Un nuovo Trattato di Morale fondamentale Figli nel Figlio è un trattato di teologia morale fondamentale scritto da più autori , con l’intento di dare una risposta all’esigenza diffusa e pressante di accogliere, senza titubanze e ambiguità, l’invito del Vaticano II a ripensare profondamente la teologia morale. Esso intende offrire ai docenti e agli studenti della teologia morale un’elaborazione originale dell’opzione cristologica conciliare (cf Optatam Totius n.16) e un’antropologia conseguente, la quale, abbracciando inconfuse e indivise l’ordine della creazione e quello della redenzione, si mostri come base particolarmente adeguata dell'agire morale dei cristiani. Gli elementi rilevanti della cristologia, dell’antropologia e dell’agire morale che, ben congegnati tra di loro, qualificano e caratterizzano questo volume hanno origine, come rami frondosi e fecondi di un unico albero, dalla Croce gloriosa: il Figlio incarnato, morto e glorificato rivela il Dio Trinitario che è Amore e il suo disegno, costituisce la piena e vera realizzazione dell’uomo e gli rivela la vocazione ab eterno ad essere figlio nel Figlio. La filiazione, propria del Figlio unigenito e partecipata nell’adozione ai credenti in lui, è da considerarsi come il filo d’oro che attraversa in filigrana le quattro parti del trattato e fornisce loro unità, organicità, vitalità e originalità. Si tratta di caratteristiche che rivelano negli autori non solo l’assenza di soggezione di fronte alle pretese morali della ragione autonoma, ma anche la determinazione ad accogliere e a rilanciare, nell’ambito teologico-morale, la sfida a cercare nella Croce gloriosa il luogo alto di incontro per coloro che quaggiù – per qualsiasi causa e motivo - mostrano di essere separati o distanti gli uni dagli altri. La Croce gloriosa, il Figlio morto e risorto in persona, vivente e operante per mezzo dello Spirito, è – si potrebbe dire – «la Porta aperta nel cielo» (Ap 4,1), a cui tutti gli autori, a seconda della natura del loro contributo, risalgono per conoscere ed esporre con la loro riflessione l’identità di Dio Amore, i tratti essenziali e la realizzazione in Filio del suo progetto eterno, la persona e la vocazione dell’uomo sul piano della natura e della grazia. Nella prima parte: Breve rilettura della tradizione morale cristiana in prospettiva filiale (pp. 23-103), dalla prospettiva dischiusa dal luogo alto che costituisce il cuore dell’opera, ci si rivolge alla Scrittura e alla tradizione morale della chiesa. La Sacra Scrittura è considerata più che un libro sacro; l’Antico e il Nuovo Testamento sono interrogati, ascoltati e compresi in modo che, senza forzature né urgenze arbitrarie, si possano manifestare quali sono: parola divina scritta presente tutta nel Figlio (cf Gv 1,1ss; Eb 1,1-3) e che rende testimonianza del suo mistero (cf. Gv 5,39; Lc 24, 27; At 18,28). Così essa si apre a una lettura filiale dell’ethos biblico, già presente nella antica elezione e consacrazione del popolo-figlio per la gloria di Dio, e pienamente manifestato e compiuto nella sequela del Cristo crocifisso. Questa lettura non si pone in antagonismo con gli altri approcci miranti a discernere la presenza di differenti ethos nell’Antico e nel Nuovo Testamento, ma assume esplicitamente la prospettiva dischiusa dalla rivelazione di Dio e del suo disegno eterno di conformarci all’immagine del Figlio compiuta nel mistero pasquale. Questa scelta consente di ravvisare nella Scrittura un ethos biblico unitario, che ha il 1
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R. Tremblay – S. Zamboni (a cura di), Figli nel Figlio. Una teologia morale fondamentale, presentazione di L. Lorenzetti, EDB, Bologna 2008, pp. 429, € 40,00. Il volume è opera del gruppo di ricerca Hypsosis («innalzamento»), fondato e diretto dal Prof. Réal Tremblay e composto da 20 membri.
