The Wall Un racconto di Giovanni Barbieri Pubblicato su Giovy’s Blog (www.giovy.it) Rilasciato sotto licenza Creative Commons (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/) “We don’t need no education we don’t need no thoughts control. No dark sarcasm in the classroom ehi, teacher, leave the kids alone”. Queste erano le parole che uscivano dalle casse dello stereo di Sandro, ed erano parole che riflettevano in parte il suo stato d’animo e il suo modo di vivere, purtroppo. Sandro è un ragazzo di 17 anni, un’età difficile, in cui si inizia a rivolgersi con curiosità verso il mondo, ed “il mondo “può essere a volte cinico e crudele, e serbare molte delusioni. Delusioni non sempre facilmente superabili da parte di un ragazzo che ha ancora tanta strada da fare davanti a se. Considerando poi il fatto che Sandro avesse dei problemi seri, ci si rende conto di quanto questa strada fosse tortuosa e irrimediabilmente in salita. Sandro era ritardato. Aveva difficoltà di apprendimento, anche nelle cose più elementari. Alla fine ci riusciva, ma non senza difficoltà. Facile immaginarsi quali e quanti problemi ciò avrebbe potuto creargli, soprattutto in una società come quella moderna che sempre più bada solo alle apparenze e non alla vera natura delle cose. I genitori, un padre ingegnere ed una madre casalinga, si erano arresi davanti alla “diversità” del figlio, diversità che loro consideravano una cosa orrenda e della quale non si erano mai fatti capaci. “Pazienza - si erano detti un giorno, quando ancora Sandro era piccolo ma già il suo “problema” cominciava a manifestarsi - può anche darsi che la sua vita sia breve e non avremo mai il problema dell’istruirlo, o fargli fare amicizia con gli altri”. Certo, perché per Sandro anche fare amicizia era un problema, e crescendo il problema era diventato serio. Del resto… doversi far spiegare dieci volte una barzelletta o una qualunque altra cosa non è il miglior biglietto da visita per l’ingresso in una compagnia di ragazzi, dove la “competizione” per apparire più “figo” degli altri è fortissima. Fortunatamente c’era anche qualcuno che se ne fregava di questa competizione, come il suo caro amico Sergio. Sergio era tre anni più grande di Sandro e questa differenza di età, e forse di maturità rispetto agli altri ragazzi che giravano nel piccolo “mondo” dei teenager della zona, aveva fatto sì che Sergio capisse realmente il problema del suo amico. Ma capirlo non era sufficiente, e Sergio cercava in continuazione di aiutarlo. Ormai diplomato ed ancora senza lavoro, aveva abbastanza tempo libero da dedicare al ripasso insieme a Sandro degli argomenti spiegati il giorno a scuola. Già, la scuola. Era questa la vera tortura nella vita del suo amico. Certo… ci sono sempre meno giovani amanti della scuola e seguaci invece del “dio Playstation”, ma Sandro provava per quest’istituzione una vera e propria fobia. E non era per le cose che avrebbe dovuto imparare e che invece non riusciva ad assimilare, ma era per le persone che popolavano quel mondo, per lui così infelice…
Professori, alunni, bidelli. Erano loro le persone di cui Sandro aveva paura. La sua classe, la IV^ B di un qualunque Istituto Tecnico Agrario, era una delle migliori dell’istituto. Migliori sotto il profilo didattico, non sotto quello umano. Tutto il corpo docente era concorde nell’affermare che Sandro non sarebbe mai riuscito ad emergere nella vita, che non c’era spazio per “un idiota” come lui nel frenetico mondo esterno. E forse avevano ragione. Ma il loro modo di pensare si rifletteva anche sul loro mondo di comportarsi, cosa non propriamente consona al loro ruolo di “educatori”. Ma qual è la vera giustizia? Quella di un mondo che non fa altro che deriderti o quella di un mondo che invece ti gira intorno continuando ad ignorarti? Comunque, la vita di Sandro scorreva lentamente, giorno dopo giorno, in quella classe. Uno dei professori che aveva maggiormente “in simpatia” il povero Sandro era il professore d’italiano. Un signore distinto, dall’aspetto compunto, con quei suoi occhialini tondi ed il suo curioso modo di gesticolare, vestito sempre di grigio, mai una virgola fuori posto. Il suo amore per la filosofia e per le arti letterarie era spropositato, così com’era grande il suo amore per il Liceo, la sua “vera” scuola. Insegnare in un istituto tecnico per lui era sempre stata una cosa di second’ordine, perché non poteva somministrare i suoi dotti insegnamenti come voleva. Ma poco gli importava, era sufficiente che gli studenti fossero seduti nei banchi per immergersi in interminabili soliloqui, che di solito terminavano alla fine