Rodolfo

  • May 2020
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Per una politica economica del fascismo del 2009. di Rodolfo Bianchi La socializzazione da proporre oggi non è implicito debba essere dogmaticamente cristallizzata a quella che è stata proposta 64 anni fa, quando tutto il sistema economico era ben diverso da oggi. Da allora anche il capitalismo si è evoluto. La socializzazione codificata genericamente come è stata nel 1943 non si discosta poi di molto dagli attuali rapporti della proprietà coi normali sindacati odierni... Difatti oggi tutto indica che il sistema economico è destinato già da sè ad avviarsi verso una socializzazione incipiente e costante. I segnali già ci sono, dalla diffusione dell'azionariato ai dipendenti, all'acquisto stesso di intere aziende in crisi da parte di cooperative di dipendenti, favoriti dall'aumento di disponibilità economica di questi dipendenti. Tutto sta nel tempo che ciò ci metterà a svilupparsi man mano sempre più. Lo scopo politico dei suoi sostenitori deve essere quello di velocizzare questa inevitabilità e nel farsene portatori e difensori a livello politico. Ma per far ciò bisogna perlomeno stabilire PRECISAMENTE quali siano questi punti di cui ci si vuole far portatori. Non la vaghezza come quella tipica del comunismo. Assodato ciò, ovvero che il sistema economico odierno in sè (così come il benessere generale) non si discosterebbe poi di molto, lo scopo della socializzazione non è tanto la giustizia sociale, quanto la razionalizzazione dell'economia. Difatti la socializzazione NON E' UN ESPROPRIO, ma è l'eliminazione del concetto economico che equipara il lavoro delle persone a mera merce e che gli da un valore come ad una qualunque merce. Eliminare il lavoro umano dal "mercato delle merci" renderà possibile a tutti l'accesso al sistema produttivo in modo meritocratico, e non più in modo mercantile. Accesso che oggi è a priori precluso alla maggior parte dei cittadini per quanto meritevoli essi possano essere, mentre è spesso aperto ai furbi per quanto incompetenti possano essere. Ed è proprio dal costante lavorio dei furbi atto a mantenere queste gerarchie immeritate che nascono tutti i guasti grandi e piccoli che affliggono il mondo. La socializzazione non si prefigge di rivoluzionare il mondo rispetto ad oggi, ma vuole essere la base grazie alla quale si possa porre un rimedio a quegli evidenti guasti per i quali la soluzione sarebbe semplice: lavoro come espressione di produzione umana per il sostentamento, e non più come merce prezzata e venduta ad un altra persona. La filosofia basale della socializzazione (social-capitalismo) è la produzione come elemento fondamentale dell'economia, mentre la rendita speculativa è la base fondamentale del liberal-capitalismo, e la coercizione è quella del comunismo (statal-capitalismo). Se l'estrema sinistra è

anticapitalista, e l'estrema destra è ultracapitalista, il fascismo non può stare altro che al centro. La falla su cui i liberalcapitalisti si impuntano nel criticare la teoria della socializzazione è che minore è il divario tra proprietari e dipendenti maggiore è il plusvalore sulle merci, perchè il costo totale del lavoro aumenta (modello neoclassico della crescita economica basato sull'accumulazione del capitale). Ma non tengono conto che il costo maggiore è A CONFRONTO con le aziende in monoproprietà. E se il costo delle loro merci è più basso è proprio perchè per loro il lavoro è considerato alla pari di una merce il cui costo è da ridurre il più possibile. E per questo sono favorite rispetto ad un azienda dove non esiste costo del lavoro ma solo dividendi tra soci. Paragonare le aziende socializzate in un paese capitalista ad aziende socializzate in un paese fascista è assurdo tanto quanto paragonarle ai kolchoz sovietici. Si può fare un esempio basato sulla teoria economica dell'orientamento all'offerta: i supermercati sono sicuramente più convenienti rispetto ai negozi. Limitando invece il raffronto tra supermercati/supermercati, e negozi/negozi è logico che la convenienza si equivalga. Implicitamente quindi quando c'erano solo negozi la convenienza era tutta sullo stesso piano, e quindi i negozi erano più convenienti rispetto ad oggi che ci sono anche i supermercati. Ma non sono i supermercati ad essere più convenienti, bensì i negozi oggi ad esserlo meno, in quanto capacità massima di spesa e prezzi sono sempre proporzionali tra loro, perchè i prezzi inferiori dei supermercati portano conseguentemente alla riduzione del costo del lavoro (e quindi dei salari) per la compensazione dell'"effetto reddito". Quindi il reale potere d'acquisto rispetto a quando i supermercati non c'erano è il medesimo, perchè la legge dei rendimenti decrescenti conferma che il quoziente di produttività del capitale e la produttività del lavoro rimangono i medesimi, "ceteris paribus" (a parità di condizioni). Ricapitolando, un azienda monoproprietaria è più conveniente in confronto ad una multiproprietaria, ma se esistessero solo aziende multiproprietarie esse sostituirebbero in convenienza quelle monoproprietarie. L'unica differenza è proprio che il lavoro non sarebbe più visto come un costo, perchè se oggi i prodotti di aziende in multiproprietà hanno un costo più elevato è perchè esse sono in competizione con quelle in monoproprietà, e i paragoni sono fatti sull'oggi, non sulla possibilità che esse siano le uniche esistenti. Se tutte le aziende si trovassero sullo stesso piano la concorrenza si equilibrerebbe tra esse e l'indice dei prezzi si adeguerebbe da sè sulle capacità di acquisto, assestandosi sugli stessi livelli di oggi, come nell'esempio fatto basato su fattori verificabili in quanto basati su situazioni verificatesi realmente. Anzi, essendo appianate le differenze economiche i prezzi si adeguerebbero anche su questo rendendo ancora più razionale il valore reale delle cose. L'applicazione del più equo sistema fiscale monetario al posto di quello reddituale, assieme all'eliminazione dei tassi di disoccupazione oggi necessari come mezzo di contenimento del costo del lavoro, porterebbe ad un aumento della produttività del lavoro, ed anche ad una maggior concorrenza tra aziende, la quale sarebbe sia causa che effetto

dell'appianamento reddituale. Per cui settori produttivi nei quali le aziende registrino dividendi elevati verrebbero immediatamente colmati da nuove aziende (per libera iniziativa), che riporterebbero gli utili aziendali a livelli uguali. Quindi i profitti (ed il valore) delle rispettive aziende verrebbe automaticamente regolato dalla libera concorrenza, non più da aliquote fiscali o da privilegi politici. Inoltre un azienda di cui tutti i lavoratori sono soci ha molta più flessibilità in quanto non ha il costo base fisso rappresentato dai salari, costo per il quale il proprietario singolo può intervenire solo diminuendo i salari o licenziando; mentre i soci di un azienda socializzata possono farlo fluttuare periodicamente diminuendo i propri dividendi e redistribuendoli tra periodi floridi e periodi carenti, intervenendo magari col proprio capitale personale in caso di bisogno e suddividendo il rispettivo lavoro a seconda delle esigenze produttive e personali. Mentre un singolo proprietario quasi non può nemmeno chiedere un temporaneo abbassamento dei salari ai propri dipendenti, figuriamoci un prestito. Altra ipotetica falla criticata, la presunta scomparsa dell'iniziativa imprenditoriale. Ma invece l'interesse della figura dell'imprenditore nel miglior funzionamento dell'azienda sarebbe ampliata a tutti i soci e rimarrebbe complessivamente tale e quale ad oggi, se non anche maggiore a causa dell'approvazione che l'amministratore eletto dell'azienda deve ricevere dagli altri soci, che anche se in parità di proprietà i dividendi non saranno uguali per tutti, ma rimarrebbero indissolubilmente legati proporzionalmente alla responsabilità che l'assemblea aziendale delegherà ad ognuno, quindi i guadagni netti dell' amministratore aziendale (ex figura proprietaria) rimarrebbero (in proporzione agli altri soci) grossomodo gli stessi di oggi. Cambia solo il metodo di attribuzione di tali responsabilità/dividendi (non più basato sulla proprietà) e vi viene tolto il lordo ovvero le spese aziendali generiche e il plusvalore da accantonamento per reinvestimenti (accumulazione estensiva del capitale), che vengono già gestiti e contabilizzati nel bilancio aziendale. L'unica rilevante differenza dovuta ad intervento statale sarebbe l'obbligatorietà dell'assicurazione sulle responsabilità penali per gli amministratori di aziende, che sarà una valvola di sicurezza ed una compensazione del maggior dividendo ricevuto (limitando la necessità di accumulazione di capitali di sicurezza per spese impreviste). La proprietà privata, la libera concorrenza, la legge della domanda ed offerta, la libertà d'iniziativa, sono fondamentali per il funzionamento tout court dell'economia del libero mercato e sono quindi imprescindibilmente la base anche della socializzazione. Ma fondamentale NON E' l'accentramento della proprietà e della responsabilità in un unica persona di un azienda che abbia bisogno anche di altre persone per produrre. Quindi gli scopi della socializzazione sono diversi (se non addirittura opposti) a quelli del comunismo. La differenza basilare è che il comunismo basa la sua filosofia nel rancore verso i proprietari e scarica questo nel rifiuto del concetto di "plusvalore". La socializzazione non depreca i proprietari, in quanto sa che anch'essi sono invischiati in un sistema al quale (come tutti) non vedono

