Lezione 9 LA RETINA: quali sono i tipi cellulari, come funziona l’elaborazione delle informazioni nella retina e le proiezioni verso la corteccia visiva primaria Vediamo, nel dettaglio, come funzionano i 2 tipi cellulari che compongono la retina umana, ovvero i coni e i bastoncelli, disegnati qui in proporzione: la morfologia è leggermente diversa, i bastoncelli sono un po’ più grandi rispetto ai coni, la funzione di questi due tipi cellulari, invece, è molto diversa. Andiamo a vedere quali sono le similitudini e le differenze. Innanzitutto, vediamo che, essendo la traduzione del segnale luminoso un fenomeno molto complicato dal punto di vista della cellula che se ne deve occupare, la morfologia delle cellule è divisa, la cellula è funzionalmente divisa in tre parti distinte, che sono: segmento esterno, che è la porzione più distale della cellula, ed è quella che si occupa di trasdurre elettricamente il fotone di luce; il segmento interno, che ospita invece tutta una serie di canali ionici e tutti gli altri organelli della cellula, la regione con il nucleo, sempre ospitata nel segmento interno; e poi il terminale sinaptico dei bastoncelli e dei coni. Quindi sono tre specializzazioni distinte: una per trasdurre il fotone di luce, il segmento interno che presiede al normale metabolismo della cellula e possiede il nucleo, e poi il terminale sinaptico. Dal punto di vista del comportamento fisiologico di queste 2 cellule possiamo riassumere con questa tabella le diversità tra le due. BASTONCELLI
CONI
Maggiore quantità di fotopigmento Minore quantità di fotopigmento Risposta lenta Risposta veloce Alta amplificazione: risposta al singoloBassa amplificazione fotone Risposta saturante Risposta non saturante Via di comunicazione molto convergente Elevata sensibilità Bassa acuità Un solo tipo di pigmento: acromatici
Via di comunicazione poco convergente Bassa sensibilità Elevata acuità Tre tipi di pigmenti: visione a colori
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Adesso cominciamo a vedere punto per punto: innanzitutto la prima differenza tra i due tipi cellulari è sulla quantità di fotopigmento, ovvero di rodopsina, vera e propria, per quello che riguarda i bastoncelli, e delle varie opsine dei coni (così è chiamata la proteina responsabile della trasduzione del fotone di luce: rodopsina o ospina, a seconda che sia dei bastoncelli o dei coni). I bastoncelli hanno una maggiore quantità di fotopigmento, i coni invece ospitano una minore quantità di fotopigmento. I bastoncelli possiedono una risposta lenta al fotone di luce, quindi in seguito all’assorbimento del fotone di luce, la risposta in termini elettrici del bastoncello dura molto più a lungo di quanto è l’esposizione vera e propria del bastoncello alla luce; nel cono invece questo non accade, la risposta è molto più veloce. Quindi la variazione elettrica del potenziale di membrana che vedremo è molto più veloce, in risposta all’assorbimento del fotone di luce, per i coni rispetto ai bastoncelli. I bastoncelli possiedono un’alta amplificazione del segnale e sono in grado di rispondere, quindi è possibile rilevare dal bastoncello una risposta elettrica, addirittura al singolo fotone di luce. Quindi la quantità di pigmento è talmente elevata e il tempo di integrazione della risposta è talmente lungo che di fatto il bastoncello è capace di dare luogo a una risposta elettrica dovuta all’assorbimento di un solo fotone di luce, cosa invece che non è possibile da parte dei coni. I coni si sono evoluti per un certo tipo di visione in luce piena e quindi hanno delle caratteristiche diverse e hanno una bassa amplificazione, perché i livelli luminosi ai quali normalmente funzionano e sono esposti sono già sufficientemente elevati, per cui non hanno bisogno di questo meccanismo più amplificato che invece possiedono i bastoncelli. I bastoncelli, inoltre, hanno una risposta che si chiama saturante, quindi se vi ricordate dicevamo che è buona cosa che tutti i sistemi sensoriali che hanno a che fare con delle variabili ambientali e delle forme di energia ambientale che devono trasdurre che coinvolgono la sfera della vita di relazione, è bene che non saturino, in modo tale che possono riuscire a trasdurre tutta l’ampia gamma di energia