dell’ora. Il terrore della sua classe erano però i giorni con le ore doppie, che per fortuna avevano solo due volte a settimana. I ragazzi alla fine sembravano distrutti, svuotati, come se in quelle due ore avessero fatto il lavoro più pesante del mondo (e più d’uno, probabilmente, avrebbe preferito lavorare in un’acciaieria, piuttosto che dover subire ancora un tale supplizio). Per quanto riguarda invece il modo di insegnare, beh… non ci si poteva lamentare, se al posto di una quarta classe di un istituto tecnico ci fosse stato un corso universitario! Termini desueti e prolissità fuori dal comune erano le sue doti migliori. Immaginatevi le peggiori! Sta di fatto che non era molto popolare fra quella che era la sua scolaresca, o per usare un’espressione a lui cara, “i suoi discepoli”. Quel giorno il professore di italiano era particolarmente in vena e decise di dimostrare il suo stoico attaccamento alla disciplina verificando la preparazione dei suoi alunni con una bella interrogazione a tappeto. Un attimo di panico serpeggiò nella classe quando il professore estrasse dalla sua borsa di pelle “The Bridge”, consunta da anni di uso, il registro dei voti. La fatidica domanda: “C’è qualche volontario?” trovò la solita risposta, un mutismo rassegnato a cui ormai il professore era abituato. “Beh, in questo caso chiamo io”, era l’espressione che seguiva quel silenzio. Ad esasperare il professore si era aggiunta anche un’assenza arbitraria della classe il giorno prima, uno di quei presunti scioperi così inutili secondo le sue idee, e quindi quel giorno voleva proprio divertirsi. “Sandro Parente”, il nome del prescelto, tagliò l’aria come una sciabolata. Il povero Sandro cercò di giustificare la sua impreparazione, ma il professore non volle sentire ragioni e con uno dei suoi classici cenni invitò Sandro ad avvicinarsi alla cattedra, luogo di tortura per studenti fra i peggiori esistenti al mondo. “Caro Sandro, cosa ci racconterai oggi? Penso che potresti cominciare illustrandoci i caratteri generali del Romanticismo…”. Silenzio. “Dai Sandro, mente feconda di ingegno, facci sapere quali erano le idee del periodo Romantico?”. Silenzio. “Come al solito Sandro, il solito silenzio. Ma sei idiota o fai finta? E’ mai possibile che ad ogni interrogazione tu non sappia portare altro contributo che la tua impreparazione? Va bene, al posto. Due.”
I compagni di classe assistevano a quel supplizio in religioso silenzio, provando in cuor loro un sadico piacere nel vedere il prof. prendere in giro il loro compagno. Chiaramente, Sandro non era molto ben voluto nella classe, proprio a causa del suo piccolo problema, e questo lo rendeva bersaglio degli stupidi scherzi dei suoi compagni. Quanti giorni passati senza poter fare merenda dal momento che Massimo, il più imbecille di tutti, gliela rubava puntualmente! Che divertimento lanciargli il cancellino addosso, in modo che il timbro bianco o verde si vedesse per tutto il giorno impresso sui suoi vestiti. Giornate simili, che si somigliavano tutte. Cambiavano le materie, non il comportamento dei professori o dei ragazzi. Cattiveria e crudeltà allo stato puro, solo per il piacere di vedere la tristezza dipingersi sul volto della loro “vittima”. Altro giorno, altra ora, sempre lo stesso professore, il docente di italiano e storia prof. Guarnieri. E come al solito aveva voglia di interrogare. Ma stavolta il nome che uscì dalla sua bocca non fu quello che tutti si aspettavano. “Massimo Maronta!”, il fortunato, si alzò senza dire una parola e con l’espressione di chi non aveva aperto un libro neanche a pensarci (come al solito) dipinto sul viso. “Massimo, oggi ci illustrerai la vita di uno dei miei autori preferiti, il Leopardi, che ad una lettura superficiale potrebbe sembrare un pessimista ma che in realtà aveva una incredibile voglia di vivere”. “Si, una incredibile voglia di farsi una scopata - pensava fra se e se Massimo - visto che l’unica donna che conosceva era quella puttana di sua madre, e la gobba gli era venuta certamente per tutto il tempo passato a farsi seghe sui libri”. E mentre pensieri così colti attraversavano quella cosa che con molta fantasia si poteva definire “cervello”, il professor Guarnieri continuava a fare domande su domande. “Ebete, faccia da addormentato, che fai il pomeriggio invece di studiare? Ti trastulli con didattiche videocassette di educazione sessuale? Anche i muri, se potessero parlare, darebbero le risposte alle mie domande, tante sono le volte che ho spiegato questi argomenti. Anche i muri avrebbero imparato queste elementari nozioni. Ma in comune con il muro tu hai solo la durezza