Universitarea Numero 6 Novembre-dicembre 2008

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I GIORNI DELLA PROTESTA Come la stampa universitaria ha raccontato l’Onda L’ONDA FIORENTINA L’occupazione di Novoli raccontata dagli studenti del Polo

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GIORNALISTI CONTRO LE MAFIE Intervista a Ciro Pellegrino, redattore de Il Napoli ANNO II - NUMERO 6 - Novembre/Dicembre 2008 - FIRENZE Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 5589 del 04/07/2007

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Realizzato con il contributo della Birra Peroni

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Direttore Gaetano Cervone

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LA PROTESTA CONTRO LA RIFORMA GELMINI ATTRAVERSA L’ITALIA Da Milano a Catania, il movimento studentesco che si è opposto alla legge n. 133 ha fatto parlare di sé: sintomo di un disagio contingente o rinascita di un movimento trasversale, destinato a durare nel tempo? Uno sguardo alla protesta con gli occhi di chi l’ha seguita dal vivo.

Viaggio attraverso La Milano della protesta ELISA CIANI “Il tutto è cominciato con i collettivi studenteschi che, grazie alle loro manifestazioni, hanno catturato l’attenzione della carta stampata, dell’opinione pubblica e, quindi, anche dei telegiornali”. Così parla delle proteste studentesche milanesi Michele Capaccioli, fondatore di Wemustact.org, un progetto web con la regola del giornalismo d’informazione e d’inchiesta. “Le proteste di Milano sono state simili a quelle avvenute nel resto d’Italia” continua Capaccioli “Hanno, spesso e volentieri, bloccato il traffico, la circolazione, ma sono state comunque molto partecipate”. Il problema a suo dire è stata l’infiltrazione della politica nelle iniziali proteste dei collettivi contro i tagli e la riforma della scuola. “La lista universitaria per cui sono stato eletto e dalla quale mi sono dimesso il 3 ottobre da rappresentante universitario al Consiglio di facoltà di Scienze Politiche, ha continuato a cavalcare la protesta dei collettivi, discutendo su questo punto palesemente in mailing list” e confessa “Io ho provato a fare una critica costruttiva e per giunta mi è stato impedito di spedire le email”. Capaccioli mette sotto accusa la maggior parte delle liste universitarie e in riferimento al lavoro di alcune di queste per la redazione di un documento da presentare al Presidente della Repubblica Napolitano, con toni duri ribadisce: “Purtroppo, finché ci saranno delle liste di rappresentanza che cavalcano l’onda per fini politici e di prestigio, che isolano chi la pensa diversamente, garantendo “Libertà, laicità e democrazia” solamente agli aderenti ad un filone politico determinato sarà quasi impossibile che tutti gli studenti decidano di partecipare a questi lavori”. Poi prosegue: “ Tutti o quasi sanno che, oramai, la stragrande maggioranza delle liste di rappresentanza universitaria sono dei partiti politici”. Arrivano, infine, la precisazioni “Parlo solamente di Milano, parlo solamente della realtà in cui ho vissuto. Non posso esprimermi al riguardo di altre entità”.

Pavia: chi non occupa non preoccupa PAOLA BARILE “A Pavia la protesta è sempre stata controllata, e non è ancora sfociata in una vera e propria occupazione degli edifici universitari. Gli spazi di assemblea e riunione sono sempre stati richiesti e ottenuti per vie ufficiali”. Questa la nota più caratteristica della protesta pavese, come ci racconta Alice Gioia, vicedirettore di Inchiostro, giornale degli studenti dell’Università di Pavia (http:// inchiostro.unipv.it/). “Pavia è stata fra gli ultimi atenei a mobilitarsi contro la legge 133. Il primo grande segnale si è avuto con l’Assemblea del 20 ottobre, che ha visto riunirsi quasi 2000 persone nel cortile del Rettorato […] Significativo l’intervento del Rettore, che è sceso tra i ragazzi a leggere il documento prodotto al termine della seduta, nel quale l’Università si schierava contro la 133”. La protesta a Pavia ha seguito l’iter di molte città italiane: “lezioni in piazza, organizzazione di gruppi di studio che hanno analizzato la ‘riforma’ e hanno presentato dei progetti autonomi, insediamento di uno spazio autogestito di informazione e dibattito in un’aula dell’Università”. Inchiostro ha seguito l’andamento della protesta anche sul web: “il rapporto con gli esponenti della protesta è stato particolarmente efficace. Insieme a loro abbiamo realizzato diverse puntate di approfondimento e

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dibattito su Radio Campus, la webradio dell’Ateneo”. Tuttavia, “la partecipazione studentesca si è notevolmente ridotta con il passare del tempo”. Si può, dunque, parlare di “onda anomala” per descrivere il movimento di protesta studentesco? “‘Onda Anomala’ è un’etichetta che i giornalisti hanno dato a un movimento che, al suo interno, è decisamente variegato e complesso. A mio parere non esiste una consapevolezza e un’unità come poteva essere nel 1968”. E se anche “esistono le premesse per una rottura culturale […] ‘qui è tutto bloccato’, come ci ha detto profeticamente Sergio Rizzo in un’intervista di sei mesi fa”, conclude Alice Gioia.

Uniroma Tv racconta lo sviluppo dell’Onda nei tre atenei della capitale ELENA GUIDIERI Uniroma Tv (www.uniroma.tv), la Web tv de La Sapienza, di Tor Vergata e di Roma Tre, racconta la nascita e lo sviluppo della protesta nella capitale. Paolo Conti parla di un movimento che nasce “in differita: fa la sua comparsa a La Sapienza, dove ci sono i primi gruppi di ragazzi che cominciano a organizzare assemblee, gruppi di discussione, ed altre forme di protesta pacifica e non ostruzionistica”. Con il passare del tempo e grazie all’informazione e alla divulgazione di idee, l’Onda investe Tor Vergata e in parte Roma Tre, “dove comunque la protesta era e rimane tutt’ora meno forte”. Inizia poi la famosa diatriba sui metodi di protesta: chi sostiene la necessità di essere costruttivi, chi l’ostruzionismo, chi l’occupazione, chi le lezioni di piazza. Le divisioni non si limitano al modo di mettere in atto la protesta; emerge un forte contrasto ogni qual volta si tenta di dare un volto politico al movimento studentesco. “Allo stesso punto di molte assemblee, dove ci si confrontava con la reale eterogeneità dell’università, che è tutt’altro che divisa in gruppetti e capipopolo, si creava lo stesso blackout, che mandava in tilt per qualche minuto gli studenti: si politicizzava la protesta a seconda del credo”. Paolo Conti sostiene che l’eterogeneità della realtà romana ha reso più problematico rispetto ad altre città la formazione del movimento; “ l’Onda anomala romana ha avuto una prova più difficile rispetto ad altri contesti dove gli atenei non sono tre, e il fascismo è una cultura molto meno radicata. Roma è grande, e sentirsi tutti insieme, parte di qualcosa come un movimento, seppur studentesco, è sempre molto difficile”. Sarebbe così la mancanza di una direzione univoca ad indebolire la protesta. “Il problema non è la mancanza di una testa, ma la presenza di troppe teste, che tirano il corpo ora da un lato, ora dall’altro, senza fargli capire la reale metà del cammino”

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LE TAPPE DELLA PROTESTA I momenti cruciali attraverso cui il mondo della scuola e dell’università ha protestato contro la riforma Gelmini, approvata in Senato il 29 ottobre.

L’ONDA ESISTE? Che la riforma Gelmini abbia creato un sistema di proteste a catena in tutta Italia è un dato di fatto. Ma si è davvero costituito un movimento capace di rievocare, seppur con le debite differenze, quello che attraversò l’Italia nel 1968?

l’Italia della protesta Il contributo partenopeo alla protesta studentesca CLAUDIA BARONCELLI “Una protesta civile e variopinta”, ecco come la rivista Ateneapoli riassume in un titolo l’essenza e lo spirito della rivolta studentesca a Napoli. Da ben 24 anni, il quindicinale napoletano tratta temi legati ai quattro atenei partenopei e in quest’occasione non si è risparmiato di offrire ai suoi lettori una cronaca

degli eventi, dedicando uno Speciale di ben 13 pagine al movimento dell’Onda nei 5 atenei cittadini. Nel riassumere le tappe più significative della protesta studentesca di Napoli, Paolo Iannotti, direttore di Ateneapoli, menziona una “memorabile assemblea del rettorato dell’Università Federico II”, il 29 ottobre, alla quale sembrano aver partecipato oltre 4.000 studenti e docenti e una manifestazione a Piazza del Plebiscito, che ha visto la presenza di ben 20.000 partecipanti, tra cui tutte la Facoltà dell’Università Federico II, de l’Orientale, della Parthenope, della Seconda Università di Napoli e gli studenti medi. “Se dovessimo indicare con una foto o un simbolo il movimento dell’Onda, sceglierei le lavagne con i professori che effettuano lezioni per strada” così Iannotti coglie il momento simbolo della protesta napoletana. Nonostante, la complessità del sistema universitario (5 Università, 35 Facoltà, 150.000 studenti 3.000 professori e ricercatori), il coordinamento c’è stato e, assieme ad una serie di iniziative proposte su molte zone della città, è riuscito ad ottenere visibilità sia sui quotidiani cittadini che in Tv. Ateneapoli ha raccontato la protesta studentesca nella città, proponendo “una cronaca degli eventi, esaltando i contenuti e le

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novità rispetto al passato, riportando tutte le posizioni in campo” con “servizi speciali sul giornale, ampi spazi sul sito di Ateneapoli (www.ateneapoli.it), interviste ed inchieste”. Alla domanda sull’esistenza o meno di un movimento studentesco, che possa dirsi effettivamente erede di quello del ’68, Iannotti risponde che questo è “un movimento che ha le potenzialità per una rottura culturale rispetto al passato”

L’onda alle pendici dell’Etna IURI CORNACCHINI A Catania la storia del nuovo movimento studentesco passa prevalentemente attorno a tre date : 17, 30 ottobre e 14 novembre. Ce lo spiega Step1, periodico on line edito dalla facoltà di Lingue e letterature straniere di Catania, che ha seguito l’evoluzione del movimento studentesco nella città etnea. Olivia Calà e Carmen Valisano raccontano che “la protesta è iniziata ufficialmente il 17 ottobre, quando un gruppo di studenti, precari e professori si è unito al corteo organizzato dai Cobas ed ha ‘assediato’ il palazzo del Rettorato”. Due giorni dopo avviene la prima occupazione, quella dell’aula magna della facoltà di Scienze Politiche, gesto che fa da prologo alle assemblee permanenti. “Le assemblee sono continuate per tutto il mese, così come le lezioni in piazza. Il momento più importante di tutta la protesta è senza dubbio rappresentato dal corte del 30 Ottobre, che ha raccolto quasi 40mila persone”. In seguito a tale corteo avviene un’assemblea d’Ateneo in cui i rappresentanti del movimento fanno il punto sull’ “onda catanese”. L’occupazione del Rettorato inizia il 14 novembre, al termine del corteo che in concomitanza con Roma attraversa le strade di Catania. Tale occasione è stata vista da un lato come un punto d’inizio, uno slancio vitale per il movimento, mentre dall’altro come un tentativo utopico di emulare il ’68, in un periodo dove non ci sono i presupposti. “Si rischia di falsare tutto ciò che è stato...L’occupazione del Rettorato, per esempio, era un po’ una parodia, una messa in scena di quelle del passato”. Parole di Stefania Mazzone, docente di Storia del pensiero politico a Catania, parole amare che sottolineano il problema più grosso del movimento studentesco, quello di trovare una propria identità collettiva e comunicarla all’esterno. Quando il movimento e la moltitudine non fanno uscire valori universali, le cose si fermano a un decreto… e ad un certo punto si fermano e basta.