disponibile. I bastoncelli, pur facendo parte delle retina, quindi trasducendo il segnale di vivo, di fatto non obbediscono a questa legge perché la loro risposta è saturante. Quindi oltre una certa soglia luminosa, che qua abbiamo ampiamente superato, i bastoncelli di fatto non trasducono più alcuno stimolo luminoso: la loro risposta è saturante. Mentre i coni, invece, non saturano mai, quindi la risposta dei coni non satura mai, proprio perché loro invece devono poter essere utilizzati quando c’è un eccesso, cioè un livello di luminosità media anche molto elevato. La via di comunicazione dei bastoncelli è molto convergente, convergente verso l’ultimo tipo
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cellulare, che abbiamo visto, di cui è composta la retina, che sono le cellule ganglionari, i cui assoni vanno a formare le fibre del nervo ottico. Cosa vuol dire molto convergenti? Vuol dire che anche centinaia di bastoncelli, o migliaia di bastoncelli nelle regioni più periferiche della retina, convergono su un’unica cellula ganglionare. Questo dal punto di vista dell’informazione vuol dire che un singolo assone convoglierà le informazioni che raccoglie anche da un migliaio di bastoncelli. Visto che un migliaio di bastoncelli occupano un certo spazio fisico nella retina, vorrà dire che tutta quella regione del campo visivo che va a cadere su quella parte di retina in realtà verrà codificata da un singolo assone; quindi si perderà moltissima informazione spaziale - capite bene che benché piccolo un bastoncello ha sempre un diametro di circa 3 µm, all’incirca, quindi centinaia di migliaia di bastoncelli occupano una certa superficie: quindi una parte, soprattutto a livello della periferia della retina (quindi del campo visivo), una parte di questo campo visivo in realtà è, diciamo, acquisito da tante regioni molto ampie; quindi di fatto la risoluzione spaziale dovuta a quest’altra convergenza è molto grossolana, però di questo fatto noi non ce ne accorgiamo per altri motivi. Invece, per quanto riguarda i coni, la via di comunicazione dei coni è molto poco convergente. Addirittura, a livello della regione centrale della fovea, che si chiama foveola, c’è un rapporto 1:1 tra cono e cellula ganglionare. Quindi a livello della foveola, laddove abbiamo la migliore risoluzione spaziale perché la retina è più sottile (l’abbiamo visto giovedì), quindi mancano tutti gli strati che stanno sopra il fotorecettore, lì abbiamo anche, in teoria, la massima risoluzione spaziale dal punto di vista dell’informazione, perché addirittura ad un singolo cono corrisponde una singola cellula ganglionare. Quindi il contingente di assoni che afferisce dalla foveola, di fatto ciascuno di essi trasporta l’informazione raccolta da un singolo cono. Essendo che il diametro di un singolo cono è circa 2,5 µm, più o meno, quindi vuol dire che la risoluzione spaziale a livello della foveola è di 2,5 µm, molto più elevata che non in qualsiasi altro punto della retina. I bastoncelli, per quanto riguarda la sensibilità, hanno un’elevata sensibilità: questo si traduce nel fatto che, abbiamo visto prima, rispondono al singolo fotone, però quest’elevata sensibilità la pagano, nel senso che alla fine la risposta viene saturata. Quindi funzionano al loro meglio quando c’è pochissima luce, quando il livello di luminosità generale è molto basso, grazie al fatto che possono amplificare normalmente questa poca quantità di luce; il rovescio della medaglia è che questa enorme amplificazione di fatto porta alla saturazione della risposta. I coni invece sono dei fotorecettori a bassa sensibilità: non funzionano sotto un certo livello di illuminazione, e poi cominciano a funzionare da un certo