alternativa. Non critica il plusvalore, anzi lo riconosce come implicito nell'economia, perché non tutte le persone della società producono, ma alcune svolgono servizi utili anche se improduttivi (settore terziario). Quindi la totalità del valore delle merci prodotte non può obbiettivamente andare solo a chi produce letteralmente, ma è suddivisa automaticamente tra tutta la società, tramite il plusvalore. Astrattamente, se sette persone su dieci producono, il plusvalore corrisponderà quindi a 3/10 del valore reale della loro produzione. Oltre a questo, la parte accumulata è intrinsecamente finalizzata nel caso di necessità (anche impreviste), ovvero nel caso di investimenti da fare o danni da riparare. Nel liberalcapitalismo solo nel caso ciò non si verifichi (e quindi il proprietario in questione si dimostri un buon amministratore) allora può permettersi di attingere per sè al capitale immagazzinato. Dopotutto non potrebbe obbiettivamente cedere il plusvalore ai dipendenti confidando in una sua improbabile restituzione in caso di necessità aziendale. E' quindi anche un fattore irrinunciabile per il proprietario capitalista (sia esso singolo o società), il quale proprio in quanto tale non ha giurisdizione sui capitali privati dei suoi dipendenti (cosa che invece l'azienda socializzata avrebbe, in quanto soci). E' in virtù di questa necessità che il salario dei dipendenti è mantenuto solitamente il più basso possibile, ma la critica marxista è fuorviata. Marx da un valore al tempo, cosa che non corrisponde alla realtà. Si da per scontato che una persona possa lavorare un certo tempo massimo al giorno. Un dipendente non accetterebbe di lavorare sotto una certa cifra giornaliera, corrispondente alla cifra minima per vivere, che quindi esigerà, a prescindere dal lavoro da svolgere. A parità di salario minimo giornaliero il padrone quindi cercherà di mantenere al lavoro il dipendente più tempo possibile. Ecco quindi stabilita un equivalenza. Quindi il rapporto salario/tempo è scollegato e fittizio, è stabilito solo per convenzione bilaterale. A parità di condizioni di produttività del lavoro, la cifra totale disponibile per i salari è quella teoricamente perfetta quando il quoziente di rendimento del capitale uguaglia il tasso di interesse generale; la loro suddivisione in generale è determinata solo dalla considerazione della legge dei rendimenti decrescenti, mentre solo quella in particolare lo è da decisioni unilaterali dei proprietari. La differenza tra salari totali di un azienda e fatturato (ovvero il totale del valore delle merci vendute) è il plusvalore, che secondo Marx è un concetto aberrante, ma le teorie di Marx sul paragone salari/prezzi sono sbagliate, perchè nella realtà sono i prezzi delle merci che vengono spontaneamente ad adattarsi sui salari generali, e non viceversa. Questo per la semplice legge domanda/offerta che regola i prezzi, e confermata dalla "legge di Okun" secondo cui il rapporto tra PIL e disoccupazione è costante. Eliminando il plusvalore ovvero distribuendolo e quindi aumentando i salari, automaticamente aumenterebbero di pari misura i prezzi, annullando di fatto ogni aumento di potere d'acquisto, ed avviando una spirale inflazionistica. In definitiva il plusvalore è un adattamento spontaneo ed inevitabile del mercato, non un "aberrazione disonesta" creata dal padrone. Il salario è un costo fisso come quello di una merce, ed in quanto tale ha un suo prezzo giusto. Per la socializzazione il plusvalore è un fattore secondario. La

differenza non sta nel dove va questo plusvalore (difatti come il liberalcapitalismo anch'essa la decisione la lascia al mercato), ma eventualmente nel limitare le cause (eliminarle è assolutamente utopico) che portano a doverlo esigere ed accumulare. Non redistribuirlo artificialmente od abolirlo come vorrebbe il comunismo. Primario come problema è la consapevolezza che le distorsioni in questo sistema sono dovute solo al fatto che oggi il lavoro umano è una merce, e solo come tale dotata pure di plusvalore. La socializzazione vuole che il lavoro umano non sia più una merce, nè col plusvalore, nè senza; nè acquistabile dai privati, nè dallo Stato. E per far questo si deve ignorare la "legge di Okun" eliminando la disoccupazione anche a parità di PIL, pur consapevole dell'artificiosità di questo stratagemma che equivale ad abbassare il costo della forza lavoro ma a distribuirlo meglio. Ma solo con la socializzazione qui descritta si può fare ciò. Nel liberalcapitalismo non è possibile, sarebbe una forzatura che si ripercuoterebbe in tutto il sistema economico, perchè minore è la disoccupazione, e maggiore è il costo del lavoro. Nel liberalcapitalismo a parità di PIL eliminare artificialmente la disoccupazione comporterebbe un minore PIL pro capite tra i lavoratori (ma non sulla popolazione totale!) ma con un uguale richiesta (che provocherebbe inflazione). Ma se il lavoro non fosse più un costo fisso (ossia se non ci fossero più lavoratori dipendenti a richiedere una paga minima fissa) la richiesta di denaro da parte dei soci si adeguerebbe al profitto, in quanto non più vincolata al lavoro come costo fisso. E se i profitti di un azienda fossero costantemente troppo bassi, essa per non fallire potrebbe riconvertirsi, fondersi, suddividersi (ed altre opzioni aperte dalla socializzazione) al posto di licenziare e diminuire i salari. Quindi la disoccupazione ciclica sarebbe eliminata da sè, quella strutturale e frizionale delegandole ai regolamenti interni aziendali ed alle possibilità di contorno (fallimento, fusione, divisione, flussi tra aziende), togliendone quindi la responsabilità alla politica. Il PIL pro capite rimarrebbe uguale, ma suddiviso più equamente. Questo, non influendo sul consumo autonomo, ma solo su quello indotto, altererebbe le propensioni al risparmio e al consumo, ma compensando per via del rapporto tra propensione all'accumulazione di capitale e tassi di interesse (che notoriamente aumentano col diminuire del risparmio). Allo stesso modo l'ipotesi che le concessioni di credito e mutuo sociale riducessero i fondi per altri investimenti è smentita dal "paradosso del risparmio", secondo il quale in una data quantità di tempo la quota di PIL disponibile al risparmio è costante, e le forzature al risparmio non portano a modificarla ma solo influiscono sul PIL causando indirettamente inflazione, ma nella socializzazione l'inflazione è controllata dalla fiscalità monetaria e quindi eventuali squilibri provocati dai suddetti crediti verrebbero automaticamente compensati sul tasso di decremento della moneta. La produzione (la "ricchezza"), in qualunque maniera essa venga distribuita, a parità di condizioni rimane la medesima. Per questo è esatto dire che la filosofia base della socializzazione è la produzione. Comunque, per motivi che vengono spiegati più avanti, la socializzazione comporterebbe indirettamente una maggior disponibilità di crediti bancari.

