1982-91, Voci E Sussurri Di Cronaca Senza Storia

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Antonio Montanari

© Riproduzione riservata Edizione elettronica 2009 Foto, © Antonio Montanari

Antonio Montanari, Voci e sussurri 1982-1991 __________________________

SOMMARIO Avvertenze per l'uso 1982 Alga rossa? Garibaldina! Città del futuro 1983 Amsoscord Relatività o giù di lì Spaventapasseri Morbillo, nel 1928? Usl, uso e abuso 1984 Sorriso Carnevale Cinema, che passione Onda radio Vespasiano 1985 Europa unita «De bello Marano» Scuola, è ancora così? La solita musica Cronache del solleone 1986 Gatta ci cova Ospedale, sala fessi Adamo Pierani Un fil di fumo Willy lo squalo 1987 Previsioni del passato Via col vanto Bagnanti perplessi Tiberio o Dracula? Tranquilli!!! 1988 Lodevole modestia La disfida di Burletta Il piccolo chimico E agli astemi? Un pò d'orgoglio 1989 Numeri “intelligenti” Il tempo delle mele Gradisca La presa della battigia Ieri e domani 1990 Salotto?

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Palermo non è Rimini Forzutini Clodoveo Noè, cioè… Addio, Monti 1991 Sgarbi e Biscardi Al bar Sport Villa Amarena Autostop, please «Italia modello Rimini» Za bum, gran finale Commiato Hanno partecipato

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Avvertenze per l'uso Questi testi, apparsi a stampa con il titolo de «IL TAMARIO», sono costituiti da pagine apparse su «IL PONTE», settimanale di Rimini, dal 1982 al 1991. Tamario deriva dallo pseudonimo Tama con cui inizialmente essi furono firmati. Lo pseudonimo nacque per merito della redazione quando fu impaginato il primo pezzo (consegnato senza firma) dedicato all’alga rossa Tamarensis… E questi testi si aprono appunto con il ricordo di qell’alga rossa e quindi garibaldina, secondo un pensiero attribuibile a Bettino Craxi... A. M. «Niuno mi negherà che anche il letterato non debba esser fornito d'una sua particolar maniera di coraggio quanto il militare o il ministro». Prospero Balbo (1762-1837) «Chi dice frasi spiritose ha pessimo carattere». Blaise Pascal (1623-1662) «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa». Dante Alighieri

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1982 Alga rossa? Garibaldina! La presenza dell'alga “Tamarensis” nel mare Adriatico, ha destato viva preoccupazione negli ambienti politici romani. L'on. Longo (psdi) si è chiesto con la consueta spregiudicatezza: «Perché queste alghe sono rosse? La colpa è della linea politica regionale. Infatti, in Valle d'Aosta le alghe rosse non ci sono». In ambienti vicini al pci, si fa notare che il fenomeno potrebbe portare ad una diversa valutazione del ruolo del partito in Parlamento: «Più rossi sono i mari, più peso politico dobbiamo vederci riconosciuto», ha ipotizzato l'on. Pajetta. «Alghe rosse? Senz'altro sono alghe garibaldine», ha detto l'on. Craxi (psi). Per l'on. Piccoli (dc), la presenza delle alghe non è un fatto nuovo: «Lo avevamo previsto e denunciato, ma noi non c'entriamo, questa volta. Ci coinvolge come italiani, ma come ex alpini ci fa avvertire la superiorità della montagna». Sulla scia dei loro colleghi romani, anche i politici locali si sono interessati al problema. L'assessore Ghirardelli ha preannunciato una conferenza sul tema: «L'alga “tamarensis” non è un tamarindo». Per l'occasione, Museo civico e Biblioteca comunale allestiranno una mostra dal titolo «Rimini, cultura nella melma». L'avv. Zavoli preannuncia una lettera al presidente Pertini che comincia così: «L'alga rossa è biblica: Geremia lo aveva detto. Ma che occhi avete, se non vedete nemmeno il rosso delle nostre bandiere?». Da Roma replicherà l'on. Andreotti: «Si parla tanto, a torto o a ragione, delle alghe rosse: ma chi lo ha detto che sono di questo colore? E se si trattasse soltanto di un fenomeno ottico?». Il Movimento popolare sostiene che l'apparizione delle alghe è stato un fatto miracoloso, in occasione del Meeting. [1982]

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Città del futuro Rimini doveva essere la città del domani, ma come al solito gli americani ci hanno sorpassati con l'Epcot (Experimental prototype community of tomorrow, prototipo sperimentale di una comunità del futuro) di Orlando, Florida. L'idea di una città avveniristica era venuta una quindicina d'anni fa ai nostri amministratori comunali che incaricarono l'arch. De Carlo di stendere il nuovo piano regolatore. Mezza Rimini doveva essere smontata e trasferita. Forse l'architetto è cresciuto con il complesso del «Lego», quei mattoncini di plastica che permettono ai fanciulli di costruire in miniatura cose quasi reali, mentre intellettuali e politici (che della realtà sono sazi), possono concedersi il lusso di volare nei regni della fantasia con le monorotaie in stile giapponese (che convogliarono a Rimini le televisioni di mezz'Europa), e le scuole specializzate per materie, per cui i poveri alunni avrebbero dovuto ad ogni ora di lezione uscire da un edificio per entrare in un altro. Non potendo realizzare nulla di tutto ciò, Rimini ora si accontenta di far ritornare al mare i cavalli della scuderia Bartolani, e di sistemare aiuole cubiche lungo il corso d'Augusto, diventato un campo ippico ad ostacoli, con gli accessi così stretti che un sabato sera mi sono messo in fila e, non riuscendo a passare, ho chiesto se c'era da pagare il biglietto d'ingresso. Non possiamo mirare al futuro, e ripieghiamo sul passato: e così, risfoderiamo le vecchie cacce al tesoro, le spolveriamo un poco, magari cambiando loro il nome, e le facciamo svolgere una domenica di novembre nel centro storico, con i ragazzini alla disperata ricerca di un oggetto e di tante risposte alle domande distribuite dal Municipio. Compresa quella, molto propagandistica, sulle preferenze con cui è stato eletto il sindaco Zaffagnini. Il quale, da buon politico, ignorava la soluzione esatta. [1982]

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1983 Amsoscord «Amarcord» fu la parola iniziale: sembrava la marca di un nuovo digestivo. «Tatarcord» è la risposta appena coniata (pare l'inizio di una marcia militare), come titolo d'una bella mostra di foto su Fellini di un grande reporter della vita cittadina e romagnola, Davide Minghini. Da parte mia, modestamente propongo «Amsoscord», per contrastare il continuo ricorso alla memoria che può divenire eccessivo a tal punto da sommergere, sotto i colpi di alta marea del passato, quella misera cosa che è il presente. Non potendosi vietare i ricordi privati (ne nascerebbe un contrabbando di difficile controllo), auspico un intervento in campo pubblico, eliminando drasticamente rievocazioni, rivisitazioni, riproposte, revival: insomma, tutta quella cultura della fotocopia che imperversa. E che costa alle casse pubbliche. Mentre tutti siamo costretti a tirare la cinghia, quanto si spende per un omaggio felliniano al Grand Hotel ed una rassegna cinematografica ad esso collegata, un bel volume, il ricevimento granducale per “pochi” intimi? Se invece la rassegna fosse stata ispirata al principio dell' «Amsoscord», sarebbero bastati pochi fogli bianchi a comprovare l'avvenimento, oltretutto messo in dubbio dalla presupposta, generale fragilità mnemonica. Nessuno, temendo di fare una figuraccia (e col dubbio: mi sono scordato tutto bene, o sono allucinazioni mie?), avrebbe voluto incontrare altre persone: niente confidenze, evitati i pettegolezzi. I soliti immancabili furbi, però, si sarebbero fatti notare egualmente, proclamando: «Ho stretto la mano al duce». Ma se lui salutava romanamente! Con lo sguardo ghiotto, c'è forse già un editore pronto a lanciare un saggio, la cui introduzione potrebbe essere intitolata: «Ho dimenticato tutto, tranne il futuro». [1983]

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Relatività o giù di lì La teoria della relatività mi è stata sempre spiegata con l'immagine dei due treni affiancati: se sei in quello fermo, e te ne passa vicino un altro, ti illudi di essere tu a spostarti, e consideri fermo quello che al contrario sta transitando. Per formularla, Einstein ha impiegato 50 anni. Il concittadino sen. Francesco Alici (pci), ha invece impiegato pochi minuti, in un'intervista al GR1, per spiegare mirabilmente che anche per l'onestà dei politici può verificarsi l'illusione del treno. Se un qualche pubblico amministratore si lascia sedurre da bustarelle e simili, la colpa non è sua, ma dello Stato che lo costringe a vivere nelle misere condizioni in cui è più facile abboccare all'amo e compromettersi. Chi cede alle tentazioni, secondo Alici, è colpevole soltanto in minima parte, perché agisce in stato di necessità: «In queste condizioni, quanti sono quelli che hanno la forza morale di rifiutare i milioni che costituiscono le tangenti o le bustarelle?». Ammesso e non concesso, come diceva Totò, che le regole morali possano divenire facili compromessi con se stessi e con gli altri, viene da chiedersi: l'onestà è un principio valido per tutti, oppure è stata dichiarata decaduta d'autorità? Questa “regola” giustificativa espressa dal sen. Alici, è valida per tutti i partiti? E in che misura? Secondo i voti riportati nelle ultime elezioni? Quali, poi: le amministrative o le politiche? Fortunatamente, Alici ha parlato alla radio con quell'accento romagnolo che incanta sempre, evocando immagini di cibi gustosi, vini frizzanti e vita balneare, per cui forse egli è stato scambiato, da qualche ascoltatore disattento, per uno di quei suadenti intrattenitori che, al mattino, accompagnano il risveglio degli italiani con varie amenità. Insomma una specie di Roberto Benigni, quello del film «Tu mi turbi». [1983]

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Spaventapasseri Tempo di primavera, stagione di spaventapasseri. Basta uscire un poco dalla cinta urbana, là dove le case nuove dell'ultima periferia s'incrociano con le vecchie costruzioni dell'antica campagna, per incontrare qualche fantoccio contadinesco a difesa del raccolto e di quella perenne fatica umana che era ed è l'agricoltura. Spaventapasseri che non spaventano nessuno, messi lì quasi come per un rito propiziatorio, con la speranza che nessun volatile scenda a beccare e a rovinare il lavoro, più che con la certezza che essi difendano il campo. Sopravvivono dunque alle novità tecnologiche e chimiche, questi spaventapasseri che esistevano forse già due millenni fa, all'epoca di quel Giulio Cesare che, or sono cinquant'anni, venne usato anche lui come spaventapasseri: simbolo di un passato magnificato ad ogni istante, fu imposto come testimone d'un presente che si voleva splendido, ma tale non era. Sappiamo come è andata a finire, non per colpa di Giulio Cesare che, perso il posto, fu congedato alla rovescia, perché venne inviato in caserma, dove sta benissimo, senza che ci sia il bisogno di ritirarlo fuori, per sistemarlo «com'era e dov'era» (secondo il motto del campanile di Venezia, 1912). La sua immagine, se fosse riportata nel luogo ove era stata posta come dono del duce nel 1933, contrasterebbe troppo, per i ricordi ai quali essa è legata, con le pagine successive che hanno lasciato il loro segno di sangue in quella piazza, ora dedicata ai Tre Martiri: le memorie delle vittime difficilmente sono compatibili con quelle di un massacratore quale fu Giulio Cesare. Se vogliamo una cultura di pace, lasciamo stare questi spaventapasseri dove la sedimentazione storica li ha portati per sempre. [1983]

