Tesina Aspetti Psicologici Doping E Tifoserie Sportive

  • October 2019
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ANALISI PSICOLOGICA DI DUE ATTUALI PROBLEMATICHE DEL MONDO SPORTIVO: IL DOPING E LA TIFOSERIA VIOLENTA di Monica Monaco PREMESSA Il doping e la tifoseria violenta sono due fenomeni molto diversi che rappresentano le due problematiche più attuali che affliggono l’universo sportivo mondiale. Tali comportamenti riguardano personaggi diversi: da un lato gli atleti, dall’altro i tifosi. Per quanto alimentati da aspetti psicologici molto differenti, essi sono comunque due fenomeni del mondo sportivo caratterizzati da un comune denominatore: lo smarrimento del senso più profondo dello sport.

IL DOPING INTRODUZIONE Il fenomeno del doping sta assumendo sempre più importanza a livello mondiale in seguito sia ai potenziali effetti nocivi sulla salute psicofisica degli atleti, che ai crescenti interessi economici che lo sostengono. Il “doping” è un comportamento che è possibile osservare sempre più spesso nel mondo dello sport, che a volte si configura come una vera e propria dipendenza e che appare caratterizzato da forti valenze e conseguenze psicologiche.

1. LE MOTIVAZIONI AL DOPING Il ricorso al doping è un comportamento deviante spesso plurimotivato. Nell’ambito degli studi sul doping da steroidi, pubblicati dalla International Society of Sport Psychology (1993), Anshel ha effettuato una classificazione che può essere utile per analizzare la motivazione al doping in generale. Secondo tale suddivisione possono essere distinte 3 principali categorie di motivazioni che inducono gli atleti a ricorrere all’uso di sostanze dopanti: a) CAUSE PSICOFISIOLGICHE b) CAUSE PSICOLOGICHE ED EMOTIVE c) CAUSE SOCIALI Il primo tipo di motivazioni è strettamente legato alla volontà da parte di un atleta di controllare, attraverso sostanze farmacologiche, il dolore, l’energia e l’attivazione psicofisica, nonché dal desiderio di agevolare il controllo del peso o il processo di riabilitazione dopo un infortunio. La seconda categoria di cause motivazionali che possono indurre gli atleti al doping è connessa con aspetti psicologici che possono riguardare soprattutto

l’area dell’identità e quella dell’autostima. In particolare, infatti, gli atleti che ricorrono al doping possono essere spinti da paura di fallire, da sentimenti di insicurezza sulle proprie capacità, dal desiderio di essere competitivo o più semplicemente dalla ricerca di una perfezione psicofisica sovraumana. A tal proposito, una ricerca condotta dal servizio “Telefono Pulito”, nel contesto del progetto “Tallone d’Achille” coordinato dal servizio di Medicina Sportiva dell’AUSL di Modena, ha messo in luce che i giovani più disponibili a fare ricorso al doping sono soggetti già propensi a comportamenti dipendenti da sostanze (uso di cannabis), con basso livello di autostima e fortemente tesi alla ricerca del consenso da parte del gruppo dei pari. Un altro studio condotto nelle province di Frosinone e Latina (Basso Lazio), e di Napoli ed Avellino (Campania), da parte della Cattedra di Igiene dell'Università di Cassino e del Servizio di Medicina dello Sport della Seconda Università di Napoli, ha avuto lo scopo di valutare conoscenze, attitudini e comportamenti degli atleti italiani nei confronti del doping. Anche questo studio ha sottolineato l’elevata incidenza di cause psicologiche ed emotive tra le motivazioni al doping, con una prevalenza di coloro che credono sia importante vincere a tutti i costi e discrete percentuali di atleti che dichiarano che occorre vincere per soddisfare le aspettative di altri (allenatori, genitori, ecc.). Inoltre, oltre il 10% del campione considerato dichiara che assumerebbe farmaci per vincere o per migliorare le proprie prestazioni. Le cause sociali del doping sono rappresentate da tutte quelle forze che agiscono sulla mente di uno sportivo, partendo dal gruppo e dalle relazioni o, in modo più ampio, anche dalla società che ci circonda. Sempre più spesso, infatti, un forte stimolo al ricorso a sostanze dopanti è legato alle pressioni del gruppo, dei compagni di allenamento o di altre persone dell’ambiente sportivo, perfino di elementi dello staff o degli sponsors. Ancora più subdola è l’azione esercitata a livello psicologico dai modelli sociali di atleti di alto livello che, attraverso questo comportamento scorretto, sono riusciti ad entrare in classifiche ad alti livelli e ad entrare nel cuore dei tifosi.