La socializzazione è paradossalmente una costruzione anti-costruttivista, perchè fondata proprio sul lasciare alla spontaneità ("laissez faire") il più possibile ogni ambito della società, affidando ai privati, aziende, e organismi super-aziendali (corporazioni) anche le responsabilità che oggi sono affidate allo Stato, e basando le regole sociali sul condizionamento anzichè sulla coercizione. Perciò in quanto antistatalista è addirittura un accentuazione del capitalismo, ma in modo MERITOCRATICO. Una vera meritocrazia non può altro che giovare all'economia e all'uomo. Questo lo si può capire anche oggi vedendo il cambiamento che avviene repentinamente in una persona quando da dipendente diventa proprietario. Chi abbia assistito a questa tipica metamorfosi concorderebbe certamente sulla distribuzione equa della proprietà e sull'eliminazione del castrante concetto stesso di dipendenza, schiavitù concordata. Se non si abbia presente ciò, basterà appurare ad esempio la ben nota differenza di produttività tra un latifondo e l'appezzamento di un coltivatore diretto, intese sia per lavoratore che per ettaro, per constatare di quanto il lavoro dipendente sia meno produttivo rispetto a quello in proprio. Anche senza dover ricorrere all'esempio del comunismo, dove nella pratica si riproduce il capitalismo con la sola differenza che esiste un solo e unico grande proprietario che è lo Stato, e non vi è alcuna partecipazione o condivisione del potere da parte dei lavoratori, bensì lo Stato si sostituisce ai capitalisti riproducendo i meccanismi tipici del capitalismo privato. Cambia solamente il soggetto, è lo "Stato" che possiede i mezzi di produzione e gestisce il plusvalore. Nelle aziende comuniste la direzione del lavoro è affidata dallo "Stato" a burocrati di nomina politica, sovente incompetenti e corrotti, naturalmente disinteressati al buon funzionamento dell'azienda e alle condizioni dei lavoratori. Questa situazione comportava problemi rilevanti negli stati le cui aziende erano proprietà dello Stato. Il primo è l'inefficienza dei lavoratori, secondo la filosofia che "lavora bene o lavora male sempre lo stesso salario percepisci", per cui un ritmo produttivo poco più che normale diventava un eccezionale volontario "stakanovismo" da premiare. Il plusvalore veniva eliminato si, ma nel senso che le aziende operavano in perdita, e quando un plusvalore c'era veniva perduto nella bilancia commerciale delle esportazioni, deficitaria a causa della vendita sottocosto di prodotti a paesi liberalcapitalisti in cambio di percentuali illegalmente elargite ai dirigenti aziendali dei paesi comunisti, non essendo i prezzi delle merci regolati sulla base delle spontanee leggi dell'economia. Quindi i paesi capitalisti sfruttavano il lavoro e le risorse dei paesi comunisti tramite la corruzione dei loro politici. Ed i soldi della corruzione rimanevano comunque nello Stato capitalista, nei conti bancari dei politici comunisti. Questo è il motivo per cui la finanza internazionale ha tollerato (se non sostenuto) la nascita e l'esistenza di stati comunisti fino a quando essi caddero da sè. Tale distorsione nel sistema commerciale provocata dall'assenza delle più elementari regole di mercato portava dei risvolti che risultavano evidenti nella formazione di lunghe code davanti ai negozi, mentre per i beni non di "prima necessità" ci si doveva mettere in lista d'attesa. Ad esempio per l'acquisto di

un'automobile in Urss negli anni '80 arrivava il proprio turno per l'acquisto in media dopo tre-quattro anni. Questa situazione provocava inevitabilmente un esteso mercato nero delle merci, soprattutto di quelle straniere, gestito dalla mafia russa. Il mercato nero consentiva ai ricchi di accedere a prodotti altrimenti irreperibili senza "fare la fila". E quindi era tollerato in ambienti politici, in quanto in Urss i politici comunisti grazie alla corruzione erano gli unici ricchi. Da qui la necessità di mantenere un ambiente illiberale in ambito lavorativo e più esteso in generale in tutta l'organizzazione statale, per tacciare le sicure critiche dei lavoratori ai dirigenti e a tutto il sistema. In Italia, fin dal 1933 il paese occidentale col maggior numero di aziende statali, la loro gestione era affidata all'I.R. I., ed il suo noto deficit costante da l'idea di quanto inefficiente sia il sistema statalista. Passare dal comunismo alla socializzazione sarebbe stato molto semplice, sarebbe bastato che lo Stato dicesse ai lavoratori "il lavoro è vostro", ed invece nei paesi ex-comunisti hanno preferito vendere tutto sul mercato capitalista del miglior offerente, incamerando subito grandi cifre ma irrisorie in confronto al valore reale, cifre che dopo un anno si sarebbero già esaurite, e per di più trovandosi senza possedere quelle proprietà fonte di introiti, e con i concittadini poveri come prima. Wikipedia da questa definizione: *La base della socializzazione è l'assenza del lavoro dipendente, ovvero ogni entità produttiva apparterrebbe in egual misura a tutti i suoi lavoratori, senza più padroni né dipendenti. Ciò a differenza del capitalismo, dove un'entità produttiva è di proprietà di una persona o di una società di persone anche estranee alla produzione, mentre la produzione è affidata a lavoratori dipendenti. E a differenza del comunismo, dove la proprietà è sostituita "dallo stato" ("dittatura del proletariato") e viene gestita tramite burocrati di nomina politica, spesso incompetenti e disinteressati ai lavoratori ed al buon funzionamento della produzione. La socializzazione non abolisce il sistema capitalista ma solamente ridistribuisce la proprietà ed elimina i rapporti umani di sudditanza e dipendenza salariati (che siano essi da parte di altre persone o dallo "stato"), confidando sulla naturale maggior responsabilizzazione dei lavoratori di fronte all' autogestione del loro lavoro e del loro capitale. Similmente al capitalismo, la teoria socializzatrice prevede il diritto alla proprietà privata, la libertà d' iniziativa economica, il rispetto della legge della "domanda-offerta" e della libera concorrenza. Tuttavia la grande differenza sta nell'autogestione di tutto ciò, dando quindi perlomeno un senso di controllo della propria vita a tutti i lavoratori ed uno stimolo alla partecipazione. La socializzazione, a differenza della collettivizzazione comunista, non prevede l'attuazione dei propri contenuti dottrinali mediante una rivoluzione espropriativa, ma mediante la proibizione legislativa del lavoro salariato e la contemporanea concessione di un credito sociale. La gerarchia e la divisione dei guadagni delle grandi aziende sarebbe stata decisa elettoralmente da tutti i partecipanti all'azienda, nello stile del corporativismo e in un'ottica di meritocrazia. La definizione originaria di Ugo Spirito era "corporazione proprietaria", ovvero