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suo cardine sia sulla persona del Figlio glorificato sia sull’identità fondamentale dell’uomo. La rilettura della tradizione e della riflessione morale successiva al Concilio Vaticano II mostra l’anticipazione o l’assenza delle noti principali della prospettiva filiale (centralità del mistero pasquale, la morale come espressione dell’antropologia, il legame di continuità e superamento tra creazione e redenzione) sia in alcune svolte del passato, sia nelle concezioni del legame tra Cristo e la morale del periodo postconciliare. Essa contribuisce in particolare a mostrare la continuità della morale filiale proposta con il periodo patristico, e ad evidenziare la sua peculiarità nel panorama teologico-morale attuale. La cristologia e l’antropologia filiali, alle quali abbiamo già accennato implicitamente, conferiscono all’opera unitarietà e novità. I loro elementi essenziali sono presentati e approfonditi nella seconda parte: Radicati nel Figlio. Fondamenti cristologici e antropologia filiale. Seguendo le tre prospettive giovannee dell’«ora», della «vera regalità» e dello «scandalo e follia dell’amore», la riflessione teologica converge sulla croce e illustra come essa sia tanto rifiuto e negazione del Figlio Verità e dell’Amore da parte dell’uomo, quanto manifestazione e attuazione della grandezza, della sapienza e della potenza divine. Sulla croce e nella croce si ha la rivelazione «attraente» del Figlio (cf Gv 12,32) e l’irradiazione della gloria di Dio Amore (pp. 109-124). Nella certezza che «Cristo, che è l’ultimo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes n. 22), la riflessione sulla croce gloriosa è approfondita allo scopo di rilevare il disegno di Dio sull’uomo. Nell’ambito trinitario e pasquale dischiuso dalla croce si viene a conoscere che l’elezione alla filiazione adottiva è anteriore alla creazione ed è indipendente dal peccato – che come tale non appartiene al disegno divino –, e che l’uomo è immagine dell’Immagine, una manifestazione del Figlio incarnato sul piano sia della creazione sia della redenzione. Più esattamente, l’uomo è figlio per predisposizione sul piano della natura, e lo diviene realmente per la partecipazione per grazia alla croce gloriosa, modalità secondo la quale il Figlio ha vissuto la sua figliolanza nel mondo (pp. 125-140). La grazia della comunicazione al mistero pasquale viene poi illustrata dal punto di vista sia cristologico sia antropologico, indicando in tal modo quale sia il fondamento ultimo e quello immediato dell’agire morale del cristiano. Il fondamento ultimo viene dimostrato con la presentazione di quattro solidarietà tra il Figlio «Ultimo e Primo» e l’uomo concreto e storico. Il Figlio fatto carne (solidarietà per somiglianza) e peccato per noi (solidarietà per ricapitolazione) prende in sé e colma con la sua pienezza filiale l’apertura agli altri e all’Infinito che è la persona (solidarietà per eccellenza). Questa triplice solidarietà rivela che il Cristo pasquale è sia il compimento dell’umano che suscita in noi uno slancio verso di lui (Eschatos), sia colui che esisteva prima di noi e nel quale siamo stati creati (Protos) (solidarietà dell’autore con la sua opera). (pp. 147-160). Il Crocifisso Risorto non è perciò estraneo all’uomo, né gli è soltanto accanto, ma lo determina ontologicamente. Per questo lo può raggiungere e plasmare nel profondo, costituendo il fondamento ultimo del suo agire morale. 2