Elisa Ciani, Iuri Cornacchini, Jessica Camargo Molano, Francesco Cutro, Damon (Andrea Gentile), Ilaria De Sio, Alessandro Etzi, Serena Fois, Maria Consiglia Grieco, Elena Guidieri, Francesca Pardo, Giovanna Piazza, Francesca Puliti, Marta Scocco, Jonata Tellarini, Tommaso Tombelli

testata d’informazione universitaria Direttore Responsabile Gaetano Cervone Vicedirettore Matteo Brighenti Grafica Chiara Loi Editore Università degli Studenti

Stampa: NUOVA GRAFICA FIORENTINA Via Ambrogio Traversari, 76 – 50120 – Firenze Questo periodico è stato realizzato con il contributo della Birra Peroni

Redazione: Via de’Serragli,10 – 50124 – Firenze

L’UniversitArea on line: www.unistudi.eu [email protected]

Collaboratori: Paola Barile, Claudia Baroncelli, Francesco Brandiferri,

Autorizzazione del Tribunale di Firenze n° 5589 del 4/07/2007

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L’ONDA FIORENTINA: Scoppia la protesta anche a Firenze, gli studenti toscani si mobilitano contro la riforma Gelmini e la città gigliata diventa, per un giorno, capitale del neonato movimento di contestazione. Ma quella fiorentina è “un’onda anomala”, che ha caratteristiche diverse dalle altre città, prima fra tutte l’apertura alla cittadinanza.

Cronistoria del D5 e dintorni

Piazza della Signoria gremita per la lezioni di Sabina Guzzanti

Dall’occupazione alle manifestazioni, dai seminari alle lezioni in piazza: identikit di un movimento JESSICA CAMARGO MOLANO MARTA SCOCCO Un lenzuolo aggrovigliato, lacerato dagli strappi del tempo, con una scritta che inizia ormai a scolorire. È questo ciò che resta dello striscione che annunciava la nascita di un movimento racchiuso in parole oggi illeggibili: “Contro la legge 133 edificio D5 occupato…ed è solo l’inizio!”. Un simbolo sotto il quale hanno preso vita le speranze di studenti, ricercatori e precari, per la prima volta insieme nell’assemblea generale del 14 ottobre al Polo delle Scienze Sociali di Novoli. Un incontro che ha visto la partecipazione di così tante persone, da rendere necessario l’utilizzo di due “Aula Magna” collegate in videoconferenza, ma soprattutto di una forte mediazione per placare le rumorose polemiche nate tra idee che finalmente si sono scontrate faccia a faccia. Nient’altro che un preavviso di quello che sarebbe accaduto il giorno seguente. Il pomeriggio del 15 ottobre, mentre il Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche bocciava il blocco della didattica proposto dal neonato movimento di protesta, un piccolo corteo di studenti, insoddisfatto dal responso, occupava il D5. E così, tra entusiasmo, indecisione e qualche colpo di mano, “l’Onda” ha travolto anche Novoli in un work in progress che dalle aule, fra alti e bassi, si è

aperto anche alle piazze: ad “istruire” per le vie cittadine numerosi docenti “non ordinari”, tra i quali non pochi “stra–ordinari”, come l’astrofisica Margherita Hack e l’artista Sabina Guzzanti. Filo conduttore il “No alla 133”, declinato anche tra i banchi del D5 con gruppi studio e seminari, che hanno raggiunto il culmine tra il 10 e l’11 novembre con la maratona delle 33 ore di lezione no stop. La grande voglia di farsi sentire ha portato i tanti giovani anche a sfilare in modo pacifico e creativo per tutta Firenze. Il 21 ottobre, circa 50mila studenti partiti da piazza San Marco hanno raggiunto piazza Santissima Annunziata. Del tutto imprevisto, invece, il corteo spontaneo esploso il 29 ottobre dopo l’approvazione della legge 133 in cui centinaia di studenti hanno invaso le strade paralizzando per diverse ore il traffico cittadino. E ancora, il giorno seguente, in concomitanza con l’appuntamento nazionale di Roma, a Firenze sono stati occupati i binari della stazione Campo Marte. “La mobilitazione ha dettato l’agenda politica di quest’ultimo periodo –ha commentato Alessio Branciamore (Sinistra Universitaria) – andava, però, maturata con più tempo, ora ci saremmo trovati con una protesta viva e partecipata a ridosso dell’approvazione della finanziaria”. E in tutto ciò dove erano le istituzio-

ni? “E’ un movimento pacifico, molto preoccupato per i destini della scuola pubblica” ha dichiarato, durante la sua a visita del 25 ottobre al plesso occupato, il presidente della Regione Claudio Martini. A dare un’occhiata, senza però varcare la soglia del D5, c’è stato anche il presidente della Provincia Matteo Renzi. Il 4 novembre, inoltre, il consiglio comunale ha ospitato in seduta straordinaria i rappresentati degli studenti, attivi in un dibattito diretto con l’amministrazione. Un dialogo con la politica, ma anche e soprattutto con la cittadinanza: “Il movimento fiorentino - ha sottolineato Alessandro Bezzi (collettivo ZTL) - ha visto nascere fitte reti di coordinamento tra genitori, insegnanti, studenti medi, comitati cittadini e la realtà dei lavoratori, in quanto la protesta non riguarda solo il mondo universitario, ma coinvolge tutta la società”. L’Onda è stata anche l’occasione per fare un tuffo nel passato: come Firenze capitale ha ceduto il passo a Roma, oggi la storia si ripete per i primi incontri nazionali del movimento. Gli studenti di tutt’Italia, infatti, si sono dati appuntamento a Firenze per discutere la creazione di un unico coor-

Una nuova vita per l’UniversitArea Online

Striscione esposto dagli studenti dopo l’occupazione dell’edificio D5

Parte l’informazione quotidiana ed è boom di accessi al sito GIOVANNA PIAZZA Il sito www.unistudi.eu nasce nel 2007 come contenitore multimediale degli articoli pubblicati in cartaceo e delle relative integrazioni. A ottobre 2008 cambia grafica, rinnova la redazione, assume una veste autonoma. L’informazione, divisa nelle sezioni Università e Studenti, La mia Città, In Italia, Nel Mondo, In Società, Zeta Come Cultura e Gli Speciali, diventa quotidiana, focalizzandosi su notizie e interviste che riguardano l’Università e i suoi studenti. Il successo del nuovo sito è testimoniato dall’aumento vertiginoso degli accessi giornalieri, dalla nascita di una community di lettori affezionati, dalla visibilità acquisita sui principali

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Social Network (Facebook, Flickr, You Tube, My Space) e dalle riprese di notizie su diverse

Il successo del nuovo sito è testimoniato dall’aumento vertiginoso degli accessi giornalieri testate locali. Ponendosi l’obiettivo di rendere un buon servizio di informazione quotidiana ad una platea studentesca il più vasta possibile, mira a ingrandire la community formata da chi, dicendo la propria, vuole contribuire a qualità e completezza dell’informazione.

dinamento tricolore e La Sapienza – curiosamente assente all’evento – ha poi ospitato, il 15 e 16 novembre, il secondo incontro che chiamava in causa gli studenti di tutta la penisola. Un confronto che ha portato non poco scompiglio e delusione nell’Assemblea di Novoli, consapevole più di prima dei propri punti deboli, in primis i contenuti, e poco soddisfatta dalle conclusioni della trasferta. Dopo esser ritornati al D5, è stata infatti necessaria una settimana di continui rimandi e discussioni per decidere di cambiare gli strumenti della protesta disoccupando in Via delle Pandette. “Non ci aspettavamo di rimanere così tanto nel D5” è il commento di Leonardo Colli (Collettivo Politico Scienze Politiche), che ha poi aggiunto “per la prima volta tutte le tre differenti realtà di Studenti di Sinistra, Collettivo Politico e Sinistra Universitaria sono confluite in un’unica assemblea”.

15 ottobre - Gli studenti occupano il D5 21 ottobre - Manifestazione regionale 25 ottobre – Il presidente della Regione Claudio Martini in visita al D5 29 ottobre – Corteo spontaneo e blocco del traffico 30 ottobre – Corteo cittadino ed occupazione dei binari della stazione di Campo Marte 5 novembre – Protesta dei ricercatori che si improvvisano lavavetri 7 novembre – Blocco del traffico 8 novembre - Assemblea nazionale a Firenze 10 e 11 Novembre – Maratona di 33 ore di lezione 14 novembre - Manifestazione nazionale a Roma 15 e 16 Novembre - Assemblea nazionale presso la Sapienza

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I CONTRARI ALL’OCCUPAZIONE: La “contro-Onda fiorentina” è un movimento molto eterogeneo: all’interno tutti non condivide la forma di protesta adottata, ma differiscono per essere pro,contro o scettici nei confronti dei tagli previsti nella 133.

VIAGGIO NELLA MAGGIORANZA SILENZIOSA Non tutti gli studenti sono stati coinvolti nelle occupazioni. La “maggioranza silenziosa”preferisce il libro alla piazza, ed è molto scettica sulla buona riuscita della protesta.

Il variegato mondo dei contrari all’occupazione Scongiurare il blocco della didattica, raccogliere firme e sensibilizzare gli studenti FRANCESCO BRANDIFERRI FRANCESCO CUTRO “Siamo l’unica decisa forza contro l’occupazione”. Partiamo da questa dichiarazione di Francesco Cappelli – consigliere di Facoltà di Scienze Politiche per Studenti per le Libertà (SpL) – per raccontare l’altra faccia dell’Onda: una faccia in cui SpL ha svolto un ruolo da protagonista. Alle “Idi di ottobre”, la decisione ventilata diventa realtà: il D5 di via delle Pandette viene occupato. SpL inizia la sua battaglia. Armati di gazebo e buona volontà, campeggiano di fronte all’edificio degli occupanti. Inevitabili momenti di tensioni: “un confronto con toni un po’ accesi”, lo definiscono. Cosa fare praticamente per contrastarli? La soluzione è semplice e concreta: una raccolta firme da estendere a tutte le facoltà dell’Ateneo, con l’obiettivo di “scongiurare la sospensione della didattica e garantire, a chi fosse interessato, di continuare a seguire le lezioni”. Un compito arduo portato avanti quotidianamente. E gli altri contrari all’occupazione? Dove sono? Lista Aperta (LA), più impegnata a dare risposte su domande esistenziali come l’origine dell’università, sembra aver adottato una strategia differente: “pur condividendo i motivi che hanno portato a questa protesta, continuiamo a non ritenere adeguate le modalità” è questo il commento di Davide Cristoferi, senatore accademico. Tattica poco incisiva visto il loro peso elettorale. Diversamente, Azione Universitaria (AU) fa la sua comparsa tra le palazzine del polo di Novoli solo dopo la prima settimana di mobilitazione: “Non siamo qui per difendere il Governo ma siamo esclusivamente dalla parte degli studenti” risponde così Daniele Grazi, responsabile per Giurisprudenza. Certo, una posizione vaga, a tratti indefinita; come quella di Studenti Democritici (SD): “SD sta proseguendo la sua protesta parallelamente all’occupazione sensibilizzando costantemente l’attenzione degli studenti”. Di concreto, però, si è visto ben poco. In uno scenario come questo gli alleati per SpL scarseggiano. Sembra mancare una linea comune che sicuramente avrebbe dato più forza alla contro-Onda. I giorni passano e la protesta continua. “Quella che sta protraendosi è una situazione buffa” rileva Niccolò Macallè, responsabile d’Ateneo per SpL: “la maggioranza degli studenti vuol continuare a fare lezione”. E intanto la raccolta firme va avanti raggiungendo quota 1000. Parallelamente anche LA esce dal torpore ed opta per una raccolta firme per “contrastare i disagi causati alla didattica con spostamenti di aule spesso inadeguati”. Tante adesioni, ma rispecchiano realmente quella maggioranza silenziosa di cui si sentono portavoce? Marginale e a tratti assente la protesta dei ragazzi di AU nonostante la presenza a Firenze del pre-

sidente nazionale Donzelli, che preferisce la realtà mediatica a quella del territorio. L’occupazione va avanti. L’efficacia delle loro azioni va via via scemando, anche se SpL non si dà per vinta: lo sgombero del D5 rimane la priorità. Portando all’attenzione della Preside Alacevich le adesioni autenticate, l’epilogo sembra vicino. È questo in sintesi il variegato mondo della “contro-Onda fiorentina” fatto di tante buone intenzioni, proposte serie ma poche azioni consistenti. Se le occupazioni vanno avanti, il “merito” è principalmente – anche se indirettamente – loro. Non sarebbe

Il Gazebo di Studenti per le Libertà durante l’occupazione

stato meglio creare un coordinamento, una linea di azione comune contro le occupazioni, tralasciando per una volta le posizioni politiche delle singole rappresentanze?

