, che altrimenti dovrebbero essere sentite in differenti procedimenti, ognuno dei quali volto all'emanazione di un atto amministrativo, nella materia di propria competenza. Alla luce di tale finalità dovranno essere invitati tutti quei soggetti ed uffici che, fino ad oggi, erano competenti a adottare atti amministrativi in materia di impianti da fonti rinnovabili: Regioni, Province, Comuni, ma anche le amministrazioni interessate a questioni tecniche o per la particolarità di territori sottoposti a vincoli (ad esempio Arpa, Asl, Consorzi di bonifica ed irrigazioni, Enti Parco, ecc.).

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lentezza con cui lo Stato e le Regioni stanno gestendo il programma di adozione delle linee guida fanno sì che i soggetti proponenti vedano l’autorizzazione unica non come la somma di tutte le autorizzazione fino ad oggi previste, bensì come un processo aggiuntivo a tutti gli altri. Ad esempio, si riporta il caso di un impianto idroelettrico ad acqua fluente (Figura 27). Tra tutti gli atti amministrativi necessari all’avvio dell’impianto elencati in figura, quello che rappresenta spesso il fattore limitante del processo autorizzativo è la Concessione di derivazione d’acqua pubblica ad uso idroelettrico (per il quale poi si pagherà un canone demaniale in euro al chilowatt di concessione), la cui domanda va inoltrata alla Regione (o alla Provincia demandata) mediante l’Ufficio del Genio Civile che deve esaminare l’impianto. In molti casi i tempi necessari all’ottenimento di tale concessione sono incerti e lunghi, addirittura dell’ordine di alcuni anni ([11]); il limite è da trovarsi nella carenza di personale della pubblica amministrazione.

Figura 27 - Esempio di iter autorizzativo per un impianto idroelettrico ad acqua fluente ([11])

Non è facile stimare il costo dell’iter autorizzativo: ad una prima analisi esso oscilla tra il 2% ed il 6% del costo d’investimento, ma probabilmente ad una analisi più attenta che prenda in considerazione la mancata produzione, la valorizzazione dei disagi causati e tutte le esternalità, i costi potrebbero lievitare di molto.

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3.3. Il consenso locale Pur ritenendola molto importante, la ricerca del consenso locale per un impianto mini-idroelettrico o mini-eolico non è quasi mai ricercata dall’imprenditore, soprattutto se l’intervento sul territorio è di modeste dimensioni. Spesso tuttavia l’imprenditore è obbligato a intervenire quando si è già in presenza di un conflitto. Da questo atteggiamento, più improntato alla correzione in corso d’opera che alla prevenzione del conflitto, scaturiscono delle insoddisfazioni profonde dei proponenti, motivate da un significativo aumento dei tempi di realizzazione dell’opera e dei costi. Dalle esperienze studiate ([11]) risulta chiaro come il mostrarsi, da parte dell’imprenditore, disponibile alla presenza sul territorio, al confronto con gli amministratori locali ed al legame con le caratteristiche produttive e di contesto sociale sin dalla nascita del progetto sia la miglior ricetta per garantire il consenso locale. Per quanto riguarda gli impianti mini-idro, le maggiori cause di conflitto locale sono: – conflitti con gli altri fruitori della risorsa (agricoltori, pescatori, ..); – la comunità locale percepisce una sorta di colonizzazione da parte di terzi di risorse che si sentono proprie; – esperienze pregresse negative che non hanno garantito posti di lavoro ma solo defraudato il territorio. Per quanta riguarda gli impianti eolici: – il rumore: per quanto le tecnologie si siano ormai sviluppate al punto da garantire impianti silenziosi, nell’immaginario collettivo resta il timore di un fastidioso ronzio del rotore, immaginando lo stesso impatto di un ventilatore; – l’impatto visivo; – l’impatto elettromagnetico; – l’impatto sulla fauna. Le cause più ricorrenti dei conflitti possono essere: – sostanziale mancanza di informazione sulla cultura delle fonti rinnovabili; – gli oppositori sono spesso proprietari privati legati a minoranze politiche all’interno degli Enti Locali, per cui si tenta di rivalersi su avversari politici o su privati per questioni di conflitti interni all’amministrazione; – la mancanza di linee guida e indicazioni rispetto ai siti idonei da parte delle Regioni. Le proposte di prevenzione e gestione delle conflittualità locali possono essere: – coinvolgimento della popolazione locale sia nella fase progettuale dell’impianto, sia nella fase di gestione e monitoraggio dello stesso (rapporto con la comunità, video e pubblicazioni nelle scuole locali, incontri con gli studenti e con la cittadinanza, interventi sulla stampa locale); – campagne di diffusione dell’informazione rispetto a rischi e benefici reali dell’utilizzo di fonti rinnovabili,anche durante l’esercizio dell’impianto, comunicando i risultati e le innovazioni; – dimostrare la qualità dei propri impianti ottenendo una certificazione ISO 14000 o EMAS e proponendo una progettazione che minimizzi l’impatto ambientale in tutte le sue componenti; – valorizzare l’opportunità di realizzare molti impianti piccoli (anche riadattando

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centrali preesistenti e oggi in disuso), magari più costosi, ma che diano benefici a livello locale anziché pochi di grosse dimensioni, che consentono un risparmio ma non una reale spartizione di costi e benefici. 4. CONCLUSIONI La presente trattazione dimostra, tra le altre cose, come le tecnologie per la realizzazione degli impianti eolici e idroelettrici di piccola taglia abbiano ormai raggiunto la piena maturità. Inoltre il mercato delle macchine sembra maturo dal momento che in entrambi i campi esistono più produttori presenti sul territorio nazionale. A completamento di questo quadro generalmente positivo vi sono i provvedimenti legislativi per l’incentivazione delle fonti rinnovabili. Gli ostacoli che ancora permangono ad una diffusione massiccia di questo tipo di impianti sono principalmente costituiti dalla mancanza di certezze sugli iter autorizzativi e di conoscenze diffuse e approfondite sul quadro normativo, e per quanto riguarda l’eolico dalla mancanza di studi anemologici adeguati per l’individuazione di siti adatti. Tutte queste ragioni e anche altre, a volte completamente estranee al mondo dell’ingegneria e dell’impresa, fanno spesso preferire altri sistemi di energia rinnovabile, in primis quelli fotovoltaici. BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7]

[8] [9] [10]

[11] [12]

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Energia dal terreno MICHELE DE CARLI1, NICOLA RONCATO1, ANGELO ZARRELLA1, ROBERTO ZECCHIN1, 2 1 2

Dipartimento di Fisica Tecnica, Università degli Studi di Padova TiFS Ingegneria, Padova

RIASSUNTO Oggi si rende sempre più necessario migliorare l’efficienza energetica dei sistemi e allo stesso tempo diversificare il più possibile le fonti energetiche. In tale quadro si inserisce molto bene la “sorgente geotermica”. In questo lavoro vengono analizzate le tipologie e le problematiche dell’impiego dell’energia geotermica con particolare riferimento alle applicazioni per la climatizzazione. Dapprima vengono trattati gli aspetti tecnici inerenti le diverse tipologie: sonde geotermiche, acqua di falda, acqua di superficie, etc. Vengono altresì analizzati gli aspetti legislativi e normativi inerenti l’installazione degli impianti che utilizzano la “Terra” come sorgente termica. 1. INTRODUZIONE Con il termine “energia geotermica” si intende generalmente il calore disponibile a temperatura maggiore di quella ambientale, che può, o potrebbe, essere estratto dal sottosuolo e sfruttato dall’uomo. Pur non esistendo ancora una terminologia codificata adottata in campo internazionale si possono dare delle definizioni e classificazioni correntemente usate nel settore delle risorse geotermiche. Quando si parla genericamente di risorse geotermiche, di solito ci si riferisce a quelle che più precisamente dovrebbero essere chiamate risorse di base accessibili, intendendo con questo termine tutta l’energia termica contenuta tra la superficie terrestre ed una determinata profondità, in un’area definita, e misurata partendo dalla temperatura media annua locale. Il più comune criterio di classificazione delle risorse geotermiche si basa sull’entalpia dei fluidi termovettori, che trasferiscono il calore dalle masse calde profonde alla superficie. L’entalpia, che è correlata alla temperatura e alla pressione dei fluidi stessi è usata per esprimere il loro contenuto energetico in rapporto sia al calore che al lavoro meccanico che se ne può trarre, e dà un’idea approssimativa del loro “valore”. Le risorse

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geotermiche possono essere suddivise pertanto in risorse a bassa, media ed alta entalpia (o temperatura), secondo diversi criteri. La Tab. I riporta alcune classificazioni proposte in letteratura [1]: se ne evince che quando si parla di fluidi geotermici è opportuno, comunque, indicare la loro temperatura, o almeno un intervallo di temperatura, perché i termini “bassa”, “media” o “alta” possono avere significati diversi e generare errori di interpretazione. Tab. I: Classificazione delle risorse geotermiche in base alla temperatura (°C) [1] 

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L’energia geotermica, come finora descritta, può essere utilizzata per alimentare impianti operanti secondo cicli termodinamici (ciclo Rankine) al fine di produrre energia elettrica, oppure essere utilizzata sotto forma di calore, e si parla allora di “usi diretti” dell’energia geotermica. E’ di questa seconda categoria che ci si occupa in questo lavoro. E’ opportuno, a questo punto, fare alcune precisazioni sul concetto stesso di energia geotermica. In primo luogo l’uso del sottosuolo, o dei fluidi da questo estratti, come “sorgente termica” non implica necessariamente che la temperatura di questa sorgente sia superiore a quella ambientale, sia media annuale che istantanea: basti pensare alle pompe di calore geotermiche, che possono funzionare con fluido all’evaporatore a temperature prossime a 0°C o addirittura inferiori; si osservi che l’uso del sottosuolo come “sorgente termica” di un ciclo termodinamico rende questa applicazione concettualmente simile a quella relativa ai cicli diretti, sopra menzionati, ma le pompe di calore vengono considerate tuttavia usi diretti in quanto, del processo termodinamico, è l’effetto termico che viene utilizzato. In alcuni casi il sottosuolo viene utilizzato come “serbatoio termico” nel quale riversare il calore di condensazione di macchine frigorifere o direttamente il calore sottratto dagli ambienti (cosidetto “freecooling”) quando le temperature del sottosuolo o dell’acqua (di falda o di superficie) lo consentano. Anche in questi casi, ancorché non vi sia un prelievo di calore, si può parlare di energia geotermica, in senso lato, in quanto a queste fattispecie corrispondono maggiori efficienze degli impianti. Attualmente si hanno usi non elettrici (o diretti) dell’energia geotermica in settantuno Paesi nel mondo, mentre nel 2000 il loro numero era limitato a cinquantotto e a ventotto nel 1995 [7]. La potenza totale installata, riferita alla fine del 2004 è pari a 27’825 MWt, pressoché raddoppiata rispetto al 2000, con un tasso di crescita annuo pari al 12,9 %. L’energia utilizzata complessivamente è pari a 261’418 TJ annui (corrispondenti a 72’622 GWh), con un aumento quasi del 40 % rispetto al 2000, e un tasso di crescita annuo pari al 6,5%.

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Fig. 1 – Potenza installata nel mondo, al 2005, per usi diretti del calore geotermico [7]

L’uso non elettrico più diffuso nel mondo (come potenza installata), come si vede in Fig. 1, è rappresentato dalle pompe di calore (56,5%), seguito da balneologia (17,7%), riscaldamento di ambienti (14,9%), serre (4,8%), acquacoltura (2,2%), impieghi industriali diversi (1,8%). Il condizionamento di ambienti (riscaldamento e raffreddamento) con l’energia geotermica si è diffuso notevolmente a partire dagli anni ’80, a seguito dell’introduzione nel mercato e della diffusione delle pompe di calore. I diversi sistemi a pompa di calore disponibili permettono di estrarre ed utilizzare economicamente il calore contenuto in corpi a bassa temperatura, come terreno, acquiferi poco profondi, masse d’acqua superficiali, etc. Sistemi con pompe di calore accoppiate al terreno o a masse d’acqua sono attualmente presenti in almeno trentadue Paesi e, nel 2005, la potenza termica totale installata era stimata in 15’723 MWt (56,5 %), con un uso annuo di energia pari a 86’673 TJ realizzando un Fattore di Carico1 medio complessivo pari a 0.17 (in regime di riscaldamento). Gran parte delle installazioni si trovano in Nord America ed in Europa. La potenza media installata è pari a 12 kWt, valore tipico per abitazioni statunitensi e dell’Europa Nord-occidentale. Tuttavia, le dimensioni di unità singole sono comprese tra 5,5 kWt per uso residenziale e 150 kWt e oltre per istallazioni nel terziario. Si stima che sia 1,3 milioni il numero di unità installate, valore più che raddoppiato se confrontato con il dato relativo al 2000. Negli Stati Uniti molte unità sono dimensionate per il carico massimo in raffrescamento (peak cooling) e risultano sovradimensionate per il riscaldamento (eccetto nel nord del Paese) e questo comporta mediamente solo un migliaio di ore annue di funzionamento a pieno carico, con un fattore di carico pari a 0,11. In Europa, molte unità sono dimensionate per coprire il carico invernale base, lasciando a sistemi a combustibile fossile la copertura dei picchi di potenza. Ciò comporta che queste unità operino a pieno carico da 2000 a 6000 ore di funzionamento annue, con un fattore di carico da 0,23 a 0,68 [7]. 1

Fattore di Carico (F.C.): indice che esprime quanto l'impianto viene usato nell'arco di un anno. Ad esempio un F.C. pari a 1 indica che l'impianto è sempre attivo tutto l'anno cioè per 365 x 24 =8760 ore a piena potenza; un F.C. pari a 0.5 indica che l'impianto funziona, nell'arco di un anno, per 4380 ore a piena potenza, oppure un numero anche maggiore con potenza anche ridotta.

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Fig. 2 – Sviluppo nel tempo della potenza termica impiegata per usi diretti [7]

La situazione italiana può essere descritta come “quasi stagnante”, nonostante l’ampia disponibilità di risorse geotermiche. In Italia, sistemi di utilizzazione non elettrica dell’energia geotermica sono diffusi in diverse regioni, tra cui Emilia Romagna, Lazio, Toscana e Veneto. La potenza totale installata ammonta (2004) a 606,51 MWt e l’energia utilizzata annua a 7554 TJ, (vedi Tab. II) valori che sono, peraltro, piuttosto bassi, se si considera l’elevata potenzialità geotermica del nostro Paese. Il calore geotermico è sfruttato nel riscaldamento di spazi residenziali e di singole abitazioni (132 MWt), nel riscaldamento di serre (94 MWt), in acquacoltura (92 MWt), in processi termici industriali (10 MWt), per il funzionamento di pompe di calore (120 MWt) ed in balneologia (159 MWt). Lo sviluppo degli usi diretti dell’energia geotermica in Italia, a meno di quelli direttamente collegati ad applicazioni particolari (riscaldamento negli hotel di Abano ed Ischia, riscaldamento domestico nella città di Ferrara e nella zona di Larderello, zona legata alla produzione di energia elettrica da fonte geotermica), riscosse un modesto interesse verso la fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80, in seguito alla crisi petrolifera che era in atto all’epoca. Per quanto riguarda il prossimo futuro, sono previsti pochi nuovi importanti sviluppi. Lo sviluppo di nuove zone geotermiche in Italia è condizionato da un elevato numero di fattori, tra i quali si possono citare: il prezzo finora relativamente basso del petrolio, i rischi conseguenti alle attività estrattive, la scarsa conoscenza delle risorse disponibili, alti costi di investimento rispetto ai sistemi tradizionali, difficoltà burocratiche e legali, preferenza di forme di riscaldamento individuale piuttosto che collettivo, presenza di serre di ridotte dimensioni, etc. Poiché la crescente attenzione verso i problemi ambientali (obiettivi di Kyoto), favorisce un uso più intensivo delle forme di energia rinnovabile, si ritiene tuttavia che l’uso dell’energia geotermica possa assumere nel nostro Paese un ruolo importante [8].

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Tab. II: Usi diretti del calore geotermico al 31 Dicembre 2004 [8] J

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2. IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE GEOTERMICI Un impianto che utilizza l’energia geotermica per la climatizzazione è sostanzialmente composto da: - pompa di calore, generalmente installata all’interno dell’edificio, o scambiatore di calore tra fluido derivante dal sottosuolo e sistema di distribuzione del calore;

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- sistema di accoppiamento con il terreno oppure con l’acqua di falda o di superficie; - sistema di distribuzione ed erogazione del calore, comprendente i terminali di impianto. Vengono di seguito descritti gli usuali schemi impiantistici di sistemi di climatizzazione geotermica. 2.1. Riscaldamento Lo schema di base è costituito dal circuito idraulico che riceve calore dal condensatore della pompa di calore e lo cede agli ambienti da riscaldare (vedi Fig. 3). Nei sistemi più complessi si ha un’eventuale suddivisione in zone, ciascuna servita da un proprio circuito “secondario” che fa capo a collettori di mandata e ritorno. Il circuito “primario” è in questo caso quello compreso tra condensatore e collettori. L’adottabilità delle pompe di calore è essenzialmente funzione della temperatura dell’acqua calda richiesta dall’utenza, come qui di seguito descritto.

Fig. 3 – Schema di principio di una pompa di calore in regime di riscaldamento

Utenze termiche che richiedono acqua a bassa temperatura (fino a 50°C) Le tipologie di impianti di riscaldamento più diffuse appartenenti a questa categoria sono impianti a pannelli radianti, impianti a ventilconvettori, impianti a tutta aria e travi attive. Questi impianti sono ottimali dal punto di vista dell’impiego di pompe di calore poiché richiedono temperature dell’acqua calda anche inferiori a 35°C ed occasionalmente valori pari a circa 50°C (per la produzione dell’acqua calda sanitaria), con apprezzabili valori di COP (vedi Fig. 4). I citati terminali di impianto possono essere inoltre utilizzati nel raffrescamento, estendendo il tempo di utilizzo della pompa di calore (in questo caso reversibile) anche alla stagione estiva. In questo caso il tempo di ritorno dell’investimento è basso, visto l’utilizzo continuo della macchina durante l’anno.

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Fig. 4 – Andamento del COP in funzione della differenza tra le temperature dell’utenza calda e della sorgente fredda [9]

Utenze termiche che richiedono acqua a medio-alta temperatura (da 50 a 65°C) Le tipologie di impianti di riscaldamento più diffuse che fanno parte di questa categoria sono impianti a radiatori, ventilconvettori, aerotermi, unità di trattamento aria (UTA). Nel caso di impianti nuovi il miglior criterio è quello di dimensionarli per temperature di esercizio inferiori all’intervallo considerato. Ciò è relativamente facile nel caso degli aerotermi e delle UTA, per le quali lo scambio termico è di tipo convettivo forzato dal ventilatore. Nel caso dei radiatori la potenza erogata è fortemente dipendente dalla temperatura dell’acqua, cosa che comporta maggiore ingombro e maggior costo nel dimensionamento a bassa temperatura. Nel caso di impianti esistenti occorre verificare la fattibilità sia tecnica che economica. I casi di più immediato interesse che si prospettano in relazione a questa tipologia di intervento sono quelli di edifici o di quartieri costruiti negli anni ’60 e ’70 che hanno la necessità di ristrutturare la centrale termica. Si noti peraltro come l’utilizzo di pompe di calore di elevata potenza (vedi Fig. 4) permette di ottenere comunque elevati COP, seppure con temperature di mandata, ai terminali di impianto, piuttosto elevate. Inoltre, se la sostituzione della centrale termica è accompagnata da interventi di riqualificazione dell’involucro, come per esempio la sostituzione di serramenti, le temperature di funzionamento dei corpi scaldanti diminuiscono, con evidente beneficio sull’efficienza. Utenze termiche che richiedono acqua ad alta temperatura (oltre 65°C) Per quanto detto in precedenza la pompa di calore potrebbe ancora essere adeguata per servire utenze quando la temperatura dell’acqua calda richiesta eccede i 65°C, solo per impianti di elevata potenza e comunque in presenza di acqua superficiale fluente ad

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una temperatura non inferiore a 5°C. E’ quanto accade nei grandi impianti di teleriscaldamento scandinavi, dove si possono trovare installazioni di alcune decine di megawatt termici, eventualmente accoppiate ad impianti di cogenerazione [9]. Trasferimento di calore mediante anello d’acqua Gli impianti ad anello d’acqua costituiscono un’interessante soluzione tecnica per quegli edifici ove vi sia contemporanea richiesta di riscaldamento e di raffrescamento. Quest’ultimo può essere necessario anche nella stagione invernale quando vi è elevata produzione di calore da fonti interne, come tipicamente accade negli edifici del terziario. Il concetto di base è quello di avere un certo numero di pompe di calore reversibili ciascuna dedicata ad un ambiente o ad una zona dell’edificio oppure ad una funzione particolare (ad es. raffreddameto di locali contenenti computer o server). Esse si interfacciano da un lato con l’ambiente da riscaldare (o raffrescare) e dall’altro con un circuito di acqua ad anello che viene mantenuto ad una temperatura cosiddetta “neutrale”, intorno a 20-25°C. Le unità funzionanti in raffrescamento estraggono calore dall’ambiente (lato evaporatore) e riversano nell’anello il calore da dissipare (lato condensatore), mentre le unità funzionanti in riscaldamento usano l’anello come fonte di calore a bassa temperatura (lato evaporatore) e riversano in ambiente il calore necessario (lato condensatore). Il cambio di configurazione avviene automaticamente secondo le esigenze dei diversi ambienti. Naturalmente è difficile che i carichi termici e frigoriferi si bilancino tra loro, pertanto sarà comunque necessaria un’interfaccia esterna all’anello d’acqua per riversare il calore in eccesso, quando, nella stagione estiva, la maggior parte delle pompe di calore funziona in raffrescamento, ricorrendo ad una torre evaporativa, oppure ad acqua di pozzo. Nella stagione invernale può accadere di attingere il calore necessario a mantenere la temperatura nell’anello d’acqua, quando le pompe di calore funzionano prevalentemente in riscaldamento. Ciò è ottenibile interponendo una pompa di calore tra l’acqua di falda e l’anello d’acqua. Questa soluzione comporta vantaggi e svantaggi: - dal punto di vista dell’investimento si hanno due effetti contrapposti: da un lato un maggiore costo rispetto al caso di impianto centralizzato poiché invece di un'unica macchina o al più di poche unità, vi sono diverse unità di piccola taglia dislocate nell’edificio. Per contro la potenza complessivamente installata è minore per effetto della funzione di trasferimento di calore; - i costi di manutenzione sono maggiori rispetto ad un impianto centralizzato, mentre i costi di esercizio sono ridotti per il fatto che si opera il trasferimento di calore; - l’impianto è più flessibile, soprattutto nelle mezze stagioni, cosa che comporta maggior comfort all’interno degli ambienti; - dal punto di vista termodinamico si tratta di una soluzione con due pompe di calore in serie (una operante tra la falda e l’anello, e l’altra tra l’anello e l’utenza) il cui effetto cumulato è sostanzialmente identico al caso in cui si abbia una sola macchina che opera tra falda e utenza.

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Fig. 5 – Schema di impianto ad anello d’acqua [29]

2.2. Raffrescamento Esistono sostanzialmente due modalità: utilizzo di una pompa di calore reversibile, e il raffreddamento gratuito (free cooling). Pompa di calore reversibile Il funzionamento di una pompa di calore reversibile nella modalità di raffrescamento è in tutto simile a quello di un gruppo frigorifero raffreddato ad acqua (Fig. 6). Bisogna porre particolare attenzione al dimensionamento della macchina, quando essa deve operare sia in regime di riscaldamento che di raffreddamento. Generalmente le potenze rese dalle macchine reversibili sono simili, in valore assoluto, in fase di riscaldamento e di raffrescamento; tuttavia, secondo le richieste energetiche in una stagione piuttosto che nell’altra, il dimensionamento del circuito scambiatore sulla sorgente esterna dovrà essere fatto in funzione della situazione più gravosa.

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Fig. 6 – Schema di principio di una pompa di calore in regime di raffreddamento

Raffreddamento gratuito (Free cooling) Il free cooling è ottimale nelle stagioni intermedie, poiché permette il raffrescamento degli ambienti senza avviare il gruppo frigorifero, quando il carico frigorifero delle utenze non è ancora elevato ed è generalmente limitato ad alcune di esse. Questa modalità di funzionamento può ottenersi mediante uno scambiatore di calore tra il circuito esterno e il circuito interno di utenza (vedi Fig. 7). Tale scambiatore di calore sarà installato in parallelo all’evaporatore della pompa di calore [10]. Nelle località appartenenti alla zona climatica F (con riferimento alla legislazione italiana), nel caso di applicazione residenziale, la limitata richiesta in regime di raffrescamento può essere ottenuta mediante l’operazione di free cooling.

Fig. 7 – Schema di funzionamento in regime di “free cooling”

3. GLI IMPIANTI GEOTERMICI A CIRCUITO CHIUSO Gli impianti accoppiati direttamente con il terreno attraverso un sistema di tubazioni a circuito chiuso al cui interno scorre il fluido termovettore, rappresentano il sistema più versatile di impiego dell’energia geotermica [11]. Le tubazioni interrate che costituiscono un siffatto sistema sono usualmente denominate “sonde geotermiche”. Le pompe di calore accoppiate a sonde geotermiche utilizzano l’acqua come fluido termovettore per il circuito di utenza dell’edificio e anche per gli scambiatori di calore a

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terreno, in questo caso eventualmente additivata con liquidi anticongelanti. Se nell’utilizzo della macchina prevale nettamente il funzionamento nella stagione invernale (o estiva) può verificarsi un progressivo raffreddamento (o riscaldamento) del sottosuolo, che può causare un decadimento delle prestazioni nel corso degli anni; è necessario in tal caso un sovradimensionamento iniziale dell’impianto (che in genere può essere dell’ordine di 10%), con possibile aumento del tempo di ritorno dell’investimento. L’equilibrio tra funzionamento estivo ed invernale limita o addirittura elimina le variazioni termiche del terreno nel corso degli anni, e diminuisce i tempi di recupero dell’investimento iniziale. Se l’utilizzo è prevalentemente invernale, esiste la possibilità di realizzare il “free cooling” in estate, qualora sia sufficiente un blando raffrescamento, attraverso uno scambiatore (tra circuito lato terreno e circuito lato edificio) in alternativa alla macchina frigorifera, quando le condizioni climatiche (del terreno e dell’ambiente esterno) lo consentono. Un’altra possibilità è quella di rigenerare il terreno (ossia riscaldarlo durante l’estate) accumulando calore mediante collettori solari [12]. Se durante il periodo estivo è richiesto anche il controllo dell’umidità dell’ambiente, la temperatura di produzione dell’acqua refrigerata non può essere elevata (16°C), come sarebbe richiesto, per esempio da un impianto a pannelli radianti a soffitto o a travi attive, ma deve restare su valori usuali (7°C), introducendo una penalizzazione in termini di COP. Le macchine più evolute, utilizzate in questi impianti, consentono il doppio valore della temperatura di evaporazione (per esempio 5°C e 14°C); in alternativa può essere vantaggioso suddividere la potenza frigorifera su due macchine ditinte, una per l’alimentazione dei teminali e una per la deumidificazione dell’aria di ventilazione. Il materiale comunemente impiegato per la realizzazione delle sonde geotermiche è il polietilene (PE). Grazie alle sue eccellenti caratteristiche, il PE, trova ampi usi nella realizzazione di impianti per gas, acqua ed altre applicazioni industriali; esso possiede i requisiti adatti per l'applicazione nel campo delle sonde geotermiche, tra i quali possiamo ricordare: - alta resilienza e allungamento alla rottura; - buone caratteristiche meccaniche; - buona resistenza alle sostanze chimiche; - buon comportamento a lungo termine; - basse perdite di carico idraulico; - rapporto prezzo/prestazioni vantaggioso. I tubi in polietilene sono standardizzati come materia prima dalle norme UNI EN 12201 del 2004, e a quanto previsto dal D.M. n. 174 del 06/04/2004 (sostituisce Circ. Min. Sanità n. 102 del 02/12/1978); devono essere contrassegnati dal marchio IIP dell’Istituto Italiano dei Plastici o equivalente marchio europeo, secondo quanto previsto dal “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 Febbraio 1994, n. 109, e successive modifiche”. Si possono distinguere due tipologie adottabili nel settore delle sonde geotermiche: il polietilene reticolato ad alta pressione (PE-Xa) ed il polietilene non reticolato (PE 100). I vantaggi principali del polietilene reticolato possono riassumersi nei seguenti aspetti [14]: - assenza di propagazione di crepe di lavorazione o fenditure; - non è necessaria la realizzazione di un letto di sabbia per la posa;

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- possibilità di impiego anche a temperature superiori a 40 °C, ovvero di utilizzo per accumulo di calore; - possibilità di utilizzare raggi di curvatura ridotti, anche in caso di temperature rigide; - tecnica di collegamento a giunzione solida, rapida e svincolata dalle condizioni atmosferiche. In Tab. III sono riportati alcuni dati di confronto tra PE e PE-Xa. Tab. III: Vita media prevista e relative pressioni massime di esercizio continuo per tubazioni diSpolietilene, in [14] I funzione della temperatura S 7(03(5$785$ ƒ& ƒ& ƒ& ƒ& ƒ& ƒ& ƒ& ƒ&

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Per quanto riguarda le tipologie impiantistiche esistono sostanzialmente due soluzioni adottabili pert le sonde geotermiche: 1. Sonde geotermiche verticali (SGV). 2. Sonde geotermiche orizzontali. Se ne illustrano qui di seguito le principali caratteristiche. 3.1. Sonde geotermiche verticali La temperatura del terreno è influenzata dalle fluttuazioni giornaliere e stagionali di temperatura fino ad una profondità di circa 10 metri; da 10 a 20 metri di profondità la temperatura del terreno rimane relativamente stabile (con oscillazioni di 1 o 2 °C) e pari alla temperatura media annuale della località; per profondità superiori a 20 metri si verifica mediamente un aumento della temperatura pari a 3°C ogni 100 metri, per influenza del calore endogeno della Terra. Con le sonde geotermiche verticali, la profondità tecnicamente ed economicamente accettabile arriva fino a 150 m, più raramente oltre i 200 m. Nella Fig. 8 si riportano alcune configurazioni di posa delle tubazioni per le sonde verticali. Le tubazioni all’interno della sonda verticale possono avere diverse geometrie: a. singolo tubo ad U: all’interno della perforazione vengono inseriti un tubo di mandata e uno di ritorno collegati sul fondo, quindi si esegue il getto di riempimento (Fig. 8.a); b. doppio tubo ad U: come il precedente, con la differenza che nella perforazione si inseriscono quattro tubi collegati a due a due sul fondo (Fig. 8.b); le due “U” possono essere collegate tra loro in serie o in parallelo; c. tubi coassiali: il tubo di ritorno è interno a quello di mandata, che occupa tutta la sezione della perforazione, e quindi, se il diametro del tubo esterno è uguale o di

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poco più piccolo di quello della perforazione, non è necessario il getto di riempimento (Fig. 8.c).

Fig. 8 – Sezione trasversale dei diversi tipi di sonde geotermiche verticali [11]

Fig. 9 – Sonda geotermica verticale del tipo a “doppia-U” [13]

La maggior parte degli impianti SGV presenta la sonda a doppia U, miscela di acqua e glicole etilenico (al 20% circa) come fluido termovettore e la possibilità di realizzare il “free cooling” in estate.

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3.2. Sonde geotermiche orizzontali Le sonde geotermiche orizzontali a prima vista possono apparire più economiche rispetto a quelle verticali, ma molto dipende dal tipo di scavo e dall’eventuale presenza di falda superficiale. Il campo di sonde a sviluppo orizzontale può presentarsi in diverse configurazioni, differenti fra loro secondo le diverse disposizioni delle tubazioni, del numero di tubi impiegati e della connessione fra i rami come illustrato in Fig. 10.

Fig. 10 – Configurazioni di posa per le sonde geotermiche a sviluppo orizzontale [15]

E’ evidente che ad un maggiore fabbisogno termico dell’edificio corrisponde una maggiore estensione della superficie del terreno dedicato alla posa del campo di sonde. I parametri principali che influenzano il flusso termico scambiato fra la sonda e il sottosuolo sono sostanzialmente la lunghezza della tubazione, la profondità di installazione ed il passo tra i tubi; pertanto occorre valutare con attenzione la disponibilità di superficie di terreno da parte dell’utenza qualora si scelga di adottare un impianto a sonde geotermiche a sviluppo orizzontale [15].

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Le sonde orizzontali richiedono comunque superfici del terreno sensibilmente maggiori rispetto a quelle verticali, risentendo inoltre, in certa misura, dell’escursione annuale di temperatura dell’aria esterna. Quest’ultimo aspetto peraltro può giocare a favore di questa tecnologia, soprattutto in ambito residenziale, dove il rapporto tra carichi invernali ed estivi è compreso tra 2 e 3. Risulta pertanto interessante l’utilizzo delle sonde orizzontali, visto che la rigenerazione del terreno in estate può essere fatta a spese della temperatura e dell’irradiazione esterna, e quindi in modo gratuito. 4. GLI IMPIANTI GEOTERMICI A CIRCUITO APERTO Qualora come sorgente termica da abbinare alla pompa di calore venga scelta l’acqua si può utilizzare un sistema a circuito aperto o chiuso. Esempi di circuito aperto e chiuso sono evidenziati nella Fig. 11.

Fig. 11 – Sistemi a ciclo aperto e chiuso utilizzanti l’acqua come sorgente termica [16]

Tra le sorgenti termiche per le pompe di calore, l’acqua, sia essa di superficie (mari, laghi, fiumi, corsi d’acqua) che sotterranea (falda più o meno profonda), è una valida soluzione, dato che, a parità di temperatura con l’aria, presenta caratteristiche di scambio termico di gran lunga migliori ed un calore specifico più elevato. Inoltre il suo livello termico non è negativamente influenzato dalle condizioni esterne: aria più calda nei momenti di maggior carico termico estivo, aria più fredda nei momenti di maggior carico termico invernale. L’uso delle acque superficiali è favorevole in Italia rispetto all’Europa settentrionale perché raramente i nostri corsi d’acqua o i laghi ghiacciano anche a fronte di prolungate temperature esterne sotto zero. Per contro, un ostacolo è costituito dalla variazione stagionale di portata d’acqua che può essere rilevante, con cospicue riduzioni nel periodo estivo, quando l’acqua è utile nel funzionamento della macchina come refrigeratore.

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Fig. 12 – Andamento delle isoterme nel Lago Maggiore in funzione della profondità, (anno 1996) [17]

In Fig. 12 si può osservare, a titolo di esempio, l’andamento delle temperature del Lago Maggiore in funzione della profondità nell’arco di un anno. Si può osservare che, in un caso del genere, l’acqua consente anche il free-cooling, cioè il suo impiego diretto (tramite uno scambiatore di calore) nell’impianto di condizionamento, per il raffreddamento o il pre-raffreddamento dell’aria. L’ostacolo più rilevante per l’utilizzo dell’acqua è purtroppo quello burocratico-amministrativo, sia per le indispensabili autorizzazioni sia per le normative nazionali e regionali che condizionano il prelievo e lo scarico, come più oltre riportato. Altrettanto dicasi per l’uso dell’acqua di mare o di falda salmastra in prossimità della costa, che in Italia offre condizioni molto favorevoli con temperature invernali difficilmente sotto 10°C ed estive mai superiori a 25°C nelle acque costiere. Sono valori adatti sia per la sorgente fredda della pompa di calore sia come serbatoio termico per il refrigeratore. L’aspetto negativo per l’acqua di mare è dovuto all’indispensabile ricorso a scambiatori intermedi realizzati in materiale pregiato e costoso, come il titanio, per resistere all’aggressività dell’acqua marina. A sua volta, l’impiego delle acque sotterranee, tutt’altro che scevro da problemi tecnici, è confortato da una vastissima sperimentazione e pertanto, vista la numerosità delle realizzazioni anche di grandi dimensioni, può considerarsi ormai una tecnologia matura. Anche in Italia l’acqua sotterranea (generalmente acqua di pozzo), è tuttora largamente utilizzata nei raffreddamenti in ambito industriale, con limitazioni sempre più severe nei confronti sia dello scarico in rete fognaria, sia del prelievo. Quest’ultimo è spesso condizionato dal progressivo abbassamento della falda. Per quanto riguarda lo smaltimento a valle dell’uso, è anche possibile, e talvolta obbligatoria, la reiniezione dell’acqua in falda, sia per evitarne l’impoverimento, sia con funzioni di accumulo stagionale. Purtroppo tanto la trivellazione dei pozzi e il prelievo dell’acqua, quanto la reiniezione in falda, in Italia sono ancora temi controversi e l’iter burocratico risulta estremamente complicato [18].

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4.1. La tecnologia ATES La tecnologia ATES (Aquifer Thermal Energy Storage) è un particolare tipo di accumulo termico che sfrutta l’acqua del sottosuolo come serbatoio prelevandola da due diversi pozzi sufficientemente distanti. Durante la stagione estiva, l’acqua di falda viene estratta dal “pozzo freddo” ed è utilizzata per il raffreddamento del condensatore del refrigeratore e successivamente immessa nel sottosuolo nel “pozzo caldo”. Durante il periodo invernale il prelievo avviene dal “pozzo caldo” e, dopo essere stata utilizzata nell’evaporatore della pompa di calore, viene immessa nel pozzo freddo, predisponendolo alla stagione estiva successiva (Fig. 13). Questa tecnologia può essere proficuamente adottata in presenza di bassa velocità nella falda freatica [11].

Fig. 13 – Principio di funzionamento della tecnologia A.T.E.S. a): [30]; b): [31]

Con il termine “acqua di falda” ci si riferisce all’acqua che scorre sotto la superficie terrestre all’interno di materiali non consolidati come sabbie e ghiaie; uno strato acquifero si manifesta dove le formazioni geologiche sono sufficientemente permeabili e adatte ad immagazzinare grandi quantità d’acqua. 4.2. L’acqua di pozzo o di falda La temperatura delle acque sotterranee ha valori prossimi a quelli della temperatura del terreno; di conseguenza, nelle zone dove è disponibile l’acqua di falda, esiste una fonte di energia geotermica a bassa temperatura direttamente utilizzabile. I sistemi geotermici a ciclo aperto utilizzano questa risorsa estraendo l’acqua dalla falda mediante pozzi e inviandola ad uno scambiatore di calore che permette di trasferire l’energia termica dell’acquifero ad un impianto utilizzante, per esempio, una pompa di calore. La maggior parte dei sistemi a circuito aperto successivamente scarica l’acqua utilizzata in un acquifero superficiale oppure la reintroduce in uno strato acquifero eventualmente diverso da quello di prelievo. Questo tipo di sistemi è relativamente semplice da realizzare e per applicazioni residenziali, commerciali e istituzionali è in

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grado di offrire una quantità di energia anche notevolmente superiore a quella ottenibile da sistemi a circuito chiuso con il vantaggio di un minor costo dell’impianto. Tuttavia questi sistemi possono potenzialmente causare la degradazione ambientale dell’acquifero dovuta al riscaldamento o raffreddamento prolungato dello stesso; questo è particolarmente vero nei casi in cui l’iniezione (o la sottrazione) di calore non è ricambiata dalla rimozione (o dall’immissione) di una pari quantità di calore, causando così lo scompenso termico dell’acquifero. La disponibilità di un prelievo di acqua di falda, utilizzata congiuntamente ad una pompa di calore del tipo acqua-acqua, permette la realizzazione di diverse soluzioni impiantistiche. Si descrivono di seguito alcune tipologie di soluzioni adottabili. Utilizzo diretto Secondo questo schema le acque del sottosuolo emunte vanno direttamente alla pompa di calore e successivamente vengono restituite in ambiente (corso d’acqua superficiale). Questa soluzione è quella preferibile dal punto di vista tecnico economico, poiché è la più semplice e meno costosa e permette di utilizzare l’intero salto termico disponibile. Nel caso in cui le acque sotterranee contengano sostanze corrosive (acque sulfuree, ecc.), corpi solidi in sospensione o elementi comunque dannosi all’ambiente o alle superfici di scambio dell’evaporatore o del condensatore, occorre prevedere l’impiego di configurazioni e/o materiali speciali (scambiatori di calore a piastre, superfici di scambio in acciaio inox o in titanio), come più oltre illustrato. Loop intermedio Questo schema impiantistico è caratterizzato da un circuito intermedio che separa la pompa di calore dalla sorgente termica a bassa temperatura. Esso evita la presenza di una superficie di scambio che crea contiguità tra acqua di falda, da una parte, e fluido refrigerante dall’altra; l’evaporatore risulta così protetto dalla eventuale presenza di sostanze dannose presenti nell’acqua. Si distinguono i seguenti circuiti idraulici in sequenza: - circuito dell’acqua di falda, costituito dal pozzo di emungimento (con filtri e pompa sommersa), scambiatore di calore e tubazione di scarico in corso superficiale; - circuito intermedio, che riceve il calore dallo scambiatore sopra menzionato e lo trasferisce all’evaporatore/ condensatore della macchina frigorifera; - circuito del fluido di lavoro (refrigerante) della macchina; - circuito dell’utenza alimentato dal condensatore/evaporatore della macchina. Lo svantaggio di questa soluzione è che il circuito intermedio riduce di almeno 35°C il salto termico disponibile dell’acqua di falda. Questa soluzione è preferibile qualora si volesse reimmettere l’acqua in falda dopo il passaggio nell’impianto. Vasca polmone In questa soluzione impiantistica il circuito idraulico dell’acqua della falda è aperto e alimenta una vasca di accumulo. Si ha la seguente sequenza: - emungimento dell’acqua dal sottosuolo ed invio alla vasca;

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- prelievo dell’acqua dalla vasca, invio alla macchina e, da qui, allo scarico. In caso di rotture o malfunzionamenti dell’evaporatore/condensatore il refrigerante e l’olio eventualmente trasportato andrebbero a raccogliersi nelle vasche, evitando così di contaminare il pozzo di emungimento o la linea di restituzione.. Per contro il sistema è reso più ingombrante e costoso [21]. 4.3. Il trattamento dell’acqua di falda Le problematiche che generalmente si incontrano nell’utilizzo delle acque di pozzo nei circuiti di riscaldamento e raffreddamento non sono facili da sintetizzare, poiché comprendono sia aspetti tecnici specifici, da un lato (relativamente a riscaldamento e raffreddamento), che aspetti quanto mai diversificati dall’altro (caratteristiche e utilizzo dell’acqua di pozzo): è necessario basarsi fondamentalmente su esperienze maturate nel settore. Per affrontare i problemi specifici occorre fare riferimento a tre tipologie principali di acque utilizzabili: 1) acqua di falda fredda con caratteristiche rispondenti ai requisiti delle acque potabili (D.L. n. 31 del 2 febbraio 2001); 2) acqua di falda fredda con le peggiori caratteristiche presenti nel Triveneto; 3) acqua di falda a medio-alta temperatura (30 ÷ 80 °C). Nonostante la specificità geografica, si ritiene che la trattazione sia comunque utile nell’ottica di un utilizzo diffuso dell’acqua di falda, in quanto la casistica qui riportata risulta molto simile a quella di diverse altre zone del territorio nazionale. Caso 1: acqua di falda fredda potabile I problemi connessi con l’utilizzo di quest’acqua sono la presenza di incrostazioni, legate al calo della solubilità dei sali di calcio e magnesio (durezza) per effetto della temperatura, e proliferazioni algali, batteriche etc., naturalmente derivanti da una loro presenza nell’acqua di pozzo, con formazione di biofilm, che influisce negativamente sullo scambio termico. Nel caso considerato occorre procedere alle seguenti verifiche: 1) analisi chimica dell’acqua; 2) verifica degli indici di Langelier e di Ryznar (buoni indicatori sul comportamento incrostante o aggressivo dell’acqua); 3) verifica delle temperature di funzionamento (quanto più elevato è il salto termico tanto più elevata sarà la precipitazione salina o meglio della durezza temporanea, accompagnata anche dalla proliferazione batterica e algale); peraltro occorre sottolineare che il livello delle temperature, nei casi in esame, è sempre inferiore a 100°C. Generalmente, in relazione al limitato salto termico cui si è vincolati e ai grandi volumi di acqua erogati, è sufficiente un dosaggio proporzionale di prodotti chimici. La loro scelta sarà orientata dall’analisi chimica dell’acqua e dalla verifica degli indici sopraccitati. Se a prevalere è la componente incrostante o quella aggressiva si sceglie fra i componenti sottoelencati, che sono quelli più comunemente usati e dei quali si riporta la componente prevalente:

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polifosfati, la cui azione prevalente è antincrostante; polifosfati e silicati che associano gli effetti anticorrosivo e antincrostante; fosfonati, la cui azione prevalente è antincrostante; polialchilammine, che associano gli effetti anticorrosivo e antincrostante; poliammide, che associa gli effetti anticorrosivo e antincrostante; polialchilammine miscelate con sali quaternari d’ammonio, che associano gli effetti: anticorrosivo, antincrostante e antialghe. Secondo le valutazioni sulla presenza algale, il dosaggio di un antincrostante o anticorrosivo è completato da un dosaggio di prodotto antialghe. Le molecole più usate per contenere la proliferazione algale sono principalmente: - ipoclorito di sodio; - sali quaternari di ammonio; - biossido di cloro; - acqua ossigenata e ioni d’argento; - composti organici di zolfo-azoto. Caso 2: acqua di falda fredda con le peggiori caratteristiche presenti nel Triveneto Diversi sono i problemi connessi all’utilizzo di questo tipo di acqua: a) Presenza di ferro e manganese, il cui effetto è la formazione di depositi con ostruzioni delle tubazioni, la crescita di fenomeni corrosivi sotto deposito, le corrosioni per ferrobatteri (Gallionella). b) Presenza di metano, la cui presenza, a parte i rischi di esplosione o incendio, implica con molta probabilità un’acqua contaminata da batteri e sostanze organiche da cui possono derivare depositi organici, fenomeni di corrosione e formazioni di biofilm; questo elemento è particolarmente presente nelle zone centrali della pianura padana a cavallo del Po. c) Presenza di nitrati, ammoniaca, nitriti o batteri nitrificanti (Nitrosomonas e Nitrobacter possono trovare le condizioni ambientali per trasformare in acido nitrico l’ammoniaca); i nitrati danno luogo a fenomeni di corrosione localizzata. d) Batteri solfato riduttori (acido solfidrico, segnalato dal caratteristico odore di uova marce); in presenza di solfati il Desulfovibrio porta alla formazione di FeS e quindi a una corrosione autostimolante. e) Presenza di incrostazioni, dovuta al calo della solubilità dei sali di calcio e magnesio (durezza) per effetto della temperatura. f) Proliferazioni algali, batteriche ecc., derivanti naturalmente da una loro presenza nell’acqua di pozzo, con formazione di biofilm che influenza in maniera fortemente negativa lo scambio termico. In questo caso occorre procedere alle stesse verifiche a cui si ricorre nel caso di acqua potabile (Caso 1). La tecnica di intervento deve rimuovere questi elementi pericolosi oppure contrastare con prodotti chimici la loro deleteria presenza. Il ferro e il manganese sono rimossi con la classica tecnica dell’ossidazione e della filtrazione multistrato con letto catalitico, che unisce le esperienze americane e tedesche nel campo della filtrazione. In questo caso si consiglia l’immissione di ipoclorito perché potrebbe essere eseguita in linea e consentirebbe lo sfruttamento quasi integrale del salto

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termico di progetto dell’acqua. L’ossigenazione o l’aerazione richiederebbe tempi prolungati di contatto, e conseguentemente vasche di notevoli dimensioni, e inoltre si disporrebbe di acqua a una temperatura poco adatta allo scopo. Il ricorso ad ozono e biossido di cloro è da escludere poiché, oltre al mancato sfruttamento del ciclo termico per il primo, si aggiungerebbero dei costi di gestione troppo onerosi per entrambi. Queste considerazioni valgono anche per la risoluzione dei problemi di presenza di incrostazioni e proliferazioni algali, batteriche ecc. Il metano, una volta estratto dall’acqua, non crea problemi, purché si verifichino gli aspetti termici della fase di estrazione. Nel caso di presenza di nitrati, ammoniaca, nitriti o batteri nitrificanti, occorre principalmente distinguere tra nitrati e ammoniaca. I primi sono molto legati alle lavorazioni agricole e quindi a fattori di stagionalità. La loro rimozione è molto costosa e quindi è preferibile trasferire la loro “neutralizzazione” nella scelta dei materiali che compongono l’impianto, con conseguenti costi sicuramente inferiori. L’ammoniaca ha la necessità di un’ossidazione e fra le varie tecniche si sceglie la più semplice per gestire il break-point (dosaggio di ipoclorito di sodio fino a un potenziale redox di 750 mV). Questa soluzione, oltre a richiedere un tempo di contatto elevato e dimensioni notevoli delle vasche, riduce il salto termico disponibile e quindi la potenziale efficienza di un sistema ad acqua. Come per i nitrati è meglio scegliere in modo opportuno i materiali, evitando assolutamente il rame e i composti cuproammoniacali. I batteri solfato riduttori o acido solfidrico richiedono una rimozione molto semplice ed efficace, che consiste nell’insufflazione di aria o aerazione che però penalizza l’aspetto termodinamico, come già visto in precedenza. La tecnica di rimozione degli elementi appena visti deve essere integrata dal dosaggio proporzionale dei prodotti chimici già citati per il Caso 1 sopra desritto, e la loro scelta sarà orientata dall’analisi chimica dell’acqua e dalla verifica degli indici sopraccitati. Anche in questo caso, per contrastare la presenza algale il dosaggio di un antincrostante o anticorrosivo sarà associato ad un dosaggio di prodotti antialghe come precedentemente descritto. Caso 3: acqua di falda a medio-alta temperatura (30 ÷ 80 °C) I problemi connessi all’utilizzo di queste acque sono relativi alla temperatura. L’acqua a circa 30°C, con profondità di prelievo media di circa 400 ÷ 500 m, viene utilizzata direttamente nel riscaldamento a pavimento (aree costiere del Veneto e del Friuli) e ha dimostrato problemi quali ostruzioni della rete derivanti da precipitazioni saline in genere, corpi estranei e proliferazioni algali. L’acqua a 60 ÷ 80 °C con derivazione di origine vulcanica (zona Abano e limitrofe) presenta problemi di corrosione molto elevati. L’analisi chimica dell’acqua è in questi casi indispensabile. Generalmente le soluzioni non coinvolgono il trattamento dell’acqua ma solo ed esclusivamente la parte impiantistica nella scelta dei materiali. Naturalmente tutte le problematiche viste non prendono in considerazione i circuiti secondari ai quali si applicano le norme UNI-CTI 8065 e 8884.

