L’Altra Faccia della Guerra I Veterani dell’Iraq forniscono le loro testimonianze.
di Chris Hedges e Laila Al-Arian The Nation , 9 Luglio 2007
Nei mesi scorsi The Nation ha intervistato cinquanta veterani combattenti della Guerra in Iraq provenienti da diverse parti degli Stati Uniti nel tentativo di indagare gli effetti di quattro anni di occupazione sui civili iracheni. Questi veterani, alcuni dei quali mostrano segni di profonde cicatrici fisiche ed emotive, e molti dei quali si sono successivamente opposti all’occupazione, hanno fornito delle testimonianze vivide ed attendibili. Hanno descritto il lato brutale della guerra raramente visibile sugli schermi televisivi o negli articoli dei giornali. Le loro storie, registrate e dattiloscritte in migliaia di pagine di trascrizioni, rivelano degli schemi comportamentali inquietanti da parte delle trupp e americane in Iraq. Dozzine di persone intervistate hanno visto in prima persona civili iracheni, incluso bambini, morire a causa della potenza di fuoco americana. Alcuni di loro hanno partecipato a queste uccisioni, altri hanno curato civili irachen i o indagato su loro morti dopo i fatti. Altri hanno ascoltato storie di questo tipo, in dettaglio, da membri delle loro unità. I soldati, marinai e marine hanno sottolineato il fatto che non tutte le truppe hanno preso parte ad uccisioni indiscriminate. Molti hanno detto che tali atti sono stati perpetrati da una minoranza. Ciononostante hanno descritto tali atti come “comuni” ed hanno detto che spesso questi non vengono riportati – e quasi sempre non vengono puniti. I casi che finiscono in tribunale, come quelli relativi al massacro di Haditha e lo stupro ed omicidio di una quattordicenne a Mahmudiya, le cronache riportate dal Washington Post, Time, l’Indipendent di Londra ed altre testate, basate sui racconti di test imoni iracheni hanno cominciato a far luce sulla vastità degli attacchi contro civili. Le organizzazioni per i diritti umani hanno emesso dei comunicati, come quello della Human Rights Watch’s Hearts and Minds : Morti Civili post -conflitto a Baghdad Causate da Forze USA, pieni zeppi di incidenti dettagliati che suggeriscono che l’uccisione di civili iracheni da parte delle forze di occupazione è molto più comune di quanto riconosciuto dalle autorità militari. Quest’indagine di The Nation rappresenta la prim a volta in cui così tanti testimoni oculari dall’interno delle forze armate USA, registrati ed identificati, sono stati riuniti in un solo posto per corroborare apertamente queste asserzioni. Mentre molti veterani hanno dichiarato che le sparatorie su ci vili venivano comunemente investigate dall’esercito, altri hanno dichiarato che tali inchieste erano rare. “Voglio dire, era fisicamente impossibile fare un’inchiesta ogni volta che un civile veniva ferito o ucciso perché accadeva troppo frequentemente e si sarebbe passato tutto il tempo solo a condurre inchieste ,” ha detto il Tenente della Riserva dei Marine Jonathan Morgenstein, 35 anni, di Arlington, Virginia. Morgenstein ha servito dall’agosto 2004 al marzo 2005 a Ramadi, con un unità per gli affari ci vili del Corpo dei Marine che
svolgeva attività di supporto per una squadra di combattimento della Seconda Brigata di Spedizione dei Marine. (tutti gli intervistati sono identificati dal grado che avevano durante il periodo di servizio di cui parlano; alcu ni di loro sono stati promossi o degradati da allora.) I veterani hanno dichiarato che la natura di questa guerra contro gli insorti, nella quale si sospetta che la maggior parte dei civili iracheni siano ostili, ha fatto sì che fosse difficile per i sol dati simpatizzare con le loro vittime – almeno fino a quando questi sono tornati a casa ed hanno avuto tempo di riflettere su quanto successo. “Credo che, mentre ero lì, l’opinione generale fosse, un morto iracheno è soltanto un altro morto iracheno,” ha detto il Soldato Scelto Jeff Englehart, 26 anni, di Grand Junction, Colorado. Englehart ha servito per un anno presso la Terza Brigata, 1° Divisione Fanteria, a Baquba, circa 60 chilometri a nordest di Baghdad, all’inizio del febbraio 2004. “E sa che le di co? Chissenefrega… I soldati erano onestamente convinti del fatto che stavamo cercando di aiutare quella gente ed erano infuriati perché per loro era come una specie di tradimento. Cioè, eccoci qui che ti vogliamo aiutare, eccomi qui, capisce, a migliaia d i chilometri da casa mia e dalla mia famiglia, e devo stare qui per un anno e partecipare ogni singolo giorno a queste missioni. Ebbene, noi cerchiamo di aiutarvi e voi ci voltate semplicemente le spalle e cercate di ucciderci”. Englehart ha detto che è soltanto quando i soldati tornano a casa, ed iniziano ad affrontare i problemi del rientro ed incontrarsi con altri veterani, che il senso di colpa inizia ad affiorare, e a consolidarsi. La Guerra in Iraq è un’impresa vasta e complicata . In quest’inchiesta di sospetti abusi militari , The Nation si è concentrata su alcuni elementi chiave dell’occupazione, chiedendo ai veterani di spiegare in dettaglio le loro esperienze nelle operazioni di pattugliamento, scorta ai convogli di rifornimento, allestimento di posti di controllo, conduzione di raid ed arresto di sospetti. Da questa collezione di fotogrammi di vita militare emerge un tema comune. Il combattimento in zone urbane densamente popolate ha portato all’uso indiscriminato della forza ed alla mort e di migliaia di innocenti per mano delle truppe di occupazione. Molti di questi veterani sono tornati a casa profondamente disturbati dalla disparità tra la realtà della guerra e la maniera in cui questa è ritratta dal governo USA e dai media americani. La guerra descritta dai veterani è un’impresa oscura e persino depravata, che presenta forti tratti di somiglianza con altre mal cond otte e brutali guerre coloniali: dall’occupazione francese dell’Algeria alla guerra americana in Vietnam all’occupazione is raeliana dei territori palestinesi. “Voglio dirle qual è stato il momento della svolta per me ,” ha dichiarato il Soldato Scelto Michael Harmon, 24 anni, un medico di Brooklyn. Harmon ha servito in un turno di tredici mesi iniziato nell’aprile 2003 con il 167° Reggimento Corazzato, 4° Divisione di Fanteria, a Al -Rashidiya, una piccola città vicino a Baghdad. “Vado fuori sul luogo dell’azione e c’era questa piccola bambinetta pacioccosa di 2 anni con le sue piccole gambine, e mentre la guardo noto che ha un a pallottola che le ha attraversato una gamba… di colpo un IED [dispositivo esplosivo improvvisato] era esploso, ed i soldati dal grilletto facile avevano iniziato a sparare dappertutto e la bambina era stata colpita. E questa bambina mi guardava, senza pi angere, senza dire niente, mi guardava semplicemente come se dicesse – so che non poteva parlare. Può sembrare una cosa da pazz i, ma era come se mi chiedesse ‘perché’ . Capisce? Perché ho questa pallottola nella mia ga mba? …. Ed io ero lì pensando, b asta. Basta. Tutto questo è ridicolo.
Gran parte del risentimento verso gli iracheni descritto a The Nation da parte dei veterani è stato confermato da un rapporto pubblicato il 4 maggio dal Pentagono. Secondo quest’indagine, condotta dall’Ufficio Medico General e del Comando Medico dell’Esercito, solo il 47 % dei soldati ed il 38% dei marine concordavano sul fatto che i civili dovessero essere trattati con dignità e rispetto. Solo il 55 % dei soldati ed il 40 % dei marine hanno dichiarato che denuncerebbero un membr o della loro unità per aver ucciso o ferito un non combattente innocente. Queste opinioni riflettono il contatto limitato che le truppe di occupazione affermano aver avuto con gli iracheni. Raramente hanno visto il loro nemico. Hanno vissuto chiusi ermeti camente all’interno di compound militari pesantemente fortificati che sono stati spesso obiettivi di attacchi di mortai. La frustrazione crescente verso un nemico sfuggente e gli effetti devastanti degli ordigni stradali, assieme al crescente numero di ame ricani morti e feriti, ha fatto sì che molti soldati abbiano dichiarato una guerra aperta a tutti gli iracheni. I veterani hanno parlato di sparatorie ingiustificate appena lasciavano i loro compound. Alcuni hanno sparato a barili di benzina che venivano venduti lungo la strada e poi hanno buttato granate nelle pozze di carburante che si formavano incendiandole. Altri hanno sparato sui bambini. Tali sparatorie hanno fatto spesso infuriare i testimoni iracheni presenti sul posto. Nel giugno 2003 l’unità del Sergente Camil o Mejia fu oggetto di pressione da parte di una folla inferocita a Ramadi. Il Sergente Mejia , 31 anni da Miami, un membro della Guardia Nazionale, ha servito per 6 mes i con inizio nell’aprile 2003 con il 1 -124 Battaglione Fanteria, 53° Brigata Fanteria. La sua squadra aprì il fuoco un giovane iracheno che aveva una granata, crivellandolo di colpi, il Sergente Mejia controllò subito dopo il suo caricatore e calcolò che s oltanto lui aveva personalmente sparato undici colpi contro il giovane iracheno. “La frustrazione che derivava dalla nostra inabilità nel colpire le persone che ci attaccavano ha portato a tattiche che sembravano pianificate per punire semplicemente la p opolazione locale che gli offriva supporto,” ha detto il Sergente Mejia. Abbiamo sentito di rapporti di incidenti, corroborati in un caso da fotografie, in cui soldati perdevano completamente la loro bussola morale si burlavano o dissacravano i cadaveri iracheni. Una foto, tra le dozzine consegnato a The Nation durante l’inchiesta, mostra un soldato americano che si comporta come se stesse sul punto di mangiare con il suo cucchiaio d’ordinanza il cervello fuoriuscito dal cadavere di un iracheno. “Fammi una foto con questo figlio di puttana!” disse un soldato che era nella squadra del Sergente Mejia mentre metteva un braccio attorno ad un cadavere. Il Sergente Mejia ricorda che il telo che avvolgeva il corpo cadde a terra rivelando che il giovane ucciso in dossava solo dei pantaloni. Aveva un buco di pallottola sul petto. “Diavolo, ti hanno davvero conciato male, non è vero?” diceva il soldato ridendo. Questa scena, ha dichiarato il Sergente Mejia è stata osservata dal fratello ed i cugini dell’iracheno ucciso. Nelle sezioni che seguono, cecchini, medici, membri della polizia militare, artiglieri, ufficiali ed altri testimoni raccontano le loro esperienze durante il loro servizio in posti così diversi come Mosul,
Samarra nel Triangolo Sannita, Nasiriya ne l Sud e Baghdad nel centro, durante il 2003, 2004 e 2005. Le loro storie danno un’idea dell’impatto che hanno avuto le loro unità sui civili iracheni.
Una nota sulla Metodologia The Nation ha intervistato cinquanta veterani combattenti, di cui quaranta soldati, otto Marine e due marinai, per un periodo di sette mesi con inizio nel luglio del 2006. Per trovare veterani disposti a parlare e ad avere quanto dichiarato registrato circa le loro e sperienze in Iraq, abbiamo inviato richieste ad organizzazioni che si dedicano alle truppe USA ed alle loro famiglie, tra le quali Iraq and Afghanistan Veterans of America , i gruppi contro la guerra Military Families Speak Out , Veterans for Peace e Iraq Veterans Against the War ed il gruppo a favore della guerra Vets for Freedom . I leader di Iraq Veterans Against the War tra i quali Paul Rieckhoff, il suo fondatore, sono stati particolarmente di aiuto nel farci mettere in contatto con veterani della guerra in Iraq. Alla fine, siamo riusciti a trovare veterani attraverso il semplice passa parola, grazie al fatto che quelli che intervistavamo hanno parlato di noi ai loro amici militari. Per verificare la genuinità del loro servizio militare, quando pos sibile abbiamo ottenuto copie del modulo DD Form 214 di ogni persona intervistata , o del loro Certificato di Congedo ordinario o Congedo dal Servizio Attivo, ed in tutti i casi abbiamo avuto conferma del loro servizio da parte dell’arma in cui erano arruo lati. Diciannove interviste sono state condotte personalmente mentre le rimanenti sono state fatte per telefono; tutte sono state registrate su cassetta e trascritte; tutti quanti eccetto cinque degli intervistati (la maggior parte dei quali ancora in serv izio attivo ) sono stati indipendentemente contattati da ispettori per confermare i fatti relativi al loro servizio in Iraq. Di quelli intervistati, quattordici hanno servito in Iraq dal 2003 al 2004, venti dal 2004 al 2005, e due dal 2005 al 2006. Degli un dici veterani il cui turno è durato meno di un anno, nove hanno servito nel 2003, mentre gli altri hanno servito nel 2004 e 2005. I veterani che abbiamo intervistato avevano un grado che andava da soldato semplice a capitano, sebbene soltanto un pugno di questi aveva un grado di ufficiale. I veterani hanno servito in tutte le zone dell’Iraq, ma in maggior parte nelle zone più calde del paese come Baghdad, Tikrit, Mosul, Falluja e Samarra. Durante il corso delle interviste, cinque veterani hanno fornito fo tografie provenienti dall’Iraq, alcune delle quali di natura estremamente grafica, per corroborare quanto dichiarato.