“Vogliamo continuare a studiare senza problemi” I perché dei non interessati alla protesta. Testimonianze dei contrari all’occupazione.

“La libertà finisce dove inizia quella degli altri”. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la posizione di quella “maggioranza silenziosa” di studenti che con occhio critico ha vissuto questo mese di occupazione. Il D5 rappresenta solo un luogo di passaggio: tutti ormai sono coscienti dei vari “dirottamenti” di aule e le portinerie, quotidianamente affollate di ragazzi in cerca della propria lezione, ne sono la testimonianza. Si parlava di libertà; libertà di continuare a studiare, di seguire regolarmente le lezioni – assicurate sì, anche se con qualche disagio – insomma, libertà di vivere la vita universitaria senza troppi scossoni. In un mondo pervaso dall’individualismo in cui risulta facile parlare per “etichette”, gli studenti non in prima linea potrebbero, senza sforzo, essere inseriti nella categoria degli indifferenti. Eppure, anch’essi hanno le loro buone ragioni: “posso capire le proteste delle prime settimane ma, come dice un noto proverbio, perseverare è diabolico – è questo il commento di Mariantonietta, studentessa di Economia – se i tagli sono

stati inseriti in una finanziaria, allora un piccolo sforzo si può anche fare. Certo, questo tipo di protesta lascia davvero il tempo che trova”. Pierluigi, studente del polo scientifico di Sesto, spiega: “so che è importante farci sentire ma non sono d’accordo con questa protesta. Non dobbiamo ribellarci sacrificando l’attività didattica. La contestazione ci vuole, ma continuando a studiare seriamente. Altrimenti è un’ulteriore perdita di tempo e lavoro che non produce nessun risultato. Le istituzioni potranno ascoltarci solo se ci comportiamo seriamente”. Episodio isolato, ma di notevole rilievo, quello accaduto nei primi giorni di mobilitazione. Gli studenti del corso di Finanza Aziendale del prof. Roggi si sono ritrovati a fare lezione in un’aula piccola; la situazione, poco agevole, è degenerata. Tra urla e spintoni, davanti l’edificio occupato, si cercava di “riconquistare l’aula perduta”: “Tutto questo è assurdo – commenta una studentessa del corso – io non sono né di destra né di sinistra; so solo che è un mio diritto poter usufruire di un servizio per il quale ho pagato le tasse”. Una realtà universitaria fatta di tante sfaccettature. È solo scarso interesse oppure anche questa, in un certo senso, è una presa di posizione in cui ci si rende conto che continuare a protestare in questo modo non sempre porta a grandi risultati? Sicuramente il non aver saputo coinvolgere le “maggioranza silenziosa” è una delle cause principali del declino che l’occupazione sta vivendo in questi ultimi giorni. Si poteva fare di più? F.B. - F.C.

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LA RISPOSTA DELLE ISTITUZIONI Come hanno reagito gli organi istituzionali alla protesta indetta dagli studenti? Nell’Ateneo fiorentino i professori di Scienze Politiche hanno trovato, a loro modo, la possibilità di proporre analisi e formulare proposte attraverso gruppi di studio, aperti anche agli studenti.

I rischi della riforma: l’analisi dei docenti Alla ‘Cesare Alfieri’ anche gruppi di studio ‘istituzionali’ SERENA FOIS Oltre ai gruppi di studio organizzati da Assemblea di Novoli – volti ad analizzare i vari aspetti e le possibili conseguenze della 133 con l’obiettivo, poi, di formulare proposte per una “contro-riforma” del sistema universitario, anche i docenti si sono interrogati su come “proseguire nell’analisi della situazione universitaria, avvalendosi delle competenze disciplinari presenti” e dunque “formulare eventuali proposte che dall’analisi dovessero scaturire”. La decisione di aprire i gruppi studio – in principio limitati ai soli docenti - aveva l’intento di “dare visibilità sul sito della Facoltà alle analisi e alle eventuali proposte dei Gruppi di lavoro, al fine di contribuire alla conoscenza del mondo universitario e dei suoi problemi, ancorare la discussione in atto nel paese alla conoscenza, dare voce agli attori dell’Università”. Gli studenti, però, non hanno preso troppo in considerazione tali “gruppi istituzionali” e la loro adesione è stata poco rilevante. Sul sito della “Cesare

Alfieri” sono consultabili la composizione e le eventuali relazioni dei diversi “gruppi istituzionali”: Interventi del governo in materia di università: gruppo di lavoro composto dai professori Rossella Bardazzi, Giancarlo Mori, Maria Grazia Pazienza, Chiara Rapallini. Queste le conclusioni alla fine del loro elaborato: “L’insieme di questi interventi di natura finanziaria, fatto salvo l’art.16 della L.133, non riguarda in maniera specifica le Università ma si inserisce in un quadro di contenimento della spesa pubblica di portata

Gli studenti hanno snobbato i gruppi di lavoro dei docenti più ampia e quindi non ha i connotati di una riforma mirata ad affrontare i problemi del sistema universitario nazionale”. L’istruzione universitaria in chiave comparata: risorse e risultati: gruppo di lavoro composto dai pro-

fessori Valeria Fargion, Roberto Ricciuti, che si sono posti come obiettivo “quello di mettere in evidenza le risorse ed i risultati dell’istruzione universitaria italiana rispetto a quella di altri paesi”. Offerta formativa, carichi didattici e attività extracurriculari della Facoltà di Scienze Politiche: gruppo di lavoro composto dai professori Angela Perulli, Andrea Lippi, Sandro Landucci, Gli studenti non hanno preso troppo in considerazione i “gruppi istituzionali” e la Brunella Casalini. loro adesione è stata poco rilevante La trasformazione delle Università in fondazioni di diritto dal testo legislativo, il quale lo dilaprivato: gruppo di lavoro composto ziona al futuro mediante il traghetto dai professori Cecilia Corsi, Laura dei contesti locali e della fusione tra Leonardi, Andrea Lippi, Maria Paola le élite che vi sono presenti. Serve, in Monaco, Anna Pettini, Laura Sabati, buona sostanza, una svolta contenuAndrea Ventura, che a fine relazione tistica che affronti per davvero i nodi rilevano : “La trasformazione delle irrisolti dell’Università, che non afUniversità in fondazioni va verificata fronti la trasformazione di questa sul campo, ma presenta molte ana- solo come un problema di cassa dello logie con altri settori dove si sono Stato e ne delinei una funzione pubmanifestate dinamiche analoghe: lo blica come forma di investimento del spostamento di un problema, le cau- governo centrale, invece che di delese, che hanno condotto gli atenei a ga ai governi locali e alle generazioridursi così, non vengono affrontate ni future”.

“Dica 133”: il blog dei Ricercatori Il fondatore, De Sio: “Internet ci ha dato visibilità, immediatezza e diffusione” GAETANO D’ARIENZO E’ lunedì, al Polo di Novoli. C’è la quarta lezione della no-stop denominata “33ore”. E’ Lorenzo De Sio a presiedere quella che sarà la lezione (delle 33 in programma) di maggior successo. Il titolo è “Elezioni politiche 2006: ma non c’erano stati brogli?” Il docente di Metodologia della ricerca politica, precario, così esordisce: “In questi giorni ho riflettuto molto sul perché dare finanziamenti a me, ricercatore nel campo sociale... Perchè proprio io, che non salvo vite col mio lavoro!?”, si domanda De Sio. “Beh la risposta la troverete in questa lezione” chiosa così la sua introduzione. Lorenzo De Sio non è un ricercatore qualunque, bensì il fondatore di un blog: Titolo (“dica133”) e soprattutto sottotitolo (“contro

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l’affondamento dell’Università”) la dicono lunga sugli intenti del sito. “Il blog è il manifesto della nostra rivolta” – commenta – “E’ una rivolta mediatica, fatta da persone competenti”. In rivolta, infatti, ci sono anche loro: i ricercatori. Unitisi sotto la bandiera dell’appello anti-tagli, detta categoria ha trovato nel blog di De Sio il megafono della propria protesta. Perché è la comunicazione il primo ostacolo da abbattere: “Abbiamo avvertito l’ esistenza di un problema di comunicazione dei

media più diffusi” - confessa De Sio - “Internet in tal senso ci ha dato visibilità, immediatezza e diffusione”. Aprendo la pagina del blog (www.dica133.wordpress.com) non è difficile capire come l’appello fatto attraverso queste pagine sia stato raccolto da migliaia di persone, in Italia e non solo. “Dica 133”, infatti, si presenta bene: Un prato d’erba verde sullo sfondo (“metafora della crescita del movimento!”); tanti commenti ed un elenco sbalorditivo di città, da Ginevra a Berkley, da Barcellona alla

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London School, passando per Parigi. Limitarsi, però, ad essere un contenitore di malcontenti potrebbe risultare fine a se stesso. Che futuro spetta al movimento “dica133”? “Analizzeremo il decreto 180; dicono che aumenti il turnover dal 20 al 50%, ma lo fa non in base alla qualità della ricerca, bensì sulla base dei bilanci” lamenta il ricercatore fiorentino. Un passo indietro e siamo nuovamente a quell’insolito lunedì. Sono le 13 e la lezione di De Sio sui brogli politici sta per terminare. Slide di power point alla mano e riflessioni accurate in mente, De Sio non può deludere il suo pubblico che aveva lasciato in sospeso durante l’intera ora di spiegazioni. A cosa servono i fondi alla ricerca politica? “Tolgono dall’ incertezza dei brogli un governo e salvano una democrazia!”.