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5. GLI ASPETTI NORMATIVI E LEGISLATIVI Nei primi anni del secolo scorso in Italia vigevano leggi diverse da Regione a Regione, derivanti dagli Stati esistenti prima dell’unità d’Italia. In alcune Regioni vigeva ancora il sistema fondiario per cui il proprietario del suolo era anche il proprietario di tutto ciò che era ricavabile dal sottosuolo. Inoltre l’estrema frammentazione della proprietà rendeva difficile la nascita e lo sviluppo di imprese minerarie per la ridotta capacità tecnico-economica dei titolari dei diritti di superficie. 5.1. La legge mineraria del 29 luglio 1927 n° 1443 Il Governo dell’epoca ritenne opportuno disciplinare in un’unica raccolta organica di leggi l’attività mineraria su tutto il territorio nazionale assumendo il principio che “…. I diritti del proprietario debbono armonizzarsi con le esigenze della consociazione civile…”. Pertanto, “la disponibilità del sottosuolo doveva essere svincolata da quella della superficie”. Per perseguire lo sviluppo delle imprese minerarie con il Regio Decreto 1443 del 1927, furono omogeneizzate le legislazioni in materia mineraria allora vigenti; venne altresì stabilito che il minerale costituiva “Patrimonio Indisponibile dello Stato” (ex Art. 826 c.c.). Le risorse minerarie vennero suddivise in due categorie, I e II, a seconda dell’importanza economica e strategica del minerale; per ciascuna categoria vennero definite norme specifiche. Il permesso di ricerca e coltivazione mineraria era dato in concessione a quei soggetti fisici e giuridici che dimostravano di avere le capacità tecniche ed economiche idonee a svolgere il programma dei lavori approvato con il Decreto. L’unico interlocutore del Ricercatore e/o Concessionario per l’autorizzazione allo svolgimento delle attività minerarie era il Ministero dell’Economia Nazionale – Direzione Generale delle Miniere. La gestione ed il controllo sul territorio erano attuati dal Ministero attraverso il Corpo delle Miniere, con i Distretti minerari. I proprietari dei fondi compresi nel perimetro del Permesso di ricerca e/o Concessione mineraria non potevano opporsi ai lavori, pur avendo il diritto al risarcimento dei danni. Le attività di esplorazione e coltivazione erano considerate opere di utilità comune, urgenti ed indifferibili e quindi seguivano un iter amministrativo privilegiato. Tale legislazione, seppure aggiornata in molti aspetti (riguardanti soprattutto la sicurezza, ed integrata in tempi recenti con leggi di settore del 1986 riguardanti gli Idrocarburi e la Geotermia, trasferendo le competenze dal Corpo delle Miniere all’Ufficio Nazionale Minerario Idrocarburi e Geotermia, e perciò dai Distretti Minerari alle Sezioni dell’UNMIG) è rimasta valida fino all’avvento del D.L. n° 112 del 31 Marzo 1998, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali in attuazione della legge n° 59 (capo IV) del 15 Marzo 1997.

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La “legge geotermica” per il rilancio del settore

Agli inizi degli anni ’70 il Regio Decreto del 1927 prima menzionato, mostrava le prime limitazioni di fronte agli sviluppi tecnologici degli impianti di perforazione. Inoltre, erano maturate altre esigenze, di carattere ambientale, relative ai rapporti con il territorio nei quali si svolgevano le attività di esplorazione, di sicurezza per il personale. Ciò indusse il Parlamento ad adottare una legge specifica per la geotermia, e cioè la Legge n° 896 del 9 Dicembre 1986, e successivamente il suo Regolamento di attuazione con il DPR n° 395 del 9 Dicembre 1991. Questa legge fu la prima del corpo legislativo italiano ad adottare una regolamentazione assimilabile alle successive normative di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). Questa valutazione venne affidata congiuntamente al neonato Ministero dell’Ambiente, al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, al Ministero dell’Agricoltura, e a quello della Sanità, nonché alle Regioni ed ai Comuni interessati, con il coordinamento del Ministero dell’Industria che svolgeva anche le funzioni di Autorità proponente. Nello stesso periodo furono emesse anche varie norme inerenti sia la “gestione” del fluido termovettore (Legge n° 319 del 10 Maggio 1976) che le emissioni in atmosfera (DPR n° 203 del 24 Maggio 1988). La Legge n° 319/76 (meglio nota come “Legge Merli”) e le sue successive modifiche ed integrazioni, prevedeva che le condense dei fluidi geotermici non potevano essere scaricate in superficie se non dopo essere adeguatamente trattate; il trattamento risultava in alcuni casi estremamente oneroso. Di conseguenza, per cercare di risolvere in altro modo il problema della gestione dei reflui geotermici, furono accelerati fortemente gli studi e le sperimentazioni sulla reiniezione dei reflui negli stessi serbatoi di provenienza dei fluidi estratti. Le norme sulle emissioni in atmosfera dei reflui gassosi hanno fatto avviare una serie di studi ed esperienze volti a minimizzare l’impatto sulle popolazioni residenti. Essi sono sfociati in un brevetto dell’Enel di abbattimento praticamente totale dell’idrogeno solforato e del mercurio nei gas di scarico delle centrali, cui è stato dato nome AMIS (Abbattimento di Mercurio ed Idrogeno Solforato). 5.3. Il regolamento di attuazione della “legge geotermica” Alla legge geotermica del 1986 ha fatto seguito, seppure con ritardo, il regolamento di attuazione adottato con il DPR 395/91 che ha dettato norme specifiche per la gestione del titolo minerario. L’energia per unità di massa degli idrocarburi è di almeno un ordine di grandezza superiore a quella dei fluidi geotermici, quindi i rischi minerari derivanti dalla possibilità di perforare pozzi sterili, e i costi di perforazione in generale, possono essere compensati, nel caso dell’industria petrolifera, dal molto più alto valore dell’energia prodotta. Inoltre, nei pozzi geotermici sono inferiori anche i rischi connessi con la deflagranza dei gas contenuti nei fluidi geotermici.

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5.4. Piano energetico nazionale (Leggi N. 9 e 10 del Gennaio 1991) A seguito del referendum che impose la chiusura delle centrali nucleari, il Governo decise di predisporre un Piano Energetico Nazionale (PEN) in modo da far fronte alle crescenti richieste di energia elettrica, ed alla necessità quindi di sviluppare forme “alternative-integrative” di energia. Nella legislazione furono così introdotti molteplici riferimenti allo sviluppo ed incremento dell’impiego delle Fonti di Energia Rinnovabile (FER); vennero altresì stabilite norme su alcuni aspetti particolari del settore dell’energia, ma senza definire una vera e propria strategia energetica nazionale, sia per quanto riguarda la tipologia di impianti da utilizzare, sia per quanto concerne il “mix” energetico (gas, carbone, olio combustibile, FER, etc.). La Legge 9/91 (Norme per l'attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), regolamenta il rilascio delle concessioni idroelettriche, la costruzione degli elettrodotti, e la pianificazione della costruzione degli impianti di produzione elettrica. La Legge 10/91 (Norme per l'attuazione del Piano Energetico Nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia) detta norme sul risparmio energetico, sul miglioramento della compatibilità ambientale e sull’uso razionale dell’energia. Inoltre, fu inserito nella legislazione italiana il concetto che l'utilizzazione delle FER deve essere considerata di interesse ed utilità pubblica, e che le relative opere vanno equiparate a quelle dichiarate indifferibili ed urgenti ai fini dell'applicazione delle leggi sulle opere pubbliche; concetto per altro già vigente per la geotermia in quanto risorsa mineraria. Successivamente, la Delibera CIPE n.137 del 1998 (Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra), ha riconosciuto alla produzione di energia da FER un ruolo estremamente rilevante ai fini della riduzione delle emissioni dei gas serra, paragonabile ai contributi richiesti ad altre importanti attività per la riduzione di tali emissioni. Inoltre, con atti successivi, per ciascuna delle fonti rinnovabili, sono stati definiti gli obiettivi da conseguire per ottenere le riduzioni di emissioni di gas serra, che la delibera CIPE attribuiva alle fonti rinnovabili, e sono state altresì indicati le strategie e gli strumenti necessari allo scopo. Così infatti recita la disposizione: “….Il Governo italiano attribuisce alle fonti rinnovabili una rilevanza strategica. Pertanto, nell’ambito di una coerente ed incisiva politica di supporto dell’Unione Europea, si è inteso sostenere la progressiva integrazione di tali fonti nel mercato energetico e sviluppare la collaborazione con i Paesi dell’area mediterranea…”. In particolare, le enunciate motivazioni per lo sviluppo delle fonti rinnovabili sostengono che esse “…possono fornire un rilevante contributo allo sviluppo di un sistema energetico più sostenibile, incrementare il livello di consapevolezza e partecipazione dei cittadini, contribuire alla tutela del territorio e dell’ambiente, e fornire opportunità di crescita economica….”. Il decentramento amministrativo realizzato con la suddetta Legge n. 59 del 15 Marzo 1997 ha delegato alle Regioni la competenza amministrativa sulle risorse geotermiche conservando allo Stato il potere legislativo e di indirizzo. Inoltre, la Legge n. 59/97 sopra citata ha previsto la possibilità per le Regioni di dotarsi di un proprio piano energetico detto PER (Piano Energetico Regionale) che, tenendo anche conto dei

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fattori ambientali locali, deve costituire uno strumento di programmazione regionale di fondamentale importanza per la definizione di politiche di sviluppo del relativo territorio. 5.5. Recepimento della Direttiva Europea sulla “VIA” In linea generale, la procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) è regolata dall’articolo 40 della Legge n° 146 del 22 Febbraio 1994: “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee - Legge comunitaria 1993”. Tale legge non fa alcun riferimento alle attività geotermiche; pertanto, le norme di tutela ambientale sono quelle disposte dalla Legge n. 896/86 e dal DPR 395/91, con una procedura di approvazione dello “Studio delle Modifiche Ambientali” sostanzialmente diversa dalla VIA della Legge 146/94. Successivamente, con il DPR del 12 Aprile 1996 “Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'Art. 40, comma 1, della Legge n° 146 del 22 Febbraio 1994, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”, e soprattutto con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 Settembre 1999, sono state aggiunte agli allegati A e B, voci specifiche che riguardano le attività geotermiche. In base alle leggi e norme sopra richiamate, tutte le procedure per il rilascio di titoli minerari nel settore geotermico (procedure minerarie vere e proprie, e procedure urbanistiche, edilizie, ambientali e coattive) sono ora di competenza regionale. Attualmente il D. Lgs 152 del 2006 (Parte Seconda: Procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC)) costituisce la normativa di riferimento sull’argomento. 5.6. Conferimento alle regioni della delega amministrativa Il Decreto Legislativo n° 112 del 31 Marzo 1998, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del capo I della legge n° 59 del 15 Marzo1997”, capo VI, Art. 34, stabilisce che “Le funzioni degli uffici centrali e periferici dello Stato relative ai permessi di ricerca ed alle concessioni di coltivazioni di minerali solidi e risorse geotermiche sulla terraferma sono delegate alle Regioni, che le esercitano nell’osservanza degli indirizzi della politica nazionale nel settore minerario e dei programmi nazionali di ricerca”. 5.7. Utilizzo diretto del calore geotermico L’utilizzo di acque geotermiche non idonee alla produzione elettrica può essere distinto in due grossi filoni: uno destinato all’uso balneo-terapico e l’alro destinato all’uso energetico. Quest’ultimo utilizzo è regolamentato da tutte le normative minerarie, nel caso in cui le acque termali provengono da sistemi idrogeologici definiti di interesse locale dalla Legge 896/86 (“…sono risorse di interesse locale quelle economicamente utilizzabili per la realizzazione di un progetto geotermico di potenza inferiore a 20 MWt

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ottenibili dal solo fluido geotermico alla temperatura convenzionale di 25 °C…”). Acque calde reperibili a profondità inferiore a 400 m, con potenza termica non superiore a 2 MWt sono considerate invece piccole utilizzazioni locali. La ricerca e l’uso delle acque termali a scopo terapeutico sono regolamentate dalla legislazione sanitaria, che era già di competenza regionale, pur essendo anch’essa regolata da un regime concessorio [22]. 5.8. Normativa nazionale sulle acque pubbliche Accanto alla normativa inerente allo sfruttamento geotermico del terreno si riportano ora le leggi che disciplinano l’utilizzo delle acque. La normativa sulle acque ha subito nel corso degli anni numerosi interventi e modifiche creando un sistema complesso di norme. Per tracciare uno schema delle principali disposizioni, competenze e adempimenti relativamente alle acque pubbliche è necessario pertanto prendere in considerazione un notevole numero di leggi e decreti (statali e regionali) che si sono susseguiti a partire dal T.U. n. 1775 del 1933. Il Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici (R.D. 11 Dicembre 1933, n. 1775), che contiene norme generali sulle derivazioni e sulle utilizzazioni di acque pubbliche, costituisce ancora oggi la principale norma di riferimento in materia di uso delle acque. E’ da notare che, in base al T.U. 1775/1933, erano pubbliche “tutte le acque sorgenti, fluviali o lacuali le quali abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse”, inoltre le acque pubbliche dovevano essere iscritte a cura del Ministero dei Lavori Pubblici, in pubblici elenchi redatti per Province. Il DPR 24 Luglio 1977 n. 616 ha delegato in via generale alle Regioni numerose funzioni amministrative prima riservate allo Stato. Le funzioni delegate devono essere esercitate nel rispetto delle direttive statali sia generali sia di settore per la disciplina dell’economia idrica. In concreto, per quanto riguarda le derivazioni di acque pubbliche disciplinate dal T.U. n. 1775/1933, il DPR n. 616/1977 ha lasciato allo Stato (Ministero dei Lavori Pubblici) la competenza a rilasciare le concessioni per le grandi derivazioni (con portata d’acqua superiore a 100 litri/secondo), mentre per le piccole derivazioni (con portata fino a 100 litri/secondo) la competenza è stata trasferita alle Regioni. La legge Galli (Legge 5 gennaio 1994, n. 36) ha radicalmente innovato la materia stabilendo all’articolo 1 che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal suolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà. L’articolo 1 stabilisce inoltre che gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse, per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. In base all’articolo 2 l’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi del medesimo corpo idrico superficiale o sotterraneo e gli altri usi sono ammessi quando la risorsa è sufficiente e a condizione che non ledano la qualità dell’acqua per il consumo umano. La Legge Galli introduce, alla lettera f dell’articolo 4, il concetto di servizio idrico integrato: l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. In base all’articolo 8, i servizi idrici

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integrati sono organizzati in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), delimitati dalle Regioni secondo i seguenti criteri: rispetto dell’unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, superamento della frammentazione delle gestioni e conseguimento di adeguate dimensioni gestionali. All’interno di ogni ATO, le diverse fasi della captazione, adduzione e distribuzione delle acque potabili, di fognatura e depurazione devono essere quindi considerati, pianificati e gestiti unitariamente. In questo ambito grande importanza è rivestita dall’Autorità di Bacino che ha il compito di assicurare l’equilibrio del bilancio idrico. A tale proposito, l’Autorità di Bacino, ai sensi dell’articolo 3, definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l’equilibrio fra la disponibilità delle risorse reperibili o attivabili nell’area di riferimento e i fabbisogni per i diversi usi. Il risparmio idrico, invece, secondo l’articolo 5, deve essere conseguito mediante il risanamento e il graduale ripristino delle reti esistenti che evidenzino rilevanti perdite, l’installazione di reti duali nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, l’installazione di contatori in ogni singola unità abitativa nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano e la diffusione di metodi e apparecchiature per il risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo. Il D. Lgs. 31 Marzo 1998, n. 112 ha completato e razionalizzato il trasferimento di molte competenze amministrative dallo Stato alle Regioni già precedentemente avviato con il DPR 616/1977. La nuova normativa tra l’altro ha riordinato la ripartizione delle competenze in materia di gestione dei beni del demanio idrico. In particolare l’articolo 89 conferisce alle Regioni e agli Enti locali tutte le funzioni non espressamente riservate allo Stato dall’articolo 88. In particolare sono trasferite alle Regioni “le funzioni relative alla gestione del demanio idrico, ivi comprese tutte le funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo nonché alla determinazione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi” fatto salvo quanto disposto dall’articolo 29, comma 3, che prevede la perdurante competenza dello Stato per le grandi derivazioni di acque pubbliche per uso idroelettrico. Alla luce delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 112/1998 sembra pertanto che il rilascio delle concessioni per tutte le derivazioni, sia grandi che piccole, di acque pubbliche sia di competenza delle Regioni, con la sola eccezione delle grandi derivazioni di acque pubbliche per uso idroelettrico. Il D. Lgs. 11 Maggio 1999 n. 152 modificava alcune norme del T.U. 1775/1933 al fine di un miglior coordinamento tra le varie normative in materia di acque. Da ultimo, il D. Lgs 152 del 2006 (Parte Terza: Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche) costituisce la nuova normativa quadro per le risorse idriche. Si segnala inoltre come la Legge Finanziaria 2007 per interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti che conseguono risparmi pari ad almeno il 20 per cento per la climatizzazione invernale, riconosce una detrazione fiscale ai fini IRPEF per una quota pari al 55% delle spese; quindi, anche se non espressamente menzionata nel testo di legge, la soluzione geotermica può anch’essa beneficiare di questa forma di incentivo fiscale [21].

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5.9. La Regione Veneto Per quanto riguarda la Regione Veneto la normativa vigente è, nel dettaglio, la seguente. Legge Regionale 1 Giugno 2006, n. 6 (BUR n. 51/2006): Interventi regionali per la promozione del Protocollo di Kyoto e della Direttiva 2003/87/CE La Regione del Veneto, in armonia con i principi e le finalità espressi dal Protocollo di Kyoto, ratificato con legge il 1 Giugno 2002, n. 120 e dalla Direttiva 2003/87/CE del 13 Ottobre 2003, come modificata dalla Direttiva 2004/101/CE del 27 Ottobre 2004, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas serra nella Comunità, promuove iniziative che concorrono alla compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra in atmosfera; Legge Regionale 25 Febbraio 2005, N. 7 (Bur N. 23/2005): disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di miniere, acque minerali e termali, lavoro, artigianato, commercio e Veneti nel mondo. Le disposizioni in materia di acque minerali e termali riguardano la modifica alla Legge regionale 10 Ottobre 1989, n. 40 “Disciplina della ricerca, coltivazione e utilizzo delle acque minerali e termali” e successive modificazioni. Piano di tutela delle acque. Norme tecniche di attuazione, Dicembre 2004 Il Piano di Tutela delle Acque comprende i seguenti tre documenti: a) Stato di fatto: riassume la base conoscitiva e comprende l’analisi delle criticità per le acque superficiali e sotterranee, per bacino idrografico e idrogeologico. b) Proposte di piano: contiene l’individuazione degli obiettivi di qualità, le misure generali e specifiche e le azioni previste per raggiungerli; la designazione delle aree sensibili, delle zone vulnerabili da nitrati e da prodotti fitosanitari, delle zone soggette a degrado del suolo e desertificazione. c) Norme tecniche di attuazione: contengono la disciplina degli scarichi, la disciplina delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento, la disciplina per la tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche. Il Piano definisce gli interventi di protezione e risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei e l’uso sostenibile dell’acqua, individuando le misure integrate di tutela quantitativa e qualitativa della risorsa idrica. Art. 31 […] E’ vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo, in deroga al presente divieto; l’Autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici,…, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico purchè siano restituite in condizioni di qualità non peggiori rispetto al prelievo. Art. 39 […] Nei territori dei comuni ricadenti nelle aree di primaria tutela quantitativa degli acquiferi,…, e nelle restanti porzioni di territorio regionale, sono sospese le istruttorie relative a ricerca o a nuove concessioni di derivazione di acque ad eccezione delle istanze,…, per scopi geotermici o di scambio termico per i quali si attui la reimmissione nella medesima falda, così come previsto dall’Art. 30 del D.Lgs. 152/1999.

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Per quanto riguarda i corsi d’acqua la variazione massima fra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d’acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle, tale variazione non deve superare 1°C. Per i laghi, la temperatura dello scarico non deve superare i 30 °C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve superare in nessun caso i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell’acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 °C. La condizione suddetta è subordinata all’assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce dei corsi d’acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 °C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve superare in nessun caso i 3 °C oltre 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi. Legge Regionale 26 Marzo 1999, N. 10 (Bur N. 29/1999): disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale. La Regione Veneto, in attuazione della direttiva 85/337/CEE e del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, disciplina con la presente legge le procedure di valutazione d’impatto ambientale (in seguito denominata VIA), ai fini di assicurare che, nei processi di formazione delle decisioni relative a progetti di impianti, opere o interventi individuati, si perseguano gli obiettivi di tutela della salute e di miglioramento della qualità della vita umana, di conservazione della varietà della specie, dell’equilibrio dell’ecosistema e della sua capacità di riproduzione, in quanto risorse essenziali di vita, di garanzia della pluralità dell’uso delle risorse e della biodiversità. Entrando più nel merito si definiscono: - Progetti assoggettati alla procedura di VIA in tutto il territorio regionale: attività di coltivazione delle risorse geotermiche sulla terraferma. - Progetti assoggettati alla procedura di VIA qualora ricadano, anche parzialmente, all'interno di aree naturali protette, riguardano: a) Impianti termici per la produzione di vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 25 MW. b) Attività di ricerca di minerali solidi e di risorse geotermiche incluse le relative attività minerarie. c) Impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda. d) Impianti industriali per il trasporto del gas, vapore e dell’acqua calda che alimentano condotte con una lunghezza complessiva superiore a 10 km. - Progetti assoggettati alla procedura di VIA qualora ricadano, anche parzialmente, all'interno di aree sensibili come individuate e classificate nell'allegato D. a) Impianti termici per la produzione di vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW (aree A, D, E). b) Attività di ricerca di risorse geotermiche incluse le relative attività minerarie (aree D, E). c) Impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda (aree D, E). d) Impianti industriali per il trasporto del gas, vapore e dell’acqua calda che alimentano

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condotte con una lunghezza complessiva superiore a 20 km (aree D, E). e) Derivazioni di acqua superficiali ed opere connesse che prevedano derivazioni superiori a 200 l/minuto secondo o di acque sotterranee, ivi comprese acque minerali e termali, che prevedano derivazioni superiori a 50 l/minuto secondo (aree B, C3, D, E). - Progetti assoggettati alla procedura di verifica di cui all'articolo 7 qualora non sottoposti obbligatoriamente alle procedure di VIA: a) Impianti termici per la produzione di vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 65 MW. b) Impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda. c) Impianti industriali per il trasporto del gas, vapore e dell’acqua calda che alimentano condotte con una lunghezza complessiva superiore a 26 km. Nell’Allegato D vengono classificate e individuate le aree sensibili: A- aree densamente abitate: centri abitati delimitati dai comuni ai sensi dell’articolo 4 del Decreto Legislativo 30 Aprile 1992 e successive modificazioni o, in mancanza, centri edificati delimitati dai comuni ai sensi dell’articolo 18 della legge 22 Ottobre 1971, n. 865. B- ambiente idrico superficiale: specchi acquei, marini o lacustri e fiumi, torrenti e corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici approvato con regio decreto 11 Dicembre 1933, n. 1775. C- suolo e sottosuolo: C1 - zone sottoposte a vincolo idrogeologico ai sensi del regio decreto-legge 30 Dicembre 1923, n. 3267, riportate nelle tavole n. 1 e n. 10 del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC); C2 - zone a rischio sismico di cui alla legge 2 Febbraio 1974, n. 64, riportate nella tavola n. 1 del PTRC; C3 - fascia di ricarica degli acquiferi di cui all’articolo 12 delle norme di attuazione del PTRC, individuata nella tavola n. 1 del PTRC. C4 - aree carsiche di cui alla legge regionale 8 Maggio 1980, n. 54. D- ecosistemi: D1 - ambiti naturalistici di livello regionale di cui all’articolo 19 delle norme di attuazione del PTRC, individuati nelle tavole n. 2 e n. 10 del PTRC; D2 - siti individuati con proprio procedimento dalla Regione ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 Settembre 1997, n. 357, per la costituzione della rete ecologica europea denominata “Natura 2000”; D3 - zone umide di cui all’articolo 21 delle norme di attuazione del PTRC, individuate nelle tavole n. 2 e n. 10 del PTRC. E- paesaggio: E1 - località ed ambiti soggetti a vincolo ex legge 29 giugno 1939, n. 1497 e 8 Agosto 1985, n. 431, riportati nelle tavole n. 2, n. 4 e n. 10 del PTRC; E2 - ambiti per l’istituzione di parchi e riserve naturali regionali e aree di tutela paesaggistica di interesse regionale, di cui agli articoli 33, 34 e 35 delle norme di attuazione del PTRC, individuati nelle tavole n. 5 e n. 9 del PTRC. F- ambiti speciali: F1 - zone individuate con gli specifici provvedimenti regionali di cui all’articolo 2,

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comma 1, lettera e) e motivate in ordine a particolari situazioni geoclimatiche, epidemiologiche, di sicurezza idraulica e geofisica [23]. 5.10. Applicazioni geotermiche Allo stato attuale, per quanto riguarda le applicazioni geotermiche a bassa temperatura, la normativa in merito è quasi assente. Per l’esecuzione di una perforazione nel terreno gli adempimenti si rifanno alla Legge 4 Agosto 1984, n. 464 (Norme per agevolare l’acquisizione da parte del Servizio geologico della Direzione generale delle miniere del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato di elementi di conoscenza relativi alla struttura geologica e geofisica del sottosuolo nazionale). Con la Legge del 4 Agosto 1984 n. 464, è fatto obbligo di comunicare al Servizio Geologico d’Italia – Dipartimento Difesa del Suolo (APAT) le informazioni relative a studi o indagini nel sottosuolo nazionale, per scopi di ricerca idrica o per opere di ingegneria civile. Tali informazioni riguardano in particolare le indagini per mezzo di perforazioni e rilievi geofisici spinti a profondità uguali o maggiori di 30 m dal piano campagna e, nel caso delle gallerie, uguali o maggiori di 200 metri di lunghezza. Ai sensi della suddetta Legge (Art. 2) il Servizio Geologico ha la facoltà di “eseguire gli opportuni sopralluoghi per avere diretta cognizione dei fenomeni naturali osservabili nel corso dell’esecuzione degli studi e delle indagini”, per questo motivo si devono preventivamente comunicare le indagini o gli studi da eseguire (indicando la loro ubicazione su carta) e dopo (entro 30 giorni dalla fine dell’indagine) la conclusione delle indagini stesse, riportando altresì i “risultati geologici e geofisici acquisiti”. La legge è stata istituita principalmente al fine di raccogliere e conservare elementi di conoscenza sulla struttura geologica, idrogeologica e geofisica del sottosuolo nazionale. Per quanto riguarda l’invio delle comunicazioni, il mittente è tenuto a inviare le informazioni mediante la compilazione dei “Moduli Legge 464-84”. Qualora si intenda utilizzare l’acqua di falda come fluido termovettore l’iter autorizzativo comprende una prima comunicazione per la realizzazione del pozzo al Genio Civile il quale rilascerà un certificato per l’approvvigionamento idrico da fonte diversa dall’acquedotto, il certificato dovrà poi venire inoltrato all’agenzia territoriale che gestisce la risorsa idrica; quest’ultima rilascerà l’autorizzazione a procedere e tramite sopraluogo stabilirà la portata estraibile. La legge a cui fare riferimento è il Decreto Legislativo 3 Aprile 2006, n.152. Per quanto riguarda la Regione Veneto, si segnala un imminente Disegno di Legge allo scopo di regolamentare l’iter autorizzativo per il rilascio della concessione necessaria all’esecuzione della perforaziozione per l’installazione delle sonde geotermiche. 6. LA GEOTERMIA NELLE ZONE TERMALI L’utilizzo della geotermia si presenta particolarmente interessante nelle zone termali, laddove cioè il terreno presenta temperature superiori alla norma. In Italia

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esistono diverse zone dove viene sfruttata questa risorsa. Nell’ambito del termalismo si registra da un lato una crescita del settore dedicato ai centri benessere mentre dall’altro, il settore prettamente curativo-medico, risulta essere in una situazione di stagnazione. Le industrie legate al termalismo in Italia coinvolgono 70’000 persone circa, con un fatturato di oltre 300 milioni di Euro. Le due aree più importanti in Italia, come intensità di sfruttamento della risorsa geotermica sono il Bacino Termale Euganeo e l’isola di Ischia [24]. Il termine “Bacino Termale Euganeo” nei suoi ampi significati, sottende l’espressione più completa di “Bacino Idrominerario Omogeneo dei Colli Euganei (B.I.O.C.E.)”. L’estensione del B.I.O.C.E., stimabile in 23 km2 all’interno dell’estesa zona collinare, comprende, in un ambito generale di salvaguardia dell’assetto ambientale ed idrogeologico, il territorio dei comuni di Abano Terme, Arquà Petrarca, Baone, Battaglia Terme, Due Carrare, Galzignano Terme, Monselice, Montegrotto Terme, Teolo e Torreglia. L’areale del B.I.O.C.E. è suddiviso in 137 concessioni minerarie ripartite tra Abano Terme (72), Montegrotto Terme (43), Battaglia Terme (9), Galzignano Terme (7) ed altre 6 situate nei comuni limitrofi. Le potenzialità ricettive del territorio si fondano sull’esistenza di 138 stabilimenti termali, la presenza di 220 piscine termali e capacità ricettive dell’ordine di 18’500 posti letto. Attorno a tale realtà curativo-economica e sociale gravitano oltre 5’000 dipendenti diretti. Le presenze italiane e straniere per l’anno 2005 hanno raggiunto la cifra di 3.142.465 persone. Il quantitativo totale di fluido termale emunto nell’anno 2005, in base ai dati pervenuti alla Gestione Unica, è stato calcolato in 16,37 milioni di m?. I fluidi geotermici con temperature comprese tra 65 °C e 87 °C, oltre che per le cure termali, vengono impiegati anche nel riscaldamento degli alberghi [25]. L’isola di Ischia invece, può contare su 80 stabilimenti termali con temperature delle acque tra 58 °C e 73 °C, con una portata di fluido emunto pari a 900 m3/h. La stagione turistica va dal mese di Marzo ad Ottobre ma molti hotel rimangono aperti tutto l’anno. Tra le altre numerose zone termali del nostro Paese si possono contare: • Montecatini Terme, dove sono presenti 9 stabilimenti balneri con temperature delle acque comprese tra 23 e 32 °C; • Chianciano, con 4 stabilimenti utilizzanti acque tra 32 e 36 °C; • Sirmione, dove 2 stabilimenti termali sfruttano acque con temperature pari a 65 °C. Ci sono inoltre Bagno di Romagna e Porretta Terme (Emilia Romagna), Acqui Terme (Piemonte), Sciacca (Sicilia) etc. [24]. Si può capire quindi che il fenomeno, sebbene sia locale, assume un’importanza rilevante, dato l’elevato numero di luoghi dove la geotermia può essere sfruttata in modo favorevole, non solo ai fini dell’economia termale, ma anche per il riscaldamento degli edifici. Infatti particolarmente interessante può essere l’applicazione di sonde geotermiche verticali a circuito chiuso anche nelle zone limitrofe, dove le temperature del suolo sono superiori a quelle normali (temperatura dell’aria esterna media annuale). A titolo di esempio si riporta il risultato di un’analisi effettuata su un edificio residenziale sito in Montegrotto Terme, dove è stata misurata una temperatura

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indisturbata del terreno pari 20°C nel terreno. Per l’edificio è stata effettuata una simulazione dinamica mediante il codice DIGITHON [28]; è stato ipotizzato un sistema radiante a pavimento a bassa temperatura (temperatura massima di alimentazione di 25°C). L’unità residenziale presenta 260 m2 di superficie in pianta, disposta su due piani; le trasmittanze termiche sono pari a 0,30 W/(m2K) per le pareti opache esterne, 0,25 W/(m2K) per il tetto e 1,5 W/(m2K) per le superfici finestrate. La simulazione ha riguardato solo il periodo di riscaldamento senza prendere in considerazione la produzione di acqua calda sanitaria. La pompa di calore utilizzata ha una potenza termica nominale pari a 11,5 kW, e il fabbisogno termico invernale risulta pari a 7,59 MWh. Le sonde sono verticali a doppia U ed in numero di due per una lunghezza totale di 135 m (collegate in parallelo). Si è voluto analizzare la differenza tra il caso sopra descritto, e la medesima tipologia di sistema edificio-impianto, ipotizzandola ubicata nel comune di Padova, dove la temperatura media del terreno indisturbato è di circa 13°C. Dal confronto dei grafici (Figure 14 e 15) emerge che si può utilizzare acqua semplice come fluido termovettore per il caso di Montegrotto Terme, mentre per il caso di Padova (a parità di lunghezza delle sonde geotermiche) si renderebbe necessario adottare una miscela acqua-glicole, poiché la simulazione evidenzia lunghi periodi di funzionamento con temperature di ingresso alle sonde al di sotto dei 5 °C con conseguente rischio di formazione di ghiaccio. Inoltre, a causa delle diverse temperature di mandata alle sonde, il COP per il caso di Montegrotto risulta più elevato, con un valor medio pari a 4,30, mentre nel caso di Padova si avrebbe un COP medio pari a 3,80. E’ da notare che il vantaggio derivante da una più elevata temperatura del terreno è associato necessariamente ad una penalizzazione nell’eventuale funzionamento di raffrescamento in regime estivo. Si osservi peraltro come i COP conseguibili in estate in presenza di terreno a più alta temperatura possano considerarsi comunque simili a quelli degli usuali piccoli condizionatori con condensazione ad aria (COP medio pari a 2,8). Inoltre occorre sottolineare come in edifici residenziali il fabbisogno termico di riscaldamento sia maggiore, in valore assoluto, di quello di raffrescamento (in generale in rapporto 2 : 1 nel caso di edifici coibentati secondo le attuali tendenze legislative); quindi la possibilità di ridurre il campo di sonde in inverno rispetto al valore usuale permette comunque dei tempi di ritorno favorevoli dell’investimento, evitando contestualmente l’installazione di una macchina frigorifera con condensazione ad aria. Si può notare, infatti, che con terreno a temperatura media di 20°C l’allocazione di potenza termica installata, riferita alla lunghezza delle sonde è di circa 80 W/m, contro il valore di 50 W/m, solitamente adottato nelle usuali applicazioni: ciò comporta un risparmio pari al 35% circa nei costi di perforazione. In zone termali con temperatura maggiore, l’utilizzo delle pompe di calore SGV ai fini del riscaldamento risulta particolarmente interessante, data l’elevata resa del sistema. A titolo di esempio, sulla base di simulazioni svolte, si riscontra che, in un terreno in cui la temperatura passi linearmente da 20°C a 60°C in 100 m di profondità, la potenza termica allocata alle sonde per la stagione invernale può essere stimata in circa 100 W/m. In tal caso stime preliminari hanno portato a scegliere l’installazione di una pompa di calore, scartando l’utilizzo diretto del calore dal terreno, poiché le temperature raggiungibili dall’acqua sono inferiori a 22°C; risulta comunque importante prestare attenzione

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sia alle temperature elevate, poiché il polietilene ha limiti di utilizzo rispetto alla temperatura, sia alla composizione chimica dell’acqua, poiché una sua aggressività può comportare breve durata delle sonde stesse.

Fig. 14 – Temperature di ingresso e uscita dell’acqua dalle sonde geotermiche a Montegrotto Terme

Fig. 15 – Temperature di ingresso e uscita dell’acqua dalle sonde geotermiche a Padova

7. CONCLUSIONI Le molteplici soluzioni tecnologiche ed impiantistiche che si basano sulla geotermia mettono in evidenza notevoli potenziali di risparmio energetico, peraltro ben noti per quanto riguarda l’impiego diretto dell’acqua di falda. Tuttavia la complessità del comportamento termico in regime variabile del sistema costituito dalla massa del terreno, nel caso degli impianti a circuito chiuso (sonde geotermiche), impone maggiori cure e sensibilità nella progettazione rispetto a quelle richieste dalle tipologie più

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tradizionali, tenendo conto anche della carenza, su questo tema, in campo normativo. In ogni caso i grandi sviluppi che si sono verificati in Europa, e le crescenti applicazioni che si vedono anche in Italia, danno atto dell’interesse suscitato tra gli operatori del settore. Da ultimo non sono da sottovalutare i recenti progressi verificatisi nella tecnologia delle pompe di calore per uso specifico nelle applicazioni geotermiche. RINGRAZIAMENTI Si vuole ringraziare l’azienda GEORICERCHE S.r.l. per aver consentito l’accesso al sito di Montegrotto Terme e l’azienda CILLICHEMIE per la documentazione tecnica fornita. 8. BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3]

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[14] Documentazione ditta REHAU. [15] M. De Carli, M. Mantovan, L. Prendin, A. Zarrella, R. Zecchin, A. Zerbetto, “Analisi di pompe di calore geotermiche con sonde orizzontali”, CDA n. 3, Marzo 2007. [16] K. Rafferty, “An Information Survival Kit For The Prospective Goethermal Heat Pump Owner”, Geo-Heat Center, Oregon Institute of Technology. [17] www.iii.to.cnr.it/laghi/maggiore.html [18] M.Cisternino, F. Ruggero, M. Strada, “Pompe di calore con acqua di falda”, Condizionamento dell’aria, n.2 Febbraio 2004. [19] A. Driver, Willemsen, “Groundwater as a heat source for the geothermal heat pumps”, International Geothermal Days, Germany, 2001. [20] D. W. Bridger, D. M. Allen, “Designing Aquifer Thermal Energy Storage Systems”, Building For The Future-A Supplement To ASHRAE Journal, Settembre 2005. [21] G. Bartesaghi, L.Cassitto, M. Montini, “Recupero energetico da acque di falda”, in comune di Milano, Fondazione Lombardia per l’Ambiente, www.flanet.org. [22] www.unionegeotermica.it [23] www.regioneveneto.it [24] R. Carrella, C. Sommaruga, “Spa and industrial use of geothermal energy in Italy”, Proc. WGC 2000, Kyushu-Tohoku, Japan, May 28- June 10, 2000. [25] A. Danese, “Il Bacino Termale Euganeo: Un Secolo Di Storia”, pubblicazione reperibile presso la Gestione Unica Del Bacino Idrominerario Omogeneo Dei Colli Euganei, Largo Marconi 8, Abano Terme, Ottobre 2002. [26] A. Cavallini, L. Mattarolo, “Termodinamica applicata”, Cleup editore, Padova 1988. [27] VDI 4640-1, “Thermal use of the underground, Fundamentals, approvals, environmental aspects”, Verein Deutscher Ingenieure, D - Düsseldorf, 2000. [28] P. Brunello, G. Di Gennaro, M. De Carli, R. Zecchin, “Mathematical modelling of radiant heating and cooling with massive thermal slab”, Atti di: Clima 2000, Napoli, 2001. [29] www.climaveneta.it [30] www.geoenergy-solutions.com [31] www.worldenergy.org

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Un sistema a pompa di calore multi-sorgente per un edificio scolastico a basso consumo RENATO LAZZARIN*, FILIPPO BUSATO*, FABIO MINCHIO*, GIANLUCA VIGNE** * Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali, Università di Padova, Sede di Vicenza ** AREA TECNICA Vigne Associati, Sedico BL

RIASSUNTO Il concetto di edificio a basso consumo è basato sulla riduzione dei carichi termici ottenibile con un migliore isolamento, sul recupero energetico in ventilazione e sull’uso di sistemi di riscaldamento/climatizzazione ad alta efficienza nonché sull’integrazione delle fonti rinnovabili nel sistema edificio-impianto. E’ assai difficile ottenere buoni risultati in termini di prestazioni energetiche se uno di questi elementi viene a mancare. Questo lavoro illustra un esempio di buona integrazione di questi elementi progettuali in applicazione ad un caso reale. Il Nuovo Polo Scolastico di Agordo (BL) è stato progettato con una particolare cura nei confronti dell’aspetto energetico: l’isolamento termico di tipo a “cappotto” limita al minimo gli effetti dei ponti termici e l’elevato spessore di isolante riduce notevolmente il fabbisogno di energia termica per il riscaldamento. Attraverso la simulazione dinamica in ambiente TRNSYS sono state valutate diverse soluzioni impiantistiche per l’edificio. E’ stato quindi progettatato un sistema integrato di pompe di calore ad assorbimento “multi-sorgente”; le diverse sorgenti sono il terreno, il sole, il recupero sulla ventilazione. L’impianto lavora su due livelli di temperatura diversi: uno più elevato per il sistema di ventilazione e uno più basso per il circuito di riscaldamento a pavimento. Le due sezioni dell’impianto (ventilazione e riscaldamento) funzionano in maniera indipendente, dal punto di vista della programmazione e della regolazione. La sorgente termica per le pompe di calore dedicate alla ventilazione è il flusso d’aria espulsa a valle di scambiatori a flussi incrociato, la cui efficienza è volutamente limitata al 50% per evitare problemi di brinamento (il clima della zona è molto rigido). L’effetto ottenuto è quindi un recupero totale al livello dell’evaporatore della pompa di calore. La sorgente termica per le pompe di calore dedicate al riscaldamento può essere sia il terreno (1300 m di scambiatori a tubo verticale) oppure la sezione solare dell’impianto, che può anche essere impiegata direttamente per il riscaldamento, quando l’insolazione fosse sufficiente. La sezione solare durante l’estate può ri-generare il terreno.

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1. INTRODUZIONE L’aria esterna è una sorgente termica disponibile ma che presenta limiti noti. Le caratteristiche delle pompe di calore possono essere al meglio utilizzate attraverso l’impiego di sorgenti alternative all’aria, come il terreno, il calore di recupero, il solare termico, con un incremento però consistente dei costi di investimento iniziale. Poiché le pompe di calore presentano una elevata sensibilità alle temperature al condensatore e all’evaporatore, oltre a scegliere impianti a bassa temperatura è molto importante ottimizzare i livelli termici delle sorgenti termiche disponibili. Se oltre a sostituire l’aria con una sorgente termica migliore come il terreno si provvede ad integrarla con il solare termico o il recupero sulla ventilazione è possibile ottenere un incremento delle prestazioni energetiche dell’impianto. Allo scopo quindi di ridurre da un lato la potenza termica o frigorifera installata e dall’altro il fabbisogno termico ottimizzando anche l’investimento iniziale, la migliore scelta consiste nel combinare l’applicazioni di tecnologie energeticamente efficienti come le pompe di calore ad edifici in cui si sia particolarmente curato l’isolamento termico e lo sfruttamento dell’apporto della radiazione solare. L’azione rivolta al rendere l’involucro edilizio energeticamente più efficiente consente di realizzare impianti con fonti rinnovabili o pompe di calore con un impatto economico inferiore. Il caso studio presentato in questo lavoro è relativo ad un nuovo Polo Scolastico in progetto di realizzazione ad Agordo (provincia di Belluno, nord Italia) che presenta proprio le caratteristiche descritte sopra. La località è caratterizzata da un clima rigido e l’impianto di climatizzazione non prevede raffrescamento. L’edificio è stata costrutito ad alta efficienza, con un fabbisogno termico annuale complessivo (dato somma di fabbisogno termico di ventilazione e di riscaldamento) di appena 30 kWh/m2anno. 2. CONDIZIONI METEREOCLIMATICHE Quando si simula il comportamento dinamico di un sistema edificio-impianto è importante poter basare il proprio lavoro su un insieme di dati meteo accurati e affidabili. Come avvenuto nel caso studio precedente, per l’analisi energetica del polo scolastico si è scelto di costruire un Test Reference Year [1] per la località di Agordo a partire dai dati meteoclimatici di temperatura, umidità relativa, radiazione solare globale (sul piano orizzontale) dei cinque anni dal 1 gennaio 2001 al 31 dicembre 2005, acquistati dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente in Veneto (ARPAV), che gestisce una centralina di rilevamento in centro ad Agordo. Il TRY è stato costruito sulla variabile “temperatura esterna”: si calcola la media mensile di ogni mese e di ogni anno, visibile in Tabella I, quindi la media mensile su tutti gli anni, visibile in Tabella II . A questo punto si sceglie per ogni mese che andrà a formare l’anno tipo il mese rappresentativo: è quello con la temperatura media che più si avvicina alla media mensile sui cinque anni. I mesi prescelti nel nostro caso sono quelli evidenziati in giallo (Tabella I). Tuttavia per qualche intervallo temporale in questi mesi alcuni dati (radiazione o umidità relativa) non sono disponibili: questi mesi sono stati sostituiti con quelli evidenziati in rosso, che

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immediatamente più vicini in termini di temperatura media, e completi nella serie temporale di tutte le variabili. In questo modo l’anno tipo avrà il mese di gennaio 2005, febbraio 2005, marzo 2003, aprile 2004, maggio 2002, giugno 2005, luglio 2005, agosto 2004, settembre 2003, ottobre 2005, novembre 2003, dicembre 2004. Tabella I - Temperatura media mensile dal 2001 al 2005.  *(1 )(% 0$5 $35 0$* *,8 /8* $*2 6(7 277 129 ',&

            

            

            

            

             

Tabella II - Temperatura media mensile sui cinque anni. *(1 )(% 0$5 $35 0$* *,8 /8* $*2 6(7 277 129 ',&

0HGLD             

3. L’EDIFICIO L’edificio oggetto di analisi è il nuovo polo scolastico di Agordo (BL); al suo interno presenta una zona aule, una zona laboratori ed una zona centrale adibita ad uffici in cui è presente anche l’aula magna. Complessivamente la superficie riscaldata è pari a 5700 m2 ed il volume riscaldato a 21000 m3. La struttura è utilizzata da settembre a fine giugno e in considerazione delle condizioni climatiche molto rigide non si è prevista climatizzazione estiva. Qualora risultasse necessario si utilizzerà l’impianto di ventilazione a tale scopo sfruttando la reversibilità delle pompe di calore. In Figura 1 si può osservare uno sviluppo semplificato in 3D dell’edificio stesso. La zona a Nord sulla sinistra è dedicata ai laboratori ed è sviluppata su due piani. Sul

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tetto, rivolti a Sud-Ovest saranno disposti collettori solari termici. La zona centrale, sviluppata su tre piani, comprende ingresso, uffici ed aula magna. La parte a destra a Sud, sviluppata anch’essa su tre piani, è dedicata alle aule.

Figura 1 - Schema dell’edificio in 3D (riferimento ore 12 del 1 gennaio), realizzato con software ECOTECT per l’analisi delle ombreggiature

L’edificio presenta caratteristiche costruttive particolari, definite con l’obiettivo di massimizzare il risparmio energetico attraverso interventi prima di tutto diretti all’involucro edilizio. Le pareti sono quindi caratterizzate da elevati spessori di isolamento e particolare cura è stata posta nell’eliminare tutti i ponti termici presenti, anche nelle logge e negli intradossi. Allo scopo di determinare il fabbisogno termico dell’edificio si è utilizzato un software di simulazione dinamica (TRNSYS 16, [2]). L’edificio è stato suddiviso in 75 zone termiche, corrispondenti praticamente ai singoli ambienti (aule, laboratori, uffici, corridoi, bagni). Un tale grado di dettaglio si è reso necessario per la verifica dell’andamento delle temperature nelle singole aule; con un grado di isolamento così elevato infatti il ruolo di fattori quali la radiazione solare ed i carichi interni assume un peso molto più rilevante rendendo non semplice inoltre la regolazione di impianto. Per ognuna delle zone si sono ipotizzati dei guadagni interni determinati dalla presenza di persone, illuminazione e personal computer, quantificati nei seguenti termini:  aule: presenza di 20 persone (15 nelle aule di minore dimensione), con livello di attività pari ad 1 met (circa 110 W a persona), illuminazione con tubi fluorescenti che dissipano una potenza termica di 38 W/m2, di cui il 60% convettiva;  laboratori: presenza di 20 persone nei laboratori di superficie maggiore, 10, 5 o 3 in quelli di superficie via via minore, con livello di attività pari ad 1 met (circa 110 W a persona), illuminazione con tubi fluorescenti che dissipano una potenza termica di 38 W/m2, di cui il 60% convettiva, presenza di PC in numero pari a metà delle persone presenti (questi ultimi possono simulare la presenza di eventuali altre apparecchiature presenti nei specifici laboratori);

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 bagni: presenza di 3 persone, illuminazione come precedenti;  corridoi: nessuna presenza di persone (non si è tenuto conto della presenza massiccia ma per brevissimi intervalli di tempo nell’arco della giornata), illuminazione pari alla metà della precedente;  uffici: presenza di 5 persone (3 negli uffici di minore dimensione), con livello di attività pari ad 1 met (circa 110 W a persona), illuminazione con tubi fluorescenti che dissipano una potenza termica di 38 W/m2, di cui il 60% convettiva. La presenza di persone, così come l’illuminazione ed i periodi di funzionamento del riscaldamento e della ventilazione, sono stati ipotizzati secondo i seguenti scheduling:  illuminazione: differenziata fra aule (piena potenza fra le 8 e le 9, 20% fra le 9 e le 10, spenta il resto della giornata) e resto dell’edificio (piena potenza fra le 8 e le 9, 20% fra le 9 e le 10, spenta fino alle 16, 20% fra le 16 e le 17, piena potenza fra le 17 e le 19, spenta fino al giorno successivo) nei giorni da lunedì a sabato;  persone: differenziata fra aule (presenza fra le 8 e le 13 dal lunedì al sabato), laboratori e uffici (presenza fra le 8 e le 18 dal lunedì al venerdì e fra le 8 e le 13 al sabato);  riscaldamento: differenziato fra aule (acceso fra le 6 (le 5 nei giorni successivi ad un festivo) e le 13 dal lunedì al sabato) e resto dell’edificio (acceso fra le 6 e le 18 dal lunedì al venerdì, fra le 6 e le 13 il sabato). E’ stato inserito un controllo di temperatura per ogni zona termica, tramite una funzione lineare del tipo 14*SCHEDRISC+6 dove SCHEDRISC vale 1 nelle ore di accensione del riscaldamento, consentendo quindi di simulare un mantenimento dei locali a 6 °C (alcune zone, come locali tecnici e depositi, sono normalmente non riscaldate ed hanno un mantenimento ad 8 °C);  ventilazione: schedulata come la presenza di persone. Per ogni zona si è garantita una ventilazione (ipotizzata, nelle simulazioni, con aria a temperatura esterna) sufficiente a garantire 18 m3/h a persona. Si è tenuto conto della chiusura della scuola nei giorni festivi e durante le vacanze di Natale (dal 23 dicembre all’8 gennaio) e di Pasqua (dal 14 al 19 aprile). Si è tenuto conto inoltre di possibili infiltrazioni d’aria esterna, tramite un fattore pari a 0.05 volumi/ora. L’umidità relativa interna degli ambienti è stata mantenuta pari al 50%.

