Un gioco d’ombre cinesi Andrea Castello
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Le sue dita vincono ancora una volta la battaglia con l’età. Non tremano. Aprono senza incertezze la piccola scatola, ne estraggono un fiammifero e lo sfregano contro la cartina abrasiva, sul lato anteriore della scatola. Un breve crepitio, pochi secondi di vita, e il fiammifero abbandona la luce. Consumato e piegato dal proprio peso, si spezza; la parte bruciata cade in terra sbriciolandosi in mille impercettibili frammenti neri. Ha compiuto il suo ciclo: ora la candela è accesa; proietta la sua luce e arde del suo fuoco, che, danzando, trasforma il portone incassato, precario rifugio del vecchio, in una cattedrale senza dimensioni. Fuori, dove la luce già muore, é soltanto pioggia e strade svuotate. Il vecchio sorride. Sa che quella danza, in cui luce e ombra si corteggiano vicendevolmente, può diluire o annichilire lo spazio. E, con un piccolo aiuto, può creare un intero universo. Infine, alza la testa per incontrare gli occhi della ragazza, distanti e vacui nella gelida inespressività del loro chiarore, pur se curiosamente partecipi della vita della candela. Se non avesse vissuto, il paradosso lo farebbe rabbrividire. Osserva, ecco cosa fa. Nient’altro che osservare. Da lontano, come un angelo. “Sei un tipo calmo, vero?”, le dice. “Voglio dire, non sei una di quelle persone che si preoccupano per ogni sciocchezza. Sei l’unica che quando ha cominciato a piovere non si è messa a correre come un’invasata. A parte quelli con l’ombrello, intendo.” La ragazza annuisce, i corti capelli rossi raggruppati in ciuffi compatti, appesantiti dall’acqua. Il suo sguardo si distacca dalla candela ma rimane lontano, indefinibile. “Credo…suppongo di si. Qualcosa del genere.” Sul muro alle spalle della ragazza si forma un’immagine, un’ombra dotata di vita. Una grande farfalla nera si libra in volo, ruota su sé stessa, cambia improvvisamente direzione, quindi si arresta e plana piano, oscillando come una foglia agitata dalla brezza, posandosi sul viso della ragazza. Le sue iridi così prossime al bianco si trasformano in vivide decorazioni sulle ali della farfalla. Le sue labbra si distendono in un sorriso misurato, velato di tristezza. Il vecchio muove le mani e le ali della farfalla si chiudono, formando una sorta di bozzolo. 3
“Non volevo farla morire, così ho deciso di concederle un nuovo inizio.” “Potresti essere tu a farla rinascere. Ti va di provare?” La luce abbandona per un istante il viso della ragazza. Quando, timidamente, torna ad affiorare, un’intera vita di dolore sembra appesantirla. Forse, adesso, il vecchio può comprendere quel distacco nei suoi occhi. La ragazza scuote piano la testa in segno di diniego. “Ti ringrazio, ma non sono molto brava a dar vita alle cose.” Oltre la stretta volta del portone si sente solo il ritmo in crescendo delle gocce d’acqua. Forse suonano un allegro agitato. Il vecchio urta inavvertitamente il proprio zaino, logoro e pieno di al punto di rischiare la lacerazione in alcune zone più consunte di altre, così una sferetta rossa delle dimensioni di una palla da tennis riesce a fuggire via. Rotola con un moto troppo lento, quasi innaturale, prima sul tessuto dello zaino poi sulla pavimentazione, fino a fermarsi sul palmo della mano della ragazza. “Intrattieni la gente per sopravvivere?” domandò lei. Il vecchio sorride. E’ abituato ad ascoltare la gente. Sa che quella domanda, prima o poi, arriva sempre. “Credo sia come dici tu. Io, però, preferisco usare la parola vivere. Si…suona meglio.” “C’è una cosa che non capisco”, mormora la ragazza. Si fa passare la sferetta da una mano all’altra, come per indursi a restare presente. “La strada é quasi deserta ora, e le poche persone rimaste in giro non si fermeranno certo a guardarti fare le ombre cinesi. Non ha senso continuare a fare qualcosa che nessuno vedrà. Ma tu continui. Perché?” “Non esiste un motivo preciso, o se esiste é una di quelle cose che non si possono spiegare. Ti posso solo dire che ogni volta che proietto l’ombra delle mie mani su un muro imparo qualcosa. Scopro un nuovo aspetto in ciò che mi circonda. In questo senso ciò che faccio è vivere. Ora dimmi, che ombra sto facendo?” “Un’anatra, credo”. “Ti sbagli. Si tratta di un germano reale. E vuoi sapere dove sta la differenza? Semplicemente negli occhi di chi guarda. Una notte, 4