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punto in poi; il vantaggio di questo è che la risposta non satura, come abbiamo visto prima. Quindi a noi servono entrambi i sistemi, perché noi dobbiamo essere in grado di riuscire a vedere in condizioni di bassa luminosità e in condizioni di alta luminosità: i 2sistemi si complementano tra di loro. Dal punto di vista spaziale, quello che abbiamo anticipato prima, per il fatto di avere un’alta convergenza, di essere distribuiti comunque al di fuori della foveola, quindi della fovea, quindi in regioni della retina in cui comunque la risoluzione spaziale è compromessa dalla diffrazione della luce, il sistema dei bastoncelli possiede una bassa acuità visiva, che si traduce nel fatto che con il sistema dei bastoncelli non possiamo discriminare i particolari fini di un’immagine. Al contrario, invece, i coni, essendo il fotorecettore presente nella fovea unicamente loro, coni, e poi comunque sparso a una certa densità in tutto il resto della retina, e, per la minor convergenza, possiedono una elevata acuità visiva. Quindi ci consentono di discriminare gli elementi molto più fini, i dettagli molto più fini dell’immagine. Per quanto riguarda la visione dei colori, i bastoncelli possiedono un solo tipo di pigmento, quindi i bastoncelli non danno informazioni circa il colore che è presente nel campo visivo; quindi la visione tramite bastoncelli è monocromatica. Al contrario i coni possiedono 3 tipi di pigmenti visivi che adesso vedremo in dettaglio, quindi l’informazione data dai coni è l’informazione di colore, quindi è la vista diciamo normale, di tutti i giorni, quella che stiamo utilizzando adesso per la lezione, quindi è mediata dai coni e non dai bastoncelli. Dove sono ospitati questi fotopigmenti, che si tratti di coni o di bastoncelli? Il fotopigmento non è ospitato sulla membrana plasmatica (vedi ingrandimento del particolare di segmento esterno, in immagine: il fotopigmento si trova unicamente al livello del segmento esterno), ma è ospitato su una membrana che fa parte di un sistema di dischi di membrana che sono fittamente impilati a livello del segmento esterno (vedi immagine
al
microscopio
elettronico:
impacchettamento di questi dischi a livello del segmento esterno). Quindi su ciascuna delle due superfici di questi dischi (che sono come delle frittelline formate da membrana, è come se fosse un globulo rosso completamente svuotato, di cui rimane solamente la membrana, tanto per dare un’idea - le dimensioni non sono quelle del globulo rosso, ovviamente, però è come un sacchettino di membrana molto
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appiattito) è presente, ancorato alla membrana che forma i dischi, il fotopigmento (quindi la rodopsina per quanto riguarda i bastoncelli, o ciascuna delle 3 opsine per quello che riguarda i coni). In questo modo, soprattutto a livello del bastoncello, che ha un grosso segmento esterno, si può impacchettare e accumulare un’elevata quantità di fotopigmento. I coni hanno un sistema di dischi leggermente diverso, un po’ più rado, quindi di fatto accomodano meno fotopigmento, però diciamo la modalità di aggancio del fotopigmento è la stessa - c’è solo una leggera differenza tra coni e bastoncelli. Vediamo un po’ nel dettaglio le opsine, che è il nome più generale per comprendere tutti e quattro i tipi di pigmenti fotosensibili umani. Esistono 4 opsine, nell’uomo: sono le 3 dei coni, che sono quelle blu,verde e rossa (poi vedremo meglio le caratteristiche spettrali) e la quarta è quella dei bastoncelli. Nel grafico (sotto,ndr) si vede in funzione della lunghezza d’onda qual è l’andamento dell’assorbimento della luce da parte di ciascuna opsina. Quindi al picco di ciascuna curva noi
avremo
efficienza
da
la
miglior
parte
del
fotopigmento nell’assorbire la luce. Allora: i coni cosiddetti blu
assorbono
prevalentemente la luce a 437 nm, che è nel blu, come vedete dallo spettro. I coni verdi hanno un picco di assorbimento della luce a 533 nm, che è in realtà abbastanza nel verde, nel verde-giallognolo. I coni cosiddetti rossi hanno in realtà un picco d’assorbimento a 564 nm che, di fatto, è un colore giallo; però sono chiamati coni rossi e sono i coni che assorbono la luce con la maggior lunghezza d’onda. Quindi questi 3 fotosistemi blu, verde e rosso sono a carico di questi 3 tipi di coni, sono previsti in 3 tipi di coni distinti e ciascun cono possiede un solo fotopigmento, o quello blu, o quello verde, o quello rosso – ovviamente non sono mischiati tra di loro. La rodopsina, che è il fotopigmento dei bastoncelli, assorbe a 498 nm, quindi tra il blu e il verde è il suo massimo d’assorbimento, quindi la maggior efficienza. Per cui la luce più efficiente a stimolare i bastoncelli è quella del verde scuro, sostanzialmente.