della tua testa! A posto. Tre”. Queste erano le colorite esclamazioni che fiorivano dalla bocca del professore d’italiano (da notare la proprietà di linguaggio e la correttezza grammaticale!). Niente da aggiungere, davvero un bell’esemplare di persona sulle cui spalle dovrebbe gravare il compito di elevare il livello culturale delle generazioni a venire. E proprio la frase “Anche i muri avrebbero imparato ciò che voi non sapete” divenne una delle sue preferite. “Forza Sandro, prova a spiegarmi con parole tue il significato di questo paragrafo…”. A pronunciare queste parole era il suo amico Sergio, durante uno dei pomeriggi passati ad aiutare Sandro, purtroppo con scarsi risultati. Ma la volontà di Sergio era ferrea, si era messo in testa di aiutare Sandro e niente sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. “Ragazzi, Guarnieri è incazzato come una iena, me l’ha detto uno di terza, perché i ragazzi hanno osato rinfacciargli che le tracce del compito erano troppo difficili, ed adesso se la prenderà con noi” - era quello che stava raccontando Nicola Camido, un altro ragazzo di quella quarta B. Ed infatti i suoi timori non si rivelarono infondati. “A posto, razza di pelandroni - fu l’esordio del professore Guarnieri appena arrivato - oggi sono particolarmente arrabbiato, perché quegli idioti di terza hanno avuto il coraggio e la sfrontatezza di contestare il mio operato. Mai, in tanti anni di insegnamento, ho dovuto subire un affronto simile! Interroghiamo. Sandro Parente, vieni a farmi sorridere almeno tu, con le tue somme cavolate!”. Sandro fu costretto ad alzarsi ed a subire questa tortura psicologica per l’ennesima volta. “Allora, Sandro, cominciamo con una domanda facile facile: dimmi qualcosa sulla poetica del Manzoni, argomento che ho spiegato tre mesi fa ma che voi dovreste sicuramente ricordare”. Quel retorico “sicuramente” la diceva lunga sulle intenzioni di Guarnieri, quel giorno certamente non
troppo buone. Silenzio. “Forza, Parente, testa di bronzo, parlaci della poetica del Manzoni.” Silenzio. “Beduino idiota, anche i muri saprebbero dirmi quel che ti ho chiesto. Sei proprio un emerito deficiente”. Ma a quel punto qualcosa di inaspettatamente nuovo successe. “Nella meditazione manzoniana, i caratteri di riferimento per quello che era lo scopo della poetica divennero l’utile e l’interessante. A dir la verità sono considerate sottospecie del vero, che il Manzoni era solito distinguere in vero naturale e vero poetico…..” Queste parole uscivano fluide dalla bocca di Sandro, senza che lui se ne rendesse conto. Sentiva nelle sua testa una voce che gliele suggeriva, e lui non doveva fare altro che ripeterle. Da principio pensò che potesse essere qualche amico che stava suggerendo, ma quando si girò con lo sguardo trovò solo una classe che lo osservava con fredda e risoluta determinazione a non dirgli niente che avesse potuto aiutarlo. Eppure riusciva a sentire quella voce. Il professore Guarnieri rimase di stucco alla brillante risposta di “quell’idiota” di Parente. “Bene. Finalmente una volta che ti sento rispondere a dovere. Chi è che ti ha suggerito?” “Nessuno, signor professore” fu la risposta di Sandro. “Ma non dire cavolate, non è possibile che tu mi abbia saputo dare una risposta del genere tutto da solo. Se becco quello che gliel’ha suggerita giuro che gli metto due e lo faccio bocciare. Bene, Parente, allora recitami i versi dal 25 al 30 del Cinque Maggio del Manzoni. Ovviamente a memoria - fu la sarcastica aggiunta -. “Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall’un all’altro mar.” Versi pronunciati con una perfezione ed una proprietà di linguaggio che sembrava provenire dal Guarnieri stesso, che nel frattempo diventava viola di rabbia e suo malgrado dovette arrendersi e mandare al posto Sandro con un voto positivo, sei… il primo dall’inizio dell’anno. Sandro era stupito quanto il suo professore. Com’era possibile che quel giorno le risposte gli venissero in mente da sole, o meglio gli risuonassero nel cervello come se un’oscura voce gliele suggerisse puntualmente? Non si fece altre domande, e contento se ne andò al posto. I suoi amici erano sbalorditi quanto lui, e forse anche di più. Ma chi non riusciva a nascondere la rabbia era proprio il professor Guarnieri, che quel giorno era andato lì con l’intenzione di mettere un altro bel due a Sandro Parente ed invece si era ritrovato suo malgrado a mettergli sei. “Pazienza, mi rifarò la prossima volta.”