Figura 2 - Fabbisogni di energia termica totali per l’edificio

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Il grafico di Figura 2 riporta infine i fabbisogni termici mensili totali dell’edificio, suddivisi fra riscaldamento e ventilazione. Il valore totale del fabbisogno risulta pari a circa 170000 kWh che, considerando una superficie utile dell’edificio pari a 5680 m2, corrispondono ad un fabbisogno termico specifico pari a circa 30 kWh/m2. 4. L’IMPIANTO Allo scopo di ottenere un valore ottimale di fabbisogno di energia primaria compatibilmente con il budget economico a disposizione, per prima cosa si è correttamente deciso di ridurre i fabbisogni termici e la potenza d’installazione realizzando un edificio molto ben isolato con particolare cura nell’eliminazione dei ponti termici e nella scelta della corretta orientazione. In secondo luogo nella progettazione dell’impianto la scelta delle soluzioni impiantistiche da impiegare si è rivolta all’integrazione di diverse tecnologie. Il principio con il quale esse sono state selezionate è basato sull’analisi delle caratteristiche costruttive e d’inerzia termica dell’edificio, sulle caratteristiche climatiche del sito su cui sorgerà il polo scolastico e sull’obiettivo di promuovere l’impiego delle fonti rinnovabili di energia. Il soddisfacimento del fabbisogno di calore sensibile è affidato in ambiente (tranne l’aula magna) ad un sistema di riscaldamento a pavimento radiante tradizionale, annegato nel massetto. Il carico di ventilazione (sensibile e latente) è soddisfatto da un sistema di UTA frazionate per tipologia di locale da servire: blocco aule, blocco laboratori, blocco uffici, e infine l’aula magna, dove la ventilazione è integrata con il riscaldamento in un impianto a tutta aria. Il fabbisogno di acqua calda sanitaria è assolutamente irrilevante in un edificio ad uso scolastico come quello in questione poiché ne viene fatto un uso saltuario e concentrato in pochi secondi solo ed esclusivamente per il lavaggio delle mani all’interno dei servizi igienici (non sono infatti presenti docce); risulta quindi opportuno impiegare boiler elettrici dedicati il cui consumo sarà sicuramente inferiore rispetto alla perdite termiche che si verificherebbero all’accumulo e sulle linee di distribuzione qualora si decidesse di produrre tale acqua sanitaria in maniera centralizzata. La ventilazione richiede acqua calda a 55-60 °C (o 50 °C con opportuno dimensionamento), mentre il pavimento radiante a 35 °C. La presenza di due livelli termici diversi suggerisce di dividere l’impianto in due sezioni distinti, una di riscaldamento ed una di ventilazione, allo scopo di ottimizzare il rapporto di energia primaria medio stagionale in funzione anche dei diversi orari di impiego. Il sistema di produzione dell’energia termica è quindi diviso in due sezioni distinte.: sezione riscaldamento e sezione ventilazione. Si è deciso di coprire il fabbisogno complessivo utilizzando la tecnologia delle pompe di calore, con integrazione realizzata con caldaia a condensazione. L’impiego di pompe di calore pone naturalmente il problema della scelta della sorgente termica più opportuna allo scopo di garantire COP medi stagionali più elevati possibile e la continuità di esercizio. Viste le temperature dell’aria esterna molto basse per larga parte della stagione di riscaldamento, non si rivela corretta la scelta di una

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pompa di calore ad aria per la quale con temperature inferiori agli 0 °C si verificherebbero caduta di capacità e prestazioni energetiche molto penalizzate. Per questo risulta molto più interessante l’utilizzo del terreno come sorgente termica, che garantisce prestazioni energetiche molto buone anche in presenza di clima esterno molto rigido. Per ottimizzare ulteriormente le prestazioni energetiche nell’impianto si è previsto di integrare il terreno con altre sorgenti termiche, solare termico (impianto di riscaldamento) e recupero sulla ventilazione (impianto di ventilazione), definendo una schema di regolazione finalizzato alla scelta della migliore sorgente disponibile dal punto di vista termico e dei consumi degli ausiliari al variare delle condizioni al contorno. La scelta del tipo di pompa di calore da impiegare è stata realizzata sulla base di considerazioni termodinamiche ma anche allo scopo di rispettare i limiti di budget economico a disposizione, che presentava naturalmente un limite superiore nonostante si potesse disporre di contributi degli enti locali. Le tecnologie valutate sono le pompe di calore elettriche a compressione e le pompe di calore ad assorbimento (acquaammoniaca). Entrambe presentano ottime prestazioni energetiche per funzionamento nella stagione di riscaldamento, l’unico richiesto nell’applicazione oggetto di analisi. Le prestazioni delle pompe di calore elettriche sono superiori con livello termico a 35°C tipico dell’impianto a pavimento; la maggior stabilità delle prestazioni energetiche delle macchine ad assorbimento all’aumentare della temperatura di condensazione le rendono invece preferibili per l’applicazione all’impianto di ventilazione (Minchio, 2006). In relazione all’accoppiamento a terreno invece, le caratteristiche del ciclo ad assorbimento in funzionamento invernale determinano una potenza scambiata all’evaporatore (accoppiato a terreno) circa pari alla metà di quella scambiata all’evaporatore della pompa di calore elettrica a parità di potenza termica prodotta. Ciò comporta naturalmente un diverso impatto sul terreno per le due tipologie di pompe di calore, con una lunghezza totale necessaria inferiore per il sistema ad assorbimento, sia naturalmente in termini di energia annualmente estratta sia in termini di diminuzione di temperatura media dell’accumulo sul lungo periodo. Soprattutto però ha un importante impatto sui costi di investimento iniziali e può risultare un fattore decisivo per la diffusione, specie nei climi più rigidi, della tecnologia delle pompe di calore geotermiche. Proprio questo fattore in conseguenza dell’elevato costo di installazione delle sonde geotermiche ha fatto propendere per la tecnologia ad assorbimento. Le prestazioni dell’impianto sono state calcolate attraverso la simulazione con software TRNSYS elaborando un modello 4.1. Impianto di riscaldamento Per la simulazione dell’impianto la sezione riscaldamento si è considerata costituita da due pompe di calore collegate con sonde geotermiche. Come sorgente termica integrativa si impiega il solare termico, attraverso l’allestimento di 50 m2 di collettori di tipo piano con orientazione Sud-Ovest: tale sistema può funzionare in cascata per il preriscaldamento del circuito a pavimento e successivamente per la cessione di calore all’evaporatore delle pompe di calore. Durante il periodo estivo il

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sistema solare può essere scaricato a terreno: questo si comporta quindi come un serbatoio di accumulo termico. Sulla base di queste considerazioni il mix tecnologico selezionato per l’impianto di riscaldamento è il seguente:  due pompe di calore ad assorbimento collegate a terreno o al circuito solare termico (2 macchine di potenza nominale di circa 40 kWt, prodotti reali di riferimento ROBUR GAHP-W terra-acqua per quanto riguarda la macchina ad assorbimento;  caldaia a condensazione ad integrazione (potenza termica nominale 120 kWt), tale caldaia sarà impiegata anche per la copertura dei picchi di richiesta termica di ventilazione;  solare termico (50 m2 di collettori su superficie inclinata di circa 30° esposta a SUDOVEST). Regolazione dell’utilizzo delle diverse sorgenti termiche L’elemento più importante caratterizzante la regolazione del funzionamento dell’impianto consiste nella determinazione della sorgente termica più opportuna per la pompa di calore. Le pompe di calore dedicate alla sezione riscaldamento dell’impianto possono infatti essere accoppiate sia al circuito solare sia a terreno. Dal punto di vista exergetico la scelta corretta consiste innanzitutto nell’utilizzare, qualora il livello termico lo consenta, il fluido termovettore caldo in uscita dai collettori solari (per brevità fluido “solare”) per un preriscaldamento diretto dell’acqua di ritorno dal circuito a pavimento dell’impianto di riscaldamento. In secondo luogo, a valle di tale scambio termico, se la temperatura è superiore a quella ottenibile a terreno, il fluido “solare” può essere diretto all’evaporatore della pompa di calore. Qualora invece il circuito solare sia inattivo o i livelli termici da esso ottenibili non siano adeguati, le macchine saranno accoppiate a terreno.

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Figura 3 - Diagramma di flusso regolazione circuito solare

In tal modo si ottiene all’evaporatore della pompa di calore il livello termico più elevato disponibile con un conseguente incremento del COP medio stagionale conseguibile.

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D’estate o ad impianto di riscaldamento spento, l’impianto solare termico può invece essere utilizzato allo scopo di accumulare energia termica a terreno, bilanciando almeno parzialmente i quantitativi di energia prelevati durante la stagione di riscaldamento. La regolazione dell’impianto solare segue dunque questo schema, rappresentato anche dal diagramma di flusso di Figura 3: Funzionamento invernale, impianto di riscaldamento acceso:  il circuito è attivo se la radiazione solare incidente rilevata da un sensore di radiazione posto in posizione opportuna è superiore a 200 W/m2;  qualora la temperatura di mandata sia superiore a 35 °C la portata d’acqua viene inviata ad uno scambiatore a piastre per il preriscaldamento della portata di ritorno dall’impianto a pavimento;  se la radiazione solare è superiore a 800 W/m2, allo scopo di rendere ottimale lo sfruttamento del preriscaldamento solare, il circuito prevede in uscita dallo scambiatore a piastre, il ritorno direttamente ai collettori;  qualora la sua temperatura all’uscita dello scambiatore di preriscaldamento sia almeno pari a 5 °C (in uscita dallo scambiatore o direttamente dai collettori) il fluido termovettore viene inviato all’evaporatore della pompa di calore che al momento copre il carico di base; in caso contrario torna direttamente ai collettori;  dall’evaporatore il fluido torna ai collettori. Funzionamento invernale, impianto di riscaldamento spento:  il circuito è attivo se la radiazione solare incidente rilevata da un sensore di radiazione posto in posizione opportuna è superiore a 200 W/m2;  poiché l’impianto di riscaldamento è spento, si attiva in tal caso il bypass che porta il fluido termovettore solare agli scambiatori a terreno;  dagli scambiatori a terreno il fluido torna ai collettori. Funzionamento estivo:  il circuito è attivo se la radiazione solare incidente rilevata da un sensore di radiazione posto in posizione opportuna è superiore a 200 W/m2;  in tal caso il bypass che porta il fluido termovettore solare agli scambiatori a terreno è costantemente attivo allo scopo di accumulare calore nel suolo;  dagli scambiatori a terreno il fluido torna ai collettori. 4.2. Impianto di ventilazione L’impianto di ventilazione è caratterizzato da:  1 UTA da 12200 m3/h con recuperatore a flussi incrociati e batteria di recupero sull’espulsione, a servizio delle aule;  1 UTA da 8400 m3/h con recuperatore a flussi incrociati e batteria di recupero sull’espulsione, a servizio dei laboratori;

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 1 UTA da 3000 m3/h con recuperatore a flussi incrociati, a servizio dell’aula magna;  1 UTA da 1400 m3/h con recuperatore a flussi incrociati, a servizio del blocco uffici. La sezione a servizio delle batterie calde delle UTA è anch’essa costituita da due pompe di calore con sonda geotermica. I recuperatori di calore a valle delle UTA sono di tipo statico a flussi incrociati con efficienza del 50%. Si è preferito evitare scambiatori di tipo rigenerativo-rotativo e recuperatori entalpici, poiché le elevate efficienze di scambio si adattano male alle basse temperature esterne: un recupero troppo spinto potrebbe comportare, nella stagione più fredda, problemi di brinamento (e conseguenti rischi di rottura) sul lato dell’espulsione. Si è invece scelto, per aumentare ulteriormente il recupero termico quando la temperatura esterna sale sopra gli 0 °C, di installare, all’uscita delle UTA dei laboratori e delle aule, delle batterie di recupero che possano operare sul flusso espulso uno scambio sia sensibile che latente; il flusso di calore recuperato può quindi essere inviato all’evaporatore delle pompe di calore. Anche in questo caso è quindi prevista l’integrazione fra due sorgenti termiche con una conseguente ottimizzazione dei livelli termici ed incremento del COP medio stagionale. Sulla base di queste considerazioni il mix tecnologico selezionato per l’impianto di riscaldamento è seguente:  pompe di calore ad assorbimento collegate a terreno (2 macchine di potenza nominale di circa 40 kWt, prodotti reali di riferimento ROBUR GAHP-W terra-acqua;  caldaia a condensazione ad integrazione (potenza termica nominale 120 kWt), tale caldaia sarà impiegata anche per la copertura dei picchi di richiesta termica di riscaldamento;  due batterie aria-acqua glicolata di recupero aria espulsa-acqua glicolata installate a valle della UTA-aule e della UTA-laboratori. Regolazione dell’utilizzo delle diverse sorgenti termiche Quando almeno una UTA è accesa e almeno una delle due pompe di calore è accesa, le condizioni affinché venga attivato il recupero termico attraverso la batteria a valle del recuperatore a flussi incrociati è la seguente (Figura 4): - temperatura in uscita dallo scambiatore di recupero a flussi incrociati superiore a 10 °C, valore che corrisponde ad una temperatura dell’aria esterna di 10 °C; tale livello termico assicura una temperatura di uscita dell’acqua generalmente superiore a quella ottenibile a terreno; l’utilizzo della sorgente termica alternativa al terreno ha inoltre il vantaggio di permette una riduzione dei costi di pompaggio e quindi la commutazione va valutata anche in tal senso; - temperatura in uscita dall’evaporatore della pompa di calore superiore ad 1 °C; ciò allo scopo di evitare fenomeni di brinamento nella batteria di recupero. Verificate queste condizioni, viene accesa la pompa della batteria di recupero delle UTA in funzione e la valvola deviatrice e miscelatrice del circuito dell’evaporatore delle pompe di calore in funzione viene commutata verso il circuito del disconnettore. E’ possibile che sia in funzione una batteria soltanto. La presenza del disconnettore idraulico assicura il corretto riequilibrio delle portate.

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Figura 4 - Diagramma di flusso relativo alla regolazione del circuito delle batterie di recupero aria-acqua glicolata

5. DIMENSIONAMENTO CIRCUITO A TERRENO Il dimensionamento dei circuiti a terreno è stato condotto sulla base della temperatura minima in ingresso all’evaporatore. In questo caso sia il numero di sonde che la loro profondità garantiscono (secondo un modello di scambio termico puramente conduttivo) temperature minime di ingresso all’evaporatore in tutta la stagione di riscaldamento di circa 1,5-2 °C. Tale valore si verifica per altro solo nel periodo in cui il fabbisogno termico presenta i picchi di potenza, all’inizio di gennaio, periodo in cui anche l’apporto del solare al preriscaldamento pare abbastanza limitato. Num ASSOL_H ASBAT_V

6 6

Profondità (m) DT 10 anni (°C) 100 0,3 120 -1,03

Tiniz (°C) 10,5 10,5

Figura 5 - Dati relativi ai circuiti a terreno

Sono necessari complessivamente 12 sonde geotermiche, 6 da 120 m per l’impianto di riscaldamento e 6 da 100 m per l’impianto di ventilazione. In relazione invece all’impatto delle sonde sull’accumulo a terreno, l’equilibrio di lungo periodo è raggiunto dopo circa 4 anni. L’utilizzo delle sorgenti termiche integrative ha il vantaggio ulteriore di incrementare i livelli termici dell’accumulo a terreno, lasciando il terreno “riposare” mentre sono in funzione o il circuito solare

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termico o le batterie di recupero. Nel caso della pompa di calore ad assorbimento, il contributo estivo del solare termico, continuativo nel tempo per quasi 3 mesi durante le ore del giorno riesce a bilanciare l’energia termica complessivamente prelevata dalla pompa di calore durante l’inverno (in ipotesi di assenza di falda). Ciò naturalmente è consentito anche dal basso livello del fabbisogno termico ottenuto grazie alle caratteristiche dell’involucro edilizio. Le sonde sono state considerate collegate in parallelo ed il numero di esse è stato definito in considerazione delle portate ammesse all’evaporatore delle pompe di calore e delle portate minime che assicurino uno scambio termico efficiente all’interno delle sonde stesse. La portata deve essere inoltre limitata in ragione di limitare le perdite di carico. Per l’impianto di riscaldamento ciascuna pompa di calore è collegata ad un proprio circuito di sonde, uno dei quali è interessato anche dal riscaldamento solare durante la stagione estiva. I circuiti comunque si considerano installati in prossimità l’uno all’altro nel rispetto naturalmente delle distanze che garantiscono di annullare l’interferenza di una sonda sull’altra. Per l’impianto di ventilazione, in ragione di dover equilibrare le portate anche con il circuito delle batterie di recupero, il circuito delle sonde è unico e si sono previsti una serie di separatori idraulici. 6. PRESTAZIONI ENERGETICHE Per quanto riguarda l’impianto di riscaldamento, la scelta dell’impiego del solare termico per l’impianto di riscaldamento in questo caso ha un duplice vantaggio: apporto di energia termica diretta attraverso il preriscaldamento del ritorno dall’impianto; livello termico più elevato all’evaporatore qualora sia soddisfatte le condizioni descritte della regolazione che consentono alla pompa di calore di utilizzare il circuito solare; naturalmente si è tenuto conto dei limiti delle singole macchine per le temperature di ingresso (45 °C all’evaporatore per le pompe di calore ad assorbimento). Osserviamo prima di tutto in Figura 6 (pompe di calore ad assorbimento) come si realizza la copertura del fabbisogno termico complessivo per gli impianti che impiegano i collettori solari termici. L’apporto del preriscaldamento solare è significativo (pari a circa il 15% del totale), mentre le pompe di calore (la cui potenza nominale è paragonabile ma non esattamente coincidente in considerazione della diversità dei cicli e delle taglie presenti sul mercato) la copertura è molto prossima all’80%, lasciando alla caldaia ausiliaria unicamente il 6-8% del fabbisogno in presenza dei picchi di richiesta termica. E’ interessante sottolineare che in particolare nella stagione intermedia l’impianto solare termico è in grado di coprire il carico quasi completamente. Si deve infatti tener presente prima di tutto che le caratteristiche costruttive di questo edificio garantiscono una riduzione consistente del fabbisogno termico rispetto alle realizzazioni tradizionali. Il circuito solare termico è attivo per circa 2000 h all’anno, compresa la stagione estiva; dall’analisi effettuata risulta che le pompe di calore funzionano collegate a terreno per il 75% circa del tempo complessivo di funzionamento, accoppiandosi al circuito solare termico per il restante 25%.

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Il dimensionamento effettuato consente alle pompe di calore di operare con continuità riducendo il numero dei cicli di funzionamento, garantendo tre livelli di potenza termica (pompa di calore di base, pompa di calore ad integrazione, caldaia ausiliaria).

Figura 6 Percentuale di copertura del fabbisogno termico per impianto con pompa di calore ad assorbimento ed integrazione solare (dati relativi al primo anno)

L’impianto di ventilazione presenta rispetto a quello di riscaldamento un livello termico più elevato in considerazione delle temperature necessarie per le batterie dell’UTA. Si considera in questo caso di adottare batterie dimensionate sul livello termico di 50 °C allo scopo di poter utilizzare anche le pompe di calore elettriche, che di norma non raggiungono livelli termici superiori al condensatore. In questo caso la sorgente integrativa è rappresentata dalle batterie di recupero sull’aria di espulsione a valle del recuperatore a flussi incrociati. Non vi sono quindi sorgenti termiche disponibili per il preriscaldamento, ma solo una sorgente termica integrativa per incrementare il livello termico all’evaporatore. La batteria di recupero consente di ottenere temperature dell’acqua in ingresso alla pompa di calore comprese mediamente fra 4 e 9 °C a seconda del clima esterno, con valori anche più elevati in corrispondenza della stagione intermedia quando la temperatura dell’aria esterna sale sopra ai 10 °C. Il vantaggio di questa sorgente sta nel fatto di essere disponibile quando la ventilazione è in funzione. Dall’analisi effettuata la batteria è attiva per circa il 60% del tempo complessivo di funzionamento della pompa di calore; come anticipato nell’analisi dell’impianto le ore in cui potenzialmente la temperatura in uscita dal recuperatore a flussi incrociati è superiore a 10 °C sono molte anche nei mesi più freddi. Se si considera inoltre che la ventilazione è presente unicamente nelle ore del giorno comprese dalle 8:00 alle 18:00 si escludono dall’analisi tutte le ore della notte in cui la temperatura va abbondantemente al di sotto dei 0 °C. In termini di rapporto di energia primaria i risultati sono ottimi (Figura 7).. Il valore complessivo è pari a 1,35, risultato naturalmente intermedio fra i valori del PER dell’impianto di riscaldamento e quello di ventilazione. Il PER dell’impianto di riscaldamento

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è superiore in ragione del più basso livello termico permesso dal pavimento radiante e dalla presenza del contributo del solare termico in termini di preriscaldamento. Il risparmio di energia primaria conseguibile rispetto ad una soluzione con caldaia tradizionale ad alto rendimento (rendimento medio stagionale 87%,[3]) è pari a circa il 35%, dato molto elevato se si considera che con una caldaia a condensazione il risparmio di energia primaria rispetto allo stesso riferimento è dell’ordine del 13%.

Figura 7 - Rapporto energia primaria dell’impianto complessivo e delle due sezioni riscaldamento e ventilazione

7. CONCLUSIONI L’impianto termotecnico oggetto di analisi è stato sviluppato parallelamente al progetto dell’edificio allo scopo di ottenere un elevato risparmio energetico frutto della combinazione di interventi sull’involucro edilizio e di scelte tecnologiche ottimali. L’edificio è stato realizzato con elevato isolamento e con la massima cura per l’eliminazione di tutti i ponti termici presenti. L’impianto scelto è stato ottimizzato in funzione delle caratteristiche climatiche (clima molto rigido e assenza di fabbisogno di raffrescamento) e dell’applicazione (edificio ad uso scolastico). Si è sfruttato al meglio il recupero termico (recupero sensibile sulla ventilazione e preriscaldamento del ritorno dell’impianto di riscaldamento con l’impianto solare termico). L’accoppiamento delle pompe di calore ad assorbimento con una sorgente termica alternativa all’aria esterna assicura inoltre prestazioni energetiche elevate; l’integrazione di più sorgenti termiche consente un effetto sinergico che migliora ulteriormente i risultati ottenibili con un impianto unicamente a terreno. Un ruolo fondamentale è giocato dalla regolazione che consente di disporre della sorgente termica migliore a seconda delle condizioni al contorno. L’utilizzo di pompe di calore con sorgenti integrate diverse dall’aria esterna rende

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molto più netta la differenza dei risparmi di energia primaria ottenibili con le pompe di calore rispetto alle caldaie a condensazione (36% contro 13%). Si deve considerare che le caratteristiche dell’involucro edilizio sono tali da ridurre il peso del carico di riscaldamento in rapporto a quello di ventilazione. Di conseguenza se normalmente il fabbisogno di riscaldamento è superiore a quello di ventilazione, nel caso di un edificio come quello analizzato i fabbisogni sono paragonabili (leggermente superiore quello di ventilazione). Il peso nella valutazione dei risparmi della parte di impianto a più alta temperatura è dunque superiore rispetto alla norma, con una conseguenza anche sui risparmi di energia primaria complessivamente ottenuti, che diventano quasi pari alla media aritmetica di quelli relativi alle due parti di impianto distinte. La combinazione dunque di un’opportuna progettazione, dell’impiego di pompe di calore con sorgenti integrate e diverse dall’aria esterna, in un complesso edilizio realizzato costruttivamente in modo da contenere al massimo i fabbisogni termici consente di ottenere un sistema edificio impianto integrato in grado di raggiungere prestazioni energetiche ottimali. LEGENDA ASSOL_H Impianto di riscaldamento: pompe di calore ad assorbimento a terreno con integrazione solare ASBAT_V Impianto di ventilazione: pompe di calore ad assorbimento a terreno e collegate a batterie di recupero sulla ventilazione BIBLIOGRAFIA [1]

[2] [3]

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Efficienza energetica e fonti rinnovabili nel settore residenziale monofamiliare: due esempi applicativi FRANCESCO FELLIN TiFS ingegneria srl, Padova

RIASSUNTO La memoria ha per oggetto la trattazione di due distinti esempi di applicazione del concetto di ecosostenibilità nelle costruzioni residenziali. Il primo esempio esamina il progetto impiantistico di un appartamento di lusso in un centro cittadino: l'impianto di riscaldamento e climatizzazione prevede un particolare tipo di pannello radiante a pavimento, ventilazione meccanica controllata e pompa di calore geotermica per la produzione termofrigorifera. La particolarità dell'insediamento (ristrutturazione in centro storico) ha richiesto soluzioni impiantistiche razionali e innovative. Nel secondo caso si esamina una abitazione residenziale di tipo rurale posta in centro Italia e costruita interamente in legno secondo i canoni adottati dal protocollo Casaclima della provincia di Bolzano. L'impianto di riscaldamento è a pannelli radianti con integrazione solare, caldaia a biomassa (per utilizzo delle ceppaie reperite in loco) e caldaia integrativa a GPL. E' prevista la predisposizione per la climatizzazione estiva (impiego dei pannelli radianti esistenti + deumidificatore d'ambiente).Vengono analizzati i costi di installazione, i tempi di ritorno dell'investimento, le problematiche incontrate e il grado di soddisfazione dei clienti finali. 1. INTRODUZIONE Gli impianti di climatizzazione in ambito residenziale costituiscono indubbiamente un'interessante argomento di trattazione, considerando le particolari peculiarità e la notevole diffusioni di edifici residenziali nel nostro Paese, sia di tipo condominiale (oltre 2,3 milioni di edifici) che di tipo mono o bifamiliare (rispettivamente circa 6,5 e 2,5 milioni) [1]. I tipici attori di un progetto e di una installazione impiantistica (ovvero il committente, il progettista e l'installatore) interagiscono in ambito residenziale in maniera alquanto diversa rispetto a quanto avviene in altri settori quali ad esempio il terziario o l'industriale. Da una parte vi è la diffusa abitudine in questo settore, da parte

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dei Committenti, di rivolgersi direttamente all'installatore senza avvalersi di un professionista incaricato alla redazione di un progetto: forse per timore di veder lievitare i costi, forse nella convinzione che i progettisti non si scomodino per piccole realizzazioni, forse ancora ritenendo che la semplicità dell'impianto non richieda tale figura professionale (mentre è a tutti noto come dell'installatore non sia possibile fare a meno, tranne per pochi appassionati del “fai da te”). Nel rapporto con l'installatore il Committente si pone con le proprie convinzioni in tema impiantistico, più o meno radicate e più o meno corrette a seconda delle idee in materia che il Committente ha acquisito e delle fonti consultate (stampa, informazioni radiotelevisiva, partecipazione a convegni, visita a fiere ecc.). Valga come esempio generico a tal proposito la radicata e diffusa convinzione del cittadino medio circa le migliori prestazioni di un impianto di riscaldamento autonomo rispetto ad uno centralizzato, anche di moderna concezione. D'altra parte l'installatore cerca spesso di condizionare il Committente nella scelta della tipologia d'impianto, specialmente qualora si trovi di fronte ad un interlocutore ignaro o inesperto della materia; si possono trovare condizionamenti onesti e razionali, basati su effettivi criteri di convenienza per il cliente e risparmio energetico oppure condizionamenti volti a indirizzare le scelte del cliente a proprio vantaggio. A mero titolo di esempio, se si interpellassero, in termini di convenienza di utilizzo delle fonti rinnovabili, un installatore termoidraulico e un elettricista il primo dichiarerà la superiorità dei collettori solari mentre il secondo tributerà il primato ai pannelli fotovoltaici. Evidentemente in tutti questi casi è fondamentale e risolutivo l'intervento di un professionista serio, onesto e capace che indirizzi in modo opportuno le scelte del Committente, senza interessi di parte e svolgendo quasi una funzione didattica nei confronti di quest'ultimo, interagendo al tempo stesso con l'installatore per verificarne l'operato. 2. CLIMATIZZAZIONE AD ELEVATA EFFICIENZA ENERGETICA IN AMBITO CITTADINO 2.1. Premessa Il tema della qualità dell'aria atmosferica in ambito cittadino è sempre molto sentito e alla ribalta delle cronache nell'ultimo decennio, specie al presentarsi delle seguenti circostanze: - stagione invernale; - periodo di scarse precitazioni meteoriche; - intenso traffico automobilistico. Si osserva allora una serie di (spesso inutili e vani) provvedimenti delle Amministrazioni comunali strette tra la necessità di rispetto di requisiti minimi di legge in tema di qualità dell'aria da una parte e ferma intenzione a non turbare eccessivamente il cittadino (automobilista e al tempo stesso elettore) con provvedimenti eccessivamente impopolari. Si hanno così le varie giornate di targhe alterne, domeniche ecologiche, bollino blu per le automobili, bollino verde per le centrali termiche e così via (su quest'ultimo punto la crescente diffusione di caldaie autonome in sostituzione di caldaie centralizzate e l'installazione quasi esclusivamente di impianti autonomi nei condomini di nuova edificazione accentua ovviamente il problema della manutenzione e dei

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controlli). Nell'esempio di cui si tratta si illustra una ristrutturazione di un appartamento di lusso in un centro urbano, per il quale è stato progettato un impianto di riscaldamento, raffrescamento, ventilazione e produzione di acqua calda sanitaria ad elevata efficienza energetica. 2.2. Descrizione sintetica dell'edificio e degli obiettivi da perseguire L'edificio in esame ha una forma piuttosto articolata, essendo inserito in una palazzina di un centro storico urbano in adiacenza ad altre unità di proprietà di terzi, confinanti sia lateralmente che poste sopra l'unità in oggetto. E' presente una corte interna ad uso esclusivo, parzialmente a cielo aperto, nella quale sono state ricavate due perforazioni per le sonde geotermiche utilizzate per l'impianto. L'edificio si articola complessivamente su quattro livelli per complessivi 170 m2 circa e prevede due distinte funzioni: - autorimessa di tipo condominiale, appartenente a più proprietari, ubicata al piano terra e anche al piano primo interrato mediante una fossa di parcamento per due autovetture; - appartamento residenziale ubicato su quattro diversi livelli. I piani presenti, deducibili dalle figure successive da 1 a 6, sono: - piano interrato (interamente entro terra), adibito parte ad autorimessa condominiale come già scritto, parte a deposito e centrale tecnologica di pertinenza dell'appartamento; - piano terra adibito quasi per intero ad autorimessa condominiale eccetto un'autorimessa privata con accesso diretto dalla strada, un'autorimessa privata di pertinenza dell'appartamento e un vano scale di accesso all'appartamento stesso (androne); - piano primo adibito ad appartamento (salone, cucina e camera padronale con bagno e cabina armadio); - piano secondo adibito ad appartamento (due camere con relativi servizi). Il secondo piano è stato ricavato ex novo, sfruttando al massimo le possibilità lasciate dai numerosi limiti presenti, tra cui la necessità di rispetto del filo davanzale inferiore delle proprietà limitrofe che ha di fatto imposto un serio vincolo all'altezza massima dell'intervento. Per il Committente era essenziale il perseguimento dei seguenti obiettivi: - realizzazione di un edificio residenziale moderno e funzionale, luminoso e ampio; - realizzazione di un edificio dotato di ogni comfort termoigrometrico, acustico e delle più moderne tecnologie. L'obiettivo è stato raggiunto attraverso una razionale sinergia tra progettazione architettonica, strutturale e impiantistica che ha preso in esame tutti gli aspetti1. Il risultato è un edificio dotato di un grande salone con vetrate che comunicano con ampie terrazze dotate della possibilità di installare grandi fioriere, una spaziosa cabina

1 Anche se non mancano costruttori provenienti dall'Europa dell'Est o dalla Russia che si pongono nel mercato con prezzi molto più competitivi rispetto ai concorrenti del Centro Europa (Sudtirolo, Austria, Svizzera e Germania).

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armadio ed altre particolarità deducibili dall'esame delle planimetrie nelle figure di seguito riportate. Evidentemente tale tipologia di edificio richiede una climatizzazione su base annuale, per la quale è stata scelta una pompa di calore geotermica con sonde verticali, impianto di riscaldamento e raffrescamento con pannelli radianti e ventilazione meccanica controllata. Attualmente tale soluzione rappresenta l'ideale in termini di impiantistica ad elevata efficienza, unitamente ad un adeguato livello di qualità dell'aria interna, requisito essenziale di salubrità per gli occupanti [2].

Fig. 1 - Piano interrato dell'edificio: fossa di calata per due autovetture e locale tecnico di pertinenza dell'abitazione, dove è ubicata la centrale tecnica con la pompa di calore e altre apparecchiature

Fig. 2- Piano terra dell'edificio: autorimessa condominiale su due livelli con pontoni di sollevamento autovetture. Si noti in alto a sinistra la posizione delle sonde geotermiche, che sono state realizzate in una corte scoperta successivamente modificata e trasformata in autorimessa

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Fig. 3- Piano primo dell'edificio: salone ad elevata altezza, zona notte padronale.Si notino le ampie terrazze ubicate a destra e a sinistra del salone stesso, e da questo separate mediante ampie e luminose vetrate.

Fig. 4- Piano secondo dell'edificio, ricavato ex novo

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Fig. 5- Sezione dell'edificio. Si noti a sinistra il vano corsa dell'ascensore dal piano interrato al primo piano. Al piano terra si vede l'autorimessa su due livelli, quindi i due piani residenziali primo e secondo. Si vede come il filo della copertura del secondo piano sfiora il davanzale delle finestre della proprietà di terzi.

Fig. 6- Sezione dell'edificio. Si noti in basso la fossa di calata delle auto limitrofa alla cantina ma con questa non comunicante (proprietà diverse e inoltre necessità di protezione al fuoco). Al piano primo si vede a sinistra la zona del salone a maggiore altezza, con la copertura che supera il livello di calpestio del secondo piano.

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2.3. Caratteristiche termiche delle strutture e dei serramenti Per l'edificio in oggetto è stata realizzata una radicale ristrutturazione che ha comportato il rifacimento dei solai interpiano, la realizzazione di nuovi divisori, la sostituzione integrale dei serramenti. La particolarità dell'intervento ha richiesto di minimizzare gli spessori strutturali, specialmente in senso orizzontale, ai fini del rispetto delle altezze nette minime consentite. E' stato pertanto studiato accuratamente ogni particolare architettonico e strutturale, realizzando una struttura con pilastri e travi metalliche e solai autoportanti in lamiera con cappa collaborante. Al piano terra, sotto l'appartamento, è presente una autorimessa condominiale: tale occorrenza ha richiesto un accuratissimo studio del primo solaio, al fine di evitare problematiche di tipo acustico (trasmissione del suono per via aerea dall'autorimessa alla camera sovrastante) e di protezione delle strutture in caso di incendio (l'autorimessa costituisce un compartimento ed è dotata di impianto di estinzione tipo sprinkler). 2K) Tabella I - Copertura in lamiera strutturale tipo I-bond - K = 0,27 W/(m S S 

'(6&5,=,21(675$72 GDOEDVVRYHUVRO¶DOWR  3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR 6RODLRSRUWDQWHWLSR,%RQG 9HWURFHOOXODUHHVSDQVR 0DQWRGLLPSHUPHDELOL]]D]LRQH ODPLHUDGLFRSHUWXUD

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5 O U >:Pƒ&@ >NJP@ >Pðƒ&:@               



Fig. 7- Sezione della copertura dell'edificio. Tale struttura è stata utilizzata sia per il secondo piano che per la zona del primo piano confinante verso l'esterno, ovvero il salone a maggior altezza (si confronti la fig. 6).

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Fig. 8 - Sezione del solaio interpiano tra piano terra (autorimessa) e piano primo (residenza). E' richiesta una compartimentazione ai fini dei requisiti di prevenzione incendi, che naturalmente ha avuto forti implicazioni anche sull'ubicazione delle colonne di scarico dall'appartamento al piano terra.

La presenza dei pannelli radianti a pavimento come terminali di impianto ha imposto la scelta di una particolare tipologia di terminali, usualmente utilizzata per la posa a secco nel caso di ristrutturazioni, con un ingombro complessivo del pacchetto di soli 27 mm (25 mm di isolamento in polistirene, comprensivo degli alloggiamenti per le tubazioni, più 1 + 1 mm di lastre di acciaio zincato per la ripartizione del carico sul pavimento). La struttura di tabella II garantisce una protezione al fuoco REI 180; il solaio tipo predalle è stato gettato su un cassero in fibra di legno mineralizzato che consente un buon assorbimento acustico con effetto antirombo (l'appartamento è soprastante l'autorimessa). L'unico solaio di tipo predalle è quello tra piano terra e primo, dati gli elevati spessori richiesti rispetto ad un solaio tipo I-Bond, che è stato invece largamente impiegato per tutte le altre strutture orizzontali. Tabella II - Solaio interpiano (tra autorimessa e primo piano) - K = 0,48 W/(m2K) '(6&5,=,21(675$72 GDOO¶DOWRYHUVRLOEDVVR  SDYLPHQWRLQUHVLQD /DVWUDLQDFFLDLR]LQFDWR /DVWUDLQDFFLDLR]LQFDWR 3ROLVWLUHQHHVWUXVRVDJRPDWR 0DVVHWWRDXWROLYHOODQWH 6RODLRWLSRSUHGDOOH 3DQQHOORLQILEUDGLOHJQRPLQHUDOL]]DWR

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Tabella III - Solaio interpiano (tra primo e secondo piano) - K = 0,95 W/(m2K) S S S  5 '(6&5,=,21(675$72 V O U GDOO¶DOWRYHUVRLOEDVVR  >P@ >:Pƒ&@ >NJP@ >Pðƒ&:@ 3DYLPHQWRLQOHJQR     /DVWUDLQDFFLDLR]LQFDWR     /DVWUDLQDFFLDLR]LQFDWR     3ROLVWLUHQHHVWUXVRVDJRPDWR     0DVVHWWRLPSLDQWL     &DOFHVWUX]]RRUGLQDULR     3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     Tabella IV -rifodera di parete esterna esistente - K = 0,42 W/(m2K) 5 '(6&5,=,21(675$72 V O U GDOO¶LQWHUQRYHUVRO¶HVWHUQR  >P@ >:Pƒ&@ >NJP@ >Pðƒ&:@ 3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     /DQDGLURFFLD     %ORFFRSLHQR     0DOWDGLJHVVRSHULQWRQDFL     Tabella V -pareteSesterna di nuova realizzazione - K = 0,31 W/(m  2K)  '(6&5,=,21(675$72 V O U 5 GDOO¶LQWHUQRYHUVRO¶HVWHUQR  >P@ >:Pƒ&@ >NJP@ >Pðƒ&:@ 3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     /DQDGLURFFLD     ,QWHUFDSHGLQHG¶DULD     /DQDGLURFFLD     3DQQHOORHVWHUQRLQILEURFHPHQWR    

Tabella VI - divisorio interno di nuova realizzazione - K = 0,39 W/(m2K) '(6&5,=,21(675$72 V O U 5  >P@ >:Pƒ&@ >NJP@ >Pðƒ&:@ 3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     /DQDGLURFFLD     /DQDGLURFFLD     3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR     3DQQHOORGLFDUWRQJHVVR    

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Per ragioni dovute allo scarso spazio disponibile, non sono stati isolati i solai confinanti con proprietà di terzi, peraltro assimilabili a strutture divisorie di tipo interno tra unità riscaldate. Si può notare il ridottissimo spazio per il passaggio di impianti attraverso le strutture orizzontali, aspetto che ha richiesto l'installazione di tubature di adduzione idrica e di scarico pressoché ovunque entro parete. In alcuni casi sono state utilizzate le pareti anche per il passaggio delle canalizzazioni dell'aria primaria, in particolare nella parete esterna delle camere al piano secondo che nella parte bassa è adiacente al salone al piano primo (il soffitto del quale supera di circa 1 m il pavimento del piano secondo); in tal caso, trattandosi di una trave longitudinale, sono stati predisposti al momento della prefabbricazione edile i fori di passaggio per l'alimentazione delle bocchette del salone, come si può vedere nella figura 9. I serramenti, tutti di nuova installazione, hanno telai in alluminio con taglio termico e vetri luminosi a elevata prestazione energetica, di composizione 6-16Ar-6 e trasmittanza complessiva K< 1,1 W/(m2K) con FS=0,38. Nel caso del lucernario al secondo piano, sopra la zona scale, è stato utilizzato un vetro esterno stratificato 6-616Ar-6 Le ampie vetrate presenti nel salone al piano primo sono opportunamente schermate con tende a sbraccio esterne ad azionamento motorizzato. In termini di riduzione del fabbisogno termico e frigorifero è stato compiuto ogni possibile sforzo, tenendo in giusta considerazione i numerosi vincoli architettonici e strutturali, anche utilizzando spessori di isolamento superiore a quanto strettamente necessario per adempiere agli obblighi della normativa in vigore all'epoca dell'intervento, ovvero la L. 10/91. Evidentemente ciò è stato ancora più necessario in quanto, oltre al desiderio del Committente di ottenere un edificio ad elevato risparmio energetico, il ridotto spazio disponibile per la perforazione ha consentito di realizzare solo due sonde.

Fig. 9- Particolare dell'ubicazione del canale di mandata per il salone. Il canale è realizzato all'interno di una trave cassonata a sezione rettangolare che è stata prefabbricata con le fonometrie trasversali per l'alimentazione delle quattro bocchette di diffusione

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2.4. Parametri termici e igrometrici Di seguito sono riepilogati i dati di progetto utilizzati per il dimensionamento degli impianti tecnologici. Tabella VII - Condizioni climatiche di riferimento /RFDOLWj /DWLWXGLQH /RQJLWXGLQH 7HPSHUDWXUDPLQLPDLQYHUQDOHGLSURJHWWR 8PLGLWjUHODWLYDLQYHUQDOHGLSURJHWWR 7HPSHUDWXUDPDVVLPDHVWLYDGLSURJHWWR DEXOERVHFFR  7HPSHUDWXUDPDVVLPDHVWLYDGLSURJHWWR DEXOERXPLGR  8PLGLWjUHODWLYDHVWLYDGLSURJHWWR

3$'29$ Ħ Ħ

    

Tabella VIII - Condizioni interne di progetto S Jnei vari ambienti 7,32',/2&$/,

$ELWD]LRQHSLDQLSULPRHVHFRQGR $ELWD]LRQHSLDQRWHUUD YDQRVFDOH  6HUYL]LLJLHQLFL $XWRULPHVVDSULYDWD &DQWLQDDVHUYL]LRGHOO¶DELWD]LRQH $XWRULPHVVDFRQGRPLQLDOH QF SDUDPHWURQRQFRQWUROODWR

7PLQ 85 LQYHUQDOH LQYHUQDOH ƒ&         QF QF QF QF QF QF QF

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85 HVWLYD     QF QF QF QF

Tabella IX - Parametri progettualiS diJrinnovo dell'aria /RFDOH &DPHUDGDOHWWR 6DORQH FRQGL]LRQL QRUPDOL  6DORQH FRQGL]LRQLGL ULFHYLPHQWR  6HUYL]LLJLHQLFL

2FFXSD]LRQH >QƒSHUVRQH@ 

5LFDPELR 3RUWDWDG¶DULD RUDULRSHU LPPHVVD SHUVRQD >PñK@ > PñK SHUVRQD@  















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Tabella X - Temperature dei fluidi termovettori S )/8,'2 $FTXDFDOGDSURGRWWDLQFHQWUDOHWHFQRORJLFD $FTXDUHIULJHUDWDSURGRWWDLQFHQWUDOHWHFQRORJLFD $FTXDFDOGDDOOHEDWWHULHGHOOH&7$ $FTXDUHIULJHUDWDDOOHEDWWHULHGHOOH&7$ &LUFXLWRSDQQHOOLUDGLDQWLDSDYLPHQWR LQYHUQDOH  &LUFXLWRSDQQHOOLUDGLDQWLDSDYLPHQWR HVWLYR 

7(03(5785$'7 PD[ƒ& ƒ&DSXQWRILVVR ƒ&'7 ƒ& ƒ&'7 ƒ& ƒ&'7 ƒ& ƒ&'7 ƒ&

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2.5. Dimensionamento progettuale degli impianti di climatizzazione L'intervento di ristrutturazione per l'edificio ad uso residenziale e autorimessa ha comportato la realizzazione delle seguenti opere impiantistiche : - realizzazione di un nuovo locale tecnologico a servizio dell'edificio posto in cantina a quota -4,00; - nuovo impianto di climatizzazione e riscaldamento con pompa di calore geotermica, pannelli radianti e ventilazione con rinnovo d'aria a servizio dell'abitazione; - nuovi impianti idrico-sanitari e scarichi a servizio dell'abitazione e dell'autorimessa; - nuovo impianto antincendio a servizio dell'autorimessa; - predisposizione per impianto di irrigazione delle terrazze. Alla luce delle condizioni sopra indicate e delle caratteristiche termofisiche dell'involucro edilizio sono stati effettuati i calcoli dei carichi termici per i quali si è fatto riferimento alla norma UNI 7357 e successive modifiche e integrazioni. Per i carichi frigoriferi si è utilizzato il metodo ASHRAE. Un unico gruppo reversibile provvede alla produzione sia dell'acqua calda per la climatizzazione in regime invernale sia dell'acqua refrigerata in regime estivo; le potenze massime previste sono: - 12 kW frigoriferi nel funzionamento da refrigeratore durante il periodo estivo; - 10 kW termici nel funzionamento da pompa di calore durante il periodo invernale. Il lato idraulico della macchina reversibile a contatto con la sorgente di calore esterna (condensatore in regime estivo ed evaporatore in regime invernale) è lambito da acqua fluente entro un circuito chiuso di scambio termico con il terreno che si avvale di due sonde geotermiche verticali. Il terreno mette a disposizione una sorgente termica durante la stagione invernale e un pozzo termico durante la stagione estiva che si trovano, rispetto all'aria esterna, a temperatura più vicina alla temperatura di produzione del fluido termovettore consentendo dei coefficienti di prestazione migliori rispetto alle tradizionali macchine aria/acqua [3]. Il circuito di distribuzione principale delle sonde viene strutturato secondo lo schema del ritorno inverso consentendo l'equilibramento intrinseco delle portate entro le baionette delle sonde. Non si utilizza acqua glicolata entro il circuito sonde, il che limita verso il basso la temperatura di evaporazione durante il periodo invernale (soglia minima fissata a + 4°C). La distribuzione primaria lato utente è realizzata mediante un circuito senza collettori sul quale si chiudono in sequenza prima il circuito delle batteria delle UTA, poi il circuito dei pannelli radianti. Il circuito di alimentazione della batteria delle UTA spilla parte del fluido termovettore in mandata, nelle condizioni di uscita dalla macchina reversibile; il ritorno dalla batteria si miscela con la frazione residua della portata in mandata e tale miscela va ad alimentare i collettori dei circuiti dei pannelli radianti. Con una distribuzione così strutturata, l'alimentazione del circuito della batteria di trattamento aria beneficia del fluido termovettore alla temperatura di produzione della macchina reversibile creando le condizioni per ottenere un buon trattamento con particolare riferimento alla deumidificazione estiva; l'alimentazione del circuito secondario dei pannelli radianti avviene con fluido termovettore che ha una temperatura più vicina a quella di esercizio dei terminali (circa 35 °C in inverno, 16 °C in estate)

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riducendo la differenza di temperatura dei flussi miscelati. Il circuito secondario dei pannelli radianti è dotato di circolatore a portata costante; i circuiti hanno la commutazione estiva/invernale. Lo schema dell'impianto di climatizzazione prevede riscaldamento e raffreddamento con pannelli radianti a pavimento (scaldasalviette nei servizi igienici per solo riscaldamento) coadiuvato da un impianto di ventilazione che forza in ambiente una quantità d'aria commisurata alle esigenze di rinnovo e di pressurizzazione, evitando fenomeni indesiderati di infiltrazione d'aria dall'esterno.

Fig. 10 - Schema funzionale dell'impianto. La maggior parte delle apparecchiature è ubicata al piano interrato, da dove le tubazioni dei fluidi raggiungono il piano primo e secondo attraverso un cavedio. A ciascun piano è presente un collettore dei pannelli radianti ed una unità di ventilazione.

La distribuzione periferica del fluido termovettore è stata strutturata in modo che ciascuna stanza venga servita da uno (o più) circuiti di pannelli radianti aventi una regolazione mediante valvola servocomandata posta sul collettore. Tale valvola, attraverso l'unità di regolazione, è comandata dall'utente mediante una sonda ambiente di temperatura operante, regolabile a piacere. La distribuzione aeraulica avviene mediante canalizzazioni occultate nel controsoffitto e bocchette di mandata collocate negli ambienti, ad eccezione del salone dove sono previsti diffusori lineari a feritoia da incasso.

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La ripresa dell'aria avviene a mezzo di valvole di ventilazione installate nei servizi igienici e di bocchetta di ripresa nella zona cucina. E' previsto un condotto di ventilazione (aerazione naturale) per la zona cantina. Nella stessa zona viene installato un condotto di presa aria esterna per lo scaldacqua a gas e di espulsione fumi. Le canalizzazioni sono realizzate in pannello sandwich classe di reazione al fuoco 0-1 tipo “P3” o equivalente. Il trattamento dell'aria è affidato a due UTA identiche, una a servizio della zona notte e una a servizio della zona giorno. Le UTA sono ubicate una su ciascun piano; la UTA del secondo piano serve anche la stanza padronale ubicata al piano primo, attraverso un canale che scende dal secondo al primo piano. Tutti questi percorsi orizzontali e verticali sono stati ottimizzati in funzione delle perdite di carico delle canalizzazioni (a motivo della ridotta prevalenza resa disponibile dai ventilatori delle UTA) e degli spazi disponibili, molto ridotti.