L’UNIVERSITAREA

VISTI DA VICINO

NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

UNA STRUMENTALIZZAZIONE INCONSAPEVOLE? La trasversalità della protesta – unità alla spontaneità del movimento – potrebbe anche involontariamente favorire logiche tese al mantenimento dello status quo: questa la tesi paventata dal prof. Bozzo

COSA HA LASCIATO L’ONDA Resta da capire se il movimento studentesco porterà avanti la protesta e attraverso quali forme; e presto gli studenti saranno chiamati alle urne per il rinnovo delle proprie rappresentanze negli organi di governo

“Quale movimento?”: la lettura del prof. Bozzo L’Onda e la difesa dello status quo GAETANO CERVONE Gli uomini si fermano e pensano solo quando la catena del fare si interrompe: sulla scorta dell’idea sviluppata da A. Santambrogio, l’attuale momento di stasi della mobilitazione studentesca sarebbe la naturale conseguenza di un’Onda che, dopo aver cavalcato per più di un mese il panorama mediatico, s’interroga su stessa e sul suo futuro. Le proteste, le manifestazioni, le occupazioni sviluppatesi in tutte le città italiane – per quanto diverse in risposta a specifiche esigenze di territorio – hanno trovato nella spontaneità e nella trasversalità un comune filo conduttore: “Che siamo dinnanzi ad un movimento nel senso classico del termine, proveniente dal basso, dagli studenti, nato più o meno spontaneamente in risposta a misure paventate e in parte realizzate dal Governo è un dato di fatto” – commenta Luciano Bozzo, docente di Relazioni Internazionali presso la Cesare Alfieri, che però rilancia – “Tuttavia non posso accontentarmi di questa constatazione ed infatti mi chiedo se parte della protesta non sia legata ad una logica politica, come del resto è inevitabile e persino giusto che sia: sta di fatto che non appena un Governo di centro-destra adotta misure in materia universitaria scatta l’azione del movimento, viceversa, se misure nella sostanza analoghe sono adottate dal centro-sinistra le aule universitarie e le piazze rimangono assai più silenti . Quando il Governo Prodi, solo per fare un esempio, ha dirottato parte dei fondi destinati alla ricerca a favore dei ‘camionisti’ che bloccavano l’Italia non ho visto grandi manifestazioni di piazza, ma soprattutto ricordo che scarsa o nulla fu l’attenzione pubblica quando Or-

tensio Zecchino e Luigi Berlinguer avviarono quella riforma del 3+2 che tanto male avrebbe fatto al mondo accademico con il proliferare di sedi universitarie distaccate e di corsi di studio a misura dei docenti, seguito a quello degli Atenei”. Proprio l’aver saputo coinvolgere parte del corpo docente, facendo così passare l’idea di un mondo accademico unito e compatto in difesa delle sue ‘cattive sorti’, dai più è considerata la caratteristica di forza del movimento, così come l’aspetto di cesura con le proteste passate: “Come docenti ci troviamo in una situazione per molti versi paradossale che ci vede prote-

di utilizzare qualsiasi difesa per attenuare il colpo, compresi gli studenti: “Mi duole constatare che, a fianco dello studente che scende in piazza per protestare contro il nepotismo e il malcostume, ci sono docenti che hanno tratto e continuano a trarre massimo beneficio dall’attuale stato delle cose, persino dal proprio stato di parentela, cosa ormai nota all’opinione pubblica e che ci delegittima” – afferma il prof. Bozzo, che dunque pare avvertire il rischio Prof. di un mobilitaLuciano zione studentesca Bozzo incappata in for-

“Come docenti ci troviamo in una situazione per molti versi paradossale che ci vede protestare contro… noi stessi!” stare contro… noi stessi! Visto che troppi degli effetti perversi della riforma del 3+2 sono stati causati da una parte del corpo docente” – rileva il prof. Bozzo, che aggiunge – “In un contesto del genere, stante la situazione generale del Paese avviato verso la recessione, aggravato dalla presenza di una bella fetta di professori universitari e Rettori italiani implicati in vicende di corruzione e malcostume, tra cui l’ormai celebre‘parentopoli’, il mondo accademico ha il dovere di chiedersi cosa ha fatto e può fare per l’Italia, se effettivamente meriti più attenzioni e con quale credibilità reclami oggi più fondi”. Quello descritto è dunque un mondo accademico che – vedendosi minacciato nei suoi interessi – cerca

me di strumentalizzazione, magari anche inconsapevolmente – “Penso che molti studenti vedano solo un aspetto della realtà accademica attuale, non abbiano sufficienti informazioni su come è stata attuata “a destra e a sinistra” la riforma del 3+2 e non sappiano che alcuni tra quei docenti che sostengono con maggiore entusiasmo la mobilitazione sono i primi beneficiari del sistema presente, dunque non mi stupisce affatto che lo vogliano conservare immutato ”. Quella che emerge è dunque una generale situazione del mondo accademico, prossima all’esasperazione, ma che può esprimersi anche con forme ed idee del tutto contrastanti: “Senta, me lo lasci dire: che siano benedetti i tagli, reali o minacciati” – conclude il prof. Bozzo – “perché almeno ci costringono a metterci dinnanzi alle nostre responsabilità, togliendoci l’alibi delle incompetenze del Ministro di turno, almeno spero ”. www.unistudi.eu

L’editoriale

Il riflusso dell’Onda GAETANO CERVONE Un movimento spontaneo, trasversale ed apartitico, che ha dato prova di saper dialogare con le istituzioni, senza prestarsi a strumentalizzazioni, lanciando così anche un segnale ai futuri candidati Sindaco: è stato davvero tutto questo l’Onda che ha attraversato Firenze in questi due mesi? Pur non riuscendo nel suo fine ispiratore, ovvero l’abolizione della 133, o in quello di istituzionalizzare il movimento incanalando la protesta verso altre forme, l’Onda ha comunque lasciato il segno nella realtà accademica fiorentina, contribuendo a complicare il panorama politico studentesco. Nonostante le apparenze, l’Onda si è mostrata estremamente frammentata: due mesi di proteste più o meno congiunte, parallele, simmetriche non hanno sortito alcun effetto unitario, nonostante fosse la scelta più ovvia, semplice, giusta. Studenti di Sinistra ha continuato ad issare propri striscioni e bandiere ostentando, così, indifferenza dinanzi alle richieste di una protesta slegata da qualsiasi interesse di lista che proveniva da Assemblea di Novoli, dove – assieme ai Collettivi del Polo – confluiva invece Sinistra Universitaria, riuscendo – a tratti – a dare un’impronta moderata ad alcune pretese di chiara matrice Collettivi. Silenzio assordante, invece, quello che ha cullato Lista Aperta (seconda lista d’Ateneo più votata), una gravissima assenza che ha fatto così spazio – di contro – alla costante attività di Studenti per le Libertà, auto-proclamatisi garanti di quei diritti degli studenti che quotidianamente l’occupazione del D5 avrebbe leso, nonché tutori della legge e delle Istituzioni, delle quali – vedi il Pinocchio presentato in Consiglio di Facoltà – si faceva poi beffe. La ferma condanna al gesto espressa dai Circoli del buon Governo, e l’assenza di un coordinamento con Azione Universitaria – la cui attività sul territorio era inversamente proporzionale all’assidua visibilità mediatica del Presidente nazionale Giovanni Donzelli – mostravano, così, anche uno schieramento anti-occupazione (di centro-destra) tutt’altro che compatto. A poche settimane dalle elezioni studentesche questo è quanto ci ha consegnato il riflusso dell’Onda, restando in attesa di conoscere gli sviluppi di una protesta che in molti – fiduciosi – descrivono ancora viva e condivisa. Ai posteri l’ardua sentenza.

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UNIVERSITA’ E STUDENTI

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L’UNIVERSITAREA

Parte il progetto “Non ti sottovalutare”

Al via la campagna di sensibilizzazione per la valutazione della didattica MARIA CONSIGLIA GRIECO “Non ti sottovalutare”: questo il titolo della campagna di sensibilizzazione per la valutazione della didattica messa in atto dall’Università di Firenze per il nuovo anno accademico, oramai alle porte. Realizzata dall’Ufficio di Supporto al Nucleo di Valutazione della Didattica – in collaborazione con Valdidat – l’iniziativa è volta a valorizzare lo strumento e i risultati della rilevazione, tenuto conto dell’importanza che riveste, in termini di trasparenza e qualità, come ha sottolineato il prof. Alessandro Viviani – delegato del Rettore per la Qualità e la Valutazione – nella presentazione al lavoro “Le opinioni degli studenti frequentanti”: “Spesso questo processo di valutazione è stato considerato un “noise” burocratico; si tratta invece di un importante strumento di monitoraggio la cui utilità, nel contesto del riordino sistematico dell’offerta formativa, appare strategica”. Una campagna di sensibilizzazione volta non solo ad evidenziare il valore di un questionario correttamente compilato, ma anche a pubblicizzare il più possibile i risultati dei

monitoraggi che riguardano i corsi di tutte le facoltà, giudizi che sono suddivisi per anno accademico, facoltà, corsi di laurea e consultabili al link “Valutazione della didattica” presente in diverse sezioni del sito web di Ateneo, inclusa la sezione Studenti. Lo scorso anno accademico il tasso di copertura tra gli insegnamenti monitorati e quelli programmati è stato abbastanza soddisfacente (66,48%) con un aumento significativo anche in termini di schede raccolte: ben 105947, rispetto alle 97579 dell’a.a. 2006/07 e alle 94221 dell’a.a. 2005/06, a conferma – dunque – di un trend positivo che l’Università intende ulteriormente migliorare, puntando a raggiungere valori prossimi a quanto richiesto dal MIUR, ovvero il totale monitoraggio dei corsi previsti dalla programmazione. I risultati relativi ai tassi di copertura – in riferimento all’anno accademico 2007/2008 – mostrano le Facoltà di Farmacia (77,78%) e Scienze della Formazione (72,37%) tra le più virtuose, mentre delle criticità sono state rilevate nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia (40,48%) e Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali (50,79%). Tuttavia, nel caso di

Medicina, le percentuali sono pressoché allineate con quelle di altri Atenei italiani, come, ad esempio Padova, dove infatti la percentuale non supera il 41% a fronte di un tasso di copertura di Ateneo che nel 2006/07 ha raggiunto quota 73,2%. Un compito difficile, dunque, quello del totale monitoraggio degli insegnamenti previsti, reso ancor più arduo dalla presenza di sedi distaccate e corsi mutuati; nessun Ateneo italiano – al momento – è riuscito ad ottemperare a questa richiesta, ma l’Università di Firenze si sta adoperando per riuscirci nel più breve

tempo possibile: la campagna di sensibilizzazione è chiara espressione di questa volontà, alla quale farà da sostegno l’attivazione del progetto servizio civile “Vali di più” – predisposto ed attuato per iniziativa dell’Ufficio di supporto al Nucleo, che vedrà i sei volontari impegnati in tutte le fase della procedura, dal rilevamento all’elaborazione, dalla diffusione all’utilizzo dei risultati.