la corporazione che diventa proprietaria dell'azienda.* Assodato cosa è la socializzazione, come applicarla? Assodato il fatto che esistendo i proprietari (e quindi anche i furbi parassiti che gli ruotano attorno) ogni tipo di pianificazione lavorativa-societaria comporterebbe il boicottaggio da parte loro, ogni ipotesi di voce in capitolo da parte dei dipendenti sarebbe inevitabilmente stroncata o ridimensionata. Vuoi per l'inevitabile corruzione dei rappresentanti dei lavoratori da parte dei padroni, vuoi per il boicottaggio stesso delle decisioni dei rappresentanti corporativi da parte del padronato (boicottaggio attuato tramite sottili ricatti e terrorismo, probabilmente), un pò come è oggi con i sindacati. In definitiva qualora la socializzazione venisse applicata parzialmente (cioè senza abolire il lavoro dipendente), essa verrebbe stroncata negli stessi identici modi in cui è già stata stroncata a suo tempo (25 luglio 1943 e 25 aprile 1945), e non si vede motivo per il quale non dovrebbe esserlo anche oggi. I potenti di oggi non sono più gentili di quelli di un tempo. Per evitarlo bisogna imparare proprio da quegli errori fatti a suo tempo e quindi togliere del tutto ai suoi nemici la capacità di stroncarla sul nascere. Visto che questa capacità si basa sul potere economico, è evidente l'impossibilità di applicare all'economia una qualunque pianificazione politica che però preveda il mantenimento dell'attuale sistema lavorativo basato sulla proprietà accentrata ed il lavoro umano come merce. Tale sistema va quindi necessariamente eliminato del tutto così come è stato eliminato lo schiavismo, e base ne deve essere proprio il considerare l'attuale concezione del lavoro salariato una forma di odierno schiavismo istituzionalizzato. E come lo schiavismo è inefficiente perchè frustrante e coercitivo, e deve essere criticato sulla base di questi motivi. La socializzazione inoltre porterà una situazione che permetterà l'applicazione di sistemi fiscali e sociali che con l'attuale sistema liberale, causa soprattutto le divergenze di interessi particolari, sarebbero improponibili. Vengono qui descritti anch'essi. La socializzazione si basa sull'emissione del credito sociale. Ma non sarebbe possibile favorire il passaggio delle proprietà solo tramite il credito sociale senza la supertassazione del lavoro dipendente, in quanto le normali cifre di mercato richieste sarebbero inizialmente troppo elevate. All'atto del decreto si decide semplicemente l'emanazione di una nuova imposta sui lavoratori dipendenti (esclusi determinati casi più sotto elencati), che si incrementi un mese dietro l'altro (di 100 euro al mese?), fino a raggiungere dopo pochi mesi livelli insostenibili. Nulla più. La prima banale possibilità per i proprietari sarebbe aumentare i prezzi, diminuire gli stipendi, e licenziare, inimicandosi però la popolazione. La seconda e più realistica ipotesi sarà di spingerli a vendere ai dipendenti quote di società e quindi a farli diventare soci anzichè dipendenti. I proprietari potranno accordarsi con i dipendenti sulle modalità per il trapasso della quota di

proprietà e siglarlo presso un notaio. Come si può vedere, non corrisponde ad un indennizzo per esproprio, ma ad una normale transazione notarile. Ovviamente essendo pressati dall'imposta sul lavoro dipendente, i proprietari dovranno abbassare le cifre richieste fino ad un livello che sia accessibile ai lavoratori. A tale scopo verrà emesso tramite le normali banche (previamente anch'esse sottoposte a socializzazione) un "credito sociale" grazie al quale i dipendenti potranno venire incontro alla cifra richiesta dal proprietario per la cessione delle quote di azienda. Questo credito sarà a lungo termine (ma con scadenza massima dell'estinzione all'atto del pensionamento) e la sua estinzione sarà garantita alle banche dalle leggi statali (ma tramite assicurazioni private) anche in caso di futuro fallimento dell'azienda (assicurazione obbligatoria contro il fallimento) o di morte del debitore (assicurazione sanitaria). La banca non potrà rifiutarlo, ma vi sarà un limite massimo (50.000 euro?) eventualmente variabile a seconda del livello e voto scolastico conseguito. Le banche potranno fare fronte alla iniziale necessità di liquidità mediante il vincolamento dei fondi. Essi saranno versati direttamente in un conto corrente intestato al vecchio proprietario (o ai vecchi azionisti) nella stessa banca, ma rimarranno in una certa percentuale vincolati, con la svincolazione ad esempio di un 10% all'anno. Questo con lo scopo di non prosciugare le liquidità delle banche e per evitare che gli exproprietari accaparrino l'intera cifra portandola all'estero (colui il quale facesse ciò con la parte fino a quel momento accessibile, si vedrà sequestrata la restante parte). Per incentivare la velocità del trapasso di proprietà, prima esso avverrà rispetto alla data di scadenza e in minor misura soggetto a vincolo sarà il fondo. Va da se comunque che tanto prima il proprietario venderà, e maggiore possibilità contrattativa avrà nei confronti dei dipendenti acquirenti. Per i proprietari che non intendono avviare le trattative e mantenessero tutto com'è, dovendo pagare mese dopo mese cifre sempre più alte per ogni dipendente, l'unica previsione possibile è in definitiva lo spontaneo fallimento dell'azienda secondo le leggi attualmente vigenti, al che il proprietario perderebbe tutto, e non essendoci probabilmente altri compratori l'azienda andrebbe di proprietà agli stessi propri dipendenti che l'acquisterebbero sempre col credito sociale, ma stavolta all'asta fallimentare (i cui ricavi, come da leggi attualmente vigenti, andrebbero ai creditori, non all'ex proprietario) pagando nulla più che la base d'asta (in quanto unici partecipanti). Le ultime aziende a rimanere non socializzate probabilmente fallirebbero anche per mancanza di manodopera perchè i dipendenti residui, potendo usufruire del credito sociale, si licenzierebbero per entrare in aziende già socializzate. Anche per le proprietà pubbliche la socializzazione di esse richiederà una cifra equa da versare allo stato o all'ente locale proprietario. Questo anche per evitare differenze economiche iniziali tra le aziende socializzate dal pubblico e quelle socializzate dal privato. La socializzazione delle proprietà pubbliche avverrà prima che di quelle private, e sarà grazie alle cifre così incamerate che lo Stato potrà far fronte alle cifre fornite col credito sociale

tramite le banche ex-controllate (che saranno ovviamente le prime ad essere socializzate e quindi a fornire il credito sociale), rimpinguate da questi introiti statali. Per quanto riguarda liberi professionisti, piccoli commercianti, coltivatori diretti, aziende a conduzione familiare, tutto rimane invariato come è oggi. Il credito sociale potrà essere utilizzato anche per l'acquisto di negozi o veicoli professionali (es. taxi), o per aprire nuove attività (sia da soli che in società) o acquisire licenze. Per ottenere il credito sociale e possedere quote di un azienda bisognerà aver compiuto 18 anni. Si tenga presente che nel testo quando si parla di azienda ci si riferisce anche ad aziende aventi un unico socio, ad esempio i negozi. Ogni persona che possieda anche da solo un attività economica (esclusi quindi i dipendenti) dovrà costituirsi in azienda, per ovvi motivi fiscali (corrisponde in pratica all'odierna necessità di "partita iva"). L'incremento dell'imposta sulla dipendenza si fermerà quando il livello dei dipendenti totali sul territorio nazionale sarà sceso sotto il 5%. Dopodichè l'imposta rimarrà stabile. Probabilmente ci sarebbe un iniziale impennata di inflazione se i proprietari provassero a far ricadere sui prezzi il costo di questa imposta. Questa inflazione sarebbe a tutto loro svantaggio in quanto dai prezzi aumentati non si torna indietro, ed una volta fermata questa inflazione (sia per l'applicazione della fiscalità monetaria, sia per la stabilizzazione dell'indice dei prezzi dovuta alla concorrenza delle aziende neo-socializzate, esenti dal peso di questa imposta) si troverebbero con una cifra ricavata già svalutata, a tutto vantaggio sia delle banche e sia della capacità di restituzione dei debiti da parte dei neo-proprietari. Inoltre a tutte le aziende socializzate verrà applicato subito il sistema fiscale descritto più sotto, mentre per le aziende non ancora socializzate fino a che non avverrà la socializzazione rimarrà il sistema fiscale vigente oggi, sicuramente più pesante. La "frenesia" iniziale dei neo-proprietari potrebbe portare anche ad un repentino aumento della pretesa di plusvalore sui beni, che però per un altro effetto psicologico si sovraporrebbe (senza sommarsi quindi) al plusvalore comunque già provocato dalla fiscalità monetaria, ma una volta assestato l'indice dei prezzi ed annullata l'inflazione questi si autocompenserebbero per la legge della concorrenza (vedi discorso sul plusvalore all'inizio del testo) rimanendo poi fissati definitivamente al plusvalore ideale per ogni bene e quindi riportando il rapporto tra prezzi e guadagni al livello iniziale. Poi ad attenuare ulteriormente l'esigenza di plusvalore su merci e servizi interverrà l'assicurazione obbligatoria contro il fallimento, che verrà in pratica a limitare l'attuale esigenza di accumulare capitali da parte di un azienda. Ovviamente tale assicurazione non coprirà le bancarotte fraudolente, la cui responsabilità sarà a carico penale e pecuniario del colpevole. A tale copertura esisterà un assicurazione sulle responsabilità penali, non obbligatoria per tutti ma obbligatoria per chi ricopra incarichi delicati come