2. LE CONSEGUENZE DEL DOPING COMPORTAMENTO DEGLI ATLETI

SULLA

PERSONALITA’

E

SUL

Le sostanze farmacologiche usate per migliorare le performances sportive, oltre a produrre gravi scompensi fisici, possono generare in un atleta rilevanti effetti a livello psicologico. In particolare, le aree che sembrano più compromesse sono quella comportamentale, quella relazionale e quella motivazionale, con effetti che possono essere transitori o che possono dar luogo a disagi psicologici che possono protrarsi anche dopo la fine della carriera. I cambiamenti psicologici che avvengono in seguito all’uso di sostanze dopanti sono stati studiati soprattutto tra i bodybuilders e suddivisi in tre gruppi, sulla base sia del criterio “durata dell’assunzione” che di quello dell’ “entità delle dosi”.

1° gruppo: effetti precoci: comprende stati di euforia ed altri cambiamenti dell'umore, caratterizzati da un aumento della fiducia in se stessi, dell'energia, dell'autostima, ed un incremento dell'entusiasmo e della motivazione. In tale fase diminuisce la stanchezza, migliora la capacità di sopportazione del dolore e spesso compaiono sintomi di iperattivazione come l’insonnia, l’aumento della libido, l’agitazione e l’irritabilità. 2° gruppo: effetti legati ad alte dosi: include perdita dell'inibizione e mancanza di giudizio, con umore instabile e maniacale. 3° gruppo: effetti dopo assunzioni prolungate: racchiude tendenza ad essere sospettosi, polemici, impulsivi e molto aggressivi. Talvolta, gli effetti comportamentali possono essere particolarmente intensi ed aumentare fino a sfociare nella violenza, ostilità, comportamento antisociale, generando la cosiddetta "roid rage" (rabbia da steroidi). In alcuni casi questa rabbia può portare ad azioni molto pericolose quali tentati suicidi od omicidi, a seconda che venga rivolta verso il Sé o verso gli altri. Come è evidenziato dalla classificazione degli effetti psicologici degli steroidi, tali sostanze, come altri farmaci dopanti, possiedono grandi potenzialità di seduzione legate agli effetti psicologici positivi descritti nella prima fase dell’assunzione. Tuttavia, la stessa classificazione sottolinea l’esistenza di altri effetti psicologici negativi che si evidenziano solo quando ormai l’assunzione è in fasi più avanzate. Tali conseguenze rappresentano un vero e proprio “effetto di rimbalzo” e generano un crollo di tutte le abilità che precedentemente ci si è illusi di possedere, comportando insonnia, diminuzione della libido, e della concentrazione ed un contemporaneo aumento dell'ostilità e di pensieri paranoici che tendono ad influenzare le prestazioni e la vita quotidiana. Non è rara in questa fase l’osservazione della comparsa o di un aumento dei conflitti relazionali e matrimoniali. Inoltre, come insegna la psicologia del successo, le conseguenze psicologiche del doping sono anche connesse alla possibilità di subire accuse, derisioni e colpevolizzazioni da parte dell’opinione pubblica e dei tifosi di gruppi sportivi contrapposti, come è accaduto nel corso di inchieste antidoping, che hanno causato un crollo inesorabile dell’immagine pubblica (e dell’identità privata ad essa strettamente intrecciata) di atleti vincenti.

3. IL DOPING COME “DIPENDENZA” Un aspetto psicologico relativo al ricorso al doping è la dipendenza. La dipendenza da sostanze dopanti è stata studiata e rilevata da Brower e coll., che hanno riportano una casistica di 24 giovani maschi sollevatori di pesi non agonisti, che risultarono dipendenti, manifestando sintomi di astinenza (depressione e stanchezza) alleviati dall'uso di steroidi. In tale studio, la dipendenza fu evidenziata tramite questionari basati sui criteri che definiscono la “dipendenza da sostanze” nel "Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali" (DSM-IV).