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Morbillo, nel 1928? Nel giorno di Santo Stefano, l'assessorato alla Cultura ha organizzato una conferenza sul tema: «Tutti quegli omini vestiti di rosso, durante le feste di Natale, lungo il corso d'Augusto, non erano garibaldini». Sconvolti dalla notizia, molti cittadini per trovare sollievo si sono rifugiati nella mostra «Primavera di Bellezza», dedicata alla scuola riminese nel Ventennio, dove lo storico Liliano Faenza ha organizzato una tavola rotonda su «Giulio Cesare, perseguitato fascista», a cui sono stati invitati l'avv. Veniero Accreman, Sua Antenna Serenissima Sergio Zavoli e lo scrittore Guido Nozzoli. Accreman ha confessato: «Gramsci ed io avevamo lo stesso barbiere». Zavoli, rivolto agli amici Guido Nozzoli e Federico “Amarcord” Fellini, ha recitato questi versi del noto cantautore Dante Alighieri: «Guido vorrei che tu, Federico ed io fossimo presi per incantamento e smettessimo infine il gran tormento di dover ripensare ogni momento al nostro giovanile traviamento del libro e moschetto, balilla perfetto». Nozzoli ha trattato di «Romagna ribelle: dall'olio di ricino del Dittatore al vino del Passatore». Lo stesso Faenza ha infine chiuso la tavola rotonda, facendo attenzione a non schiacciarsi le dita, e presentando la sua ultima pubblicazione, intitolata: «Quando ebbi il morbillo nel 1928, il camerata medico mi fece stare al buio, lui diceva che era per guarire, ma io sostengo che era un sopruso politico, perché non apprendessi la verità sulle miserie della condizione umana, e rimanessi nell'ignoranza che è strumento di repressione ideologica». Lo storico Clodoveo Forzutini, si chiede: «Ma ci fu il morbillo, nel 1928?». [1983]

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Usl, uso ed abuso «Crisi dell'assistenza sanitaria. La spesa per l'83 sarà di seimila miliardi più del previsto». Sarei curioso di sapere se, nella cifra, è compreso anche il costo della benzina per far svagare gente come la lieta famigliola che alle 17.50 del 16 luglio ha parcheggiato l'auto dell'Usl 40, sul piazzale delle Grazie, a Covignano. [Così scrivevo il 31 luglio. Ritornavo sull'argomento il 25 settembre, con quanto segue]. Il 5 agosto, «La Stampa» di Torino pubblica una lettera del signor Giovanni Roba di Pieve di Teco (Imperia) che manifesta il suo stupore per aver visto sostare una Fiat 127 dell'Usl 40 «presso il lago di Misurina». Il 25 agosto, lo stesso signor Roba partecipa al medesimo quotidiano di «dover prendere atto che il dott. Melli dell'Usl di Rimini, con senso di responsabilità non comune, ha immediatamente preso contatto» con lui, «al fine di identificare il responsabile dell'abuso». A me, d'altra parte, è capitato di incontrare all'inizio del mese di agosto, un'altra vettura sponsorizzata Usl 40, in movimento di piacere: questa volta sul porto canale di Rimini, e con alla guida un giovin signore barbuto in braghe da bagno, accompagnato da relativa dama e da una fanciulla, altrettanto addobbate entrambe per cure elioterapiche. Fortunatamente, non tutti i dipendenti dell'Usl 40 hanno gli stessi gusti. C'è chi ama la collina, e chi, più giovane e sportivo (ed anche aitante al limite della “fustaggine”, se non fosse per un leggero difetto in altezza), può esibire la sua apollinea bellezza con tuffi appropriati sul molo, o lungo la riva del mare. A chi sceglie le vacanze acquatiche, non potrebbe l'Usl fornire anche un piccolo motoscafo, onde completare le prestazioni per i propri dipendenti? [1983]

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1984 Sorriso Nelle pieghe della cronaca cittadina, oltre alle briciole, si nascondono anche pagliuzze dorate. Sono piccole cose per le quali occorre una lente d'ingrandimento, perché l'occhio vola via veloce, e non si sofferma a grattare. Scompare un'ex infermiera dell'ospedale civile. Tra i necrologi, ne appare uno intessuto di ricordo affettuoso e di gentile memoria, firmato da alcuni medici e da due primari del reparto d'ortopedia. È una testimonianza apparentemente semplice o trascurabile, che però significa gratitudine, un sorriso di riconoscenza nel momento in cui appare crudelmente fuggire il tempo, ed allora gli amici tentano di fermarlo, lanciando una parola che è l'abbraccio ad un'anima. In quelle frasi, c'è il senso stesso della convivenza civile, fatta dell'impegno del singolo nell'interesse comune. Dicendo ciò, è facile sentirsi attribuire la qualifica di benpensanti, con tutto il corteo negativo che l'etichetta porta con sé. Rispondo che di discorsi se ne sentono fin troppi, contano soltanto i fatti. È la settimana di Pasqua. Dice Giovanni che Gesù «portando da se stesso la Croce, s'incamminò» verso il Gòlgota. Ma Luca, Marco e Matteo aggiungono che un uomo di Cirene, chiamato Simone, venne caricato della croce di Gesù. Quell'uomo chiamato Simone, non lo hanno ancora incontrato alcuni bambini romani che vanno a scuola nelle loro carrozzelle da handicappati: per loro, la salita al Calvario passa ogni giorno per i luoghi di decenza: il personale scolastico non li vuole accompagnare ai gabinetti, perché il contratto sindacale non prevede umili mansioni. Non nel contratto, ma sempre in Giovanni si legge: «Vi ho chiamato amici… Questo vi comando: di amarvi scambievolmente». [1984]

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Carnevale Mercoledì 18 gennaio, alle ore zero e qualcosa, un grosso botto ha fatto sobbalzare parecchi riminesi della zona industriale, nei pressi dell'Ortomercato alle Celle. Informazioni ufficiose e commenti pessimistici hanno parlato di dinamite o qualcosa di simile, insomma di un attentato intimidatorio. L'ex deputato socialista Stefano Servadei, domenica 15, aveva scritto: «In Romagna, se non si corre ai ripari, morremo di racket… Il male è verosimilmente ancora curabile», ma con «un impegno che costituisce, per noi tutti, un punto d'onore». Oltre ai balordi e agli sprovveduti «sempre disposti», secondo Servadei, «a subire il fascino della grande criminalità ed a scimmiottarla», ci sembrano altrettanto pericolosi (se non di più) quanti agiscono “in guanti gialli”, imbrogliando, mescolando le carte con strizzatine d'occhio o altri giochetti più o meno eleganti. Chi è propenso a considerare le cose con occhiali ottimistici, sostiene che si trattava, con quel botto, di un fragoroso inizio di carnevale: e di carne infatti si occupa la società colpita. Questione di punti di vista, come sempre. Chi la pensa così, forse non ha tutti i torti. Non è stato detto e ripetuto infatti, anche autorevolmente, che sulla nostra Riviera il racket non esiste? Chi la pensa così, però, non riesce a capacitarsi come, per un semplice inizio di carnevale, si sia fatto ricorso a mezzi tanto imponenti. C'è una risposta anche a questa obiezione. Da un pò di tempo, a Rimini vogliamo fare le cose in grande stile. L'estate porterà un premio di poesia ed un festival cinematografico. Quindi, anche il carnevale doveva per forza incominciare in maniera singolare: i petardi erano insufficienti, occorreva la dinamite. E così fu. «Cu fu?». [1984]

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Cinema, che passione Il festival del Cinema europeo, appena nato, suscita già vivaci polemiche. Da Roma, il presidente dell'Ente Cinema, Gastone Favero, protesta, accusando il Comune di Rimini di aver promosso un'iniziativa «che plagia nei contenuti e negli obiettivi» un'analoga manifestazione svoltasi nel novembre '83 a Catania. In un comunicato passato alla stampa, Favero ha scritto che gli ideatori del festival «non leggono i giornali». Ciò significa che essi leggono soltanto libri? Mah! Questi organizzatori riminesi, giovanotti tuttopepe, se si fossero documentati meglio, nel presentare il "nostro" festival non sarebbero incappati in un'affermazione che suona vagamente comica ed irresponsabile. Il festival, nelle loro intenzioni, dovrebbe rappresentare «l'occasione per cancellare l'immagine di una Rimini da cartolina, patria del liscio e delle tedeschine, della piadina e dei vitelloni» Ogni persona di buon senso sa che le nostre fortune turistiche sono state legate proprio agli elementi che ora così decisamente si rinnegano. Tolta la cartolina, si metterà al suo posto un video? E dentro, che cosa ci piazzeranno i nostri lucidi intellettuali romagnol-romani? I tanti soldini che hanno fatto ricca la Riviera (e che spesso, ahinoi, non risultano nelle denunce dei redditi), sono nati come funghi proprio perché tanti tedeschi e relative figliole, sin dall'immediato dopoguerra, ci hanno portato i loro ricercatissimi marchi, chiedendo in cambio soltanto liscio e piadina. I vitelloni di felliniana memoria sono ormai fuori uso, l'adipe e l'anagrafe hanno il loro peso. Le tedeschine continuano a venire, ma se in Comune ora preferiscono le svedesi, gusti loro. [1984]

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Onda radio Sull'onda dei ricordi, ci sintonizziamo con la Radio italiana che compie 60 anni. Un pezzo di Rimini, Sergio Zavoli, sta al timone della barca come suo presidente: pur essendo nato a Ravenna, la sua voce ha debuttato qui, prima di scendere verso il successo romano. Molte sue trasmissioni sono rimaste esemplari. Per primo, ha introdotto un registratore dentro la clausura femminile. Sui palchi televisivi del Giro d'Italia, ha diretto implacabilmente i «Processi alla tappa», inventando una moda che dura tuttora. Ma torniamo alla Radio. Lo sport è sempre stato uno dei suoi cavalli di battaglia. Negli anni '50, a Rimini, durante i Giri d'Italia e i Tour de France, una folla di appassionati si radunava al palazzo Garattoni, nei pressi dell'Arco, davanti al laboratorio radiotecnico di Athos Bianchini che poneva all'esterno del suo negozio un amplificatore, da cui uscivano le cronache degli arrivi di tappa, con la voce di Mario Ferretti. In quegli anni, Rimini faceva le sue prime timide apparizioni al microfono. Silvio Gigli intervistò il sindaco Ceccaroni che, nel parlare della nostra economia, citò con orgoglio le «vacche, le vere vacche» delle stalle romagnole, che poi lui stesso chiese di tagliare dal nastro magnetico. Qualche anno dopo, la carovana della Rai al Giro s'arricchì delle riprese televisive. Alla cronaca di Adone Carapezzi, alle nove di sera, Walter Chiari faceva seguire uno spettacolino di mezzo varietà. Da Rimini si presentò dicendo: «Siamo in Romagna, e guardate qui cosa vi offre questa nobile terra…». Una mucca maestosa apparve nello studio improvvisato dello stadio comunale e sui teleschermi. L'animale che era sembrato troppo prosaico al sindaco, fece la contentezza di Walter Chiari. Quando si dice il destino. [1984]

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Vespasiano Un'anziana coppia di inglesi mi si avvicina in piazza Tre Martiri. Lei chiede dov'è la toilette. Rispondo che in giro ci sono soltanto dei bar. La signora prontamente mi ribatte se è possibile entrarci senza dover consumare qualcosa. Le faccio capire che è necessario il «drink». Lei mi ringrazia, soddisfatta per la risposta ricevuta, da cui forse trarrà materia per scrivere, al ritorno in patria, una focosa lettera ad un giornale di casa sua, contro il racket dei servizi igienici in Italia… Ho cercato di spiegare alla signora, alquanto rigida e severa, ed al marito, più abbordabile e meno teso, che Rimini, è vero, non ha servizi igienici pubblici, ma in compenso ha tante altre bellissime cose. Noi siamo la terra del sole, del mare, della poesia, del Sangiovese, e di tante acque termali. Mi accorsi di aver affrontato un argomento diuretico che poteva essere controproducente, e far allontanare la signora. Aggiunsi allora che qui, nelle nostre zone, ci sono testimonianze culturali di grande valore. Su quella pietra, indicai con la mano, ha parlato Giulio Cesare, dopo aver attraversato il Rubicone. La lady non sapeva, chiese che cos'è il Rubicone. Un fiume, dissi spavaldo, ripetendo la gaffe idrica, ma un fiume piccolo, aggiunsi quasi a correggermi, più che altro un torrente. Il cui vero nome però, conclusi involontariamente, secondo alcuni è Pisciatello. Ah, rispose il marito, con il quale la signora si consultò in un inglese macinato così fino che non capii nulla. Ormai le mie parole erano rivolte al vento. I signori turisti mi avevano salutato col gelido sorriso di chi, non volendo apparire maleducato, non desidera neppure perdere altro tempo. Ma è colpa mia se di qui è passato Giulio Cesare, e non l'imperatore Vespasiano? [1984]