Fig. 11, 12 - Perforazione delle sonde geotermiche nella corte scoperta (agosto 2005). La realizzazione ha richiesto l'impiego di una macchina di taglia ridotta per consentirne l'ingresso nella corte

2.6. Dimensionamento progettuale degli impianti idrici La produzione dell'acqua calda sanitaria avviene mediante scaldacqua istantaneo a gas installato in cantina. Tale scelta appare motivata per i seguenti motivi: - il limitato spazio a disposizione per le sonde geotermiche ha posto un limite allo sfruttamento della risorsa geotermica, impiegata quindi per la sola climatizzazione estiva e il riscaldamento; - la tipologia di residenza, dotata di tre bagni e un servizio igienico, richiede elevati fabbisogni di acqua calda sanitaria; - la presenza di unità ventilanti dotate di batteria di post trattamento richiede che queste siano costantemente alimentate, durante il funzionamento dei ventilatori, con acqua

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calda o refrigerata a seconda della stagione. E' stata analizzata in alternativa la possibilità di utilizzare per la produzione di acqua calda sanitaria il calore reso disponibile da una pompa di calore geotermica reversibile dotata di desurriscaldatore a valle del compressore. Tale macchina rende disponibile (durante il funzionamento invernale) circa il 10-15% della potenza di esercizio ad una temperatura più elevata di quella dell'impianto (35 °C) per la produzione di acqua calda sanitaria, rendendo però necessario un accumulo di grande dimensione per disaccoppiare il carico dell'impianto di riscaldamento dalla richiesta di acqua per usi sanitari. Tali macchine sono usualmente caratterizzate dall'inversione di ciclo lato refrigerante, e pertanto il desurriscaldatore durante la stagione estiva viene di fatto bypassato; per la produzione di acqua calda sanitaria in priorità la macchina è costretta a reinvertire il ciclo tornando a funzionare come pompa di calore per tutto il tempo necessario al ripristino dell'accumulo di acqua sanitaria. Ora se i pannelli radianti possono essere disalimentati per mezzora, ciò non è possibile per le unità ventilanti venendo altrimenti meno la funzione di deumidificazione dell'aria; è pertanto necessario in tal caso un accumulo di acqua refrigerata con valvole a tre vie di commutazione e una complessità impiantistica e gestionale che si è preferito evitare, ricorrendo ad uno scaldacqua a gas istantaneo (oltretutto è noto come l'impiego di pompe di calore per la produzione di acqua calda sanitaria sia un po' meno conveniente data la necessità di produzione ad un livello termico di 45-48 °C). La tipologia di intervento, l'orientamento cardinale, l'ombreggiamento portato dagli edifici limitrofi ha infine sconsigliato l'installazione di collettori solari per lo sfruttamento di tale risorsa rinnovabile. E' prevista una rete di ricircolo dell'acqua calda sanitaria con circolatore comandato a mezzo timer situato nel quadro di piano della centrale tecnologica. 2.7. Dimensionamento progettuale degli impianti antincendio Per l'impianto idrico antincendio tipo sprinkler, con allacciamento diretto all'acquedotto cittadino, si prevede da progetto di alimentare l'impianto con una portata massima di 720 l/min e pressione residua di 2 bar.. E' previsto l'allacciamento alla rete idrica interrata di acquedotto (tubazione in ghisa DN 250) con stacco diametro 4”, in deroga rispetto alla necessità di prevedere un serbatoio di accumulo. Data la particolarità delle zone di parcamento dell'autorimessa, che prevedono due auto sovrapposte e l'impiego di appositi ponti sollevatori, è previsto l'impiego di due livelli di ugelli nebulizzatori in modo che entrambe le autovetture siano irrorate d'acqua in caso di incendio. La distribuzione principale è realizzata mediante una rete di tubazioni in acciaio zincato posta in aderenza al soffitto con calate in prossimità dei punti di ubicazione degli ugelli. Nella fossa di carico (pontone mobile) è previsto l'impiego, in deroga, di tubazioni in acciaio inox flessibili anziché rigide con meccanismo di riavvolgimento delle stesse per consentire la movimentazione del pontone stesso.

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2.8. Peculiarità della progettazione impiantistica: le difficoltà riscontrate L'intervento di ristrutturazione ha comportato numerosi vincoli, i più importanti dei quali sono stati: - rispetto delle proprietà limitrofe adiacenti e sovrastanti; - necessità di rifacimento di impianti di scarico di proprietà terze entro muri di confine e passanti attraverso il piano terra (autorimessa); - necessità di uno studio accuratissimo degli spazi impiantistici, a motivo del tassativo rispetto delle altezze massime dell'edificio e degli spessori dei solai; - ubicazione delle unità ventilanti entro controsoffitti di piccoli locali, con forti limitazioni circa la posizione di prese d'aria esterna ed espulsione; - forti limitazioni circa il percorso e le dimensioni delle canalizzazioni aerauliche, in quanto è molto limitata la presenza di controsoffitti o altri spazi tecnici; - problematiche inerenti l'ubicazione del cavedio di aerazione naturale della cantina al piano interrato, nella quale è ubicato lo scaldacqua a gas; - problematiche inerenti la perforazione di sonde geotermiche in uno spazio scoperto limitatissimo e con il vincolo di altezza per la macchina perforatrice costituito dall'altezza interpiano del piano terra; - limitazioni circa l'impianto antincendio, dovute alla necessità di ubicare gli ugelli nebulizzatori a fianco dei pontoni di sollevamento, con la evidente necessità di movimentazione di questi ultimi senza interferenze con l'impianto e il conseguente ricorso a tubazioni flessibili (in particolare ciò è stato molto problematico per la doppia fossa di calata nel corridoio centrale dell'autorimessa). Tutte questi aspetti sono stati attentamente studiati, valutati e infine risolti, mediante una strettissima sinergia tra progettazione architettonica, impiantistica e strutturale; l'onere progettuale è stato conseguentemente elevato. 2.9. Aspetto economico e di ritorno dell'investimento Un impianto di questo tipo deve essere ovviamente paragonato con un impianto dotato dei medesimi terminali (in particolare pannelli radianti a pavimento) e con ventilazione meccanica controllata. Pertanto le differenze nel costo di installazione sono riconducibili alla diversità delle apparecchiature utilizzate nei due casi differenti.

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Tabella XI - confronto economico tra due alternative 

9$5,$17($ &RVWR HOHYDWDHIILFLHQ]D  VWLPDWR>¼@

&OLPDWL]]D]LRQH HVWLYD 3RPSDGLFDORUH  DFTXDDFTXD 5LVFDOGDPHQWR LQYHUQDOH $FTXDFDOGD 6FDOGDDFTXDDJDV  VDQLWDULD FRQFDPLQR 5HDOL]]D]LRQHGLUHWHLQWHUUDWD  3HUIRUD]LRQHGLGXHVRQGHJHRWHUPLFKH  7RWDOHLQYHVWLPHQWR  )DEELVRJQRLQYHUQDOH N:KH N:KPð SHUFLUFDPð ¼  )DEELVRJQRHVWLYR N:KPñ  N:KH SHUFLUFDPñ ¼  (QHUJLDSHUSURGX]LRQHGLODGL P DFTXDFDOGDVDQLWDULDN:K ¼   &RVWRHQHUJHWLFRDQQXR ¼DQQR &RVWRGLPDQXWHQ]LRQHDQQXR ¼DQQR &RVWRWRWDOHGLHVHUFL]LRDQQXR ¼ 5LVSDUPLRDQQXR>¼@ ¼ $PPRUWDPHQWRH[WUDLQYHVWLPHQWR DQQL

9$5,$17(% &RVWR WUDGL]LRQDOH  VWLPDWR>¼@ 5HIULJHUDWRUH  DULD±DFTXD FDOGDLDDJDVD FRQGHQVD]LRQHFRQ FDPLQR+ P      

    Pñ ¼  N:KH ¼  P ¼ 



¼DQQR

   

¼DQQR ¼  

Il tempo semplice di ritorno dell'investimento è di circa 10 anni, ben inferiore alla durata prevista della pompa di calore (almeno 20 anni) e delle sonde geotermiche (50 anni). Purtroppo, per esperienza dello scrivente, finora nel settore residenziale tale tipologia impiantistica è stata per ora preferita solo da committenti con disponibilità economica e particolarmente sensibili all'aspetto del contenimento dei consumi energetici. E' peraltro interessante osservare come altre tipologie impiantistiche, dotate di tempi di ritorno molto più lunghi quando non ancora sconvenienti2, ricoprano viceversa nell'immaginario collettivo un ruolo ben più importante e siano ritenute come valide soluzioni facilmente percorribili, a riprova di quanto lavoro sia ancora necessario fare in termini di corretta informazione del cittadino medio su tali tematiche. 3. IMPIEGO DI RISORSE ENERGETICHE RINNOVABILI IN AMBITO RURALE 3.1. Premessa L'abitazione di cui si tratta nel seguito è collocata in un contesto rurale tra le incantevoli colline toscane ed è destinata a residenza di una giovane coppia, che ha 2 Quali ad esempio gli impianti fotovoltaici in assenza del contributo del Conto Energia,con tempo semplice di ritorno dell'investimento dell'ordine di 20-25 anni.

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lasciato le nebbie della pianura padana per trasferirsi in Toscana e iniziare un'attività di apicoltura e agricoltura (coltivazione dell'ulivo). L'amore per la natura, la scelta radicale di trasferirsi da un contesto urbano ad un ambiente rurale pressoché incontaminato e selvaggio3, hanno comportato scelte di un certo tipo anche quando si è trattato di definire la tipologia di residenza da costruire su un bel poggio panoramico. In particolare il Committente, che intende utilizzare la propria abitazione anche per ospitare, desiderava presentare il proprio stile di vita sano e in mezzo alla natura anche attraverso un edificio a ridottissimo impatto sull'ambiente incontaminato circostante. La scelta è ricaduta su una residenza in materiale ligneo costruita artigianalmente secondo i canoni del notissimo Protocollo Casaclima della Provincia di Bolzano [4]. Ciò ha comportato l'adozione degli spessori di isolamento in vigore in climi molto più rigidi, superando di molto quanto strettamente necessario per adempiere agli obblighi della normativa in vigore all'epoca dell'intervento, ovvero la L. 10/91. Naturalmente anche a livello impiantistico è stato compiuto un notevole sforzo per consentire, per quanto reso possibile da vincoli di altra natura, un intenso sfruttamento delle fonti rinnovabili. 3.2. Descrizione sintetica dell'edificio e degli obiettivi da perseguire L'edificio in oggetto è di nuova costruzione e si articola su due piani con le seguenti funzioni: - zona giorno al piano terra comprendente cucina, salone, studio, lavanderia e un servizio igienico, oltre ad una camera per ospiti con annesso salottino e angolo cottura (questa porzione di edificio è ad un piano soltanto); - zona notte al piano primo comprendente tre camere e due servizi igienici. La particolarità dell'edificio consiste nella struttura, costruita interamente in legno secondo la tecnica ormai consolidata delle costruzioni a telaio. Le pareti vengono realizzate in stabilimento, in base al progetto costruttivo, realizzando anche le forometrie di porte e finestre; quindi vengono trasportate in cantiere e montate in loco da carpentieri. Questa tecnica consente di abbreviare notevolmente le lavorazioni in cantiere, consentendo inoltre precisioni molto elevate tipiche delle moderne macchine di lavorazione del legno. L'unica predisposizione consiste in un basamento in calcestruzzo nel quale vengono alloggiate le tubazioni di adduzione idrica, gli scarichi di acque nere e meteoriche, i cavidotti elettrici e le tubazioni del gas. In pochi giorni è possibile montare un'abitazione monofamiliare, nel caso in oggetto la superficie abitabile è di circa 150 m2. Quindi viene realizzato il rivestimento esterno a cappotto, il tetto solitamente di tipo

3 Con alcune zone interne della Sardegna, la Maremma toscana costituisce infatti una delle poche zone del nostro Paese con ridottissimo tasso di urbanizzazione e tasso abitativo molto inferiore rispetto alla media nazionale.

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ventilato e gli impianti elettrici e termici. Le pareti interne sono costituite da un telaio che consente di ricavare un' intercapedine nella quale è possibile alloggiare cavidotti e tubazioni; quindi viene realizzata la finitura in perline di legno o cartongesso (su quest'ultimo si provvede alla posa delle piastrelle nei servizi igienici). A favore di questa tipologia di edifici stanno la rapidità realizzativa (circa tre mesi di lavoro per ottenere un'abitazione completa e finita), le ottime caratteristiche di risparmio energetico (in particolare per la più agevole riduzione dei ponti termici) e infine la possibilità di avere un contratto di tipo “chiavi in mano” interfacciandosi con un unico soggetto, evitando le problematiche tipiche dei cantieri edili tradizionali. Per contro il costo è ancora mediamente superiore rispetto ad un'abitazione tradizionale (circa il 5-10%)4 e le eventuali modifiche future all'edificio sono più difficoltose, pertanto il progetto deve essere accuratamente studiato nei minimi particolari. In questo tipo di edifici i solai sono del tipo a secco, essendo costituiti da una struttura in travi portanti coperta da un tavolato oppure da un solaio in legno autoportante di adeguato spessore. Sopra la struttura viene realizzato un massetto composto da materiale sfuso granulare di 8-10 cm di spessore nel quale vengono alloggiati gli impianti a pavimento (tipicamente cavidotti elettrici e scarichi). La stratigrafia tipica del solaio interpiano è illustrata in figura 13. Solai di questo tipo hanno portanze ammesse dell'ordine di 200 kg/m2; inoltre nel caso in esame era necessario da una parte non eccedere lo spessore del solaio per non diminuire l'altezza utile degli ambienti abitativi (pari a 270 cm), dall'altra utilizzare un sistema radiante per posa a secco per ridurre il peso. Queste ragioni hanno portato il progettista alla scelta di un sistema composto da pannelli presagomati in polistirene espanso di spessore 25 mm, corredato da lamelle termoconduttrici in alluminio e da una doppia lastra in acciaio zincato detensionato di spessore 1+1 mm, disposta a giunti sfalsati per consentire un'adeguata ripartizione del carico.

Fig. 13 - Sezione del solaio interpiano tra piano terra e piano primo. E' caratterizzato da un massetto per impianti del tipo a secco con materiale granulare sfuso, allo scopo di ridurre il peso superficiale. 4 Anche

se non mancano costruttori provenienti dall'Europa dell'Est o dalla Russia che si pongono nel mercato con prezzi molto più competitivi rispetto ai concorrenti del Centro Europa (Sudtirolo, Austria, Svizzera e Germania).

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3.3. Caratteristiche termiche delle strutture e dei serramenti L'innovativa tecnica di costruzione dell'edificio, in travi e pannelli di legno, consente di ridurre al minimo il fabbisogno energetico, anche ben oltre i limiti imposti dalla Legge 10/91. Tale tecnologia costruttiva è infatti quella adottata nelle provincia autonoma di Bolzano e più generalmente nelle regioni dell'arco alpino (Austria, Svizzera e Germania). Pertanto la scelta degli spessori di isolamento non è stata effettuata, come molto spesso avviene, in funzione del clima locale ma è pratica ormai consolidata da parte del costruttore, che mette in opera lo stesso spessore di isolamento per un edificio costruito a Bolzano come a Palermo. In particolare è previsto: - isolamento delle strutture perimetrali esterne con un notevole spessore di lana di legno, in modo da realizzare una tipologia di isolamento a cappotto; - realizzazione di un tetto ventilato a listelli sovrapposti e incrociati, - isolamento delle coperture con un notevole spessore di lana di legno; - realizzazione di serramenti con telaio in legno e struttura vetrata 4+16+4 con trattamento basso emissivo sulla lastra interna. Il dettaglio delle strutture utilizzate è riportato nelle seguenti tabelle.

Tabella XII - copertura- K = 0,29 SW/(m2K) '(6&5,=,21(675$72 V O GDOO¶LQWHUQRYHUVRO¶HVWHUQR  >P@ >:Pƒ&@ 7DYRODWRLQDEHWH   SDQQHOORLQODQDGLOHJQR   7DYRODWRLQDEHWH   7HJROD  



U >NJP@    

5 >Pðƒ&:@    

Tabella XIII - parete esterna- KS = 0,28 W/(m2K) '(6&5,=,21(675$72 V O U 5 GDOO¶LQWHUQRYHUVRO¶HVWHUQR  >P@ >:Pƒ&@ >NJP@ >Pðƒ&:@ 0DOWDGLJHVVRSHULQWRQDFL     SDQQHOORLQODQDGLOHJQR     $EHWHIOXVVRSHUSHQGLFRODUH     $EHWHIOXVVRSDUDOOHOR     $EHWHIOXVVRSHUSHQGLFRODUH     $EHWHIOXVVRSDUDOOHOR     $EHWHIOXVVRSHUSHQGLFRODUH     ,QWHUFDSHGLQHDULDPP     3HUOLQDLQOHJQRGLDEHWH    

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Fig. 14, 15- L'edificio in costruzione: si noti la struttura scatolare composta da pareti prefabbricate che vengono collegate tra loro in opera (si veda anche la figura 17)

Fig. 16, 17 - estrema rapidità costruttiva: è l'undici luglio 2005…

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Fig. 18- …il 27 settembre 2005 mancano solo infissi e apparecchi sanitari

3.4. Parametri termici e igrometrici La seguente tabella illustra le condizioni climatiche di riferimento adottate nel progetto. Tabella XIV - Condizioni climatiche di riferimento /RFDOLWj 7HPSHUDWXUDPLQLPDLQYHUQDOHGLSURJHWWR 8PLGLWjUHODWLYDLQYHUQDOHGLSURJHWWR *UDGLJLRUQR 7HPSHUDWXUDPDVVLPDHVWLYDGLSURJHWWRD EXOERVHFFR 7HPSHUDWXUDPDVVLPDHVWLYDGLSURJHWWRD EXOERXPLGR 8PLGLWjUHODWLYDHVWLYDGLSURJHWWR

6&$16$12  ƒ&    ** 

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3.5. Dimensionamento progettuale degli impianti di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria La produzione di acqua calda per il riscaldamento e per gli usi sanitari avviene in questo modo: - durante la stagione invernale viene impiegata di norma una caldaia a legna di adeguata potenzialità;

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- durante la stagione estiva la produzione di acqua calda sanitaria avviene mediante l'impiego di collettori solari piani con integrazione mediante una caldaia a condensazione alimentata a GPL installata direttamente nel serbatoio di accumulo collegato ai collettori solari. L'impianto a collettori solari è stato dimensionato per rispondere pienamente ai requisiti legislativi locali [5]. Questo è del tipo a svuotamento, con utilizzo di acqua semplice come fluido termovettore; quando la temperatura è inferiore o superiore ad un certo limite prefissato (soglia antigelo o soglia di vaporizzazione) il circuito si svuota per riempirsi di nuovo in modo automatico quando la temperatura si ristabilisce entro tali limiti. L'impiego di una caldaia a biomassa alimentata con legname in pezzi proveniente dalla pulizia dei boschi di proprietà del Committente è da ritenersi come un intervento di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di gas serra, in linea con i dettami del protocollo di Kyoto in vigore, anche perché la produzione di biomassa è locale e non ha pertanto oneri energetici di trasporto. L'edificio dispone di impianto di riscaldamento a bassa temperatura su entrambi i piani, composto di pannelli radianti a pavimento con posa a secco, come illustrato nelle figure seguenti. Ciascun circuito è dotato di valvola servocomandata azionata da una sonda ambiente di temperatura operante che dialoga via radio con l'unita locale di regolazione posta in prossimità del collettore e collegata alle valvoline di modulazione dei circuiti dei pannelli. Un'apposita logica di gestione regola la temperatura di ogni circuito in modo da garantire il corretto apporto al locale, ed inoltre rispetta le seguenti condizioni: - la temperatura del pavimento non deve mai superare, durante la stagione invernale, il valore di 29 °C; - la temperatura del pavimento non deve mai essere inferiore, durante la stagione estiva, al valore della temperatura di rugiada al fine di evitare la formazione di condensa superficiale. La scelta di terminali a bassa temperatura consente di ottimizzare le prestazioni sia dell'impianto solare che della caldaia a condensazione, che durante la stagione invernale funge sempre da riserva alla caldaia a legna.La potenza termica risultante porta ad una valore di fabbisogno per il solo riscaldamento pari a circa 6 kW grazie all'ottimo isolamento termico dell'edificio. Si è realizzato un impianto con cella termica, con questo termine intendendo un accumulo nel quale confluiscono tutti i possibili contributi delle varie sorgenti termiche, rinnovabili o tradizionali che siano, con ingresso dei fluidi termovettori nella cella secondo una precisa disposizione in funzione del livello termico erogato. E' previsto il futuro ampliamento dell'impianto con la funzione di raffrescamento estivo svolta sempre mediante pannelli radianti a pavimento. A tale scopo si prevede la predisposizione per la futura collocazione di due sonde di umidità relativa collocate una su ciascun piano allo scopo di consentire la regolazione anticondensa dell'acqua refrigerata da inviare ai pannelli radianti. Allo scopo di controllare l'umidità relativa interna è prevista la predisposizione per la futura collocazione di un deumidificatore da parete al piano terra. Il gruppo refrigeratore d'acqua di futura installazione sarà del tipo condensato ad aria con ubicazione della unità motocondensante esterna già prevista in

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questa fase allo scopo di non alterare l'estetica dell'edificio.Per ulteriori dettagli si rimanda allo schema funzionale riportato in figura 21.

Fig. 19, 20 - pannello radiante durante i lavori di posa

Fig. 21- Schema funzionale dell'impianto. Prevede l'impiego di collettori solari piani, caldaia a biomassa, caldaia tradizionale integrativa, predisposizione per futuro raffrescamento e deumidificazione.

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Fig. 22 - la cella termica con caldaia a GPL posta su un serbatoio di accumulo da 500 l (a sinistra)

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Fig. 23 - centrale termica: vista d'insieme; si nota sulla destra la caldaia a biomassa (a destra)

3.6.Peculiarità della progettazione impiantistica: le difficoltà riscontrate L'intervento di nuova edificazione ha comportato i seguenti aspetti: - tipologia costruttiva innovativa, sia per i progettisti che per gli installatori, aspetto che ha richiesto uno sforzo nel cambiamento della mentalità; - problematiche nella posa degli apparecchi sanitari al piano primo, con infiltrazioni d'acqua dal piatto doccia al piano sottostante; - difficoltà di reperimento di una caldaia a biomassa di potenza intorno a 10 kW; la caldaia effettivamente installata ha una potenza di 28 kW (è stata scelta una macchina che può funzionare con un carico di legna ridotto, a differenza delle più sofisticate caldaie a gassificazione a fiamma inversa che sono state per questo motivo scartate); - maestranze locali non sempre all'altezza della situazione, poco preparate professionalmente e al tempo stesso poco propense ad ascoltare suggerimenti; - difficoltà di rapporto con l'installatore termoidraulico, abituato a realizzare sempre le stesse tipologie di impianto, con convinzioni radicate ma non sempre corrette; molta disponibilità all'ascolto del progettista ma realizzazione finale con un certo grado di scostamento dal progetto. L'ultimo punto deve far riflettere adeguatamente i progettisti: talvolta si rischia che progetti ben fatti trovino una realizzazione mediocre, forse per il timore dell'installatore a concedere totale fiducia al progettista, forse per paura che eventuali critiche del Committente non sfiorino il progettista ma solo l'installatore stesso. Si richiede un certo sforzo da entrambe le parti: i progettisti debbono preparare progetti sicuri e razionali, che al tempo stesso devono essere spiegati e compresi dagli installatori che necessariamente devono farli loro, pena la non perfetta aderenza dell'impianto al progetto iniziale. Tutto ciò si ritiene tanto più vero quanto più si ha a che fare con installatori abituati a piccole

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realizzazioni dove spesso la figura del progettista è assente o è figura limitata a qualche consiglio iniziale, lasciando poi ampio margine di discrezionalità all'installatore stesso. 3.7. Aspetto economico e di ritorno dell'investimento Un impianto di questo tipo deve essere ovviamente paragonato con un impianto dotato dei medesimi terminali (in particolare pannelli radianti a pavimento). Dato l'obbligo di installazione dei collettori solari per la produzione di acqua calda sanitaria, in realtà l'extra costo rispetto ad un impianto tradizionale è dovuto alla sola caldaia a biomassa, con relativi collegamenti idraulici, regolazione e fumisteria (è stato realizzato un camino a parte per la sola caldaia a biomassa come da normativa). Tabella XV - confronto economico tra due alternative  &OLPDWL]]D]LRQH

9$5,$17($ &RVWR HOHYDWDHIILFLHQ]D  VWLPDWR>¼@ 6RORSUHGLVSRVL]LRQH 

9$5,$17(% &RVWR WUDGL]LRQDOH  VWLPDWR>¼@ 6ROR  SUHGLVSRVL]LRQH FDOGDLDDJDVD FRQGHQVD]LRQHD *3/FRQ  FDPLQR LQFOXVR VHUEDWRLRGD O   

FDOGDLDDJDVD FRQGHQVD]LRQHD*3/ 5LVFDOGDPHQWR FRQFDPLQR LQFOXVR LQYHUQDOH VHUEDWRLRGDO   &DOGDLDDELRPDVVDFRQ FDPLQRHDFFHVVRUL 5HDOL]]D]LRQHGLUHWHSHU*3/ ,PSLDQWRDSDQQHOOLUDGLDQWLFRQFROOHWWRULH UHJROD]LRQH 7RWDOHLQYHVWLPHQWR )DEELVRJQRLQYHUQDOH N:KPð SHUFLUFDPðN:KWƒ







¼ NJ*3/ƒ ¼ 



&RVWRHQHUJHWLFRSHUSURGX]LRQHGL ODQQRGLDFTXDFDOGDVDQLWDULDN:K

NJ*3/ ¼ 



&RVWRHQHUJHWLFRDQQXR &RVWRGLPDQXWHQ]LRQHDQQXR &RVWRWRWDOHGLHVHUFL]LRDQQXR 5LVSDUPLRDQQXR>¼@ $PPRUWDPHQWRH[WUDLQYHVWLPHQWR

¼DQQR ¼DQQR ¼ ¼ DQQL

    

¼ NJ*3/  ¼  NJ *3/  ¼  ¼DQQR ¼DQQR ¼  

  



LOVHUEDWRLRLQWHUUDWRSHU*3/qFRQFHVVRLQFRPRGDWRG¶XVRJUDWXLWRGDOIRUQLWRUH ƒFRQVLGHUDQGRGLLPSLHJDUHLO*3/DOSRVWRGHOODELRPDVVDSHUFRSULUHLOGHOIDEELVRJQRWHUPLFRLQYHUQDOH VLFRQVLGHUDXQDIUD]LRQHGHOIDEELVRJQRFRSHUWDFRQFDOGDLDD*3/SHUWHQHUFRQWRGHLJLRUQLQXYRORVL

La realizzazione si configura pertanto come un edificio eco-sostenibile per i seguenti motivi: - elevato isolamento termico: la trasmittanza delle pareti esterne - pari a circa 0,28 W/(m2K) - è ben al di sotto dei limiti imposti anche dal recente DLgs 192 del 19 agosto 2005 e successive modifiche e integrazioni (in particolare il DL 311/06), che

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prevede per la zona E - in cui ricade il comune di Scansano (GR) - una trasmittanza inferiore a 0,43 W/(m2K); - impiego di un impianto di riscaldamento a pavimento ad elevato comfort per gli occupanti e a bassa temperatura, con produzione di acqua calda da fonti in prevalenza rinnovabili (biomasse); - produzione di acqua calda sanitaria a mezzo di energia solare per almeno la metà del fabbisogno annuale, con integrazione a energia rinnovabile (biomasse) durante il periodo invernale e con caldaia a condensazione durante il periodo estivo. 4. CONCLUSIONI La relazione ha mostrato due esempi applicativi di impianti ad elevata efficienza ed impiego di fonti rinnovabili. In entrambi i casi sono essenziali la definizione primaria degli obiettivi, condivisa dal Committente che sostiene l'investimento economico, e il raggiungimento di determinati valori di efficienza energetica, pena l'eccessivo costo dell'impianto (prima è necessario raggiungere il risparmio energetico, poi la ricerca dell'efficienza e/o il ricorso alle fonti rinnovabili). A seconda della tipologia di edificio (nuova costruzione, ristrutturazione ecc.), dei vincoli, delle esigenze impiantistiche la scelta dell'impianto deve essere ottimizzata anche in considerazione delle alternative disponibili (gas metano da rete cittadina nel primo caso, GPL da serbatoio interrato nel secondo), che rendono più o meno appetibili certe tipologie d'impianto. Non va poi commesso l'errore di mettere fonti rinnovabili e impianti innovativi in concorrenza tra loro, a tutto svantaggio del tempo di ritorno dell'investimento che si può allungare anche di molto. Infine si è dimostrato come i costi di tali impianti siano tutt'altro che proibitivi, riducendosi al 10-15% del costo dell'immobile, con tempi di ritorno, in assenza di incentivi, di una decina d'anni, ovvero più che accettabili BIBLIOGRAFIA [1] [2]

[3]

[4] [5]

Edifici ed abitazioni, censimento 2001, dati definitivi, ISTAT. Di Bella A., Fellin F., Zecchin R., La ventilazione meccanica controllata in ambito residenziale: aspetti tecnologici, funzionali e normativi, convegno AICARR, Padova, Giugno 2002. De Carli M., Del Bianco R., Fellin F., Manente M., Tonon M., Zecchin R., Sviluppi nelle pompe di calore: il terreno come sorgente termica, Convegno AICARR, Padova, Giugno 2003. http://www.agenziacasaclima.it Regione Toscana,Legge Regionale n. 39 del 24 febbraio 2005, Disposizioni in materia di energia, B.U.R. Toscana n. 19 del 7 marzo 2005.

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RIASSUNTO La relazione descrive, sia in un’ottica impiantistica che energetica, i vantaggi che le applicazioni geotermiche a bassa entalpia, se ben progettate, installate e gestite, permettono di conseguire. Verrà elaborato un percorso organico volto ad analizzare singolarmente tutte le fasi di realizzazione di una centrale termofrigorifera con interfaccia di geoscambio, dalla proposta tecnico-economica, alla realizzazione fisica delle perforazioni verticali fino alla logica di gestione ottimizzata dell’impianto. Obiettivo principale della relazione è quello di presentare il percorso che è stato seguito, in collaborazione con un affermato studio di progettazione di Firenze, nel proporre, analizzare, quotare e realizzare una centrale termofrigorifera con sistema di geoscambio a sonde verticali caratterizzato da 170 sonde con 150 m di profondità ciascuna, e da una potenza nominale di 1400 kW frigoriferi. Nell’ottica di modificare radicalmente l’approccio alla progettazione impiantistica dei servizi tecnici ed energetici, con l’obiettivo di “pensare” ed installare soluzioni ecosostenibili caratterizzate dalla massima efficienza energetica, riteniamo sia opportuno chiarire equivoci e correggere la disinformazione che spesso ostacola la realizzazione di impianti che sfruttano la geotermia a bassa entalpia come fonte energetica, una sorgente energetica definita “rinnovabile” anche ai sensi dell’Art. 2 (lettera a) del Dlg. 29 dicembre 2003, n. 387. La tecnologia per sondare fisicamente, testare termicamente ed installare le geosonde nel terreno è in Italia disponibile, a costi specifici che sono sempre più competitivi all’aumentare della taglia nominale in kW del geoscambiatore. L’investimento iniziale, “chiavi in mano”, per una centrale termofrigorifera con geoscambiatore è sicuramente importante, ma un’analisi energetico-finanziaria estesa al ciclo di vita della struttura facilmente dimostra quanto tale soluzione rappresenti, oltre che un’alternativa totalmente ecocompatibile ed ecosostenibile, anche un ottimo investimento finanziario.

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1. LA GEOENERGIA A BASSA ENTALPIA Il termine “geoenergia a bassa entalpia” si riferisce all’enorme disponibilità di calore a bassa temperatura che è presente negli strati profondi del sottosuolo, dove per “profondi” si intendono gli strati fino a 150 ÷ 250 metri di profondità, ossia tali da essere raggiunti attraverso il ricorso a tradizionali tecnologie di perforazione. La connotazione “a bassa entalpia” sottolinea che queste applicazioni geotermiche non riguardano lo sfruttamento di fenomeni geologici dovuti alla risalita “superficiale” del magma terrestre fino a profondità tali da renderne possibile uno loro sfruttamento attraverso la produzione di vapore, o acqua pressurizzata ad alta temperatura, da impiegare direttamente in processi industriali o per la produzione di potenza elettrica attraverso l’impiego di turbine a vapore (Fig. 1).

Fig. 1: fenomeni geotermici ad “alta entalpia”

Nelle applicazioni “geotermiche a bassa entalpia” si è interessati ad utilizzare il calore immagazzinato nel terreno e proveniente essenzialmente dal sole che con il suo costante irraggiamento riscalda l’atmosfera e la superficie terrestre. I raggi solari, in una quota variabile nell’intervallo 35 % - 50 %, raggiungono direttamente la superficie terrestre e vengono da questa assorbiti. Ne consegue un’azione di costante riscaldamento della superficie terrestre ad opera del sole, sia nei suoi strati superficiali (0 ÷ -7 metri) che in quelli più profondi (> -10 m). Si evidenzia che a profondità maggiori di 7 m la temperatura del terreno rimane insensibile alle variazioni stagionali superficiali, conservandosi pari alla temperatura media annuale della particolare località geografica considerata. Osservando nel dettaglio la situazione nel territorio italiano possiamo affermare che la temperatura media annuale della maggior parte delle località geografiche della nostra penisola è tale da assicurare una temperatura “indisturbata” del terreno molto favorevole nell’ottica di un impiego di quest’ultimo come “sorgente energetica”, o come “pozzo energetico”, nel ciclo inverso di Carnot. Temperature medie annuale di 13.7°C a Milano, di 16.3°C a Roma, e di ben 18°C a Palermo garantiscono infatti delle condizioni termiche del “terreno profondo” molto favorevoli per:

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✔ assicurare elevate temperature di evaporazione del fluido HFC nella pompa di calore acqua-acqua durante il suo funzionamento invernale, ossia con “effetto utile caldo” (Fig. 2); ✔ assicurare basse temperature di condensazione del fluido HFC nella pompa di calore acqua-acqua durante il suo funzionamento estivo, ossia con “effetto utile freddo” (Fig. 3).

Fig. 2: Impiego della geoenergia a bassa entalpia nel periodo climatico invernale

Fig. 3: Impiego della geoenergia a bassa entalpia nel periodo climatico estivo

Come chiaramente evidenziato nella figura 2 e figura 3, l’applicazione in esame prevede il “prelievo” di calore dagli strati profondi di terreno nel periodo invernale, e il “rilascio” di calore negli stessi in quello estivo. Tale scambio energetico avviene attraverso l’impiego di un particolare scambiatore, a circuito rigorosamente chiuso ed installato nel terreno, a sviluppo prevalentemente verticale, orizzontale o a spirale, nel quale circola un fluido termovettore quale l’acqua o, quando necessario, una miscela acqua-glicole.

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2. LE TIPOLOGIE DI GEOSCAMBIATORE: LO SVILUPPO VERTICALE COME SOLUZIONE VINCENTE La realizzazione di un geo-scambiatore consiste nella posa nel terreno di una tubazione in materiale PEAD, polietilene ad alta densità, generalmente nella sua taglia commerciale di 32mm di diametro. La posa della tubazione può prevedere uno sviluppo a orizzontale “lineare”, uno sviluppo orizzontale spiraliforme, oppure uno sviluppo prevalentemente verticale. La scelta di ricorrere all’una o all’altra tipologia di geoscambiatore è ra. funzione soprattutto dell’entità del capitale disponibile per la che i realizzazione della centrale termofrigorifera. Si evidenzia infatti che il geoscambiatore a sviluppo nità orizzontale, sia lineare che spiraliforme, richiede un minore impegno finanziario giustificato dalla necessità di non ricorrere all’utilizzo di costose apparecchiature trivellatrici, ma di sole unità movimentazione terra per la realizzazione: Fig. 4: tubi in materiale PEAD

• della trincea di posa nel caso di sviluppo orizzontale (Fig. 5); • dello sbancamento del campo di geoscambio nel caso si sviluppo spiraliforme (Fig. 6). Anche se lo sviluppo a spirale garantisce migliori prestazioni energetiche medie annuali rispetto a quello “lineare”, entrambi sono fortemente penalizzati dalla scarsa profondità di posa che li caratterizza (1.5÷3 m) e che del resto è anche la principale causa del loro minore investimento iniziale rispetto alla tipologia di geoscambiatore a prevalente sviluppo verticale.

Fig. 5: geoscambiatore orizzontale a svilippo lineare

Fig. 6: geoscambiatore orizzontale “spiraliforme”

Si ricorda infatti che i primi metri di terreno sono influenzati dall’annuale oscillazione della temperatura in superficie, oscillazione legata all’alternarsi delle stagioni. Questa influenza determina rispettivamente: ✔ un progressivo innalzamento della temperatura del terreno nella stagione estiva, con

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penalizzazione delle prestazioni energetiche dell’unità acqua-acqua a compressione di HFC nel suo funzionamento in qualità di “refrigeratore” (effetto utile “freddo”) a causa di un aumento della pressione di condensazione; ✔ un progressivo abbassamento della temperatura del terreno nella stagione invernale, con penalizzazione delle prestazioni energetiche dell’unità acqua-acqua a compressione di HFC nel suo funzionamento in qualità di “pompa di calore” (effetto utile “caldo”) a causa di una diminuzione della pressione di evaporazione.

Fig. 7: geoscambiatore verticale

La tipologia di geoscambiatore a bassa entalpia che qui considereremo è quella a prevalente sviluppo verticale. Solo questa tipologia di geoscambiatore infatti garantisce le maggiori efficienze energetiche medie annuali grazie alla grande superficie di contatto tra i tubi “annegati” nel sottosuolo e il terreno circostante caratterizzato da un profilo di temperatura assolutamente insensibile alle vicissitudine climatiche superficiali e tale da massimizzare le rese energetiche delle unità a pompa di calore con inversione lato circuito idraulico.

3. LA SELEZIONE DEI COMPONENTI DI CENTRALE E LA TAGLIA NOMINALE DEL GEOSCAMBIATORE Il geoscambiatore a sviluppo verticale, costituito spesso da decine, se non centinaia di geosonde di profondità pari a 150-200 m ciascuna, è caratterizzato da “importanti” costi di realizzazione. Per questo motivo la fase di selezione della taglia nominale di geoscambiatore non solo costituisce il primo importante passo nel percorso di ideazione della centrale termofrigorifera, fulcro sul quale poggia la selezione di tutti gli altri componenti dell’anello “primario”, ma spesso determina la fattibilità o meno della soluzione tecnica proposta alla luce della disponibilità finanziaria iniziale che caratterizza ogni iniziativa economica. Prima di approfondire il tema delle linee guida di selezione della taglia nominale di geoscambiatore, appare necessario evidenziare quanto risulti limitativo, se non errato, l’approccio alla valutazione di questa ecosostenibile soluzione impiantistica nell’ottica della quantificazione del semplice investimento iniziale necessario alla sua realizzazione. Contrariamente l’approccio a queste soluzioni impiantistiche deve prevedere uno studio di fattibilità tecnico-economica redatto da soggetti o figure professionali munite della necessaria preparazione tecnica, dal necessario “back-ground” formativo e quindi potenzialmente abili ad elaborare uno studio accurato, lungimirante, e tale da considerare rispettivamente: ✔ le richieste energetiche annuali, sia frigorifere (kWhf) che termiche (kWht), dell’utenza in esame;

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✔ le potenze frigorifere (kWf) e le potenze termiche (kWt) richieste nei giorni climatici di “picco”; ✔ i profili tariffari dell’utenza, sia in termini di costo dell’energia elettrica impiegata (e/kWhelettrici) che di costo della fonte energetica primaria non rinnovabile quale gas naturale (e/Nm3) o gasolio (e/l); ✔ la proiezione futura dei costi di approvvigionamento energetico; ✔ gli spazi effettivamente disponibili per la realizzazione della centrale termofrigorifera e del geoscambiatore a sviluppo verticale in fase di valutazione e/o definizione; ✔ l’entità del budget disponibile per la realizzazione dell’impianto in esame; ✔ lo scenario legislativo, sempre in continua evoluzione e definizione, che da un lato impone soglie nelle quote di approvvigionamento energetico “rinnovabile”, e dall’altro istituisce forme di incentivazione economica la cui considerazione sicuramente aiuta la sostenibilità finanziaria dell’iniziativa in esame. L’analisi energetico-economica deve estendersi a tutti i futuri anni di esercizio della centrale termofrigorifera e deve porsi l’obiettivo di simulare: ✔ i risparmi energetici annuali in termini di kWhelettrici e Nm3 di gas; ✔ i conseguenti risparmi economici che in questo contesto si configurano come dei “costi evitati”; ✔ i risparmi in termini di “fonte energetica primaria non rinnovabile”, ossia in termini di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) risparmiate le quali possono tramutarsi, nel caso il progetto a consuntivo di risparmio energetico negli usi finali venga approvato dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG), in Titoli di Efficienza Energetica (TEE) accreditati sul conto corrente acceso presso il Gestore del Mercato Elettrico (GME), organo istituzionale preposto anche alla gestione della Borsa dei Titoli di Efficienza Energetica. ✔ i tradizionali parametri di valutazione finanziaria dell’iniziativa economica, quale è quella qui in esame, ossia la valutazione del Tempo di Ritorno (PBT), del Valore Attuale Netto (VAN) e del Tasso Interno di Redditività (TIR) dell’investimento proposto. Del resto questo è l’unico modo per dimostrate quanto la geoenergia a bassa entalpia abbinata a pompe di calore acqua-acqua ad alta efficienza energetica, quando ben dimensionata, ben installata e ben gestita, si riveli essere, almeno nelle applicazioni impiantistiche a carattere “commerciale” ed “industriale”, la soluzione economicamente più vantaggiosa tra quelle ecocompatibili, ecosostenibili, o più semplicemente “rinnovabili” come così definite dall’articolo 2, lettera a, del Decreto Legislativo 29 dicembre 2003 n° 387. 3.1. La taglia nominale del geoscambiatore La selezione della effettiva potenza di scambio da installare nel terreno è funzione del particolare profilo di utenza in esame e dipende principalmente da:

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✔ ✔ ✔ ✔ ✔ ✔

l’entità del picco annuale di potenza frigorifera richiesta dall’utenza; l’entità del picco annuale di potenza termica richiesta dall’utenza; la superficie disponibile per l’installazione del geoscambiatore; la possibilità di ricorrere all’utilizzo di gas naturale o di gasolio; eventuali esigenze architettoniche o estetiche da tutelare; eventuali restrizioni e/o limiti di impatto acustico da rispettare nel luogo di installazione; ✔ eventuale vincolo legislativo riferito ad un minima percentuale di fabbisogno energetico annuale che deve essere soddisfatta con il ricorso ad una fonte energetica rinnovabile. Alla luce degli importanti costi di realizzazione di un geoscambiatore a sviluppo verticale, costi che vanno da 80÷90 e per ogni metro di trivellazione nel caso di potenze nominali inferiori a 100kW, e si riducono a 40÷50 e per ogni metro di trivellazione nel caso di geosambiatori da 2000 kW, pensare di ricorrere all’installazione di un geoscambiatore tale da soddisfare totalmente la massima richiesta annuale di potenza frigorifera, nel caso di edifici “cooling dominating”, o di potenza termica per quelli “heating dominating”, appare una soluzione sicuramente non ottimizzata, tale da non costituire il miglior compromesso tecnico-economico possibile. Del resto è noto quanto sia esigua, in termini di ore/anno, la richiesta di una potenza pari a quella di “picco” da parte delle utenze d’impianto, utenze che invece necessitano per la maggior parte dell’anno di una potenza pari mediamente al 60% di quella nominale. E’ bene precisare subito che non esiste una sorta di “formula magica” applicando la quale è possibile calcolare la taglia nominale del pozzo di geoscambio. Nella realtà impiantistica si arriva a determinare questa importante variabile d’impianto solo attraverso un serrato e costruttivo confronto tra il proponente la realizzazione dell’impianto e il suo “curatore” o “responsabile tecnico” che spesso si concretizza nel consulente tecnico incaricato dalla Proprietà. Capire le esigenze, analizzare le simulazioni energetiche annuali, valutare differenti scenari energetico-economici, condividere le esperienze, esplicitare e confutare i leciti timori rappresentano gli “ingredienti essenziali” del virtuoso percorso finalizzato all’ideazione dell’impianto e alla selezione dei suoi principali componenti, dalla taglia nominale del geoscambiatore fino alla selezione delle pompe di circolazione. A titolo di esempio sono riportati in figura 8 e figura 9 i diagrammi di carico settimanali riferiti alla richiesta di potenza termica (Fig 8) e di potenza frigorifera (Fig. 9) tipici di una grande struttura commerciale di vendita al dettaglio. Le simulazioni termotecniche annuali nella località di realizzazione della struttura hanno evidenziato una richiesta di potenza termica di picco pari a circa 2200 kWt nelle prime ore del mattino del giorno più freddo dell’anno, e una richiesta di potenza frigorifera di picco pari a circa 2800 kWf nelle ore pomeridiane del giorno più caldo dell’anno, ore in cui la struttura è caratterizzata anche dal massimo affollamento di visitatori.

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Fig. 8: Profilo di richiesta termica nella settimana più fredda dell’anno (100% = 2200 kW alle ore 6:00)

Fig. 9: Profilo di richiesta frigorifera nella settimana più calda dell’anno (100% = 2800 kW alle ore 18:00)

Dall’analisi dei dati si deduce subito che la struttura in esame, come del resto tutte le strutture commerciali, rappresenta un’applicazione “cooling dominating”. A questo punto è lecito domandarsi: quale taglia nominale di geoscambiatore verticale è conveniente considerare in questa applicazione ? Come precedentemente osservato, sarebbe un errore la scelta di installare una potenza di scambio a terra pari a 2800 kWf ossia una potenza tale da soddisfare completamente la punta di richiesta frigorifera annuale. Questo infatti comporterebbe un investimento molto oneroso e difficilmente giustificabile dalla successiva analisi economico-finanziaria che si ricorda essere parte integrante

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dello studio di fattibilità che accompagna l’ideazione di questa tipologia di impianti. Il “virtuoso percorso” di confronto con il consulente tecnico della Proprietà, culminato nella realizzazione di quattro analisi energetico-economiche riferite ad altrettanti quattro possibili scenari impiantistici, ha condotto alla selezione di un geoscambiatore verticale caratterizzato da una potenza nominale di circa 1800 kWfrigoriferi, ossia un geoscambiatore tale da soddisfare il 64% della richiesta frigorifera di punta pari a 2800 kWf. Si osserva che talvolta un elemento importante che spesso condiziona la selezione della taglia nominale del geoscambiatore è costituito dall’esigenza di soddisfare completamente le necessità di riscaldamento delle utenze senza prevedere il ricorso all’integrazione termica con una tradizionale caldaia a gas o a gasolio. Comunque questo possibile criterio di selezione risulta praticabile solo nelle applicazioni “cooling dominating” ossia tali da essere caratterizzate da una richiesta di potenza frigorifera di picco che eccede, talvolta anche fortemente, quella termica invernale di punta. Tutto ciò comunque evidenzia nuovamente quanto non sia possibile individuare una relazione “tipo” di calcolo della taglia ottimale del geoscambiatore da installare, e come questa selezione dipenda invece da un’attenta analisi energetica, economica, finanziaria ed anche fisica dell’installazione e delle sue peculiarità e/o esigenze. 3.2. La selezione dei componenti impiantistici di integrazione Appare evidente che in questo tipo di impianti è necessario prevedere l’installazione di componenti di integrazione, ossia l’installazione di sistemi capaci di soddisfare completamente le richieste delle utenze quando quest’ultime necessitano di una potenza che eccede quella nominale del geoscambiatore interrato. Sempre a titolo di esempio, continuando il percorso di ideazione della centrale termofrigorifera asservita alla struttura commerciale caratterizzata dai carichi riportati in figura 8 e figura 9, risulta chiaro l’obbligo di selezionare apparecchiature atte ad erogare la necessaria potenza frigorifera integrativa nel caso la richiesta da parte delle utenze d’impianto ecceda i 1800 kW frigoriferi (taglia nominale del geoscambiatore). In quest’ottica la scelta può ricadere: il

• su soluzioni di facile applicazione e gestione che prevedono il ricorso all’installazione di tradizionali refrigeratori aria-acqua (Fig. 10), magari di efficienza energetica nominale (EER @100%) e stagionale (ESEER) in linea con l’alto profilo energetico della soluzione con geoscambio che si sta considerando;

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Fig. 10: Refrigeratore aria-acqua

• su soluzioni che richiedono un maggior impegno, anche progettuale, ma che possono serbare “grandi soddisfazioni” se ben selezionate, installate e gestite durante l’anno solare di funzionamento. Una di queste possibili soluzioni è rappresentata dai

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dispositivi di stoccaggio della potenza frigorifera in forma latente (“Ice Bank ” – Fig. 11). Non è superfluo evidenziare che in applicazioni caratterizzate da esigenze di forte contenimento dell’impatto acustico, o da stringenti vincoli di tutela architettonica delle strutture, il ricorso all’impiego di tradizionali refrigeratori aria-acqua sia spesso difficile, Fig. 11: Sistema di accumulo del se non impossibile, proprio alla luce del rispetto di tali ghiaccio esigenze. La gestione energetica annuale delle apparecchiature integrative selezionate sarà funzione della loro tipologia: • nel caso di refrigeratori con condensazione ad aria il loro funzionamento sarà limitato alle poche centinaia di ore annuali in cui la richiesta frigorifera eccederà quella nominale del geoscambiatore; • nel caso di ricorso a soluzioni di stoccaggio notturno della potenza frigorifera sarà invece auspicabile prevedere un funzionamento delle banche durante tutto l’anno attraverso l’implementazione di logiche di “accumulo parziale” nei mesi estivi, e di logiche di “accumulo totale” nei mesi caratterizzati da una contenuta richiesta di energia frigorifera. Del resto basta considerare quanto sia contenuto il costo di produzione notturno del singolo kWh frigorifero per mezzo di efficienti unità acqua-acqua con interfaccia di geoscambio, per capire quanto sia vantaggiosa una logica di gestione annuale che preveda priorità d’impiego della potenza frigorifera in forma latente. Per quanto concerne le utenze sanitarie non bisogna dimenticare la possibilità di provvedere al loro soddisfacimento ricorrendo all’installazione di unità a compressione di HFC munite di desurriscaldatori (piastre saldobrasate per il recupero parziale del calore di condensazione) o di recuperatori totali di calore (scambiatori shell&tubes). Il calore recuperato da questi sistemi, che nel caso di fluido HFC134a può tranquillamente eccedere i 55°C, risulta essere completamente gratuito in fase estiva, mentre può essere ottenuto in maniera ugualmente efficiente anche in inverno optando per impianti e/o controlli con “priorità sul sanitario”. Ovviamente è sempre consigliabile implementare strategie di stoccaggio dell’acqua sanitaria (per esempio durante il funzionamento notturno delle unità chiamate in esercizio per accumulare ghiaccio) anche se, in sistemi con logiche che prevedono una gestione della pompa di calore con “priorità sul sanitario”, è possibile anche sopperire a criticità nella disponibilità istantanea di acqua calda sanitaria attraverso l’intervento diretto dell’unità a compressione di HFC in modalità pompa di calore e con un adeguato valore di set-point di produzione dell’acqua calda. 4. IL PROGETTO E IL DIMENSIONAMENTO DI DETTAGLIO DEL GEOSCAMBIATORE Come in ogni scambiatore di calore anche nel caso del geoscambiatore il dimensionamento della necessaria superficie di scambio dipende dalle caratteristiche termo-

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fisiche dei fluidi interessati dal fenomeno. In quest’ottica il calcolo della effettiva superficie da installare nel terreno dipende: ✔ dalla composizione chimico-fisica del terreno che in genere varia a seconda della profondità; ✔ dal livello di umidità che caratterizza il terreno; ✔ dalla presenza di falde acquifere e dalle loro stagionali mutazioni. Un primo dimensionamento di massima del geoscambiatore può essere effettuato ricorrendo a cautelativi parametri specifici di scambio (esempio 20m di trivellazione per ogni kW di potenza scambiata), ma un progetto di dettaglio deve basarsi necessariamente sulla disponibilità di informazioni più accurate. Al fine di reperire tali informazioni è possibile ricorrere a due strategie: 1. realizzare un preventivo geosondaggio in loco fino ad una profondità prossima a quella che sarà l’effettiva profondità di installazione della geosonda (Fig. 12); 2. realizzare un test termico della geosonda nella fase iniziale di installazione delle tubazioni in materiale PEAD nel terreno (Fig. 13). Ovviamente effettuare un preventivo sondaggio geognostico comporta un costo che è necessario preventivare, ma consente di ottenere informazioni di dettaglio circa la conformazione geologica e stratigrafica del terreno, informazioni in merito alla presenza di falde e alla loro “consistenza”, in merito alla presenza di eventuali anomalie geologiche del terreno che possono anche costringere ad individuare una nuova area di collocazione del geoscambiatore.