I Raid “Per cui iniziamo quel giorno, questo in particolare..” ricorda il Soldato Scelto Philip Chrystal, 23 anni, che ha dichiarato di aver eseguito raid in un numero che va dalle venti alle trenta abitazioni irachene durante un turno di undici mesi tra Kirkuk e Hawija che è terminato nell’ottobre del 2005, prestando servizio presso il 3° Battaglione, 116° Brigata Cavalleria. “ …inizia con i veicoli delle operazioni psicologiche messi la fuori, capisce, con gli altoparlanti che ripetono un messaggio in arabo, persiano o kurdo o qualunque lingua sia, e che dicono, praticamente una cosa del tipo… ‘Mettete le vostre armi se le avete vicino alla porta d’ingresso della vostra casa. Per favore uscite fuori e bla, bla, bla, bla. ’ Ed abbiamo degli elicotteri Apache che volano sopra di noi per coprirci, nel caso ci sia bisogno, ed inoltre sono una bella dimostrazione di forza. E stiamo corre ndo in giro – ci saremo fatti un paio di case a questo punto, ed ero con il comandante del mio plotone, il comandante della mia squadra ed un paio di altre persone.”
“E ci avviciniamo a questa casa ,” ha spiegato. “In questa area agricola, le case lì sono costruite a mo’ di piccoli cortili. Per cui le abitazioni hanno una cosa come una casa principale, un’area comune. Hanno una cucina e una cosa come una costruzione -magazzino. E ci avviciniamo, e loro [la famiglia di civili iracheni ndt] hanno un cane domes tico. E il cane stava abbaiando ferocemente, perché stava facendo il suo lavoro da cane. Ed il comandante della mia squadra, tutto d’un colpo, gli spara. E non gli ha detto – figlio di puttana – gli ha solo sparato ed il proiettile ha attraversato la masce lla del cane ed è uscito. Per cui vedo questo cane – io sono un grande amante degli animali; a doro gli animali - e questo cane ha questi occhi spalancati e inizia a correre in giro spruzzando sangue dappertutto. Ed io mi chiedo, capisce… Che diavolo sta s uccedendo? La famiglia irachena sta seduta là, con tre bambini piccoli e una mamma ed un papà, tutti terrorizzati. Ed io non so cosa dire. Per cui inizio ad urlargli. Sono come, cioè… Che cazzo stai facendo? E il cane inizia a piagnucolare. Sta piangendo senza una mascella. Ed io guardo la famiglia, e loro sono terrorizzati a morte. Per cui glielo detto. Dico, cioè… Sparategli cazzo, capisce? Almeno uccidetelo perché non potete mica aggiustarlo… “E – adesso mi stanno venendo delle lacrime solamente a dirl o ma – avevo lacrime anche allora – guardo i bambini e loro hanno così tanta paura. Per cui faccio venire l’interprete verso di me e tiro fuori il mio portafoglio e gli do venti dollari, perché quello è quanto avevo. E gli chiedo di darli alla famiglia e gli dico quanto sia dispiaciuto di quanto abbia fatto quello stronzo.” “Qualche giornalista è stato informato del fatto?” si domanda. “E’ stato fatto qualcosa? E’ stata data qualche punizione? Assolutamente no.” Il Soldato Scelto Chrystal ha dichiarato ch e incidenti del genere erano molto comuni. Secondo le interviste avute con ventiquattro veterani che hanno partecipato a questo tipo di operazioni, raid di questo tipo sono una realtà incessante per gli iracheni sotto occupazione. Le forze americane, stimolate da deboli informazioni di intelligence, invadono i vicinati dove operano gli insorti, irrompendo nelle case nella speranza di sorprendere dei guerriglieri o di trovare delle armi. Ma questo tipo di risultato, hanno dichiarato, è molto raro. Molto più comuni sono invece le storie in cui i soldati hanno assaltato una casa, distrutto beni personali nella loro futile ricerca ed hanno lasciato dietro di loro civili terrorizzati che hanno lottato per riparare i danni ed iniziare il lungo tormento di cercare di trovare i famigliari trascinati via come sospetti. “Di solito i raid venivano eseguiti tra mezzanotte e le 5 di mattina ,” secondo il Sergente John Bruhns, 29 anni, di Philadelphia, che stima di aver preso parte a raid in quasi 1.000 case irachene. Br uhns ha servito a Baghdad e ad Abu Ghraib, una città malfamata a causa della sua prigione, situata a 30 chilometri ad ovest della capitale, con la 3° Brigata, 1° Divisione Corazzata, 1° Battaglione, per un anno con inizio servizio nell’aprile del 2003. Le sue descrizioni delle procedure di irruzione sono fortemente somiglianti a quelle descritte da altri otto veterani che hanno servito in località diverse come Kirkuk, Samarra, Baghdad, Mosul e Tikrit. “L’intenzione è quella di coglierli di sorpresa ,” ha spiegato il Sergente Bruhns. “Di prenderli mentre sono nel sonno. Circa dieci soldati erano coinvolti in ogni raid, con cinque stazionati fuori, mentre il resto perquisiva la casa.” Secondo quanto dichiarato dal Sergente Bruhns, che ha descritto freddamente la procedura utilizzata , una volta di fronte all’abitazione, i soldati, alcuni di quali indossavano elmetti in kevlar, giubbotti antiproiettile ed erano equipaggiati con lancia granate montati sui loro fucili, buttavano giù la porta.
“Si corre dentro. E se ci sono luci si accendono – se le luci funzionano. Se no si utilizzano le torce… Si lascia una squadra di fucilieri all’esterno mentre un’altra squadra di fucilieri entra dentro. Ogni comandante della squadra di fucilieri indossa una cuffia con un auricolare ed un microfono per comunicare con l’altra squadra.” “Si sale le scale. Si afferra l’ uomo di casa. Lo strappi fuori dal letto di fronte a sua moglie. Lo metti contro il muro. Ordini ai soldati di rango inferiore, PFCs [soldati di prima classe], di irrompere nelle altre stanze ed afferrare tutta la famiglia, e li raggruppi tutti assieme. Po i si va dentro una stanza e la si riduce a brandelli e ci si assicura che non vi siano armi o qualunque altra cosa con la quale ci possono attaccare.” “Prendi l’interprete e fai prendere l’uomo di casa, e lo metti di fronte a te puntandogli il fucile e ch iedi all’interprete di domandargli: ‘Ha qualche arma? Ha propaganda anti -USA, qualunque cosa – qualunque cosa – qualunque cosa qui che ci potrebbe far credere che lei è in qualche modo coinvolto in attività di insurrezione o attività contro le forze della coalizione?” “Normalmente dicono di no, perché normalmente è la verità ,” ha detto il Sergente Bruhns. Per cui quello che si fa è prendere i cuscini del sofà e tirarli per terra. Se l’uomo di casa ha una poltrona la si ribalta. Si va verso il frigo, e se l a famiglia ha un frigo, si butta tutto per terra, si prendono i cassetti e si sbattono per terra…. Si aprono gli armadi e si buttano tutti i vestiti sul suolo ed in pratica si riduce la casa come se l’avesse investita un uragano.” “E se si trova qualcosa, si detiene l’uomo di casa. Se no , gli dici, ‘Mi dispiace averla disturbata . Passi una buona serata .’ Per cui hai praticamente umiliato questo uomo di fronte a tutta la sua famiglia ed hai terrorizzato tutta la sua famiglia distruggendogli la casa. Dopodic hé vai alla porta accanto e fai la stessa cosa in centinaia di case.” Il Sergente Bruhns ha detto che o gni raid, o “operazione di delimitazione e ricerca ”, come vengono a volte chiamate, coinvolge dalle dieci alle venti abitazioni”. In seguito ad uno scop pio di attacchi su soldati americani in una zona particolare, i comandanti ordinano normalmente alla fanteria di eseguire raid per cercare depositi di armi, munizioni o materiali per la costruzione di IED. Ogni famiglia irachena poteva tenere un AK -47 a casa, ma secondo Bruhns, quelli trovati con armi in più venivano arrestati e detenuti e l’operazione veniva classificata come successo, anche se era chiaro che nessuna delle persone presenti in qu ella abitazione era un insorto. Prima di un raid, secondo le descrizioni di parecchi veterani, i soldati mettevano in quarantena la zona proibendo a qualunque persona di lasciarla o entrarv i. Nei briefing che precedevano i ra id, ha dichiarato il Sergente Bruhns, i comandanti militari comunicavano ai loro soldati che il quartiere per il quale era stato ordinato il raid era un’area ostile con un alto livel lo di insurrezione che era stato occupato da terroristi Baathisti o di Al Qaeda. “Per cui hai tutti questi soldati, tutti carichi come delle molle ,” ha detto il Serg ente Bruhns. “E molti di questi soldati pensano che una volta che butteranno giù la porta ci saranno dentro degli uomini armati pronti a sparargli.” Il Sergente Dustin Flatt, 33 anni, di Denver, stima di aver fatto irruzione in “migliaia” di case a Tikrit, Samarra e Mosul. Ha servito con la 18° Brigata Fanteria, 1° Divisione Fanteria, per un anno con inizio
nel febbraio 2004. “Li facevamo diventare matti dalla paura ogni volta che entravamo in una casa ,” ha detto. Il Soldato Ali Aoun, 23 anni, un soldato della Guardia Nazionale di New York City, ha dichiarato di aver condotto operazioni di sicurezza perimetrale in circa 100 raid mentre prestava servizio a Sadr City con la 89° Brigata di Polizia Militare per undici mesi con inizio nell’apr ile del 2004. Quando i soldati irrompevano in una casa, ha detto, prima delimitavano la zona con degli Humvee. I soldati sorvegliavano l’entrata per assicurarsi che nessuno scap passe. Se un’intera città era sottoposta ad un raid, nelle operazioni di larga scala, la città stessa veniva accerchiata e isolata, ha dichiarato il Sergente Garett Reppenhagen, 32 anni di Manitou Springs, Colora do, uno scout di cavalleria e c ecchino per il 263° Battaglione Corazzato, 1° Divisione Fanteria, che è st ato dispiegato per un anno a Baquba con inizio nel febbraio 2004. Il Sergente Timothy John Westphal, 31 anni, di Denver, ricorda una notte d’estate del 2004, la temperatura oppressiva di 43 gradi, quando lui e altri quarantaquattro soldati USA hanno eseguito un raid in una fattoria alla periferia di Tikrit. Il Sergente Westphal, che ha servito in quella zona per un turno di un anno con la 18 ° Brigata Fanteria, 1° Divisione Fanteria, con inizio nel febbraio 2004, ha dichiarato di aver ricevuto comunicazione sulla presenza d i insorti in quella fattoria. In qualità di comandante della squadra di fanteria motorizzata, il Sergente Westphal ha diretto la missione per l’occupazione dell’edificio principale, mentre quindici uomini perlustravano la proprietà. Il Sergente Westphal ed i suoi uomini hanno scavalcato il muro di cinta che circondava la casa, aspettandosi di arrivare faccia a faccia con degli insorti armati. “Avevamo delle torce e ho detto ai miei ragazzi: ‘Conto fino a tre, illuminateli con le vostre torce e vediamo che cosa abbiamo qui. Svegliateli!” La torcia del Sergente Westphal era montata sul suo fucile mitragliatore M -4, una versione più piccola dell’M-16, per cui puntando la sua torcia sul gruppo di persone che dormivano a terra stava anche puntando la sua arma. Il Sergente Westphal puntò per primo la sua torcia su un uomo sulla sessantina. “L’uomo iniziò ad urlare con questo urlo squarciabudella, raggelante ,” ricorda il Sergente Westphal. “Non avevo mai sentito niente del genere. Voglio dire, quell’uomo era ass olutamente terrorizzato. Posso immaginare quello che stava pensando, avendo vissuto sotto Saddam.” I residenti nella fattoria non erano insorti ma una famiglia che dormiva all’aperto per ripararsi dal calore afoso, e l’uomo che il Sergente Westphal aveva svegliato dalla paura era il patriarca. “Ne eravamo sicuri, mentre abbiamo iniziato ad identificare tutte quelle persone che dormivano. Voglio dire, c’era lui e forse altri due uomini… forse figli o nipoti o altro, e tutti gl i altri erano donne e bambini,” ha detto il Sergente Westphal, “Non abbiamo trovato niente.” “Potrei raccontare centinaia di storie come questa e sarebbero tutte uguali a questo mio racconto. Solo che si tratta di un’altra famiglia, un altro luogo, un’altra data, una circostanza diffe rente.” Per il Sergente Westphal, quella notte fu il momento della svolta. “Mi ricordo di aver pensato, ho appena portato il terrore ad un’altra persona sotto l’egida della bandiera americana, e non è questo il motivo per cui mi sono arruolato nell’eserci to,” ha detto.