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1985 Europa unita Significa forse qualcosa che l'ultimo libro di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, intitolato «La prevalenza del cretino», figuri tra quelli ora più venduti. Il prof. Ezio Tarantelli, ha scritto Ernesto Galli della Loggia, «è stato ucciso da un cretino, l'ultima incarnazione del Cretino italiano, che è un cretino sociale, è un cretino storico, un personaggio permanente della scena italiana». A Bruxelles, il 29 maggio, i tifosi assassini provenienti da Liverpool, allo stadio hanno oscurato la presenza di personaggi italiani che avrebbero potuto tranquillamente imitarli. E dopo il dramma, il ridicolo, l'idiozia che diventa «valanga sociale, calamità pubblica», come è stato osservato. A Rimini, da una parte, i festeggiamenti rumorosi della nottata; dall'altra i piccoli atti di teppismo razzistico, decisi a freddo, per scaldare le fantasie da guerra santa contro il “perfido” inglese. Il quale inglese si sente sempre, nei confronti di noi italiani, una vittima. Bastano due sassate lanciate da qualche fesso (pardon, «cretino»), contro una coppia di autobus, per spingere la mitica Radio Londra a parlare di «violenti incidenti» a Rimini. Le informazioni diffuse in Gran Bretagna erano improntate ad un isterismo che faceva dimenticare la recente visita di Carlo e Diana, omaggiati caldamente da un'Italia repubblicana che si è inchinata davanti alle Loro Altezze Serenissime. E noi italiani abbiamo sùbito temuto che il turismo inglese potesse disertare le nostre spiagge e soprattutto le nostre agenzie bancarie. Memori dell'antico servilismo, che la storia antica ha depositato nei cromosomi degli avi, abbiamo addirittura pensato di inviare «un bacione» alla regina Elisabetta. Come don Abbondio, siamo sempre disposti «all'obbedienza» più cretina dei cretini stessi. [1985]

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«De bello Marano» «Tutta la costa romagnola è divisa in due parti, una la abitano i Riminesi con gli alleati del Nord, l'altra i Riccionesi ed i confratelli del Sud. Tutti costoro differiscono tra loro per dialetti, usanze e modi di vita. La linea di confine tra queste due parti è stabilita lungo il corso del fiume Maranus, ove le opposte truppe ivi congregate erano in attesa dello scontro. «Oggetto del contendere, una darsena riccionese che non piace ai cittadini della parte rivale. Dopo inutili tentativi di mediazione, le due città decisero una singolar tenzone oratoria, nel punto più caldo, a Miramare. «Il Cesare di Riccione, Pieranus (Tertius di nome, ma di fatto Primus come cittadino), trasse il dado, e prima di varcare il confine, disse ai suoi soldati: “Vado, li convinco e torno”. «A Miramare lo attendeva l'opposta delegazione: assente il capo rimasto a casa a fare i Conti, essa era guidata da un piccolo Cesare, appellato Nandus Piccarus, cioè Nando il Punzecchiatore, come lo chiamano nel partito del popolo, in nome del quale doveva fare da paciere tra gli esagitati Riminesi e i danarosi Riccionesi. «Tertius, imitando Pavarotti, intonò: “Se quel guerrier io fossi…”, ma la folla gli impedì di continuare. «Nandus, per dare una mano al suo compagno di partito ma avversario di città Tertius, arringò la plebe, spiegando che “se a questi non facciamo fare la darsena, sul Marano il governo ci manda una portaerei”. Non poté finire l'orazione. Un'alga gli stampò sulle labbra il sigillo che rinchiuse ogni parola». Questa è la cronaca di fatti accaduti il 9 dicembre, dal titolo «De bello Marano», che esperti dell'epoca intesero come «Sul Marano adesso viene il Bello», identificato nel sindaco di Riccione, Terzo Pierani. [1985]

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Scuola, è ancora così? La scuola è come il morbillo, serve da piccoli per parlarne da grandi. Tra i banchi si vivono esperienze preziose, nascono definizioni di compagni ed insegnanti che useremo poi, per sorridere un pò. A scuola, non si va per imparare. Se io non sono riuscito mai a capire bene la Matematica, lo debbo ad una professoressa detta Cerbero, conosciuta anche come «DDT» perché non faceva volare una mosca. Terribile, distaccata, gelida, saliva (lei piccolina) su di una cattedra altissima, e ci scrutava con la noia di uno squartatore di pollastri, infastidito dall'odore delle interiora. Dagli occhi traspariva un qualcosa d'indefinibile, come certi gelati fatti in casa, senza gusto e senz'anima. La Chimica non l'ho mai assimilata grazie al carosello di nove supplenti succedutesi in sei mesi, e poi sparite dalla circolazione, tutte in congedo per maternità. In Italiano, ho rimediato un quattro, quando scrissi che mi piaceva correre in bicicletta sotto la pioggia. Ai nostri tempi non c'era libertà di pensiero. Alla prof. di Lettere volevo regalare una copia della scespiriana «Bisbetica domata», ma non consideravo l'aggettivo corrispondente alla realtà. La scuola era come l'antico Olimpo: nella parte di Giove tonante, c'era il preside, mitico eroe della burocrazia e protagonista di mille omeriche battaglie contro merende, sigarette, camicie senza cravatte, cravatte senza giacche e giacche senza bottoni. Minacciava una sua circolare: «È vietato fumare nel raggio di 300 metri dalle aule». Fu così che, per puro fatto urbanistico, sotto la sua giurisdizione scolastica finirono il municipio, l'ospedale ed alcune banche. [1985]

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La solita musica Tengono banco le discussioni sulla Sagra malatestiana, gloriosa manifestazione musicale riminese che, secondo alcuni pareri, attraverserebbe un pericoloso momento di crisi: essa è ancora all'altezza della sua fama? Nessuno si preoccupa se dei ragazzi sofferenti di disturbi renali debbono frequentemente stare in degenza al Malpighi di Bologna, perché a Rimini mancano le strutture necessarie. Ma molti s'agitano per un violino un pò fiacco, durante un concerto. In mezzo alle discussioni, s'alza inevitabile il famoso grido di dolore: «Ah, come andavano bene le cose nel passato, negli anni '60…». La grande stagione della Sagra è stata invece negli anni '50, quando approdava in città Arturo Benedetti Michelangeli, con la spider rossa e l'impermeabile bianco indossato nelle umide serate di settembre. Rimini davanti a quei mostri sacri del concertismo internazionale, non faceva una grinza. Andavano in delirio pochi appassionati, mentre i soliti intenditori da caffè sghignazzavano, un pò perché la musica per loro era soltanto quella delle balere e dei dancing; ed un pò perché la manifestazione si svolgeva nel Tempio, simbolo del clericalismo e del perbenismo borghese. Era l'Italia chiassosa e piadaiola di Peppone e don Camillo, rudemente divisa, di qua le processioni e di là i cortei. Era il dopoguerra, dominato dalla speranza che non mancasse il pane sulle tavole. La cultura era un fatto limitato a pochi, nella scuola e nella vita di ogni giorno. Alla Biblioteca Gambalunga, i tavoli di lettura erano divisi, da una parte gli uomini, dall'altra le donne: e sarà così sino agli anni '60 avanzati. Rimpiangendo quegli anni, si fa la solita musica di chi teme i tempi nuovi, con annessi e connessi. Al caffè, allora, la Sagra era vista dagli intenditori come un dopolavoro per anime pie e pretini anemici. [1985]

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Cronache del solleone Dopo un inverno ed una primavera trascorsi a predicare l'imminente fine del nostro mare, un quotidiano politico lancia la notizia sensazionale: «L'alga rossa è per ora sconfitta. L'Adriatico gode di ottima salute». A Miramare, su 19 aerei atterrati in un pomeriggio, 15 erano inglesi. Gli esperti del turismo britannico erano scesi a dirci che i loro connazionali avrebbero disertato le nostre spiagge perché troppo care. Al «MystFest» di Cattolica, lo scorso anno, c'erano «solo quattro persone paganti»: lo dicono gli albergatori. A Riccione e Misano, nelle «spiagge libere» è proibito far uso di ombrellone. Nicola Romito, comandante della Capitaneria, si giustifica: sono vecchi decreti voluti dai sindaci, io mi sono adeguato. Il sindaco di Rimini sloggia dai portici di palazzo Garampi i giornali murali, «per restituire l'edificio all'antico decoro». Lo imbratteranno di scritte i ragazzini. Il sindaco di Riccione chiude il centro al traffico notturno: «I rumori rappresentano il punto di maggior critica alla città». La dc locale suggerisce come rimedio «i doppi vetri alle finestre». «Sull'Adriatico si teme un'estate con la crisi», aveva intitolato un grande quotidiano del Nord. Luglio a Rimini ha invece detto 6% circa in più nelle presenze. Un albergatore, «non l'ultimo arrivato, è presidente di un certo gruppo, ma come si capirà chiede l'anonimato» dichiara a Remo Lugli della «Stampa»: «A Rimini ci sono 1.480 alberghi. Bene, di tutti questi albergatori una buona parte non denuncia la verità: sui moduli dei movimenti, al momento della partenza» degli ospiti, accorciano la durata del soggiorno. Sta scritto che la mano destra non deve sapere che cosa fa la sinistra: infatti, l'albergatore confida la verità soltanto in un orecchio, non nei comunicati-stampa. [1985]

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1986 Gatta ci cova La mia gatta mi segue e controlla in ogni attimo della giornata. Con lei ho lunghi dibattiti, quasi sempre sul cibo a cui ha diritto, come legittimo compenso per la caccia ai topi. Bazzica la mia scrivania, annusando carte bianche e scritte. Se sfoglio il giornale, osserva le foto giganti. Davanti alla tv, gli acuti canterini la infastidiscono e si copre le orecchie. Ho i testimoni, credetemi. Ieri mi ha guardato, come per sapere le novità del giorno. Le ho parlato del signor Gianluca Spigolon, consigliere comunale del pli, giovane, sguardo lungimirante, labbro poetico con slancio d'artista agli angoli, verso il basso. Ha interrogato il sindaco su di una lettera dell'Usl 40, inviata ai capigruppo del proprio Comitato di gestione, in cui si chiedono i nominativi di persone a cui affidare pratiche dell'Ufficio. Commenta Spigolon che è un caso di lottizzazione senza alcuna maschera. Cioè, senza pudore. La gatta mi osserva e sembra voler dire qualcosa: «Niente di nuovo sotto il sole. Sono cose che succedono da sempre. Se frughi nei tuoi ormai lunghi ricordi sulle vicende riminesi, ne trovi conferma. Finalmente, si ha il coraggio di mettere agli atti i nomi dei raccomandati, perché non succeda che, casomai, s'infili nella lista qualcuno che non avendo tessera non ha neppure alcun diritto. Gli sbagli sono sempre possibili, meglio evitarli». Vorrei obiettare che non è giusto procedere negli affari soltanto grazie alle tessere… La mia gatta mi anticipa: «Non ti scappa sempre detto che non hai fatto carriera, perché non hai mai indossato i colori di nessuno, e che ti ritrovi vecchio più indietro di dov'eri partito?». Ecco, quel che mi fa rabbia, nelle discussioni con la mia gatta, è che alla fine sono sempre costretto a darle ragione. [1986]