Il Primo Reality Show di Facebook è targato Firenze Intervista a Janet Pitarresi, giovane ideatrice del progetto

FRANCESCA PARDO GIOVANNA PIAZZA La nuova frontiera del web si chiama Facebook. E’ un social network come tanti, ma la sua struttura si presta all’immediata diffusione di idee, come quella di Janet Pitarresi, studentessa 23enne di Giurisprudenza a Firenze, ideatrice del primo reality show online in Italia (http://www.facebook.com/group. php?gid=40152702149&ref=ts). Il regolamento prevede la partecipazione di 20 concorrenti selezionati tra chi ha inviato presentazioni che rappresentino “un po’ tutte le personalità esistenti all’interno della società contemporanea”. Quale sarà il profilo dei concorrenti? “Persone comuni, che hanno voglia di condividere il proprio pensiero e di confrontarsi con gli altri”. Il gioco inizierà nei primi mesi del 2009 e avrà durata di 2 mesi circa, al termine dei quali verrà eletto un vincitore. La giuria, ogni

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settimana, proporrà un tema socioculturale, sul quale i concorrenti dovranno produrre un video o un articolo, che sarà oggetto di valutazione da parte degli iscritti al gruppo, oggi più di 2000, che dovranno anche decidere progressivamente chi eliminare. Tra loro, un ruolo importante avranno gli opinionisti, non tanto per il loro voto – che avrà il medesimo peso degli altri – ma per l’autorevolezza dei commenti sui video o gli articoli che riterranno più interessanti. Queste “figure particolari, al di là dell’essere famosi o meno, per il lavoro svolto e per l’esperienza acquisita negli anni, sono portate a confrontarsi

continuamente con gli altri e proprio per questo motivo possono esprimere valutazioni più incisive sulle idee altrui”. Spiccano nomi famosi come Jocelyn Hattab, registra e conduttore televisivo, Alessandro Zaccuri, giornalista, o Danilo Fumiento, inviato de La Vita in diretta. Janet ci spiega che, prima di Janet Pitarresi lanciare il progetto, aveva già scambiato qualche messaggio su Facebook con qualcuno di loro: “non ho avuto particolari difficoltà nel reclutare gli opinionisti, d’altronde questa sorta di reality online è un esperimento aperto a tutti”. Un esperimento che incuriosisce e coinvolge in qualità di opinionisti anche l’Assessore regionale alle professioni

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della Toscana, Agostino Fragai, che dichiara: “Le idee creative meritano di essere incoraggiate, e questa lo è sicuramente” e il Senatore Achille Totaro, per il quale “un reality online è sicuramente un interessante mezzo di comunicazione, di diffusione immediata di idee e di pensieri e una pronta occasione di dibattito, vero confronto democratico”. Chiediamo a Janet quali siano le sue attese: “mi auguro di riuscire a creare uno strumento che dia la possibilità di un arricchimento personale attraverso il confronto con gli altri su temi di carattere sociale e culturale. Non mi aspettavo di certo che avrebbe avuto tutta questa risonanza, adesso è diventata una scommessa con me stessa”. Il premio finale per il vincitore? “Per ora è un segreto”. L’UniversitArea Online parteciperà come pubblico votante e offrirà un collegamento diretto al reality corredandolo con commenti della Redazione e con il diario settimanale di Janet.

L’UNIVERSITAREA

LA MIA CITTA’

NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

LA MIA CITTA’

a cura di Matteo Brighenti

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MATTEO BRIGHENTI Una promessa è un debito d’amore.“Per me – dice Caterina – non è una questione di lavoro. Io celebro Stefano, il mio compagno, morto a 39 anni per un cancro ai polmoni. Lui ha voluto lasciare a me la sua vita, la sua licenza di tassista, ed io lo rendo partecipe ogni giorno di quello che mi ha donato”. “Tu sarai Milano 25’’ le aveva detto prima che il cancro se lo portasse via. Un’eredità divenuta per Caterina il senso della vita. ‘Milano 25’. Più che un taxi, una favola adibita al trasporto pubblico. La Firenze disegnata sulla carrozzeria è un’esplosione di colori, sotto gli occhi attenti dei fanali, racchiusi in un paio di piccole ciglia. I sedili verde pisello, giallo, arancione, fucsia, accolgono caramelle, lecca lecca e una chitarrina classica. Al posto del pistillo, i fiori hanno una faccia che sorride. Sbocciano dappertutto: dai finestrini, dalle portiere, dal volante. Due schermi piatti, incastonati dietro i poggiatesta, stamattina rimandano le immagini di ‘Trilli’, il film d’animazione dedicato alla fatina di Peter Pan. Dal lunotto occhieggiano peluche

Per approfondire: www.milano25.com, www.tommasino.org, www.meyer.it

Il taxi delle meraviglie

di tutti i tipi, ognuno con Caterina, ‘Milano 25’: “Morirei ogni giorno per quello che sto facendo” un nome appeso al collo. “Alcuni – racconta Caterina contrati per caso – afferma non se ne accorgono, fanno delle collane e dei bracciali alla guida di ‘Milano 25’ - Caterina – Ho chiesto cosa finta, ma se ne accorgono. Io che suonano mentre cammihanno i nomi dei bambini potevo fare per aiutarli e dico sempre ai miei bambini na. “Non sono più quello io che si sono ‘trasformati’. At- loro mi hanno risposto che che è importante che vadano – commenta Caterina - Una traverso i pupazzi mi resta un un taxi per accompagnare all’Università e che la vivano vita ‘normale’ accanto a una come una possibilità di cam- persona non ce l’ho più, ma biare le cose. Senza strumen- se cominciassi a pensare a ti non puoi cambiare le cose quello che non ho più, non e allora le vivi con gli schemi potrei vedere quello che ho: di altri. Dobbiamo smettere una vita straordinaria. Modi comprare gli schemi che rirei ogni giorno per quello altri hanno fatto, vite che poi che sto facendo. Io su questo non ci renderanno felici”. taxi ho creato una nuova vita Caterina all’Università non e perché questo è successo c’è mai neanche entrata, per non te lo so dire, mi è venuto paura, e non vuole che i suoi più facile che ricostruire una bambini facciano lo stesso vita normale. Se fosse più errore. Non vuole che abbia- giusta vivere una vita ‘norCaterina e no paura anche loro. male’ non lo so. Quello che ‘Milano 25’ so è che vado avanti su quelpezzettino di loro. Dietro la i bambini malati di cancro Un po’ Alice, un po’ Mary lo che posso fare”. tua testa, invece, c’è Bachi, non c’era”. Iniziano così le Poppins, un po’ Mago di me l’ha regalato il babbo di corse gratuite per il Meyer. Oz, Caterina ha costruito La vita dipende da dove si Barbara”. Barbara è la bam- ‘Milano 25’ oggi è anche una il suo ‘personaggio’ fino a mettono i piedi. Forse è per bina che ci aspetta al nuovo Onlus, creata per inseguire diventare un clown medi- questo che i tappetini di ‘MiMeyer. Primo piano. Reparto il sogno più grande: aiutare co ‘viaggiante’, una tassista lano 25’ sono una scacchiera. oncoematologia. ogni bambino malato a tro- alla Patch Adams e di Patch Spazio su uno stesso quavare, attraverso il dolore, il Adams, quando l’inventore drato, però, non ce n’è: sulL’attività benefica di ‘Milano proprio talento. Di oncologo, della clownterapia l’anno la strada guidata da ‘Milano 25’ legata ai bambini nasce perché no. “Io penso – osser- scorso è venuto a Firenze. 25’ il bianco è bianco perché da una corsa con Barbara e va Caterina - che un bambino Un ‘personaggio’, però, che c’è il nero e il sorriso esiste Paolo Bacciotti, fondatori sopravvissuto al cancro, se si non l’abbandona mai, nem- perché esiste il cancro. Chi della ‘Fondazione Tomma- mette a studiare Oncologia meno quando, sola, a casa, si siede alle spalle di Caterisino Bacciotti’, dedicata al può diventare un oncologo si spoglia del cappello in na arriva così molto più che piccolo Tommaso, per lo davvero motivato, perché i fiore tutto l’anno, del man- a destinazione: nella somma studio e la cura dei tumori bambini se li vedono morire i tello che cambia colore a degli opposti ricostruisce se cerebrali infantili. “Li ho in- vicini di letto, non è vero che seconda di come lo guardi, stesso.

“I clown sono parte integrante della cura” Intervista alla psicologa Simona Caprilli, Servizio di terapia del dolore del Meyer MATTEO BRIGHENTI Qual è la realtà della clownterapia al Meyer? “Ogni giorno ci sono due clown. Il loro obiettivo è quello di interagire con i bambini e di creare delle situazioni divertenti per supportarli nel doloroso momento di ospedale. Hanno dei turni e a rotazione si muovono nei reparti. Se poi c’è bisogno, su chiamata accorrono per supportare un bambino per una richiesta specifica”.

Studi medici confermano che ridere diminuisce la percezione del dolore. Guarisce più una risata di un analgesico? “No, di più no. Diciamo che gli effetti farmacologici e quelli non farmacologici si combinano e si potenziano a vicenda”.

“I clown sono visti come parte integrante della cura. I loro interventi accompagnano le normali attività ospedaliere. Quindi sono visti assolutamente bene, anzi sono molto richiesti, perché sono un aiuto per il personale sanitario”. Perché l’intervento di un medico clown riesca è necessario guadagnarsi la fiducia del bambino. Come ci riescono?

Il nuovo Meyer

Come sono visti i ‘camici colorati’ dai ‘camici bianchi’?

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“I clown fanno un lavoro personalizzato sul bambino. Noi osserviamo che il clown punta l’attenzione sulla parte sana del bambino, non quella malata, ospedalizzata. Il clown calibra il suo intervento su quello che il bambino desidera fare e se il bambino non ha voglia di giocare il clown cambia stanza”. La chiamano ‘terapia del sorriso’, ma si tratta di una vera e propria ‘terapia’? “Questa è un’ottima domanda. No, non è terapia del sorriso, come noi non facciamo musicoterapia o pet therapy. E’ un’attività rivolta al benessere del bambino, però non ha uno scopo terapeutico”.

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IN ITALIA

NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

L’UNIVERSITAREA

IN ITALIA

a cura di Paola Barile

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Giornalisti scomodi

Per approfondire: http://www.giornalisticamente.net/blog http://www.articolo21.info http://odg.it

Intervista a Ciro Pellegrino, redattore politico de Il Napoli PAOLA BARILE Quello dei giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata o costretti a veder limitata la propria libertà di espressione, è un fenomeno che l’Italia sperimenta da molto tempo e del quale tuttavia non si parla ancora a sufficienza. Le ragioni paiono essere molte, in primis il fatto che una parte del Paese sembra ancora non riconoscere come propri i problemi che attanagliano il Sud Italia. Per avere una testimonianza diretta di cosa significa oggi fare giornalismo al Sud abbiamo contattato

“E’ noto ed è dimostrabile che nei giornali sono frequentissimi i casi di intimidazioni dirette e indirette” Ciro Pellegrino, redattore politico del quotidiano il Napoli, stesore e promotore di una “carta deontologica anti- camorra per giornalisti”. Cosa pensa della città e della politica di Napoli? Bisognerebbe partire almeno dagli anni Ottanta per spiegare attraverso il progressivo degrado della città, il ruolo di una classe politica la cui colpa principale è stata, secondo me, quella di non essere mai riuscita a trasmettere il concetto dello Stato di diritto. Napoli è cartina di tornasole della politica italiana e seppur faticoso e per certi versi pericoloso, è sempre entusiasmante lavorarci. Come diceva un mio vecchio capo cronista: sei fortunato, c’è sempre notizia, a Napoli. C’è una differenza tra lo svolgere la professione del giornalista al Nord o al Sud Italia? Sì, c’è, ed è una differenza di cui faremmo volentieri a meno. Se il fenomeno del giornalismo “appiattito” verso la politica non è soltanto tipico del Mezzogiorno, è verissimo che questo fattore al Sud si interseca con altri tipi di influenze, quali quelle che possono essere della micro e macro criminalità: è noto ed è dimostrabile che nei giornali, più i piccoli che i grandi, sono frequentissimi i casi di intimidazioni dirette e indirette. Cosa comporta è presto detto: giornalisti cauti fino a diventare innocui, terrorizzati alla sola idea di “dispiacere”. Molti giornalisti sono stati minacciati dalla criminalità organizzata e vivono sotto scorta. Cosa si prova a non poter svolgere serenamente il proprio lavoro? Secondo me il giornalista non dev’essere sereno di natura. Dev’essere inquieto, un’antenna pian-