Intelligence Quindici soldati con cui abbiamo parlato ci hanno detto che le informazioni che scatenavano questi raid erano generalmente ottenute attraverso informatori – e che tali informazioni erano di solito incorrette. Otto hanno dichiarato che era cosa comune per gli iracheni utilizzare i soldati americani per regolare dispute famigliari, rivalità tribali o vendette personali. Il Sergente Jesus Bocanegra, 25 anni, di Weslaco, Texas, era uno scout a Tikrit nella 4° Divisione Fanteria durante un turno di un anno che è terminato nel marzo 2004. Verso la fine del 2003, il Sergente Bocanegra eseguì un raid nella casa di un uomo di mezza età a Tikrit, perché suo figlio aveva detto all’Esercito che suo padre era un insorto. Dopo aver accurat amente ispezionato la casa dell’uomo, i soldati non trovarono niente e più tardi scoprirono che il figlio voleva semplicemente del denaro che suo padre aveva nascosto interrandolo nella fattoria. Dopo aver persistentemente eseguito operazioni di raid basa te su queste false informazioni, il Sergente Bocanegra, che ha eseguito più di cinquanta operazioni di raid, ha dichiarato che i soldati cominciarono ad anticipare l’innocenza delle persone che erano vittime di raid. “La gente cominciava a scherzarci su ancora prima che procedessimo al raid, come.. ‘ Oh che cazzo entr eremo nella casa sbagliata, ” Bocanegra ha continuato “ perché accadeva sempre. Entravamo sempre nella casa sbagliata”. Il soldato Chrystal ha detto che lui ed il suo plotone avevano organizzato il loro piccolo scherzo personale. Ogni volta che Chrystal entrava in una abitazione, si metteva in contatto radio e diceva “Qui Trenta -Uno Lima. Qui ho trovato armi di distruzione di massa.” Il Sergente Bruhns ha detto che dubitava dell’autenticità delle informazioni di intelligence che riceveva perché gli informatori iracheni erano pagati dalle forze armate USA per fare le soffiate. In una occasione, un iracheno fece una soffiata all’unità del Sergente Bruhns dic endo che una piccola organizzazione di resistenza siriana, responsabile dell’uccisione di un certo numero di soldati USA, si era rifugiata in una casa. Il Sergente Bruhns si ricorda che gli fu detto: “Ci stanno aspettando e ci saranno un sacco di spari.” In qualità di comandante della squadra Alpha, il Sergente Bruhns doveva essere la prima persona a varcare la porta. Scettico, si rifiutò di procedere. “Così gli dissi: ‘Se siete così sicuri che ci sia un gruppo di terroristi siriani, insorti… in quel buco , perché cavolo mandate me e tre uomini davanti alla porta d’entrata, perché di sicuro non sarò in grado di premere il grilletto prima che mi sparino .” Il Sergente Bruhns suggerì polemicamente di piazzare un veicolo da combattimento M -2 Bradley davanti alla casa e di lanciare un missile attraverso la finestra principale per sterminare i guerriglieri ed il loro comandante che si supponeva fosse dentro. Invece, si decise di diminuire l’aggressività del raid. Mentre il Sergente Bruhns conduceva le operazioni d i sicurezza davanti all’ingresso, i suoi soldati rompevano le finestre e buttavano giù le porte per poi trovare un gruppo di bambini, una donna ed un uomo anziano. Nella tarda estate del 2005, in un villaggio nella periferia di Kirkuk, il Soldato Scelto Chrystal perquisiva un compound con due ufficiali iracheni. Un uomo amichevole sui trentacinque anni accompagnava scherzando per alleggerire la tensione il soldato Chrystal ed altri componenti della sua unità attorno alla proprietà, dove l’uomo viveva con i suoi parenti, moglie e bambini . Appena finita la perquisizione – non avevano trovato niente – un Tenente della sua compagnia si avvicinò al soldato Chrystal: “Che diavolo stai facendo?”, gli chiese. “Ecco, abbiamo appena perquisito la casa ed è
pulita.”, rispose il soldato Chrystal. Il Tenente disse al soldato Chrystal che la sua guida dal tono amichevole era uno degli obiettivi del raid. “Apparentemente era stato inquadrato come insorto da qualche informatore ,” ha dichiarato il soldato Chrystal. “Per quel la missione, avevano dato le schede obiettivo solo agli ufficiali, ma gli ufficiali non sono presenti con il resto dei soldati in questo tipo operazioni.” Il soldato Chrystal disse di essersi sentito umiliato perché era stato giudicato irrilevante il suo giudizio riguardi al fatto che l’uomo non rappresent asse una minaccia e l’uomo fu comunque arrestato. Poco dopo, chiese di essere trasferito in un veicolo da combattimento per il resto della missione. Il Sergente Larry Cannon, 27 anni, di Salt Lake City, un cannoniere Bradley con la 18 ° Brigata Fanteria, 1° Divisione Fanteria, ha servito un turno di un anno in diverse città dell’Iraq, incluso Tikrit, Samarra e Mosul, con inizio nel febbraio 2004. Canno n stima di aver perquisito più di un centinaio di case a Tikrit e di aver trovato i raid insensati e stressanti. “Entravamo in una casa e l’uomo lì diceva: ‘No, non sono io, ma so dov’è l’uomo che cercate.’ E…. ci portava nella casa accanto dove doveva essere l’obiettivo e l’uomo che era lì ricominciava la tiritera: ‘ No, non sono io ma so dov’è l’uomo che cercate.’ E noi guidavamo tutta la notte spostandoci da raid a raid.” “Non posso biasimare l’intelligence militare.” Ha detto il soldato Reppenhagen, che ha dichiarato di aver eseguito raid in trenta case fuori e dentro Baquba. “Era sempre un tirare ad indovinare. Siamo in un paese dove nessuno parla la lingua del posto. Siamo a corto di interpreti. E’ impossibile riuscire ad ottenere qualsiasi cosa. Tu tto quello su cui ti puoi basare è uno schema basato su quello che è successo prima e la tua unica speranza è che questo schema non cambi.” Il Sergente Geoffrey Millard, 26 anni, di Buffalo, New York, ha servito in Tikrit con il Centro Operazioni di Retro guardia, 42 ° Divisione Fanteria, per un anno con inizio nell’ottobre 2004. Ha dichiarato che le truppe da combattimento non avevano né l’addestramento né le risorse per verificare le soffiate prima di poter agire in base alle stesse. “Non siamo la polizia, ” ha detto. “Non giriamo come i detective facendo domande. Noi buttiamo giù le porte, entriamo, e afferriamo le persone.” Il Sottotenente Brady Van Engelen, 26 anni, di Washington, DC, ha dichiarato che l’Esercito doveva dipendere da informatori inaffidab ili perché le opzioni erano limitati. Brady ha servito come comandante plotone nella 1° Divisione Corazzata nel distretto volatile di Adhamiya per otto mesi con inizio nel settembre 2003. “Era l’unica informazione che avevamo ,” ha detto. “Un sacco di quell o che facevamo era basato sulla buona volontà, sperando che avrebbe funzionato,” ha dichiarato. “Probabilmente una volta su dieci c’erano dei risultati.” Il Sergente Bruhns ha detto che ha scoperto materiale illegale nel 10% dei casi, una stima confermata da altri veterani. “Abbiamo trovato materiale di piccolo conto per la costruzione di IED, come per esempio un piccolo pezzo di filo elettrico, la miccia di detonazione ,” ha detto il Sergente Cannon. “Non abbiamo mai trovat o delle vere bombe nelle case.” Nella migliaia di raid condotti durante il suo servizio in Iraq, il Sergente Westphal ha detto di essere entrato in contatto con soli quattro veri membri dell’insurrezione .
Gli Arresti Sebbene arrestati con pretesti così flebili, hanno dichiarato i soldati intervistati, qualunque iracheno arrestato durante un raid veniva trattato con estremo sospetto. Molti soldati hanno dichiarato di aver
visto uomini di età utile per operazioni militari essere detenuti senza nessuna pro va o essere soggetto di abuso durante gli interrogatori. Otto veterani hanno detto che gli uomini arrestati erano di solito legati con nastri di plastica, e le loro teste venivano coperte con cuffie di tela. Sebbene l’Esercito abbia ufficialmente proibito l’incappucciamento di prigionieri a seguito dello scandalo di Abu Ghraib, cinque soldati hanno affermato che tale pratica è continuata. “In teoria non si doveva fare, ma veniva fatto comunque,” ha detto il Sergente Cannon. “Mi ricordo a Mosul [nel gennaio del 2005], avevamo catturato delle persone in un raid e le avevano buttate sul retro di un Bradley, ammanettati ed incappucciati. Questi tipi stavano vomitando di brutto,” ha continuato. “Erano così ridotti male e nervosi. E qualche volta si pisciavano ad dosso. Potete immaginare come vi sentireste voi sei qualcuno entrasse a casa vostra e vi prelevasse di fronte a tutta la vostra famiglia urlando? Mentre voi siete innocenti ma non potete provarlo? Sarebbe una cosa sp aventosa, veramente spaventosa.” Il Soldato Scelto Reppenhagen ha affermato di aver avuto soltanto delle vaghe idee sugli indizi che costituivano una situazione di giusta causa durante un raid. “A volte non avevamo nemmeno un interprete, per cui se trovavamo un poster raffigurante Muqtada al -Sadr, Sistani o cose del genere, non avevamo la più pallida idea di cosa ci fosse scritto sopra. Preleva vamo semplicemente le persone, registravamo quanto trovato come prova e mandavamo il tutto giù per la catena decisionale di modo che se ne occupassero altr e persone.” Il Sergente Bruhns, il Sergente Bocanegra ed altri veterani hanno affermato che l’abuso fisico di civili iracheni durante i raid era pratica comune. “Si tratta solo di soldati che si comportano da soldati,” ha detto il Sergente Bocanegra. “Gli dai un mucchio, troppo, potere che non hanno mai avuto prima, e prima che te ne accorgi vedi che stanno prendendo a calci questi tipi mentre sono ammanettati. E siccome non riesci a catturare [gli insorti] quando capita che qualcuno dice ‘Oh, questo tipo è uno di quelli che mettono le bombe lungo la strada’ – e tu nemmeno hai la più pallida idea se sia vero o no – fai che entrare, prenderlo a calci e caricarlo sul retro di un veicolo da cinque tonnellate per portarlo in prigione.” Decine di migliaia di ir acheni – i comandi militari stimano più di 60.000 – sono stati arrestati e detenuti da quando è iniziata l’occupazione, abbandonando a sé stesse le famiglie che devono passare attraverso un sistema carcerario caotico e complesso per trovare i loro cari. I veterani che abbiamo intervistato hanno detto che la maggior parte dei detenuti che hanno incontrato erano o innocenti o colpevoli di piccoli reati. Il Sergente Bocanegra ha affermato che durante i primi due mesi del conflitto gli erano state date istruzioni di detenere civili iracheni semplicemente in base al loro vestiario. “Se indossavano vestiti arabi con stivali di tipo militare, venivano automaticamente considerati combattenti nemici e dovevano essere ammanettati e detenuti,” ha dichiarato. “Quando t i basi su una cosa del genere in un teatro così vasto, per forza di cose quando ne prendi cento ne hai almeno dieci che sono innocenti.” Ad un certo punto nell’estate del 2003 , ha detto Bocanegra, le regole di ingaggio furono ristrette – in maniera appro ssimativa. “Mi ricordo che in alcuni raid, si poteva prelevare chiunque fosse di e tà abile al combattimento. Metti che per esempio entravamo in qualche abitazione cercando un maschio di 25 anni. Lo cercavamo all’interno di una fascia d’età. Chiunque avesse un’età che andava dai 15 ai 30 anni poteva essere un sospetto.” (Da quando è tornato dall’Iraq, Bocanegra ha richiesto di ricevere consulenza medica per disordini da stress post -trauma ed ha affermato che attualmente la sua mission e è incoraggiare altre p ersone a fare la stessa cosa).