la gestione di aziende aventi oltre un certo numero di soci. Esempio: se il responsabile della gestione di un azienda perde i soldi al casinò, questa è bancarotta fraudolenta, ed il responsabile è punito e condannato a rifondere l'intera cifra nell'arco del periodo detentivo (e, solo se assicurato, coperta dall'assicurazione penale fino ad un certo limite di franchigia). Se invece il fallimento avviene a causa dell'apertura di un altra attività concorrente, l'azienda sarà coperta dall'assicurazione sul fallimento, e la compagnia assicurativa potrà rivalersi sul politico che ha autorizzato la licenza al concorrente. Tuttavia, stante i pro ed i contro il politico nel concedere una licenza valuterà proprio questa possibilità, ed esigerà previamente di conseguenza dall'attività cui concede la licenza l'accantonamento di una cifra necessaria a coprire questa eventuale spesa. Quindi se i vantaggi della concessione saranno superiori agli svantaggi, egli riterrà opportuno concedere la licenza. Questo meccanismo porterà una razionalizzazione nell'emissione delle licenze ed eliminerà la possibilità di corruzione insita in esse (è in pratica esso stesso una "corruzione regolamentata"). Potrà essere applicata anche nei confronti delle licenze edilizie con un apposita polizza (esempio: una casa svalutata dalla costruzione di un palazzo che le proietta ombra). Tenendo conto che le differenze di potere d'acquisto tra persone sarebbero notevolmente appianate, tutti avrebbero la possibilità di fare fronte a determinate spese oggi accessibili solo ad una minoranza, ad esempio quelle assicurative, perchè questo appianamento verrebbe compensato secondo la legge del costo di opportunità, per cui l'indice dei prezzi verrebbe ad adeguarsi a livelli differenti rispetto ad oggi, con un aumento dei prezzi dei beni meno costosi (a fronte del rialzo del potere d'acquisto minimo e del costo di opportunità) ed una diminuzione dei prezzi dei beni più costosi (a causa della diminuzione del costo di opportunità), causando un leggero appianamento del vertice della piramide sociale nelle differenze di potere d'acquisto a tutto favore di una distribuzione più equa tramite questa spontanea diminuzione della forbice dei prezzi, per la quale tra l'altro i beni più lussuosi verrebbero implicitamente a scomparire in quanto non più remunerativi per i fabbricanti. Grazie a ciò sarebbe possibile eliminare i sistemi sociali gratuiti quali quelli sanitari e scolastici ad esempio, che verrebbero anch'essi socializzati ossia privatizzati ai loro lavoratori. A tale scopo nell'eventualità di rilevanti spese sanitarie impreviste verrebbe resa obbligatoria l'assicurazione sanitaria, fermo restando il fatto che tutti avrebbero la possibilità di fare fronte a questa spesa assicurativa, in quanto essa rientra oggi tra i beni più costosi che con la socializzazione subirebbero una svalutazione, maggiore grazie anche all'ampia diffusione e alla libera concorrenza, nonchè al fatto stesso che non pesando più sulle imposte il SSN, la spesa per l'assicurazione verrà a sostituire equamente la cifra precedentemente sottrata con le imposte per il SSN e per l'INAIL. Per la scuola verrebbe messo a disposizione un "credito formativo" destinato ad essere restituito durante la vita lavorativa, ed integrato con borse di studio (a carico delle corporazioni interessate)

contingentate, basate sui voti scolastici. Anche per il prelievo fiscale, essendo notevolmente appianate le differenze economiche, verrebbe meno la necessità di tutta la giungla di vari balzelli e di imposte progressive basate sul reddito, sostituite da un numero limitato di tipi di tributo, con alla base un imposta forfettaria (700-1.000 euro all'anno. Esclusi studenti, casalinghe, e pensionati) comunale che funga anche da incentivo alla produzione, oltrechè per eliminare la possibilità di evasione fiscale sul reddito. Sarà raccolta dai difensori civici (vedi capitolo apposito) ed ognuno di essi ne stabilirà la cifra esatta entro la gamma succitata. Questo, tenendo presente che questa diminuzione di pressione fiscale verrà riequilibrata dalle sopravvenute spese assicurative e dalle restituzioni dei crediti, che in definitiva verranno a costituire un equo sostituto funzionale delle imposte dal punto di vista del peso economico sul cittadino. Gli altri tributi, su prodotti (iva e dazi) e aziende avrebbero scopo primario di pianificazione economica, e non più di mero introito fiscale. Ad esempio le attività di utilità sociale ma improduttive (es. sanità e scuola) saranno defiscalizzate, mentre quelle di lusso (superflue e socialmente inutili, es. costruzione di yacht, le squadre di calcio professioniste) saranno iperfiscalizzate. Il concetto stesso di spesa pubblica verrà separato e reso indipendente dagli introiti fiscali, i quali fungerebbero solo da base della copertura delle spese pubbliche, il cui disavanzo verrebbe azzerato dall'integrazione con emissione di moneta decrementante (fiscalità monetaria). Le imposte finora elencate saranno incamerate solo dallo Stato o dai comuni. Lo Stato provvederà a redistribuirle agli enti locali a seconda del numero di abitanti (il cui calcolo sarà a cura della ragioneria generale dello Stato) e di eventuali esigenze accuratamente vagliate (es. fondi speciali per comunità montane o aree terremotate). Lo Stato redistribuirà solo alle regioni, le regioni alle provincie, le provincie ai comuni. Per quest'ultimo passaggio, visto che i comuni incamerano già da sè imposte, la redistribuzione sarà molto limitata o anche nulla. Inoltre lo Stato fornirà un finanziamento alle corporazioni, a seconda degli iscritti ed in percentuale alle rispettive quote fisse di iscrizione. I comuni potranno ottenere ricavi anche dalle licenze emesse (es. taxi ed edilizie) e, nel caso le normali entrate non bastassero, richiedere ai cittadini altri contributi ma solo per determinate spese fisse oppure "una tantum" nel caso di spese eccezionali giustificate, registrate in un bilancio pubblico accessibile a tutti. Esempio: eventuali contributi per famiglie numerose saranno delegati solo ai comuni. In tal caso le cifre distribuite dovranno corrispondere in bilancio alla cifra totale esatta prelevata con l'imposta apposita. La verifica di questi bilanci sarà accessibile a tutti tramite pubblicazione in bacheca nella sede comunale ed in siti web. I comuni non potranno discriminare sui contributi elargiti. Esempio: nei comuni bilingui non potranno far differenza tra cittadini di un etnia rispetto ad un altra. Stante la differenza di prodotto pro capite tra varie zone dello Stato, la redistribuzione dallo Stato alle regioni potrà non essere identica ma suddivisa