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Ospedale, sala fessi Al pronto soccorso dell'ospedale di Rimini, con mia madre da ricoverare d'urgenza, seduta su di una carrozzella. Siamo davanti a due porte. A sinistra, cuciono una testa. A destra, c'è un ambulatorio pieno di persone disoccupate in camice bianco, che chiacchierano tra loro: si parla di tessuti e di stoffe damascate. Sono cuciture diverse. Nessuno ci dice nulla. Alla porta di sinistra, si fa uno spiraglio. Mi avvicino, e incrocio lo sguardo di un medico al quale sventolo la richiesta di ricovero, e chiedo: «Debbo rivolgermi qui?». «Non so», mi risponde. Dalla stanza di destra, mi guardano tranquillamente alcune figure femminili. Intanto un'altra persona, un medico in borghese (lo deduco dai saluti), entra nell'ambulatorio, apostrofando un collega: non gli ha inviato la schedina del Totocalcio. Capisco che l'aver atteso inutilmente per oltre dieci minuti, significa agli occhi di tutta quella gente che noi non abbiamo bisogno di nulla. Forse credono che la donna un pò fuori fase, seduta sulla carrozzella, sia lì in attesa di essere ricevuta dalla regina d'Inghilterra. A questo punto, mi rivolgo a due giovani infermiere che mi passano indifferenti sotto il naso, da una stanza all'altra. Pongo loro una domanda a voce alta, che deve sconcertare qualcuno, se è vero che poi sulla porta si precipitano tutti: medico, caposervizio, eccetera, guardandomi fisso come se la persona da curare immediatamente fossi io. Ho chiesto semplicemente: «Dato che vi preoccupate soltanto della schedina, vorrei sapere se per farsi curare, qui bisogna abbaiare». Era la battuta rubata ad una recente vignetta del «Ponte», disegnata da Daniele Fabbri in arte Freezer, in riferimento ad un episodio reale: un cane curato in sala gessi. [1986]

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Adamo Pierani Quelli di Lampedusa temono i missili di Gheddafi e litigano con Roma. Un titolo consolatorio per loro: «Un anno senza tasse ai cittadini dell'isola». C'è gente in Romagna che, per avere un simile trattamento, accetterebbe minacce militari tre volte al giorno, anche dopo i pasti. Un altro annuncio: «San Marino trema». È una semplice questione fiscale. Il governo di Roma vuole istituire un Ufficio Iva. Ma gli evasori hanno buone spalle, di qua e di là del confine, nessuno di loro si agiterà. Una notizia rassicurante: «Anche la Regione dice sì ai campi per naturisti». Dopo l'amministrazione comunale di Ravenna, pure il governo bolognese, per bocca del concittadino assessore Alessi, ha espresso parere favorevole all'istituzione di campi per nudisti in Riviera. Li ha chiesti il consigliere Stefano Servadei del psi, noto alle cronache per i suoi interventi sulla questione morale nella pubblica amministrazione delle nostre parti. Dopo aver cercato di togliere i veli ad affari che gli sembravano poco leciti, adesso si è appassionato al turista d'avanguardia che vuol togliersi gli indumenti, già tanto striminziti anche negli ospiti normali. Se la Regione concederà un campo nudista a Cervia, poniamo il caso, come reagirà da Riccione il sindaco Pierani? Forte del fatto che il tanto atteso (da lui) casinò può ridurre i giocatori nella perfetta condizione di naturisti controvoglia, Pierani potrebbe chiedere di realizzare sul Marano un'isola per clienti rovinati dalla roulette a tal punto da apparire come Adamo ed Eva prima della cacciata. Il ciclo così sarebbe completo, ed anche il turista rimasto senza l'ombra di una lira, potrebbe vivere le sue vacanze secondo lo slogan radiofonico dell'ospitalità romagnola: con un'allegria che non finisce mai. [1986]

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Un fil di fumo Ci sono notizie che rallegrano. Si parla di nuovo del canale navigabile per collegare la Romagna alla Lombardia e al Veneto. È la quinta volta, in questo secolo. Di qui all'eternità, si potrebbero intitolare questi progetti che arricchiscono gli archivi (e non soltanto quelli), e non trovano mai una realizzazione. Chi ha costruito Tebe dalle sette porte, si chiedeva un poeta. Forse non si troverà chi ha ricostruito il teatro Galli, a Rimini. C'è stato un concorso. Ma per tradurre l'idea vincitrice in mattoni e marmi, occorrono 200 miliardi, non i pensierini dei baci Perugina. Il sindaco Conti ha promesso, e noi crediamo alle sue promesse. L'essenziale è fidarsi della gente. Una volta, nei negozi c'era un cartello: si fa credito domani. I nostri amministratori hanno sempre un altro anno in cui sperare di offrir i loro progetti realizzati. Sono promesse sincere, fatte di reciproca, garbata illusione. Ci fidiamo. Il progetto «Anni '80» del civico Museo, a forza di rinvii di dodici mesi in dodici mesi, dovrà chiamarsi «Anni '90». La matematica ha una stupenda risorsa, offre numeri dopo numeri. Ma le cifre spesso sono crudeli. Il nostro Comune ha un deficit previsto per l'86, di sei miliardi. Brustoline rispetto a quello nazionale. E forse di «Galli» si tarderà a sentir parlare, con questo clima di ristrettezze finanziarie. Non sarebbe più economico un teatro-tenda in quella piazza che si vuol valorizzare? E, per cominciare, si potrebbero epurare il mercato e le altre fiere delle festività che ingombrano il centro storico. I progetti conserviamoli. Vi potrà sempre sognare sopra chi vorrà “andare a teatro”: sembrano garantire fantasie per parecchie generazioni. Ed intanto, Massimo Conti pare Madama Butterfly che intona «Un bel di vedremo…». [1986]

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Willy l'osmotico La scorsa estate, in una teletrasmissione da Rimini, riproponendo la storia del mostro di Lockness (che emergeva dalle acque ed offriva ai turisti pummarola napoletana), Pupi Avati ci ha giocato uno scherzo, le cui conseguenze si rivelano soltanto ora. Qualcuno infatti sta confondendo quell'invenzione spettacolare con la realtà. E, proiettando quell'immagine comica al largo della nostra costa, ha inventato «Willy, lo squalo gigante», bianco e pauroso abitatore dei mari, che inghiotte in un sol colpo intere cassette di sardine e distrugge costosi attrezzi da pesca, con quella sua bocca spaventosa. Il «Carlino», abituato a sbattere il mostro in prima pagina, ha riservato a Willy tale onore il 23 settembre, con un titolo a sei colonne. In ambienti politici locali, si sono registrate alcune prese di posizione. Per l'ormai solitario Nando Piccari del pci (partito critici intemperanti), la vicenda è il segno premonitore del rinnovamento operato da un giustiziere che farà scomparire nel suo grembo tutti i chiacchierati che girano sulla costa. Per il sindaco Conti, Willy è invece il simbolo di Rimini, «labirinto osmotico» e città ambigua, come l'ha definita in un'intervista. Secondo altri, Willy arriva con un anno di ritardo dal Meeting '85, dedicato (anche) alla bestia. La dc sostiene che Willy non può esser crudele, perché i cattivi non esistono, come dimostra la storia di Pinocchio che, nonostante tutto, si salvò nel ventre di un mostro marino. Ma, precisa dal canto suo Gambini del piccì (partito intensamente controllore dei critici intemperanti), Pinocchio ebbe che fare con un pescecane vecchio e malato, che dormiva a bocca aperta. Il psi, con estrema cautela, fa sapere che, Willy o non Willy, non sa che pesci pigliare.[1986]

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1987 Previsioni del passato Alcuni cronisti cittadini hanno aperto i loro taccuini all'astrologia, intervistando tre signore, di cui riporto alcune presunte predizioni per il 1987. Turismo: «Esigenza di rinnovamento. Nuovi passi verso una posizione leader come città dei congressi. Problemi dell'inquinamento». Seconda previsione: «Ci sarà il cambiamento di personaggi decisivi, situati cioè in posti chiave». Le maghe locali, più che annunciare fatti possibili nei prossimi mesi, sembrano riassumere quelli accaduti di recente, come la nomina dell'ing. Gemmani alla presidenza della Cassa di Risparmio. Terza voce: «Istituzione di un semaforo nel settore Rimini Sud-Ovest». Rispunta l'attualità. L'anno, infatti, è appena nato sotto il segno della rivoluzione del traffico, voluta dall'assessore Aldo Mario Cappellini, che così si è assicurato un posto negli annali civici. Il piano «urgente» della viabilità urbana, è stato inquadrato dall'Amministrazione in una nuova immagine di Rimini. Non più la vecchia e sonnacchiosa città provinciale da «Amarcord» felliniano, ma un centro rockettaro con l'argento vivo addosso, come quella canzone di Gianna Nannini, dalla quale i socialisti locali hanno tratto ispirazione per chiedersi, in un recente convegno urbanistico, se davvero Rimini sia «bella e impossibile». Anche Rimini dunque, come le vecchie attrici in disarmo, tenta di rifarsi la faccia. Basta che non la perda. La nostra città è un fenomeno di costume, da cui scaturiscono tanti aspetti del suo fascino e del suo «volto moderno». Il pensierino è del sindaco Conti, e lo leggo in una cronaca del «Carlino», in cui si dice che esso è stato espresso «nel consueto ricevimento di fine danno». Cioè, d'anno. Dato che il sindaco non si è mai dimesso. [1987]

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Via col vanto Rimini merita la sede dell'università di Romagna. Infatti, nessun'altra città della zona può vantare un sindaco come il nostro, così pieno di quello spirito goliardico che significa bizzarria ed originalità. Lo dimostra il suo commento ad una ricerca socio-economica che pone Rimini tra le città italiane dove si vive meglio. Conti ha detto che la felicità dei nostri concittadini è dovuta esclusivamente al garbino che qui tira spesso. È noto, dal punto di vista scientifico, che i venti caldi portano fastidi alla mente e danni alla salute. Sostenendo tutto il contrario di quanto dichiarano gli esperti di meteoropatie (che studiano le malattie provocate dai cambiamenti del clima), Conti pone autorevolmente la sua candidatura ad essere considerato capo di una nuova scuola medica. Dopo quella salernitana, nota a tutti, avremo la riminese, intenta a rovesciare i consolidati pilastri di diagnosi e terapie? La ricetta di Conti passerà alla storia: essa sembra esser stata ispirata da quell'opinione proverbiale che, per far capire che tutto va bene, parla di vento in poppa. Ma più probabilmente, l'ottimismo di Conti nasce da sogni giovanili che ingigantiscono i miti estivi del divertimento e della ricchezza, e dimenticano purtroppo i bisogni reali di una città che non è soltanto lusso. Ma forse le mie sono parole al vento, non dette però secondo il vento che tira. Conti ha parlato invece ai quattro venti, spingendo qualcuno a chiedersi qual buon vento abbia portato questo «giovin signore» sulla poltrona di palazzo Garampi. Conti vuole per Rimini una ventata di novità: e probabilmente sogna di diventare il nostro vanto. Ma questa storia del garbino produttore di felicità, sembra soltanto la solita aria fritta. [1987]