Fig. 12: Realizzazione di un geosondaggio

Fig. 13: test termico di una geosonda

Nell’altro scenario di indagine è possibile pensare di effettuare un test termico nella fase iniziale di installazione del pozzo di geoscambio. Tale test termico consente di reperire analoghe importanti informazioni, utilissime per effettuare un nuova e dettagliata simulazione termica dello scambiatore utilizzando parametri di conducibilità termica e diffusività termica del terreno effettivamente misurati in loco. E’ importante evidenziare che la simulazione termotecnica del geoscambiatore

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deve essere di carattere dinamico ed estendersi almeno a tutto l’anno di esercizio della centrale termofrigorifera: in questa fase è determinante avere a disposizione informazioni di dettaglio in merito al profilo orario annuale di energia termica e energia frigorifera richieste dalle utenze e informazioni in merito alle efficienze energetiche delle unità a compressione di HFC. Tali efficienze devono essere riferite sia a carico nominale che a carico parziale dell’unità e devono essere espresse in funzione di differenti profili di temperatura dell’acqua negli scambiatori. Ottenuti i risultati della simulazione è possibile stabilire se l’approccio cautelativo adottato nel dimensionamento di massima del geoscambiatore si è rivelato sufficiente oppure se è necessario prevedere: • la realizzazione di ulteriori geosonde; • il raggiungimento di una profondità maggiore su ciascuna geosonda nel caso non ci sia più spazio superficiale disponibile per l’installazione di ulteriori sonde verticali.

e è onde di m, ed 4m ÷ 7m ella alla le dare” Fig. 14: range di distanza tra due successive geosonde

Inoltre nel dimensionamento di dettaglio del geoscambiatore è importante prevedere una adeguata distanza tra geosonde successive al fine di evitare l’interferenza tra i rispettivi campi di temperatura. Tale distanza non deve essere mai inferiore ai 4m, ed è inutile che ecceda i 7m (Fig. 14). Un aspetto molto importante nel progetto, nel disegno della configurazione superficiale del geoscambiatore è costituito dalla distribuzione dei singoli collettori intermedi di raccordo delle geosonde, e dal numero di geosonde che si decide di “raccordare” in un unico collettore intermedio. In questa fase della progettazione è bene prestare attenzione ai seguenti punti: • ogni “isola” di scambio a terra deve essere costituita dallo stesso numero di geosonde verticali; • ad ogni collettore intermedio non devono far capo un eccessivo numero di geosonde verticali; • ogni collettore deve essere intercettabile idraulicamente ed interamente sezionabile dal resto del campo di geoscambio;

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• ogni collettore intermedio deve essere provvisto di manometri differenziali; • il lay-out di ogni circuito idraulico deve prevedere una configurazione a “ritorno inverso” al fine di equilibrare le perdite di carico ed assicurare una corretta distribuzione della portata circolante a tutte le sonde costituenti il campo di geoscambio.

4. CONCLUSIONI La geoenergia a bassa entalpia, in abbinamento a pompe di calore acqua-acqua ad alta efficienza, costituisce una soluzione molto attraente dal punto di vista energetico per talune tipologie di edifici, ed in particolar modo per quelli nei quali sia possibile effettuare consistenti investimenti che però è contestualmente possibile recuperare grazie ad una sensibile diminuzione dei costi energetici di esercizio. Non v’è dubbio però che per far sì che questa tecnologia veda una diffusa applicazioni nel territorio italiano è necessaria la creazione e conseguente diffusione di una conoscenza più approfondita delle problematiche connesse alla progettazione e all’installazione di tali impianti. Contemporaneamente è necessaria anche una capillare diffusione delle informazioni riferite all’entità dei risparmi energetici che è possibile conseguire con l’utilizzo di tale tecnologia. Si tenga presente infatti che con un buon dimensionamento dei componenti d’impianto, unito ad una corretta gestione degli stessi, si può conseguire un dimezzamento della quantità di energia primaria annualmente impiegata, e tutto ciò senza minimamente inficiare la qualità del comfort termoigrometrico degli ambienti o il livello di soddisfazione delle utenze d’impianto. Dal punto di vista legislativo appare necessario: ✔ istituire forme di incentivazione pubbliche al fine di sensibilizzare gli operatori del settore a ricorre all’utilizzo di tale “rinnovabile” risorsa energetica, a tutti disponibile; ✔ promulgare un quadro normativo di riferimento nazionale riguardante il ricorso a questo “particolare” utilizzo del sottosuolo e tale da impedire che le paure di un amministratore locale, magari privo della necessaria preparazione culturale e/o tecnica, possano ostacolare o addirittura impedire la realizzazione di impianti che si proiettano pienamente in uno contesto di ecocompatibilità, ecosostenibilità dell’impiantistica tecnica nel settore della climatizzazione e della refrigerazione, sia civile che industriale.

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GAHP e GIS: pompe di calore ad assorbimento e accumuli stagionali interrati di ghiaccio per la climatizzazione annuale a basso impatto ambientale ALDO D’INGEO Robur Spa, Verdellino/Zingonia BG

RIASSUNTO Le pompe di calore geotermiche sono ormai di comune impiego per i paesi nord europei dove hanno avuto una rapida affermazione negli ultimi due anni. E’ risaputo cha la barriera principale per la diffusione di questi sistemi che recuperano l’energia rinnovabile dal terreno è rappresentata dagli elevati costi di perforazione e posa delle sonde geotermiche. Nuove tecnologie sono apparse sul mercato mondiale in grado di unire la praticità di apparecchi a gas come le caldaie con le prestazioni energetiche delle pompe di calore: le pompe di calore ad assorbimento geotermiche. In questo articolo verrà presentata una combinazione avanzata di tecnologie: da un lato le pompe di calore ad assorbimento (Gas Absorption Heat Pump) per il raggiungimento dei più elevati rendimenti sull’energia primaria e dall’altro, in alternativa alle sonde geotermiche, accumulatori stagionali interrati di energia (GIS Ground Ice Storage). In conclusione, l’analisi delle prestazioni energetiche e della fattibilità dimostrerà la validità di questa soluzione destinata ad aprire nuove strade alle prossime generazioni di sistemi geotermici. 1. INTRODUZIONE Il mercato mondiale delle pompe di calore è più che duplicato negli ultimi 4 anni a conferma dell’affermarsi di questa tecnologia soprattutto come alternativa ai tradizionali sistemi per il riscaldamento. Le nazioni più sensibili all’utilizzo e applicazione delle pompe di calore idroniche sono quelle europee: basti considerare che negli ultimi anni, all’interno dell’Unione Europea sono state installate il doppio delle pompe di calore installate in tutti gli Stati Uniti [1]. Svezia, Germania, Francia, Svizzera e Austria rappresentano gli esempi principali europei dove la diffusione della tecnologia è stata più marcata. E’ noto come l’efficienza di una pompa di calore sia funzione dei livelli di temperatura delle sorgenti termiche: attualmente le pompe di calore geotermiche sono le versioni più installate grazie alle elevate prestazioni e alla costanza della temperatura che il terreno può garantire durante tutto l’anno.

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Il successo di questa tecnologia nei paesi sopra indicati non è esclusivamente dovuto alle ottime prestazioni energetiche ma anche ad una politica intelligente di incentivazione che ha consentito di ridurre l’impatto economico per l’utente finale. In tutti gli altri paesi europei il costo delle sonde geotermiche e la mancanza di una politica di incentivazione rappresentano la barriera più grande per la diffusione di questi sistemi. Grazie all’ingresso sul mercato delle pompe di calore ad assorbimento geotermiche è possibile ridurre la lunghezze delle sonde fino al 40-50% e ridurre il gap tra domanda e offerta che di solito limita la diffusione dei sistemi innovativi ad alto contenuto tecnologico. In questa memoria ne verranno presentate le peculiarità e le applicazioni potenziali. Negli ultimi anni i sistemi geotermici sono stati proposti anche per la climatizzazione estiva tendenzialmente in due modi: modalità free cooling con by pass della pompa di calore geotermica oppure con condizionamento attivo e utilizzo del terreno come fonte di dissipazione del calore del condensatore. La necessità di fornire anche il condizionamento ha richiesto una maggiore attenzione e conoscenza nelle modalità di progettazione degli scambiatori geotermici. Una valida alternativa alle tradizionali sonde geotermiche è rappresentata dall’accumulo interrato di ghiaccio (GIS: Ground Ice Storage). Verranno di seguito presentate le caratteristiche principali e le modalità di progettazione. 2. POMPE DI CALORE AD ASSORBIMENTO GEOTERMICHE 2.1. Posizionamento delle tecnologia delle pompe di calore ad assorbimento Per introdurre le caratteristiche tecniche della tecnologia ad assorbimento è necessaria una premessa sul mercato del riscaldamento idronico in modo da poter collocare correttamente la tecnologia e poterne apprezzare i pregi. I sistemi più diffusi per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria sono rappresentati dalle caldaie: negli ultimi trenta anni abbiamo assistito ad una evoluzione notevole di questi sistemi sia dal punto di vista del tipo di combustibile utilizzato sia per quanto riguarda l’efficienza fino ad arrivare alle attuali caldaie condensazione. Dal carbone si è passati al gasolio, al metano e alle biomasse che stanno avendo successo soprattutto nei paesi nord europei. Solo negli ultimi dieci anni è emersa la necessità di utilizzare sistemi alternativi alle caldaie in grado di soddisfare le esigenze comuni di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria. Le pompe di calore rappresentano ad oggi l’alternativa ai sistemi a combustione tradizionali. Come già accennato in precedenza la loro diffusione è marcata soprattutto nei paesi nord europei ma sta prendendo piede anche nel nostro Paese. A questo punto è opportuno chiedersi come si collocano le pompe di calore ad assorbimento tra i sistemi descritti. A parità di condizioni di funzionamento è l’efficienza sull’energia primaria a differenziare le tecnologie. La fig. 1 mostra la nuova suddivisione del mercato idronico: le pompe di calore ad assorbimento uniscono i vantaggi e la semplicità delle caldaie alle efficienze delle pompe di calore a compressione.

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Fig. 1 – Nuova segmentazione del mercato dei sistemi per il riscaldamento idronico.

2.2. Ciclo termodinamico Il ciclo termodinamico di una pompa di calore ad assorbimento GAHP rappresenta una soluzione pressoché unica sul mercato mondiale e sempre più riconosciuta come l’evoluzione naturale delle caldaie a condensazione. Per tale ragione, in quanto segue ci si sofferma sul suo svolgimento, per chiarirne il principio operativo. Il ciclo è rappresentato nella fig. 2, e lo si può fare iniziare dal generatore, dove la soluzione ricca di acqua – ammoniaca, riscaldata dal bruciatore fino alla temperatura di ebollizione, diventando vapore ad alta concentrazione di ammoniaca e soluzione liquida povera di ammoniaca. Il vapore sviluppato nel generatore entra nel rettificatore dove viene depurato dal vapor d’acqua presente e inviato allo scambiatore refrigerante-acqua che fungendo da condensatore/assorbitore riscalda l’ acqua che lo attraversa. Il vapore viene quindi condensato e passa allo stato liquido. L’ ammoniaca liquida che esce dal condensatore dopo avere subito una doppia laminazione che ne riduce la pressione a circa 3 - 4 bar e la temperatura ad un valore inferiore a 3 °C è inviata all'evaporatore dove raffredda l’ acqua in circolo. Il vapore di ammoniaca che esce a bassa temperatura dall’ evaporatore passa nell’ assorbitore-rigeneratore (GAX) dove viene a contatto con la soluzione povera proveniente dal generatore, ridotta di pressione da un apposito organo di laminazione. Nell’assorbitore-rigeneratore inizia il processo di assorbimento, cioè la diluizione del vapore di ammoniaca nella soluzione povera. Affinché il processo di assorbimento possa completarsi è necessario raffreddare la soluzione uscente, facendola passare all’interno della seconda parte di scambiatore ad acqua e facendole cedere in questo modo ulteriore calore all’acqua dell’impianto di riscaldamento. Completato il processo di assorbimento la soluzione, ora tornata ad alta concentrazione di ammoniaca, è portata nel lato ad alta pressione del ciclo per mezzo di una pompa. Prima di tornare al generatore dove riprenderà il ciclo la soluzione ricca viene pre-riscaldata recuperando calore dal ciclo stesso (rettificatore e GAX) [2].

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Per analogia con i sistemi a compressione di vapore è possibile riconoscere che tre delle 4 trasformazioni termodinamiche sono pressoché simili. Il percorso fatto dal refrigerante attraverso il condensatore, il sistema di laminazione e l’evaporatore è del tutto simile, in linea di principio , a quello di un sistema a compressione. Il ciclo ad assorbimento sostituisce al compressore meccanico un compressore chimico composto dal generatore dal rettificatore dal GAX e dalla pompa delle soluzioni.

Fig. 2 – Pompa di Calore ad Assorbimento geotermica:ciclo termodinamico di funzionamento.

2.3. Analisi delle prestazioni pompe di calore ad assorbimento geotermiche. Di seguito le caratteristiche tecniche dell’unità in diverse condizioni di funzionamento: Tab. 1 – Caratteristiche tecniche della pompa di calore ad assorbimento geotermica.  3RWHQ]D7HUPLFDQRPLQDOH 7HPSLQJUHVVRHYDSRUDWRUH 7HPS0DQGDWD8WHQ]D  3RWHQ]DUHFXSHUDWDGDOWHUUHQR *8((IILFLHQ]DGLXWLOL]]D]LRQHGHOJDV

 N: ƒ& ƒ& N: 

%:     

%:     

Per poter apprezzare le prestazioni delle pompe di calore ad assorbimento è necessaria un analisi accurata delle caratteristiche tecniche indicate nella tabella soprastante. Come accennato al paragrafo 2.1 le pompe di calore ad assorbimento si posizionano come tecnologia tra le caldaie e le pompe di calore a compressione. Nel caso di un confronto con le caldaie salta all’occhio elevata efficienza di utilizzazione del gas GUE (Gas Utilization Efficiency [3]) del 40 % superiore rispetto alle migliori caldaie [4]: all’energia generata dalla combustione viene sommata l’energia recuperata dalla sorgente fredda ottenendo cosi valori superiori all’unità. Inoltre,

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utilizzando ancora l’energia presente nei fumi di combustione, mediante l’introduzione di un recuperatore di calore, è possibile incrementare il GUE di circa il 10%. Per quanto riguarda il confronto tecnologico con i sistemi a compressione è necessario focalizzare l’attenzione su due aspetti: • Il rapporto tra la capacità termica del condensatore/assorbitore e la capacità termica dell’evaporatore. • Il rendimento sull’energia primaria. Per il primo aspetto si può notare che per una pompa di calore ad assorbimento geotermica il rapporto tra le due potenze è pari a circa 2,5 (funzione delle temperature di ingresso all’evaporatore e di uscita dal condensatore). Per un sistema a compressione questo rapporto, a sua volta funzione del COP e delle temperature dell’acqua di ingresso all’evaporatore e di uscita dal condensatore, si aggira introno a 1,3. In termini pratici il rapporto indica che per un sistema a compressione lo scambiatore con la sorgente termica fredda (pozzo freddo) è circa il doppio di quello necessario per una pompa di calore ad assorbimento. In altre parole da un punto di vista applicativo questo concetto si traduce in una riduzione di circa il 50% delle dimensioni delle sonde geotermiche o del sistema progettato per il recupero termico dal terreno. La fig. 3 chiarifica il concetto. Le motivazioni fisiche di tale differenza vanno ricercate nei cicli termodinamici delle due tecnologie: come indicato al paragrafo 2.2, per una pompa di calore ad assorbimento, il calore ceduto all’acqua proviene dal condensatore e dall’assorbitore mentre per un sistema a compressione esclusivamente dal condensatore. A parità di capacità termica all’evaporatore, quindi, un sistema ad assorbimento è in grado di sprigionare quasi il doppio della potenza termica che si avrebbe con l’utilizzo del solo condensatore.

Fig. 3 – Confronto lunghezza sonde geotermiche tra pompe di calore ad assorbimento e pompe di calore a compressione.

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Il secondo aspetto invece riguarda il rendimento sull’energia primaria e la conseguente emissione di CO2 equivalente. La pompa di calore ad assorbimento, come già accennato, è una macchina termica che utilizza il gas naturale come combustibile. Per poter fare un confronto occorre definire il fattore di conversione tra energia elettrica e primaria: il DL 192 indica in 0,36 o il 36% il valore da prendere in considerazione [5]. E’ inoltre necessario definire un COP medio per gli apparecchi attualmente in commercio per le condizioni B0/W50: per queste condizioni di funzionamento un valore di COP = 3,3 [6] è rappresentativo dei migliori sistemi presenti sul mercato. La fig. 4 mostra l’efficienza sull’energia primaria per una pompa di calore elettrica a compressione.

Fig. 4 – Efficienza sull’energia primaria per una pompa di calore elettrica a compressione.

Per una pompa di calore ad assorbimento, invece occorre considerare direttamente l’efficienza di utilizzazione del gas dedotta la quota parte relativa all’esiguo consumo elettrico della macchina (0,54kW elettrici per 35kW termici prodotti). Per una pompa di calore ad assorbimento geotermica il PER (Primary Energy Ratio) è pari a 131% per unità senza recuperatore e a 140% per unità con recuperatore sui fumi. E’ possibile affermare, come d’altronde riconosciuto anche da alcuni paesi europei come Germania e Austria, che le pompe di calore ad assorbimento sono tra le migliori tecnologie a basso impatto ambientale oggi disponibili sul mercato. 3. POMPE DI CALORE AD ASSORBIMENTO E ACCUMULI INTERRATI DI GHIACCIO: UN ESEMPIO PRATICO 3.1. Introduzione. La diffusione dei sistemi geotermici è fortemente vincolata dai costi di installazione che per la maggior parte sono dovuti alla perforazione e alla posa in opera delle sonde nel terreno. Nel paragrafo 2.3 si sono analizzati i vantaggi dell’utilizzo delle pompe di calore geotermiche ad assorbimento ed è emerso che la loro applicazione abbatterebbe i costi di installazione di quasi il 50% . Ciò nonostante, soprattutto nei paesi europei in cui queste tecnologie sono diffuse, per eseguire le trivellazioni e la posa in opera delle sonde verticali occorrono aziende e macchinari specializzati. L’incremento

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della domanda dei sistemi geotermici ha creato una discrepanza con l’offerta di fornitori di sonde. Si stimano in circa 4 mesi i tempi di attesa per la fornitura e posa delle sonde. Questo tempo non è dovuto ai tempi legati alla perforazioni bensì alla mancanza di specialisti. Negli ultimi anni, infatti, per ovviare a questo inconveniente le più grandi aziende europee del settore hanno investito per attrezzarsi adeguatamente per offrire sistemi geotermici chiavi in mano. E’ proprio in Germania che negli ultimi due anni sono state studiate alternative che consentano di superare le barriere alla diffusione dei sistemi geotermici. L’applicazione riguarda la combinazione di una pompa di calore ad assorbimento con un accumulo interrato di ghiaccio in combinazione con uno scambiatore geotermico orizzontale. L’impianto è stato progettato per la climatizzazione annuale di un edifico commerciale. 3.2. L’idea. L’impianto è stato realizzato per soddisfare il fabbisogno termico e frigorifero dell’edificio mostrato in fig. 5.

Fig. 5 – Foto dell’edificio.

L’impianto di riscaldamento è servito da una pompa di calore ad assorbimento geotermica che durante il suo funzionamento carica un accumulo stagionale interrato di ghiaccio. Durante la stagione estiva, invece, per la produzione dell’acqua refrigerata , viene utilizzata l’energia accumulata sotto forma di ghiaccio durante l’inverno. In questo modo all’elevata efficienza in riscaldamento prodotta dalla pompa di calore ad assorbimento si aggiunge l’energia frigorifera consumata in estate e prodotta “ gratuitamente” durante l’inverno. Di seguito uno schema di principio per meglio descrivere il concetto.

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Fig. 6 – Schema di principio della combinazione di GAHP e GIS

3.3. L’accumulo stagionale di ghiaccio GIS (Ground Ice Storage) Nel paragrafo 3.2 è stata presentata l’idea di sostituire le sonde geotermiche con un accumulo interrato di ghiaccio GIS. Prima di passare all’analisi del dimensionamento di tale sistema è opportuno elencarne i vantaggi: • Condizionamento estivo a basso impatto ambientale ed economico (l’energia necessaria per far operare l’impianto è esclusivamente quella delle pompe di circolazione dell’acqua). • Drastica riduzione della potenza elettrica installata per il condizionamento estivo. • Forte riduzione delle emissioni equivalenti di CO2. • Costi operativi estremamente contenuti per la climatizzazione annuale. • Investimenti inferiori rispetto ad un tradizionale impianto geotermico con sonde verticali. • Facilità di costruzione in confronto ai sistemi con sonde geotermiche verticali. • Facile reperimento di imprese edili in grado di realizzare la struttura dell’accumulo. I principali parametri che influenzano il dimensionamento del GIS sono: • Energia frigorifera di progetto per il condizionamento estivo. • Potenze termica e frigorifera generate dalla pompa di calore ad assorbimento. • Numero di ore di funzionamento in riscaldamento.

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• Qualità del terreno. • Temperatura media annuale del terreno.

• • • • • •

I risultati del dimensionamento del GIS si tradurranno in: Volume dell’accumulo GIS. Geometria dell’accumulo GIS. Profondità di installazione del GIS. Superficie di scambio all’interno del GIS. Definizione dei flussi di energia e geometria della formazione del ghiaccio. Proporzionamento tra recupero dal GIS e recupero dal terreno.

L’energia frigorifera richiesta dall’edificio in fig. 5 è pari a circa 14000kWh. A questo punto è necessario determinare il volume teorico dell’accumulo tenendo conto del calore latente di solidificazione dell’acqua pari a 335 kJ/kg e della densità del ghiaccio pari a 0,917 kg/m^3. La totalità dell’energia frigorifera richiesta non verrà fornita esclusivamente dal calore di fusione del ghiaccio ma anche dalla quota parte necessaria per portare il volume totale dell’accumulo dalla temperatura di 8°C alla temperatura di 0°C. L’espressione che consente di determinare il volume del GIS è la seguente: 9*,6

()WRW ˜     U K  R ˜ & S ˜ '7K  R  U* ˜ &/I

dove: 9*,6  qLOYROXPHQHWWRGHOO¶DFFXPXORLQWHUUDWRGLJKLDFFLR*,6 ()WRW  qO¶HQHUJLDIULJRULIHUDVWDJLRQDOHULFKLHVWDGDOO¶HGLILFLRHVSUHVVDLQN:K  U K R qODGHQVLWjGHOO¶DFTXDLQNJPA & S  qLOFDORUHVSHFLILFRDSUHVVLRQHFRVWDQWHGHOO¶DFTXDSDULDN- NJ . 

'7K  R  qODGLIIHUHQ]DGLWHPSHUDWXUDWUDODWHPSHUDWXUDPLQLPDGHOO¶DFTXDDPPLVVLELOHSHULO FRQGL]LRQDPHQWR LQTXHVWRFDVRƒ& HODWHPSHUDWXUDGLLQL]LRFRQJHODPHQWR ƒ&  U *  qODGHQVLWjGHOJKLDFFLRSDULDNJPA & /I  qLOFDORUHODWHQWHGLVROLGILFD]LRQHGHOO¶DFTXDSDULDN-NJ

Una volta determinato il volume del GIS è necessario determinarne la geometria per la quale è necessario tener in considerazione: • il rapporto tra superficie laterale e il volume contenuto; • il costo per la costruzione dell’accumulo; • l’isolamento e lo scambio con il terreno. Da un punto di vista fisico la geometria sferica rappresenterebbe la soluzione ideale con il miglior rapporto S/V dove S è la superficie laterale della sfera a contatto con il terreno e V è il volume della stessa. Applicando la (1) per l’energia di 14000kWh si ottiene un volume netto pari a 150m^3. Il diametro della sfera sarebbe di 6,6 m con un rapporto S/V pari a 0,909.

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E’ evidente che la costruzione di una sfera in cemento armato non rappresenta la soluzione ideale per il contenimento dei costi e dei tempi di costruzione del GIS. E’ possibile ripetere l’esercizio per altri tipi di geometrie come ad esempio un parallelepipedo o un cilindro. La soluzione ottimale è rappresentata dalla geometria cilindrica che ben coniuga l’esigenza di ridurre il rapporto S/V con la facilità di costruzione. Per il volume di 150m^3 è stata utilizzata una geometria cilindrica con diametro di 8 m , altezza 3m e rapporto S/V pari a 0,917. Una riflessione a parte va fatta per l’isolamento del GIS: come già più volte accennato uno degli obiettivi di questa applicazione è la conservazione del ghiaccio durante l’inverno per poterlo utilizzare in estate. Più volte abbiamo assistito ad esperienze di accumuli stagionali con obiettivi opposti rispetto al GIS: accumulo di acqua calda durante l’estate, grazie al calore ceduto dal condensatore di una pompa di calore, per poi avere un vantaggio nell’utilizzo della pompa di calore in inverno dovuto all’innalzamento della temperatura del pozzo freddo. In questo caso è la velocità di raffreddamento dell’acqua che determina il successo dell’applicazione: in altre parole l’isolamento non è un fattore trascurabile. La semplice differenza tra il calore specifico dell’acqua e del ghiaccio potrà darci parte della risposta: 

& S+ 2 N- NJ .  & S* N- NJ . 

La capacità di scambio termico del ghiaccio è circa la metà rispetto all’acqua quindi gli scambi del GIS con il terreno sono ridotti e di conseguenza anche l’isolamento sarà meno oneroso. Le tecniche di isolamento che si possono utilizzare sono: l’intercapedine ad aria, isolanti utilizzati nell’edilizia e scambiatore geotermico orizzontale con protezione termica del serbatoio. La profondità di installazione del GIS dovrà essere >= 1m in modo da evitare che le fluttuazioni della temperatura dell’aria e eventuali strati di permafrost influenzino le prestazioni del GIS. La profondità indicata è anche un buon compromesso economico per la realizzazione degli scavi.

Fig. 7 – Vista laterale e schema idraulico di principio dell’accumulo di ghiaccio interrato GIS.

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Fig. 8 – Sezione verticale dell’accumulo di ghiaccio interrato GIS

Le figure 7 e 8 mostrano quanto sopra esposto: nella fig. 7 viene dato lo schema di principio del posizionamento del GIS e della connessione idraulica con il resto dell’impianto; nella fig. 8 si nota una sezione verticale nella quale emergono le dimensioni dell’accumulo. E’ inoltro possibile notare che lo scambiatore all’interno del GIS è costituito da anelli in parallelo di tubazioni in PE che avvolgono la colonna centrale di sostegno della struttura del GIS. All’interno delle tubazioni in PE circola una soluzione di acqua glicolata che viene raffreddata fino a -5°C dalla pompa di calore ad assorbimento geotermica durante la stagione invernale. La lunghezza e il diametro dei tubi in PE sono stati calcolati sulla base della massima potenza frigorifera recuperata dall’evaporatore pari a circa 15kW. Un altro aspetto molto importante è rappresentato dalla definizione dei flussi di energia all’interno del GIS per un ottimale formazione di ghiaccio: è noto che la formazione di ghiaccio determina un aumento di volume dello stesso. La velocità e la direzione di formazione del ghiaccio dovrà essere tale da non creare delle sollecitazioni meccaniche anomale all’interno dell’accumulo che determinerebbero criccature strutturali con conseguente perdita nel terreno dell’acqua contenuta nel GIS. Per fare un esempio pratico basti pensare a cosa succede ad una bottiglia di vetro in un congelatore: il ghiaccio comincia a formarsi sulle superfici laterali diffondendosi via via negli strati centrali. Il flusso di energia all’interno del GIS dovrà essere tale da consentire la formazione del ghiaccio dal basso verso l’alto e dall’interno verso l’esterno. Nella fig. 9 viene riportata una schematizzazione grafica delle direzioni di formazioni del ghiaccio.

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Fig. 9 – Direzioni di formazione del Ghiaccio all’interno del GIS

Come si può osservare dalla fig. 9 il GIS è avvolto da uno scambiatore geotermico orizzontale che assolve alle seguenti funzioni: • Consente di recuperare l’energia dal terreno qualora il GIS sia pieno di ghiaccio; • Consente di abbassare la temperatura del terreno a contatto del GIS limitando i flussi termici che provocherebbero lo scioglimento prematuro dello stesso. Le dimensioni del GIS sono funzione dell’energia frigorifera necessaria per il condizionamento: nel caso analizzato il volume di 150m^3 è stato realizzato per consentire 1000 ore di “condizionamento gratuito”. Se le ore in condizionamento coincidessero con quelle in riscaldamento non sarebbe necessario inserire lo scambiatore geotermico orizzontale. Nel caso in esame le ore previste in riscaldamento sono circa 1800. In pratica il 60% dell’energia verrà recuperata dal GIS e il restante 40% direttamente dal terreno. Per poter costruire il GIS è necessario predisporre uno scavo a forma di cono rovesciato. Il fondo del cono e le superfici laterali dello stesso vengono utilizzate per posizionare lo scambiatore geotermico orizzontale come si evince dalla fig. 11 in cui vengono riportate le fasi di costruzione del GIS.

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Fig. 10 – Pompa di Calore ad Assorbimento geotermica.

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Fig. 11 – Fasi di costruzione dell’accumulo di ghiaccio GIS.

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3.3 Descrizione dell’impianto. Il progetto dell’impianto è stato realizzato tenendo conto dei seguenti dati: 

7HPSHUDWXUDGLSURJHWWRLQYHUQDOH ƒ& 7HPSHUDWXUDGLSURJHWWRHVWLYD ƒ& 3RWHQ]DWHUPLFDGLSURJHWWR N: (QHUJLDWHUPLFDGLSURJHWWR N:K (QHUJLDIULJRULIHUDGLSURJHWWR N:K 7HPS0DQGDWDDFTXDULVFDOGDPHQWR ƒ& 7HPS0DQGDWDDFTXDFRQGL]LRQDPHQWR ƒ&

      

Per coprire la potenza termica di progetto è stata utilizzata una pompa di calore ad assorbimento GAHP-W (fig. 10) con recuperatore di calore sui fumi. L’unità è in grado di produrre una potenza termica in condizioni nominali pari a circa 40kW in modo da ricoprire il 100% dell’energia termica di progetto e l’90% della potenza termica nominale richiesta. L’energia termica di progetto è stata calcolata sulla base dell’andamento delle temperature reali tipiche della località in cui è avvenuta l’installazione. Come sistema di back up è stato utilizzato il generatore di calore già presente all’interno dell’edificio per ricoprire il restante 10% della potenza termica di progetto. L’intervento di ammodernamento dell’impianto di riscaldamento ha consentito di optare per la scelta di terminali quali pannelli radianti a pavimento e a soffitto, ventilconvettori, radiatori a bassa temperatura e sistemi di recupero del calore contenuto nell’aria di espulsione. Per il circuito idraulico è stato previsto un accumulo stratificato con funzione anche di separatore idraulico in modo da disaccoppiare il circuito primario dal secondario. Per il circuito secondario sono state previste delle pompe di zona a portata variabile a servizio dei diversi circuiti di riscaldamento/condizionamento. Il primario invece è stato progettato per il funzionamento a portata costante. Il lato evaporatore delle pompa di calore ad assorbimento è stato collegato all’accumulo stagionale di ghiaccio con interposti scambiatori a piastre per consentire la circolazione di acqua glicolata. In parallelo al circuito di alimentazione dell’accumulo di ghiaccio è stato previsto uno scambiatore geotermico orizzontale che circonda lo stesso accumulo in cemento armato. Il sistema di controllo consente la commutazione in condizionamento che prevede il by-pass della pompa di calore per consentire all’accumulo di ghiaccio di scaricarsi durante la stagione estiva. In caso di necessità è possibile attivare la pompa di calore ad assorbimento per il funzionamento in condizionamento e sopperire a picchi di richieste in stagioni particolarmente calde. Lo schema di principio dell’impianto idraulico è riportato nella fig. 12:

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Fig.12 – Schema idraulico impianto con Pompa di calore ad assorbimento geotermica ad assorbimento e accumulo interrato di ghiaccio.

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4. CONSIDERAZIONI ECONOMICHE A conclusione di questa memoria è spontaneo porsi due semplici domande: • Quale è l’efficienza di un impianto che combina GAHP e GIS? • Quali sono i costi di tale soluzione? L’efficienza di utilizzo del gas G.U.E per la pompa di calore ad assorbimento è circa pari al 200% in quanto all’effetto utile prodotto dal condensatore si somma l’effetto utile all’evaporatore in quanto l’energia sottratta all’acqua viene accumulata sotto forma di ghiaccio per l’utilizzo estivo. Come è noto la validità di una soluzione non si ferma all’analisi puramente tecnica o all’originalità della stessa: è opportuno trovare sempre il compromesso economico che consenta di trasformare i vantaggi tecnici/energetici in vantaggi per l’utente. Il costo per le sonde verticali di un sistema geotermico tradizionale, considerando un prezzo medio delle sonde di 50 e/m, per una potenza in riscaldamento di 35kW è di crica 25000 e. Il costo per l’utente finale di un accumulo interrato di ghiaccio GIS si aggira in torno ai 20000 e [7]. La competitività della soluzione ne dimostra la sua validità non solo dal punto di vista energetico. 5. CONLUSIONI I sistemi geotermici per la climatizzazione annuale rappresentano una soluzione sempre più a portata di mano per l’utilizzo dell’energia rinnovabile contenuta nel terreno. In questa memoria è stata presentata una combinazione particolare di tecnologie: pompa di calore ad assorbimento geotermica e accumulo interrato stagionale di ghiaccio. Le pompe di calore ad assorbimento, grazie all’utilizzo di gas naturale, consentono di raggiungere rendimenti sull’energia primaria superiori del 20% rispetto ai sistemi a compressione. L’accumulo stagionale GIS invece consente di raddoppiare il vantaggio accumulando sotto forma di ghiaccio l’energia recuperata dal terreno durante l’inverno determinando un’efficienza complessiva del sistema superiore al 200%. In conclusione, l’analisi delle prestazioni energetiche e dei costi di investimento dimostrano come questa soluzione sia destinata ad aprire nuove strade alle prossime generazioni di sistemi geotermici per la climatizzazione annuale a basso impatto ambientale. BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3]

A. Elidi, D. Zimmermann, M. Leech, World Renewables 2005-Heat Pump Market, BSRIA Limited 2005. Castiglioni R., Prove di Macchina - Costruire Impianti Gennaio 2006, Milano. EN12309 -2, Gas Fired absorption and adsorption Air-Conditioning and/or Heat Pump appliances with a net input not exceeding 70kW- Part 2: Rational use of energy, CEN 2000.

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[4] [5] [6]

[7]

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GAHP e GIS: pompe di calore ad assorbimento e accumuli stagionali interrati di ghiaccio per la climatizzazione annuale a basso impatto ambientale

G. Corallo, R. Latini, A. Franchi - Prove di Caratterizzazione di unità GAHP ENEA Unità ENE-TERM 2004. Allegato I, par. 6d, DL 09 Dicembre 2006 n. 311. Annex B pr EN 15316 4.2, Method for calculation of system energy requirements and system efficiencies - Part 4-2: Space heating generation systems, heat pump systems, CEN A. Von Rohr, Internal Documentation, ISOCAL Gmbh, Germany 2006.

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Uso combinato del geoscambio e del solare termico per impianti di riscaldamento FRANCO CIPRIANI*, GIORGIO GALLI** * - Facoltà di Architettura L. Quaroni, Università La Sapienza, Roma ** - Dipartimento di Fisica Tecnica, Università La Sapienza, Roma

RIASSUNTO In una precedente occasione [2] erano state effettuate valutazioni tecnicoeconomiche che indicavano una fattibilità pressoché nulla per l’impiego degli impianti a pompa di calore accoppiata ad un geoscambiatore per il solo riscaldamento, soprattutto a causa della necessità di sovradimensionare il geoscambiatore stesso con il conseguente aumento dei costi di realizzazione. In relazione a questa specifica problematica è stata ideata una soluzione sperimentale che consente di ridurre drasticamente il dimensionamento del geoscambiatore impiegando l’energia captata da un impianto termico solare. Tale soluzione è stata applicata ad un piccolo progetto in corso di realizzazione nell’ambito delle iniziative del Centro Innovazione per la Sostenibilità Ambientale CISA nel Comune di Porretta Terme (BO). Nel lavoro vengono descritte le caratteristiche della soluzione progettuale individuata e le prime analisi effettuate per valutarne la fattibilità. Le risultanze di queste valutazioni sembrano indicare che la soluzione può effettivamente risultare di notevole interesse in ambiti applicativi di dimensioni anche maggiori. 1. PREMESSA Nella pratica delle applicazioni basate sul geoscambio si è sempre ritenuto che il suo impiego risultasse giustificato negli impianti di condizionamento, cioè con una utilizzazione sia invernale sia estiva. Ciò in quanto il geoscambiatore basa il suo funzionamento su una doppia modalità: - da un lato è propriamente uno scambiatore termico che recupera energia dal terreno, - dall’altro lato deve essere considerato anche come un accumulo termico di grande dimensione. In questa seconda modalità è necessario tenere conto del fatto che l’accumulo è in grado di “ricaricarsi” autonomamente grazie al calore solare e a quello endogeno del pianeta, ma che per compiere tale ricarica necessita di tempi molto lunghi, tali da richiedere un periodo di inattività prolungato o un surdimensionamento del geoscambiatore (pari ad un aumento che va dall’80% al 100%). Ovviamente tale tempo si annulla

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se i prelievi e le cessioni di energia tendono a bilanciarsi, ciò che accade appunto nel caso di impianti di condizionamento. Di fatto nell’analisi effettuata in precedenza [2] si era dimostrato che nei casi di impianto di solo riscaldamento tale impiego fosse antieconomico. Pur risultando evidente il vantaggio energetico della soluzione, esso non basta a giustificare economicamente il maggiore investimento reso necessario dall’aumento delle dimensioni del geoscambiatore (che nel caso analizzato portava alla realizzazione di due geoscambiatori uguali da utilizzare alternativamente: un anno uno e l’anno successivo l’altro). Il tempo di ritorno semplice (simple payback time) risultava superiore ai dieci anni, ma stime condotte successivamente, sulla base di dati di mercato più consolidati di quelli allora disponibili, permettono di affermare che in realtà tale tempo risulterebbe più lungo anche del 50%. A partire dal particolare tema costituito da un edificio in corso di realizzazione nel Comune di Porretta Terme (BO) a cura del C.I.S.A. (Centro Innovazione per la Sostenibilità Ambientale) si è pertanto deciso di sperimentare una soluzione, descritta nel presente lavoro, basata sull’impiego dell’energia solare per effettuare la “ricarica” del geoscambiatore. Una simile soluzione è stata già, parzialmente, adottata in altri casi [3] [4]. In essi il solare termico viene impiegato sia per produrre l’acqua calda per uso sanitario, sia per l’utilizzazione diretta nell’impianto di riscaldamento, solamente la quota parte residua dell’energia recuperata dal sole, che altrimenti non verrebbe sfruttata, viene ceduta al terreno per collaborare alla ricarica del geoscambiatore.

Fig. 1 – Schema di principio dell’im-pianto realizzato a Lugano [4].

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Nell’edificio di Porretta Terme l’impianto per il solare termico è integrato esclusivamente all’impianto a pompa di calore accoppiata ad un geoscambiatore. Tale soluzione permette di ridimensionare in modo drastico il geoscambiatore e di sfruttare al meglio l’energia solare, con un ritorno anche dal punto di vista economico. L’interesse della soluzione consiste nel fatto che consente di riprendere seriamente in esame le potenzialità d’impiego della tecnologia del geoscambio anche in impianti di solo o prevalente riscaldamento, aprendo nuovi scenari nel campo delle tecnologie impiantistiche ad alta efficienza e con fonti di energia rinnovabile. 2. DATI DI PROGETTO. 2.1. Dati dimensionali. L’edificio è un piccolo ex dormitorio per ferrovieri, che è stato acquisito dal Comune di Porretta Terme per realizzare un centro polifunzionale a disposizione delle associazioni locali. Porretta Terme si trova in provincia di Bologna nella zona dell’Appennino tosco-emiliano ad una altezza di circa 380 m. L’edificio si articola su due piani e in esso sono funzionalmente individuabili le seguenti zone/destinazioni d’uso: al piano terra: la cucina con gli ambienti di servizio la sala grande destinata a centro di svago per gli anziani la zona uffici e servizi al primo piano: la zona uffici e servizi la sala riunioni e conferenze È presente anche un ampio sottotetto, utilizzabile però solamente per locali tecnici. Gli ambienti, o loro insiemi, con i relativi dati dimensionali lordi sono riportati nella tab. I seguente. Tab. I – Dati dimensionali dell’edificio.Rif.PianoAmbienteSuperficie 5LI

3LDQR

       7RWDOL

      

$PELHQWH 6DODJUDQGH &XFLQDHDQQHVVL 8IILFLR 6HUYL]LHGLVWULEX]LRQH 8IILFL 6DOHWWDULXQLRQL 6HUYL]LHGLVWULEX]LRQH

6XSHUILFLH P         

9ROXPH P         

9ROXPH          

2.2. Dati climatici. La temperatura minima di progetto dell'aria esterna, secondo la norma UNI 5364 e successivi aggiornamenti, è di - 6,00 °C, mentre per la condizione estiva è stato adottato

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un valore di 32 °C. I valori medi mensili della temperatura giornaliera dell'aria esterna (Tmg) e dell’irradiazione solare giornaliera (H) sono riportati nella tab. II. Tab. II – Principali dati climatici. S 0HVH

7PJ 6 626( ƒ&  *HQQDLR    )HEEUDLR    7DE,,±3ULQFLSDOLGDWLFOLPDWLFL VHJXH  0HVH 7PJ 6 626( ƒ&  0DU]R    $SULOH    0DJJLR    *LXJQR    /XJOLR    $JRVWR    6HWWHPEUH    2WWREUH    1RYHPEUH    'LFHPEUH   

+ 0-Pð 

2(

121(

  + 0-Pð 

2(

         

1

  121(

         

25

  1

  25

         

         

2.3. Dati relativi all’occupazione. Relativamente all’effettivo uso e all’occupazione dei locali si sono potute solamente avanzare delle ipotesi (fig. 2), in quanto la Committenza non era in grado di fornire dati al riguardo.

Fig. 2 – Ipotesi relative all’occupazione dei locali.

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L’unica certezza è costituita dalla destinazione d’uso della sala grande, che tuttavia da sola occupa circa un terzo dell’intero volume e che ha costituito un notevole problema progettuale a causa dell’estrema variabilità del carico termico. Infatti in genere il centro anziani è frequentato nelle ore diurne da poche persone, che aumentano poi notevolmente nella serata specie nei fine settimana quando si svolge anche attività di ballo, ciò che può comportare la necessità di raffrescamento anche nel periodo più freddo. Nella tabella III seguente sono riportati alcuni dati progettuali determinati dalla situazione descritta. Tab. III – Dati progettuali per la sala grande. 5LI *UDQGH]]D 8QLWjPLVXUD  6XSHUILFLH P  9ROXPH P  $IIROODPHQWRPDVVLPRSHUVRQH Q  5LFDPELDULD  PVSHUV  5DSSRUWRWUDYROXPHHSHUVRQH 9Q  5LFDPELDULD PKSHUV  $OWLWXGLQH3RUUHWWD7HUPH PVOP  &RHIILFLHQWHGLFRUUH]SHUDOWLWXGLQH    5LFDPELDULDGLSURJHWWR PK  &DORUHRFFXSDQWL ODWHQWHSLVHQVLELOH  :WSHUV  &DORUHRFFXSDQWL ODWHQWHSLVHQVLELOH  :W  $OWUHVRUJHQWLWHUPLFKH VWLPD  :W  &DULFKLWHUPLFLWRWDOL :W FIUQRUPD81, ,FDULFKLWHUPLFLGLSLFFRVRQRULVXOWDWLHVVHUHSDULD x FRQGL]LRQHLQYHUQDOH  §N: x FRQGL]LRQHHVWLYD  §N:

8VRGLXUQR 8VRVDODEDOOR                              

3. LA SOLUZIONE IMPIANTISTICA DI BASE L’edificio, come si è detto, rientra tra gli interventi del C.I.S.A. e pertanto è da considerare come intervento pilota, nel quale le scelte non rispondono solamente a parametri di natura tecnica o economica. In questo senso venne da subito individuata la tecnologia del geoscambio tra le soluzioni da adottare in via preferenziale. Conseguentemente, tenendo anche conto degli elementi di valutazione progettuale riassunti in tab. III, si delineò una soluzione impiantistica basata su: • uso di macchina termica a pompa di calore da accoppiare al geoscambiatore; • fan coil in tutti gli ambienti; • immissione di aria primaria solamente nella sala grande e nella sala riunioni e conferenze, in entrambi i casi con recuperatore di calore e possibilità di free cooling; • ricambio d’aria per via naturale in tutti gli altri ambienti. Con questo schema la situazione che si viene a determinare, grazie alla possibilità di free cooling, è che la pompa di calore funziona prevalentemente in solo riscaldamento, poiché in estate le giornate con temperatura tanto elevata da richiedere il raffrescamento sono pochissime.

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Può sussistere in inverno, nelle situazioni di massimo affollamento, la necessità di raffrescare, ma in tale condizione si riesce a bilanciare il carico termico positivo quasi del tutto per mezzo del free cooling. La diretta conseguenza di tale insieme di condizioni era il sovradimensionamento del geoscambiatore. Tuttavia, nel contempo, era stata effettuata un’analisi relativa all’uso del solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria, ma se ne era scartato l’impiego in ragione del fatto che il fabbisogno era limitato sostanzialmente alla cucina per sporadiche giornate festive. Si pensò a questo punto di utilizzare il solare termico per il reintegro del geoscambiatore. 4. DATI ENERGETICI E DIMENSIONALI. Per valutare il funzionamento complessivo dell’edificio e dimensionare opportunamente il geoscambiatore si sono condotte alcune simulazioni, impiegando i dati noti riportati in precedenza e dati ipotetici di riferimento, poiché alcuni dati al momento del progetto non erano disponibili, (né lo sono ancora al momento in cui si scrive, ad es. la temperatura del terreno indisturbato alle varie profondità, l’esatta stratigrafia, le caratteristiche della pompa di calore impiegata, ecc.). Da tali simulazioni è risultato che i parametri energetici e dimensionali relativi all’impianto con il geoscambiatore in funzionamento di solo riscaldamento sono valutabili come segue: • fabbisogno termico complessivo dell’edificio  58.670 kWh/anno • fabbisogno elettrico per il riscaldamento  18.350 kWh/anno • COP stagionale  3,2 • lunghezza necessaria delle sonde (solo riscaldam.)  2.000 m Gli stessi parametri riferiti alle quantità per il funzionamento in raffrescamento (comunque presente sia per l’uso della sala grande per il ballo, sia nei giorni più caldi) sono valutabili come segue: • fabbisogno frigorifero complessivo dell’edificio (tra parentesi è riportato il dato per un analogo edificio normalmente condizionato, localizzato a Milano, per evidenziare il diverso comportamento energetico)  26.000 (73.900) kWh/anno • fabbisogno elettrico per il raffrescamento  5.770 (16.420) kWh/anno • COP stagionale  4,5 • lunghezza necessaria delle sonde (solo raffrescam.)  900 (2.500) m La lunghezza delle sonde delle sonde necessaria, complessivamente (riscaldamento più raffrescamento), si aggirerebbe pertanto intorno ai 1.600 m. Deve però essere inserita nella valutazione complessiva la quantità di calore recuperata dai collettori solari, quantificabile come segue: • produzione solare termico  5.500 kWh/anno L’ultimo dato parte dal presupposto di usare 14 m2 di collettori solari del tipo a tubi sotto vuoto con l’irraggiamento indicato nella tab. IV riportata alla pagina seguente (determinato dall’Ing. Marco Di Martino, progettista per il solare termico e il fotovoltaico nell’ambito dello stesso progetto).

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Tab. IV – Irraggiamento solare sul collettore meno favorito.

Il dimensionamento finale delle sonde per il geoscambio grazie a questo apporto energetico è stato pertanto fissato in 800 m, con un’alea del 20-25% legata ai dati non ancora disponibili. In sostanza la lunghezza del geoscambiatore non dovrebbe superare i 1.000 m. 5. LA SOLUZIONE IMPIANTISTICA INTEGRATA. Il reintegro energetico del geoscambiatore per mezzo dei pannelli solari è stato concepito in rapporto alle basi logiche seguenti. 1. il circuito dei pannelli solari viene impiegato quando la temperatura dell'acqua prodotta è superiore a quella che si ha sulla mandata o sul ritorno del geoscambiatore. In questo modo è possibile recuperare energia dal sole anche in condizioni che normalmente non sono considerate utili (per esempio potrebbe essere sufficiente una temperatura di 10° C o addirittura meno). 2. l’acqua riscaldata dai pannelli solari può essere inviata sia direttamente alla macchina a pompa di calore, sia al geoscambiatore, anche modulando la portata, allo scopo di ottenere una temperatura dell’acqua che consenta la massima efficienza della macchina. Il funzionamento nelle due condizioni estreme è ideogrammato nelle figure 3 e 4 seguenti.

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 Fig. 3 Fig. 4 

3. i pannelli solari prelevano acqua dalla mandata o dal ritorno del geoscambiatore alla temperatura più bassa disponibile, ciò sempre allo scopo di massimizzare il recupero energetico. Tutto ciò è consentito dal sistema di regolazione appositamente studiato, il quale, interpretando i dati delle temperature rilevate sul circuito del geoscambiatore, agisce sui seguenti organi: a. la pompa del circuito dei pannelli solari (più esattamente quella tra scambiatore a piastre e geoscambiatore, che nello schema in fig. 5 riportato alla pagina seguente è individuata come EP06). b. le valvole a tre vie presenti nelle interconnessioni tra i due circuiti (pannelli solari e geoscambiatore).