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Nello schema successivo vedete invece le differenze di ottimo d’illuminazione per i due sistemi complessivamente. Quello scotopico è quello che si riferisce ai bastoncelli: la visione scotopica è quella che si ha tramite i soli bastoncelli
in
condizioni
di
scarsa
luminosità. Ha un’elevatissima efficienza - e l’efficienza la vedete qui espressa sull’ordinata - e la lunghezza d’onda più efficiente è quella intorno ai 507 nm, quindi un po’ più nel verde. Il sistema fotopico, invece, è quello che fa capo ai coni ed è quello che si utilizza quando il livello di luminosità è abbastanza elevato e quindi i bastoncelli sono saturati, per cui loro non contribuiscono all’immagine che noi vediamo, e l’immagine che vediamo proviene unicamente dai coni ed è pertanto un tipo di visione fotopica, quindi con elevati flussi di fotoni. La lunghezza d’onda più efficace per stimolare efficacemente il sistema composto dalle tre opsine dei coni è quella a 555 nm, che è la luce verde, sostanzialmente. Quindi la luce verde stimola in maniera ottimale il sistema tricromatico fotopico dei coni, mentre una luce leggermente più verde scuro, più verso il blu, invece, eccita in maniera ottimale quella dei bastoncelli. Qui abbiamo uno schema che rappresenta la struttura di una qualsiasi di questa opsine e anche questa come si può vedere appartiene alla categoria dei recettori con 7 domini transmembrana quindi, come i recettori metabotropici che abbiamo già visto, di fatto appartiene a una categoria di proteine che utilizzano i secondi messaggeri. Com’è la cascata della fototrasduzione? È molto più complessa dello schema (pag. seguente, ndr), cerchiamo di ridurla ai punti fondamentali. La fototrasduzione inizia quando una molecola di rodopsina interagisce con un fotone. L’interazione con il fotone innesca tutto il processo della catena fototrasduttiva. La rodopsina è accoppiata a un sistema a secondo
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messaggero
perché
è
necessario
amplificare
molto la risposta elettrica che
scaturisce
assorbimento singolo
dall’ di
fotone
un
e
poi
perché un’altra proprietà dei sistemi a secondo messaggero è quella di essere modulati. Quindi l’efficienza
di
questo
processo di trasduzione del segnale da luce a fenomeno elettrico di membrane ha bisogno di essere modulata in funzione dell’intensità media di luce. Quindi maggiore sarà l’intensità luminosa, minore sarà l’amplificazione del sistema. Questo è un meccanismo quasi esclusivo dei coni (nei bastoncelli non funziona un granché) e consente di non saturare mai la risposta dei coni, perché più è elevato il livello di luminosità, minore è l’amplificazione del segnale, quindi di fatto la risposta non riesce mai a essere saturante. Minore è il livello di luminosità, maggiore è l’amplificazione richiesta per ottenere invece un segnale elettrico certo e non ambiguo. Quindi il fotorecettore è un esempio classico di sistema a secondo messaggero perché sfrutta entrambe le proprietà dei sistemi a secondo messaggero: l’amplificazione del segnale e la possibilità di modulare quest’amplificazione del segnale (o guadagno, come si trova su alcuni testi). Da cosa è composta la rodopsina? C’è una parte proteica che varia a seconda del tipo di rodopsina e una porzione, che è l’11cis-retinale, che è costante per tutte le rodopsine. L’11cisretinale è un metabolita della vitamina A, ed è in realtà la parte della molecola complessiva di rodopsina che subisce una trasformazione in seguito all’assorbimento del fotone. Quando il fotone viene assorbito da parte della rodopsina l’11cis-retinale, che ha un legame in cis, in posizione 11, isomerizza; questo legame in cis si
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trasforma in trans, la molecola si linearizza e da 11cis-retinale passa a all(?)-trans retinale. L’isomerizzazione, dovuta alla luce, dell’11cis-retinale, innesca una modificazione conformazionale della rodopsina, che viene attivata. Quindi al primo passaggio abbiamo la rodopsina che, in seguito all’assorbimento del fotone e alla conseguente isomerizzazione dell’11cis-retinale, diventa meta-rodopsina2, comunque si attiva, e attivandosi attiva una G proteina, che storicamente si chiama trasducina. È una G proteina come tutte le altre che abbiamo visto però, storicamente, quella associata alla rodopsina nel fotorecettore si chiama trasducina. Quindi attiva la trasducina, che è una G proteina, la trasducina attivata a sua volta attiva un enzima che è la fosfodiesterasi. La