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Bagnanti perplessi Bagnanti sotto l'ombrellone, perplessi. Ritornano gli amici per le consuete vacanze romagnole. Appena t'incontrano, polemizzano. Hanno la dolcezza di chi ama questi luoghi, e la rabbia di chi capisce che, in casa nostra, si stanno sbagliando parecchie cose, circa il futuro più vicino. Mi dicono: «Rimini come spiaggia è imbattibile, un litorale così non si trova da nessuna altra parte, l'acqua del mare (…quasi sempre) è pulita, in albergo ci trattano bene, mangiamo anche troppo, non ci manca nulla. Ma…». Apro bene le orecchie. «Ma, voi riminesi non sapete più vendere decentemente la vostra ospitalità», proseguono. Gli amici citano sùbito un esempio concreto. In primavera, è saltata fuori la questione dell'aids. Sembrava che solo Rimini, in tutt'Italia, presentasse il pericolo del contagio. «Noi, qui ci veniamo ormai da una vita», proseguono: «Una famiglia di classe media, con quattro persone, ci vive due settimane di mare stupendo, e non si dissangua. Però, a Torino dove abitiamo, ai conoscenti non raccontiamo di vacanze trascorse a Rimini. Si fa la figura dei pezzenti, perché l'immagine che della vostra zona emerge dalle cronache dei giornali, è quella di luoghi impossibili. Non sapete più reclamizzarvi, non c'è più orgoglio di un primato turistico indiscusso. Anzi, vi prendete a schiaffi da soli». In tanti anni che tornano, nessuno gli ha mai chiesto il perché della loro fedeltà. Forse gli intervistati risponderebbero che a loro non interessa nulla del casinò sul Marano o sul Titano, che un pò di calma e silenzio favoriscono il riposo e la salute… Cioè, esprimerebbero idee troppo antiche per il “nuovo” turismo, e correrebbero il rischio di essere espulsi come ospiti indesiderati. [1987]

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Tiberio o Dracula? La fine dell'86 ha portato la prima rivoluzione del traffico. Tutto va bene o quasi, tranne che nel Borgo San Giuliano. Dal ponte di Tiberio si transita soltanto entrando in città, e quindi il numero di passaggi di auto è diminuito paurosamente. Si respira meglio, ma la gente è tanto assuefatta all'ossido di carbonio ed al piombo della benzina, che non assorbendone nel sangue la vecchia dose, va in crisi d'astinenza. I borghigiani vorrebbero assediare Palazzo Garampi. Quelli della sezione pci di San Giuliano continuano a brontolare anche contro il necessario, nuovo semaforo alle poste di via Matteotti, in un incrocio da kamikaze. Abituati agli scarichi delle auto, sono anche assetati di sangue? È pur vero che il conte Dracula veniva dall'Est, ma era un nobile e non un proletario. [1.11.1987] Per la sezione pci «M. Cappelli», mi scrive tra l'altro Augusto Nicolò che la mia «satira, mascherata da un sottile e velato sarcasmo dell'orrore», poteva meglio rivolgersi a «pungolare le “natiche” di qualche “vicino di casa”». Per il gruppo dc del consiglio di quartiere n. 5, Enrico Ghinelli ribatte a Nicolò: «Preferiamo essere presenti nelle sedi istituzionali… anziché sollevare polveroni con il metodo di gettare il sasso in piccionaia per poi ritirare il braccio». Da parte mia, rispondo a Nicolò che, non essendo un politico, credo che i problemi si risolvano non pizzicando le natiche, ma usando la testa. E ripropongo una domanda già espressa in precedenza: perché l'anello mediano tra la nuova e vecchia circonvallazione (che richiedeva anche un ponte sul Marecchia), è rimasto incompiuto nell'ultimo tratto? Volontà pubblica od interessi privati? Nessuno mi ha mai risposto. Perché? [22.11.1987]

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Tranquilli!!! Qualcuno al giornale temeva che le domande a proposito del fantomatico ponte sul Marecchia (previsto nel piano regolatore di 20 anni fa), provocassero una valanga di risposte. Le grandi sedi istituzionali cittadine, in apparenza non si sono degnate né di uno sguardo né di una parola. Tranquilli! Ce la siamo cavata con poche righe che non affrontavano il problema, ma erano una semplice beccata a livello di consiglio di quartiere tra opposte fazioni politiche, sul traffico nel Borgo San Giuliano. In Municipio e nei partiti, avranno mugugnato qualcosa che è facile immaginare, ma che ufficialmente non diranno mai. Con quest'affermazione, corro il rischio di inserirmi tra quanti (secondo la formula di un assessore), sono presi da «una sorta di catastrofismo moralistico». Va bene. Corriamolo, il rischio: ma precisando alcune cosucce di contorno. Oggi va di moda definire qualunquistica ogni critica al potere. In democrazia, va rispettata come sacra l'espressione della volontà popolare che si identifica in quel potere: ma, perbacco, sacro è anche il diritto di critica. In Italia, non piace troppo il principio della stampa come quarto potere. I politici vorrebbero i giornalisti metà come schiavetti e metà come giullari. La professione del cronista, già difficile a livello nazionale, diventa un'impresa di complessa gestione e digestione nelle città “piccole” come Rimini. Per evitare tentazioni d'arroganza, considero il giornalismo come un servizio da svolgere, senza investitura alcuna, ma con la testarda volontà di registrare le cose, non al fine di compiere crociate, bensì di contribuire al bene comune. «Ma che altro significa dissentire, se non avere un modo si sentire unitario?», scriveva San'Agostino. [20.12.1987]

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1988 Lodevole modestia Quanti sacrifici debbono sopportare tutti questi ricchi signori costieri che operano nel settore dell'ospitalità, per mascherare le loro misere denunce dei redditi. Per fortuna, all'Ufficio imposte sanno che le cose del nostro turismo non vanno troppo bene: lo hanno dichiarato a chiare parole, facendo infuriare gli onorevoli Piro e Capacci. Sappiamo anche noi che c'è la concorrenza dei vuccumprà, delle lucciole austriache, dei pizzaioli napoletani che lavorano in nero, non si sa se per questioni di eleganza o per lutti di famiglia. E se non pagano le tasse tutti costoro, perché dovrebbero pagarle le uniche persone oneste che ci sono sulla piazza, cioè albergatori, bagnini, esercenti di attività commerciali, bar, discoteche, eccetera, oltre a qualche avvocato: cioè tutti quanti presentano una regolare denuncia dei redditi? Sono i pochi che lavorano alla luce del sole (eppure non si abbronzano), faticano tutto il giorno, e lo Stato dovrebbe punirli, tartassandoli a più non posso? Per carità, ad ogni cosa c'è un limite. Esagerare non è mai educativo. Anzi, lo Stato dovrebbe essere riconoscente a questi limpidi evasori fiscali, ammettendo che svolgono una funzione socialmente utile: non presentandosi come ricchi, sono un evidente esempio di modestia. Gente che deve sopportare i sarcasmi plebei, la fatica del lavoro e della gestione dei capitali, senza che nessuno se ne accorga. È vero che ogni tanto ci scappa qualcosa che fa sospettare tante ricchezze, però spesso si tratta di pettegolezzi di invidiosi, più che di certezze da affidare agli uomini della Guardia di Finanza. Ma peggio di tutti stanno i sindaci, costretti con 5 milioni all'anno a far vita da fachiri: mai un gelato, mai un libro, mai una cravatta. Infatti, indossano soltanto la fascia tricolore. [1988]

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La disfida di Burletta È bastato che il nuovo «Dizionario ragionato» della lingua italiana di Angelo Gianni e Luciano Satta, registrasse ”riminizzare” (cioè deturpare il paesaggio con troppo cemento), per far innervosire parecchia gente. Il vocabolario non inventa, ma raccoglie. Gianni mi scrive: «Il gran chiasso che è stato fatto è dir poco chiamarlo privo di senso. I lessicografi sono dei notari, non dei creatori di voci! “Riminizzare” è persino nell'appendice del Devoto-Oli. Del resto noi dicevamo chiaramente che Rimini “era stata elevata a simbolo di un fenomeno diventato comune a tutta la penisola”. Non è colpa nostra». Prendersela con i curatori del dizionario, è come accusare un radiologo di offese se ci diagnostica un'ulcera: invece di indignarci con loro, dovremmo spiegarci l'origine della parola. “Rapallizzare” (nello stesso senso di guastare l'ambiente naturale con eccessive costruzioni), è consacrato dallo Zingarelli (1984), e si trova nel «Dizionario delle parole nuove 1964-1984» di Cortellazzo-Cardinale che rimanda a due citazioni: del medesimo Satta (1974) e di Antonio Cederna (1981). Lo stesso Cederna potrebbe avere scritto di Rimini dicendo che era peggio di Rapallo. Forse basterebbe sfogliare la raccolta dell'«Espresso». Oppure ricercare qualche intervista dell'arch. Cervellati che parlò di Rimini, Riccione e San Marino come di un «triangolo dell'orrido». Ma proprio nella città di «Amarcord» si è voluto dimenticare il passato. Il cemento? E chi lo ha mai visto? Nando Piccari, ex federale del pci, ha detto che quel dizionario usa un termine di cui è evidente «la natura gratuita, falsa ed offensiva», chiedendo al sindaco Conti di prendere provvedimenti. Quali? Forse una «disfida di Burletta»? [1988]

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Il piccolo chimico La Regione ha fatto svolgere un sondaggio tra 70 cronisti che lavorano in testate di provincia ed in pagine locali di giornali nazionali. Il quadro è negativo: troppo spazio alle voci del potere, superficialità nelle notizie (redatte spesso sulle tracce di un comunicato ufficiale), la cronaca nera regna da signora, scarsa attenzione a cultura ed economia. Al Circolo della stampa di Bologna, in un dibattito si è detto che il giornalismo locale spesso fallisce l'obiettivo primario, stare dalla parte del pubblico. Un intervento ha sottolineato come alcuni giornalisti amino un pò troppo «ricalcare le orme delle vedette». Sono quelli che da bambini, invece del “piccolo chimico”, hanno ricevuto in regalo dalla befana la scatola del “grande cronista”: crescendo, in loro è rimasto il desiderio di primeggiare, e ne approfittano appena possibile. La «Gazzetta» ad esempio urla: «Circa 10 ricette a testa con prodotti inutili», e presenta la «mappa riminese di tutti i farmaci “fantasma”». Sembra di intravedere un Salgari indigesto dietro qualche cronista stile “Ferrarelle, gasato naturale”. (Questo commento, nella redazione locale della «Gazzetta», è stato affisso con un simpatico «wanted» da film western, nei miei confronti. Ad altri poteva andare peggio: quando, per salvare il mare, i commercianti hanno spento le luci dei negozi per 5 minuti, qualcuno di loro avrebbe voluto anche spaccare le ossa ai cronisti, come ha riferito il «Corriere della Sera»). Ci sono giornalisti che si buttano con generosità nei servizi, ma i racconti poi corrispondono lontanamente al mondo reale. La speranza è che i posteri, riprendendo in mano le cronache di questi nostri anni, le travisino a tal punto da ristabilire involontariamente la verità. [1988]

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E agli astemi? I giornalisti sono influenzabili attraverso omaggi e doni? Vittorio Monti sul «Corriere della Sera», stendendo un «piccolo inventario delle cortesie natalizie di cui è stato oggetto», cita «sei bottiglie di Trebbiano e Sangiovese, pensiero della promotion riminese che ci tiene ad avere buoni rapporti con la stampa per via del turismo…», e precisa: «Potrà servire aggiungere che sono astemio». Dalla frase di Monti, sembra di capire che ad inviargli il regalo sia stata l'Apt, Azienda di promozione turistica, nel sano intento di richiamare l'attenzione dei cronisti (forestieri…) sulla nostra Riviera. Circa la scelta dell'oggetto, non ci sono obiezioni: forse qualcuno avrebbe preferito inviare acqua minerale, più parente del mare che non il Trebbiano? Avrei soltanto una curiosità, conoscere il testo che ha accompagnato quegli auguri. Piero Leoni, presidente dell'Apt, oltre che di un fascino hollywood-berlusconiano che esprime posando per pagine patinate, è anche pieno di fantasia. Come dimostra il marchio delle manifestazioni locali che, con il nome della «Città del sole», dice di aver preso in prestito da un incolpevole filosofo del 1600, Tommaso Campanella. E come dimostra un altro marchio (indigesto quasi a tutti), quello della stessa Apt, in cui si riproduce con grande fedeltà la situazione del suo ente: quel «gomitolo» in stile lana Gatto sembra richiamare il groviglio di pie intenzioni, velleità e speranze che si sono mescolate nel pentolone della folle riforma delle Aziende di soggiorno. Inviando le sei bottiglie, l'Apt di Rimini, consapevole che nulla di nuovo è stato finora fatto per riqualificare il nostro turismo, forse avrà scritto queste sincere parole: «Come la diamo a bere noi, non c'è nessuno…». [1988]