- penso fra se e se. Il tempo passava. Sandro andava via via recuperando quei voti, sempre inferiori al cinque, che aveva accumulato durante l’anno. Compiti di matematica, interrogazioni di patologia, compiti di estimo, una voce sconosciuta gli suggeriva sempre esattamente cosa dire. Ed un bel giorno arrivò ad una conclusione, quasi ovvia quanto incredibile: erano i muri che gli suggerivano le risposte!!! Le mura scolastiche, quelle quattro mura decrepite, pieni di buchi e di scritte inneggianti alle varie squadre di calcio avevano davvero “assorbito” quello che si diceva in classe e puntualmente glielo ripetevano. Inconsapevolmente aveva ragione Guarnieri: le mura avevano imparato, ed ora cercavano di farsi valutare. Peccato non potessero parlare e rispondere a tono alle mille domande che avevano sentito nel corso degli anni, sicuramente avrebbero dato filo da torcere a mille Guarnieri arrabbiati. Si facevano valere quindi per quello che potevano, aiutando un ragazzo in seria
difficoltà, ed a modo loro i voti di Sandro erano “i loro voti”. Certo, era una cosa assurda e Sandro se ne rendeva conto, ma non c’erano altre spiegazioni razionali. Ad ogni modo a Sandro non importava più di tanto se fossero realmente le mura a suggerirgli mentalmente le risposte, piuttosto che un anonimo compagno di classe che si distingueva dalla massa di “antipatici” che lo schernivano di continuo. A lui importava solo la possibilità di evitare quei dannati corsi di recupero pomeridiano che era solito fare, e che non servivano assolutamente a niente. Suonò la campanella, in classe. Mentre Sandro era intento a leggero sul suo libro di storia la lezione del giorno prima, si avvicina a lui Massimo Maronta, che all’improvviso gli appioppa un sonoro ceffone dietro la nuca. Risate generali, tristezza di Sandro per quel comportamento che lui non aveva assolutamente provocato. “Perché le persone devono essere così cattive con me, che gli ho fatto di male?” - fu il suo primo pensiero. E proprio mentre un pensiero “realmente” cattivo, il primo della sua vita, faceva capolino nel suo cervello, un grosso e pesante pezzo di intonaco si staccava dal soffitto e cadeva in testa a Massimo Maronta, tramortendolo. Fra lo spavento generale dei ragazzi, i professori accorrevano in massa pensando che si fosse ferito scherzando stupidamente come al solito, mentre Maronta era riverso sul pavimento ed una piccola di sangue cominciava a crearsi sotto la sua testa. Sandro sogghignava, e nello stesso tempo rifletteva sull’ultimo pensiero che si era affacciato nella sua mente prima che il suo compagno di classe fosse messo a terra dal soffitto crollato. “Se potessi, ti romperei la testa, brutto delinquente!”, aveva pensato. Certo, poteva essere sempre una coincidenza. Il giorno dopo il professore di Chimica portava la notizia che Maronta era in coma a causa del grave trauma cranico subito. In coma irreversibile. Se fosse riuscito a sopravvivere, sarebbe rimasto come un vegetale per il resto della sua vita. Brulino: “Sufficiente, per me può essere promosso” La Grandella: “Mi associo a quello che ha appena detto il collega. Parente è molto migliorato dall’ultimo consiglio che abbiamo fatto, e se continua così non vedo perché non dovremmo promuoverlo con una media che non sia proprio il solito sei politico, dato giusto per togliercelo da davanti!” Guarnieri: “Non sono d’accordo, secondo me il ragazzo non è affatto migliorato, e se vi ha dato quest’impressione secondo me vi state sbagliando. Finora è sempre riuscito a cavarsela, a farsi suggerire da qualcuno senza che gli altri se ne accorgessero, ma secondo me la sua preparazione è scarsa e non merita assolutamente di essere ammesso in quinta.” Concielli: “ Secondo me è un ragazzo che vale, e può essere promosso tranquillamente.” De Felice: “ Io invece sono d’accordo con il prof. Guarnieri, il ragazzo non ha assimilato quelle che sono le basi delle materie e ne ha ricevuto un’infarinatura che, viste le sue lacune precedenti, non gli può e non gli potrà dare una buona istruzione.” Pareri discordi emergevano durante la discussione sul profitto scolastico di Sandro Parente. A capitanare la schiera dei contrari alla sua promozione era ovviamente il prof. Guarnieri, che forte della sua esperienza era riuscito a tirare dalla sua parte i pareri dei docenti più fiscali, come per esempio la professoressa De Felice, docente di matematica. Ma anche Sandro aveva i suoi sostenitori, come i prof. Concielli o Brulino, per dirne qualcuno. In ogni caso, il prof. Guarnieri si era messo in animo che Sandro quell’anno sarebbe rimasto in quarta, e quindi… “Sandro, dimmi quali sono i temi fondamentali della poetica del Leopardi, e se secondo te c’è attinenza fra il Leopardi e alcune tematiche della sua epoca”.