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Fig. 5 – Schema delle interconnessioni tra circuito dei pannelli solari e circuito del geoscambiatore.

6. DATI ECONOMICI L’aspetto economico è stato valutato per mezzo di un apposito software. Le risultanze sono riassunte nelle tabelle V-VII e nella fig. 6 riportate in seguito. Si ritiene però opportuno precisare i costi di realizzazione che risultano pari a circa 73.200 †, essendo stati computati secondo il prezziario della Provincia di Bologna e mediante l’analisi di nuovi prezzi per quanto non previsto dal prezziario, tenendo conto delle ipotesi prudenziali esposte in precedenza e arrotondando per eccesso. In particolare, per le voci principali, si hanno i seguenti costi: • geoscambiatore = 49.200 e • collettori solari e accessori annessi  15.000 e

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• sistema di regolazione elettronica d’interfaccia  4.500 e Senza l’utilizzazione dei collettori solari il costo sarebbe stato di circa 102.500 e, con il costo del solo geoscambiatore pari a 98.200 e, dovuto alla necessità di raddoppiare la lunghezza delle sonde (o realizzare due scambiatori da usare alternativamente) come indicato in precedenza. Il risparmio ottenuto sul costo di realizzazione dell’impianto si aggirerebbe pertanto intorno ai 29.300 e. Tab. V - Caratteristiche dell’impianto  7DE9&DUDWWHULVWLFKHGHOO¶LPSLDQWR ,PSLDQWRGLFRQGL]LRQDPHQWRGLULIHULPHQWR  )RQWHHQHUJHWLFD  (IILFLHQ]DVWDJLRQDOHLPSLDQWRULVFDOGDPHQWR  &23VWDJLRQDOHGHOFRQGL]LRQDWRUH ,PSLDQWRFRQLOJHRVFDPELR 7HFQRORJLD   &ULWHULRGLGLPHQVLRQDPHQWR  /XQJKH]]DWRWDOHGHOOHSHUIRUD]LRQL 3RPSDGLFDORUH  (IILFLHQ]DPHGLDGHOODSRPSDGLFDORUH  &23QRPLQDOHLQUDIIUHVFDPHQWR  &23QRPLQDOHLQULVFDOGDPHQWR  3RWHQ]LDOLWjWHUPLFD  3RWHQ]LDOLWjIULJRULIHUD

       P     N: N:

'DWL6WLPH  (OHWWULFLWj    &LUFXLWRFKLXVR DVRQGHYHUWLFDOL 5LVFDOGDPHQWR   (OHYDWD    

  0:K 0:K   0:K 0:K  %WXK :

'DWL6WLPH         



Tab. VI – Produzione annuale di energia  7DE9,±3URGX]LRQHDQQXDOHGLHQHUJLD 5LVFDOGDPHQWR  (OHWWULFLWjLPSLHJDWD  3URGX]LRQHGLHQHUJLDGHOOH*6+3LQULVFDOG  &23VWDJLRQDOHLQULVFDOGDPHQWR 5DIIUHVFDPHQWR  (OHWWULFLWjLPSLHJDWD  3URGX]LRQHGLHQHUJLDGHOOH*6+3LQUDIIUHVF  &23VWDJLRQDOHLQUDIIUHVFDPHQWR  ((5VWDJLRQDOHLQUDIIUHVFDPHQWR

Tab. VII – Parametri finanziari 7DE9,,±3DUDPHWULILQDQ]LDUL       &RVWRGHOO¶HQHUJLDHOHWWULFD  &UHGLWRSHUULGX]LRQHHPLVVLRQLJDVVHUUD  &RVWLILVVLGLIRUQLWXUD  7DVVRGLDXPHQWRGHOFRVWRGHOO¶HQHUJLD  ,QIOD]LRQH  7DVVRGLVFRQWR  9LWDGHOSURJHWWR

   ¼N:K ¼W&2 ¼N:    DQQL

        

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Fig. 6 – Flussi di cassa cumulativi (e).

Di fatto quindi il tempo di ritorno semplice (simple payback time) è quasi di dieci anni, un valore certamente non ancora ottimale poiché allo stato attuale si ritengono accettabili valori fino ad un massimo di otto anni, ciò anche in considerazione del fatto che la vita del geoscambiatore è in realtà molto più lunga. Sarebbe in realtà possibile considerare anche alcuni elementi di segno diverso quali: • il fatto che si tratta di un intervento sperimentale. Una applicazione più frequente di questa soluzione consentirebbe lo sviluppo di alcuni componenti specifici (in particolare il sistema di regolazione elettronica d’interfaccia) con conseguente riduzione del costo relativo; • il fatto che in realtà la ditta che si è aggiudicata l’appalto ha operato una riduzione dei costi indicati nel computo metrico. Tuttavia non si è voluto prudenzialmente tenere conto di tali fattori proprio per la natura sperimentale della realizzazione. Si aggiunge che da parte della Committenza sono stati avviati dei contatti con il Politecnico di Milano per il monitoraggio del funzionamento energetico dell’intero edificio sottoposto a ristrutturazione (nel quale saranno presenti anche interventi sull’involucro, un impianto fotovoltaico, un impianto per il riuso delle acque meteoriche, ecc.). Appare in ogni caso chiaro che la soluzione proposta, operando alcune modifiche (ad esempio impiegando ove possibile collettori solari di tipo più economico) e in funzione di specifiche realizzazioni, rende assai più praticabile l’ipotesi di uso della tecnologia del geoscambio anche in impianti di solo o prevalente riscaldamento. Per esempio è facilmente ipotizzabile anche che in interventi di maggiore entità, in ragione

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della minore incidenza dei fattori di costo fissi, la convenienza risulterebbe maggiore pur nelle condizioni considerate. Tutto ciò sarà comunque tanto più vero se la politica degli incentivi verrà estesa a questa tecnologia, la quale è invece stata totalmente ignorata nei dispositivi dell’ultima legge finanziaria che pure ha dedicato uno spazio notevole al risparmio energetico e alle energie rinnovabili. BIBLIOGRAFIA [1]

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[2]

F. Cipriani, G. Di Rezze, F. Pettorossi, Pompe di calore a scambio geotermico e accumuli termici con materiali a cambiamento di stato (PCM), Convegno AICARR Le moderne tecnologie negli impianti e nei componenti per il riscaldamento’, Padova, 19 giugno 2003, pp. 469-480.

[3]

A. Mantovani, Impianto di riscaldamento alimentato tramite pannelli solari, pompa di calore ed accumulo stagionale nel terreno, Convegno AICARR Le moderne tecnologie negli impianti e nei componenti per il riscaldamento’, Padova, 19 giugno 2003, pp. 425-440.

[4]

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Aspetti tecnici economici e normativi dell'energia rinnovabile nell'edilizia anche alla luce del D.L. 192/2005 LIVIO MAZZARELLA Dipartimento di Energetica, Politecnico di Milano

RIASSUNTO Le fonti di energia rinnovabili sono state da molti anni al centro dell’interesse della ricerca ottenendo invece poca attenzione da parte e della pianificazione politicoenergetica e dei potenziali utilizzatori. La continua e incontrollata crescita del costo del barile di petrolio e il problema delle alterazioni climatiche indotte dall’eccessiva quantità di CO2 immessa in atmosfera attraverso lo sfruttamento delle fonti di energia fossile hanno ultimamente rilanciato l’interesse per lo sfruttamento di tali fonti anche in relazione a diverse tipologie di usi finali oltre che alla produzione di energia elettrica. In questo lavoro si cerca di fare il punto sul contesto politico e legislativo attuale, che dovrebbe stimolare l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili nella climatizzazione degli edifici, di analizzare se strumenti quali l’impiego “coatto”, il supporto e l’incentivazione sono stati correttamente indirizzati e, infine, quali tipologie di fonte è effettivamente indicata e tecnologicamente matura per essere a tal fine utilizzata. I risultati di tale analisi non sono propriamente confortanti, anche se qualche cosa (poco) è stato fatto in più rispetto al passato in tale direzione. INTRODUZIONE L’impiego delle energie rinnovabili in edilizia non corrisponde al semplice uso di pannelli fotovoltaici, come viene spesso propagandato, ma, meno semplicisticamente, corrisponde ad un approccio progettuale integrato del sistema edificio-impianto in uno specifico contesto climatico e urbanistico. Infatti, per una corretta utilizzazione delle energie rinnovabili è fondamentale pervenire ad una corretta comprensione del rapporto che esiste tra approccio progettuale e utilizzabilità delle energie rinnovabili, fermo restando la valorizzazione di tutte le integrazioni e sinergie che si possono individuare e applicare a livello di componentistica degli impianti di climatizzazione invernale ed estiva (HVAC),. Un’infelice disposizione e forma del sistema edilizio può vanificare l’applicabilità di sistemi tecnologici utilizzanti fonti di energia rinnovabili più di quanto non possa fare il rapporto costo/prestazioni di tali sistemi, ancora oggi non sempre

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economicamente competitivo con l’impiego di fonti energetiche convenzionali. In ogni caso, prima di analizzare l’utilizzabilità delle fonti energetiche rinnovabili in edilizia, anche e soprattutto alla luce della nuova legislazione e degli indirizzi dell’Unione Europea, occorre una volta per tutte fare chiarezza sull’oggetto della discussione. Secondo la legislazione italiana vigente, vengono considerate "fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili”, ai fini della produzione di energia elettrica: “le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.1[1]” Mentre la legge 10/91 “Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”, [3], antecedente al Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, da cui la definizione precedente, aggiungeva a tale chiara definizione anche l’ambiguità delle “fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili di energia”, quali: “la cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fiumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonché le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti.” mettendole sullo stesso piano. Finalmente la legge finanziaria 2007 [4] all’articolo 1, comma 1120, pone termine a tale ambiguità eliminando dalla legge 10/91 ogni riferimento a tali fonti di energia assimilate alle fonti rinnovabili; in particolare gli articoli 1 e 26 vengono modificati come di seguito:

1 Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, Art.2 , comma 1.

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Di conseguenza, d’ora in poi alla terminologia “fonti rinnovabili di energia”, e ai benefici ad essa associati, occorre riferire solo e solamente l’energia eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas. E in relazione alla loro applicabilità diretta agli edifici è evidente che sarà di interesse solo un loro sottoinsieme riconducibile principalmente all’energia solare, geotermica e le biomasse. 1. IL CONTESTO EUROPEO 1.1. La direttiva sull’efficienza energetica degli edifici Negli ultimi anni, il processo di integrazione europeo ha sempre di più condizionato, attraverso l’emanazione di direttive comunitarie, la politica e la legislazione conseguente nel campo dell’energia. Nel settore dell’edilizia, abbiamo assisto all’emanazione della direttiva 2002/91/CE [5], sull’efficienza energetica degli edifici, che ha come obbiettivo “il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici nella Comunità, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, nonché delle prescrizioni per quanto riguarda il clima degli ambienti interni e l'efficacia sotto il profilo dei costi”. Nell’introduzione all’allora proposta di direttiva è chiaramente detto come il raggiungimento di elevati valori di tale efficienza energetica vada anche ricercato tramite “l’apporto di calore dal sole e da altre fonti di energia rinnovabili”. In particolare nelle considerazioni iniziali troviamo: “Il rendimento energetico degli edifici deve essere calcolato in base ad una metodologia che consideri, oltre alla coibentazione, una serie di altri fattori di crescente importanza, come il tipo di impianto di riscaldamento e condizionamento, l'impiego di fonti di energia rinnovabili e le caratteristiche architettoniche dell'edificio.” mentre all’art 4:

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….Per gli edifici di nuova costruzione la cui metratura totale supera i 1000 m2, gli Stati membri provvedono affinché il rilascio della licenza edilizia sia subordinato ad una valutazione della fattibilità tecnica, ambientale ed economica dell'installazione di sistemi di fornitura energetica decentralizzati basati su energie rinnovabili, cogenerazione, riscaldamento a distanza o, in determinate condizioni, pompe di calore……” e infine nell’allegato: “.. Il calcolo deve tener conto dei vantaggi insiti nelle seguenti opzioni: a. impianti ad energia solare ed altri impianti di generazione di calore ed elettricità a partire da fonti energetiche rinnovabili” È quindi evidente come, sia per il Consiglio che per il Parlamento europeo, il ricorso alle fonti di energia rinnovabili per la climatizzazione e i servizi energetici degli edificio sia una delle strade da perseguire per il miglioramento dell’efficienza energetica del parco edilizio europeo, mirato alla riduzione delle emissioni di CO2. 1.2. Azioni del Consiglio europeo per la riduzione della CO2 Successivamente il Consiglio europeo, nella riunione del 8-9 marzo 2007 [6], ha ribadito e confermato un forte impegno in tal senso, sottoscrivendo “un obiettivo UE di riduzione del 30% delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 rispetto al 1990 quale contributo ad un accordo globale e completo per il periodo successivo al 2012 a condizione che altri paesi sviluppati si impegnino ad analoghe riduzioni delle emissioni e i paesi in via di sviluppo economicamente più avanzati si impegnino a contribuire adeguatamente, sulla base delle loro responsabilità e capacità rispettive”. In ogni caso “...l'UE si impegna in modo fermo ed indipendente a realizzare una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra di almeno il 20% entro il 2020 rispetto al 1990.” Nel Piano d’azione del Consiglio europeo per il 2007-2009 per la politica energetica europea (PEE) [7], al punto 5, relativo all’”Efficienza energetica ed energie rinnovabili”, il Consiglio europeo dichiara che: “... è consapevole della crescente domanda di energia e dell’aumento dei prezzi dell'energia, come pure dei vantaggi di una vigorosa e tempestiva azione internazionale comune in materia di cambiamenti climatici. Esso confida nel fatto che un sostanziale sviluppo dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili rafforzerà la sicurezza energetica, creerà una flessione nel previsto aumento dei prezzi dell'energia e ridurrà le emissioni di gas ad effetto serra in linea con le ambizioni dell'UE per il periodo successivo al 2012. ...” In questa prospettiva, al punto 6, il Consiglio europeo:

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...... “– invita ad una compiuta e rapida attuazione delle ambiziose cinque priorità principali evidenziate nelle conclusioni del Consiglio del 23 novembre 20062 sul piano d'azione per l'efficienza energetica presentato dalla Commissione, riguardanti l'efficienza energetica dei trasporti, i requisiti minimi di efficienza dinamica per apparecchiature che consumano energia, il comportamento dei consumatori di energia dal punto di vista dell'efficienza e del risparmio energetico, la tecnologia e le innovazioni in campo energetico e il risparmio energetico nell'edilizia;” mentre , al punto 7,: “...Il Consiglio europeo riafferma l'impegno a lungo termine della Comunità a promuovere lo sviluppo delle energie rinnovabili in tutta l'Unione europea successivamente al 2010, sottolinea che ogni tipo di energia rinnovabile, se impiegato in modo efficiente in termini di costi, contribuisce simultaneamente alla sicurezza dell'approvvigionamento, alla competitività e alla sostenibilità, ed è persuaso che sia di capitale importanza dare un chiaro segnale all'industria, agli investitori, agli innovatori e ai ricercatori. Per tali motivi, tenendo conto delle singole specificità quanto a circostanze, punti di partenza e potenzialità, esso sottoscrive i seguenti obiettivi: – un obiettivo vincolante che prevede una quota del 20% di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell'UE entro il 2020; ......” “.... lasciando agli Stati membri, ...., la facoltà di decidere obiettivi nazionali per ogni specifico settore di energie rinnovabili (elettricità, riscaldamento e refrigerazione, biocarburanti)”. Per raggiungere tali obiettivi il Consiglio europeo: “– invita ad elaborare un quadro generale coerente per le energie rinnovabili, che potrebbe essere istituito sulla base di una proposta della Commissione, nel 2007, in merito ad una nuova direttiva globale sull'uso di tutte le risorse energetiche rinnovabili. ...... – ..” Infine, riguardo alle tecnologie energetiche, al punto 9, il Consiglio europeo: “riconoscendo l'esigenza di rafforzare la ricerca in materia di energia, in particolare per accelerare la competitività delle energie sostenibili, specie quelle rinnovabili, e delle tecnologie a basse emissioni di carbonio e l'ulteriore sviluppo delle tecnologie di efficienza energetica, accoglie con favore l'intenzione della

2 Doc. 15210/06

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Commissione di presentare durante il 2007 un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche da sottoporre all'esame del Consiglio europeo di primavera del 2008 al più tardi.” 1.3 Gli obbiettivi Da quanto su riportato risulta evidente che il contesto politico e legislativo europeo si muove decisamente verso un impiego massiccio delle fonti energetiche rinnovabili: • una quota del 20% rispetto al totale di energia primaria nel 2020 partendo da circa il 6,4% raggiunto nel 2005 a fronte di un obbiettivo del 12% per il 2010, [8]; • tale quota non va coperta solo con la produzione di energia elettrica e biogas, ma anche attraverso l’incremento dell’efficienza energetica degli edifici. 2. LA LEGISLAZIONE ITALIANA 2.1. Leggi che generano obblighi con effetto “permanente” 2.1.1. D.Lgs 192/2005 In Italia, il 19 agosto del 2005, in ottemperanza alla legge 31 ottobre 2003, n. 306, viene emanato il decreto legislativo n. 192 [9] per il recepimento della direttiva comunitaria sull’efficienza energetica degli edifici. Il decreto consta di tre parti: una prima parte che pone i principi generali, una seconda che regolamenta il regime transitorio fino all’entrata in vigore dei decreti attuativi previsti per dare attuazione ai principi generali, una terza parte che riporta le disposizioni finali per la sua applicazione. Di fatto tale decreto aggiorna e modifica, per quanto riguarda gli edifici, la legge 10/91 e il D.P.R. 412/93, [10], integrato dal D.P.R. 551/99, [11], accogliendo solo parzialmente lo spirito della direttiva, giacché esclude dalla certificazione energetica gli edifici esistenti all’atto della sua entrata in vigore, facendo in tal senso un passo indietro rispetto all’abrogato articolo 30 della legge 10/91. La parte operativamente più importante di tale decreto risulta essere l’insieme, corposo, degli allegati, che di fatto rappresentano un versione transitoria (e limitata al solo riscaldamento ambientale) dei decreti attuativi della legge stessa, che ancora oggi devono vedere la luce. Ma, di contro, poco meno di un anno dopo, entro i limiti consentiti dalla legge che regolamenta i decreti legislativi, il D.Lgs 192/2005 viene modificato ed integrato dal D.Lgs 311/2006 [12]. 2.1.2. D.Lgs 311/2006 La più importante modifica che il D.Lgs 311/2006 introduce nel D.Lgs 192/2005 (che a sua volta modificava ed integrava la legge 10/91), è quella di ripristinare la certificazione energetica per gli edifici esistenti (che era stata eliminata dal D:Lgs 192/2005),

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quale requisito necessario da possedere all’atto di transazioni di compra/vendita o stipula di contratti d’affitto, come già stabiliva la legge 10/91. Altre modifiche significative sono quelle che prevedono un “inasprimento” più accelerato nel tempo dei vincoli sui consumi di energia primaria e/o sui valori limite di trasmittanza per i componenti edilizi, oltre imporre un limite più severo sul rendimento globale medio stagionale, e cercare di razionalizzare e rendere più facilmente applicabile la parte delle norme transitorie, sempre in attesa dei previsti decreti attuativi. 2.1.3. D.Lgs 192/2005 e fonti rinnovabili Vediamo però, nello specifico, cosa il D.Lsg 192/2005 ha introdotto per migliorare l’efficienza energetica degli edifici tramite l’impiego delle fonti di energia rinnovabili. All’art.1 , Finalità, comma 1: 1. Il presente decreto stabilisce i criteri, le condizioni e le modalità per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici al fine di favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l'integrazione delle fonti rinnovabili e la diversificazione energetica, contribuire a conseguire gli obiettivi nazionali di limitazione delle emissioni di gas a effetto serra posti dal protocollo di Kyoto, promuovere la competitività dei comparti più avanzati attraverso lo sviluppo tecnologico.

troviamo un’esplicita dichiarazione sulla finalità del 192/2005 che viene indicata nello sviluppo ed integrazione delle fonti rinnovabili di energia negli edifici, ribadita al comma 3, lettera d: 3. Ai fini di cui al comma 1, lo Stato, le regioni e le province autonome, ..., predispongono programmi, interventi e strumenti volti, ..., alla: .... d) promozione dell'uso razionale dell'energia e delle fonti rinnovabili, anche attraverso la sensibilizzazione e l'informazione degli utenti finali.

e infine, nell’Allegato A, Ulteriori definizioni, viene fatto rinvio al Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, [1], per una corretta definizione delle fonti di energia rinnovabili. Quindi prima ancora che la legge finanziaria 2007 sgombrasse il campo dall’ambiguità introdotta dalla legge 10/91 con le fonti energetiche assimilate alle fonti rinnovabili, già il D.Lgs 192/2005 ne faceva piazza pulita. Ma poi, dopo questa dichiarazione di buoni intenti, gli unici riferimenti operativi che si trovano nel testo della legge sono solo negli allegati, come sinteticamente evidenziato nel riquadro successivo.

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Riferimenti alle fonti dei energia rinnovabili negli allegati al D.Lgs 192/2005

In realtà gli unici veri riferimenti sulle condizioni che dovrebbero favorire “lo sviluppo, la valorizzazione e l'integrazione delle fonti rinnovabili”, sono riassumibili in: • l’obbligo di produrre acqua calda sanitaria negli edifici pubblici e ad uso pubblico con impianti solari termici con una frazione solare non minore del 50% (se escludiamo gli ospedali, nella maggior parte questi edifici sono scuole, uffici, tribunali, etc. con consumi di acqua calda sanitaria irrisori) • nei rimandi alla “vecchia” legge 10/91 e al suo decreto attuativo D.P.R. 412/92. 2.1.4. La “vecchia” legge 10/91 La Legge 10/91, al di là dei piani regionali (art.5), nei quali, individuati i bacini che “costituiscono le aree più idonee ai fini della fattibilità degli interventi .... di utilizzo

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delle fonti rinnovabili di energia” (comma 1), occorreva predisporre “un piano regionale o provinciale relativo all'uso delle fonti rinnovabili di energia” (comma 2) e , per i comuni con più di 50.000 abitanti, “prevedere uno specifico piano a livello comunale relativo all'uso delle fonti rinnovabili di energia” quale parte integrante dei piani regolatori generali, richiama in modo diretto l’impiego delle fonti rinnovabili negli edifici all’art. 26, comma 7: .. Art. 26 - (Progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e di impianti) .... 7. Negli edifici di proprietà pubblica o adibiti ad uso pubblico è fatto obbligo di soddisfare il fabbisogno energetico degli stessi favorendo il ricorso a fonti rinnovabili di energia o assimilate salvo impedimenti di natura tecnica od economica.

Tale articolo e comma non sono stati ne modificati ne abrogati dalla legislazione successiva, ne lo sono stati gli articoli e commi del decreto attuativo D.P.R. 412/92 ad essi relativi. Infatti, oltre il già citato e precedentemente riportato art. 5 comma 15, che non fa altro che richiamare l’art 26, comma 7 della legge 10/91, i successivi commi 16, 17 e 18 ne specificano le condizioni operative di applicabilità, che vanno però letti con la modifica introdotta dalla legge finanziaria 2007 nell’articolo di riferimento (vedi riquadro successivo). 2.1.5. Le novità del D.Lgs 311/2006 Un passo avanti è stato fatto con l’emanazione del D.Lgs 311/2006, che integra il D.Lgs. 192/2005 e la legge 10/91, aggiungendo all'articolo 9 del D.Lgs 192/2005, dopo il comma 5 il seguente comma 5-bis: «5-bis. Le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali considerano, nelle normative e negli strumenti di pianificazione ed urbanistici di competenza, le norme contenute nel presente decreto, ponendo particolare attenzione alle soluzioni tipologiche e tecnologiche volte all'uso razionale dell'energia e all'uso di fonti energetiche rinnovabili, con indicazioni anche in ordine all'orientamento e alla conformazione degli edifici da realizzare per massimizzare lo sfruttamento della radiazione solare e con particolare cura nel non penalizzare, in termini di volume edificabile, le scelte conseguenti.»..

e all'articolo 16 il comma 1-bis “Il comma 2 dell'articolo 26 della legge 9 gennaio 1991, n. 10, è sostituito dal seguente:

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"2. Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali."”.

che, mentre da un lato, ribadiscono l’importanza della pianificazione su base territoriale e urbanistica, per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, dall’altra operano una piccola semplificazione amministrativa nell’eventualità di azioni volontarie di utilizzazione delle stesse in edifici condominiali. Occorre inoltre ricordare che l’Allegato E – “Relazione tecnica di cui all’art. 28 della Legge 9 gennaio 1991 n.10, attestante la rispondenza alla prescrizioni in materia di contenimento del consumo energetico degli edifici”, va riletto alla luce della modifica apportata all’art. 26 della legge 10/91 come segue: Punto 8 - Valutazioni specifiche per l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia –“Indicare le tecnologie che, in sede di progetto, sono state valutate ai fini del soddisfacimento del fabbisogno energetico mediante ricorso a fonti rinnovabili di energia o assimilate3.”

Ma ciò che risulta in ogni caso più importante e innovativo è la sostituzione integrale dell’Allegato I “Regime transitorio per la prestazione energetica degli edifici”, del D.Lgs 192/2005, con un nuovo allegato che modifica sostanzialmente quanto introdotto in precedenza sulla cogenza dell’impiego delle fonti rinnovabili. In particolare il comma 14 del D.Lgs 192/2005 viene sostituito dai seguenti commi 12 e 13: 12. Per tutte le categorie, di edifici, cosi come classificati in base alla destinazione d'uso all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, nel caso di edifici pubblici e privati, é obbligatorio l’utilizzo di fonti rinnovabili per la produzione di energia termica ed elettrica. In particolare, nel caso di edifici di nuova costruzione o in occasione di nuova installazione di impianti termici o di ristrutturazione degli impianti termici esistenti, l’impianto di produzione di energia termica deve essere progettato e realizzato in modo da coprire almeno il 50% del fabbisogno annuo di energia primaria richiesta per la produzione di acqua calda sanitaria con l'utilizzo delle predette fonti di energia. Tale limite è ridotto al 20% per gli edifici situati nei centri storici. 13. Le modalità applicative degli obblighi di cui al comma precedente, le prescrizioni minime, le caratteristiche tecniche e costruttive degli impianti di produzione di energia termica ed elettrica con l'utilizzo di fonti rinnovabili, sono definite, in relazione alle dimensioni e alle destinazioni d'uso degli edifici, con i decreti di cui all'articolo 4, comma 1. Le valutazioni concernenti il dimensionamento ottimale, o l’eventuale impossibilità tecnica di rispettare le presenti disposizioni, devono essere dettagliatamente illustrate nella relazione tecnica di cui al comma 15. In mancanza di tali elementi conoscitivi, la relazione e dichiarata irricevibile. Nel caso di edifici di nuova costruzione, pubblici e privati, o di ristrutturazione degli stessi conformemente all'articolo 3, comma 2, lettera a), è obbligatoria l’installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica.

3 Per effetto della modifica all'articolo 26 comma 7 della legge 10/91 attuata dalla legge finanziaria 2007.

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che, nel tentativo di estendere a tutti gli edifici l’impiego delle fonti rinnovabili per la produzione dell’acqua calda sanitaria, di fatto bloccano la cogenza dell’applicazione agli edifici pubblici e ad uso pubblico, in attesa dell’emanazione del citato decreto attuativo. Inoltre la sostituzione di “impianti solari termici” con “impianto ... con l’utilizzo alle predette fonti di energia” apre la possibilità a soluzioni energeticamente assurde come la produzione di acqua calda con bollitori elettrici alimentati da pannelli fotovoltaici. 2.1.6. La legislazione e le fonti rinnovabili: oggi e domani Riassumendo possiamo dire che l’attuale legislazione italiana relativa allo sviluppo dell’impiego delle fonti di energia rinnovabili (propriamente dette) negli edifici, è, nella somma degli articoli della legge 10/91, D.P.R. 412/92, D.Lgs 192/2005 e D.Lgs 311/2006, ancora lacunosa e carente. Infatti, tutte le norme predette sono ad oggi inapplicabile in assenza del citato decreto attuativo dell’art 4 , comma 1, del D.Lgs 192/2005, salvo il vecchio articolo 26 della legge 10/91 con le sue norme attuative, commi 15, 16, 17 e 18 e allegato D, come modificati dalla legge finanziaria 2007; cioè: OGGI è fatto obbligo al ricorso alle fonti di energia rinnovabili solo per gli edifici pubblici o ad uso pubblico, salvo impedimenti di natura economica, quantificati in un tempo recupero superiore ad un periodo di otto anni (tempo di ritorno semplice) degli extracosti dell'impianto che utilizza le fonti rinnovabili rispetto ad un impianto convenzionale. DOMANI, dopo l’emanazione del decreto attuativo dell’art 4 , comma 1, del D.Lgs 192/2005, o equivalente decreto, SI AGGIUNGE, oltre quanto disposta dall’art.26 della legge 10/91, PER TUTTI GLI EDIFICI NUOVI o per IMPIANTI TERMICI NUOVI o RISTRUTTURATI, l’obbligo di produrre l’acqua calda sanitaria per almeno il 50% del fabbisogno tramite fonte di energia rinnovabile, (DOVREBBE A BREVE ESSERE CHIARITO CHE SI FA ESCUSIVAMENTE RIFERIMENTO A SISTEMI SOLARI TERMICI o CALDAIE A BIOMASSE), e l’installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica (obbligo dell’installazione di 0.2 kW per unità abitativa, [Legge Finanziaria 2007, art 1, comma 350] da inserire nei regolamenti edilizi comunali) NON SI SA ANCORA CON QUALE CRITERIO). Come si può notare non si fa alcun obbligo, ne oggi ne domani, per gli edifici in generale, di ricorrere all’impiego delle fonti rinnovabili in alcuna percentuale ne per il riscaldamento ne per il raffrescamento ambientale (ovvero climatizzazione). 2.2. Leggi di sostegno e con effetto temporaneo Oltre le citate leggi, che introducono degli obblighi e presuppongono un’applicazione indefinita nel tempo, vi sono anche delle leggi, a sostegno dell’utilizzazione delle fonti di energia rinnovabili negli edifici, di durata limitata nel tempo. Queste sono

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in genere leggi che sovvenzionano in modo diretto o indiretto a fondo perduto la realizzazione di opere che favoriscano gli obbiettivi di incremento della quota di fonti rinnovabili utilizzate nel nostro paese. Tra queste, per il 2007, citiamo: • D.M. 19/02/2007 [13] il così detto “conto energia” per l’utilizzazione e valorizzazione dell’energia solare via pannelli fotovoltaici, che ha un limite temporale indiretto fissato dalla soglia di potenza massima installata finanziabile, 1200 MW; • Legge 27 dicembre 2006, n. 296 [4]., meglio noto come legge Finanziaria 2007, con il decreto attuativo D.M. 19-02-2007 [14] , che è relativa alle spese sostenute esclusivamente nell’esercizio finanziario 2007. 2.2.1. Conto energia: solare fotovoltaico L’entrata il vigore del Decreto Ministeriale 28/07/05 aveva già dato avvio anche in Italia al meccanismo di finanziamento degli impianti fotovoltaici in “conto energia”, un sistema basato sulla remunerazione dell’energia elettrica prodotta e quindi sull’incentivazione della tecnologia non più attraverso contributi in conto capitale come accadeva in passato. Il 19 febbraio 2007 è stato approvato il “nuovo conto energia” che introduce diverse novità rispetto al suo predecessore; in particolare: • nuove tariffe incentivanti a favore degli impianti fotovoltaici integrati architettonicamente - Art.6, comma 1. Il decreto DM 29/02/2007 rivolge particolare attenzione all’integrazione architettonica delle installazioni fotovoltaiche con tariffe incentivanti superiori rispetto a quelle relative agli impianti su terra, e ha cura di ben specificare cosa si intende con:  impianto fotovoltaico non integrato: impianto con moduli ubicati al suolo, ovvero collocati in maniera diversa da quanto previsto per gli impianti parzialmente o totalmente integrati architettonicamente;  impianto fotovoltaico parzialmente integrato: impianto i cui moduli sono posizionati su elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione;





• •

 impianto fotovoltaico con integrazione architettonica: impianto i cui moduli sono integrati su elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione. tariffe incentivanti maggiorate del 5% per premiare le installazioni negli edifici pubblici (scuole, ospedali, enti locali di piccoli paesi), e quelle in sostituzione di coperture contenenti amianto (per esempio l’eternit); tariffe ancora più alte sono possibili se l’installazione dell’impianto (fino a 20 kW) è accoppiata a interventi certificati per il risparmio energetico (per esempio miglioramento dell’isolamento termico con doppi vetri o doppi infissi); procedure amministrative semplificate per ottenere gli incentivi; prevede di raggiungere un obiettivo di potenza fotovoltaica installata pari a 3000 MW al 2016.

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2.2.2. Legge finanziaria: solare termico $UW'HILQL]LRQL  &RPPD  3HU LQWHUYHQWL GL ULTXDOLILFD]LRQH HQHUJHWLFD GL HGLILFL HVLVWHQWL GL FXL DOO DUW  FRPPD  GHOOD OHJJH ILQDQ]LDULD  LQ IRU]D GHO TXDOH H  ULFRQRVFLXWD XQD GHWUD]LRQH GDOO LPSRVWD ORUGD SHU XQD TXRWD SDUL DO  SHU FHQWR GHOOH VSHVH HIIHWWLYDPHQWH ULPDVWH D FDULFRGHOFRQWULEXHQWHVRVWHQXWHHQWURLOGLFHPEUHSHUJOLLQWHUYHQWLLYLSUHYLVWLILQR DGXQYDORUHPDVVLPRGHOODGHWUD]LRQHSDULDHXURGDULSDUWLUHLQWUHTXRWHDQQXDOLGL SDULLPSRUWR VLLQWHQGRQRJOLLQWHUYHQWLFKHFRQVHJXRQRXQLQGLFHGLSUHVWD]LRQHHQHUJHWLFD SHU OD FOLPDWL]]D]LRQH LQYHUQDOH LQIHULRUH GL DOPHQR LO  SHU FHQWR ULVSHWWR DL YDORUL ULSRUWDWLQHOOHWDEHOOHGLFXLDOO DOOHJDWR&GHOSUHVHQWHGHFUHWR  &RPPD3HULQWHUYHQWLGLLQVWDOOD]LRQHGLSDQQHOOLVRODULGLFXLDOO DUWFRPPDGHOOD OHJJH ILQDQ]LDULD  LQ IRU]D GHO TXDOH VSHWWD XQD GHWUD]LRQH GDOO LPSRVWD ORUGD SHU XQD TXRWD SDUL DO  SHU FHQWR GHOOH VSHVH HIIHWWLYDPHQWH ULPDVWH D FDULFR GHO FRQWULEXHQWH VRVWHQXWHHQWURLOGLFHPEUHSHUJOLLQWHUYHQWLLYLSUHYLVWLILQRDGXQYDORUHPDVVLPR GHOOD GHWUD]LRQH SDUL D  HXUR GD ULSDUWLUH LQ WUH TXRWH DQQXDOL GL SDUL LPSRUWR  VL LQWHQGHO LQVWDOOD]LRQHGLSDQQHOOLVRODULSHUODSURGX]LRQHGLDFTXDFDOGDSHUXVLGRPHVWLFLR LQGXVWULDOLHSHUODFRSHUWXUDGHOIDEELVRJQRGLDFTXDFDOGDLQSLVFLQHVWUXWWXUHVSRUWLYH FDVHGLULFRYHURHFXUDLVWLWXWLVFRODVWLFLHXQLYHUVLWj  $UW6SHVHSHUOHTXDOLVSHWWDODGHWUD]LRQH  &RPPD/DGHWUD]LRQHUHODWLYDDOOHVSHVHSHUODUHDOL]]D]LRQHGHJOLLQWHUYHQWLGLFXLDOO DUW FRPPLGDDVSHWWDSHUOHVSHVHUHODWLYHD D ±RPLVVLV E ±RPLVVLV± F  LQWHUYHQWL LPSLDQWLVWLFL FRQFHUQHQWL OD FOLPDWL]]D]LRQH LQYHUQDOH HR OD SURGX]LRQH GL DFTXDFDOGDDWWUDYHUVR  IRUQLWXUDHSRVDLQRSHUDGLWXWWHOHDSSDUHFFKLDWXUHWHUPLFKHPHFFDQLFKHHOHWWULFKH HG HOHWWURQLFKH QRQFKp GHOOH RSHUH LGUDXOLFKH H PXUDULH QHFHVVDULH SHU OD UHDOL]]D]LRQHDUHJRODG DUWHGLLPSLDQWLVRODULWHUPLFLRUJDQLFDPHQWHFROOHJDWLDOOH XWHQ]HDQFKHLQLQWHJUD]LRQHFRQLPSLDQWLGLULVFDOGDPHQWR   VPRQWDJJLR H GLVPLVVLRQH GHOO LPSLDQWR GL FOLPDWL]]D]LRQH LQYHUQDOH HVLVWHQWH SDU]LDOH R WRWDOH IRUQLWXUD H SRVD LQ RSHUD GL WXWWH OH DSSDUHFFKLDWXUH WHUPLFKH PHFFDQLFKHHOHWWULFKHHGVRVWLWX]LRQHDUHJRODG DUWHGLLPSLDQWLGLFOLPDWL]]D]LRQH LQYHUQDOH FRQ LPSLDQWL GRWDWL GL FDOGDLH D FRQGHQVD]LRQH 1HJOL LQWHUYHQWL DPPLVVLELOL VRQR FRPSUHVL ROWUH D TXHOOL UHODWLYL DO JHQHUDWRUH GL FDORUH DQFKH JOL HYHQWXDOLLQWHUYHQWLVXOODUHWHGLGLVWULEX]LRQHVXLVLVWHPLGLWUDWWDPHQWRGHOO DFTXD VXLGLVSRVLWLYLFRQWUROORHUHJROD]LRQHQRQFKpVXLVLVWHPLGLHPLVVLRQH G  SUHVWD]LRQL SURIHVVLRQDOL QHFHVVDULH DOOD UHDOL]]D]LRQH GHJOL LQWHUYHQWL GL FXL DOOH OHWWHUH D  E  H F  FRPSUHQVLYH GHOOD UHGD]LRQH GHOO DWWHVWDWR GL FHUWLILFD]LRQH HQHUJHWLFD RYYHURGLTXDOLILFD]LRQHHQHUJHWLFD  $UW$GHPSLPHQWL  ,VRJJHWWLFKHLQWHQGRQRDYYDOHUVLGHOODGHWUD]LRQHUHODWLYDDOOHVSHVHSHUJOLLQWHUYHQWLGLFXL DOO DUWFRPPLGDDVRQRWHQXWLD D  DFTXLVLUH O DVVHYHUD]LRQH GL XQ WHFQLFR DELOLWDWR FKH DWWHVWL OD ULVSRQGHQ]D GHOO LQWHUYHQWRDLSHUWLQHQWLUHTXLVLWLULFKLHVWLQHLVXFFHVVLYLDUWLFROLH7DOH DVVHYHUD]LRQH SXz HVVHUH FRPSUHVD QHOO DPELWR GL TXHOOD UHVD GDO GLUHWWRUH ODYRUL VXOOD FRQIRUPLWjDOSURJHWWRGHOOHRSHUHUHDOL]]DWHREEOLJDWRULDDLVHQVLGHOO DUWFRPPD GHOGHFUHWROHJLVODWLYRDJRVWRQHVXFFHVVLYHPRGLILFKHHLQWHJUD]LRQL E DFTXLVLUHHDWUDVPHWWHUHHQWURVHVVDQWDJLRUQLGDOODILQHGHLODYRUL««  FRSLDGHOO DWWHVWDWRGLFHUWLILFD]LRQHHQHUJHWLFDQHLFDVLGLFXLDOO DUWFRPPD RYYHURFRSLDGHOO DWWHVWDWRGLTXDOLILFD]LRQHHQHUJHWLFDSHULFDVLGLFXLDOO DUWFRPPD  FRQWHQHQWH L GDWL HOHQFDWL QHOOR VFKHPD GL FXL DOO DOOHJDWR $ DO SUHVHQWH GHFUHWR  OD O DWWHVWDWRGLFHUWLILFD]LRQHHQHUJHWLFDRYYHURGLTXDOLILFD]LRQHHQHUJHWLFDqSURGRWWR GDXQWHFQLFRDELOLWDWRFKHSXzHVVHUHLOPHGHVLPRWHFQLFRFKHSURGXFHO DVVHYHUD]LRQH GLFXLDOODOHWWHUDD 

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La legge finanziaria 2007 di contro prevede di incentivare più in generale il risparmio energetico e in particolare l’impiego di energia solare attraverso conversione termica per la produzione di acqua calda sanitaria, finanziando indirettamente (detrazioni fiscali), per il 2007, interventi atti a raggiungere tali obbiettivi. Tale normativa è strumentata dal D.M. 19-02-2007, riportato nei riquadri seguenti nei suoi articoli e commi principali correlati o correlabili alle fonti energetiche rinnovabili. Ad una prima analisi superficiale tale legge sembrerebbe finanziare, relativamente all’impiego di fonti di energia rinnovabili, esclusivamente gli impianti solari termici per la produzione di acqua calda sia per usi domestici (acqua calda sanitari) sia per usi industriali (acqua calda di processo), e, ancora più specificatamente, per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università. In realtà vi è un’altra porta aperta ad altre applicazioni delle fonti rinnovabili: all’art. 6 è chiaramente detto che l’unica condizione per l’asseverabilità delle opere finalizzate al conseguimento di una migliore efficienza energetica dell’edificio è l’obbiettivo della riduzione del 20% dell’indice di prestazione energetica. Tale miglioramento di efficienza energetica può essere conseguito attraverso interventi di varia natura, tra cui l’impiego di fonti rinnovabili; l’unica limitazione su tale impiego è di fatto introdotta dall’art. 2 , relativo alle spese ammesse a detrazione, tra le quali compare come tecnologia di utilizzo di fonte energetica rinnovabile solo la conversione solare termica. Di conseguenza, il costo relativo ad un miglioramento dell’indice di prestazione energetica, limitatamente alla SOLA CLIMATIZZAZIONE INVERNALE, è riconoscibile economicamente sicuramente solo se ottenuto alimentando il sistema di riscaldamento anche con acqua calda proveniente da collettori solari termici. In conclusione, la finanziaria 2007 consente agevolazioni fiscali non solo per l’impiego della fonte solare via conversione termica per la produzione dell’acqua calda, ma anche per l’integrazione di generatori solari termici nel sistema di climatizzazione invernale. 3. POSSIBILITÀ DI UTILIZZAZIONE DELLE FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI NEGLI EDIFICI Tra tutte le fonti energetiche rinnovabili propriamente dette, come già anticipato, quelle che sia da un punto di vista tecnico sia da un punto di vista economico hanno un potenziale significativo, in relazione ad una loro applicabilità diretta al sistema edificioimpianto, sono in generale: • l’energia solare; • l’energia geotermica; • le biomasse.

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3.1. L’energia solare L’energia solare è significativamente disponibile nel nostro paese e può rappresentare una risorsa non marginale se utilizzata correttamente e convenientemente (vedasi figura 1). L’energia solare nel caso degli edifici può essere utilizzata sia direttamente sia attraverso sistemi di conversione in altre forma di energia. Nel primo caso si parla solitamente di sistemi solari passivi (o impiego passivo dell’energia solare), mentre nel secondo caso di sistemi solari attivi, che a loro volta si differenziano secondo il tipo di conversione e forma finale di energia ottenuta.

Figura 1 – Distribuzione della radiazione solare in Italia- valore medio annuo

3.1.1. Sistemi solari attivi La radiazione solare può essere convertita tramite opportuni apparati o in energia termica (acqua calda o vapore d’acqua) o in energia elettrica (effetto fotoelettrico); le due tecnologie che sono correlate ai due vettori finali termico e elettrico sono i collettori solari termici, da un parte, e i pannelli fotovoltaici, dall’altra (anche se esistono sistemi per la produzione di potenza elettrica attraverso conversione termica e ciclo termodinamico). L’edificio è un utente sia di energia termica (riscaldamento e/o raffrescamento) sia di energia elettrica (luci, elettrodomestici, ecc.), e quindi ben accetta sistemi che possono convertire la radiazione solare sia in energia termica, sia in energia elettrica. L’attuale stato dell’arte della tecnologia è oggi tale per cui un sistema solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria ad uso domestico può avere tempi di recupero del capitale investito ai costi attuali del mercato accettabili solo se è di grandi

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dimensioni (condominiale) (tempo di ritorno semplice circa 15 anni); mentre con le defiscalizzazioni introdotte dalla finanziaria 2007 si ottengono tempi interessanti anche per i sistemi piccoli (9-10 anni tempo di ritorno semplice) (vedasi fig.2 e fig 3 in cui invece si tiene conto dei tassi di sconto). Di contro i sistemi solari fotovoltaici in genere presentano, anche se di grandi dimensioni (20 kWp), tempi di ritorno semplici inaccettabili (circa 28 anni) senza contribuzioni, che si riducono con il conto energia, a tempi tra i 9 e i 12 anni per il sistema più piccolo (vedasi fig.2).

Figura 2 – Confronto tempo di ritorno semplice tra impianti solari termici per la produzione di ACS e impianti solari fotovoltaici, con e senza sovvenzioni, per diverse taglie (Italia centrale). Dati elaborati da [15]

Figura 3 – Recupero finanziario per un sistema ACS solare con 120 m2 di collettori, 10 m3 di accumulo sito in Milano, producibilità di 95.000 kWh, tasso di sconto 7%, tasso di crescita costo energia ausiliaria 5%, SF 35%, con recupero fiscale consentito dalla finanziaria 2007.

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Da quanto detto risulta evidente che la tecnologia fotovoltaica attualmente ha un costo di mercato tale da non ripagarsi mai salvo forti contribuzioni (vedi conto energia) che consentano dei tempi di ritorno del capitale investito sempre elevato ma accettabile (> 10 anni in media). Di contro la tecnologia solare termica ha un costo iniziale più basso tale da consentire tempi di ritorno accettabili già senza contribuzioni per sistemi di grande taglia, e, con contribuzioni molto inferiori (a paragone di quelle date al fotovoltaico) ha tempi di ritorno accettabili anche per i piccoli sistemi monofamilari. Si può inoltre notare come l’effetto scala sia più incisivo nei sistemi solari termici che nei sistemi fotovoltaici. Infine, tenuto conto che l’energia risparmiata per la produzione dell’acqua calda sanitaria è generalmente prodotta da sistemi a combustione, assunto per questi un rendimento medio del 75% e considerata una frazione solare piuttosto conservativa del 35%, si ha mediamente un riduzione del 47% di CO2 per ogni sistema solare termico installato. Di contro, assunto un rendimento del sistema elettrico nazionale pari al 41% e un più che ottimistico rendimento dei sistemi fotovoltaici a silicio policristallino del 15%, la riduzione percentuale di CO2 risulta essere del 33% per sistema installato. In conclusione, attualmente, i sistemi fotovoltaici hanno costi decisamente più elevati per kg di CO2 risparmiata, e c’è quindi veramente da chiedersi se ha senso investire più risorse economiche (sovvenzioni statali, regionali) su tali sistemi di quanto non lo si faccia per la produzione di acqua calda sanitari per via termica. Ma in realtà il punto di maggiore riflessione deve essere un altro. I consumi elettrici e per la produzione di acqua calda sanitaria per un edificio, in particolare se di tipo abitativo, sono una frazione dei consumi energetici per il riscaldamento ambientale (che rappresenta circa il 35% dei fabbisogni di energia primaria) e, sempre di più, per il raffrescamento. Di conseguenza se si vuole ottenere una significativa riduzione dei consumi energetici e conseguentemente di CO2, la politica di incentivazione o di cogenza per l’impiego delle fonti rinnovabili dovrebbe concentransi sugli usi finali con maggiore potenzialità, cioè sul riscaldamento ambientale e sul sempre più presente raffrescamento, tenendo soprattutto presente che sono ormai presenti da anni sul mercato i sistemi solari termici “combo”, cioè sistemi integrati per la produzione sia di acqua calda sanitaria sia di energia termica per il riscaldamento ambientale. Una delle obbiezioni più ricorrenti ad una simile pratica è quella legata alla maggior convenienza a ridurre prima la richiesta di energia sia per il riscaldamento ambientale, sia per il raffrescamento, che comportano interventi con tempi di ritorno del capitale investito di massima più convenienti. In realtà la legislazione italiana ha, con il D.Lgs. 311, imposto dei limiti sul fabbisogno di energia e sul grado di isolamento termico dell’edifico molto più stringenti che per il passato, rendendo così marginale e decisamente più costosi ulteriori interventi per il risparmio legati alla riduzione della richiesta. Inoltre certi fabbisogni non sono certamente soddisfabili attraverso l’incremento di isolamento, come ad esempio il fabbisogno energetico legato ai necessari ricambi d’aria, ai carichi termici interni per il raffrescamento, alla produzione di acqua calda sanitaria(vedasi figura 4), mentre sistemi solari termici combinati possono essere una risposta positiva a tale problematica (fig. 5).

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Un importante elemento per quanto riguarda la corretta gestione energetica dei fabbisogni termici in ambito residenziale, ma non solo, è il ricorso alla produzione centralizzata e successiva distribuzione (ed eventuale contabilizzazione) alle singole unità di utilizzo. Non ci sono motivi né energetici, né economici, né ambientali per non favorire la progettazione e installazione di sistemi centralizzati, sia per il caldo (ACS, riscaldamento), sia per il freddo (condizionamento).