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Un pò d'orgoglio In Italia ci sono 18 milioni di persone schedate. Per ricevere la cortese attenzione, basta soggiornare in albergo per una notte: dal cartellino al computer il passo è breve. Da tanti anni girano fascicoli illeciti, documenti resistenti ad ogni fuoco, ma non alla tentazione di chi vuol leggerli od usarli, magari per ricattare qualcuno. Delitti “eccellenti” come quello del giornalista Pecorelli, ruoterebbero anche attorno a quelle carte sospette e sospettose. Queste due notizie ne introducono una terza, tutta locale. Nel corso delle indagini sull'assassinio del sen. Ruffilli, viene perquisita a Misano la casa di Vanna Villa, segretaria della Fgci di Rimini. Se tutti possiamo essere nel mirino dell'antiterrorismo, allora nessuno sa niente di nessuno. Il tremendo caso Tortora, con quasi 200 persone arrestate per omonimia, dunque, non ha insegnato granché. Bastava chiedere una carta d'identità, per accorgersi della confusione. Niente. Viva il diritto, il rovescio e la loro patria. Per ricevere la cortese attenzione di qualche competente ufficio statale, talvolta basta poco, anche una polemica giornalistica. Enzo Biagi ha lucidato i raggi del sole socialdemocratico, tirando le orecchie a persone finite con i loro illustri nomi in qualche fascicolo giudiziario. L'ex ministro delle Finanze Luigi Preti commenta: che vuole questo Biagi che oltretutto non paga le tasse? Molti anni fa mi capitò di criticare in un articolo un'iniziativa (pseudo) culturale patrocinata a Rimini proprio dall'allora ministro delle Finanze Preti e da un suo portaborse. Qualcuno gentilmente mi fece poi sapere che la Guardia di Finanza aveva indagato sul mio conto. La risposta di Preti a Biagi, mi fa fremere d'orgoglio. Ci ha onorati entrambi della medesima attenzione. [1988]

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1989 Numeri “intelligenti” La statistica è importante. Non date ascolto a chi afferma il contrario. Essa ci dimostra, prove alla mano, che in Italia su 100 persone, ben 102 sono gli “intelligenti”. Siccome appartengo a quanti vengono contati dal centotré in avanti, e quindi non rientro nella benemerita categoria, fatìco nello spiegarmi certi fatti. Le persone “intelligenti” sono quelle che non decidono soltanto per loro, ma anche per gli altri. Se un capufficio delibera una fesseria per i suoi dieci impiegati, il suo atto fa salire la percentuale di “intelligenza” dal 100% relativo alla sua persona, al 110% totale. La cifra è ricavata da una facile somma in cui il secondo addendo deriva dal numero delle persone coinvolte oltre al soggetto interessato. Immaginatevi a quale quoziente possono arrivare i leader politici. A quale livello di “intelligenza” farà salire globalmente la nostra zona quell'agricoltore che così si racconta? «Quando passo i veleni al mio raccolto, non mi preoccupo di rispettare i termini di tempo previsti, prima di staccare il prodotto dalla pianta e di immetterlo sul mercato. Non mi preoccupo, perché non lo offro ai romagnoli, ma lo spedisco in treno verso Milano». Questo agricoltore non solo può avvelenare un altissimo numero di persone con poca spesa (ed in ciò alcuni studiosi individuerebbero un'attenuante sotto il profilo economico), ma può anche agire in tutta tranquillità d'animo, perché se occhio non vede, cuore non crede. L'“intelligenza” si accompagna sempre ai buoni sentimenti. Quale sarà dunque il quoziente di questo “intelligente” contadino riminese? Non so rispondere, sono fuori gara perché, lo ripeto, vengo dopo i 102 che occupano i primi posti. E, modestamente, me ne vanto. [1989]

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Il tempo delle mele La storia delle mele è partita da Rimini. Primo tempo. Controlli dell'Usl 40 accertano che, per farle maturare in fretta, alcuni grossisti del mercato ortofrutticolo usano il dibromoetano, composto proibito per usi alimentari, su cui si hanno forti dubbi di cancerogenicità. Secondo tempo. La notizia fa il giro d'Italia, l'allarme diventa generale. Si scopre che il dibromoetano è consentito per agrumi e banane, dove i residui del gas sono tollerabili in misura venti volte inferiore al livello scoperto a Rimini nelle mele, per le quali la sostanza è vietata. Terzo tempo. Il gas si disperde, lasciando però nella frutta i suoi effetti perversi, come spiega il prof. Ponzoni della nostra Usl, che ha scoperto le mele “drogate”. Il pretore dissequestra la frutta, anche se essa non è più commestibile perché i grossisti riminesi hanno usato il dibromoetano direttamente nelle celle frigorifere, senza depurarlo con altro apposito prodotto, e limitandosi ad una reazione empirica con lo zinco. Quarto tempo. «I Carabinieri del Nas (Nucleo antisofisticazioni) ridimensionano l'allarme», scrivono i giornali del 15 marzo. Ci vogliono tranquillizzare. Il presidente della Federmercati dichiara: «La raccolta delle mele è avvenuta tra settembre e ottobre. Se fossero state trattate, gli eventuali additivi chimici si sarebbero già volatilizzati». Ma il problema è opposto: le mele vengono trattate subito prima della vendita, per trasformarle da verdi in mature, come ha spiegato anche il Nas. 16 marzo: «Le mele italiane non uccidono» gridano in coro produttori e Ministero dell'agricoltura. È vero. Non uccidono. Ma forse dànno una buona mano. [1989]

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Gradisca Non si muove foglia che Fellini non voglia. Il regista mi piace, è un genio. Mi vanno stretti invece i suoi imitatori che, continuamente, tirano in ballo l'autore di «Amarcord». Proprio in questo film c'è Gradisca che, all'arrivo del federale, inneggia al duce, mentre il podestà proclama che l'Adriatico è sempre stato il più fascista dei mari. Con il nome di Gradisca, all'Apt hanno ora battezzato un progetto informatico sulle disponibilità alberghiere. Dopo il richiamo alla filosofia, con la «Città del Sole» di Campanella (titolo che aveva etichettato tutta la costa del circondario), si scomoda una figura felliniana, sull'origine del cui nome esistono due versioni: quella patriottica, legata ad una località carsica del primo conflitto mondiale; e quella più accreditata, derivante da meno nobili ideali (sempre di disponibilità alberghiera in fondo si trattava), con quella terza persona del verbo gradire coniugato proprio all'epoca in cui non si usava il lei, ma il solenne voi della clownerie fascista. Il dott. Piero Leoni, non quale presidente dell'Apt, bensì quale comunista, propone di ribattezzare il turismo come «industria delle relazioni». Legittime o adulterine? A Riccione, scrivono i giornali, il sindaco Pierani «provoca un brivido d'emozione» al neonato club degli amici della Perla Verde. Sempre a Riccione, l'estiva «Radio festa» è annunciata così: «Una scena nuova per vedere, guardare, sfiorarsi; tra le quinte l'evento che ascolta se stesso, lo vede e lo evoca. Si apre la corte nuova, e l'aedo ormai antico, la radio, lo canta». Sembrano versi di D'Annunzio. In questo clima un poco demodé, Riccione viene definita «la Cortigiana». Peccato che il termine un tempo non fosse molto lusinghiero. Vero, Gradisca? [1989]

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La presa della battigia In questo luglio che celebra i duecento anni dalla presa della Bastiglia, alghe e mucillagine hanno conquistato la battigia. Gli operatori turistici avanzano al governo due richieste: ricevere un indennizzo per stato di calamità naturale, e non pagare le tasse per almeno dieci anni. Dopo si vedrà. Scandalizzati, gli inviati speciali più esperti della nostra costa, pubblicano i dati ufficiali sui redditi di questi operatori turistici protestanti. I veri ricchi chi sono? Un albergatore, alla riunione di categoria, risponde senza dubbi: i neri. «Certuni spediscono in Africa vaglia di due milioni. Sono soldi nostri». Domenico Gallo, segretario della Confesercenti, precisa che i commercianti non ce l'hanno «con gli extracomunitari», cioè con i neri («che non arrecano danno economico»), ma con gli organizzatori dell'abusivismo, meridionali di Napoli e Bari, camorristi che trattano i neri come negri. Il clima è infuocato. La «Gazzetta», infatti, illustra l'«allarme per il mare» con la foto del celebre carro armato alleato, all'arco d'Augusto, il 21 settembre 1944. Sulla «Stampa» (il cui corrispondente continua a descrivere Rimini come un luogo di ritardati mentali), si legge che «con i campionati dei culturisti e dei “vitelloni” la costa adriatica vuole scordare l'estate delle alghe». Sergio Zavoli sostiene: «In realtà Rimini ha puntato più ad apparire che ad essere. È indubbia la sua capacità di essersi costruita da sola, di basarsi su un'economia cresciuta dal nulla. Ma è una città che non produce cultura». La botte dà il vino che ha. Gli operatori turistici, infatti, accusano: i marocchini sono padroni della spiaggia, la strada è in mano ai travestiti, ci sono più zingari che a Napoli, e i governanti «ce l'hanno fatta addosso». [1989]

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Ieri e domani Se una sera d'inverno un viaggiatore sostasse a Rimini, e volesse farsi un'idea, attraverso i giornali odierni, di quanto successe nei giorni tragici del settembre '39, il nostro ospite apprenderebbe soltanto di un pittore ungherese che esponeva al Kursaal, di uccellini che cinguettavano allegramente nel sole, di un nonno che moriva dopo una vita da antifascista e, in mancanza d'altro, di come andò la stagione turistica del 1940, tra coprifuoco e musiche allo stesso Kursaal, chiamato «Casino municipale», per difesa della lingua. Un balzo in avanti nel tempo. La guerra. Il nostro viaggiatore, leggendo della gentilezza d'animo dei tedeschi, che salvarono arco e ponte, potrebbe commuoversi e pensare che le atrocità del conflitto siano un'invenzione polemica. Con il sacrificio dei Tre Martiri, il conto è presto liquidato: li si descrive «denunciati ed arrestati per l'incendio di una trebbiatrice», ma non si dice che furono impiccati quali partigiani. Se tra 50 anni, una sera d'inverno un viaggiatore sostasse a Rimini, e volesse sapere qualcosa di questi nostri giorni, che cosa leggerebbe nei giornali odierni? La scenografa Margherita Palli, a Rimini per una rappresentazione teatrale, definisce la città in «condizione di estremo degrado». È vero, ma Rimini è rinata dal nulla dopo le vicende belliche, senza l'aiuto di nessuno. Alle giornate del «Pio Manzù», il solito inglese Theo Crosby, sovvenzionato per parlar male di Rimini, che gli piace meno di Londra, discute del futuristico tema: «Dalla metropoli-centauro alla città dolce». Intanto, l'inviato speciale della «Stampa» confonde il ponte di Tiberio con «l'alveo quasi secco del Rubicone». [1989]