In generale, i principali sintomi che mostrano la presenza di dipendenza dalle sostanze dopanti assunte, secondo i criteri del DSM-IV, sono: •

assunzione più elevata di quella progettata;



desiderio di diminuire o controllare la dose, nonostante l'incapacità di farlo;



frequenti intossicazioni o sintomi da astinenza in situazioni fisicamente pericolose;



gran parte di tempo speso in attività correlate all’assunzione delle sostanze dopanti;



l'uso continuato delle sostanze dopanti nasconde problemi causati o peggiorati dall'uso degli stessi;



aumenta la tolleranza e quindi sono richieste dosi sovraterapeutiche sempre crescenti;



si sviluppano sintomi d'astinenza quali depressione, stanchezza, cefalea e ritardi psicomotori;



gli steroidi sono usati per alleviare o evitare i sintomi d'astinenza.

I meccanismi psicologici di dipendenza sono spesso basati sul rafforzamento sociale delle prestazioni ottenute o sul piacere di avere un corpo muscoloso (rinforzo negativo dovuto alla paura di diventare magri).

4. MILLE MODI PER CONSIGLIARE E INCORAGGIARE IL DOPING Quando si frequenta un club o una società sportiva, può accadere che, per diverse ragioni (es. economiche e commerciali, di prestigio della società che desidera atleti e squadre vincenti), ci si trovi di fronte al consiglio di assumere farmaci o sostanze, più o meno naturali, volte a migliorare la prestazione o l’aspetto fisico. Ovviamente nessuno chiede “vuoi iniziare a doparti?”. Perciò, per evitare di iniziare ad usare inconsapevolmente sostanze dannose per il corpo e la mente, è necessario essere coscienti del fatto che spesso si ricorre a modi subdoli per convincere gli atleti ad assumere sostanze dopanti, giocando sulla fiducia, sulla voglia di vincere o sull’orgoglio con modi simili a quelli elencati si seguito (estratti da La Trappola chimica, opuscolo Missione Salute, Ministero della Salute e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca) Es. 1: Se prendi questa sostanza diventerai presto un campione! Es. 2: Tranquillo. L’ho presa anche io! Che ti credi, mica male! Es. 3: Tutti lo fanno! Se solo tu non lo fai sarai sempre ultimo! Es. 4: Hai paura che ti faccia male? Io pensavo che tu fossi un campione… Es. 5: Non penserai mica che ti sto consigliando qualcosa di illegale!

Nel corso di interventi di prevenzione del doping è molto importante sottolineare che quando si ha il dubbio su alcune proposte fatte in ambiente sportivo, relative all’assunzione di sostanze, è importante parlarne con un adulto di fiducia fuori dall’ambiente sportivo, eventualmente attivando dei canali di informazione medica paralleli a quello sportivo (es. medico curante).

5. LA LOTTA CONTRO IL DOPING La lotta al doping va perseguita attraverso due strade da percorrere simultaneamente. Innanzitutto, è necessaria una repressione, maggiormente affidata alle professioni legali e giuridiche, che favorisca esempi sociali di punizione di modelli negativi. Contemporaneamente, le professioni psicologiche, mediche, pedagogicoeducative devono seguire la strada della prevenzione ed educazione, mirando alla diffusione di una nuova cultura volta a sottolineare che, al di là dei pochi e superficiali effetti positivi attribuiti al doping, esistono numerosi, e spesso cronici, effetti negativi legati a tale comportamento. Ciò che è particolarmente auspicabile è il recupero di una “cultura del vero sport”, della “vera vittoria”, per cui vincere significa prima di tutto mettersi in discussione con se stessi.