Figura 4 – Effetto dell’introduzione di sistemi solari attivi per il riscaldamento ambientale su diverse tipologie edilizie

Figura 5 – Riduzione del fabbisogno primario per effetto dell’introduzione di sistemi solari combinati

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È infatti soltanto con l’installazione di sistemi centralizzati che il controllo e la gestione può effettivamente essere ottimizzate e l’integrazione solare può essere realmente efficace. Non solo; l’utilizzo di impianti di raffrescamento centralizzati aprirebbe la possibilità di utilizzare la conversione termica dell’energia solare per la climatizzazione estiva, attraverso l’impiego di refrigeratori d’acqua ad assorbimento, ad adsorbimento, o unità trattamento aria con ruote “dessiccanti” e saturazione adiabatica, tecnologie già mature e che per taglie di medio/grandi dimensioni si possono considerare, anche se non già economicamente competitive, comunque comparabili con le attuali alternative elettriche. 3.1.2. Sistemi solari passivi L’uso diretto della radiazione solare per ridurre i fabbisogni di energia di un edificio viene spesso “catalogato” sotto la dizione di impiego di “sistemi solari passivi”, che a loro volta si suddividono in sistemi diretti e componenti. SISTEMI DIRETTI Ogni ambiente, ogni edificio è di fatto un sistema solare passive a guadagno diretto. Infatti, in ogni ambiente dotato di una finestratura ha luogo quello che viene chiamato “effetto serra”, cioè trasmissione, assorbimento e rilascio di energia solare sotto forma termica. Perché un ambiente possa operare efficientemente in tale modo occorre che: • le finestre siano esposte alla radiazione solare d’inverno, • gli ambienti abbiano una capacità termica sufficiente in funzione dell’area trasparente delle finestre, • un’area trasparente delle finestre non eccessiva e bilanciata con la capacità termica dell’ambiente; • sistemi, fissi e/o mobile, di ombreggiamento per prevenire il surriscaldamento estivo; • un fattore di forma superficie – volume, S/V, ragionevole per ridurre le perdite termiche, un isolamento termico efficiente per gli elementi opachi, isolamento notturno mobile, zone cuscinetto tra l’esterno e gli ambienti a maggiore richiesta di benessere. É evidente che il maggior vantaggio di un sistema a guadagno diretto è che di fatto lo è ogni edificio di per se; quindi, se progettato correttamente fin dall’inizio, non è oggetto di extracosti particolari, se si escludono quelli di formazione di un buon progettista architettonico. Se non si vuole spingere al massimo tale concetto, clima permettendolo, l’effetto netto di un ben progettato edificio (sistema diretto) è quello di una minore richiesta di energia e potenza agli impianti tecnologici che devono provvedere a mantenere la temperature e, se del caso, l’umidità interna a valori accettabili di benessere. Per ottemperare a tale funzione un buon sistema diretto deve raccogliere quanta più possibile energia solare in inverno, ma allo stesso tempo minimizzare quanto più possibile i

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guadagni solari in estate. Due richieste apparentemente contrastanti, ma che invece possono essere soddisfatte attraverso opportuni elementi di ombreggiatura sia fissi sia mobili. COMPONENTI Tra i componenti solari passivi quelli principali e più noti sono le pareti “collettore”; questi sistemi consistono in una parete massiva termicamente conduttiva esposta al sole e un sistema vetrato che la ricopre creando tra esso e la parete un’intercapedine d’aria. Il principio di funzionamento è lo stesso del sistema diretto, cioè l’effetto serra: l’energia solare assorbita dalla superficie esterna della parete e “intrappolata” dal vetro viene trasferita alla superficie interna per conduzione, ovvero, se il surriscaldamento eterno non è sufficiente, il flusso termico disperso viene ridotto. Normalmente lo spessore di una parete “collettore” è di almeno 30 cm di materiale massivo (mattoni pieni o altro), che assicura un ritardo temporale di circa 8 ore tra il picco di assorbimento dell’energia solare e quello di flusso termici trasferito all’interno e una temperatura della superficie interna della parete sufficientemente stabile. Ovviamente, tali sistemi progettati per massimizzare il guadagno solare, o , d’estate vengono ombreggiati, oppure causano di contro un maggior consumo estivo, se si dispone di un climatizzatore estivo, ovvero il surriscaldamento, in assenza di impianti. Esistono diverse soluzioni applicative di tale concetto, ma soprattutto una sua evoluzione: le pareti “collettori solari ad aria”. In questo caso si combina all’effetto precedentemente citato anche l’effetto di riscaldamento di un flusso aria che circola tra vetro e parete, flusso d’aria che viene immesso in ambiente, d’inverno, eventualmente disperso verso l’esterno in estate. Vi sono diverse realizzazioni tecniche di tale sistema, dalla classica parete Trobe, al più complesso sistema “Barra-Costantini”, ma tutti prevedono un flusso d’aria generato dall’effetto camino (cioè senza ventilatore).

Figura 6 - a) parete massiva “collettore”, b) parete Trombe

Di fatto tali tipologie di sistema integrano il componente impiantistico collettore solare ad aria nel progetto architettonico e tecnologico dell’edificio, utilizzando in

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maniera intelligente materiali, forme e spazi per ottenere funzionalità “energetiche” oltre che estetiche e abitative. SERRE BIOCLIMATICHE Un altro sistema tecnico spesso ricorrente nel vocabolario dei progettisti attenti al risparmio energetico è quello che viene solitamente indicato come “serra bioclimatica”. Tale sistema non è altro che una normale serra, che però, invece di essere dedicata alla crescita di fiori o ortaggi, diventa uno spazio temporaneamente abitabile, interposto tra la casa e l’ambiente esterno. Solitamente sono caratterizzati da: • collegamenti visuali e funzionali con gli spazi abitativi veri e propri; • pareti esterne costituite da superfici trasparenti esposte al sole; • assenza di impianto di riscaldamento. È evidente che sistemi di tale tipo costituiscono dei volumi abitativi addizionali, con i pregi e i problemi che ciò comporta, e che non sono certamente idonei e interessanti per climi con una elevata radiazione solare estiva, nel qual caso, salvo che non siano completamente apribili, diventano delle ... saune solari! PASSIVO SI, PASSIVO NO L’impiego “passivo” (cioè tutto ciò che non sia la sua conversione attraverso sistemi termodinamici e/o meccanici) dell’energia solare negli edifici, è, a mio personale avviso, di fatto riconducibile ad una progettazione corretta (integrata con l’ambiente) del sistema edilizio: al di là dei luoghi di culto e di esercizio del potere, la casa è un invenzione dell’uomo per ottenere un ambiente dal clima controllabile e proteggerlo dalle intemperie dell’ambiente “esterno”. Prima che inventasse sistemi sempre più sofisticati ed efficienti per controllare tale clima interno, gli architetti dell’antichità erano sempre stati capaci di adattare il loro progetto alla realtà del clima locale utilizzando quelli che oggi vengono riscoperti come i principi dell’architettura bioclimatica. Che la certificazione energetica degli edifici ci aiuti non solo a premiare i buoni progetti ma soprattutto a punire quelli scadenti. 3.2. L’energia geotermica L’energia geotermica è in linea di principio una fonte interessante per la riduzione dei fabbisogni energetici degli edifici. Peccato che, salvo rarissimi casi, la sua disponibilità, almeno in Italia, è quasi nulla. Per essere più chiari, bisogna, una volte per tutte, eliminare un’ambiguità che imperversa nel mondo degli impianti per la climatizzazione ambientale. Energia geotermica è l’energia propria del nostro pianeta, che fluisce dal centro della terra (il nucleo ferroso fuso) fino alla superficie; tale energia alla superficie ha una densità talmente bassa che è praticamente “invisibile” e inservibile. È utilizzabile solo in pochi casi, quando fenditure nel mantello terrestre consentono alle acque piovane di entrare in contatto con le rocce calde e quindi rendere disponibile del vapore ad alta temperatura (geotermia ad alta entalpia) o acqua calda (geotermia a bassa entalpia). In

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tal caso è possibile utilizzare o direttamente il vapore (come avviene in Islanda) o l’acqua calda per alimentare i sistemi di riscaldamento ambientale. L’impiego di pompe di calore per “estrarre energia” dal suolo, attraverso scambiatori suolo-fluido termovettore verticali o orizzontali (impropriamente chiamati sonde geotermiche), non corrisponde al concetto di sfruttamento rinnovabile della fonte di energia geotermica. Infatti, al di là del già discutibile fatto che per utilizzare in tal modo la “fonte geotermica” (invero il suolo terrestre) si abbia una spesa netta di energia meccanica, si ha che, per ovviare al fatto che il flusso geotermico naturale è estremamente basso, la pompa di calore estragga dagli strati di suolo interessati molta più energia di quanta ne venga da quello reintegrata. Di fatto la pompa di calore depaupera un “accumulatore termico”; il suolo, e solo il fatto che normalmente gli strati di suolo interessati siano poco profondi, consente a questi di essere solitamente (non sempre) “rigenerati” dalla radiazione solare e dal riscaldamento estivo dell’atmosfera e quindi di recuperare i livelli termici precedenti. Quindi la dizione pompe di calore geotermiche è alquanto impropria e fuorviante: non utilizzano energia geotermica ma energia solare temporaneamente immagazzinata negli strati superiori del terreno. Inoltre utilizzare delle pompe di calore, sia che si impieghi come sorgente fredda il suolo, che l’aria o l’acqua, non vuol dire sfruttare una fonte di energia rinnovabile, giacché si spende energia meccanica (quasi sempre ottenuta da fonte non rinnovabile) per “valorizzare” un’altra forma di energia altrimenti non impiegabile, cioè di accrescerne il livello termico. In molti casi un sistema a pompa di calore “geotermico”, quando , in particolare, funge anche da refrigeratore estivo, è concettualmente assimilabile ad un sistema idroelettrico di pompaggio e turbinaggio, sicuramente utile, ma che nessuno mai assimilerebbe ad un bacino idrico in quota, naturale o artificiale che sia, cioè a energia rinnovabile idrica (“Energia ottenuta dalle cadute d'acqua naturali o artificiali”4). Per chiarezza, ciò non vuol dire che non si debbano o che non si possano utilizzare le pompe di calore, che impiegano il suolo come sorgente fredda, ma solo che non rientrano nella categoria sistemi di utilizzazione della fonte rinnovabile energia geotermica. 3.3. Le biomasse La biomassa, utilizzabile ai fini energetici, consiste in tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati direttamente come combustibili o trasformati in altre sostanze di più facile utilizzo negli impianti di conversione energetica. Sono biomasse molti materiali eterogenei quali la legna, le potature di alberi e di verde urbano, la segatura, gli scarti di lavorazione del legno e i combustibili di origine vegetale come il biogas, biodiesel o il bioetanolo. Le biomasse sono quindi dei veri e propri combustibili alternativi a quelli tradizionali e possono quindi essere utilizzati o direttamente in caldaie per il riscaldamento ambientale, o indirettamente alimentando dei sistemi di cogenerazione.

4 http://www2.minambiente.it/Wai/temi/energia/termini_energia/energia_idrica.asp

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In realtà, e specialmente nel nostro paese, non tutte le tipologie di biomassa (al di là della loro convenienza economica) sono disponibili. In pratica sia per motivi di facilità di reperimento e per utilizzabilità tecnologica (sistemi tecnici semplici per il loro impiego), le biomasse che hanno qualche interesse immediato sono quelle di origine legnosa, le potature boschive (per le comunità montane) e cippato, briquettes e pellets, per le altre località. Infatti il problema dell’immagazzinamento, per avere a disposizione quantità di combustibile sufficiente, non è marginale essendo la densità di potenza per unità di volume quasi un ordine di grandezza meno rispetto all’olio combustibile. Cippato, briquettes e pellets sono relativamente facili sia da trasportare che da immagazzinare in opportuni silos, da cui possono essere facilmente caricati automaticamente nelle caldaie (vedi figura 7). Questo ci fa già considerare una complicazione non da poco: un volume tecnico aggiuntivo non indifferente per l’immagazzinamento della biomassa, possibilmente non interrato. I sistemi di riscaldamento utilizzanti biomassa sono certamente favoriti da un effetto scala, cioè nel passare da un sistema monofamiliare, ad uno condominiale o un piccolo teleriscaldamento, esempio già realizzato in alcune comunità montane.

Figura 7 – Sistema di riscaldamento a biomassa

Vi sono però alcune contro indicazioni non marginali, che ne potrebbero rendere l’impiego marginale: è vero che sono fonti rinnovabili, ma è altrettanto vero che vengono trasformate in energia termica attraverso un normale processo di combustione, che produce CO, CO2, NOx e ceneri. Di conseguenza, anche se si dice che la biomassa sia a bilancio netto nullo per la produzione di CO2, avendo in precedenza come vegetale prodotto dell’ossigeno sequestrando della CO2, il problema dell’inquinamento da prodotti di combustione velenosi e da polveri sottili viene invece aggravato dato che ne producono più del doppio rispetto al gas naturale.

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4. CONCLUSIONI Lo scenario politico europeo è fortemente favorevole allo sviluppo delle fonti rinnovabili e a un loro impiego sempre più consistente nella climatizzazione degli edifici; in tal senso il nuovo obbiettivo posto per il 2020 di una copertura del 20% da fonti rinnovabili sulla richiesta di energia primaria. La legislazione nazionale a supporto e incentivo di tali fonti altre a grandi promesse non sembra aver colto nel segno puntando, da una parte a rendere cogente degli aspetti marginali e spesso economicamente insostenibili, degli usi finali servibili da fonti di energia rinnovabili (acqua calda e fotovoltaico “residenziale”), e sovvenzionando in modo “asimmetrico” l’impiego economicamente e probabilmente strategicamente meno conveniente. Occorre avere il coraggio di puntare su degli obbiettivi più grandi e energeticamente e ambientalmente più redditizi: il riscaldamento e i raffrescamento ambientale, che costituiscono circa il 40% del fabbisogno di energia primaria. In questo caso la fonte immediatamente disponibile con un migliore rapporto costi/benefici sembra proprio quella del solare termico. Questo non significa che il solare fotovoltaico, o in generale la conversione in energia elettrica della radiazione solare, non sia da perseguire, ma che vi sono delle ragioni tecniche ed economiche che dovrebbero invertire l’ordine della tendenza attuale. I tetti delle case sono delle superfici finite e mentre produrre energia termica per via solare in modo centralizzato e distribuire attraverso reti di teleriscaldamento che non ci sono è poco conveniente, costruire centrali ellettrosolari è semplice e vettoriale l’energia elettrica ancora più semplice ed economico che montare miglia di inverter e contatori bidirezionali in ogni appartamento d’Italia. Quindi riserviamo i tetti delle case per l’acqua calda e il riscaldamento (e i raffrescamento) via solare termico, riducendo tutte le emissioni di tutti gli inquinanti prodotti di combustone nei centri urbani, e concentriamo la produzione elettrica per via solare in sistemi di grossa taglia, con efficienze e soprattutto garanzie di manutenzione con non avranno mai i singoli sistemi monofamiliari. 5. BIBLIOGRAFIA [1]

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Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.”, G.U. Serie Generale n. 25 del 31/01/2004. Direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”, G.U.C.E. 27 ottobre 2001 n. L 283. Legge 9 gennaio 1991, n. 10 - “Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”; G.U. n. 13, del 16 gennaio 1991. Legge 27 dicembre 2006, n. 296 – “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)"; G.U. n. 299 del 27

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dicembre 2006 - Supplemento ordinario n. 244 Direttiva 2002/91/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 16 dicembre 2002 sul rendimento energetico nell'edilizia – G.U.C.E. 4 gennaio 2003 N° L 1/65. CONSIGLIO EUROPEO DI BRUXELLES 8-9 MARZO 2007 - CONCLUSIONI DELLA PRESIDENZA - Bruxelles, 2 maggio 2007 (04.05) – doc. N. 7224/1/07 PIANO D'AZIONE DEL CONSIGLIO EUROPEO (2007-2009) - POLITICA ENERGETICA PER L'EUROPA (PEE) (ALLEGATO I) a [6] http://ec.europa.eu/energy/res/index_en.htm Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 192 –“Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia”, G.U. N. 222 del 23 settembre 2005, supl. ord. n.158. D.P.R. 26 AGOSTO 1993, N.412 -“Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art. 4, comma 4, della legge 9 gennaio 191, n. 10”, versione integrata su aggiornamento G.U. 28-05-2002. D.P.R. 21 DICEMBRE 1999, N. 551 - “Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412: Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'articolo 4, comma 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 10.”, Gazzetta Ufficiale n. 81 del 06-042000. Decreto Legislativo 29 dicembre 2006, n. 311 – “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE, relativa al rendimento energetico nell'edilizia”, Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1 febbraio 2007 - Supplemento ordinario n. 26/L. Decreto Ministeriale 19/02/2007 – “Criteri e modalita' per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell'articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.”, G.U. n.45 del 23/02/07 D.M. 19-02-2007 – “Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell'articolo 1, comma 349, della legge 27 dicembre 2006, n. 296”, GU n.47 del 26-02-2007 Legambiente – BBB-CR –“Investire in energia rinnovabile: guida ai finanziamenti per la realizzazione di impianti alimentai da fonti di energia rinnovabili” – http://www.fonti-rinnovabili.it/attach/111_A_Energia%20Pulita%20per%20Tutti.pdf

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L'aumento dell'efficienza energetica negli impianti di climatizzazione mediante l'utilizzo di risorse idriche MICHELE VIO Thermocold Costruzioni Srl, Modugno (BA)

RIASSUNTO L'utilizzo di risorse idriche migliora l'efficienza energetica di un impianto di climatizzazione. Un gruppo frigorifero condensato con torre evaporativa ha valori di EER superiori a uno condensato ad aria, ma richiede un consumo d'acqua. Analogamente richiede consumo d'acqua lo sfruttamento del raffreddamento adiabatico indiretto. In momenti di crisi idrica ci si deve chiedere se sia conveniente o meno consumare delle risorse preziose per ridurre i consumi elettrici. La relazione cerca di affrontare il problema facendo un bilancio tra i consumi idrici nelle centrali di produzione dell'energia elettrica e quelli effettuati direttamente negli impianti di climatizzazione per diminuire i consumi energetici. PREMESSA L'emergenza idrica di fine aprile m'ha sorpreso mentre mi accingevo a scrivere la mia relazione. Così mi sono adattato e ho cambiato tema in corsa. In realtà, il miglioramento dell'efficienza energetica degli impianti mediante l'uso dell'acqua doveva essere una parte consistente del lavoro, così come l'avevo concepito all'inizio, ma non il solo. Il Po' in secca, i bacini di raccolta in montagna quasi del tutto vuoti, il vociare incontrollato dei media di fine aprile, con i soliti scenari apocalittici, mi hanno convinto ad approfondire l'argomento. “Come faccio,” - mi sono detto - “in questo momento di emergenza, a proporre sistemi si più efficienti, ma che consumano acqua?” Non so se a fine giugno, quando il convegno svolgerà la sua prima tappa a Padova, l'emergenza ci sarà ancora. Probabilmente ci sarà, anche se non nei termini drammatici di fine aprile: nei primi 5 giorni di maggio il nord Italia è stato investito da una perturbazione consistente. Tuttavia il problema si riproporrà in futuro. Ritengo interessante affrontare il tema del corretto uso delle risorse idriche negli impianti di climatizzazione in modo razionale.

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1. USO RAZIONALE DELLE RISORSE IDRICHE Il problema è molto semplice e si riassume in pochi concetti: 1. Per produrre energia elettrica serve acqua. 2. Se si utilizza acqua direttamente negli impianti di climatizzazione si risparmia energia elettrica. 3. Di conseguenza, si può fare un banale bilancio, basandosi sul consumo totale di acqua necessaria al funzionamento di un impianto di climatizzazione. Se il consumo d'acqua locale porta un risparmio di energia elettrica tale da ridurre il consumo d'acqua in centrale di produzione di un valore maggiore, allora il sistema è conveniente, almeno dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse idriche. In caso contrario si sta sprecando acqua, cosa che, sembra, non possiamo più permetterci. 4. Per fare questo confronto, nei paragrafi successivi si definirà la Produzione Unitaria netta (PUN), ovvero la quantità di energia elettrica disponibile a valle della rete di distribuzione per m3 d'acqua utilizzato nella centrale di produzione. La PUn è espressa in kWh/m3. Analogamente si definirà il Risparmio Unitario netto (RUN), ovvero il risparmio elettrico ottenibile negli impianti di climatizzazione per ogni m3 di acqua consumata direttamente dall'impianto stesso. Anche il RUN è espresso in kWh/m3. Dal punto di vista del bilancio idrico, l'uso è razionale quanto più RUN è maggiore di PUN. Prima di affrontare l'argomento, è necessario, però, descrivere i problemi legati alle carenze idriche in Italia. 1.1. La situazione idrica in Italia La situazione idrica italiana è stata ampliamente descritta dalla stampa a fine aprile. Riassumo brevemente gli aspetti fondamentali: - L'Italia è un paese ricco d'acqua. La mancanza di risorse idriche non è uno dei problemi del nostro paese: lo è, invece, il loro sfruttamento razionale. - L'acqua, quando viene utilizzata, non viene mai consumata, perché rimane sempre nel ciclo naturale. Un problema è in quanto tempo possa essere resa di nuovo disponibile. Per fare un esempio, se si versa un bicchiere d'acqua sul terreno, questa prima o poi ritorna nelle falde. Quando, dipende da molti fattori: in alcuni casi ci vogliono decenni, in altri anche centinaia di anni prima che ciò avvenga. - Il problema dei problemi è lo stato della rete idrica italiana. Mediamente, più del 40% dell'acqua immessa negli acquedotti viene dispersa a causa di perdite nelle tubazioni. In alcuni casi, nel meridione, si raggiungono punte del 60%. Queste perdite vengono calcolate in percentuale sui consumi, ma in realtà sono assolute, ne senso che ci sarebbero anche se i consumi fossero zero. Avere delle perdite nelle condutture è come tenere dei rubinetti perennemente aperti. - Dell'acqua disponibile al netto delle perdite, solamente il 20% è utilizzato per usi civili, mentre il consumo maggiore si ha in agricoltura. - Non abbiamo a disposizione una rete di acqua non potabilizzata per usi tecnici, almeno

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non in ambito cittadino. - Analogamente non abbiamo a disposizione degli scarichi dove incanalare l'acqua eventualmente sfruttata per scopi termici. Se ci fossero, sarebbe possibile immettere nuovamente l'acqua in ciclo senza disperderla. Si tratta di acqua non inquinata, è bene ricordarlo, solamente portata ad una temperatura diversa da quella iniziale. 1.2. Il fabbisogno di acqua nelle centrali elettriche Per produrre energia elettrica è necessaria una certa portata d'acqua. Nelle centrali idroelettriche la portata d'acqua serve a muovere le turbine e produrre l'energia elettrica. Nelle centrali termoelettriche, l'acqua serve come fluido di scambio nei condensatori. Per calcolare la Produzione Unitaria netta PUN, definita in precedenza al punto 4 dell'inizio del capitolo 1, si deve distinguere tra centrali elettriche, centrali termoelettriche tradizionali con ciclo Hirn a spillamento [1a] e centrali con ciclo combinato [1b]. 1.2.1. Il fabbisogno di acqua nelle centrali idorelettriche Nelle centrali idroelettriche, la Produzione Unitaria lorda, ovvero quella relativa alla sola centrale di produzione (che ancora non considera le perdite nella rete elettrica di trasmissione) è:   

38 /

(( :

I K  + 

dove EE è l'energia elettrica prodotta, espressa in kW, W ilvolume d'acqua utilizzato, espresso in m3, η è il rendimento della turbina, H è il battente geodetico, espresso in m. PUL è tanto più alta quanto maggiore è il rendimento della turbina e quanto più alto è il battente geodetico. La Produzione Unitaria netta PUN si ottiene considerando i valori di rendimento ηT della rete elettrica di trasmissione:   

38 1 K 7 38 / 

1.2.2. Il fabbisogno di acqua nelle centrali termoelettriche tradizionali Le centrali termolettriche lavorano secondo il ciclo Hirn a spillamento [1a]. Una caldaia produce il vapore necessario ad una turbina collegata all'alternatore. In uscita dalla turbina il vapore passa per un condensatore, per poi essere rimandato in fase liquida alla caldaia mediante una pompa di alimentazione. L'acqua è necessaria nel condensatore, per riportare il vapore in fase liquida. La Produzione Unitaria lorda è: ((    38 / I K 7+  'W:&  : dove ηTH è il rendimento termodinamico del ciclo Hirn e ∆tWC è il salto termico

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dell'acqua di raffreddamento usata nel condensatore. PUL diminuisce al diminuire del rendimento e aumenta all'aumentare del salto termico. La Produzione Unitaria netta si calcola sempre in base alla equazione (2). 1.2.3. Il fabbisogno di acqua nelle centrali termoelettriche a ciclo combinato Le centrali termolettriche a ciclo combinato uniscono una turbogas a un ciclo Hirn [2a]. La caldaia del ciclo Hirn è sostituita da un recuperatore di calore dove si sfruttano i gas di scarico di una turbina a gas per generare il vapore. Si ha così un doppio stadio di produzione dell'energia elettrica. Il primo è effettuato dalla turbogas, il secondo da un ciclo Hirn con vapore prodotto dai gas di scarico. La turbina a gas non richiede raffreddamento, per cui il consumo d'acqua è limitato al condensatore del ciclo Hirn. La Produzione Unitaria lorda è: ((   38 / I K 7* K 7+  'W:&  : dove ηTG è il rendimento della turbogas, ηTH è il rendimento termodinamico del ciclo Hirn, îtWC è ilsalto termico dell'acqua di raffreddamento usata nel condensatore. PUL diminuisce al diminuire dei rendimenti dei cicli e aumenta all'aumentare del salto termico La Produzione Unitaria netta si calcola sempre in base alla equazione (2). 1.3. Valori di confronto di PUN A questo punto è possibile fissare dei valori di confronto della Produzione Unitaria netta PUN. La figura 1 riporta i valori di PUN per le 3 tipologie di centrali di produzione considerate. Per quanto riguarda l'idroelettrico, si va da 0,2 kWh/m3 d'acqua a 2,3 kWh/m3 d'acqua passando da 100 a 1.000 metri di battente geodetico H e con rendimenti da 85% a 95%. Mediamente si può considerare un valori pari a 1 kWh/m3. Per le centrali termoelettriche tradizionali si passa da 0,8 kWh/m3 a 1,7 kWh/m3 a secondo del salto termico dell'acqua di raffreddamento al condensatore e del rendimento della centrale. Anche in questo caso si può considerare un valore medio pari a 1 kWh/m3. Le centrali a ciclo combinato sono meno “idrovore”: si può considerare un valore medio pari a 3 kWh/m3. Tuttavia, per calcolare un valore di riferimento valido sul territorio nazionale, bisogna aggiungere una serie di considerazioni: - L'Italia importa dall'estero una percentuale importante di energia elettrica. Questa quota non andrebbe considerata nel calcolo del “bilancio idrico”. - Analogamente non andrebbero considerate la produzione, molto più marginale in quantità, dovuta agli impianti a fonti energetica rinnovabile (eolico, solare, solare termico) o assimilabili (cogenerazione).

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Figura 1: valori minimi, massimi e di riferimento di PUN per le varie tipologie di centrali di produzione

- Alcune centrali di produzione dell'energia elettrica sfruttano direttamente acqua di mare (Fusina, per fare un esempio) o possono sfruttarla in emergenza (Porto Tolle) - Come detto in precedenza, non disponiamo in Italia di una rete idrica non potabile per usi tecnologici, almeno non a livello civile. Pertanto, se utilizziamo acqua localmente, bisogna anche considerari gli aggiuntivi costi energetici della depurazione per renderla potabile, inutile per i nostri scopi, ma di fatto presenti In base a queste considerazioni, personalmente fisserei un valore di riferimento PUN = 3,5 - 4 kWh/m3. 2. BILANCIO IDRICO TRA CONSUMO CENTRALIZZATO E LOCALE Fin qui abbiamo definito e fissato dei valori di confronto per la Produzione Unitaria netta PUN. Come si è compreso, questo valore indica quanto un sistema di produzione dell'energia elettrica sia efficiente dal punto di vista idrico. Tanto più alto è il valore di PUN, tanto minore è la richiesta d'acqua per la produzione di energia elettrica. E' il momento di riproporci la domanda iniziale: quando ci conviene utilizzare localmente acqua negli impianti per ridurre il consumo di energia elettrica? La risposta è apparentemente banale: quando il Risparmio Unitario netto RUN di energia elettrica conseguito per m3 di acqua utilizzata è superiore al valore di PUN definito in precedenza:  

58 1 ! 38 1 

Rimane da definire RUN.

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2.1. Risparmio Unitario lordo (RUL) e Risparmio Unitario netto (RUN) Per limitare il consumo dell'energia elettrica, l'acqua può essere utilizzata: - direttamente nell'impianto, per limitare la potenza richiesta ai gruppi frigoriferi - nei gruppi frigoriferi, per migliorarne l'efficienza ed aumentare il consumo Nel primo caso si deve parlare di Risparmio Unitario lordo, perché si effettua un risparmio di energia termica, nel senso che si diminuisce la richiesta energetica a monte del gruppo frigorifero. Una semplice equazione aiuta a capire meglio la questione. Possiamo definire Risparmio Unitario lordo RUL di un certo sistema che utilizzi acqua come:   

58 /

(   (  :

dove E0 è l'energia frigorifera richiesta dall'impianto senza sistema ad acqua, E1 è l'energia frigorifera richiesta dall'impianto con il sistema ad acqua, W è il volume di acqua consumata dal sistema. E0 e E1 sono espresse in kWh, mentre W è espresso in m3. Il Risparmio Unitario lordo RUL può essere trasformato in Risparmio Unitario netto RUN solo considerando anche il consumo di energia elettrica dei gruppi frigoriferi:  

58 1

((   ((  :

dove EE0 è il totale fabbisogno di energia elettrica dell'impianto senza sistema ad acqua, EE1 è il totale fabbisogno di energia elettrica dell'impianto con il sistema ad acqua Se invece l'acqua si utilizza direttamente nei gruppi frigoriferi per migliorarne l'efficienza, si può definire direttamente il Risparmio Unitario netto RUN secondo l'equazione (7). Potrebbe sorgere un'obiezione: il fabbisogno d'acqua W è quello effettivo, letto sul contatore, e non tiene conto delle perdite della rete idrica. Secondo me, è corretto così. Come detto in precedenza, le perdite ci sono a prescindere dal consumo e non devono essere considerate. 2.2. Utilizzo dell'acqua direttamente nell'impianto In regime estivo, si può utilizzare acqua direttamente nell'impianto in vari modi: - per raffreddare gratuitamente gli ambienti utilizzandola in terminali in grado di lavorare ad efficienza - per aumentare il recupero di calore tra aria espulsa e aria immessa, mediante il raffreddamento adiabatico indiretto - per raffreddare gratuitamente l'aria immessa, mediante il raffreddamento adiabatico diretto

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2.2.1. Utilizzo dell'acqua per raffreddare gratuitamente gli ambienti Se si hanno terminali in grado di funzionare a temperatura sufficientemente elevata, maggiore di 15°C (sistemi radianti a soffitto o pavimento), è teoricamente possibile alimentarli direttamente con acqua esterna è ottenere un raffreddamento gratuito. In realtà è sempre necessario inserire uno scambiatore intermedio, come mostrato in figura 2. Uno scambiatore separa il circuito di condensazione di un gruppo frigorifero (GF) da una sorgente idrica. La sorgente è a 12°C. A valle dello scambiatore si può raggiungere la temperatura di 15°C. L'acqua raffreddata gratuitamente, prima di essere inviata al condensatore del gruppo frigorifero, viene immessa nei terminali (pannelli radianti, batterie di preraffreddamento dell'aria esterna) mediante il circuito dedicato, evidenziato dall'aria azzurra. In questo modo si ottiene un raffreddamento totalmente gratuito, fatta salvo l'energia elettrica consumata dalla pompa PF. Il sistema è valido se l'acqua utilizzata viene reimmessa nella stessa sorgente (caso di falda, acqua di mare, acqua di lago o fiume). Se invece viene utilizzata acqua a perdere, il Risparmio Unitario lordo RUL diventa troppo basso. Infatti si ha RUL = 3,5 - 7 kWhF/m3 a seconda che il salto termico allo scambiatore SC vari da 3 a 6 °C. Questo è il valore lordo. Per ottenere il Risparmio Unitario netto si deve considerare il consumo del gruppo frigorifero. Anche nella migliore delle ipotesi, ovvero un salto termico di 6°C, si ottiene RUN = 1,4 - 2,8 kWh/m3 a seconda che l'EER del gruppo frigorifero vari rispettivamente da 5 a 2,5. Sono valori troppo bassi per giudicare il sistema valido per un corretto utilizzo delle risorse idriche.

Figura 2: utilizzo dell'acqua direttamente nei terminali dell'impianto per il raffreddamento gratuito

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2.2.2. Utilizzo dell'acqua per il raffreddamento adiabatico indiretto Se si ha a disposizione solo acqua a perdere, è molto più interessante l'utilizzo del raffreddamento adiabatico indiretto, mostrato in figura 3. Si inserisce un umidificatore sulla canalizzazione dell'aria espulsa. L'aria si raffredda adiabaticamente passando dal punto 1 al punto 2. In queste condizioni attraversa un recuperatore solo sensibile, nel quale scambia calore con l'aria esterna. Questa si raffredda gratuitamente passando dal punto 3 al punto 4, prima di attraversare la batteria fredda per essere portata al punto finale 5. Il Risparmio Utile lordo RUL raggiunge valori estremamente elevati, quando la temperatura dell'aria esterna è superiore a 25°C. Con efficienza dell'umidificatore pari all'85% e efficienza del recuperatore del 50% si ottiene RUL = 360 kWhF/m3 d'acqua consumata. Ciò significa raggiungere valori di Risparmio Unitario netto compresi tra RUN = 72 - 144 kWh/m3 a seconda che l'EER del gruppo frigorifero scenda da 5 a 2,5.

Figura 3: raffreddamento adiabatico indiretto

Sono valori assolutamente elevati, per cui converrebbe sempre, quando possibile, utilizzare il raffreddamento adiabatico indiretto. Come ampliamente spiegato nei testi citati in bibliografia [2] [4a], cui si rimanda per approfondimenti, il raffreddamento adiabatico indiretto fornisce prestazioni molto elevate anche con temperature inferiori a 25°C dell'aria, perché permette di aumentare l'utilizzo del free-cooling. Si ottengono risparmi energetici molto elevati, come mostrato nei testi citati in bibliografia [3] [4b]. Non è possibile calcolare in modo generalizzato il valore di RUL ottenibile, perché bisogna farlo caso per caso. Si rimanda agli esempi numerici riportati nell'ultimo capitolo. 2.2.3. Utilizzo dell'acqua per il raffreddamento adiabatico diretto L'aria esterna viene umidificata prima di entrare nella batteria fredda, in modo da

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essere raffreddata. E' un sistema poco utilizzato nei nostri climi, considerati troppo umidi. Non viene trattato approfonditamente per ragioni di spazio. Per approfondimenti si rimanda ai testi citati in bibliografia [2] [3] [4a] [4b]. 2.3. Utilizzo dell'acqua per aumentare l'efficienza dei gruppi frigoriferi L'acqua può essere utilizzata per aumentare l'efficienza dei gruppi frigoriferi. Prima di ogni altra considerazione è necessario fissare bene i parametri di confronto. Il confronto viene fatto a parità di compressore. Si suppone di avere gruppi frigoriferi con R410A a due circuiti con 4 compressori scroll con curva di EER in funzione della temperatura di condensazione come quella mostrata in figura 4.

Figura 4: curva di EER in funzione della temperatura di condensazione per il compressore usato per il confronto (temperatura evaporazione = 2°C)

Come riferimento del confronto si prende un gruppo frigorifero condensato ad aria in classe B. Il contenuto d'acqua dell'impianto è pari a 5 litri/kW. Le valvole termostatiche sono elettroniche. Il metodo di calcolo delle prestazioni ai carichi parziali è quello descritto nel testo [5] citato in bibliografia. Per il calcolo del Risparmio Unitario netto RUN si considera la sola energia spesa dai compressori, trascurando quella dei ventilatori. Questa è una scelta precisa. Tutti i sistemi che utilizzano acqua richiedono comunque una spesa anche per i sistemi ausiliari (pompe di circolazione, ventilatori delle torri evaporative) cui si deve aggiungere la spesa energetica per rendere disponibile l'acqua al gruppo frigorifero. Questa voce è difficilmente quantificabile. Ho quindi ipotizzato che l'energia impiegata dai gruppi ventilatori dei gruppi frigoriferi ad aria sia uguale al totale dell'energia spesa dagli ausiliari dei sistemi ad acqua e quella necessaria a rendere disponibile l'acqua al gruppo frigorifero. L'acqua nei gruppi frigoriferi può essere utilizzata: - direttamente a perdere nel condensatore ad acqua - nei sistemi di raffreddamento evaporativi (torri a circuito aperto, torri a circuito chiuso, condensatori evaporativi)

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- nei sistemi misti a “batteria bagnata” - nei sistemi ibridi per aumentare il sottoraffreddamento del refrigerante 2.3.1. Utilizzo diretto dell'acqua nel condensatore L'acqua di acquedotto viene inviata direttamente nel condensatore. E' un sistema utilizzato per piccoli gruppi frigoriferi in ambito domestico. La portata d'acqua viene regolata da una valvola pressostatica regolata per mantenere una temperatura di condensazione compresa tra 40°C e 50°C. Più alta è la temperatura di condensazione, più bassa è la portata d'acqua, ma anche più alto il consumo di energia elettrica. Anche tenendo la condensazione a 40°C, il Risparmio Unitario netto RUN rispetto al gruppo frigorifero ad aria di riferimento è molto basso, inferiore a 2 kWh/m3. Addirittura diventa negativo sia quando si riduce la temperatura dell'aria esterna, sia quando si riduce la potenza richiesta. La valvola pressostatica continua a mantenere costante la pressione di condensazione corrispondente ad un valore di temperatura di 40°C, mentre nel gruppo frigorifero ad aria questa può scendere fino a 30°C senza insorgere di problemi. 2.3.2. Utilizzo dell'acqua nei sistemi evaporativi I sistemi evaporativi possono essere sia a circuito aperto che chiuso. Nel primo caso, tipico delle torri evaporative a circuito aperto, si raffredda l'acqua da inviare poi al condensatore. Nel secondo caso, o si raffredda sempre l'acqua di condensazione (torri evaporative a circuito chiuso) oppure direttamente il refrigerante (condensatori evaporativi). Nelle torri evaporative a circuito aperto il consumo dell'acqua è dato dalla somma dell'acqua evaporata nel processo adiabatico e dallo “spurgo”, ovvero il continuo rinnovo di parte dell'acqua in circolazione per evitare l'accumulo di elementi aggressivi per le tubazioni nell'acqua stessa. Lo spurgo equivale è pari al 2 - 4% della portata d'acqua complessiva del circuito, in funzione della collocazione della torre evaporativa. E' tanto maggiore quanto più aggressiva è l'atmosfera ad esempio in installazioni in riva al mare). La figura 5 mostra i valori di RUN per una portata di spurgo pari al 2% della portata d'acqua al condensatore e un'umidità dell'aria pari al 50% in tutte le condizioni. RUN è influenzato anche dall'umidità relativa, anche se in modo abbastanza marginale. Con il UR = 40% si ha un aumento di RUN del 2% al massimo carico e alla massima temperatura. Diminuzione di uguale valore nel caso di UR = 60%.

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Figura 5: RUN per torri evaporative a circuito aperto (portata di spurgo 2%, UR = 50%)

Come si vede, il sistema è efficiente solamente per temperature dell'aria esterna superiore 30°C e percentuali di potenza superiori al 60%. Al di sotto di queste soglie RUN diventa minore di 3,5 kWh/m3, quindi al valore di PUN fissata come limite del confronto (cfr. paragrafo 1.3). Questa situazione si verifica per due motivi: - la portata di spurgo si mantiene costante in ogni condizione - al diminuire della percentuale di potenza e della temperatura dell'aria, la temperatura di condensazione permessa da un sistema evaporativo si avvicina a quella della condensazione ad aria, fino ad egualiarla completamente. Le torri evaporative a circuito chiuso risolvono il problema legato allo spurgo, perché non ne hanno bisogno. Migliorano nettamente RUN alle alte temperature dell'aria e alle alte percentuali di potenza, ma rimangono inefficienti quando la temperatura e la potenza si abbassano (cfr. figura 6). Il limite inferiore di 3,5 kWh/m3 si raggiunge per temperature dell'aria inferiori a 25°C e percentuali di potenza inferiori al 60%. I condensatori evaporativi sono poco usati negli impianti civili. Migliorano ulteriormente RUN perché abbassano la temperatura di condensazione rispetto ad una torre evaporativa. Tuttavia, alle basse temperature e alle basse percentuale di potenza tornano a diventare inefficienti dal punto di vista del consumo d'acqua. Il problema è sempre lo stesso: più le temperature di condensazione si avvicinano a quelle raggiungibili con un gruppo frigorifero condensato ad aria, più diventa poco efficiente, se non inutile, il consumo d'acqua del sistema evaporativo.

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Figura 6: RUN per torri evaporative a circuito chiuso (UR = 50%)

2.3.3. Utilizzo dell'acqua nei sistemi a batteria bagnata I sistemi a batteria bagnata sono un'ottima alternativa ai sistemi evaporativi tradizionali. Sono costituiti da una batteria di scambio termico simile a quella dei gruppi frigoriferi ad aria dove viene spruzzata dell'acqua nebulizzata mediante ugelli. L'efficienza dell'umidificazione è inferiore rispetto ai sistemi evaporativi tradizionali, mentre il consumo d'acqua è superiore, perché non tutta riesce ad evaporare ed in parte viene dispersa. Hanno, però, il vantaggio di poter funzionare anche senza acqua escludendo la parte evaporativa, quando la temperatura lo consenta. Il valore massimo di RUN è di circa 6 kWh/m3 e si mantiene al di sopra del limite minimo di 3,5 kWh/m3 per temperature superiori a 32°C e percentuali di potenza superiori al 75%. E' conveniente utilizzarlo solamente in queste condizioni. 2.3.4. Utilizzo dell'acqua nei sistemi ibridi E' un sistema introdotto da poco nei gruppi frigoriferi condensati ad aria [7]. Sfrutta il principio dell'aumento dell'effetto utile all'aumentare del sottoraffreddamento, come mostrato in figura 7. Sulla linea del liquido viene inserito uno scambiatore refrigerante - acqua. L'acqua di acquedotto a 15°C è in grado di sottoraffreddare il refrigerante liquido fino a una temperatura di 20°C, aumentando l'effetto utile del ciclo, senza aumentare il lavoro del compressore.

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Figura 7: Sistema di raffreddamento ibrido

Il sistema ha una serie ulteriori di vantaggi. Per un approfondimento si rimanda al testo [7] citato in bibliografia. Analogamente al sistema a batteria bagnata, anche nel sistema ibrido può essere interrotto il consumo dell'acqua qualora non sia più conveniente. La condensazione del gruppo frigorifero avviene allora ad aria.

Figura 8: RUN per sistemi a raffreddamento ibrido

La figura 8 mostra i valori di RUN raggiungibili. Come si vede, sono molto elevati. Alla massima temperatura e alla massima potenza sono confrontabili con quelli di una torre a circuito chiuso, con il vantaggio di essere sempre superiori a 2,5 kWh/m3, anche alle basse temperature e potenze, grazie a un minimo aumento del sottoraffreddamento.

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3. CONSIDERAZIONI ECONOMICHE La grandezza RUN è molto utile per calcolare quando risulti economicamente conveniente utilizzare acqua negli impianti per ridurre il consumo di energia elettrica. Si può banalmente dimostrare come il punto di pareggio economico si abbia quando: & 58 1 t :    &( dove CW è il costo dell'acqua in e/m3 e CE è il costo dell'energia elettrica in e/kWh. Nel territorio italiano il rapporto CW/CE è sempre maggiore di 5, per cui il risparmio economico si ottiene sicuramente senza sprechi di risorse idriche. Perchè si abbia risparmio, RUN deve essere sempre superiore a 5kWh/m3, quindi al valore di riferimento PUN = 3,5 kWh/m3 al di sotto del quale si può considerare il consumo d'acqua come uno spreco. L'utilizzo di acqua direttamente negli impianti di climatizzazione riduce anche l'impegno massimo di potenza elettrica, con conseguente riduzione della parte “fissa” della bolletta elettrica. 4. CASI NUMERICI Due casi numerici aiutano a quantificare gli effetti energetici, idrici ed economici. Ho preso volutamente due casi limite: il primo con poche ore di funzionamento e con i gruppi frigoriferi in funzione solamente al di sopra di 24°C dell'aria esterna, il secondo con un numero di ore molto maggiore e con i gruppi frigoriferi funzionanti al di sopra di 18°C dell'aria esterna. Ho ipotizzato sempre UR = 50% per l'aria esterna. La frequenza oraria delle temperature è quella tipica del nord Italia. Per entrambi i casi ho considerato sia impianti senza raffreddamento adiabatico indiretto (caratterizzati dalla sigla RAI nella legenda dei grafici e delle tabelle) che con raffreddamento adiabatico indiretto (efficienza umidificatore 85%). Tutti gli impianti sono dotati di un recuperatore di calore solo sensibile con efficienza 50%. I costi sono stati fissati in 17,00 e/kW anno per l'impegno di potenza, 0,08 e/kWh per l'energia elettrica e 0,5 e/m3 per l'acqua. 4.1. Caso 1 L'impianto è a aria primaria e lavora solo 10 ore al giorno. La potenza massima richiesta è di 280 kW, dei quali 101 kW per l'aria esterna. Le curve di potenza sono mostrate in figura 9. La potenza interna varia linearmente annullandosi a 20°C. La portata d'aria esterna è tale da consentire del free-cooling, per cui la potenza totale richiesta si annulla a 24°C per gli impianti con raffreddamento adiabatico indiretto, 23°C per gli altri. Il numero di ore totale di funzionamento è 981. Per effetto del free-cooling i gruppi frigoriferi funzionano 656 ore se non vi è il raffreddamento adiabatico indiretto, 572 se è presente.

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Figura 9: fabbisogni energetici caso 1

4.2. Caso 2 L'impianto è a tutta aria esterna e lavora 24 ore al giorno. La potenza massima richiesta è di 560 kW, dei quali 347kW per l'aria esterna. Le curve di potenza sono mostrate in figura 10. La potenza interna si annulla a 10°C. Grazie all'uso del freecooling, la potenza totale richiesta si annulla a 18°C per gli impianti con raffreddamento adiabatico indiretto, 17°C per gli altri. Il numero di ore totale di funzionamento è 5.439. Per effetto del free-cooling i gruppi frigoriferi funzionano 3.092 ore se non vi è il raffreddamento adiabatico indiretto, 2.866 se è presente.

Figura 10: fabbisogni energetici caso 2

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4.3. Risultati I risultati sono riportati rispettivamente nelle tabelle 1 e 2. Tabella 1: risultati caso 1 7LSRORJLD LPSLDQWR

IXQ]LRQDPHQWR VLVWHPDDDFTXD

DULD



LEULGR VHQ]D5$,

WRUUH DSHUWD WRUUH FKLXVD EDWWHULD EDJQDWD DULD LEULGR

FRQ5$,

FRQVXPR

7LSRORJLD *UXSSL )ULJRULIHUL

WRUUH FKLXVD EDWWHULD EDJQDWD

(IILFLHQ]D ((5 581 PHGLR  

PD[ SRWHQ]D N:

((

ULVSDUPLR

DFTXD

N:K



P











DQDOLVLHFRQRPLFD &RVWR

ULVSDUPLR

¼









FRQWLQXR

















!ƒ&

















FRQWLQXR

















FRQWLQXR

















!ƒ&



































FRQWLQXR

















!ƒ&

















FRQWLQXR

















!ƒ&

















(IILFLHQ]D ((5 581 PHGLR  

&RVWR

ULVSDUPLR

¼



Tabella 2: risultati caso 2 7LSRORJLD LPSLDQWR

IXQ]LRQDPHQWR VLVWHPDDDFTXD

DULD LEULGR VHQ]D5$,

WRUUH DSHUWD WRUUH FKLXVD EDWWHULD EDJQDWD DULD LEULGR

FRQ5$,



FRQVXPR

7LSRORJLD *UXSSL )ULJRULIHUL

WRUUH FKLXVD EDWWHULD EDJQDWD

DQDOLVLHFRQRPLFD

PD[ SRWHQ]D N:

((

ULVSDUPLR

DFTXD

N:K



P



















FRQWLQXR

















!ƒ&

















FRQWLQXR

















FRQWLQXR

















!ƒ&



































FRQWLQXR

















!ƒ&

















FRQWLQXR

















!ƒ&

















- Effetto sulla massima potenza impegnata: è un'importante voce per determinare il costo annuo. Il solo utilizzo dell'acqua nell'impianto (sistema RAI) fa risparmiare tra l'8% (caso 1) e il 12% (caso 2). L'utilizzo dell'acqua nei gruppi frigoriferi fa risparmiare tra il 22% (batteria bagnata) e il 30% (torre aperta e chiusa). Ovviamente l'utilizzo dell'acqua sia nell'impianto che nei gruppi frigoriferi fa diminuire ulteriormente l'impegno di potenza.

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- Effetto sul consumo di energia elettrica: negli impianti senza sistema RAI i risparmi sono confrontabili, leggermente maggiori per il caso 1 ( si passa da 5,7% per la batteria bagnata all'13,6% dell'ibrido in funzionamento continuo) rispetto al caso 2 (da 4,4% a 11,9%). E' un risultato logico: nel caso 2 il funzionamento dei gruppi frigoriferi è protratto anche per temperature dell'aria inferiori a 20°C, quando il risparmio si annulla completamente (solo l'ibrido a funzionamento continuo fa risparmiare qualcosa in queste condizioni - cfr. paragrafo 2.3.4) L'utilizzo del raffreddamento adiabatico indiretto (sistema RAI) porta a vantaggi tanto maggior quanto più lavora l'impianto , perché si incrementa l'effetto del freecooling. La sua applicazione, senza integrazione con gruppi frigoriferi utilizzanti acqua, porta ad un risparmio dell'13,2% per il caso 1 e del 20,3% nel caso 2. Il consumo d'acqua è sostanzialmente irrisorio (77 m3 annui per il caso 1, 383 m3 annui per il caso 2). L'utilizzo integrato di sistema RAI e gruppi frigoriferi impieganti l'acqua fa aumentare il risparmio. - Effetto sul Risparmio Unitario netto RUN: è il risultato più interessante. Tutti i sistemi esaminati hanno valori di RUN ben superiori alla soglia di 3,5 kWh/m3 minima indicata (cfr. paragrafo 1.3), con l'unica eccezione della torre evaporativa aperta. In particolare sono molto efficienti i sistemi interrompibili. L'ibrido da solo ha valori di RUN superiori a 9 kWh/m3 in entrambi i casi. Con l'utilizzo contemporaneo del sistema RAI l'ibrido passa da RUN = 15 kWh/m3 nel caso 1 a RUN = 27,4 kWh/m3 nel caso 2. Sono valori molto elevati - Effetti sul costo di esercizio: i risparmi sono percentualmente tanto più alti quanto minore è il tempo di funzionamento dell'impianto. I motivi sono 2. In primo luogo il costo fisso dell'impegno di potenza elettrica è percentualmente tanto più alto quanto più basso sono i consumi. In secondo luogo il risparmio tende ad annullarsi al diminuire della temperatura dell'aria esterna. Gli impianti con sistema RAI danno risparmi variabili dal 20,2% (batteria bagnata) al 23,7% (ibrido disattivato sotto i 30°C dell'aria esterna) nel caso 1, dal 19% (torre a circuito chiuso) al 23% (ibrido disattivato sotto i 30°C dell'aria esterna) nel caso 2. Solamente la torre aperta porta a risparmi molto bassi nel caso 1, addirittura fa aumentare i costi del 26,4% nel caso 2, a causa dell'elevato consumo d'acqua dovuto allo spurgo. 5. CONCLUSIONI La tecnologia permette di ottimizzare l'utilizzo delle risorse idriche spostando i consumi dell'acqua localmente, direttamente nell'impianto e/o nella centrale frigorifera. I risultati ottenuti sono molto interessanti, dal punto di vista del risparmio non solo energetico (e del relativo impatto ambientale), ma anche di quello economico. L'ideale sarebbe avere a disposizione reti idrauiliche di prelievo e scarico di acqua non potabilizzata ad usi tecnologici. Così si potrebbe velocizzare i tempi di reimmisione dell'acqua usata nel ciclo naturale.