Un attimo di silenzio, i soliti sguardi carichi di rancore da parte dei compagni cuciti addosso, ed ecco puntuale e precisa la risposta. La goccia che fa traboccare il vaso. I nervi del professore Guarnieri, già duramente provati dalla ricerca di domande sempre più difficili per mettere in difficoltà Sandro e dalle sue risposte sempre pronte ed esaurienti, cedettero di colpo. “Lurido deficiente, si può sapere come cazzo fai ogni volta a sapere la risposta! Sono domande che metterebbero in difficoltà uno studente universitario, ed invece un povero idiota con la testa vuota come te riesce a rispondere! Io mi sono rotto le scatole, devi smetterla di prendermi in giro!” e così dicendo, per la prima volta in vita sua, fece un atto che aveva sempre aborrito da parte degli altri docenti… gli tirò uno schiaffo. Una lieve vibrazione percorse il pavimento, una vibrazione che solo i ragazzi seduti riuscirono ad avvertire, cominciando a guardarsi in faccia e pensando all’ennesimo terremoto, anche se di lieve intensità. Il prof. Guarnieri, preso dall’ira com’era, non si accorse di niente, e continuò ad inveire contro Sandro. “Coglione, ritardato che non sei altro, hai trovato il modo per riuscire a ficcare in quella tua testa di merda quello che io spiego, ma non sai un cazzo. Smettila di pigliarmi per il culo!” e così facendo, senza ormai più il blocco dei suoi freni inibitori, diede uno spintone a Sandro che cadde, andando a sbattere con la testa contro la lavagna. Un rivolo di sangue cominciò a scendere dalla fronte, solcandogli il viso e scatenando urla isteriche da parte delle due ragazze presenti in classe. Il prof. Guarnieri si chinò preoccupato, tenendosi la testa tra le mani, rendendosi finalmente conto di quello che aveva fatto. Ma ormai era troppo tardi. La vibrazione che avevano avvertito solo i ragazzi crebbe, diventando un vero e proprio sisma. Pezzi di soffitto, calcinacci e intonaco cominciarono a staccarsi dai muri. La lavagna e l’armadietto si rovesciarono con un tonfo fragoroso, accrescendo il panico generale. Non era un terremoto. Erano le mura che si ribellavano. Si ribellavano per tutto quello che erano state costrette a subire durante gli anni. Interrogazioni disastrose, compiti terribili, urla, ragazzi odiosi che se la prendevano con i più deboli. Ora basta. Tutto quell’odio e quei sentimenti malvagi erano bastati per dare un soffio di vita alle mura, che adesso potevano attuare la loro vendetta. Con un’ultima scossa il pavimento si apri, facendo crollare la classe sul piano di sotto, che crollò a sua volta, che crollò ancora. In meno di un minuto tutta la scuola era crollata come un castello di carte. Un castello di carte con molte persone al suo interno. I giornali del giorno dopo riportavano le drammatiche cifre dell’ennesima storia di case mal costruite e destinate da un governo incapace ad usi per cui non erano adibite. 95 morti, fra ragazzi, professori e corpo non docente. 53 superstiti, con prognosi variabili dai 10 ai 90 giorni. Fra i morti anche Sandro, Sandro Parente, che così concludeva la sua vita di sofferenze ed umiliazioni, pagando in prima persona il male fatto da altri. Ma nella tragedia generale, c’era un particolare che nessuno riuscì mai a spiegarsi. L’unico corpo che non fu mai trovato fu quello del prof. Guarnieri, docente di italiano e storia. Fine.