Bibliografia AA.VV., Il Tallone di Achille. Come partecipare senza farsi male: una proposta di lavoro contro il doping. In Medicina dello sport, 57, 173-174, giugno 2004. AA.VV., La Trappola chimica, opuscolo Missione Salute, Ministero della Salute e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Brower KJ, Eliopulos GA, Blow FC et al. (1990), Evidence for physical and physiological dependence on anabolic androgenic steroids in eight weight lifters. In American Journal of Psychiatry,147,510-12. Camoni l, Franco M, Pugliese L, Biondi M, Rezza G. Gli steroidi anabolizzanti come sostanze d'abuso. Boll Farmacodip e Alcolism 1997, XX: 49-57. Dragoni Graziella, 2001, Vincere senza doping, Editrice Elika. Gerin Birsa M., 2004, Master on line di psicologia dello sport - quinta lezione. Gerin Birsa M., Il problema del doping nel ciclismo, In http://freeweb.supereva.com/preparazionealciclismo/il_problema_del_doping.ht ml?p

TIFOSERIA SPORTIVA ED ULTRA’ A CONFRONTO INTRODUZIONE

Il tifo sportivo è sempre stata una costante che ha accompagnato spontaneamente, anche se con manifestazioni, intensità e proporzioni diverse, le dispute sportive di ogni livello. I sostenitori degli atleti sono, tuttavia, molto più diffusi e appassionati negli sport di gruppo e di squadra, primo fra tutti il calcio. Il comportamento del tifoso è stato oggetto di numerose indagini che hanno fatto tesoro degli insegnamenti della psicologia dei gruppi e della psicologia della motivazione, per cercare di spiegare un fenomeno che gli psicologi dello sport cercano di comprendere meglio al fine di incoraggiare l’educazione ad una sana tifoseria.

1. ELEMENTI SOCIALI DI CAMBIAMENTO NELLA TIFOSERIA SPORTIVA Le connotazioni assunte dal tifo sportivo sono cambiate in relazione ad alcuni elementi sociali e situazionali che, a loro volta, hanno la capacità di influenzare alcune dinamiche psicologiche del sostegno sportivo. Innanzitutto, un elemento sociale che ha subito un notevole cambiamento dai primi del Novecento fino ad oggi concerne la trasformazione e la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione di massa, che ha aumentato le possibilità di accesso ad essi e allo sport, con particolare importanza rivestita da televisione e internet. La grande diffusione di questi mezzi di comunicazione, in cui le notizie e gli eventi sportivi vengono trasmessi in diretta e simultaneamente, ha dato luogo ad un fenomeno che è stato definito, con particolare riferimento al calcio, “lo stadio virtuale” (Popolizio D., 2003), per sottolineare il superamento dei vincoli spazio-temporali che è stato consegnato al pubblico di tifosi dallo spopolare delle trasmissioni e notizie sportive. Un altro importante ingrediente della crescita e del cambiamento delle tifoserie sportive è un fattore situazionale e logistico. Gli spazi disponibili per esercitare il tifo, infatti, sono un altro elemento di trasformazione delle espressioni di tifo sportivo. Dai pochi spazi ristretti, la crescita di tecnologie edili per realizzare stadi e palazzetti sportivi sempre più capienti ha consentito la possibilità di ospitare gruppi di tifosi sempre più forbiti. E dove il piccolo gruppo cresce, la psicologia sociale ci insegna che esistono nuovi meccanismi psicologici che si possono più facilmente innescare, soprattutto quando sono in gioco forti emozioni e passioni alimentate da importanti aspetti della personalità dei tifosi.

2. INGREDIENTI PSICOLOGICI DELLA TIFOSERIA SPORTIVA Non v’è dubbio che il tifo sportivo crescente ha assunto sempre maggiori funzioni e significati che vanno oltre la simpatia per un atleta o una squadra. Le forti emozioni suscitate nel tifoso, infatti, non sono meramente frutto dell’ammirazione della prestazione altrui, ma un imponente fenomeno psicologico radicato che può operare il soddisfacimento di diversi bisogni attraverso un’identificazione vicaria con la squadra o con l’atleta (Antonelli F., Salvini A., 1987).