Il Soldato Scelto Richard Murphy, 28 anni, un Riservista dell’Esercito di Pocono, Pennsylvania, che ha svolto parte del suo turno di 15 mesi con l’800 ° Brigata di Polizia Militare nella prigione di Abu Ghraib, ha detto che spesso è rimasto colpito dalla mancanza di un qualsiasi processo legale che coinvolgeva i prigionieri che sorvegliava. Murphy fu inviato inizialmente in Iraq nel maggio del 2003 per addestrare la polizia irachena nella città meridionale di Al Hillah ma fu successivamente trasferito ad Abu Ghraib nell’ottobre del 2003 quando la sua unità rimpiazzo una destinata a ritornare a casa. (Ha parlato con The Nation nell’ottobre del 2006 quando non più in servizio attivo). Dopo il suo arrivo ad Abu Ghraib, si res e conto che il numero di prigionieri stava aumentando esponenzialmente mentre il personale addetto rimaneva sempre lo stesso. Verso la fine del suo periodo di incarico di sei mesi presso il carcere, il Soldato Scelto Murphy doveva personalmente sorvegliare 320 prigionieri, la maggior parte dei quali era secondo lui detenuta ingiustamente. “Sapevo che la gran percentuale di questi prigionieri era innocente,” ha affermato. “Vivere a stretto contatto con queste persone per mesi fa sì che riesci a vedere che tipi sono… Voglio dire, solo sentendo le storie dei prigionieri avevo la sensazione che gran parte di loro erano stati prelevati in massa.” Il Soldato Scelto Murphy ha dichiarato che un prigioniero, un cieco albino mentalmente menomato c he poteva vedere appena qualche decina di centimetri di fronte a lui non poteva chiaramente appartenere ad un posto come Abu Ghraib. “Pensavo tra me e me, ma che cosa può aver combinato un tipo del genere?” Il Soldato Scelto Murphy contava i prigionieri d ue volte al giorno, ed i prigionieri gli chiedevano sempre quando sarebbero stati rilasciati o gli imploravano di fare ricorso per conto loro, cosa che Murphy ha provato a fare attraverso il Corpo dei JAG (Judge Advocate General – Avvocatura Generale Giudiziaria). L’ufficiale del JAG con cui Murphy ha avuto a che fare rispondeva semplicemente che la cosa era fuori dal suo controllo. “Tutto quello che faceva era dare il suo parere ed inviarlo in alto lungo la catena di comando,” ha detto il Soldato Scelto Mu rphy. “Era un processo che si muoveva a passo di lumaca.. Il sistema non funzionava.” I prigionieri rinchiusi nell’ormai noto campo si rivoltarono il 24 novembre 2003, per protestare contro le loro condizioni di vita. Il Soldato Scelto della Riserva dell’ Esercito Aidan Delgado, 25 anni, di Sarasota, Florida, era lì quel giorno. Era stato inviato con l 320 ° Compagnia di Polizia Militare alla Base Aerea di Talil, per servire a Nasiriya ed Abu Ghraib per un anno con inizio nell’aprile del 2003. A differenza d i altri soldati della sua unità, Aidan non fece fuoco per contrastare la rivolta. Quattro mesi prima aveva deciso di smettere di portare con lui un’arma da fuoco carica. Nove prigionieri furono uccisi e tre feriti dopo che i soldati aprirono il fuoco dura nte la rivolta, e i commilitoni del Soldato Scelto Delga do ritornarono con foto dell’eve nto. Le immagini, impressionanti come quelle relative all’incidente descri tto dal Sergente Mejia, lo sciocc arono. “Erano molto grafiche,” ha detto. “Una testa completam ente aperta a metà. Una foto era di due soldati sul retro di un camion. Stanno aprendo i sacchi cadaveri con dentro questi prigionieri a cui avevano sparato in testa e un soldato ha in mano un cucchiaio d’ordinanza. Stende la mano come se volesse dare una cucchiaiata al cervello di questo cadavere, mentre guarda verso l’obiettivo e sorride. Ed io mi sono detto ‘Questi sono dei miei commilitoni che stano dissacrando il corpo di qualcuno. C’è qualcosa veramente fuori posto in tutta questa storia.’ E mi sono c onvinto che quello che non andava era l’uso eccessivo della forza, che tutto questo era semplice brutalità.”
Il Soldato Scelto Patrick Resta, 29 anni, un membro della Guardia Nazionale di Philadelphia, ha servito a Jalula, presso la cui base vi era un pic colo campo prigionia. Era con il 252 ° Corazzati, 1° Divisione Fanteria, per nove mesi con inizio nel marzo 2004. Ricorda che il suo superiore ad un certo punto disse in maniera diretta al suo plotone, “Le Convenzioni di Ginevra non esistono in nessun modo in Iraq, ed è per iscritto se volete vederlo.” L’esperienza che rappresentò la svolta per il Soldato Scelto Delgado arrivò quando, nell’inverno del 2003, fu assegnato al battaglione di comando presso la prigione di Abu Ghraib, dove lavorò con il Maggiore David DiNenna ed il Tenente Col. Jerry Phillabaum, entrambi citati nel Rapporto Taguba, l’inchiesta ufficiale dell’Esercito sullo scandalo della prigione. Lì, Delgado leggeva documenti informativi sui prigionieri e aggiornava una lavagna cancellabile con i nformazioni su dove i prigionieri venivano spostati e detenuti all’interno del vasto campo di prigionia. “Quello è il momento in cui mi sono sentito di lasciare l’Esercito,” ha detto Delgado. “Leggevo queste schede su tutti i prigionieri di Abu Ghraib ed il motivo per cui erano lì. Pensavo che fossero dei terroristi, assassini, insorti. Guardo questa tabella e vedo invece piccoli furti, stato d’ubriachezza, falsificazione di documenti della coalizione. Queste persone sono dentro per reati insignificanti da poco conto.” “Questi non sono terroristi,” si ricorda aver pensato. “Questi non sono i nostri nemici. Sono solo gente comune, e li stiamo trattando così duramente.” Alla fine il Soldato Scelto Delgado chiese di ottenere lo status di obiettore di coscienz a, che l’Esercitò gli concesse nell’aprile del 2004.
Il nemico Secondo diciannove intervistati, i soldati americani in Iraq non avevano ricevuto l’ addestramento ed il supporto per comunicare o persino comprendere quanto detto dai civili iracheni. Solo pochi sapevano parlare o leggere l’arabo. Gli era stata offerta pochissima o nessuna educazione storica o culturale sul paese che stavano controllando. Gli interpreti erano pochi o non qualificati. Qualsiasi stereotipo sull’Islam e gli Arabi che i marine portavano con sé tendeva a solidificarsi rapidamente nelle basi militari e nelle strade delle città dell’Iraq trasformandosi in puro e semplice razzismo . Come sottolineato dal Soldato Scelto Josh Middleton, 23 anni, di New York City, che ha servito a Baghdad e Mosul con il 2° Battaglione, 82 ° Divisione Aviotrasportata, dal dicembre 2004 al marzo 2005, soldati ventenni passavano direttamente dalle umiliazioni subite durante l’addestramento – “subire urla tutti i giorni perché si era stati trovati un giorno con un arma sporca” – alle strade dell’ Iraq, “dove ci si gioca la vita e la morte. E gli iracheni sulla quarantina ci osservavano terrorizzati e noi avevamo il potere di - capisce cosa dico? – avevamo questo potere che una persona nella vita civile non può avere. E’ una cosa veramente liberato ria. La vita viene sbattuta giù a questo livello primordiale.” “In Iraq,” ha detto il Soldato Middleton, “Un sacco di persone era a favore del semplice concetto basato sul fatto che se non parlano l’inglese ed hanno una pelle più scura, loro non sono uman i come noi, per cui possiamo fare quello che vogliamo.” Nella confusione del prepararsi per essere inviati in Iraq, i soldati raramente imparano più di poche
parole in arabo, assorbite principalmente da un solo manuale, A Country Handbook, a Field -Ready Reference Publication , pubblicato dal Dipartimento della Difesa nel settembre 2002. Il libro, così come è stato descritto da otto soldati che lo hanno ricevuto, ha foto di veicoli militari iracheni, diagrammi sulla struttura dell’esercito iracheno, immagin i di segnali stradali, e circa quattro pagine di frasi arabe base del tipo Parla l’inglese? Sono un americano, mi sono perso. L’identità, costume e cultura irachene erano, secondo almeno una dozzina di soldati e marine intervistati da The Nation , ridicolizzate apertamente in termini razzisti, con soldati che deridevano il cibo haji, la musica haji e le case haji. Nel mondo musulmano la parola haji denota una persona che ha fatto il pellegrinaggio alla Mecca. Ma attualmente questa parola viene utilizzata da lle truppe americane come la parola gook in Vietnam o raghead in Afghanistan. “Onestamente chiunque può notare come gli iracheni o persino gli arabi in generale siano come de umanizzati,” ha detto il Soldato Englehart. “Cioè, era cosa comune per i soldati USA chiamarli in termini derogatori, come fantini da cammello o Jihad Johnny o Negri da Sabbia. Secondo il Sergente Millard e parecchi altri intervistati, “Si instaura quest’odio razziale verso gli iracheni.” E questo tipo di linguaggio razzista, come ha fatto notare il Soldato Harmon, ha contribuito a giocare un ruolo nel livello di violenza diretto ai civili iracheni. “Chiamandoli con nomi,” ha detto “non sono più degli esseri umani. Diventano solo degli ogg etti.” Parecchi intervistati hanno enfat izzato il fatto che l’esercito ha costruito, per ragioni di addestramento, delle repliche di villaggi iracheni con attori che recitavano il ruolo di civili o insorti. Tuttavia gli intervistati hanno affermato che il pericolo costante che si vive in Iraq, e la paura che questo produce, sovrasta questo tipo di addestramento. “Loro erano la legge,” ha detto il Soldato Harmon parlando dei soldati nella sua unità di stanza a Al Rashidiya, vicino a Baghdad, che ha parteci pato a raid e a convogli. “Loro erano cattivi, veramente cattivi con queste persone. Li insultavano un sacco. Ed io penso, amico queste persone non sanno cosa state dicendo…e loro rispondevano sempre ‘Oh, capiranno quando avranno i fucili spianati davanti a le loro facce.” Quei pochi veterani che hanno detto di aver provato ad entrare in contatto con gli iracheni hanno incontrato una feroce ostilità da parte dei commilitoni della loro unità. “Dovevo fare il turno di notte alla stazione di pronto soccorso, ” ha dichiarato il Soldato Resta nel raccontare un evento di questo tipo. “Ci era stato detto fin dal primo secondo in cui eravamo arrivati lì, e questo era stato messo per iscritto sul muro della nostra stazione di pronto soccorso, che non dovevamo tratta re civili iracheni a meno che questi fossero sul punto di morte… per cui questi ragazzi sulla torre di guardia ci chiamano per radio, e ci dicono che c’è un iracheno là fuori che chiede di poter vedere un dottore.” “Così è veramente una tarda ora della notte, ed io cammino fino al cancello e all’inizio non riesco neanche vedere il tipo, e loro lo indicano e lui sta là. Voglio dire, sta seduto, appoggiandosi a questa barriera di cemento – come la barriera delle autostrade – che abbiamo messo a p rotezione del cancello. E se ne sta seduto lì appoggiatoci sopra, e lui è là fuori, e se vuoi vedere cos’ha devi andare fuori. Per cui mi siedo ed aspetto un interprete e l’interprete arriva ed esco fuori all’aperto. E questo tipo, lo avevano pestato a san gue, aveva due denti che gli mancavano. E una lacerazione enorme sulla testa,
sembrava che gli avessero rotta l’orbita di un occhio ed avesse qualche tipo di ferita sul ginocchio. ” L’iracheno, ha detto il Soldato Resta, lo scongiurava in un inglese appros simato di aiutarlo. Disse al Soldato Resta che c’erano degli uomini vicino alla base che lo stavano aspettando per ucciderlo. “Apro la borsa e cerco di tirare fuori le bende mentre i ragazzi sulla torre di guardia urlano ‘Manda quel cazzo di haji fuori di qua’ “, ha detto Resta. “Ed io li guardo per un momento e li ignoro, e loro vanno avanti dicendo ‘Non mi sembra che stia per morire’, ‘Digli di andare a piagnucolare dalla Polizia Irachena’ e un sacco d’altra roba di questo tipo. Per cui, cerco di ignorar li e di farmi raccontare questa storia dal tipo ferito, ed il nostro dottore arriva su un’ambulanza ad una decina di metri da noi, scuote la testa e dice ‘Ma, mi sembra che stia bene, se la caverà’ e se ne ritorna sul sedile passeggeri dell’ambulanza come se volesse dirmi ‘Porta il tuo culo qui e riportami alla clinica .’ Per cui rimango in piedi laggiù mentre per tutto il tempo le sentinelle ed il dottore mi urlano dicendo di sbarazzarmi di quel tipo, e ad un certo punto mentre urlano dico ‘No, facciamo alm eno stare questo tipo qui per la notte fino a quando fa luce,’ perché volevano che lo rimandassi in città, dove lui mi aveva detto che c’erano delle persone che lo stavano aspettando per ucciderlo.” “Quando gli ho chiesto se poteva stare lì, almeno fino a ll’alba, la risposta è stata ‘Ma stai ascoltando questa merda? Penso che il Dottore sia un mezzo fottuto haji’, ha detto il Soldato Resta. Resta si arrese alla pressione che gli era stata esercitata e rifiutò di curare l’uomo. L’interprete, ricorda, era furioso, dicendogli che con il suo gesto aveva praticamente condannato l’uomo a morte. “Per cui mi ridirigo dentro i l cancello e l’interprete gli dà una mano ed il tipo si gira per andarsene mentre i ragazzi della torre di guardia dicono ‘Digli che se rito rna stasera si becca una cazzo di pallottola,’ ha detto il Soldato Resta. “E l’interprete li fissa e poi mi guarda e poi torna a guardare loro, e loro fanno cenno con la testa come per dire, ‘Sì, stiamo dicendo sul serio. ’ Per cui lo urla all’iracheno ed il tipo soprassale e si gira, e l’interprete glielo urla di nuovo ed inizia ad allontanarsi, piangendo come un bambino. E questa è la fine della storia.”