fosfodiesterasi, attivata, comincia a compiere il suo lavoro, che è quello di idrolizzare il cGMP (GMP ciclico), quindi diminuisce la concentrazione di cGMP all’interno della cellula. Il cGMP nel fotorecettore viene prodotto continuamente da un altro enzima che è la guanilatociclasi. La guanilatociclasi non è controllata direttamente dalla cascata fototrasduttiva ma è sensibile alla concentrazione di calcio e continua a produrre cGMP. Nel momento in cui il fotone di luce colpisce la rodopsina e innesca tutto questo meccanismo, alla fine l’attività della fosfodiesterasi idrolizza molto più velocemente il cGMP di quanto non venga sintetizzato da parte della guanilatociclasi. Quindi l’effetto complessivo è quello di una riduzione della concentrazione di cGMP nel segmento esterno del fotorecettore. Questo come si trasforma in un segnale elettrico? Sulla membrana del fotorecettore, sulla membrana plasmatica, ci sono dei canali ionici, cationici aspecifici, che lasciano passare sia Na che Ca, che vengono mantenuti aperti da un’elevata concentrazione di cGMP. Allora, quando la concentrazione di cGMP nella cellula si abbassa perché è stata innescata la catena di eventi della fototrasduzione, questi canali ionici cominciano a chiudersi, perché la concentrazione di cGMP all’interno della cellula diminuisce. Maggiore è l’intensità dell’illuminazione che va a cadere sul fotorecettore, maggiore sarà la quantità (il numero) di fosfodiesterasi attivate, e quindi più bassa sarà la concentrazione di cGMP; e quindi maggiore sarà il numero dei canali per il cGMP presenti sulla membrana cellulare che verranno chiusi. Quindi l’ampiezza della variazione della corrente elettrica che questi canali portano è proporzionale all’intensità dell’illuminazione che in quel momento sta arrivando sul fotorecettore. Quello che interessa però al fotorecettore non è tanto la variazione della corrente ma è ciò che la variazione della corrente induce, ovvero una variazione del potenziale di membrana. La cascata è molto più complessa di questo, però i punti fondamentali sono:
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•
attivazione della rodopsina da parte del fotone di luce,
•
attivazione della trasducina da parte della rodopsina attivata,
•
attivazione dalla fosfodiesterasi da parte della trasducina attivata,
•
idrolisi del cGMP da parte della fosfodiesterasi con abbassamento della concentrazione di cGMP,
•
per l’abbassamento di [cGMP], chiusura di canali a cGMP presenti sulla membrana del fotorecettore.
Questo vuol dire che al buio, normalmente, questi canali sono aperti, perché la concentrazione di cGMP all’interno del fotorecettore è elevata; quindi c’è un continuo ingresso di Na e di Ca all’interno della cellula attraverso questi canali, che si chiamano canali a cGMP. La guanilatociclasi produce il cGMP e lo produce in una maniera Ca dipendente: se aumenta la concentrazione di Ca vuol dire che molti canali sono aperti e quindi l’attività della guanilatociclasi diminuisce, se diminuisce la concentrazione di Ca vuol dire che pochi canali per il cGMP sono aperti (perché il Ca arriva dall’esterno attraverso questi canali) e quindi la concentrazione di cGMP aumenta. Questo è uno dei sistemi per modulare il guadagno, e quindi l’amplificazione, della cascata fototrasduttiva. Il Ca agisce a diversi livelli (su cui sorvoliamo) ed è implicato nella regolazione del guadagno del sistema, proprio perché il Ca entra, insieme al Na, attraverso i canali a cGMP, e quindi può informare, dal punto di vista metabolico, quanta percentuale di canali sono aperti e quanti no. Dal punto di vista elettrico, cosa succede nel fotorecettore? L’esito finale della cascata fototrasduttiva è una chiusura dei canali per il cGMP e quindi una diminuzione di corrente che entra all’interno del fotorecettore. Prendiamo come esempio il bastoncello (ma la stessa situazione si applica al cono): al buio, attraverso la membrana del bastoncello, passa una corrente di Na e di Ca, che entra attraverso i canali a cGMP presenti sul segmento esterno e che esce sotto forma di ioni K a livello della membrana del segmento interno. Il segmento interno, infatti, oltre ad ospitare il nucleo, i mitocondri e tutti gli altri organelli della cellula, possiede diversi tipi di canali ionici. Questi canali ionici servono a modellare la variazione del potenziale di membrana, indotta dalla chiusura dei canali per il cGMP. Quindi i canali per