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tata su un territorio e capace di percepirne ogni minimo sussulto. Rifletto su cosa possa significare vivere sotto scorta quando vedo alcuni dei nostri colleghi, e penso a Rosaria Capacchione, a Lirio Abbate, costretti a tirarsi dietro gli agenti anche quando vanno a prendere un caffè. Non è vita sicuramente, ma è ancor meno “vita” cedere il frutto dell’impegno di un’esistenza intera - quella voglia di vedere, capire e spiegare - all’inaccettabile idea che la violenza alla fine prevalga sempre. Avverte, o ha avvertito parlando con i suoi colleghi, il disinteresse dello Stato e dell’opinione pubblica verso la vostra attività? No, non c’è disinteresse. Ma chiariamoci: cosa significa interesse nei confronti del lavoro giornalistico, specie quello per così dire, di “frontiera”, di “strada”? Quel che può sembrare dall’esterno per certi versi affascinante, ovvero il cronista che sfida la camorra ed è costretto a finire sotto scorta per me è la più brutta delle immagini: quella di un Paese dove la libertà di espressione in certi frangenti è seriamente compromessa.

della Fnsi [Federazione Nazionale Stampa Italiana, NdR] ed Enzo Iacopino, segretario dell’Odg [Ordine dei giornalisti, NdR], mi hanno chiesto di portare il mio “suggerimento” all’incontro casertano. Detto, fatto. Ora lavoreremo insieme affinché si giunga ad un testo condiviso.

“Penso a Rosaria Capacchione, a Lirio Abbate, costretti a tirarsi dietro gli agenti anche quando vanno a prendere un caffè” Cosa pensa del fenomeno dell’ “auto- censura”, praticato da alcuni giornalisti? Le faccio un esempio personale. Recentemente un politico italiano mi ha citato civilmente, chiedendomi un tot di euro perché secondo lui, in un articolo lo avevo preso in giro, parlando di alcune spese “strane” all’interno dell’organo amministrativo che lui aveva e ha il compito di amministrare. Ora sono in attesa che il tribunale si pronunci, ma come dovrò trattare in questo lasso di tempo la vicenda? Dovrò mettere, come si dice a Napoli “carne a cuocere” innescando nuove polemiche oppure anche in presenza di fatti notiziabili dovrò star zitto per quieto vivere? Alberto Spampinato ha proposto la creazione di un Osservatorio sui giornalisti minacciati dalla malavita organizzata. Che utilità potrà avere? Ho sentito Alberto Spampinato nei mesi scorsi, ho avuto la fortuna di conoscerlo a Caserta, è una persona straordinaria e piene di idee, sono sicuro che il costituendo Osservatorio che nascerà in seno a sindacato e Ordine professionale, sarà uno strumento utilissimo soprattutto per il monitoraggio delle realtà che in tutt’Italia, non solo al Sud, preoccupano.

Perché ha ritenuto necessario presentare una carta deontologica anti- camorra per i giornalisti? È una cosa cui tengo molto. L’ho chiamata “modesta proposta” proprio per far capire che si tratta di un documento “open”, ovvero aperto al contributo di tutti. La carta deontologica è stata presentata a novembre a Casal di Principe, nell’ambito di un incontro promosso da Ordine dei Giornalisti e Federazione Nazionale della Stampa. Si propone di fissare dei paletti, dei punti-chiave nella scrittura, ad uso soprattutto di coloro che si stanno avvicinando adesso al giornalismo. L’ho scritta, postata sul mio blog giornalisticamente.net, spedita a qualche amico e il giorno dopo Roberto Natale, presidente www.unistudi.eu

Cosa pensa di Roberto Saviano? Lo apprezzo tantissimo per la testimonianza che attraverso “Gomorra” ma anche attraverso la sua aperta sfida ai clan del Casertano l’ha portato a sacrificarsi, finendo sotto scorta. D’altra parte sarò sincero, non posso non avere dubbi su quello che viene chiamato giornalismo ma secondo me è fortissima suggestione letteraria, ma di giornalismo ha poco e nulla: in “Gomorra” non ci sono fonti citate ed è una cosa che per me è inaccettabile, se si vuol parlare di giornalismo. La letteratura è ovviamente un’altra cosa e in quel senso il libro di Saviano è la straordinaria testimonianza che noi tutti conosciamo.

L’UNIVERSITAREA

NEL MONDO

NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

NEL MONDO

a cura di Francesca Pardo

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Per approfondire: www.iucn.org, www.balkanspeacepark.org www.sanparks.org, www.peaceparks.org www.parks.it, www.upeace.org

I Parchi della Pace: un progetto che unisce

Ancora una volta l’ambiente tocca tutti i grandi temi dello sviluppo e della pace FRANCESCA PARDO Pace non è solo l’antitesi di guerra. Tra i tanti utilizzi del termine vi è altresì quello teso a indicare la pace con se stessi, un’emozione che può scaturire anche solo dalla gioia esperita ammirando la bellezza della natura, ad esempio quella di un parco. Magari questo stesso parco potrebbe denominarsi Parco della Pace. In molti potrebbero pensare a un sogno o ad un progetto immaginario. Questi parchi, invece, esistono e non sono neanche una realtà così recente. Si sa che una buona gestione della natura è inevitabilmente connessa alla lotta alla povertà, alla sicurezza alimentare, alla risoluzione dei conflitti per l’uso delle risorse e a molto altro. Ma cosa sono i Parchi della Pace? L’International Union for the Conservation of Nature and Natural Resources (IUCN) li definisce aree protette transfrontaliere ufficialmente preposte alla protezione e al mantenimento delle diversità biologiche, delle risorse naturali e culturali e alla promozione della pace e della cooperazione. Sono insomma aree che si estendono attraverso i confini di due o più stati, all’interno delle quali confini politici e fisici sono aboliti, pur mantenendo intorno al parco i confini fisici per evitare il passaggio di persone non autorizzate tra uno stato e l’altro; testimoniano la volontà di cooperazione fra gli stati interessati. Questi Parchi non vanno intesi come unicamente legati al mondo dell’ambientalismo, ma sono una realtà importante da tener pre-

sente anche per la gestione e prevenzione dei conflitti, in quanto coinvolgono comunità, operatori, enti di gestione, enti locali e governi nazionali. Molti i parchi di questo tipo. Nel 2001 l’IUCN individuò più di 600 aree protette in 113 paesi, già attive o potenzialmente inseribili in progetti di parchi transfrontalieri per la pace. Il primo, creato al confine tra Svezia e Norvegia, a Morokulien, in un momento in cui le relazioni tra le due nazioni erano difficili, risale al 1914. Sono, invece, 76 gli anni trascorsi dall’istituzione del Waterton-Glacier – nato dall’unione del Waterton Lakes National Park canadese e del Glacier National Park statunitense – e dell’International Peace Garden, tra gli Stati del Nord Dakota e di Manitoba. Questi sono i primi parchi, e forse anche gli unici, che hanno come scopo prioritario quello di fungere da simbolo d’amicizia e pace fra le due nazioni confinanti (in entrambi i casi tra Canada e Stati Uniti). Infatti, l’incoraggiamento al turismo, allo sviluppo economico e la pacificazione tra nazioni confinanti sono solitamente conseguenze, non le ragioni principali per la creazione dei Parchi, che consistono invece nella preservazione delle tradizionali vie di migrazione animale e nella garanzia di cibo e acqua sufficiente per la crescita della popolazione. Quest’ultimo è lo scopo principale perseguito nell’istituzione dei parchi africani. Qui il WWF, insieme al suo fondatore, il principe Bernhard d’Olanda (1911-

2004), e al suo presidente, Anton Rupert (1916-2006), imprenditore miliardario e conservazionista, costituì nel 1997 la Fondazione per i parchi della pace, attivamente supportata da Nelson Mandela – primo Presidente del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid e Premio Nobel per la Pace nel 1993. Il primo Parco dell’Africa, il Kgalagadi Transfrontier Park, nacque nel 2000 dall’unione del Gemsbok National Park (Botswana) con il Kalahari Gemsbok National Park (Sudafrica). Dal 2000 a oggi molti altri parchi sono stati istituiti ma il più conosciuto è sicuramente il Great Limpopo Transfrontier Park, nato nel 2004, il quale, con i suoi 35 mila kmq, unisce i parchi di ben tre Stati: il Kruger National Park (Sudafrica) – uno dei più antichi parchi del mondo, fondato nel 1896 – il Gonarezhou National Park (Zimbabwe) e la provincia di Gaza (Mozambico). Il nome viene dal celebre fiume Limpopo, che per secoli è stato considerato una frontiera naturale tra l’Africa australe e quella centrale. Si tratta di un Parco che costituisce indubbiamente un sofisticato esempio di salvaguardia della natura: 2 mila leoni, 10 mila elefanti, 40 mila zebre, 505 specie di uccelli, 116 specie di rettili, 2 mila famiglie di piante e molto altro ancora. A differenza dell’Africa, dove i Parchi della Pace sono molto diffusi, l’America centrale può vantare solo un Parco di questo tipo: il Parco Internazionale La Amistad, creato nel 1988 fra la Costa Rica e Panamá. Ancora in corso i negoziati per creare un Parco della Pace tra Stati Uniti e Messico, unendo il Big Bend National Park con le aree protette messi-

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cane di Maderas del Carmen e Cañon de Santa Elena. Ma non è il solo progetto che attualmente si discute. Tra i tanti, basti ricordare gli sforzi affinché si giunga ad un Parco della Pace che abbracci lo Stretto di Bering tra Stati Uniti e Russia e la campagna per creare un Parco nel ghiacciaio del Siachen, protagonista della guerra territoriale tra India e Pakistan che va avanti dal 1984. Alcuni studiosi ritengono la caratteristica della transnazionalità un po’ riduttiva, preferendo estendere il concetto anche a quelle aree protette che si trovano in territori fortemente colpiti dalla guerra civile, come ad esempio l’area di Laj Chimel in Guatemala che Rigoberta Menchú Tum – pacifista guatemalteca Premio Nobel per la Pace nel 1992 – ha proposto come riserva ecologica per la pace e centro di riconciliazione. Infine, nel

concetto si può includere anche la solidarietà espressa tra parchi di diversi paesi non confinanti, come alcuni gemellaggi italiani con parchi stranieri situati in zone di conflitto, o progetti di cooperazione come quello del Parco Nazionale delle Cinque Terre che appoggia cooperative di donne israeliane e palestinesi vendendo i loro prodotti. Insomma, ancora una volta, in questo caso attraverso l’esperienza dei Parchi della Pace, l’ambiente tocca questioni che colpiscono in modo trasversale tutti i grandi temi dello sviluppo e della pace, una pace questa volta colta nel suo significato sociologico come contrario e assenza di guerra.