I Convogli Due dozzine di soldati intervistati hanno dichiarato che questa durezza verso i civili iracheni era particolarmente evidente nelle operazioni riguardanti i convogli di rifornimento – operazioni alle quali hanno partecipato. Questi convogli sono le arterie che sostengono l’occupazione, trasportando articoli come acqua, posta, pezzi di ricambio, pezzi per la rete idrica e fognature, cibo e carburante attraverso l’Iraq. E queste file di rimorchi, operate dalla KBR ( Kellog, Brown & Root ) ed altri contractor privati, richiedevano una protezione quotidiana da part e dell’esercito USA. Tipicamente, secondo gli intervistati, i convogli di rifornimento consistevano in venti o trenta camion che si allungavano in una colonna di 800 metri lungo la strada, con un Humvee militare di scorta piazzato in testa e in coda ed almeno un altro al centro della colonna. I soldati ed i marine, a volte, accompagnavano i conducenti piazzandosi nelle cabine dei moto -rimorchi. Questi convogli, onnipresenti in Iraq, erano per molti iracheni una sorgente di distruzione sfrenata. Secondo le descrizioni ottenute da interviste a trentotto veterani che hanno viaggiato n ei convogli – sorvegliando cors e come dal Kuwait a Nasiriya, Nasiriya a Baghdad e Balad a Kirkuk – quando queste
colonne di veicoli lasciavano i loro compound fortificati esse si lanciavano in velocità lungo le rotte di rifornimento principali, che spesso tagliano attraverso aree densamente popolate, raggiungendo velocità di 100 chilometri orari. Spinti dalla regola per cui il rallentare incrementa le possibilità di attacco, i convogli scavalcavano le corsie in caso di blocchi causati dal traffico, ignoravano la segnaletica stradale, sbandavano sui marciapiedi senza preavviso, mandando in fuga i pedoni, e si schiantavano contro i veicoli civili per allontanarli dalla strada . I civili iracheni, incluso bambini, venivano spesso investiti ed uccisi. I veterani hanno dichiarato che qualche volta sparavano ai conducenti di autovetture civili che si muovevano all’interno di formazioni di convogli o cercavano di superare i convogli come avvertimento per gli altri conducenti affinché si tenessero al largo. “Un obiettivo in movimento è più difficile da colpire di uno fermo,” ha detto il Sergente Ben Flanders, 28 anni, un membro della Guardia Nazionale di Concord, New Hampshire, che ha serv ito a Balad con il 172° Fanteria di Montagna per undici mesi con inizio nel marzo 2004. Flanders gestiva i percorsi dei convogli fuori da Camp Anaconda, a circa 50 chilometri a nord di Baghdad. “Per cui la velocità era il tuo miglior amico. E certamente pe r quanto riguarda la detonazione di ordigni stradali improvvisati IED, sicuramente, la velocità e lo spazio tra un mezzo e l’altro erano le due cose che potevano determinare se si veniva o meno feriti o uccisi o se questi mancavano completamente il bersagl io, cosa che accadeva.” Secondo quanto dichiarato da tre veterani, subito dopo un’esplosione o un’imboscata, i soldati nei veicoli di scorta corazza ti spesso facevano fuoco indiscriminatamente in uno sforzo furioso di sopprimere ulteriori attacchi. Le veloci raffiche delle mitragliatrici a nastro calibro 50 e dei SAW (Armi Automatiche di Squadra, che possono sparare fino a mille colpi al minuto) lasci avano molti civili feriti o uccisi. “Le faccio un esempio, stiamo correndo lungo la strada in un co nvoglio e tutto d’un tratto, un IED esplode,” spiega il Soldato Ben Schrader, 27 anni, di Grand Junction, Colorado. Schrader ha servito a Baluba con il 263 ° Battaglione Corazzato, 1° Divisione Fanteria, dal feb braio 2004 al febbraio 2005. Ed hai questi ragazzi con questi fucili, e questi aprono il fuoco. E dappertutto ci potrebbero essere delle persone innocenti. Io l’ho vi sto accadere, voglio dire, in molti casi delle persone innocenti sono morte perché mentre attraversavamo una strada è esploso un ordigno.” Parecchi veterani hanno detto che gli ordigni stradali improvvisati IED, l’arma preferita dagli insorti iracheni, erano una delle loro più grandi paure. Dall’invasione del marzo 2003, gli IED sono stati responsabili dell’uccisione di più truppe – 39,2 % dei più di 3.500 soldati uccisi – che qualsiasi altro metodo, secondo quanto riportato dalla Brookings Institution che monitora le morti in Iraq. Questo scorso maggio gli attacchi IED hanno preso la vita di novanta persone, il più alto numero di morti causato da ordign i stradali registrato dall’inizio della guerra. “Appena lasci il cancello della tua base, ini zi sempre a preoccuparti,” ha de tto il Sergente Flatt. “Sei sempre all’allerta per gli IED. E non li riesci mai a vedere. Voglio dire, è solo in base alla fortuna che si decide chi viene ucciso e chi no. Se hai partecipato a combattimenti a fuoco il giorno o la settimana prima, sei ancora più stressato ed insicuro al punto che ti viene il grilletto facile.” Il Sergente Flatt era tra i ventiquattro veterani che dichiarano di aver visto o sentito storie , da parte di commilitoni della loro unità , di civili non armati su cui veniva aperto il fuoco o che venivano investiti dai convogli. Questi incidenti, hanno affermato, erano così numerosi che non venivano mai riportati.
Il Sergente Flatt ricorda un incidente occorso nel gennaio del 2005 quando un convoglio gli passò davanti sull’autostrada p rincipale a Mosul. “Una macchina che seguiva si avvicinò troppo al loro convoglio,” ha detto. “Praticamente, hanno iniziato a sparare alla macchina. Colpi di avvertimento, non lo so. Ma hanno sparato alla macchina. Bene, uno dei proiettili attraversa il pa rabrezza e va a piazzarsi dritto sullo faccia di questa donna che stava nella macchina. E lei è stata – per quanto ne so io – uccisa all’istante. Non l’ho estratta dall’auto o cose del genere. Suo figlio stava guidando la macchina, e lei aveva – lei aveva tre piccole bambine sul sedile posteriore. E loro sono venuti verso di noi, perché noi eravamo stazionati in una posizione difensiva proprio accanto all’ospedale, l’ospedale principale di Mosul, l’ospedale civile. E hanno continuato a guidare lungo la stra da e lei era chiaramente morta. E le bambine piangevano.” Il 30 luglio 2004 il Sergente Flanders era a bordo del veicolo di coda di un convoglio in una notte con un buio pesto, viaggiando da Camp Anaconda verso sud a Taji, appena a nord di Baghdad, quando la sua unità fu attaccata con colpi d’arma leggera e razzi RPG. Stava per mettersi alla radio per avvertire il veicolo di fronte a lui dell’imboscata quando vide il suo cannoniere sbloccare la torretta e farla ruotare in direzione dell’imboscata. Il canno niere sparò con il suo MK-19, un lancia granate automatico calibro 40 capace di sparare 350 colpi al minuto. “Stava tenendo premuto il grilletto ed alla fine si è inceppato, per cui non è riuscito a sparare la quantità di colpi che forse voleva,” ricorda il Sergente Flanders. “Ma io gli dico, ‘Quanti ne hai sparati?’ Perché sapevo che mi avrebbero chiesto quello. E lui risponde ‘ Ventitrè’. Aveva sparato 23 granate..” “Mi ricordo di aver guardato fuori dal finestrino e di aver visto un piccolo caseggiato, una piccola casa irachena con una luce accesa…. Stavamo andando così veloce e chiaramente scorreva veloce anche l’adrenalina – hai un tipo di visione come fossi in un tunnel, per cui non riesci veramente a vedere cosa sta succedendo, capisce? Ed è scuro l à fuori e tutto il resto . Non sono riuscito a vedere verame nte dove sono esplose le granate , ma devono essere esplose vicino alla casa o aver persino colpito la casa. Chi lo sa? Chi lo sa? E noi eravamo il veicolo di coda. Non potevamo fermarci.” Secondo le descrizioni dei veterani, i convogli non rallentavano o non tentavano di frenare quando i civili inavvertitamente si mettevano di fronte ai loro veicoli. Il Sergente Kelly Dougherty, 29 anni, da Cañon City, Colorado, è stato di stanza nella Base Aerea d i Talil a Nasiriya con la Guardia Nazionale del Colorado 220 ° Compagnia della Polizia Militare per un anno con inizio nel febbraio 2003. Il Sergente ricorda un evento che ha investigato nel gennaio 2004 accaduto su un’autostrada a sei corsie a sud di Nasiriya che ricorda i numerosi eventi di questo tipo descritti dagli altri veterani. “E’ come un deserto molto arido, per cui le persone che vivono lì sono nomadi o vivono in piccoli villaggi ed hanno cammelli, capre ed altra roba,” ricorda. “C’era poi un pic colo bambino – direi che aveva 10 anni perché non abbiamo visto cosa è successo; siamo venuti sul posto con il team d’ indagine – un bambino iracheno stava attraversando l’autostrada con i suoi tre asini. Un convoglio militare da trasporto che si dirigeva a nord, lo ha colpito assieme agli asini uccidendoli tutti. Quando siamo arrivati lì, c’erano gli asini morti e c’era questo bambino scaraventato sul ciglio della strada.” “Lo abbiamo visto lì e, capisce, eravamo arrabbiati perché il convoglio non si era nemmeno fermato,” ha detto. “Loro non hanno neanche, a giudicare dalle strisce sull’asfalto, non hanno nemmeno rallentato. Ma, voglio dire, quello è praticamente – praticamente il tuo ordine è quello che non ti devi mai fermare.”