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il cGMP si trovano solo sulla membrana del segmento esterno, e sono quelli che fanno entrare, al buio, Na e Ca all’interno della cellula; sulla membrana del segmento interno abbiamo invece canali K voltaggio dipendenti, chiamati Kx, un canale h, che è l’analogo del canale F cardiaco (che vedrete poi: è talmente analogo che molti farmaci antiaritmici che vanno a lavorare sul canale F cardiaco sono stati tolti dal commercio perché danno dei disturbi a livello della vista, perché il canale ionico h è talmente identico al canale F cardiaco che di fatto subisce gli stessi effetti del farmaco, per cui diversi farmaci sono stati ritirati perché come problema collaterale abbastanza grave danno una disfunzione visiva piuttosto grave), che si apre in iperpolarizzazione, quindi quando il potenziale di membrana diventa più negativo di un certo valore, dei canali Ca voltaggio dipendenti (perché ricordatevi che il fotorecettore possiede una sinapsi e quindi ha bisogno di Ca per poter rilasciare il neurotrasmettitore) e dei canali K Ca-attivati che svolgono la stessa funzione che più o meno svolgono negli altri tipi cellulari, quindi mantengono una certa omeostasi sia del Ca che del potenziale di membrana. Quindi al buio, di fatto noi abbiamo questo sistema di correnti: Ca e Na entrano, a livello del segmento esterno, e questa corrente esce sotto forma di K a livello dei canali K voltaggio dipendenti del segmento interno. Le concentrazioni di Na e di Ca vengono mantenute poi comunque ragionevoli e basse, costanti, da una pompa Na-Ca-K che è presente unicamente a livello del fotorecettore nel segmento esterno. Quindi è una pompa ionica che butta fuori il Ca che entra a livello del segmento esterno e sfrutta per questo lavoro il gradiente del Na e del K, combinato, ed è lo schema scambiatore Na-Ca-K ed è una peculiarità unica dei fotorecettori. Cosa succede se andiamo a registrare le correnti del
singolo
fotorecettore
in
risposta
all’assorbimento del singolo fotone? Otteniamo quello che vediamo qui: abbiamo in alto un bastoncello e in basso un cono, sulla stessa
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scala dei tempi. Sulle ordinate abbiamo il livello di corrente espresso in picoAmpère e in ascissa la durata del nostro stimolo luminoso, uno stimolo luminoso che è stato proposto ad intensità diverse ma a una durata costante. Sono 10 millisecondi di stimolo luminoso a diverse intensità. Quello che otteniamo è una famiglia di curve che rappresenta la risposta elettrica di entrambi i fotorecettori in seguito alla trasduzione dello stimolo luminoso. Innanzitutto dobbiamo notare una cosa: in condizioni di riposo la corrente complessiva del fotorecettore non è 0 ma è una certa corrente entrante che ha un valore attorno ai 30 pA, 30-40 pA. Da questo fatto ne deriva che il fotorecettore ha un potenziale di riposo al buio che è molto più positivo che non qualsiasi altro tipo di cellula eccitabile, perché normalmente la corrente totale che il potenziale di riposo, la corrente totale è 0 all’incirca e il potenziale di riposo di una cellula normale è intorno ai -70/-80/-90 mV, dipende dal tipo cellulare. Qui invece abbiamo una situazione molto diversa per cui al buio, grazie al fatto che esiste questa forte corrente entrante, il potenziale di membrana del fotorecettore non si trova a valori così negativi ma si trova circa a -30/-40 mV, quindi molto più positivo del potenziale di riposo normale di una cellula nervosa. In seguito all’assorbimento del fotone, vediamo che parte di questa corrente entrante viene soppressa - lo vediamo dal fatto che la corrente elettrica diminuisce, c’è una diminuzione di corrente via via maggiore, maggiore è l’intensità dell’illuminazione che abbiamo dato al fotorecettore; e questo ovviamente è il risultato della chiusura dei canali per il cGMP dovuta all’attivazione della cascata fototrasduttiva. All’inizio si diceva, nella tabella, che le risposte dei bastoncelli sono molto più lente rispetto a quelle dei coni e qua ne vediamo la dimostrazione: l’illuminazione di per sé dura una decina di ms, la risposta del bastoncello, specialmente per intensità medio-alte, dura più di 600 ms, può anche arrivare a durare 1 s; quindi lo stimolo luminoso è cessato dopo 10 ms, ma a 1 s di distanza il bastoncello sta ancora rispondendo a questo stimolo luminoso, perché il suo valore di corrente non è ancora tornato al livello di riposo. Il cono invece è molto più veloce del bastoncello, vediamo che anche per le massime intensità di corrente entro 200-300 ms al massimo il valore di corrente è tornato al suo valore di riposo, al buio. Quindi anche lui ha una risposta molto più lenta se paragonata con il tempo effettivo di esposizione della luce, però è decisamente molto più veloce che non il bastoncello, proprio perché l’amplificazione del segnale è minima e quindi può permettersi di spegnere il segnale