Le identificazioni possibili in un tifoso permettono di affermarsi, di esprimere pareri e giudizi, di mettere in scena il proprio “Io ideale”, soddisfacendo il narcisismo di un Io che può esternare istinti ed emozioni in forme abitualmente impossibili nella vita di tutti i giorni. Il rischio di assistere a comportamenti che vedono la trasformazione del tifoso in “ultrà” è stata spesso attribuita a fenomeni relativi alla cosiddetta “psicologie de la foule” (Le Bon G., 1971), secondo la quale la situazione di gruppo in cui si consuma il tifo può agevolare l’espressione di emozioni in forme molto primitive, caratterizzate da perdita di coscienza, dalla sostituzione dell’ “Io individuale” con l’ “Io di gruppo”, un processo regressivo che limita la critica e la razionalità, favorendo il contagio emotivo e l’amplificazione delle emozioni. Questo può certamente aiutare a comprendere parzialmente la perdita di controllo sul comportamento che ha caratterizzato alcuni eventi di cronaca legati alla tifoseria sportiva e alla sua espressione violenta, distinta dalla tifoseria pura e chiamata “ultrà”, proprio per sottolineare l’eccesso (Salvini A., 2005). Tuttavia, studi recenti (Popolizio D., 2003) hanno consentito di approfondire meglio gli ingredienti della tifoseria, consentendo di comprendere, al di là della psicologia dei gruppi, le motivazioni che permettono di disegnare due profili distinti: quello del tifoso e quello dell’ultrà. In tale indagine, attraverso la somministrazione parziale di una scala di autovalutazione della personalità (l’Adjective Check List) e di una “Intervista del Tifoso” sono stati esplorati diversi aspetti psicologici connessi alla tifoseria non violenta, che sono stati poi confrontati con la tifoseria ultrà. Più precisamente, attraverso il primo strumento sono stati valutati i bisogni di successo, autoaffermazione, affiliazione, esibizione, aggressione, autocontrollo, autostima e comando. Con l’intervista, invece, si sono esplorate tre aree: l’atteggiamento e il significato psicologico del calcio, nonché il ruolo sociale attribuito al tifo calcistico. I risultati consentono di osservare che le tifoserie non caratterizzate da fanatismo sono mosse soprattutto da bisogni di autoaffermazione (57.75%), di autostima (57.44%) e di successo (54.40%). Ciò risulta estremamente differente rispetto ai bisogni evidenziati nelle tifoserie ultrà, in cui spiccano anche bisogni di affiliazione (adesione a gruppi fortemente coesi e con comportamenti e modi di agire stereotipati), bisogni di esibizione (manifestati spesso attraverso controversie), bisogno di comando (opposizione alle forze dell’ordine), scarso autocontrollo (tendenza a infrangere regole) ed elevata aggressività (ricorso a comportamenti dannosi). L’aggressività non è molto al di sotto della media anche nella tifoseria positiva e ciò ha portato ad ipotizzare che tale bisogno possa essere proprio la chiave della tifoseria che, se mantenuta entro certi limiti comportamentali, rappresenterebbe una vera e propria “ritualizzazione dell’aggressività” con un importante ruolo sociale. Al contrario, l’ultrà si configura come un individuo pronto a soddisfare i suoi marcati bisogni, indossando periodicamente la sua identità da stadio o

palazzetto, tifando non “per qualcosa” (un atleta o una squadra), ma “contro qualcosa o qualcuno” (gli avversari). Sulla base di quanto discusso fin qui sembra, dunque, che la tifoseria positiva possa configurarsi come un “grande specchio”, una delle tante possibili esperienze del difficile processo di costruzione d’identità. Laddove la complessità attuale rende difficile all’individuo affermarsi direttamente, egli può scoprire la possibilità di identificarsi con personaggi di successo e il modo di distinguersi da altri scoprendo dentro di sè, attraverso il tifo, un sentimento di unicità e di vittoria. Bibliografia Antonelli F., Salvini F., 1987, Psicologia dello sport, Edilombardo, Roma. Popolizio D., 2003, Fra stadio Contemporanea, 179, 38-45.

reale

e

stadio

virtuale.

In

Psicologia

Colovic I., 1999, Campo di calcio, campo di battaglia, Mesogea Gem, Messina. Salvini A., 1988, Il rito aggressivo, Giunti, Firenze. Salvini A., 2004, Ultrà. Psicologia del tifoso aggressivo, Giunti, Firenze.

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