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BIBLIOGRAFIA [1]

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saggese, grosso

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Nuova scuola media “Pedagna”: tipologia di costruzione ecosostenibile nel Comune di Imola PAOLA SAGGESE*, MARIO GROSSO**, LUCA RAIMONDO** * - METEC & SAGGESE Engineering S.r.l., Torino ** - DINSE Politecnico di Torino, Torino

RIASSUNTO Obiettivo dell'intervento è la realizzazione di un edificio che possa promuovere a livello locale la cultura della sostenibilità energetica. Si tratta, quindi, di un edificio in cui si applicano tecnologie innovative basate sull'utilizzo delle fonti rinnovabili di energia e dei principi base dell'architettura "passiva" al fine di ottenere un fabbisogno energetico complessivo minore di 40 kWh/m2. La progettazione, fortemente integrata negli aspetti architettonici, strutturali ed impiantistici, ha utilizzato le seguenti tecnologie innovative: collettori solari termici ad acqua tipo sottovuoto: per alimentazione dei pavimenti radianti per il riscaldamento invernale e dell'impianto di acqua calda sanitaria; collettori solari ad aria tipo solarwall, applicati sulla facciata a sud per un'area complessiva di ~ 260 m2; impianto fotovoltaico; sistema geotermico indiretto costituito da sistema di condotti interrati; sistema di supervisione e controllo per il comando dei sistemi impiantistici e dei sistemi edilizi (aperture per la ventilazione e schermature). 1. PREMESSA La relazione è stata impostata a “temi” mescolando appositamente aspetti edilizi ed aspetti impiantistici - meccanici ed elettrici - per sottolineare l'integrazione delle scelte progettuali effettuate. L'adozione di strategie passive ed impiantistiche atte a migliorare le prestazioni energetiche degli edifici influenza in modo determinante la soluzione architettonica dell'edificio, ampliando anziché limitando le capacità espressive dell'architettura mediante l'integrazione di elementi tecnologici innovativi e qualificanti. La progettazione della Scuola Media Pedagna nella sua fase esecutiva si è svolta con un processo interattivo che ha portato alla verifica della qualità prestazionale e compatibilità ambientale per ogni scelta sia architettonica, sia tecnologica-impiantistica, e di livello sia generale, sia di dettaglio. Tale processo è, al di là delle enunciazioni teoriche, piuttosto raro a esperirsi nella

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realtà professionale quotidiana. Si può quindi affermare che sia esso stesso, al di là dei risultati prestazionali dell'edificio - comunque notevoli - uno degli esiti più significativi di tale esperienza. In particolare è stato possibile mettere in atto un approccio progettuale multidisciplinare ed un'ottimale integrazione tra le varie figure professionali coinvolte: architetto, strutturista, impiantista, consulente acustico. Il ruolo fondamentale di “integratore di sistemi” è stato svolto dal “consulente esperto in sostenibilità ambientale” che ha attivato competenze trasversali relative al sistema edificio-impianto e ha bilanciato le diverse esigenze spesso conflittuali: - contenimento dei consumi energetici nell'arco dell'intero anno; - benessere dell'utente (termico, acustico, illuminotecnico e psicofisco in generale); - disponibilità e costi delle tecnologie innovative. Al fine di valutare l'efficacia dei sistemi tecnologici e impiantistici di climatizzazione e ventilazione proposti, si è sviluppata un'analisi dettagliata del comportamento termico dell'edificio nel suo complesso e delle singole zone termiche, in regime transitorio. Tale analisi è stata condotta utilizzando il programma di simulazione termica TRNSYS versione 16, associato al modello di simulazione multizona dei flussi d'aria COMIS, entrambi integrati nell'ambiente operativo lisiBat, sviluppato dal CSTB. 1.1. Obiettivi e vincoli del progetto Obiettivi L'obiettivo della Committenza (Comune di Imola) è la realizzazione di un edificio adibito a scuola media in località Pedagna che rappresenti un “modello di sostenibilità ambientale” mediante l'applicazione dei principi dell'edilizia passiva e l'utilizzo esteso di impianti alimentati con fonti rinnovabili. Tale obiettivo comporta obiettivi secondari suddivisibili in: a. uso razionale delle risorse climatiche ed energetiche; b. uso razionale delle risorse idriche e delle risorse derivanti da scarti e rifiuti; c. benessere, igiene e salute dell'utente; d. cultura della sostenibilità ambientale presso l'utente finale. In tal senso l'”edificio scuola” diventa modello per l'insegnamento ai giovani dei principi di risparmio energetico con lo scopo di: • sensibilizzare ai problemi ambientali con particolare riferimento ai cambiamenti climatici in corso; • istruire sull'utilizzo di tecnologie innovative; • formare competenze e professionalità nel settore della sostenibilità ambientale ed in particolare della complessità del sistema edificio-impianto. Vincoli progettuali L'analisi energetica della scuola media Pedagna inizia nella fase definitiva/esecutiva della progettazione partendo da un progetto preliminare già consolidato per volumetria, funzioni dei locali, orientamento e scelte architettoniche fondamentali.

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E' comunque stato possibile intervenire su: • caratteristiche dei componenti l'involucro (comprese percentuale superfici vetrate, schermi, etc.); • distribuzione di funzioni secondarie; • caratteristiche degli elementi strutturali; • elementi di finitura interni ed esterni; • tipologie impiantistiche. 1.2. Approccio progettuale con supporto di simulazioni termiche L'edificio scuola nella sua configurazione finale è composto da un unico corpo di fabbrica suddiviso su quattro piani di cui un piano interrato non riscaldato e tre fuori terra. L'altezza fuori terra dell'edificio è di 14 m, la superficie in pianta è circa di 1.500 m2 per piano, per una superficie totale pari a circa 6.000 m2 corrispondente ad una volumetria lorda complessiva pari a circa 21.000 m3, di cui 17.000 riscaldati. Le funzioni ai vari piani sono così suddivise: - piano interrato: locali tecnici e archivi non riscaldati; - piano terra: aule scolastiche, mensa con cucina di riscaldamento cibi, biblioteca, servizi igienici, corridoi su atrio; - piano primo: aule scolastiche, uffici amministrativi, servizi igienici, corridoi su atrio; - piano secondo: aule scolastiche, laboratori, servizi igienici, corridoi su atrio. Ogni piano fuori terra è costituito da una “stecca” a sud ed una “stecca” a nord interconnesse mediante un'ampia zona di disimpegno (atrio) su tre livelli fuori terra in cui sono concentrati i vani scala e l'ascensore. La zona atrio è utilizzata come “camino naturale” per attivare i flussi di ventilazione necessari al raffrescamento passivo nel periodo estivo. Le principali soluzioni introdotte nel progetto sono: - tecnologie a secco per i tamponenti esterni con extra isolamento termico in fibra minerale delle pareti disperdenti opache al fine di ottenere un'elevata resistenza termica; - componenti vetrati ad elevata resistenza termica; - sistemi di controllo solare differenziati sulle varie facciate; - utilizzo di elementi strutturali di partizione orizzontale e vetrati ad elevata inerzia termica; - ventilazione naturale notturna dell'edificio e diurna “free cooling” in periodo estivo; - collettori solari ad aria di tipo opaco solarwall per il preriscaldamento dell'aria primaria; - sistema geotermico indiretto realizzato mediante condotti interrati per il preriscaldamento dell'aria di ventilazione e per il raffrescamento naturale dell'edificio con integrazione della rete di teleraffrescamento cittadino; - collettori solari ad acqua per il riscaldamento dell'acqua calda sanitaria e per l'integrazione dell'impianto di riscaldamento ambientale a pannelli radianti posti a pavimento; - moduli fotovoltaici per la copertura parziale del fabbisogno elettrico dell'edificio; - sfruttamento di illuminazione naturale e sistemi di illuminazione ad alta efficienza con

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variazione del flusso luminoso in relazione all'illuminamento naturale; - sistema di supervisione e controllo dei componenti di regolazione degli impianti; - sistema di supervisione e controllo dei sistemi passivi dell'edificio quali aperture per la ventilazione naturale degli elementi di schermatura posti sulla facciata a sud.

Fig. 1 - Rendering scuola media “Pedagna”

2. TECNOLOGIE UTILIZZATE PER L'AUMENTO DELL'EFFICIENZA ENERGETICA L'alta efficienza energetica complessiva dell'edificio è stata ottenuta intervenendo nei seguenti ambiti: a. Riscaldamento ambienti ed acqua igienico sanitaria a.1. Controllo del fabbisogno primario dell'edificio in periodo invernale mediante adozione di componenti costituenti l'involucro dell'edificio opachi e trasparenti con valori di trasmittanza che superano di c.a. il 25-30% i valori prescritti per legge (al momento della progettazione il DL192/05) ed i cui valori medi ponderati sono pari a 0,30 W/m2k per le pareti opache e pari a 1,57 W/m2k per i componenti trasparenti (vetrate verticali sulle facciate e vetrate orizzontali sulla copertura dell'atrio). a.2. Sistema solare termico attivo ad aria (solarwall), per il pre-riscaldamento dell'aria di ventilazione delle aule, composto da 8 moduli verticali, collocati sulla facciata sud/sud ovest, per una superficie complessiva di 268 m2, in corrispondenza degli otto cavedi e con la funzione di rivestimento esterno dei cavedi stessi. Il sistema è costituito da una lamiera microforata di color scuro distanziata di alcuni centimetri dalla muratura; essa realizza un'intercapedine consentendo all'aria riscaldata dal calore solare

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irradiato dalla lamiera di alluminio,di fluire attraverso i microfori. Durante il periodo di riscaldamento l'aria preriscaldata dal collettore solare è inviata direttamente alle unità di trattamento aria situate sulla copertura a servizio delle aule, dei laboratori, e degli spazi connettivi dell'edificio. Durante l'estate il sistema solare funge da “facciata ventilata” e protegge da ingressi di “potenza termica” le strutture murarie su cui è installato. L'aria preriscaldata dalla superficie complessiva del solarwall è di 21.600 m_/h e, in base all'irraggiamento incidente sui collettori, si può ottenere un salto medio di temperatura da 10 a 12°C rispetto alla temperatura dell'aria esterna. a.3. Sistema solare termico attivo ad acqua, composto da collettori solari sottovuoto, collocati sulla copertura piana; l'impianto - del tipo a circolazione forzata - è dimensionato per il soddisfacimento di circa il 90% del fabbisogno annuale d'acqua calda igienico-sanitaria e per fornire un contributo all'impianto di riscaldamento radiante a pavimento. I pannelli sono orientati perfettamente a sud e inclinati di 45° rispetto all'orizzontale. L'impianto ha complessivamente tre serbatoi di accumulo collocati nella centrale idrica al piano interrato. Due di essi, collegati in serie rispettivamente da 2.000 l ciascuno, provvedono all'accumulo dell'acqua calda prodotta ad uso sanitario. Il terzo accumulo da 4.000 l con scambiatore a piastra è dedicato al sistema dei pannelli radianti. Questa parte di impianto entra in funzione quando i due accumuli per l'acqua calda sanitaria sono in temperatura di regime e non avviene richiesta di acqua calda sanitaria. La scelta dei collettori sottovuoto è legata all'alta efficienza energetica di questa tipologia di collettore che consente anche in periodo invernale di sfruttare al meglio, rispetto ai collettori solari piani, l'irraggiamento incidente su di essi assicurando una maggiore copertura del carico richiesto per il riscaldamento dell' edificio; oltre ad essere di gestione più semplice per quanto riguarda i surriscaldamenti in periodo di non occupazione estiva. Inoltre, nel caso in cui in futuro si voglia provvedere al condizionamento dell'edificio, è possibile l'accoppiamento dei collettori solari sottovuoto con un gruppo frigo ad assorbimento sfruttando l'elevata temperatura dell'acqua nel collettore e realizzando così un sistema “solar cooling”. a.4. Sistema di recupero del calore sull'aria espulsa dall'impianto di ventilazione, per il preriscaldamento dell'aria in ingresso ad integrazione del contributo solare; i recuperatori sono del tipo aria acqua e sono previsti su tutte le unità di trattamento aria. a.5. Sistema geotermico indiretto che sfrutta lo scambio con il terreno tramite ventilazione attraverso un sistema a condotti interrati, per il preriscaldamento dell'aria di ventilazione, in sostituzione del contributo del sistema solare ad aria, quando quest'ultimo è inferiore a quello dei condotti interrati stessi. a.6. Sistema di distribuzione del calore in ambiente composto da un impianto a pannelli radianti a pavimento abbinato ad un impianto di ventilazione ad aria primaria per il trattamento dell'aria di ricambio esteso a tutti locali dell'edificio scolastico tranne i servizi igienici e la cucina per i quali è previsto un impianto a radiatori con estrazione dell'aria, e la mensa per la quale è previsto un impianto a tutt'aria. a.7. Sistema di teleriscaldamento per fornire l'energia termica di base all'impianto a pannelli radianti. È prevista la connessione con la rete di teleriscaldamento cittadino con salto termico 80-60°C per fornire i contributi energetici mancanti in periodo invernale.

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b. Ventilazione Il sistema di ventilazione è di tipo meccanico controllato ad aria primaria e rispetta le prescrizioni normative per la scuole, integrato con modalità di funzionamento “naturale”. b.1. Ventilazione meccanica. In periodo di occupazione la ventilazione primaria diurna delle aule e dei vari locali, è realizzata con un sistema meccanico, a portata controllata in relazione alle esigenze di ricambio spaziali e temporali delle diverse zone. Sono previste quattro UTA suddivise tra una zona tecnica al piano interrato e la zona tecnica in copertura comprendente la UTA per le zone didattiche lato sud (aule) e zone didattiche lato nord (laboratori). Complessivamente l'aria trattata è pari a 40.600 m3. Il recupero di calore sull'aria di ventilazione è realizzato con un preriscaldamento dell'aria esterna ottenuta con il sistema solare ad aria o con i condotti interrati e mediante recuperatori per il recupero del calore sull'aria espulsa. b.2. Ventilazione ibrida. Durante l'inverno la ventilazione primaria diurna dell'atrio è meccanica e, d'estate, di tipo ibrido. Per cui si integrano, in relazione alle condizioni di temperatura esterna e interna, l'immissione e ripresa meccanica ai vari piani e l'immissione naturale dalle aperture sulle facciate verticali ed in copertura. c. Raffrescamento passivo. Non è previsto un impianto di condizionamento estivo dell'aria, bensì sono stati privilegiati sistemi integrati di raffrescamento passivo, prevedendo in questa fase la predisposizione per l'allacciamento all'impianto di teleriscaldamento urbano mediante futura interposizione di gruppo ad assorbimento. c.1. Controllo fabbisogno primario estivo mediante controllo solare delle chiusure trasparenti orientate a sud, est, ovest e orizzontali, tramite schermature e selezione di vetri a bassa trasmissione termica solare (fattore solare pari a 0,2, per le chiusure verticali e 0,4, per quelle orizzontali). Il progetto della schermatura delle vetrate sud è stato approfondito al fine di ottimizzare il bilancio energetico annuale, senza compromettere le prestazioni d'illuminamento naturale. Il sistema di schermatura è costituito da una tenda esterna movibile automaticamente, doghe orientabili stagionali, aggetti verticali. c.2. Sistema di raffescamento naturale della massa (strutturale) tramite ventilazione naturale notturna dei solai in cls, interpiano e di copertura, dalla parte dell'intradosso e delle altre strutture massive esposte (pavimenti, setti laterali) nei periodi in cui la temperatura interna diurna dell'aria è superiore, e la temperatura notturna dell'aria esterna inferiore, alla temperatura massima di comfort dell'aria. L'immissione dell'aria avviene attraverso aperture verso l'esterno, a ribalta, collocate nella parte bassa delle chiusure vetrate delle pareti a sud e a nord, comandate elettricamente con attuatori connessi a sensori di temperatura (sia dell'aria esterna, sia della superficie esposta del solaio); l'espulsione dell'aria avviene all'esterno attraverso aperture grigliate in copertura, controllate da attuatori connessi a sensori di temperatura dell'aria esterna e interna (nelle aule e in atrio). Il flusso avviene per effetto camino generato dal gradiente termico tra esterno e interno e dalla stratificazione della temperature nell'atrio. c.3. Sistema di raffrescamento geotermico indiretto, tramite transito d'aria

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percorso dell'aria rete di protezione

filtro aria

UTA 1-2

involucro edificio

attraverso condotti interrati, integrato con il sistema di ventilazione meccanico dell'aria. Il dimensionamento dell'impianto è stato eseguito per contribuire al raffrescamento dell'intero edificio nelle stagioni intermedie, e per soddisfare il fabbisogno di raffrescamento in locali specifici (biblioteca, laboratori,uffici), utilizzati anche nel periodo estivo più caldo.

filtro aria

p > 1%

UTA 3-4-5

CAMERA DI MISCELAZIONE

CAMPO DI CONDOTTI

CAMERA DI PRESA ARIA

CAMERA DI CONDENSAZIONE

raccolta condensa

raccolta condensa

Fig. 2 - Schema di funzionamento e dei flussi dello scambiatore geotermico

Il sistema di scambio geotermico previsto per l'edificio scolastico di Imola si compone di tre campi costituiti da condotti collegati in parallelo a due collettori principali, uno di distribuzione, l'altro di raccolta. Ogni campo è composto dalle seguenti parti, elencate in sequenza con il percorso dell'aria: • testa di captazione e camera di presa; • collettore di distribuzione; • condotti interrati; • collettore di raccolta; • camera di condensazione; • canale di raccordo; • camera di miscelazione. L'aria, prelevata all'esterno attraverso la testa di captazione, è filtrata grossolanamente e convogliata nella camera di presa, che ha la funzione di favorire il deposito delle impurità presenti nell'aria. Da tale camera l'aria è introdotta, attraverso un filtro per polveri grosse, in un collettore orizzontale per essere distribuita, secondo uno schema a pettine, tra i condotti del campo dello scambiatore. Tali condotti costituiscono il vero e proprio scambiatore geotermico: l'aria, infatti, che percorre il canale in lunghezza, ad una velocità definita in funzione della portata richiesta, scambia calore con il terreno

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circostante, riscaldandosi o raffreddandosi, in funzione della differenza di temperatura, rispettivamente, negativa o positiva, tra aria esterna e terreno. Al termine dei condotti l'aria è raccolta da un secondo collettore e convogliata nella camera di condensazione, preposta allo smaltimento dell'acqua che può venirsi a formare, in seguito all'abbassamento della temperatura al di sotto della temperatura di rugiada, con conseguente saturazione del vapore acqueo contenuto nell'aria in ingresso. Un canale di raccordo collega, infine, la camera di condensazione con il piano interrato dell'edificio, dove è presente una nuova camera, detta di miscelazione, poiché raccoglie e miscela l'aria proveniente dai tre collettori di raccolta e la rende disponibile per il sistema di ventilazione dell'edificio. Il sistema geotermico può funzionare tutto l'anno: durante il periodo invernale ha funzione di pre-riscaldamento dell'aria di ventilazione, in quello estivo determina un raffrescamento e una deumidificazione dell'aria stessa. Le unità di trattamento aria presenti nell'edificio, sono collegate, attraverso appositi canali, alla camera di miscelazione. Qualora necessario, quindi, prelevano l'aria pre-riscaldata o raffrescata e la distribuiscono per mezzo dell'impianto di distribuzione dell'aria agli ambienti che lo richiedono. d. Illuminazione Il sistema di schermatura delle chiusure trasparenti a sud è composto da doghe orizzontali di dimensione variabile con l'altezza e operabili stagionalmente, al fine di consentire un controllo solare ottimale senza penalizzare l'illuminazione naturale delle aule; le doghe sono previste con superfici superiori riflettenti in modo da riflettere all'interno, nel periodo invernale, la radiazione solare luminosa. Al fine di risparmiare energia elettrica per l'illuminazione, sono previsti, inoltre, dispositivi di controllo automatico dell'illuminazione artificiale, basati sulla disponibilità di illuminazione naturale e sull'occupazione degli spazi. In particolare nelle aule è prevista la regolazione del flusso luminoso in funzione del contributo proveniente dall'esterno, misurato da una sonda fotometrica, con possibilità di variazione locale mediante apposito pulsante. Tutti i corpi illuminanti sono dotati di lampade con reattore elettronico, dimmerabili e a basso consumo energetico e. Sistemi di controllo e monitoraggio e.1. Sistema di supervisione e controllo Considerata la complessità delle interazioni tra elementi architettonici, funzioni d'uso e controllo ambientale/microclimatico da parte dei sistemi “passivi” e attivi per il condizionamento estivo ed invernale dell'edificio risulta di particolare importanza la gestione dell'edificio, dal punto di vista del controllo climatico, e l'implementazione del relativo monitoraggio. A tale scopo è previsto un sistema di supervisione e controllo in grado di rilevare, registrare, interpretare le informazioni provenienti dagli elementi in campo, riordinandole per priorità ed attivare le opportune azioni di risposta agli eventi, attraverso i sottoinsiemi preposti all'acquisizione dei dati. I sottosistemi rispondono al criterio di architettura distribuita e gestiscono i

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dispositivi in campo ad essi collegati, mediante unità periferiche multifunzionali distribuite e tutte attestate ad un'unica rete LAN facente capo al sistema di gestione centralizzato, che assolve a tutte le funzioni di centro di supervisione della sicurezza e di controllo tecnologico dell'intero edificio. La complessità delle soluzioni di risparmio energetico e le diverse tipologie impiantistiche prevedono un elevato numero di punti da controllare, tale da richiedere un'architettura sistemistica di tipo aperto, flessibile ed espandibile che deve essere in grado di soddisfare le esigenze di gestione correnti e future. Il sistema ha quindi la capacità di integrare le diverse funzioni: • supervisione e controllo degli impianti centrali e comfort ambientale dei locali • gestione degli allarmi • gestione e controllo dei consumi energetici • monitoraggio sperimentale dell'efficienza delle soluzioni di risparmio energetico • raccolta e archiviazione dei dati storici. e.2. Sistema di monitoraggio Il progetto prevede l'installazione di dispositivi di controllo e sensori ambientali per il rilevamento dei dati di temperatura, velocità dell'aria e umidità relativa, al fine di verificare il funzionamento in fase d'uso dei sistemi di controllo climatico, attivi e passivi, applicati nell'edificio. In particolare sono previsti: • centralina microclimatica esterna; • sonde nelle aule e nell'atrio per il monitoraggio e la verifica del raffrescamento della massa mediante il processo di ventilazione naturale; • sonde per il monitoraggio del sistema geotermico. 3. LOGICHE DI FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA EDIFICIO-IMPIANTO Il funzionamento del sistema edificio-impianto comporta configurazioni diverse in relazione ad archi temporali di tipo stagionale e giornaliero ed in base ai parametri climatici esterni. In particolare per quanto riguarda le macroconfigurazioni stagionali si ha: • Stagione invernale Durante l'inverno, con condizioni climatiche vicine a quelle di progetto (cioè con temperatura esterna intorno allo 0°C od inferiore allo 0°C) l'edificio deve contenere al massimo le dispersioni e sfruttare al meglio l'energia solare. Si ipotizzano dunque le seguenti modalità di funzionamento: - le UTA situate nella zona tecnica al piano interrato, a servizio rispettivamente di mensa e biblioteca/uffici, sono alimentate mediante l'aria esterna preriscaldata per il passaggio nei condotti interrati. Un ulteriore contributo al preriscaldamento dell'aria esterna è effettuato mediante recupero aria-acqua sull'aria espulsa. - Le UTA situate nella zona tecnica al piano copertura, a servizio rispettivamente di aule e corridoi sul lato sud e dei laboratori sul lato nord, sono alimentate mediante l'aria esterna preriscaldata con i collettori solari ad aria solarwall posizionati sulla facciata a sud. Un ulteriore contributo al preriscaldamento dell'aria esterna è effettuato mediante recuperi aria-acqua sull'aria espulsa.

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- L'impianto a collettori solari termici produce acqua calda che viene utilizzata per l'alimentazione sanitaria dei servizi igienici e per l'integrazione dell'impianto di riscaldamento a pannelli radianti a pavimento. L'energia mancante è fornita al sistema dall'impianto di teleriscaldamento cittadino. - Tutti i sistemi di ventilazione naturale sono inattivi e la zona atrio ventilata meccanicamente. • Stagione estiva Durante l'estate, con condizioni climatiche vicine a quelle di progetto (cioè con temperatura esterna intorno ai 30 °C) l'edificio deve proteggersi dall'energia solare entrante (utilizzo gli schermi a sud e le tende a rullo) ed attivare al massimo le strategie di ventilazione. Si ipotizzano dunque le seguenti modalità di funzionamento: - le UTA, a servizio di mensa e biblioteca/uffici, sono sempre alimentate mediante l'aria esterna preraffrescata mediante passaggio nei condotti interrati; - le UTA in copertura vengono sostituite da unità di ventilazione di mandata site al piano interrato che inviano nei locali l'aria esterna preraffrescata mediante passaggio nei condotti interrati; - l'impianto a collettori solati termici produce tutta l'acqua sanitaria necessaria; - sono messe in atto le strategie di ventilazione notturna mediante apertura dei vasistas installati nelle aule a sud e sugli armadi di confine tra aule e corridoi, la messa in funzione dei torrini naturali in copertura facendo transitare l'aria attraverso l'atrio che diventa un grande camino di ventilazione. La massa dell'edificio - concentrata nei solai a piastra e nei setti verticali in c.a. - viene utilizzata per permettere uno sfasamento della massima potenza entrante nell'edificio. - Eventuali problematiche di surriscaldamento ed umidità relativa troppo elevata negli ambienti potranno essere risolte in futuro mediante interfacciamento con l'impianto di teleraffrescamento cittadino che può alimentare batterie di raffreddamento sulle UTA e produrre acqua refrigerata da inviare ai pannelli radianti posti negli ambienti. - Il collettore solare ad aria “solarwall” - permette un effetto di ventilazione benefico sulla facciata sud con smaltimento del calore che insiste su di essa. • Stagioni intermedie Situazioni climatiche intermedie sono state risolte introducendo vari gradi di flessibilità sul sistema. A tal fine si prevedono modalità di funzionamento a carattere giornaliero atte a diminuire i consumi energetici integrando la ventilazione naturale con quella meccanica e ottimizzando l'utilizzo della massa strutturale. In particolare: - Tutte le UTA, sia quelle al piano interrato che quelle in copertura, possono essere alimentate da aria presa direttamente dall'esterno (free-cooling) nel caso in cui la temperatura dell'aria esterna renda tale funzionamento conveniente (confronto tra temperatura dell'aria esterna e temperatura dell'aria preriscaldata dal solarwall e dai condotti interrati in inverno, o preraffrescata dai condotti interrati in estate). - La ventilazione naturale può essere attivata in qualunque momento con interruzione di quella meccanica.

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- Ventilazione meccanica Ciascuna UTA ha una programmazione oraria settimanale, che distingue le ore di occupazione (di seguito indicate come GIORNO) da quelle di non occupazione (NOTTE). Le modalità GIORNO e NOTTE vengono attivate in funzione del regime di occupazione, ma anche considerando variabili microclimatiche. Ad esempio, in inverno, l'impianto di ventilazione meccanica può funzionare anche in modalità NOTTE (per esempio nel pomeriggio), qualora gli apporti del solarwall, utilizzando le masse dell'edificio come accumulo termico, compensino l'energia consumata dai ventilatori delle UTA. In tal caso il funzionamento dell'impianto sarà guidato dalla temperatura in uscita del solarwall. Analogo tipo di regolazione potrà essere attuato facendo funzionare il sistema solare termico ad acqua, in associazione con i terminali radianti a pavimento, in modalità NOTTE, qualora vi sia energia in esubero rispetto a quella accumulata per soddisfare il fabbisogno di acqua calda sanitaria. - Ventilazione naturale notturna estiva dei locali La ventilazione notturna (modalità NOTTE) si aziona con l'apertura di serramenti esterni a vasistas, in funzione della differenza di temperatura tra interno ed esterno (Te<Ti). Se Te>Ti, la ventilazione naturale non è attivata e può entrare in funzione il sistema di scambio geotermico; per esempio nelle ore del mattino che precedono l'occupazione, al fine di pre-raffrescare ulteriormente i locali rispetto al free-cooling notturno. Si prevede un consenso all'apertura dei vasistas, in funzione della velocità del vento, fissando una soglia limite superiore (ad esempio 6 m/s). - Ventilazione naturale diurna estiva dei locali Sulla base delle misure in opera (monitoraggio), si prevede, in modalità GIORNO, il funzionamento del sistema di ventilazione meccanica. Durante il periodo estivo, quindi, le UTA preleveranno aria dall'esterno o dai condotti interrati, in funzione delle esigenze interne e delle condizioni climatiche esterne (temperatura e umidità relativa). Grazie al sistema di supervisione e controllo, potrà essere prevista la possibilità di ventilare naturalmente i singoli ambienti anche in modalità GIORNO senza prevedere altri sistemi di regolazione rispetto a quelli già previsti per la ventilazione notturna, ponendo la condizione che la temperatura esterna sia compresa fra 20 e 26 °C e l'UR < 60 %. Le portate da ventilazione naturale saranno tali da garantire, come media giornaliera, ricambi d'aria sufficienti nei locali. In ogni caso, ventilazione naturale e meccanica non funzioneranno congiuntamente.

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4. ANALISI DEL COMPORTAMENTO TERMICO DELL'EDIFICIO E SCELTE PROGETTUALI GUIDATE DA SIMULAZIONI TERMICHE CON PROGRAMMA TRNSYS I risultati delle simulazioni effettuate utilizzando il programma TRNSYS consentono valutazioni sia di tipo energetico, connesse al profilo orario di tutti i giorni dell'anno e al relativo bilancio termico, sia sulle condizioni di benessere, con riferimento all'andamento orario della temperatura dell'aria, esterna ed interna, nelle diverse zone, in regime controllato e naturale. Il calcolo è finalizzato alla quantificazione del fabbisogno di energia per il riscaldamento, dei flussi d'aria in regime di ventilazione naturale e della temperatura media dell'aria all'interno di alcuni spazi significativi. Si riassumono le categorie dei dati inseriti nel programma (INPUT) e si analizzano i principali risultati della simulazione (OUTPUT) 4.1. Dati di INPUT La simulazione effettuata fa riferimento all'intero edificio scolastico per il periodo invernale, al blocco Atrio e al blocco Sud per il periodo estivo.

Fig. 3 - Indicazione dei blocchi, in planimetria, in cui l'edificio è stato suddiviso

Fig. 4 - Indicazione, in sezione, delle zone termiche di riferimento

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- Suddivisione delle zone termiche La naturale conformazione dei blocchi e la loro articolazione su tre piani ha portato alla definizione del modello in 14 zone termiche con caratteristiche omogenee. In particolare si individuano 12 zone termiche riscaldate e 2 non riscaldate. - Caratteristiche termofisiche dei componenti di involucro opaco: valore della trasmittanza termica media ponderata pari a 0,30 W/m2K - Caratteristiche termofisiche dei componenti di involucro trasprenti: valore della trasmittanza termica media ponderata pari a 1,57 W/m2K - Caratteristiche del sistema di controllo della radiazione solare La radiazione solare che incide sulle superfici trasparenti è controllata da schermature di natura diversa secondo l'esposizione delle superfici. • Blocco Aule Sud Il sistema di schermatura previsto per ciascun modulo vetrato comprende una tenda esterna mobile, elementi orizzontali orientabili stagionalmente e degli aggetti verticali sul lato destro e sinistro. ✓ Tenda esterna mobile, costituita da un rullo avvolgibile in tessuto con trama tale da garantire una ostruzione della radiazione solare non inferiore al 70%. La mobilità, di tipo meccanico, è gestita dal sistema di supervisione in funzione della radiazione solare misurata in prossimità della vetrata (valore limite di soglia dell'irradianza solare pari a 300 W/m2); ✓ Doghe esterne orizzontali orientabili, costituite da pale in alluminio di larghezza variabile, poste sul filo esterno della facciata ad altezza tale da non ostacolare la visuale interno-esterno. Le doghe ruotano stagionalmente lungo il proprio asse orizzontale, al fine di ottimizzare il comportamento invernale - captazione della radiazione solare e riflessione della luce verso l'interno - e quello estivo - protezione della radiazione solare. La simulazione considera uno sporto equivalente di 1,1 m per il periodo invernale e di 1,6 m per il periodo estivo. ✓ Aggetti esterni verticali, sono costituiti dai cavedi che caratterizzano la facciata a Sud. Sono pertanto fissi con profondità di 1.3 m. • Blocco Atrio Il controllo della radiazione solare è attuato, seconda l'esposizione, attraverso aggetti verticali, scelta della geometria e delle caratteristiche dei componenti vetrati. • Blocco Laboratori Nord A causa dell'esposizione principale a Nord-Nord/Est, non si attendono particolari fenomeni di surriscaldamento estivo. Sono tuttavia presenti sistemi per il controllo della radiazione solare per le vetrate a Est-Sud/Est, per le quali è previsto un aggetto esterno verticale di profondità pari a 1.5 m sul lato destro e una tenda a rullo mobile. Le caratteristiche di questi schermi sono simili a quelle descritte per il blocco Aule Sud. - Profili di occupazione Per i locali adibiti ad attività didattica ed amministrazione (quali le aule, laboratori ed uffici) si ipotizza un utilizzo mattutino per tutti i giorni della settimana dal lunedì al sabato ed un rientro pomeridiano dal lunedì al venerdì; per la biblioteca un utilizzo giornaliero continuato dal lunedì al venerdì e sabato mezza giornata, mentre per il locali adibiti al riscaldamento e al consumo dei cibi una fruibilità di cinque giorni settimanali. Durante la domenica l'edificio non risulta utilizzato. I mesi di luglio ed agosto, sono stati

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comunque oggetto di calcolo, in quanto utili per la valutazione delle condizioni di temperatura interna in assenza di impianto. - Definizione dei guadagni termici interni Gli apporti termici interni sono stati calcolati considerando le attività che si svolgono all'interno degli spazi e l'effettiva occupazione degli stessi e quindi ipotizzando il numero delle persone presenti e le potenze immesse per l'utilizzo di apparecchi di illuminazione ed altri dispositivi elettrici presenti. - Definizione delle infiltrazion in regime di ventilazione naturale Si intendono per infiltrazioni d'aria i ricambi e le portate d'aria tra ambiente esterno ed ambiente interno che avvengono in regime di ventilazione naturale, e innescate a causa del gradiente di temperatura che si viene a creare per stratificazione dell'aria stessa all'interno dell'atrio centrale. - Definizione della ventilazione degli ambienti in regime forzato Si intende per ventilazione degli ambienti l'aria primaria distribuita e ripresa negli stessi dall'apposito impianto di ventilazione meccanica, secondo le portate previste dalla UNI 13399:95. - Definizione del sistema climatizzazione L'edificio sarà collegato alla rete del teleriscaldamento della città di Imola, ed è dotato di un sistema di riscaldamento, attivo durante il periodo invernale, e di una predisposizione per il sistema di raffrescamento. Nella presente simulazione non è, tuttavia, considerata alcuna tipologia di impianto in quanto il calcolo effettuato si riferisce al fabbisogno netto di energia che deve essere fornita al fine di garantire le preimpostate condizioni di confort all'interno degli spazi. 4.2. Analisi dei risultati della simulazione (OUTPUT) Fabbisogno di riscaldamento Il fabbisogno complessivo annuale di energia netta per il riscaldamento degli ambienti stimato attraverso la presente simulazione, sulla base dei dati di input sopra descritti, è pari a 647'431 MJ e corrisponde ad un fabbisogno medio unitario di circa 37,5 kWh/(m2 anno). Tale fabbisogno comprende sia i fabbisogni per bilanciare i disperdimenti sia i fabbisogni per l'aria di ventilazione. Il dettaglio del fabbisogno medio annuale di energia netta per il riscaldamento, riferito alle zone termiche dell'edificio è riportato nella Tabella sottostante; il diagramma a torta relativo riporta gli stessi dati raggruppati per blocchi principali.

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L'ambiente maggiormente energivoro, così come era prevedibile, risulta essere l'atrio, per la grande quantità di superfici vetrate disperdenti e i ridotti apporti gratuiti (occupazione occasionale e di passaggio, radiazione solare schermata in modo indistinto tra estate ed inverno). Per ragioni analoghe, una buona fetta del fabbisogno, in relazione alla superficie occupata, è quella relativa alla biblioteca, mentre la mensa si avvantaggia dei ridotti periodi di riscaldamento. Ridotti sono i fabbisogni di energia per il riscaldamento delle aule, grazie alle prestazioni di involucro, agli apporti solari il cui controllo garantisce il confort termico degli occupanti, ed il contributo del solarwall. Comportamento termico annuale - Profili orari di alcuni parametri I principali risultati della simulazione sono raffigurati sotto forma di grafici che rappresentano, in assenza ed in presenza dell'impianto di riscaldamento e per le varie

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zone termiche individuate i seguenti parametri: - profilo orario della temperatura dell'aria per l'anno tipo e per i mesi di gennaio e giugno; - profilo orario dei ricambi d'aria ottenuti con la ventilazione naturale per l'anno tipo e per il mese di giugno; - profilo orario del fabbisogno netto di energia all'intero edificio per l'anno tipo e per il mese di gennaio. Si allegano alcuni dei grafici ritenuti più significativi e si riassumono le principali osservazioni da essi desunte: GRAFICO B1 - PROFILO ORARIO DELLA TEMPERATURA DELL'ARIA PER L'ANNO TIPO - blocco aule a Sud-Sud/Ovest La temperatura delle aule per l'anno tipo, confrontata con quella dell'aria esterna, si riferisce alla condizione di edificio occupato, presenti i sistemi di controllo climatico, escluso lo scambiatore geotermico e l'impianto di riscaldamento. Si può notare la differenza tra la temperatura ai diversi piani ed in particolare la maggiore escursione termica invernale ed estiva che caratterizza il 3° piano fuori terra. Nell'arco dell'anno la temperatura di ciascuno spazio si mantiene compresa tra i 10 e i 30 °C, con punte inferiori in gennaio e dicembre, superiori, ma di breve durata, nei mesi di luglio e agosto.

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GRAFICO B9 - PROFILO ORARIO DEI RICAMBI D'ARIA DA VENTILAZIONE NATURALE PER L'ANNO TIPO - blocco aule a Sud-Sud/Ovest I ricambi d'aria da ventilazione naturale ai diversi piani delle aule, si riferiscono alla condizione di edificio occupato, presenti i sistemi di controllo climatico escluso lo scambiatore geotermico. Rappresentano i flussi d'aria che si innescano, al fine del raffrescamento strutturale nel periodo caldo, quando nei locali non sono presenti le persone. Il profilo della temperatura dell'aria esterna è utile riferimento dell'alternarsi del giorno con la notte oltre che indice delle condizioni dell'ambiente esterno. Si può notare come la ventilazione sia necessaria nei mesi compresi tra aprile e ottobre, con una frequenza maggiore da giugno a settembre. I ricambi orari sono differenti a seconda dei piani, in relazione al dislivello tra le aperture di ingresso e quelle di uscita. Per le aule del 1° piano fuori terra si hanno mediamente 10 vol/h, quelle al 2° piano f.t. 7 vol/h e quelle al 3° piano f.t. 4 vol/h, con picchi rispettivamente di 17, 12 e 15 vol/h. Quest'ultimo dato è giustificato in quanto si manifesta quando sono nulli i ricambi da ventilazione naturale dei piani sottostanti e l'atrio ha esclusiva funzione di camino solare per l'ultimo piano. Scuola media “ecosostenibile” Pedagna - IMOLA

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GRAFICO B15 - PROFILO ORARIO DELLA TEMPERATURA DELL'ARIA PER L'ANNO TIPO - blocco aule a Sud-Sud/Ovest La temperatura delle aule per l'anno tipo, confrontata con quella dell'aria esterna, si riferisce alla condizione di edificio occupato, presenti i sistemi di controllo climatico, escluso lo scambiatore geotermico e l'impianto di riscaldamento funzionante. Si può notare che, durante il periodo invernale, la temperatura è mantenuta compresa tra quelle di set-back e di set-point (cioè tra i 15 e i 20°C), mentre durante il periodo estivo, il profilo ha andamento analogo a quello riportato nel GRAFICO B1. Le differenze tra i piani possono essere giustificate facendo riferimento alle considerazioni riportate a commento del GRAFICO B1. Scuola media “ecosostenibile” Pedagna - IMOLA

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GRAFICO B21 - PROFILO ORARIO DEL FABBISOGNO NETTO DI ENERGIA PER L'ANNO TIPO - intero edificio Il fabbisogno netto di energia per l'anno tipo, confrontata con il profilo delle temperature dell'aria esterna, si riferisce alla condizione di edificio occupato, presenti i sistemi di controllo climatico, lo scambiatore geotermico e funzionante l'impianto di riscaldamento. Così come da progetto non è presente alcun impianto di raffrescamento estivo. Il profilo rappresenta la richiesta di energia all'impianto di riscaldamento al fine di mantenere la temperatura dell'aria interna non inferiore ai limiti prefissati. Si nota chiaramente che la stagione di riscaldamento, grazie ai contributi dei vari sistemi di controllo climatico integrati, è essenzialmente compresa tra novembre e marzo. Scuola media “ecosostenibile” Pedagna - IMOLA

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GRAFICO B22 - PROFILO ORARIO DEL FABBISOGNO NETTO DI ENERGIA PER IL MESE DI GENNAIO - intero edificio Il fabbisogno netto di energia per il mese di gennaio, confrontata con il profilo delle temperature dell'aria esterna, si riferisce alla condizione di edificio occupato, presenti i sistemi di controllo climatico, lo scambiatore geotermico e funzionante l'impianto di riscaldamento. Il grafico riporta il fabbisogno distinto per blocchi (aule, atrio e altri ambienti) e quello totale. Si può notare come l'atrio richieda energia anche in regime di attenuazione del funzionamento dell'impianto a causa della maggiori dispersioni termiche per trasmissione, a differenza del blocco aule, caratterizzato da un maggiore isolamento termico. Scuola media “ecosostenibile” Pedagna - IMOLA

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L’Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria, Riscaldamento, Refrigerazione è un’associazione culturale no profit che coinvolge e informa persone e aziende interessate alla scienza, allo sviluppo e all’applicazione delle tecnologie relative al microclima e al loro impatto sull’ambiente. Attiva dal 1960, AICARR, nei suoi quasi 50 anni di attività, ha infatti affiancato ai tradizionali temi relativi agli impianti e alle apparecchiature termotecniche le nuove sfide per il miglior utilizzo dell’energia e delle risorse naturali (solare e fonti rinnovabili) e per l’innovazione delle infrastrutture energetiche: dal progetto, alla gestione, alla manutenzione. L’Associazione, per lo sviluppo delle sue attività scientifiche e tecnico/applicative, si avvale della collaborazione e dell’esperienza di accademici, ricercatori, progettisti di impianti, costruttori di macchine, installatori e manutentori. Fanno parte di AICARR anche funzionari di Enti e Agenzie governative e di Istituzioni nazionali e internazionali, scientifiche e operative, redattori di pubblicazioni tecniche di settore e studenti, ai quali è dedicata la massima attenzione. Gli scopi fondamentali dell’Associazione sono: • la produzione e diffusione della cultura nel settore del clima indoor e dell’ambiente • la formazione e lo sviluppo professionale degli operatori di settore, al fine di incrementarne la qualificazione. Oltre a ciò, AICARR è attiva nella elaborazione e discussione della normativa di settore e si pone come autorevole interlocutore di altre Associazioni e degli Enti governativi, italiani ed europei.

Le commissioni e i comitati tecnici

Le attività sul territorio

L’attività di AICARR è articolata su una serie di Commissioni che si riuniscono periodicamente e a cui tutti i Soci possono partecipare. Ogni commissione ha specifici obiettivi, che vanno dalla ideazione di convegni e seminari, allo studio delle normative, alla programmazione delle attività di formazione, al coordinamento delle attività dei Comitati tecnici AICARR (Refrigerazione, Sanità, Efficienza energetica, Sicurezza e Prevenzione incendi, Qualità ambientale).

AICARR è vicina agli Associati sul territorio grazie all’impegno dei Delegati Territoriali che - in collaborazione con le aziende della Consulta Industriale AICARR e con le società iscritte ad AICARR con la qualifica di Soci Sostenitori – organizzano numerosi Incontri Tecnici di informazione e aggiornamento. Numerose anche le Visite Tecniche a impianti di particolare rilievo progettuale o esecutivo, guidate e illustrate dai rispettivi realizzatori.

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I convegni e i seminari

La scuola di climatizzazione

L’intenso impegno di AICARR in ambito convegnistico si concretizza sia a livello nazionale con gli appuntamenti annuali di Padova, Bologna, Roma, Torino, Napoli, Bari e Catania, sia a livello internazionale con il Convegno biennale di Milano, che si svolge in concomitanza con Mostra Convegno Expocomfort e rappresenta il momento culminante per l’azione di diffusione della cultura di settore. L’attività internazionale di AICARR prevede anche le edizioni italiane di Convegni organizzati in collaborazione con Associazioni ed Enti europei ed extra-europei: l’impegno per il 2007 è il Convegno Climamed (Genova, 5-7 settembre) che affronterà, grazie all’intervento di esperti del settore, problematiche e soluzioni innovative per una climatizzazione sostenibile ed ecocompatibile nei Paesi del bacino mediterraneo. Ormai tradizionali, infine, gli appuntamenti con il Seminario organizzato dal Comitato Tecnico Sanità AICARR e con la giornata informativa FREE sui fluidi frigorigeni.

Per la formazione professionale, AICARR ha istituito una Scuola di climatizzazione che propone corsi intensi e qualificati, organizzati in varie città d’Italia e caratterizzati da una ormai collaudata struttura a moduli. Un corso completo é formato da 28 moduli, ciascuno della durata di una giornata, ed é possibile scegliere quali e quanti moduli frequentare, in modo da costruire un percorso formativo personalizzato. I corsi, arricchiti da un’esauriente documentazione didattica appositamente realizzata, sono condotti da docenti universitari e professionisti esperti nelle varie materie tecnico/scientifiche e affrontano gli argomenti non soltanto dal punto di vista teorico ma anche dedicando ampio spazio agli aspetti applicativi.

Le attività editoriali Numerose le attività editoriali ideate per i Soci e per il pubblico in generale. La rivista mensile CDA – Condizionamento dell’Aria, inviata a tutti i Soci, è l’organo ufficiale dell’AICARR e pubblica lavori scientifici e articoli d’informazione di elevato livello tecnico/scientifico, accanto a notizie sull’attività dell’Associazione e sul mondo della climatizzazione. Informazioni sulle iniziative promosse da AICARR e notizie varie di interesse per gli operatori di settore sono disponibili anche sulla Newsletter dell’Associazione, pubblicata sul sito web AICARR e mensilmente spedita via mail ai Soci e a coloro che ne fanno richiesta. Inoltre, è possibile acquistare presso l’Associazione un’ampia scelta di volumi tecnici, che vanno dai “classici” della Collana AICARR, agli Atti dei Convegni, alle pubblicazioni Ashrae, ai volumi di case editrici tecniche, oltre alle norme UNI, CEI e ASHRAE. Sui volumi e sulle norme, spediti in tutta Italia a mezzo corriere, sono previsti sconti speciali riservati ai Soci. Infine, presso la sede dell’Associazione è a disposizione del pubblico una biblioteca di circa 8 mila volumi, consultabili liberamente. Tutte le notizie che riguardano la composizione degli organi associativi, gli eventi e gli aggiornamenti relativi alla normativa sono illustrati nel sito dell’associazione: www.aicarr.it AICARR - Via Melchiorre Gioia 168 - 20125 Milano - Tel 0267479270 - fax 0267479262 e-mail: [email protected] - www.aicarr.it

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Sostenitori del convegno

Consulta Industriale AERMEC SPA Bevilacqua VR

FIERA MILANO INTERNATIONAL SPA Mostra Convegno Expocomfort

APEN GROUP SPA Pessano con Bornago MI

Milano

ANIMA Milano

GIACOMINI SPA S. Maurizio D’Opaglio NO

AUGUSTO CASTAGNETTI SPA Milano

AS.A.P.I.A. Bologna

HONEYWELL SRL Cernusco s/N MI

BLUE BOX GROUP SRL Piove di Sacco PD

CARRIER SPA Villasanta MI

JOHNSON CONTROLS HOLDINGS ITALY SRL YORK PRODUCT LINE Limbiate MI

CLIMAPRODUCT SPA Caponago MI

MC QUAY ITALIA SPA Ariccia RM

CLIMAVENETA SPA Bassano del Grappa VI

RC GROUP SPA Valle Salimbene PV

CLIVET SPA Villapaiera Feltre BL

REED BUSINESS INFORMATION SPA Milano

COFATHEC SERVIZI SPA Roma

RHOSS SPA Codroipo UD

DAIKIN AIR CONDITIONING ITALY SPA San Donato Milanese MI

SAGICOFIM SPA Cernusco s/N MI

ELYO ITALIA SRL Milano

SAUTER ITALIA SPA Milano

EMERSON NETWORK POWER Piove di Sacco PD

SCHNEIDER ELECTRIC SPA Baranzate MI

ENEL DISTRIBUZIONE SPA Roma

SIRAM SPA GRUPPO DALKIA Milano

ERCA SPA San Donato Milanese MI

TOSHIBA ITALIA MULTICLIMA SPA Agrate Brianza MI

EUROVENT CERTIFICATION Francia

TRANE ITALIA SRL Cusago MI

FERROLI SPA San Bonifacio VR

VELTA ITALIA SRL Terlano BZ

GEORG FISHER SPA Cernusco sul Naviglio MI

ROBUR SPA Verdellino/Zingonia BG SIEMENS SPA SETTORE BUILDING TECHNOLOGIES Milano SYSTEMA SPA Santa Giustina in Colle PD

UNIFLAIR SPA Conselve PD

VORTICE ELETTROSOCIALI SPA Zoate-Tribiano MI

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ENERGIE RINNOVABILI: TECNICHE E POTENZIALITA'

Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria Riscaldamento e Refrigerazione

ISBN 978-88-95620-00-8 Copyright by A.I.CARR

€ 58,00

■ Convegno ENERGIE RINNOVABILI: TECNICHE E POTENZIALITA'

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