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1990 Salotto? C'era una volta la fontana dei Quattro cavalli, ripristinata con spirito civico («come era, dove era») da Umberto Bartolani nel 1983. È un simbolo di tante cose. In origine sorgeva un poco più avanti, verso il mare. Negli anni '50, fu vista come un ostacolo ad una grande arteria che dal porto canale conducesse fino a Riccione. Venne demolita e dispersa: i cavalli pascolarono amaramente nel parco Marecchia, sotto l'occhio svagato dell'infanzia in gioco. Altrettanto, o forse più svagati, gli amministratori. In quel dopoguerra, c'era il Grand Hotel, venduto dall'Azienda di soggiorno alla simbolica cifra di una lira. C'erano le palazzine Milano e Roma: nella prima, al pianoterra, aveva sede l'Azienda di soggiorno. Nella seconda, si trovava l'hotel Parco, il cui motto era l'«Hic manebimus optime» di Livio, riproposto dal gestore, uno squisito avvocato romano, Gino Barucci. L'antico nome del piazzale (Parco della Rimembranza), ed i severi busti di ancora più antichi personaggi, non avevano nessuna attrattiva turistica moderna. Ben presto, anzi, il luogo divenne infrequentabile, per le cattive compagnie che lo bazzicavano, grazie ad una decisione delle “competenti autorità” che non avevano saputo trovare altro luogo dove sbattere i protagonisti dei viali del vizio, per lasciare “pulito” il resto della città. Gli operatori turistici di Marina Centro ora si lamentano che il loro salotto è in crisi, inventando un passato di splendori più sognati che reali. Soltanto il ripristino della fontana rese frequentabile la zona che era un passaggio impossibile, di notte e di giorno. Ci fu consumato pure un delitto. Quasi di fronte al Grand Hotel, venne uccisa una ragazza. Altro che salotto, era un buio androne. [1990]

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Palermo non è Rimini Egregio signor Questore di Forlì, mentre l'estate '90 va in archivio, aspettiamo la sua conferenzastampa di fine stagione, in cui ribadirà ancora una volta che Rimini «non è Palermo». Su questo non ci piove, la geografia non ammette smentite. Lei sostiene che i fenomeni mafiosi, da noi, non esistono. Nessuno può darle torto, anche se molti nutrono forti dubbi. Tutto sta, forse, nell'intendersi sulle parole. Mafia, camorra, 'ndrangheta sono marchi registrati di cui è vietata l'importazione? Oppure sono "suggerimenti" che qualcuno potrebbe raccogliere e poi sviluppare a proprio piacimento? Certi misteriosi incendi sono variazioni sul tema del racket, oppure esercitazioni per i Vigili del fuoco? Il giro di affari della prostituzione, è artigianato turistico? Il denaro “sporco” (di cui qualcuno parla), passa per le banche o nelle lavanderie? Per tranquillizzare tutti noi, lei sostiene che in Romagna c'è soltanto piccola criminalità, non quella grande, presente altrove. Se uno, per uno scippo, finisce all'ospedale e resta invalido, tante distinzioni non le fa. Punti di vista, appunto. Giusto, ma si tratta di vederci bene. Un esempio: a Riccione, in giugno, arrestano per un furto d'auto uno slavo pluriomicida, ma nessuno (neppure a Rimini) si accorge di lui: il reo subisce il processo sorridendo, ed ottiene dopo la condanna la giusta libertà provvisoria. Per poter poi ammazzare, sembra, altre sei persone in due tornate. Questo slavo, Lyubisa Urbanovic, aveva una base tra Santarcangelo e Rimini, dove era già stato arrestato in precedenza. Secondo il suo avvocato, è un tipo che si nota bene, per aver «il petto coperto da spaventose cicatrici». Per pudicizia, carabinieri e poliziotti non lo hanno mai fotografato “nature”? [1990]

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Forzutini Clodoveo Sulle origini della nostra industria balneare, buoni lumi ci forniscono l'Enel ed il noto storico Clodoveo Forzutini il quale scrive nel suo pregevole testo «Pagine gialle dal sangue blu, aristocratici e plebei in una città di provincia»: «Sul litorale romagnolo, ci sono le poverazze, così dette perché cibo un tempo poco costoso, anche se molto apprezzato. Con il procedere del turismo, quanti lavoravano nei pressi della riva dove trovavansi in abbondanza le dette poverazze, venivano chiamati con senso di ammirazione poverazzi, così come dalla parola bagno deriva bagnino». Con l'andar del tempo, ci fu un'identificazione tra poverazzi e bagnini. Trascorrendo altri anni ed altri secoli, per le ignote ragioni che guidarono le antiche lingue, nel corso della loro evoluzione, i poverazzi divennero più modernamente poveracci, restando però misteriosamente bagnini. Il Forzutini annota, con la consueta perspicacia critica che dobbiamo riconoscergli: «Nel corso di questo XX secolo, tra gli altri fatti straordinari ed impensati, avvenne che si rovesciò il problema linguistico, a dimostrazione di come le parole siano semplicemente uno strumento con cui si può abilmente giocare per dire tutto ed il contrario di tutto, al pari delle denunce dei redditi (o “740”). Se infatti prima i poveracci erano anche bagnini, adesso perché i bagnini sono soltanto poveracci?». Nonostante la stranezza della formulazione, il quesito del Forzutini ha una sua validità storica ed un suo fondamento logico, soprattutto se si considera che tale Rino Formica, ministro italiano delle Finanze, ha testé dichiarato che tutti i bagnini nazionali denunciano miserie di reddito. Il che non significa, ovviamente, che essi abbiano redditi da miseria. [1990]

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Noè, cioè Il 10 giugno 1940, l'Italia dichiara guerra all'Inghilterra. Cinquant'anni appresso, il 25 giugno 1990, dopo una vittoria pallonara contro l'Uruguay, qualche tifoso italiano vuole la sua sfida privata contro gli sportivi inglesi. Televisione, radio e «Carlino», il 26 mattina, ci raccontano che gli incidenti di Rimini sono stati provocati unicamente dagli hooligan inglesi. Rogne c'erano già state a Cagliari, il cui vicequestore Antonio Pitea aveva ammonito che «il grande e vero pericolo è rappresentato dagli ultrà italiani. L'unica scintilla può scoccare di lì». Testimoni neutrali ci raccontano di riminesi che giravano per i viali della Marina, esibendo regolamentari mazze da baseball. Cercavano lo scontro a tutti i costi. Ciò rimette in discussione ogni notizia che attribuisce agli inglesi il marchio esclusivo della voglia di menar le mani. Basta già questo per invitarci ad una riflessione sulla nostra mentalità. Cerchiamo sempre il "nemico" a cui attribuire tutte le colpe. Ieri, erano i vuccumprà. Oggi, sono i teppisti inglesi. Autorità locali e provinciali si erano incontrate ripetutamente per mettere a punto un piano dettagliato per l'ordine pubblico. La memoria corre verso i "pattuglioni" della scorsa estate contro i venditori abusivi di colore. La caccia alle farfalle, l'avevano organizzata come se si fosse trattato di catturare elefanti. Quando poi gli elefanti sono arrivati, si è sperato di risolvere tutto vietando la vendita degli alcolici. Si sono tenute d'occhio le birre destinate agli inglesi, e non si sono viste le mazze impugnate dagli italiani. Alla prova dei fatti, c'è la conclusione del prefetto: «Sarebbe stato meglio evitare ogni tipo di scontro». Cioè, come diceva Noè, se non pioveva… [1990]

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Addio, Monti La fuga di Basagni, Cardellini & c. dalla redazione del «Carlino» a quella del «Messaggero», nelle prime ore del 20 febbraio, rispolvera dai «Promessi sposi» il capitolo della «notte degl'imbrogli e de' sotterfugi». Nessun s'offenda. Ma quei cronisti che scappano, armi e bagagli appresso, stuzzicano il rimando ai bravi di don Rodrigo, «cattiva gente, gente che gira di notte». I nostri non preparavano però nulla di male, realizzavano soltanto un piano predisposto la sera prima. Proprio come Renzo e Lucia, che avevano deciso lo scherzo di presentarsi davanti a don Abbondio, e di dichiararsi marito e moglie, presenti due testimoni. Lorenza Lavosi sulla «Gazzetta» ha descritto l'incontro tra Renzo e Lucia (pardon, Basagni e Cardellini) con il padre Cristoforo (scusate, l'austero Mario Pendinelli, direttore del foglio romano): «Nella stanza dei bottoni… sarebbe entrato solo Andrea Basagni accompagnato dal fido Silvano Cardellini». Nell'abbandonare la sede di piazza Cavour, verso ingaggi che vengono definiti favolosi, i nostri ripensarono ai lunghi anni trascorsi in quegli uffici, ed intonarono l'«Addio Monti», con la maiuscola, come il nome del cav. Attilio, padrepadrone del foglio bolognese: «Addio Monti, sorgente come un Paperon de' Paperoni da mucchi di soldi che abbiamo visto soltanto di lontano, con occhi golosi. Addio vecchio giornale, dove entrammo giovani e abbiamo consumato notti insonni. Addio Piazza Cavour, addio caffè Vecchi che ci rallegravi ad ogni ora del giorno e della sera con un the caldo ed una brioche, addio». Quella famosa notte si concluse con l'arrivo della comitiva al «Messaggero», nella stanza dei bottoni. Anzi, dei bottini. [1990]

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1991 Sgarbi e Biscardi Non ho ancora capìto nulla della discussione che, da vario tempo, si sta svolgendo a Rimini sul «rapporto tra pubblico e privato». Rimini nel Dopoguerra è stata ricostruita interamente dai privati. Lo Stato, oltre a riscuotere le tasse ed a sistemare i binari della stazione ferroviaria, non ha fatto nulla o quasi. Anzi, la città è sempre stata punita dallo Stato: nessun'opera doveva essere concessa ad un'amministrazione comunale che era all'opposizione rispetto al governo romano. Passati quegli anni di fervida attività (svolta ricorrendo anche a strumenti moralmente discutibili, come l'evasione fiscale, il lavoro nero, ecc.), ci si è dimenticati di tutto questo, e da poco si è cominciato a dire: «Basta con l'Ente pubblico che vuol fare tutto lui. È giunta l'ora di coinvolgere anche il settore privato!». Veramente a Rimini l'Ente pubblico (il Comune) ha fatto ben poco, e quel poco è un mezzo disastro, come il nuovo porto canale, dove il mare mosso sommerge le banchine; oppure l'eterno cantiere del ponte di Tiberio, che da vent'anni non approda a nulla. O quasi. La storia del Dopoguerra, può riassumersi in una semplice parola, speculazione. Però, occorre aggiungere che essa avvenne con il beneplacito «delli superiori», del quale hanno goduto tutti, maggioranze e minoranze. Dimostrateci che è avvenuto il contrario. Per il futuro, il nuovo «rapporto tra pubblico e privato», vuol ripetere questo modello, favorendo un maniera ancora più forte il settore privato? È lecito che, per far guadagnare pochi, si distrugga un patrimonio naturale che è di tutti? Ci spaventa l'idea di tanto cemento che si vuol far colare sulla spiaggia. Ogni epoca ha diritto alle sue stupidità? Nell'età di Sgarbi e Biscardi, forse è inevitabile un nuovo scempio di Rimini. [1991]

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Al bar Sport Il 9 aprile, contro il campo nomadi di Torre Pedrera, hanno lanciato una bomba molotov: «Solo per caso non c'è stata una strage. Anche quattro bambini hanno rischiato la vita», scrive un quotidiano. Agli “zingari”, quando hanno colpe, bisogna dargliele tutte, senza sconti. Ma ciò non giustifica le molotov. L'odio nei loro confronti, ha detto don Benzi, «sta crescendo soprattutto tra i giovani». Abituati a sentirsi dare sempre ragione da una società che li corteggia per i loro immensi consumi, questi giovani non pensano al di là del proprio egoismo. A loro, diceva «largo» Mussolini, e sappiamo come è andata a finire. Oggi, idem: porte aperte ai ragazzi, soltanto perché essi spendono, tra mode e modi di una società che emarginerà sempre di più i vecchi. Una maggioranza parlamentare pro eutanasia non sarà difficile trovarla, magari in cambio di qualcosa. Pessimismo? Sentite qua: a Rimini, «se la giustizia civile è morta, quella penale è moribonda». Così, il procuratore della Repubblica, Franco Battaglino, in un incontro del Rotary a Misano. Chissà perché le grandi notizie si apprendono soltanto ai banchetti della gente importante. Battaglino ha aggiunto che «nessuno ci assicura che lo spaccio della droga in Riviera non abbia collegamenti con vertici mafiosi». Di chi è la responsabilità? «Siamo tutti colpevoli», come diceva un giornale, sulla sconfitta della Juve a Barcellona? Mi ritorna in mente quel massaggiatore di una clinica cittadina che doveva curarmi i reumatismi per 10 minuti “mutualistici”, e se la cavava con tre scarsi, bombardandomi però di lamentele contro gli italiani disonesti. Non gli ho mai chiesto se lui si considerava francese o tedesco. Egregio procuratore, «nessuno ci assicura»? Se non le sa lei, certe cose, le dobbiamo chiedere al bar Sport? [1991]