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molto più velocemente. Il bastoncello invece amplificando molto il segnale di fatto ci mette anche molto tempo poi a spegnere la cascata fototrasduttiva. Cominciamo a vedere le interazioni tra coni e bastoncelli e gli altri tipi cellulari della retina, partendo dal primo strato dove abbiamo dei contatti sinaptici tra i bastoncelli e le altre cellule, che è lo strato plessiforme esterno. In questo strato i coni e i bastoncelli prendono contatto sinaptico con 2 tipi cellulari diversi, le cellule orizzontali e le cellule bipolari, la cui funzione è diversa. Nel disegno (sotto) vediamo l’aspetto morfologico dei 3 tipi fino ad ora scoperti di cellule orizzontali nella retina umana. Le cellule orizzontali hanno la funzione di trasferire l’informazione da un gruppo di fotorecettori a un altro, quindi in maniera orizzontale sulla retina. Le connessioni che le cellule orizzontali fanno con i fotorecettori sono diverse a seconda del tipo di fotorecettore di cui si tratta. In particolar modo il tipo 1 (H1 sta per horizontal 1, ovviamente)
riceve
informazioni sia dai coni che dai bastoncelli; quindi in certe condizioni di illuminazione l’informazione verrà portata da entrambi i sistemi. Però, normalmente, funziona o l’uno o l’altro; solamente in certi ambiti molto ristretti durante la giornata c’è una condizione di illuminazione tale per cui i coni cominciano a rispondere e i bastoncelli non sono ancora saturati, tutto il resto del tempo o i bastoncelli sono saturati, e quindi stiamo usando i coni, oppure stiamo usando i bastoncelli e non c’è abbastanza luce per far funzionare i coni. Quindi di fatto, benché le H1 prendano contatto con entrambi i tipi cellulari, o funziona uno o funziona l’altro, è molto raro ed è molto breve il periodo di tempo in cui funzionano entrambi insieme. Le H2, le cellule orizzontali 2, prendono contatto esclusivamente con i coni, quindi mediano il trasferimento di informazioni relativamente al solo sistema dei coni. Le H3 ancora non è ben chiaro:
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sicuramente ricevono afferenze da parte dei coni, però i punti di domanda stanno a significare che non è ben chiaro da chi, poi, ricevano afferenze. Il disegno seguente rappresenta una preparazione istologica che dimostra quanto sono estese queste cellule orizzontali; quindi non ricevono input da una regione molto piccola della retina, ma ricevono input magari da un certo gruppo di bastoncelli e poi, anche a parecchie centinaia di µm di distanza, da parte dei coni. Quindi mediano, mettono insieme le risposte di gruppi cellulari che possono trovarsi anche a una distanza considerevole
sulla
retina
(questo
teniamolo presente per quando andremo a parlare di inibizione laterale, perché è un modo per trasferire informazioni da un gruppo di cellule a un altro abbastanza distanti nella retina). In questa immagine vediamo la forma di una di queste che è stata iniettata con un tracciante fluorescente che si distribuisce a tutto l’albero dei dendriti. Qual’ è la risposta delle cellule orizzontali? Nello schema abbiamo rappresentata la variazione del potenziale di membrana di un fotorecettore. Dato lo stimolo luminoso, il potenziale di membrana dal suo valore di buio di circa -35/-40 mV diventa molto più negativo, si arriva a un picco massimo intorno ai -70 mV, all’incirca, dopodichè anche durante la presentazione dello stimolo luminoso stesso il potenziale di membrana torna a valori un po’ più positivi e si attesta più o meno intorno ai -50 mV. Poi, non appena viene tolto lo stimolo luminoso, con una velocità più o meno accentuata (questo è un esperimento in realtà fatto con una foto(?)risposta simulata) torna di nuovo al suo valore di riposo. La forma caratteristica con la punta è dovuta ai canali H, che si attivano per i potenziali di membrana più negativi (però questo è un dettaglio). Quello che ci interessa vedere è la forma, è l’andamento, del potenziale di
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membrana. Quindi in risposta alla luce il fotorecettore si iperpolarizza; tutti i recettori normalmente si depolarizzano negli altri sistemi sensoriali, il fotorecettore invece in risposta allo stimolo luminoso, proprio perché lo stimolo luminoso va a chiudere dei canali ionici che fanno entrare una corrente di ioni positivi, di fatto si iperpolarizza. Quindi da -35/-40 mV che