Secondo il Sergente Flanders che ha partecipato a più di 100 convogli a Balad, Baghdad, Falluja e Baquba, all’interno dei convogli di rifornimento vi erano enormi disparità basate sulle nazionalità dei conducenti. “Quando i conducenti non erano americani, i camion erano spesso vecchi, lenti e proni ad avarie,” ha detto. “I convogli che venivano guidati da conducenti nepalesi, egiziani o pachistani non ricevevano lo stesso livello di sicurezza, anche se il pericolo era maggiore a causa della scarsa qualità dei loro veicoli. I conducenti americani venivano di solito piazzati in convogli lunghi circa la metà di quelli guidati dai conducenti di altre nazionalità ed a loro venivano dati veicoli di qualità superiore, giubbotti antiproiettile ed una sicurezza migli ore. Il Sergente Flanders ha detto che ai soldati non piaceva essere assegnati a convogli condotti da cittadini stranieri, specialmente dato il fatto che, se questi vecchi veicoli andavano in panne, i soldati dovevano rimanere a proteggerli fino a quando q uesti potevano essere rimessi in moto. “Far guidare civili per il paese sembrava una cosa senza senso,” aggiunto.”Voglio dire, l’Iraq è un tale casino per quanto riguarda la sicurezza ed è così pericoloso eppure avevamo i mezzi della KBR che gironzolavano in giro, disarmati… Ricordate quelle previsioni terrificanti che avevamo fatto sul come sarebbe sembrato l’Iraq dopo il conflitto? Penso che questa sia un’altra incarnazione di quell’errore di giudizio, questo metterla semplicemente come… Oh andrà tutto bene. Mettiamo un Humvee in testa, un altro Humvee in coda, un Humvee nel mezzo, ed andiamo avanti così.” “Per me era così scioccante… I ero addestrato dall’Esercito ed avevo un buon cannoniere, avevo le radio e potevo chiamare via radio e richiedere un intervento aereo se volevo. Potevo chiedere un Medevac… Ed ecco questi ragazzi che stanno c azzeggiando. E a questi tipi gli avevano promesso il mondo. Gli avevano promesso 120.000 dollari, esentas se, e che tipo di persona si prende un lavoro del genere? Persone a cui è girata male la fortuna, capisce? Nonne. C’erano delle none laggiù. Ho scortato una nonna è si è comportata benissimo. Siamo passati attraverso un’imboscata ed uno dei suoi ragazzi è stato colpito, e lei era in controllo, calma e tutto d’un pezzo. Meraviglioso, grande, buon per lei. Ma che diavolo ci stava facendo lì?” “Utilizziamo questi convogli vulnerabili, che probabilmente fanno più incazzare gli iracheni di quanto aiutino a mantenere le nostre relazioni con loro,” ha detto Flanders, “ solo per poter avere tutti i comfort e l’aria condizionata e le nostre bibite – grande – e le Playstation e le sedie da camping e le cartoline d’auguri e quelle stupide magliette su cui c’è scritto Who’s Your Baghdaddy? ”
Le Pattuglie I soldati ed i marine che hanno partecipato a pattuglie di quartiere dicono di aver spesso utilizzato le stesse tattiche usate dai convogli – velocità, fuoco aggressivo – per ridurre il rischio di essere vittime di imboscate o essere uccisi da ordigni IED. Il Sergente Patrick Campbell, 29 anni, di Camarillo, California, che ha preso frequentemente parte ad operazioni di pattugliamento, ha detto che la sua unità apriva il fuoco spesso e con un minimo di preavviso su civil i iracheni in un tentativo disperato di tenersi al riparo da attacchi. “Ogni volta che imboccavamo l’ autostrada,” ha detto, “sparavamo dei colpi di avvertimento, causando sempre degli incidenti. Le automobili frenavano di colpo, ad ogni intersezione … Il problema è, capisce, che se si rallenta ad una intersezione più di una volta, quello è il punto dove si troverà la prossima bomba perché sappiamo benissimo che ci guardano. Capisce? Per cui se tu rallenti ogni volta nello stesso punto, hai garantito al li mone che ci sarà una bomba in quello stesso punto entro un paio di
giorni. Per cui ogni ingresso in una strada nazionale o autostrada , quello rappresenta un collo di bottiglia perché devi aspettare che il traffico si fermi. Per cui quello che vuoi fare è a ndare il più veloce possibile e ciò comporta dei rischi aggiuntivi per tutte le macchine attorno a te, tutte le automobili civili.” “Il primo iracheno che ho visto ammazzare era un iracheno che si era avvicinato troppo alla nostra pattuglia,” ha detto. “S tavamo salendo su un cavalcavia di ingresso. E lui stava venendo giù dall’autostrada. E loro hanno iniziato a sparare dei colpi di avvertimento e lui non si è fermato. Si è infilato dritto dentro il convoglio e gli hanno sparato.” Il Sergente Campbell ha detto che questo evento è accaduto nella primavera del 2005 a Khadamiya, nella periferia nordovest di Baghdad. La sua unità sparò contro la macchina dell’uomo con un 240 Bravo, una mitragliatrice pesante. “Ho sentito tre spari,” ha detto. “Continuiamo per circa metà della strada e…. il tipo nella macchina è uscito tutto coperto di sangue. E ha quel punto hai l’impulso…di tirare semplicemente avanti. Questo tipo non saprà mai chi siamo. Siamo come tutte le pattuglie che vanno lungo questa strada. Ho dato un’ occhiata al mio tenente e non c’è stata nemmeno una discussione. Ci siamo voltati e siamo tornati indietro.” “Per cui sto curando questo tipo. Lui ha tre colpi di arma da fuoco sul torace. Sangue dappertutto. E continua a svenire e riprendere conoscenza. E poi finalmente smette di respirare. Gli devo fare una respirazione artificiale . Prendo la mia mano d estra, sollevo il suo mento e poi prendo la mia mano sinistra e gli prendo la nuca per posizionare la sua testa, e mentre muovo la mia mano sinistra, la mia mano entra dentro il suo cranio. Praticamente sto tenendo il cervello di quest’uomo nella mia mano. E mi rendo conto di aver fatto un errore. Avevo cercato dei fori d’uscita. Ma quello di cui non mi ero reso conto era che l’Humvee dietro di me, dopo che la macchina non si era fermata dopo i primi tre colpi, ne aveva sparati venti o trenta contro la macc hina. Non li avevo neanche sentiti.” “Avevo sentito tre colpi, ed avevo visto tre buchi, nessun foro d’uscita,” ha detto. “Pensavo di sapere quale fosse la situazione. Per cui non ho nemmeno curato la ferita alla testa di quel tipo. Ogni medico a cui ho spiegato questa cosa mi ha detto, ‘Chiaro il tipo è stato beccato alla testa. Non ce niente che potevi fare.’ Ma quest’uomo, sto guardando quest’uomo, a cui so che abbiamo sparato perché si è avvicinato troppo. La sua macchina era pulita. Non c’era… non ci ha sentito, non ci ha visto, qualunque cosa fosse. Lui muore, capisce, tra le mie braccia.” Mentre molti veterani dicono che l’uccisione di civili li ha profondamente scossi, gli stessi affermano che non vi era nessun altro modo di condurre una pattuglia in sicurezza. “Non vuoi sparare ai bambini, voglio dire, nessuno lo vuole fare,” ha detto il Sergente Campbell, mentre descriveva un incidente occorso nell’estate del 2005 raccontatogli da parecchi uomini della sua unità. “Ma succede questo. Mi ricordo c he la mia unità stava venendo da questo cavalcavia. E questo ragazzino in mezzo ad un mucchio di spazzatura proprio sotto, tira fuori un AK -47 e decide di botto di iniziare a sparare. E dovete capire…quando hai passato nove mesi in una zona di guerra, dove non si vede nessuno – ogni volta che ti sparano, non hai mai l’occasione di vedere la persona che ti sta sparando, e non hai mai l’occasione di rispondere al fuoco. Ed ecco questo tipo, questo quattordicenne con un AK-47 che ha deciso di sparare a questo convoglio. E’ la cosa più oscena che si sia mai vista . Tutti quanti sono usciti ed hanno aperto il fuoco verso questo ragazzino. Usando le armi più potenti che potevamo trovare lo abbiamo ridotto a brandelli.” Il Sergente Campbell non era presente durante l’incidente, accaduto a Khadamiya, ma ha visto le fotografie e sentito le descrizioni di diversi testimoni
oculari della sua unità. “Erano tutti così felici, con questo senso di sollievo di aver finalmente ucciso un insorto,” ha detto. “Poi quando sono ar rivati sul posto, si sono resi conto che era solo un ragazzino. E so che questo ha veramente fottuto la testa alla grande a molti di loro… Mostravano le fotografie e qualcuno di loro era veramente felice, come, ‘Oh, guarda cosa abbiamo fatto. ’ Ed altre persone invece erano, come, ‘Non voglio più vedere una cosa del genere.”
L’uccisione di iracheni disarmati era così comune che molti soldati hanno affermato che era ormai diventata un tratto comune del paesaggio quotidiano. “Le forze di terra erano state me sse in quella posizione,” ha detto il Sottotenente Wade Zirkle di Shenandoah County, Virginia, che ha combattuto a Nasiriya e Falluja con il 2° Battaglione Leggero Corazzato di Perlustrazione dal marzo al maggio del 2003. “Hai un tipo che cerca di uccidert i ma sta sparando da delle case… con dei civili attorno a lui, donne e bambini. E che cosa puoi fare? Non vuoi rischiare di colpire lui assieme a dei bambini. Ma allo stesso tempo non vuoi morire.” Il Sergente Dougherty ha raccontato di un incidente a nor d di Nasiriya nel dicembre 2003, quando il comandante della sua squadra sparò alla schiena di un civile iracheno. La sparatoria le fu descritta da una donna della sua unità che condusse l’inchiesta. “Era, cioè, la mentalità del mio comandante era, ‘Oh, dobbiamo ucciderli qui per non dovere ucciderli in Colorado,” ha detto. “Sembrava che vedesse in ogni iracheno un potenziale terrorista.” Molti intervistati hanno dichiarato che, a volte, queste uccisioni erano giustificate dall’inquadrare persone innocenti come terroristi, tipicamente a seguito di incidenti dove soldati americani aprivano il fuoco su folle di iracheni non armati. I soldati detenevano i sopravvissuti, accusandoli di essere insorti, e piazzavano degli AK -47 accanto ai corpi di chi avevano ucci so per fare sembrare che i civili erano dei combattenti. “Era sempre un AK perché ne avevano un sacco di quelli in giro,” ha detto il Soldato Scelto Aoun. Lo scout di Cavalleria Joe Hatcher, 26 anni, di San Diego, ha affermato che venivano anche utilizzate pistole 9mm ed anche badili – per fare sembrare che i non combattenti stavano scavando un buco per piazzare un ordigno IED. “Ogni buon poliziotto si porta dietro una falsa prova,” ha detto Hatcher, che ha servito con il 4° Reggimento Cavalleria, 1° squad rone, ad Ad Dawar, a metà tra Tikrit e Sama rra, dal febbraio 2004 al marzo 2005. “Se uccidi qualcuno e sono disarmati, ne metti una accanto a loro.” Le persone che sopravvivevano a queste sparatorie venivano imprigionate come sospetti membri dell’ insurrezione. Nell’inverno del 2004 il Sergente Campbell stava guidando vicino ad una strada particolarmente pericolosa ad Abu Gharth, una città ad ovest di Baghdad, quando sentì degli spari . Al Sergente Campbell, che aveva servito ad Abu Gharth con la 256 ° Brigata Fanteria dal novembre 2004 all’ottobre 2005, fu detto che cecchini dell’Esercito avevano sparato dai cinquanta ai sessanta colpi a due insorti che erano fuoriusciti dal loro veicolo per piazzare un ordigno IED. Un sospetto insorto era stato colpito al ginocchio tre o quattro volte, curato ed evacuato su un elicottero militare, mentre l’altro uomo, che era stato curato per ferite da frammenti di vetro, fu arrestato e detenuto.
“Dopo ho scoperto, mentre lo stavo cu rando, che i cecchini avevano piazzato – dopo avere perquisito la zona e non avendo trovato nulla – avevano piazzato del materiale per la fabbricazione di ordigni sul
corpo del tipo perché non volevano essere messi sotto inchiesta per la sparatoria,” ha de tto il Sergente Campbell. (Ha mostrato al The Nation una fotografia di un cecchino con una radio nella sua tasca che ha successivamente utilizzato come falsa prova.) “Ed ancora oggi, voglio dire, mi ricordo di aver portato questo tipo alla prigione di Abu Ghraib – il tipo che non si era beccato la pallottola – e di avergli detto solamente ‘Mi dispiace’ perché non c’era un diavolo di cosa che potevo fare… Voglio dire, credevo di avere un obbligo morale di dirgli qualcosa, ma sarei stato cacci ato via dall’un ità in un batter di ciglio. Sarei stato un traditore.”