in tre zone: nord, centro, sud. La differenza di redistribuzione pro capite sarà comunque minima. Facendo un analisi ponderata, probabilmente lo Stato cederà a regioni e corporazioni qualcosa come il 95% della sua entrata fiscale. Abolizione della necessità dei resoconti di bilancio (e quindi anche degli scontrini fiscali e delle bolle d'accompagnamento), i quali potranno sussistere solo a scopo interno all'azienda. Ridimensionamento quindi di tutto il sistema fiscale statale (corte dei conti, guardia di finanza, ecc) e della corruzione legata ad esso. I registratori di cassa avranno mera funzione di calcolatori, eventualmente registrando gli incassi per scopi interni, potendo emettere scontrini non fiscali su richiesta del cliente (nel caso debba ottenere rimborsi da terzi). Saranno anche demandati a terminali di pagamento bancomat e carte di credito, e ad accumulatori di tessere decrementate (vedi capitolo sulla fiscalità monetaria). Per questo motivo saranno comunque sottoposti alle attuali regole sulla sigillatura dei registratori di cassa. Comunque non sarà obbligatorio averlo, a patto di avere un blocco intestato col quale emettere le ricevute per rimborsi da terzi. Non esisteranno più Spa nè Srl, nè altri tipi di società anonime (accomandita, ecc.), nè fondi comuni di investimento, nè casse peota, nè buoni statali o postali, e quindi nemmeno le società finanziarie che oggi si occupano della loro gestione. Saranno invece permessi i consorzi (che verrebbero praticamente a rappresentare sottosezioni delle corporazioni) e le cooperative; quest'ultime però non avranno personalità giuridica. I bot (e similari) esistenti saranno via via restituiti facendo fronte alla spesa con l'emissione della moneta decrementante. Per le obbligazioni, le aziende dovranno liquidarle definitivamente alla scadenza, anche facendo ricorso al normale credito bancario; potranno essere prolungate per un anno se eccedenti una certa cifra. Saranno tassati gli investimenti liquidi, azionari, immobiliari, ed obbligazionari all'estero (ma non le acquisizioni produttive, che saranno esenti da tasse) sia di aziende che di privati. L'unica forma di risparmio nazionale saranno implicitamente i conti correnti bancari e le assicurazioni sociali. Le banche continueranno a mantenere la loro attuale funzione base, ma come ogni altro ambito diventeranno di proprietà dei loro lavoratori. Ogni ufficio bancario sarà un azienda a sè, ma più uffici potranno rimanere uniti, mantenere un identificazione comune (come filiali), e contabilità comuni dei correntisti (non dell'azienda) mediante l'applicazione del concetto di "joint venture". Stessa cosa per le compagnie assicurative ed i servizi postali. Questo sarà incentivato mediante una imposta fissa che ognuna di queste joint venture dovrà pagare, imposta che verrebbe equamente suddivisa per ogni filiale cosicchè più filiali unite pagheranno cifre proporzionalmente inferiori pro capite, mentre una singola azienda del settore che non si affilia ad altre dovrà pagare interamente da sola una cifra insostenibile. Questo eliminerà il proliferare di piccole società finanziarie. L'entità dell'imposta sarà adattata per far in modo che sia sostenibile solo da un gruppo formato da più di 15

filiali. In questo modo la quantità di marchi bancari in Italia dovrebbe rimanere grossomodo quella attuale, o di poco inferiore. Alle banche saranno proibiti investimenti speculativi all'estero (potranno solo possedere proprie filiali). Tuttavia potranno ovviamente finanziare aziende che investono all'estero. Ogni banca sarà assicurata contro il fallimento, in modo che i risparmi siano garantiti. Stante i suddetti divieti di speculazioni, il rischio di fallimento bancario sarebbe comunque molto basso. Inoltre, anche se fallisse una singola agenzia (ipotesi già più plausibile), i conti correnti sarebbero legati alla joint venture, e non alla singola filiale. Si tenga conto che grazie all'applicazione della "fiscalità monetaria" l'inflazione cesserà di esistere, quindi una cifra depositata in banca anche dopo anni avrà lo stesso valore reale che aveva al momento del deposito. Questo renderà convenienti i conti correnti e/ma permetterà alle banche di offrire ai correntisti interessi più bassi rispetto ad oggi. Ma di conseguenza anche di chiedere interessi più bassi ai debitori. Per lo stesso motivo, l'oro cesserà di essere accumulato come investimento, e così anche le valute estere che ovviamente perderebbero valore col passare del tempo rispetto alla moneta della nazione socializzata. Ma nonostante il tasso di interesse diminuito, gli stranieri che detengano un conto corrente in una banca italiana, al cambio con la loro moneta otterrebbero probabilmente la stessa cifra netta equivalente agli interessi odierni. Essendo ridotti i margini di azione delle banche (vista la suddetta abolizione degli investimenti speculativi), esse si troveranno detentrici di più grandi eccedenze di depositi rispetto ad oggi, e questo si tradurrebbe in un ulteriore ribassamento dei tassi di interesse. Per una banca quindi l'unica forma di accumulazione disponibile rimarrebbe quella cartacea, ovvero il denaro corrente il cui valore è basato sulla fiducia nella convertibilità assicurata dallo Stato. Essendo che una banca per avere una somma in denaro fisico deve cedere al conto corrente dello Stato quella somma, le eccedenze bancarie verrebbero quindi indirettamente incamerate dallo Stato alla pari di un titolo di Stato ma senza gli interessi (cioè senza creare debito pubblico). Logica vuole che questa valuta accumulata sia un valore permanente, non decrementabile (per le due monete vedi il capitolo sulla fiscalità monetaria). Anche per questo motivo le banche tenderebbero a conservare la valuta stabile ed a cedere ai clienti quella decrementante, e quindi a differenziare secondo listino il valore tra i due tipi di monete, ancorando le cifre dei conti correnti alla moneta decrementante e non a quella stabile. E' implicito che maggiori saranno le eccedenze bancarie e maggiore sarà il costo della moneta stabile, venendo però incontro a regolarne il valore effettivo congiuntamente alla legge domandaofferta del mercato e con la creazione apposita ad uso esclusivamente bancario di valori nominali di taglio maggiore (fissati inizialmente a 5.000 e 10.000 euro, ma poi lasciati liberi di fluttuare) come bene accumulabile dalle banche alla pari di un titolo di Stato, ma senza interessi perchè l'unica alternativa ad essi sarebbero gli investimenti all'estero, poco fruttiferi a causa della svalutazione delle monete estere in confronto a quella nazionale. Inoltre visto

che questi tagli non sarebbero paragonabili ai restanti tagli inferiori (in quanto esclusi dal mercato normale) essi non sarebbero sottoposti al tasso di cambio con la moneta decrementante e quindi la banca che ne richieda la stampa al poligrafico pagherà solo la cifra esatta di quel taglio (più il costo di stampa), e questa cifra potrà poi variare a seconda del valore riconosciutogli dal mercato cosicchè anche l'acquisto dal poligrafico segua questa variazione come da listino. La flessibilità nella quotazione sostituirà la necessità di riserva minima obbligatoria come anche le variazioni di questo requisito sarebbero automaticamente regolate dalla fluttazione del valore di questi titoli, influendo sui tassi di interesse. L'eccessivo accumulo porterebbe ad una svalutazione di questi valori nominali (non della valuta normale, in quanto svincolata da essi), per cui raggiunta una certa quotazione la differenza tra essi e l'investimento all'estero si bilancierà rendendolo conveniente (sulla logica del rapporto costante tra il PNL ed il PIL). E' implicito che saranno più fruttiferi gli investimenti fatti in paesi con la svalutazione minore, ma tenendo conto che maggiori sono i flussi di denaro verso essi e maggiormente aumenterebbe la svalutazione della loro moneta, gli investimenti non andrebbero esclusivamente nel paese con la minore svalutazione, ma distribuiti tra gli svariati paesi più affidabili oppure in quelli dove gli utili siano particolarmente appetibili a prescindere dal rischio della svalutazione del capitale investito. Le proprietà all'estero non dovranno essere investimenti immobiliari ma acquisizioni produttive. Le aziende italiane potranno detenere proprietà produttive o filiali commerciali all'estero, secondo le leggi vigenti nei rispettivi paesi. Ma per i lavoratori italiani di queste varranno le regole italiane. Per non sembrare ipocriti (ovvero socializzatori all'interno ma sfruttatori all'estero) ogni proprietà all'estero dovrà avere un numero di dipendenti proporzionato al numero di soci dell'azienda (es. 1x1). Dato l'appiattimento dei margini d'azione bancari, probabilmente banche a breve termine e banche d'affari (es. mediobanca) verranno ad omologarsi in un unica media categoria. Di conseguenza anche tutte le diverse tipologie di banche (casse di risparmio, crediti cooperativi, ecc) verranno ad uniformarsi in un unica tipologia bancaria base (depositi-prestiti). Il calcolo dell'interesse annuale si baserà sulla media mensile del minimo e del massimo raggiunti, ovvero verranno sommate le cifre minima e massima di ogni mese ed il totale diviso per 24; a questa cifrà verrà aggiunta la sua percentuale di interesse. Per evitare frodi il calcolo avverrà comunque fino ad una certa forbice massima di differenza con base la cifra minima raggiunta. La banca d'Italia sarà abolita. Ogni banca aprirà un conto corrente intestato allo stato, e questi sostituiranno la tesoreria unica. In questi conti verranno versate le tasse da parte dei cittadini correntisti di quella banca, e verranno prelevate per liquidare le spese dello stato ai fornitori di servizi, limitando quindi tali operazioni a movimenti compensativi interni a ciascuna banca. Dai conti statali nelle banche nelle quali il conto dello stato sarà in positivo verrà trasferita nei conti delle banche nelle quali il conto è in negativo la differenza per portarli a zero. I conti statali non saranno sottoposti ad