Per esporre il fondamento prossimo si presta attenzione all’uomo, prima in quanto creatura e poi come credente che ha accolto il dono della filiazione. In questo contesto emergono i punti essenziali dell’antropologia filiale. Il pensiero antico aveva già colto che l’uomo è determinato dall’insopprimibile anelito all’Infinito, dal desiderio di una realtà totalmente altra dalla nostra quotidianità. La Rivelazione e la riflessione cristologica consentono di riconoscere in essi la traccia impressa nella creatura dal Figlio, l’inclinazione ontologica alla filiazione divina adottiva. Questa inclinazione rimane sconosciuta alla creatura in quanto tale, ma non è sottratta alla grazia del Figlio innalzato sulla croce che attira tutti a sé. Chi riconosce il desiderio filiale naturale e si abbandono allo slancio in lui suscitato, costui crede nel Figlio, e con ciò diventa realmente figlio di Dio (cf Gv 1,12s). Questa somiglianza dei figli con il Figlio raggiunge la perfezione nell’Eucaristia. Ricevendo il «pane dei figli» i credenti diventano una caro con il Figlio che nello Spirito si dona pro nobis a gloria del Padre (pp. 167-180). Come enuncia il titolo: Il dinamismo etico dell’antropologia filiale, la terza parte del volume considera gli argomenti propriamente etici – l’agire morale, la libertà, la coscienza, i doni dello Spirito, le virtù, la legge e il peccato –, conservando e applicando fedelmente i fondamenti illustrati in precedenza (pp. 185-318). In tutte le questioni si supera l’approccio cristologico esemplarista e quello trascendentale: Cristo non è solo un modello, né prevalentemente l’ispiratore e il senso ultimo dell’agire morale dell’uomo divenuto figlio di Dio. Seguendo l’assioma agere sequitur esse, conforme all’insegnamento biblico che l’imperativo etico segue sempre l’indicativo salvifico, la riflessione sulla natura dell’opzione fondamentale del credente e sul suo rapporto con gli atti concreti viene radicata nella vocazione e nell’interiorità filiali. Le fonti tradizionali della moralità sono arricchite: l’intenzione riguarda la ricerca della più grande gloria del Padre; l’oggettività corrisponde alla verità dell’essere figlio e alle parole del Padre inseparabili dallo Spirito che vivifica; le circostanze acquistano una dimensione salvifica, giacché in esse lo Spirito spinge ed attrae verso il Figlio Innalzato. Questi è l’origine e la verità della libertà umana e, sebbene non sempre sia conosciuto e identificato chiaramente, è presente e udito nella coscienza di ogni uomo. Il suo primato protologico ed escatologico determina anche il dinamismo umano delle virtù. L’humanum espresso e attuato dalle virtù è compreso e abbracciato nella luce della pienezza filiale, è integrato nei rapporti dell’uomo con Dio, con i fratelli e con il mondo stabiliti dalle virtù teologali. Così, p. es., la mitezza e l’umiltà non solo acquistano un ruolo nuovo e fondamentale nella vita virtuosa, ma anche arricchiscono il concetto di giustizia con quello della carità e misericordia del Figlio, il solo giusto. In seguito si affronta la questione della legge naturale. Se essa esprime la legge della natura della persona, dell’apertura ontologica sugli altri e sull’Altro che è la traccia impressa nella creatura umana dal Figlio, è del tutto legittimo qualificarla come «filiale». La si può chiamare anche «legge paterna della filiazione», in quanto è la partecipazione nella creatura razionale dell’eterno, sapiente e amoroso piano con il quale Dio Padre ci ha predestinati a essere conformi all’immagine di suo Figlio (cf Rm 8,29; Ef 1,5). Con questa interpretazione della legge naturale si accoglie la Scrittura più in profondità, si inserisce il 3