I Checkpoint Secondo ventisei soldati e marine che vi avevano partecipato o che li avevano riforniti – in località diverse come Tikrit, Baghdad, K arbala, Samar ra, Mosul e Kirkuk - i checkpoint milit ari USA piazzati a macchia di leopardo in tutto l’Iraq erano spesso mortali per i civili. Civili iracheni disarmati erano spesso scambiati per insorti, e le regole d’ingaggio erano vaghe. I soldati, temendo attacchi suicidi o il lancio di razzi RPG, spess o aprivano il fuoco contro automobili civili. Nove di questi soldati hanno detto di aver visto aprire il fuoco su civili nei checkpoint. Alcuni veterani hanno affermato che questi incidenti erano così comuni che l’esercito non riusciva ad investigarli tutt i. “La maggior parte delle volte si tratta di una famiglia,” ha detto il Sergente Cannon, che ha servito presso una mezza dozzina di checkpoint a Tikrit. “Ogni tanto, c’è una bomba, capisce, quella è la parte che fa più paura.” Vi erano checkpoint perma nenti presenti lungo tutto il paese, ma per i civili che non se lo aspettavano, quelli più pericolosi erano i checkpoint a sorpresa, secondo quanto dichiarato da otto veterani che sono stati coinvolti nel metterli su. Questi perimetri di sicurezza improvvi sati, messi su appena ricevuto l’ordine e poi velocemente smantellati, erano generalmente costruiti per catturare insorti nell’atto di trafficare armamenti o esplosivi, catturare persone che violavano il coprifuoco imposto dall’esercito o sospettati di att entati dinamitardi o sparatorie in corsa. Gli iracheni non avevano nessuna possibilità di sapere dove questi soprannominati punti di controllo tattico potevano apparire, hanno affermato gli intervistati, per cui molti che si trovavano a f are una curva a velocità elevata si trovavano ad essere l’obiettivo involontario di soldati e marine sovraeccitati. “Per me si trattava di una cosa decisa a caso,” ha detto il Tenente Van Engelen. “ Sceglievo un punto sulla cartina che pensavo fosse una zona ad alto volume che consentisse di catturare qualcuno. Mettevamo in piedi qualcosa per mezz’ora o un’ora e poi ce ne andavamo. Non vi erano briefing prima di montare un checkpoint,” ha affermato. I checkpoint temporanei era no più sicuri per i soldati, secondo i veterani, in quanto erano meno atti a servire da obiettivo statico per gli insorti. “Li monti veramente in fretta perché non vuoi sempre annunciare la tua presenza,” ha detto il Sergente Mag giore Perry Jeffries, 46 anni, di Waco, Texas, che ha servito con la 4° Divisione Fanteria dall’aprile all’ottobre del 2003. La natura dei checkpoint temporanei variava grandemente. Il Tenente Van Engelen metteva su dei checkpoint utilizzando coni color a rancio e cinquanta metri di filo spinato. Assegnava un soldato al controllo del flusso di traffico e dirigeva il conducente attraverso il filo spinato, mentre altri perquisivano il veicolo, interrogando il conducente e chiedendogli i documenti per identifi carlo. Il
Tenente Engelen ha detto che i cartelli in inglese ed arabo avvertivano di fermarsi agli iracheni; di notte, i soldati utilizzavano laser, stick fluorescenti o proiettili traccianti per segnalare alle macchine di fermarsi. Quando questi non erano disponibili, i soldati improvvisavano utilizzando torce inviate loro dai loro famigliari a casa. “Baghdad non è ben illuminata,” ha detto il Sergente Flanders. “Non vi sono insegne luminose dappertutto. E’ difficile capire quello che succede.” Altri soldati, tuttavia, h anno affermato di aver costruito punti di controllo tattico che erano difficilmente visibili ai conducenti. “Non avevamo coni, non avevamo niente,” ricorda il Sergente Bocanegra, che ha detto di aver partecipato a più di dieci che ckpoint a Tikrit. “Piazzavi letteralmente dei sassi sul ciglio della strada e gli dicevi di fermarsi. E chiaramente alcune macchine non vedevano i sassi. Nemmeno io riuscivo a vederli.” Secondo il Sergente Flanders, la preoccupazione principale quando si mettevano su dei checkpoint era di proteggere i soldati che vi partecipavano. Gli Humvee venivano piazzati di modo che potessero velocemente abbandonare la zona se necessario, e l’armamento pesante montato su questi era piazzato nella posizione migliore pe r aprire il fuoco sui veicoli che avessero provato ad attraversare il checkpoint senza fermarsi. E le regole d’ingaggio erano spesso improvvisate, hanno dichiarato i soldati. “Ci davano una lunga lista di regole e, per essere onesti, molte volte gli davam o un’occhiata e la buttavamo via, “ ha detto il Sergente James Zuelow, 39, un membro della Guardia Nazionale di Juneau, Alaska, che ha servito a Baghdad nel 3° Battaglione, 297° Reggimento Fanteria, per un anno con inizio nel 2005. “Un mucchio di quella ro ba era stata scritta ad un livello talmente alto che non si poteva applicare.” Nei checkpoint, i soldati dovevano prendere decisioni entro alcune frazioni di secondo sul quando usare forza letale ed i veterani hanno affermato che spesso la paura offuscava il loro giudizio. Il Sergente Matt Mardan, 31 a nni, di Minneapolis, ha servito come cecchino scout dei Marine fuori da Falluja nel 2004 e nel 2005 con il 3° Battagli one, First Marines. “Le persone pensano che sia pericoloso e lo è,” ha detto, “Ma preferi rei fare quello ogni giorno della settimana piuttosto che essere uno di quei marine che sta fermo ad un fottuto checkpoint guardando le macchine.” “Ogni macchina che passa attraverso un checkpoint è sospetta,” ha de tto il Sergente Dougherty, “Inizi a squadrare ogni persona come se fosse un criminale…. E’ questa la macchina che si schianterà contro di me? E’ questa la macchina con l’esplosivo? O è solo qualcuno confuso? L’incertezza continua,” ha detto, “è mentalmente estenuante e fisicamente debilitante.” “In quel momento, quello che ti passa per la testa è… Questa persona è una minaccia? Sparo per fermarlo o sparo per ucciderlo?” ha de tto il Tenente Morgenstein, che ha servito ad Al Anbar. Il Sergente Mejia ha raccontato di un incidente a Ramadi nel lugl io 2003 quando un uomo disarmato ha guidato con il suo giovane figlio troppo vicino ad un checkpoint. Il padre fu decapitato di fronte al bambino terrorizzato da un membro dell’unità del Sergente Mejia che aprì il fuoco con una mitragliatrice calibro 50. D a allora, ha detto il Sergente Mejia, che si recò sulla scena dopo il fatto, questo tipo d’uccisione di civili ha già cessato da molto tempo di attrarre attenzione o commenti. Il mese seguente, il Sergente Mejia ritornò a casa in un congedo di riposo di du e settimane e si rifiutò di
tornare, lanciando una protesta pubblica sul trattamento degli iracheni. (Fu accusato di diserzione, sentenziato ad un anno di prigione e congedato per cattiva condotta.) Durante l’estate del 2005, il S ergente Millard, che ha servito come assistente personale di un generale a Tikrit, partecipò ad un briefing su una sparatoria ad un checkpoint, il s uo compito era quello di proiettare delle slide di PowerPoint. “Questa unità monta un punto di controllo traffico, e questo ragazzo di 18 anni è in cima ad un Humvee corazzato con una mitragliera calibro 50,” racconta. “Questa macchina si avvicina velocemente verso di lui e lui prende la decisione in una frazione di secondo che si tratta di un kamikaze, preme il grilletto e ficca 200 colpi in meno di un minuto dentro questa macchina. Uccide la madre, un padre e due bambini. Il bambino aveva 4 anni e la bambina 3. E spiegano questo al generale. E glielo spiegano in maniera macabra. Voglio dire, avevano le foto. Glielo spiegano. E questo colonnello si gira allo staff della divisione al completo e dice ‘Se questi cazzo di haji imparassero a guidare, questa merda non accadrebbe.’ ” Che gli ufficiali al commando condividessero o meno questa attitudine, hanno affermato gli intervistat i, i soldati venivano raramente chiamati in causa per aver aperto il fuoco su dei civili ad un checkpoint. Otto veterani hanno affermato che l’attitudine prevalente tra loro era “Meglio essere sotto processo da dodici uomini che essere trasportati su una b ara da sei.” Siccome il numero di soldati pro cessati per aver ucciso civili era così flebile, hanno detto gli intervistati, tutti preferivano rischiare una corta marziale piuttosto che essere feriti o morti.
Le Regole d’Ingaggio In effetti, parecchi soldati hanno riferito che le regole d’ingaggio erano fluide e pensate per assicurare la loro sicurezza sopra ogni cosa. Alcuni hanno detto di essere semplicemente stati autorizzati a sparare se si sentivano minacciati, e il che cosa c ostituisse un rischio per la loro sicurezza era aperto a una vasta interpretazione. “In pratica alla fine s i trattava di difesa personale o molto meglio loro che tu,” ha detto il Sergente Bobby Yen, 28 anni, di Atherton, California, che ha coperto diverse attività nell’Esercito a Baghdad e Mosul come parte del 222° Distaccato Operazioni di Trasmissione per un anno con inizio nel novembre 2003. “Pararti il culo era la prima regola d’ingaggio,” ha confermato il Tenente Van Engelen, “Qualcuno poteva guardarm i nella maniera sbagliata ed io potevo dichiarare che la mia sicurezza era stata messa sotto pericolo.” “La mancanza di una direttiva uniforme da servizio a servizio, base a base, ed anno in anno costringeva i soldati ad affidarsi sul loro giudizio person ale,” ha spiegato il Sergente Jefferies. “Non avevamo delle regole chiare,” ha detto. “Hai cose come, ‘Non essere aggressivo’ o ‘ Prova a non sparare se non devi’. Be’, che cavolo vuol dire?” Prima del suo dispiegamento, ha detto il Sergente Flanders, i soldati venivano addestrati all’utilizzo delle cinque S’ nell’escalation della forza: Shout urla un avvertimento, Shove respingi fisicamente, Show mostra un’arma, Shoot spara un colpo non letale sul blocco motore o pneumatici del veicolo, e Shoot to Kill spara per uccidere. Alcuni soldati affermano di aver portato con sé le regole nelle loro tasche o negli elmetti conservandole su piccole carte laminate. “La metodologia sull’escalation della
forza era stata concepita per essere una guida teorica nel determinare il corso di azioni che bisognerebbe intraprendere prima di sparare,” ha detto. “ Shove può essere un passo che può essere saltato in una data situazione. Con i veicoli di notte come fa a funzionare Shout? Ogni soldato non è solamente addestrato sulle c inque S’ ma anche sul suo sacrosanto diritto alla difesa personale. Alcuni intervistati hanno affermato che i loro comandanti scoraggiavano il sistema di escalation. “Non esiste nessuna cosa del tipo colpi di avvertimento”, è stato detto al Soldato Resta durante il suo addestramento pre -dispiegamento presso Fort Bragg. “Mi ricordo che mi fu persino specificamente detto che era meglio ucciderli che averne qualcuno ferito ed ancora vivo .” Il Tenente Morgenstein ha detto che quando è arrivato in Iraq nell’ agosto del 2004, le regole di ingaggio proibivano l’utilizzo di colpi di avvertimento. “Eravamo addestrati in maniera tale che se qualcuno no n era armato, e non era una minaccia, non vi era bisogno di sparare un colpo di avvertimento perché non vi era ness un bisogno di sparare fin dall’inizio,” ha dichiarato. “Gli fai segnali con metodi diversi dalle pallottole. Se sono armati e sono una minaccia, non spari mai un colpo di avvertimento perché…. Quello gli dà una chance per ucciderti. Non mi ricordo se quest a era una regola d’ingaggio esplicita o era semplicemente parte del nostro addestramento. Ma più tardi,” ha detto, “ci dissero che le regole d’ingaggio erano cambiate e che i colpi di avvertimento erano esplicitamente permessi in certe circostanze.” Il Sergente Westphal ha affermato che quando arrivò in Iraq all’inizio del 2004, le regole d’ingaggio per i checkpoint erano diventate più precise – almeno nel luogo dove ha servito con l’Esercito a Tikrit. “Se non si fermavano, dovevi sparare un colpo di avve rtimento,” ha detto il Sergente Westphal. “Se continuavano ancora, eri istruito ad aumentare la forza applicata e a puntare il tuo fucile alla loro vettura. E se non si fermavano, allora, se ti sentivi in pericolo ed erano sul punto di schiantarsi contro i l checkpoint o farti esplodere, potevi ingaggiarli.” Nell’addestramento iniziale, ha detto il Tenente Morgenstein, veniva consigliato ai marine di non sparare colpi di avvertimento in quanto “altre persone attorno a te potevano essere colpite dai proietti li vaganti”, ed infatti tali incidenti non erano insoliti. Una sera a Baghdad, ricorda il Sergente Zuelow, un van avanzò rombeggiando in direzione di un checkpoint dove era stazionato un plotone della sua compagnia ed un soldato sparò un colpo d’avvertimen to che rimbalzò per terra ed uccise il passeggero del van. “Quella fu una bella sveglia per tutti,” ha detto, “e dopo quell’incidente abbiamo sconsigliato di sparare qualsiasi colpo di avvertimento.” Molti incidenti ai checkpoint non sono stati denunciat i, è stato affermato da un numero di veterani, e i civili uccisi non sono stati inclusi nel numero totale delle vittime del conflitto. Tuttavia a giudicare dalle sparatorie nei checkpoint descritte al The Nation dai veterani che abbiamo intervistato, quest e sparatorie sembravano essere abbastanza comuni. Il Sergente Flatt ha raccontato di un incidente a Mosul nel gennaio 2005 in cui una coppia di anziani sfrecciò oltre un checkpoint. “La macchina stava avvicinandosi a quello che secondo me era un checkpoint mal segnalato,” ha detto. “I ragazzi si sono spaventati e hanno deciso che si trattava di una possibile minaccia, per cui hanno aperto il fuoco contro la macchina. E loro sono rimasti letteralmente seduti nella macchina [morti ndt] nei successivi tre gio rni mentre passavamo accanto a loro giorno dopo giorno.” In un altro incidente, un uomo stava accompagnando in macchina sua moglie ed i suoi tre bambini su
un pickup guidando su una grande autostrada a nord dell’ Eufrate, vicino a Ramadi, in una giornata piovosa di febbraio o marzo 2005. Quando l’uomo non si fermò ad un checkpoint, un marine in un veicolo corazzato leggero sparò sulla macchina, uccidendo la moglie e ferendo criticamente uno dei figli. Secondo il Te nente Morgestein, un ufficiale per gli affari civili, un ufficiale della JAG fece le condoglianze alla famiglia e gli diede circa 3.000 dollari di risarcimento. “Voglio dire, è una cosa terribile perché non esiste di dare del denaro per rimpiazzare il memb ro di una famiglia,” ha detto il Tenente Morgenstein, che fu a volte incaricato di chiedere scusa alle famiglie per morti accidentali ed offrirgli questo tipo di risarcimenti, chiamati pagamenti di consolazione o solatia. “Ma è un tentativo di risarcire i costi del funerale e tutte le altre spese. E’ un tentativo di fare un’offerta in buona fede come segno di pentimento e di dire, capisce, che noi non volevamo che questo accadesse. Questo è un incidente.” Secondo un rapporto dell’Ufficio di Contabilità de l Governo, il Dipartimento della Difesa ha emesso circa 31 milioni di dollari in solatia e pagamenti di condoglianze tra il 2003 ed il 2006 a civili in Iraq ed Afghanistan che sono stati uccisi, feriti o hanno subito danni alle proprietà come risultato di azioni di combattimento delle forze della coalizione. Lo studio caratterizza i pagamenti come espressioni di simpatia o rimorso…. ma non come ammissione di colpa o responsabilità legale. In Iraq, secondo il rapporto, ai civili vengono dati 2.500 dollari in caso di morte, e fino a 1.500 dollari per ferite gravi e 200 dollari per ferite lievi. In un’occasione a Ramadi verso la fine del 2004, un uomo si trovava a guidare lungo una strada con la sua famiglia pochi minuti dopo che un attentatore suicida aveva c olpito una barriera durante un’operazione di delimitazione e ricerca , ha detto il Tenente Morgenstein. I freni della macchina non funzionarono ed i marine aprirono il fuoco. La moglie ed i suoi due bambini riuscirono a scappare dalla macchina, ma l’uomo fu colpito a morte. Alla famiglia venne comunicato per errore che era sopravvissuto, per cui il Tenente Morgenstein dovette rettificare quanto detto. “Non l’avevo mai fatto prima,” ha detto. “Dovevo dire a questa donna che suo marito era in verità morto. Gli abbiamo dato dei soldi, gli abbiamo dato, dieci casse d’acqua, ed ai bambini mi ricordo che gli abbiamo dato dei palloni da calcio e dei giocattoli. Non sapevamo cos’altro fare.” Un incidente di questo tipo, accaduto a Falluja nel marzo del 2003 fu riportato al tempo dalla BBC, e coinvolse persino un gruppo di poliziotti iracheni. Il Sergente Mejia fu informato dell’evento da diversi soldati che ne furono testimoni. “I poliziotti stavano sopra un pickup bianco, inseguendo una BMW che aveva attraversato un posto di blocco. Il tipo che i poliziotti stavano inseguendo riuscì a scappare e credo che i soldati si spaventarono o erano nervosi, così quando il pick up arrivò iniziarono a far fuoco, “ ha det to il Sergente Mejia. “La polizia irachena provò a far cessare il fuoco, ma quando i soldati non si fermarono iniziarono a difendersi e ci fu una scaramuccia tra i soldati ed i poliziotti. Nessun soldato fu ucciso ma otto poliziotti persero la vita.”