prova a guardare il cielo con i tuoi occhi, scoprirai costellazioni che nessuno ha mai visto. Ciascuno di noi può scegliere se considerare l'aspetto più prosaico delle cose o andare oltre.” Passi veloci e leggeri si sovrappongono al suono della pioggia creando un ritmo vivace. “E poi, vedi, c’è sempre qualcuno che si vuole fermare. Coraggio, giovanotto, vieni sotto! Non vorrai prendere tutta quest’acqua, mi auguro.” E’ alto poco più di un metro e, come tutti bambini, ha gli occhi enormemente grandi per le dimensioni della testa. Enormemente luminosi. Vivi. “Signore, mi fai vedere il lupo che insegue il coniglio?”, chiede con voce argentina. “Come no!”, esclama il vecchio muovendo le mani in modo tale da regalare l’illusione di una materia plastica, modellabile. “Stai a guardare!” Le ombre corrono veloci e il vecchio concede loro persino delle voci. Questa sera è un creatore generoso. Vede il riso garbato della ragazza e si compiace; ora anche l’angelo non è poi così lontano. “Questo non è un lupo! E’ un cane!”, grida il bambino. Il vecchio squadra con aria severa la propria mano, quasi volesse rimproverarla. “Tu dici?”, borbotta perplesso. Infine inizia a muovere il pollice e rivolge al bambino uno sguardo d’intesa. “Eh, si. E’ proprio un cane! Guarda qui che orecchie mosce ha! Un lupo che si rispetti le tiene ben dritte. Così!” Poi una voce estranea si fa strada. “Carlo! Carlo, dove sei? Vieni qui subito!” Si avvicina, sempre più forte. E l’incantesimo non può far altro che dissolversi, senza neppure il tempo di resistere o di rincantucciarsi in un angolo nascosto. “Tieni signore, ho settecento lire”, e corre via. Il vecchio ride di gusto, la sua voce simile a quella di Babbo Natale in certe vecchie pubblicità americane. In fondo anche lui dona qualcosa. “Vuoi sapere un’altra cosa?”, borbotta divertito “Io faccio del bene”. 5
La ragazza solleva la testa di scatto, inarcando leggermente le sopracciglia e facendo in modo di nascondere gli occhi sottili sotto le ciglia folte. E’ inutile, quel biancore tenebroso filtra sempre; parla di lei. “Scusami, ma non capisco”. Fuori, il vento seduce dolcemente la pioggia, inducendola a divorare, avida, lo spazio asciutto del portone. “Oh, non è difficile se ci pensi su. Le settecento lire del giovane Carlo non decideranno il modo in cui trascorrerò questa notte, così come non lo decidono tutti i soldi che riesco a racimolare ogni giorno. Per qualche tempo, però, i suoi sogni e i suoi passi saranno più leggeri”. “Ma fin quando potrai continuare in questo modo?”, chiede la ragazza. Non udrà la risposta. La pioggia entra, invade, percuote il loro rifugio. La fiamma della candela tremola, si attenua. E in un istante il buio annega ogni cosa. O quasi. Gli occhi della ragazza rifulgono. Poi anch’essi scompaiono nell’ombra. E la risposta arriva, silenziosa, nel sangue. E’ ovvio, no? Finché non si spegnerà la fiamma. Si era sentita goffa, impacciata. Il tutto era sembrato una sorta di buffa, concitata colluttazione; da cortometraggio muto dei primi del secolo, per intenderci. D’altra parte, era la prima volta in vita sua che donava il sangue ad un mortale invece di bere da lui fino a lasciarlo privo di vita. Non aveva avuto la possibilità di fargliene bere molto, ma la cosa aveva poca importanza. Non aveva compiuto quell’atto per renderlo un suo simile. Sarebbe vissuto qualche anno in più del previsto, questo sì. “La sua fiamma brucerà ancora per un po’”, pensa usando le parole del vecchio. Si, le piace. Suona bene. E ora il suo passo non ha più peso. Una leggerezza che trascende la sua natura oltreumana. 6
La ferita al polso che si era provocata per far bere il vecchio è quasi completamente rimarginata. E’ andata via così, senza far rumore, sparendo sulla sua pelle come le nubi che, una volta scaricatesi, erano andate alla deriva insieme al vento, diradandosi. Della grande pioggia rimangono solo alcune pozzanghere che riflettono immagini tremolanti e le luci artificiali dei lampioni. Osserva il cielo finalmente sgombro. Disegna con lo sguardo le sue nuove costellazioni. Sorride. Sarà una buona nottata. Monserrato, 14 Aprile 1997 1:28.
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