trattato sulla legge in una prospettiva personalista e si supera la concezione volontaristica o eteronoma. Essa, inoltre, non nega la giusta autonomia della ragione, ma la difende contro i pericoli provenienti dal pensiero debole. L’indole cristologico-filiale è presente e efficace anche nella riflessione sul peccato. Colto all’interno della relazione di alleanza con Dio, esso si mostra anzitutto come disobbedienza al comando del Padre di ascoltare il Figlio (cf Lc 9,35). Questo rifiuto raggiunge il vertice nell’amore delle tenebre più della luce, nell’uccisione del Figlio; ma è in atto anche nel peccato contro i fratelli e contro il creato. Il Figlio, infatti, con l’Incarnazione si è unito in modo misterioso ad ogni uomo ed è il mediatore e il fine di tutta la creazione. Il peccato ha perciò densità cristologica e, sul piano antropologico, si caratterizza come rinuncia multiforme al dono della filiazione offerta dal Figlio. Infine, notiamo che gli autori sono stati attenti ad evidenziare l’azione dello Spirito Santo. Essi hanno voluto mostrare che la morale filiale, oltre ad essere patrofanica, è profondamente ‘spirituale’. Abbiamo visto che a fondamento della morale cristiana c’è l’unione trasformante con il Cristo morto e risorto, e che tale comunione include la vita nelle sue radici ontologiche e in tutte le sue manifestazioni. Essa è stabilita e plasmata dalla mediazione ecclesiale e sacramentale. La quarta e ultima parte del trattato: La vita filiale, riprende i tratti della vita morale filiale già esposti e li completa alla luce dei principi e dei criteri sacramentali ed ecclesiologici (pp. 323-413). I sacramenti del battesimo e della cresima donano la filiazione adottiva e lo Spirito del Padre e del Figlio. Rigenerati a vita nuova, i figli sono predisposti per un cammino di lotta senza tregua contro le insidie del mondo e il peccato. Sono altresì resi per sempre idonei a rendere al Padre il culto di una vita conforme a Cristo, dedita al servizio e alla testimonianza evangelica. Questi tratti sono approfonditi e arricchiti dal sacramento dell’eucaristia: il Figlio che si offre al Padre in uno Spirito eterno (cf Eb 9,14) coinvolge il cristiano nel suo servizio da schiavo a favore soprattutto dei più piccoli. La vita filiale sacramentale è vita ecclesiale. Nella chiesa essa si arricchisce con le relazioni fraterne, accoglie le esigenze di fedeltà e unicità proprie dell’amore sponsale e si apre alla fecondità e gratuità che caratterizzano la maternità. Per la mediazione ecclesiale il figlio diventa, secondo le parole del vangelo, fratello, sposo e madre del Figlio. La vita dei figli non sarebbe veramente tale, se non avesse come suo principio normativo e dinamico la preghiera del Figlio. Essa rende docili allo Spirito e pronti a fare la volontà del Padre. Il Trattato si chiude con il capitolo Figli sempre di nuovo. Posto al termine dell’opera, esso riprende e manifesta il dinamismo e la novità della morale filiale presentando l’agire escatologico del figlio. Questi tende verso il Figlio senza sosta, sceglie il bene desiderando il massimo e cresce in Dio per l’eternità. Il volume presentato succintamente non è un manuale nel senso classico. Gli autori non perseguono uno scopo immediatamente scolastico, non ricalcano schemi del passato, non riprendono quello che altri hanno già detto per integrarlo con riflessioni e contenuti originali. Hanno voluto interrogare con la fede della chiesa il mistero pasquale, perché mostrasse i fondamenti per una 4
morale profondamente e coerentemente teologica. Di più: sulla base di una cristologia e antropologia filiali, essi hanno elaborato una morale fondamentale con al centro l’uomo in legame di origine e di orientamento con il Figlio, Ultimo Adamo e Primogenito della creazione. In questa prospettiva c’è ancora posto per la ragione umana? Si, a condizione che essa sia manifestazione e segno sia della predestinazione filiale (traccia del Cristo Protos), sia della preparazione immediata alla filiazione (attrazione del Cristo Eschatos). Detto in altri termini, nella morale filiale c’è spazio per la ragione che sia in consonanza con la natura personale dell’uomo e che operi in conformità al «sempre più» di accoglienza e di dedizione dell’amore.
FRANCESCO MACERI S.I. Facoltà Teologica della Sardegna (Cagliari)
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