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IN SOCIETA’

NOVEMBRE/DICEMBRE 2008

L’UNIVERSITAREA

IN SOCIETA’

a cura di Tommaso Tombelli

Per inviare lettere o suggerimenti: [email protected] Per approfondire: www.unistudi.eu/cinematoma, www.festivaldeipopoli.org

Private emozioni condivise al Festival dei Popoli Il documentario esiste: da oggi possiamo esprimerci TOMMASO TOMBELLI In questo spazio avete letto di Pupi Avati che incontra aspiranti attori, del Festival del Diritto di Piacenza, di Milena Gabanelli che dice “non mollate”. Noi non molliamo e siamo andati al Festival dei Popoli, a Firenze. Questa rassegna è per molti versi speciale. E’ nata nel 1959 sulle rive dell’Arno e

“Il digitale è il futuro del cinema, il dna in comune di linguaggi diversi” proietta documentari, non film. Fin qui niente di strano, penserete: sbagliate. Sbagliereste se pensaste ai documentari come ad un film dove non accade niente, dove non muore nessuno e l’eroe non vince mai. Accade sempre qualcosa, ma manca allo spettatore l’immediata percezione, quella cinematografica, della sensazione “cotto e mangiato, digerito e poi dimenticato”. Potremmo dire che ti scoppia dentro una bomba che però non fa rumore, senza apparenti conseguenze né improvvisi effetti collaterali. Ma non è così: la consapevolezza e la coscienza sono beccate con le mani nella marmellata. Perché, da quel momento in poi, la visione non è più la stessa, le storie che non conoscevi esistono e – tu – da oggi sei un po’ i loro occhi, il fratello un tempo distante, pigro e distratto. Qua si muore per davvero, quando parte un colpo di pistola ed un uomo cade: non si rialzerà. Si è respirato in sala l’odore delle macerie di “Moujarad Raiha”; quei corpi sepolti non hanno mai avuto ordini impartiti da un regista, ma solo da madri che ora scavano, scavano ed esistono per quello. In “Tijuana” abbiamo assistito alla paura di libertà, quando la frontiera diventa un nemico con il quale convivere, perché non si può superare. Il cinema ha messo la sua mano migliore, ma in modo imparziale, di-

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staccato; l’ha messa giusto, talvolta, Molti degli artisti in concorso erano nel colore, nelle forme: ha portato il giovani, emozionati portatori – come documentario dal sarto lasciandolo Magi – di un dono privato da lasciare libero di scegliere cosa indossare. Il digitale è il futuro del cinema, il dna in comune di linguaggi diversi. Il Festival non si è limitato a parlare il francese dei francesi, ma anche il francese dei marocchini, il francese dei tunisini, e soprattutto il francese dei tedeschi, il francese de- La locandina del festival gli italiani, il francese dei messicani: ed è come sotto il grande schermo, per tutti. se una gomma cancellasse la parola Il documentario non è un prodotto “francese”. Anche questo ha permes- freddo, che ha il solo compito di teso la direzione artistica di Luciano stimoniare la vita che accade, ma ha Barisone, con un innato rispetto per il la matura coscienza di interpretarla, suono colorato delle immagini. di far nevicare in piena estate, poe-

sia sulle giacche degli spettatori immersi nella visione. “La favola del pennello”, cortometraggio del regista svedese Andreas Kassel, interpretato da un dolce Tonino Guerra, dischiude questo pensiero. Le parole del poeta romagnolo raccontano, testimoniano, fotografano dei versi di poesia scritti dal paesaggio, dai ricordi: vita vissuta. La realtà è stata compresa, afferrata, interrogata, ospitata in questo spazio privato; qua si è sciolta, aperta, confessata, senza applausi forzati, né ringraziamenti troppo speciali. Il Festival dei Popoli è tornato dalla foresta con un messaggio: c’è un rivo d’acqua limpida che sgorga là nel bosco, non facciamolo prosciugare.

Riflessioni di fine serata al bar dell’Odeon Due parole con Laura, spettatrice casuale della rassegna TOMMASO TOMBELLI Come ti è sembrato il Festival? Non avevo mai visto documentari così; non pensavo che potessero essere dei piccoli film. È stata una bella sorpresa, anche se non ti nascondo che non ero abituata a stare in una sala cinematografica per soli venti minuti, lasciando che fossero le immagini a costruire una storia. Quindi immagino la difficoltà a seguire alcune proiezioni… Alcuni sono state davvero incomprensibili, soprattutto per la scelta di omettere l’audio e raccontare, solo attraverso le immagini, determinate realtà che almeno io personalmente conosco davvero poco. Mi sono trovata spaesata, ma ho resistito e – alla fine – ne è valsa sicuramente la pena. www.unistudi.eu

Il documentario è una denuncia. Come ti poni nei confronti di certe tematiche trattate? È vero, il documentario è denuncia, ed alcune proiezioni erano interamente incentrate su questo. Quando torni a casa, magari ripensi a quello che hai visto, ma purtroppo non fai fatica a dormire. Comunque, esserci è stato importante. Mi ha colpito molto “Distancias”, un cortometraggio che racconta il viaggio di poveri clandestini dal profondo sud del mondo verso il confine, anche solo per accarezzarlo giusto un attimo. Ma ci sono state proiezioni come “La favola del pennello”, una bella testimonianza che all’apparenza non sembra un documentario di denuncia ma solo un dolce racconto. Poi invece ti accorgi che anche quello è un modo di denunciare. La denuncia della propria nostalgia.

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Per approfondire: http://www.fuoriorbita.com/ http://www.afterhours.it/it/

a cura di Matteo Brighenti e Tommaso Tombelli

PAROLE

in

LIBERTA’

JONATA TELLARINI Graziano Staino, video maker e produttore d’arte visuale, vive e lavora a Firenze. Attivo dalla fine degli anni Novanta come regista di cortometraggi oscuri e visionari, dopo importanti collaborazioni, nel 2005 fonda la casa di produzione audiovideo Fuoriorbita.com. Dal 2008 si lega al gruppo rock Afterhours, per il quale realizza alcuni video musicali.

“Il tema si perde, come in un bicchier d’acqua”

Graziano Staino, Firenze e gli “sguardi di Ofelia”

lare d’altro”. “L’idea era quella di fare un documentario sulla figura di “Ofelia”, in occasione del “Festival di Ofelia” da me diretto, composto da una serie di interviste sul personaggio, dalle quali si potesse evincere la tendenziale ignoranza degli intervistati sull’argomento, abbinate alle immagini dell’affogamento di una ragazza rappresentante “OfeIl tuo lavoro predilige il formato sintetico, lia”. Il video ha ricevuto un’unica recensione l’espressionismo visuale, l’immediatezza delin occasione della presentazione al “Torino la scoperta visiva. Quali i meriti e quali i liFilmfestival”, la quale sottolineava sì la bontà miti di questa scelta? della trovata, ma anche il fatto che il tema si “I pregi della scelta sono da ricercarsi nella fosse disperso durante la proiezione…”. possibilità di derivare dalle immagini una intenVorrei sapere qual è il tuo rapporto artistico sità che il lungometraggio per sua natura non con la città di Firenze. Perché questa città comconsente. La stessa potenza delle immagini è in prime il proprio vitalismo in eventi sporadici e grado di sostituirsi all’elemento narrativo che disorganici, incapaci di produrre opinione e ho sempre preferito escludere dai miei lavori. cultura contemporanea? Intendo il cortometraggio come un concentrato “Credo che per un artista il grande vantaggio di sensazioni poetiche, come una esperienza ardi lavorare a Firenze sia rappresentato dalla tistica che consenta di lavorare maggiormente quasi totale mancanza di eventi ed iniziative di sulla fotografia, sulla sorpresa, portando anche natura culturale. Ciò permette alle poche attiall’estremo il lato sperimentale”. vità organizzate di non disperdersi tra le altre, Tu produci materiale di nicchia che richiede a differenza di città come Roma o Milano, e di pazienza intellettuale e disponibilità d’aninon perdere la potenziale attrattiva. D’altra mo. Quali sono i circuiti commerciali in cui parte, però, il lato frustrante è costituito dali tuoi lavori si inseriscono? Quali gli effettivi la mancanza di un giro di persone capace di sbocchi di visibilità? creare un movimento od una realtà culturale Un ritratto di Graziano Staino “Le strade che il prodotto segue sono diverse effettiva. E’ una città questa in cui i finanziaa seconda che si tratti di cortometraggi o di vide- seggianti, le ombre dense di liquido, i volti dei menti per le attività culturali contemporanee sono oclip. I primi, nonostante diano grande soddisfa- membri della band degradati dal buio. Credo miseri, in compenso girano sempre le solite perzione al momento realizzativo, hanno pochissime che le tue immagini, compenetrando la materia sone in maniera ereditaria e bottegaia. Una città, possibilità di distribuzione commerciale nonché sonora, abbiano reso la loro musica decisamen- inoltre, incapace di sfruttare il potenziale dell’afpoche possibilità d’essere visti se non attraverso te più spettrale e torbida. Era il tuo intento? fluenza turistica in maniera intelligente, avendo i Festival, totalmente dipendenti da finanziamenti “Sicuramente alcune atmosfere noir del disco come unico interesse quello di derubare il turista europei e dagli sbocchi ben limitati. Per quanto (“I milanesi ammazzano il sabato”, NdR) hanno senza creare alcuna occasione di scambio culturiguarda il video musicale molto dipende dall’ar- influito sul carattere cupo e visionario dei video rale. D’altra parte anche gli stessi fiorentini non tista col quale lo hai realizzato e dal suo poten- da me realizzati. Dipendendo le decisioni circa contribuiscono minimamente alla buona riuscita ziale commerciale. Non trovo che il discorso sulla i contenuti dei video non solo da me, ma anche dei pochi eventi realizzati. Si può creare benissicomplessità del mio materiale, quale limite ad una da Manuel (Agnelli, leader degli Afmo la situazione per cui sua gran diffusione, valga particolarmente per i terhours, NdR) il risultato è da conun gruppo che va a suovideoclip. Credo che anzi un video musicale debba siderarsi come l’incontro delle nostre nare a Napoli raccoglie avere degli elementi ulteriori rispetto alla musica idee. Sicuramente i video precedenti tremila persone, mentre a che supporta, a differenza di quello che succede mai erano stati all’altezza degli AfFirenze ne raccoglie trecon le gran- terhours, soprattutto quando c’era cento; i fiorentini di base di produ- ancora Mescal di mezzo. Loro cercasono un po’ gelosi e un zioni, nel- vano immagini visionarie e d’impatto po’ stronzi, in aggiunta le quali ed hanno pensato a me”. se la tirano un po’ tutti, a avviene il Trovo assai significativo quanto da partire dalle istituzioni e c o n t r a r i o . te dichiarato relativamente al docu- Ofelia secondo Staino da chi gli eventi culturale A l l ’ e s t e ro mentario “Lo sguardo di Ofelia”: li dovrebbe promuovere e tanto più un “Il tema si perde come in un bicchier d’acqua, ciò non aiuta, dato che ormai non se la tirano più Gli Afterhours video appa- quasi trascurato, come scomodo pretesto per par- nemmeno le star”. re particolare tanto più sono le sue possibilità di successo. In Italia avviene l’inverso se pensi che i video di Cesare Cremonini su “Youtube” vengono visualizzati dal quintuplo delle persone che si soffermano sui video degli Afterhours. Nemmeno fosse un figo”. Quest’anno ti sei legato agli Afterhours. Gli effetti sono stati sorprendenti; i chiaroscuri ros-

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Per approfondire: www.philippebesson.com, www.guanda.it

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Il Lapidario

Riti JONATA TELLARINI Si chiude il cerchio, con l’arrivo dell’ultima donna. I visi sono temprati e metallici, ricoperti da un sottile strato di membra corrugato.