interessi. Il controllo sarà affidato alla Corte dei Conti, alla quale ogni movimento dei conti statali sarà riportato in tempo reale via web dalle sedi centrali delle banche (mentre le singole filiali riferiranno solo alle rispettive sedi centrali). La borsa, scomparsi i mercati azionari, sussisterà solamente per il mercato delle merci e quello delle monete internazionali. I broker dovranno essere emissari di aziende, non liberi speculatori. Per chi è già in pensione resterà tutto invariato, continuerà a percepire la pensione attuale con fondi forniti dallo stato all'inps e all'inpdap socializzate fino a che non scompaia l'ultimo avente diritto. Per gli altri il pagamento delle quote ad inps e inpdap non sarà più obbligatorio. Per chi al quale mancano meno di 10 anni per la pensione, una volta raggiunta, tutto rimarrà invariato, ovvero percepirà la pensione maturata fino alla data dell'ultimo contributo versato. Per chi al quale mancano più di 10 anni potrà venire liquidata subito la quota inps accumulata finora, ed utilizzata in aggiunta al credito sociale (la cui cifra ricevuta in prestito dalla banca potrà essere inferiore quindi) per l'acquisto della quota di azienda. Le pensioni statali verranno abolite (anche l'inps sarà socializzata alla stregua di una compagnia assicurativa privata), sostituite da fondi pensionistici assicurativi privati volontari ma parzialmente obbligatori (pensione minima). Questo tenendo conto che all'atto della cessazione del lavoro la persona venderà la sua quota di azienda ricavandone l'equivalente di una liquidazione. La quota potrà essere venduta a chi esce dal mondo della scuola e riceve il credito sociale (nel caso fosse il proprio figlio, potrà ereditare la quota senza ricorrere al credito sociale), oppure ad un altro lavoratore che cambi azienda (anche per fallimento della sua). Per chi al quale mancano meno di 10 anni alla pensione, la pensione inps accumulata viene mantenuta perchè la quota di azienda percepita dalla vendita all'atto della pensione sarà probabilmente utilizzata immediatamente per l'estinzione del credito sociale ricevuto, e quindi al pensionato verrà a mancare tale cifra la quale per i pensionati futuri rappresenterebbe una liquidazione con cui integrare la pensione privata ed i risparmi accumulati in più di 10 anni di socializzazione. L'assicurazione pensionistica obbligatoria dovrà essere stipulata a partire da non più tardi dell'età di 30 anni. Le compagnie assicurative potranno prelevare coattivamente dal conto corrente la cifra per la stipula dell'assicurazione. Qualora il conto fosse insufficiente o assente, interverrà il reato di morosità. La compagnia dovrà comunque assicurare coattivamente la persona, secondo i parametri minimi stabiliti. Segnalare ad un istituto previdenziale convenzionato gli assicurabili sarà compito della corporazione, qualora essi non provvedano da sè. Essendo tutti lavoratori indipendenti, non esisteranno regole per la fine del lavoro (pensionamento), ognuno si ritirerà quando deciderà di farlo oppure quando almeno il 90% dell'assemblea aziendale lo giudicherà inadatto al lavoro

(ma pur non lavorando non sarà obbligato a vendere la quota, vedi più sotto). Tuttavia con la quota ricevuta egli potrà entrare in un altra azienda acquistandone una quota, se tale azienda lo accoglierà. Per il conseguimento della pensione ogni compagnia stabilirà le sue regole. Per la pensione minima la corporazione "previdenza" stabilirà regole obbligatorie a cui ogni compagnia dovrà attenersi, tra cui convenzioni con case di riposo ed enti locali. Il pagamento dell'assicurazione sanitaria sarà coperto dall'assicurazione pensionistica minima solo dopo i 70 anni. A partire dagli 80 anni sarà possibile scegliere tra continuare a percepire la pensione oppure stabilirsi in una casa di riposo convenzionata. L'assicurazione pensionistica minima avrà valore di reversibilità, ma non avrà valore di assicurazione sulla vita; altri tipi di assicurazione pensionistica prevedibili potrebbero invece averla, a seconda del contratto. Un pensionato potrà svolgere lavoro dipendente stagionale. Potrà anche candidarsi come "difensore civico" (vedi capitolo dedicato) dopo apposito corso istruttivo. Ogni pensionato avrà diritto gratuitamente ad un area coltivabile in gestione cooperativa per autoconsumo. La localizzazione delle aree utilizzabili sarà a cura del difensore civico. I servizi pubblici su licenza (taxi ad esempio) saranno assegnati sulla base dell'offerta economica annuale che l'interessato proporrà di pagare all'ente concedente la licenza (comune). Ad esempio, chi desideri ottenere una licenza dovrà offrire una cifra superiore che lo faccia rientrare in una gamma sulla base di una cifra minima incrementante di una determinata cifra minima alla volta (partendo da un limite minimo iniziale). Ossia se per l'ultima licenza emessa dal comune la cifra è 10.000, egli dovrà superare questa cifra di un tot, tipo offrire 10.100 euro da versare annualmente al comune. In questo modo si eliminano i guadagni sproporzionati ed in nero solitamente appannaggio delle categorie su licenza, e si limita e regolamenta il mercato nero delle licenze. E l'esercizio abusivo sarà condannabile non in sè, ma per l'evasione fiscale conseguente. I detentori di licenze si dovranno riunire in consorzio (non più di uno per categoria per ogni comune) nell'ambito della corporazione. Per le licenze già esistenti ogni consorzio stabilirà la cifra uguale per tutti da versare annualmente al comune. Gli attuali detentori, nello stabilire tale cifra dovranno tener presente che tanto più essa sarà alta e meno probabilità ci saranno che nuovi concorrenti vogliano ottenere licenze. Gli attuali singoli detentori che giudichino tale tassa troppo alta potranno solo restituire la licenza al comune oppure venderla (ovviamente per la cifra di mercato, che equivarrebbe più o meno alla cifra decisa dal consorzio per il canone annuale). Ad ogni scadenza annuale ognuno pagherà la cifra pagata l'anno precedente, ovvero i detentori originari pagheranno sempre la cifra decisa inizialmente dal consorzio, mentre quelli subentrati pagheranno sempre la stessa cifra superiore che essi hanno proposto al comune all'atto del rilascio. Per le licenze passate di mano si pagherà la cifra a cui quella licenza è ancorata. Ovviamente nella cessione sarà il venditore ad intascare l'eventuale