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Villa Amarena Spesso i quotidiani locali mi fanno venire in mente il malinconico salotto di Nonna Speranza, cantato da Guido Gozzano: «Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone, i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto)». Su questi fogli, c'è una sfilata di personaggi, che richiama quella descritta da Gozzano: «Giungeva lo zio, signore virtuoso, di molto riguardo, ligio al passato…; giungeva la Zia, ben degna consorte, molto dabbene, ligia al passato…». Personaggi che esprimono le loro opinioni, sempre autorevoli ed importanti, come quelle dell'«inclito collegio politico locale» che s'adunava nella Villa Amarena, citata da Gozzano in un'altra lirica. Uno di questi personaggi mi sembra G. F. Dasi quando scrive, a proposito della guerra del Golfo: «Noi, dalla parte di chi sta a casa comodo non ci vogliamo stare». Ahi, ahi: è la vecchia storia del «panciafichismo», usata nel 1914 per accusare neutralisti e pacifisti di voler «salvare la pancia per mangiar fichi». Il ministro degli Esteri De Michelis, gran capo di Dasi al Pio Manzù, ha cinicamente sostenuto: «Se la guerra del Golfo durerà fino ad un massimo di sei mesi, assisteremo a un rilancio dell'economia mondiale». Mi spiace, ma non ci sto a veder crescere gli attivi di bilancio, in cambio di tanti morti. Calma, signori. Caro Dasi, plachi i suoi furori guerreschi: «A costo di pagare un tributo di sangue, sarà pace!». La guerra non ha mai generato pace. E, per favore, non strapazzi la sintassi latina, con quel «memento docet» che non dice nulla. Sono due verbi: «ricordati», ed «egli insegna». Arrossisco, facendo questa osservazione, ma come Dasi vanta «urbi et orbi» le sue amicizie altolocate, io oso sfoderare qualche latinuccio che mi costò lunghe fatiche. De hoc sufficit. [1991]

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Autostop, please Guido Gozzano scriveva: «“Una cocotte!” “Che vuol dire, mammina?” “Vuol dire una cattiva signorina”». Una di «quelle», insomma. Una signorina (inspiegabilmente, spiegava Enzo Biagi) detta «allegra». Il repertorio lessicale non manca di altri sinonimi. Nelle «piccole pubblicità» dei quotidiani, si è passati dalle massaggiatrici (a cui ignari pensionati reumatici ricorrevano, ricevendo in cambio poco romantiche profferte), alle più recenti astrocartomanti. La cronaca nera locale ha scoperto che, anche sotto la voce pranoterapia, astutamente si celava il più antico mestiere del mondo. A proposito del quale, nessuno però finora aveva dimostrato la fantasia espressa dal sindaco di Rimini in un'intervista concessa al «Messaggero». Interpellato a proposito della nuova isola pedonale a Marina Centro, al cronista che gli faceva osservare come le passeggiatrici non fossero sparite dal lungomare, contro le aspettative delle autorità, l'ing. Marco Moretti rispondeva: «Io personalmente non le ho viste. Chi sostiene il contrario dice delle stupidaggini. Le prostitute non ci sono più. Se qualcuno confonde delle ragazze che fanno l'autostop per delle prostitute prende un abbaglio». Egregio sindaco, quindi, «autostoppiste» dobbiamo chiamare queste fanciulle più o meno in fiore, che quella mamma gozzaniana definiva «cattive signorine»? Un celebre filosofo, il Wittgenstein, ci spiega che «il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio». A questo punto, Signor sindaco, i casi sono due. O lei apre una strada nuova nel lessico italiano, oppure, guidato dall'entusiasmo per la sua isola pedonale, resta isolato dalla realtà, e prende «lucciole» per lanterne. [1991]

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«Italia modello Rimini» «Rimini è terra di libertà, ma non di trasgressione. È la terra degli incontri, della convivenza civile, del rispetto dei diritti». È un altro pensiero del nostro sindaco. I fatti. Ore 3 dell'8 agosto. Ragazzi lombardi attaccano lite con coetanei napoletani. Luca Scio, 16 anni, uno skinhead (testa rasata), figlio di immigrati meridionali a Milano, è ucciso con un colpo al cuore. Movente, si racconta, una lite sul calcio, con le solite frasi razzistiche. Sembra che i milanesi abbiano offeso Maradona. Al di là dello sport, c'è la divisa degli skin: svastiche, teschi, giubbetti neri, un antiquariato inequivocabile. Sul luogo del delitto scrivono: «Qui è morto un eroe». La gente si sfoga sui giornali: «A Rimini è il caos. Ormai è diventato pericoloso viverci». A Riccione, sostiene la dc locale, «la baldoria che dura 24 ore su 24, costringe la famiglia in vacanza all'assedio». Una turista se la prende con «cretini e puttanelle sceme che si spogliano» nelle auto in corsa. E altrove? In Liguria, la polizia presidia i treni notturni. A Jesolo, è nato un comitato contro il degrado e la violenza. Da noi, il 9 agosto, bomba alle poste di via Campana. Il 12, altri tre skin milanesi di 17 anni feriscono un vuccumprà senegalese, a Misano. A Bellaria, due bresciani “corteggiano” ragazze al grido di «Vi sgozziamo». Nella notte tra il 17 e il 18, a San Mauro, sparatoria dalla solita “Uno” bianca contro tre senegalesi: due morti. E a Viserbella, una molotov colpisce la “Ritmo” in cui dormiva un tunisino. Ma stiamo tranquilli. La nostra è «terra di libertà, non di trasgressione». Lo Stivale sempre più ci rassomiglia, secondo Mario Deaglio («La Stampa»,18.8): «Invece di sentirsi liberi, contenti e appagati, gli italiani del “modello Rimini” stanno scivolando lungo una cupa china di violenza». [1991]

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Za bum, gran finale «Rimini, un palcoscenico per l'Europa». «Arengo», mensile del Comune di Rimini [1984] «Rimini è peggiore della fama che ha». Sergio Zavoli [1989] «Solo a Napoli più furti che nei supermercati di Rimini». Dai giornali [1984] «Il riminese… ne' guadagni sta contento a censo modesto; e perciò qui non trovi sfondate ricchezze». Carlo Tonini, storico [1893] «A Rimini dove sono nato e vivo, solo le palestre rappresentano l'ambiente migliore per sfogare la propria esuberanza, per combattere -lontano dalla noia- droga e malinconia». Loris Stecca, boxeur [1984] «Ciò che vogliamo non è soltanto eliminare i teppisti che costituiscono la punta macroscopica del problema. Puntiamo a migliorare se non i rapporti di convivenza civile, almeno il comportamento di una parte dei frequentatori della Gambalunga». Piero Meldini, direttore Biblioteca Gambalunga [1984] «A Rimini, i tecnici della meteorologia fanno previsioni sulla piovosità, valide per i prossimi 500 anni». «La Stampa», corrispondenza da Rimini [1989] «Con voce tremante, ma non per questo meno ferma». «Il Resto del Carlino» di Rimini [1991]

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Commiato In chiusura di pagine, sono doverosi i ringraziamenti. Ai lettori che mi seguono, condividendo le opinioni espresse (ma attenzione, è sempre meglio diffidare dei cronisti); e a quelli che, pur leggendomi, rifiutano il sugo di questi discorsi, perché affezionati ad una cucina diversa: a costoro, la gratitudine dev'essere sinceramente doppia. Grazie anche al redattore capo, cavia di ogni parto giornalistico, vittima della mia enorme confusione mentale: egli sovraintende, intende e pretende, con la precisione di un filosofo tedesco, al quale vagamente rassomiglia, quando impersona in sé quel fondamentale principio dialettico per cui «ogni idea trova sempre concreta realizzazione nella realtà». Grazie al direttore che, come gli Indiani dei film western, comunica con il prossimo attraverso segnali di fumo: il gradimento di un pezzo, è una doppia tirata alla sua immancabile sigaretta, con la quale annebbia la redazione. Ogni giornale che si rispetti ha un angolino urticante, una zona franca che dev'essere diversa dal resto (…«del Carlino»?). Se la mia rubrica esiste e continua, il merito va a Terenzi e a Tonelli che sanno trovare parole di conforto alle mie depressioni, quando mi stufo di scrivere in uno spazio nato per ischerzo, continuato per gioco, ma adesso divenuto una specie di incubo settimanale. Quando si avvicina il momento di mettere nero su bianco, ripenso ad una preghiera di San Tommaso Moro: «Signore, donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla…». E spero che il buon umore lo abbiano anche i lettori, soprattutto quanti sono citati con nome e cognome. Quella preghiera insegna ottimismo, ma non non dimentico però quanto ricorda la Storia: che Tommaso Moro finì condannato a morte. E così non sia.

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Antonio Montanari, Voci e sussurri 1982-1991 __________________________

Hanno partecipato, in ordine alfabetico Abbondio, don Accreman Veniero Adamo (senza Eva) Adriatico, mare Alessi Giorgio Alici Francesco Alighieri Dante Andreotti Giulio Aosta, Valle d' Avati Pupi Baci Perugina Bartolani Umberto Barucci Gino Basagni Andrea Battaglino Franco Benigni Roberto Benzi don Oreste Biagi Enzo Bianchini Athos Biscardi Aldo Butterfly Madama Campanella Tommaso Capacci Renato Cappellini Aldo Mario Carapezzi Adone Cardellini Silvano Carlino, il Resto del Carlo d'Inghilterra Cavour, piazza Ceccaroni Walter Cederna Antonio Cervellati Pier Luigi Cesare Giulio, romano Chiari Walter Cocotte, v. Gozzano Conti Massimo Cortigiana (Riccione) Craxi Bettino Cristoforo, padre Crosby Theo Dasi G. Filiberto De Carlo, piano Deaglio Mario Diana d'Inghilterra Einstein Albert Elisabetta d'Inghilterra Fabbri Daniele Faenza Liliano Favero Gastone Fellini Federico Ferretti Mario Forzutini Clodoveo Fruttero Carlo Galli della Loggia E. Galli, teatro Gallo Domenico Gambini Sergio Garattoni, palazzo Garbino, vento di Gazzetta di Rimini

Gemmani Giuseppe Ghinelli Enrico Ghirardelli Primo Gianni Angelo Gigli Silvio Gozzano Guido Gradisca Lanterne Lego Leoni Piero Lockness, mostro Longo Pietro Lucciole Lucentini Franco Lugli Remo Maradona Diego Marano, fiume Meldini Piero Melli, dott. Usl Minghini Davide Monti Vittorio Moretti Marco Movimento popolare Nannini Gianna Nicolò Augusto Nozzoli Guido Pajetta Giancarlo Palli Margherita Pavarotti Luciano Piccari Nando Piccoli Flaminio Pierani Terzo Piro Franco Pitea Antonio Pizzaioli Portaborse di Preti L. Preti Luigi Questore di Forlì Renzo & Lucia Roba Giovanni Romito cap. Nicola San Giuliano, borgo Satta Luciano Servadei Stefano Sgarbi Vittorio Spigolon Gianluca Stecca Loris Tamarensis, alga Tiberio, ponte Titano, monte Tonini Carlo Totò Urbanovic Lyubisa Vespasiano, imper. Vespasiano, W.C. Villa Vanna Vitelloni Vuccumprà Willy, squalo gigante Wittgenstein Ludwig Zaffagnini Zeno Zavoli Antonio Zavoli Sergio

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