Siedono su di un prato secco, costellato d’erba pungente e di insetti. Una di loro recita una preghiera antica, nella lingua madre che le educò in queste terre. Le altre ripetono in coro i moniti, i giuramenti, i pentimenti. Al limitare del bosco una allodola partecipa inconsapevole al rito. Si spandono aeree le voci, ospiti della natura.

Tra le Righe

Il ritorno dell’amore mozzato MATTEO BRIGHENTI Un’estate grigia, che sembra inverno. Le Ardenne mute, che conoscono solo il lavorio dello scherno contro chi fugge e continua a fuggire anche quando non ha più vie di scampo. “In fondo, non ha mai fatto altro che fuggire dall’infanzia, dalla pioggia, che perdersi in contrade remote, sotto soli opprimenti, in una polvere vorticante. E però chi gli ha messo voglia di rimanere? L’hanno messo alla porta a forza di biasimarlo, di sminuirlo, di intristirlo, di immiserirlo” confida al suo paziente confessore Isabelle Rimbaud sabato 25 luglio. Un giorno dietro ad un altro giorno passato a tenere il conto dei battiti di un cuore che gocciola inchiostro sulla carta. Fino dentro a quell’ultimo sabato 10 novembre ricoperto di terra, senza sole né pace. Philippe Besson ne I giorni fragili di Arthur Rimbaud (pp. 167, Guanda, euro 13,50) dà voce “in presa diretta” agli occhi di Isabelle, squadernando il diario da lei scritto (sofferto) durante gli ultimi sei mesi di vita (di agonia) di suo fratello Arthur. Un diario immaginato (o meglio: colmato, perché alcune frasi sono state realmente scritti o dette dai due fratelli), solcato da parole nascoste, strappate al silenzio imposto dalla madre, che provano a dire l’amore. L’amore impossibile, inconfessabile di Arthur, perché “ci sono uomini cui occorre un’intera vita per diventare ciò che sono: io appartengo a costoro”. L’amore indicibile, intatto, di Isabelle perché “le donne senza uomini sanno darsi un contegno”. L’amore avvizzito, ricacciato dentro, della madre dei fratelli Rimbaud che “crede siano state le parole a portare Arthur alla rovina”. L’amore a lutto di Sidonie Albinier, unica presenza circostante, con un destino e due occhi che comprendono e non importunano. Besson fa intonare alle parole di Isabelle una partitura che è il canto senza melodia dei gesti dell’animo infranto, in un rimando di domande cui la carta non può rispondere. Un libro. Disperato, duro, umano, ma pur sempre un libro. Cosa resta quando finisce? Quando lo lasci con le pagine e le parole chiuse una sull’altra? Rimane lo splendore innocente dell’amore di una sorella verso il fratello incomprensibile e bello. Scrive Isabelle lunedì 28 settembre: “So che questi giorni mi logorano, mi distruggono, mi annientano e che ciò che mi aspetta, d’ora in poi, è soltanto un’esistenza di sciancata, di convalescente inguaribile”. Perché non esiste medicina che sconfigga l’amore. E se non mi sono spiegato: a me questo libro è piaciuto.

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Si fissano attonite le donne. Una luna acerba taglia il lugubre spazio ove siedono. Non si conoscono. “Tutti i gruppi umani producono cultura e tutte le culture, quindi, devono essere rispettate perché sono sistemi di valori. In un mondo dinamico come quello di oggi, le culture sono diverse e vengono in contatto. Qui

sorge il problema: come dovranno regolarsi? Non dovranno dar luogo a una guerra fratricida, ma a un dialogo interculturale in cui non ci sia prevaricazione.” Franco Ferrarotti, sociologo, in una intervista rilasciata a Bianca Maria Simeoni http://www.artescrittura. it/biancamariasimeoni/interviste_6. htm

Cinematoma

Wall-e

Perché ogni cuore arrugginito batta sempre più forte TOMMASO TOMBELLI Non so bene cosa dire. Forse so come dirlo, e quindi proverò a farlo piano piano, modellando quell’impasto di sensazioni che mi ha accompagnato per tutta la visione del film. L’uomo sulla terra non c’è più, e forse non l’ha mai abitata veramente. Un “robottino” è rimasto a ripulire il pianeta con le sue mani, lavorando come un forsennato tutto il giorno, “cingolando” a zigzag ovunque. È un robottino intelligentemente umano, che vive in uno sgabuzzino di metallo, dove raccoglie tutto quello che hanno lasciato gli umani. Anche una piantina: la speranza. Il piccolo robot si muove tra grattacieli fatti di cubi di latta compressa, ed ogni suo passo è attuito dalla polvere che puntualmente, ogni giorno, un tornado violentemente alza. L’ i n t e r n o della casa del piccolo Wall-E è addobbato con lucine natalizie, un archivio di ricordi umani sulla sinistra, in fondo un televisore ed un VHS: il vecchio film regala scene d’incontri, di danza e di amore... E proprio tutte le sere, il piccolo Wall-E si metteva davanti al televisore, inseriva la cassetta e sognava; un giorno, si posò dal cielo sulla terra una grande astronave, e dalla sua pancia uscì un

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altro robottino – ma questo supertecnologico e superpotente – bianco, lucido, quasi profumato. E come per magia, in quell’istante, Wall-E provò qualcosa di diverso, forse per l’odore dell’uomo. Perché il robottino supertecnologico era stato mandato alla ricerca di vita da un’altra nave, dalla nave madre, quella piena di umani, che ormai da tempo immemore avevano lasciato il pianeta alla volta del niente, lassù nello spazio. Appena vide la piantina verde, eseguendo gli ordini, la sfera bianca la catturò e tornò da dove era venuta. Wall-E non si sarebbe mai perdonato se l’avesse fatta andar via e allora decise di seguirla attaccato ad un’ala della navicella… Gli umani sono là, ciccioni, drogati dal Grande Computer, guidati da un capitano-fantoccio, che crede di avere il comando della nave, mentre sono le macchine a decidere. Wall-E insegnerà alla sfera bianca a resistere agli ordini, aiuterà gli umani a tornare sulla terra… Quella volta, su una terra tutta da ricostruire, Wall-E tese la manina meccanica alla sfera bianca, che l’avrebbe accudita per sempre… L’essere umano non ha più importanza, ma ce l’ha l’amore. Che è anche cosa umana.

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RECENSIONI TENDENZE VISIONI Per approfondire: www.uggaustralia.com, www.ohmyshoes.it www.myspace.com/lelucidellacentraleelettrica, lelucidellacentraleelettrica.blogspot.com

COOLtura

Impronte Sonore

Dall’Australia gli stivali dei surfisti

Canzoni da spiaggia deturpata

Gli Ugg Boots ora spopolano ma non tutti approvano SERENA FOIS In Australia esistono da sempre, negli States sono di moda da almeno quattro anni, e finalmente anche in Italia hanno preso piede. Vi sarà capitato di notarli, fino all’anno scorso li avevano solo le straniere ma adesso li hanno veramente tutti. Le vetrine impazzano di questi stivaletti “da pecoraio” (come definiti da molti) di tutti i colori e di tre modelli differenti: alla caviglia, al polpaccio e sotto il ginocchio. Sono stivali in montone, che i surfisti australiani usano per scaldarsi velocemente

nelle giornate fredde. Sono buffi, simpatici ma cosa

Memento Novoli

decisamente importante sono CALDISSIMI! Invece di fare le fashion a tutti i costi, in giro con le ballerine in pieno inverno e tornare a casa con la febbre, per una volta che la moda ci aiuta… usiamola, ed infiliamo i nostri jeans in questi soffici stivaletti. Perché ve lo posso assicurare, sembra di camminare su una nuvola da quanto sono morbidi! Dicono che le ragazze in Australia li indossino anche d’estate per andare in spiaggia… scelta alquanto obbiettabile, ma irrilevante da noi che sta arrivando il freddo. “Ugg”, originariamente, nasce come abbreviazione di “ugly”, in inglese “brutto”, ma ormai anche quello è diventato motivo di forza: un nome dal suono simpatico. La casa produttrice ha pensato bene di sfruttare al meglio il momento proponendo addirittura le infradito Ugg: delle normali ciabattine ricoperte di pelliccia! Per fortuna da noi non sono ancora arrivate, e spero non arriveranno mai: la moda, a volte, può davvero dare i numeri. GIULIO CALAMANDREI

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JONATA TELLARINI Il disincantato umorismo autoironico di un disoccupato abbinato a fascinazioni pasoliniane. Voce lacerata dall’effetto serra che modella poesie di catrame, assuefazioni metropolitane ed esigenze indotte. “Andiamo a vedere i colori delle ciminiere dall’alto dei nostri elicotteri immaginari”. Pare forse questo l’unico approccio possibile al cantautorato di oggi. Cantautorato martoriato e cartavetrato. Un mondo diverso non è possibile. “Canzoni da spiaggia deturpata” (Tempesta Record 2008), il primo lavoro di “Le luci della centrale elettrica” (geniale nome artistico di Vasco Brondi), prodotto dall’accorto Giorgio Canali (P.G.R.), narra di materiali scadenti, di malfunzionamenti terminali, di inquinamento sociale ed ambientale. Le composizioni, pretesto ben strutturato per accogliere sentimenti prosciugati, si presentano scarnificate e grezze, adornate di elettriche armonie, suonate con impeto disperato e contagioso. Sporadici ed ossessivi ritornelli bruciati si inerpicano tra rovi di ritmiche martellanti e melodiche, spesso sfocianti in esiti deflagratori; rumorismo provinciale da rivolta personale. La canzone socio-politica vestita di devianze suburbane, bagnata da pozzanghere da bere, eppur post-modernamente romantica; “Faremo dei rave sull’enterprise, farò rifare l’asfalto per quando tornerai”. La protesta filtrata da altre vicende meno essenziali e più intime. Ritrovarsi assieme sulla riva di un mare non balneabile, a cantare di un amore biodegradabile.

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The Witcher DAMON Un classico personaggio grigio quello del protagonista di “The Witcher”, Geralt Di Rivia, figlio di un mondo dove il bianco e il nero creano sottili sfumature di moralità. Leggendari guerrieri caccia-mostri, i “Witcher” nascono dalla penna del polacco Andrzej Sapkowski, autore della serie di racconti di “The Witcher”, mai tradotti in italiano. Il contesto d’ambientazione fantasy è un medioevo molto cupo, in perenne lotta tra umano e non-umano, tra luce e ombra. È facile trovarsi in pericolo quando si fa largo uso di arti oscure come la magia e l’alchimia e per di pi se si è un mercenario mutante senza memoria. All’inizio del gioco, infatti, la mente di Geralt è depurata dai ricordi per motivi non meglio precisati. Procedendo nel gioco Geralt “ricorderà” i suoi talenti solo ricostruendo la propria identità, imparando ad ogni “bivio morale” che si frapporrà tra lui e i suoi ricordi a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ferisce più la memoria o la spada? Quello che si può dire è che la dialettica spesso può portare a conseguenze inaspettate rispetto a quelle affilate dal freddo e tagliente acciaio (o argento) di una spada. In conclusione, “The Witcher” si presenta come un titolo atipico nel genere “giochi di ruolo”, capace di mantenere un’atmosfera “cartacea”, anche per chi non è amante del genere fantasy (io per primo, in verità) e di offrire varietà di scenari e situazioni, scongiurando la noia e la dispersività, sempre in agguato in titoli come questo.

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