Una canzone di uno yogi solitario Libero è lo yogi che vive ovunque senza attaccamento: nelle grotte sulle montagne, all’ombra di alberi in fiore, in una catapecchia isolata, in una piccola tenda di cotone bianco. Canterò lontano una canzone di gioia e pace. Grazie a te, o guru, il più sublime e saggio, la cui gentilezza sorpassa persino quella del Buddha, io capisco la verità: tutto ciò che accade è unione di forma e vacuità, nient’altro che un gioco della mente. Misteriosa, incomprensibile, è la mia mente, origine della prigionia e della libertà, inafferrabile, senza sostanza. In solitudine adagio la mente senza sforzo sopra l’ essenza della realtà – questa mente, leggera come un fiocco di cotone. Le tenebre dell’ignoranza si ritirano al suo incedere, e il vasto cielo della realtà infinita si risveglia alla luce dell’alba. “E’ così o no?” I dubbi generati dallo scetticismo sono come malesseri senza importanza, domande alle quali il Buddha non risponde.
Oh, la grande adunanza: yogi della mahamudra, saggi e famosi, che vedono il vero volto della realtà, sulla vetta del Sari, il reame celestiale dove vivono le dakini, dove è spontaneo il flusso degli eventi mistici. Oh, le quattro caratteristiche del dharmakaya, l’essenza della realtà: vuoto come lo spazio, brillante come il sole, trasparente come uno specchio, acuto come la vista. Entriamo allora insieme nel reame stesso della realtà. Come i discorsi filosofici, tenuti dai dotti nei luoghi di dibattito, sono un suono melodioso per le orecchie, così lo sono anche le canzoni dell’esperienza, cantate in solitudine dagli yogi che sono entrati nella Grande Unità – Mahamudra e Dzogpa Chenpo.