Responsabilità Alcuni veterani hanno affermato che le sparatorie ai checkpoint derivavano da incomprensioni, segnali mal interpretati o ignoranza culturale.
“Come americano, sollevi la tua mano con il palmo verso qualcuno puntando le tue dita in alto,” ha detto il Sergente Jeffries, che era responsabile al rifornimento di checkpoint fissi a Diyala due volte al giorno. “Questo significa stop per molti americani, ed è un segnale che i soldati riconoscono come stop. Un pugno chiuso significa, per favore state fermi, ma una mano aperta significa stop. Questo è un segnale che si fa nei checkpoint. Per un iracheno invece significa, ‘Ciao, vieni qui. ’ Per cui capite il problema che si crea velocemente. Per cui sei ad un checkpoint, ed i soldati pensano di dire stop, stop, stop e gli iracheni pensano che gli stati dicendo vieni qui, vieni qui. E i soldati iniziano ad urlare, per cui gli iracheni si avvicinano più velocemente. E i soldati urlano ancora di più ed un secondo dopo ti trovi a sparare su delle donne incint e.” “Non puoi dire in che cosa sono diverse queste persone” ha detto il Sergente Mardan. “Sembrano tutti arabi. Hanno tutti barba, facce pelose. Onestamente è come camminare per la Cina cercando di identificare chi è un membro del Partito Comunista e chi non lo è. E’ impossibile.” Ma altri veterani affermano che le frequenti sparatorie ai checkpoint sono il risultato di una mancanza di responsabilità. Le decisioni critiche, hanno affermato, erano spesso lasciate al singolo soldato o alla discrezione del s ingolo marine, e le forze armate spesso appoggiavano queste decisioni senza condurre un’inchiesta. “Alcune unità erano così pignole nella loro struttura di comando e controllo che ogni volta che sparavano una pallottola dovevano scrivere un rapporto d’inc hiesta,” ha detto il Sergente Campbell. “Ma noi abbiamo sparato migliaia di colpi senza mai compilare dei rapporti, “ ha detto. “Per cui il tutto ha a che fare con la relazione ed interazione tra i comandanti e le loro unità.” Il Capitano Megan O’Connor h a affermato che nella sua unità ogni incidente relativo a sparatorie veniva riportato. O’Connor, 30 anni, di Venice, California, ha servito a Tikrit nel 50° Battaglione di Supporto Principale nella Guardia Nazionale per un anno con in izio nel dicembre 2004 , dopodiché si è unita al Team di Combattimento Brigata 2-28 a Ramadi. Ma il Capitano O’Connor ha detto che nell’esaminare i rapporti e nel consultarsi con gli ufficiali del JAG, il colonnello in comando di solito assolveva i soldati. “Alla fine diceva sem pre, ‘Noi lì non c’eravamo. Per cui dobbiamo dargli il beneficio del dubbio, ma assicurati che sappiano che tutto questo non è OK e che noi li teniamo d’occhio.” Le inchieste per le uccisioni nei posti di blocco erano mere formalità, hanno dichiarato alc uni veterani. “Persino dopo un’inchiesta completa, non c’era molto che si poteva fare,” ha detto il Soldato Reppenhagen. “E’ semplicemente la natura della situazione in cui ti trovi. E’ quella che è sbagliata. Non si tratta di atrocità individuali. Il fatt o è che l’intera guerra è un’atrocità.” L’uccisone dell’agente dei servizi segreti Nicola Calipari ad un checkpoint a Baghdad, tuttavia, fece sì che l’esercito finalmente facesse sentire il polso fermo su questi incidenti, ha dichiarato il Se rgente Campbell, che ha servito in quella zona. Tuttavia tutto ciò non ha portato a una maggiore presa di responsabilità. “E’ superfluo dire che la nostra unità fu sottoposta ad uno scrutinio completo per far sì che non sparassimo ad altre persone perché eravamo una sp ecie di posto spara e scappa,” ha detto il Sergente Campbell. “Una delle cose che hanno fatto è iniziare a dire, ‘Ogni volta che sparate a qualcuno o sparate a una macchina dovete riempire un modulo 15 -6 o un modulo per qualunque altro tipo di inchiesta si tratti.’ Be’, quel tipo di inchiesta è veramente pesante per i soldati. E’ come un’inchiesta del tipo ‘Sei colpevole’ – è veramente dura. Per cui i comandanti hanno iniziato a smettere di fare rapporti sulle sparatorie. Non vi era nessun incentivo a dichiarare, ‘Sì abbiamo sparato a quella e
quella macchina.’ “ (Il Sergente Campbell ha de tto di credere che il numero di sparatorie ai checkpoint sia effettivamente diminuito a seguito dell’incidente Calipari, ma ciò è dovuto in gran parte al fatto che ai soldati viene adesso richiesto di utilizzare laser di puntamento di notte. “ Penso che i laser abbiano ridotto, dal momento in cui abbiamo iniziato fino a quando siamo tornati a casa, il numero di civili iracheni uccisi nei checkpoint da uno al giorno a uno al la settimana,” ha detto. Inerente a questo numero vi è, come in tutte le statistiche, il fatto che le sparatorie contemplate siano solo quelle comunicate.) Avendo paura di una ripercussione causata da queste sparatorie sui civili, il Tenente Morgenstein d iede una lezione alla fine del 2004 a tutti gli ufficiali e agli ufficiali anziani del suo battaglione presso il centro operativo del proprio battaglione a Ramadi , lezione durante la quale fu chiesto ai partecipanti di mettersi nei panni degli iracheni. “Gli ho detto l’ovvio, che è, che ognuno che feriamo o uccidiamo che non è un insorto alla fine si ritorce contro di noi… Perché vi garantisco, alla fine della corsa, questo significa un marine o un soldato ferito o ucciso…. Uno, la cosa giusta è di non fer ire o sparare a qualcuno che non è un insorto. Ma due, a parte il proprio impulso di sopravvivenza ed il nostro interesse egoistico, non vogliamo che questo accada perché le vittime di questi atti torneranno con un desiderio di vendetta.”
Risposte The Nation ha contattato il Pentagono con una lista dettagliata di domande ed a chiesto di commentare le descrizioni di specifici schemi comportamentali di abuso. Queste domande includevano richieste di spiegazioni circa le regole d’ingaggio, le operazioni di trasporto tramite convogli, pattugliamento e checkpoint, le indagini sull’uccisione di civili, la detenzione di iracheni innocenti sulla base di false informazioni di intelligence e la sospetta pratica di impiantare fucili per la produzione di prove fi ttizie. Il Pentagono ci ha diretti al Centro Informazioni Stampa della Forza Multi -Nazionale in Iraq a Baghdad, dove un portavoce ci ha mandato una risposta via e -mai.
Per ragioni di sicurezza operative, non parliamo di tattiche specifiche, tecniche o pr ocedure (TTP) utilizzate per identificare ed ingaggiare forze ostili, ha scritto il portavoce in parte del messaggio. I nostri soldati sono addestrati a proteggersi in ogni situazione. Stiamo affrontando un nemico pensante che impara e si aggiusta alle nos tre operazioni. Conseguentemente, adattiamo le nostre TTP per assicurare la massima efficacia di combattimento e sicurezza per le nostre truppe. Le forze ostili si nascondono tra la popolazione civile ed attaccano forze civili e della coalizione. Le forze della Coalizione si prendono grande cura nel proteggere e minimizzare i rischi per i civili in questo complesso ambiente di combattimento, ed investighiamo casi in cui le nostre azioni possano essere risultate in un danno ad innocenti… Noi utilizziamo i n ostri soldati e marine con uno standard di alto livello ed investighiamo l’uso improprio della forza in Iraq. Questo tipo di risposta è consistente con il rifiuto dell’esercito di commentare le regole d’ingaggio, dichiarando che il rivelare queste regole potrebbe compromettere le operazioni e mettere a rischio i soldati. Ma il 9 febbraio il Generale Maggiore William Caldwell, portavoce della coalizione, scrivendo sul sito web della coalizione, insisteva sul fatto che le regole d’ingaggio per i soldati in Iraq sono
chiare. La legge dei conflitti armati richiede che, per utilizzare la forza i ‘combattenti’ debbano distinguere tra gli individui che rappresentano una minaccia e i civili innocenti, ha scritto. Questo principio base è accettato da tutti gli eserciti disciplinati. Nella contro -insurrezione che stiamo adesso combattendo, l’uso disciplinato della forza è ancora più critico perché il nostro nemico si mimetizza tra la popolazione civile. Il nostro successo in Iraq dipende d alla nostra abilità di trattare la popolazione civile con umanità e dignità, persino mentre siamo pronti a difendere immediatamente noi stessi o i civili iracheni qualora sia individuata una minaccia.
Quando è stato chiesto circa la testimonianza dei ve terani sul fatto che le morti di civili per mano delle forze della coalizione siano spesso non riportate e tipicamente lasciate impunite, il portavoce del Centro Informazioni Stampa ha semplicemente replicato, Qualsiasi accusa di condotta impropria viene presa seriamente… i soldati hanno l’obbligo di riportare immediatamente ogni condotta impropria attraverso la loro catena di comando. Lo scorso settembre, il Senatore Patrick Leahy, allora membro della Commissione Giustizia, qualificò un rapporto del Penta gono circa le procedure utilizzate dal Pentagono per la registrazione delle vittime civili in Iraq come imbarazzante. “Consiste di sole due pagine,” ha detto Leahy, “e dà un’idea chiara del fatto che il Pentagono fa molto poco per determinare la causa dell e vittime civili o per tenere un registro delle vittime civili.” Nei quattro anni di guerra, il crescente numero di vittime civili ha fatto pagare un prezzo alto – sia al popolo iracheno sia ai soldati USA che hanno visto o causato le sofferenze dei civili. Medici iracheni, supervisionati da degli epidemiolog hi della Johns Hopkins University's Bloomberg School of Public Health, hanno pubblicato l’anno scorso sulla rivista medica britannica The Lancet uno studio che stima che 601.000 civili sono morti a partire dall’invasione del marzo del 2003 come risultato di atti violenti. I ricercatori hanno trovato che le forze della coalizione sono state responsabili del 31% di queste morti violente, una stima che ritengono essere prudente, in quanto le morti non s ono state classificate come attribuibili alle forze della coalizione se le famiglie avevano qualsiasi dubbio sulla parte responsabile. “Solo la carneficina, tutti quei civili fatti a pezzi, i corpi sbrandellati che ho visto,” ha detto il Soldato Englehart, “Ho iniziato a pensare, Perché? A che cosa serve?” “Diventa frustrante,” ha detto il Soldato Reppenhagen, “Invece di prendertela con chi ti comanda per averti messo lì in quella situazione, inizi a biasimare gli iracheni… Per cui è una battaglia psicolo gica continua per provare a… rimanere umani.” “Sentivo che c’era questa enorme riduzione della mia compassione verso la gente,” ha detto il Sergente Flanders. “L’unica cosa di cui alla fine mi importava erano me stesso ed i ragazzi con cui ero. Tutti gli altri potevano andarsene all’inferno.”
Traduzione di Tom Corradini