differenza. Anche le licenze per il commercio ambulante seguiranno tale pratica. Le tariffe espresse in termini di monopolio (es. taxi) dovranno essere autorizzate dal comune. L'emissione di altri tipi di licenze (attività comerciali, ecc) ci si baserà sullo stesso meccanismo ma senza gravare sulle licenze già esistenti. Ogni nuova licenza dovrà offrire una cifra maggiore ma partendo da zero. Ovvero per ogni comune una nuova licenza emessa in un determinato settore merceologico pagherà ad esempio 1.000 euro in più rispetto alla licenza precedentemente emessa. Per esempio la prima licenza emessa ex novo pagherà 1.000 euro all'anno, la seconda 2.000 euro, la terza 3.000 euro, all'anno, per 5 anni dopodichè l'imposta verrà azzerata. In questo modo le successive licenze emesse sopravviveranno oltre i 5 anni solo se l'attività si rivela fruttuosa. Ovviamente per ogni concessionario che restituisca la licenza oppure che superi i 5 anni la graduatoria verrà riportata ad un livello più basso di un unità. Le cifre di questa imposta dovranno essere più alte per i comuni più piccoli, più basse per quelli più grandi (vista la differenza di grandezze in gioco). Per quanto queste regole statali possano sembrare troppo vincolanti per i singoli comuni, esse sono necessarie per riordinare un sistema che oggi è una babele ed in quanto tale suscettibile di corruzione. Gare d'appalto invece regoleranno la concessione delle linee di autobus pubblici, affidate ai comuni per le linee urbane, alle provincie per quegli extraurbani, mentre per quelli che interessino due provincie o due regioni starà ai rispettivi enti locali accordarsi. In tali gare d'appalto le cifre potranno essere sia in negativo, sia in positivo, sia zero. Ovvero se la linea è vantaggiosa le aziende probabilmente offriranno soldi all'ente, mentre se è in perdita li chiederanno. Visto che anche qui le tariffe saranno concordate con gli enti locali. Le fiere ed i mercati all'ingrosso saranno consorzio degli standisti. Potranno affittare spazi agli itineranti. Un azienda potrà anche suddividersi in diverse aziende più piccole. Questa prassi è consigliata per evitare frizioni interne, agglomerizzazioni organizzate, e centralizzazione del potere, e soprattutto perchè tanto più è grande un azienda, e tanto più, espandendosi, può andare incontro a rendimenti di scala decrescenti. Per incentivare la parcellizzazione, ogni società avente oltre un certo numero di soci (50?) pagherà un imposta specifica. Viceversa, per evitare un eccessiva frammentazione, ogni azienda pagherà un altra imposta (tenendo conto però anche degli altri costi fissi per azienda). La cifra di queste due imposte sarà adattata al fine di trovare un giusto equilibrio. Parimenti, due o più aziende potranno fondersi tra loro. Esempio di imposta sul numero di soci: da 1 a 50: 10.000 euro per azienda; sopra i 50 soci: 50.000 euro + 500 euro per ogni ulteriore socio. Esempio: i vari reparti di un ospedale potrebbero essere ognuno un azienda, riunite in consorzio a formare l'ospedale. Difatti altra imposta favorirà la creazione di consorzi tra aziende in determinati settori, pesando da sola su aziende esterne a consorzi o venendo

suddivisa tra tutte le aziende riunite in un consorzio. Per quanto riguarda le filiali di catene, potranno mantenere il marchio e le forniture pagando una cifra alla ex casa madre, secondo l'attuale concetto di franchising. Anche per le ex-proprietà straniere nel settore produttivo, le aziende socializzate potranno mantenere marchio e forniture pagando una cifra fissata dalla SpA estera (es. supermercati Auchan). Per quanto riguarda le filiali commerciali invece sarà l'opposto, l'azienda agirà per conto della SpA straniera alla quale vanno i ricavi, e la quale verserà all'azienda italiana una cifra per il servizio espletato. Le divisioni e le fusioni potrebbero essere utilizzate anche allo scopo di salvataggio da fallimento. Le quote percentuali di proprietà saranno uguali per tutti. Un socio non potrà vendere la sua quota o parte di essa ad un altro socio, e tantomeno a chi detenga già una quota in un altra azienda. Gli ex proprietari potranno mantenere nell'azienda la propria quota uguale a quella di tutti gli altri. Nel caso di Spa o Srl la cifra derivante dalla cessione verrà suddivisa tramite l'ex Cda agli ex azionisti sulla base delle quote precedentemente possedute, alla stregua di un o.p.a., compresi soci esteri (ai soli quali la cifra verrà versata per intero e in una banca a loro scelta). Stesso discorso si applica alle "scatole cinesi". Per le proprietà di società estere, sia immobiliari che azionistiche, la cifra verrà versata nel loro bilancio, come una qualunque transazione di azioni. Le aziende socializzate si regolamentano da se tramite l'assemblea corporativa di tutti i lavoratori. La suddivisione degli utili sarà decisa dall'assemblea, mediante voto, alla pari di un bilancio. Non sarà obbligatoriamente equa quindi. Ad ogni azienda starà decidere dall'assemblea quanto ognuno dei propri soci dovrà percepire percentualmente e a seconda del ruolo svolto e del tempo impiegato. Questo allo scopo di incentivare la meritocrazia ed evitare la "fuga dei cervelli" verso altre aziende o all'estero. Nulla vieterà che a presiedere un azienda sia l'ex proprietario, se avrà la maggioranza dei voti. Regole per eventuali casse malattia, ferie, turni, invalidità, pensione, eccetera, saranno decisi dall'assemblea, non più da regolamenti univoci statali o sindacali. Tuttavia ogni persona potrà rivolgersi per se stesso ad assicurazioni private. La votazione di un socio entrante sarà per maggioranza semplice (50% + 1), mentre la votazione per l'esclusione coatta di un socio dovrà superare il 90% di favorevoli. Qualora l'amministratore non si trovasse d'accordo con le scelte dell'assemblea potrà dare le dimissioni da amministratore. Nel caso un azienda non abbia un amministratore nominato, le responsabilità saranno suddivise tra tutti i soci. Il "finanziamento del socio" (ovvero un prestito fatto da un socio alla società) sarà permesso, ma non sarà regolato da leggi e quindi non sarà riconosciuto legalmente. Sarà invece proibito alle banche concedere prestiti a singoli soci aventi lo scopo di fornire questo tipo di finanziamento interno. I prestiti da una banca ad un azienda dovranno andare solo nel conto corrente

dell'azienda, senza "intermediari". Ogni azienda, volendo, potrà rivolgersi per la propria contabilità interna anche ad un commercialista libero professionista esterno ad essa. Nel decidere la percentuale destinata all'amministratore dell'azienda, si terrà conto che esso, se l'azienda supera un certo numero di soci (es. 10), dovrà stipulare obbligatoriamente l'assicurazione per le responsabilità penali. "Le assicurazioni sono il pane del futuro", Benito Mussolini. Data l'estensione dell'utilizzo del sistema assicurativo (ed il suo fungere da sostituto del peso fiscale), e data quindi la mole di suoi accantonamenti mobiliari rispetto alle normali spese esso verrà a costituire indirettamente il principale comparto contribuente fiscale dello stato, in sostituzione dell'odierna immobilizzazione delle eccedenze dei fondi assicurativi. Il contributo implicitamente dato alla spesa pubblica tramite l'accumulo delle liquidità eccedenti in conti bancari sarebbe conseguenza della raccolta bancaria di biglietti di Stato il cui valore è versato nei conti pubblici. Questo meccanismo inoltre comparteciperà sia come causa che come effetto alla razionalizzazione della politica sulla casa (vedi capitolo apposito). Le singole compagnie dovranno assicurarsi reciprocamente contro il fallimento. In compenso la copertura, in caso di fallimento a catena (di più di 5 compagnie), sarà assicurata dallo Stato. Questa sicurezza fondamentale porterà inevitabilmente ad una notevole diminuzione dei prezzi delle polizze assicurative. Il credito sociale non è liquidabile al fruitore. Ossia la cifra passa da un conto corrente ad un altro, ma non è disponibile ad un eventuale prelevamento per usi personali, fino all'avvenuta estinzione del debito. All'atto dell'entrata nel mondo del lavoro la banca del richiedente versa la cifra all'azienda nella quale la persona entra, oppure al pensionando che vende la quota. Essi si potranno utilizzare questo denaro liberamente, senza vincoli. Ma chi riceve il credito sociale non può vendere la quota ad un altra persona ed intascare la cifra mantenendo il debito con la banca. Può eventualmente scambiare il posto con una persona di un altra azienda, pagando di tasca propria (o rice

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