è
il
valore
del
potenziale di riposo al buio va a finire fino a un massimo di circa -70 mV. Le
cellule
orizzontali
rispondono allo stesso modo del fotorecettore. Qua vediamo la risposta elettrica di una cellula orizzontale in seguito alla stimolazione del fotorecettore con cui questa è in contatto sinaptico, con intensità luminose crescenti. Vedete che la forma della risposta della cellula orizzontale è identica a quella del fotorecettore. Quindi qual è l’informazione trasportata dalla cellula orizzontale? Questo tipo di informazione: avverte la altre cellule con cui è in contatto che un fotorecettore è stato illuminato. La sua risposta elettrica è identica a quella del fotorecettore. A cosa è dovuta però la risposta elettrica della cellula orizzontale? È dovuta alla chiusura di recettori per il glutammato ionotropici. Il fotorecettore ha una sinapsi di tipo glutammatergico eccitatorio nei confronti delle cellule orizzontali - e poi vedremo anche di quelle bipolari. A livello delle cellule orizzontali abbiamo dei canali ionici recettori per il glutammato di tipo ionotropico, quindi recettori canali che sono aperti quando il glutammato è legato a questi canali. Allora: al buio il fotorecettore ha un potenziale attorno ai -35 mV; a -35 mV i canali del Ca voltaggio dipendenti sono aperti (quelli che abbiamo visto essere presenti nel terminale sinaptico). Ciò vuol dire che c’è un costante afflusso-influsso di calcio all’interno della cellula; questo vuol dire che al buio il fotorecettore rilascia in maniera tonica, quindi costante, il glutammato. Il glutammato che quindi viene rilasciato in maniera tonica al buio finisce sui recettori ionotropici per il glutammato delle cellule orizzontali e di fatto mantiene il potenziale di membrana delle cellule orizzontali a un valore depolarizzato. Il meccanismo è identico a qualsiasi altro tipo di sinapsi, solamente che qua il funzionamento è rovesciato: a riposo le cellule sono depolarizzate, quando il fotorecettore riceve la luce si iperpolarizza, quindi andando a potenziali via via più negativi i canali del Ca voltaggio
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dipendenti tendono a chiudersi. Se i canali del Ca voltaggio dipendenti si chiudono, sempre meno calcio entrerà a livello del fotorecettore, del terminale sinaptico, quindi verrà rilasciato sempre meno glutammato e questo glutammato, quindi, rilasciato in quantità inferiore (man mano che la quantità luminosa si fa superiore), non agisce più sui recettori ionotropici per il glutammato della cellula orizzontale, quindi questi cominciano a chiudersi, chiudendosi fanno mancare l’apporto di corrente entrante positiva e quindi il potenziale di membrana della cellula orizzontale diviene a sua volta sempre più negativo. Ecco come avviene il trasferimento d’informazione: è una sinapsi come tutte le altre, l’unico problema è che funziona al contrario, ma è esattamente una sinapsi come tutte le altre che utilizzano un recettore ionotropico per il glutammato. Andiamo a vedere le altre cellule, che sono le cellule bipolari. Le cellule bipolari mediano un trasferimento delle informazioni cosiddetto “verticale”, ovvero trasferiscono l’informazione dai fotorecettori alle cellule ganglionari, i cui assoni poi vanno a formare il nervo ottico. Quindi la via delle cellule bipolari è quella che permette di far passare l’informazione e farla giungere alle cellule ganglionari che poi si occuperanno di trasferire l’informazione alla corteccia visiva primaria. Ci sono tanti tipi di cellule bipolari; mentre nell’uomo appunto sono stati scoperti fino ad adesso 3 tipi di cellule orizzontali ma probabilmente non ne esistono molti di più, ci sono in realtà 11 tipi di cellule bipolari, che sono abbastanza specializzate. La maggior parte, cioè 10 di questi 11 tipi, sono per i coni, e 1 solo per i bastoncelli. Quindi già da questa sproporzione si comincia a capire che l’informazione più rilevante, per quello che riguarda il sistema visivo, è quella a carico dei coni. Il network dei bastoncelli trasporta un certo tipo d’informazioni ma non è così tanto rilevante. Poi continuiamo a vedere in seguito se questo è vero. Per quello che riguarda i 10 tipi di cellule bipolari che trasmettono l’informazione dai coni, ci sono delle differenze fondamentali soprattutto per quello che riguarda le cellule bipolari che si trovano a livello della fovea, cioè che prendono contatto con i coni presenti nella fovea, e quelle invece che prendono contatto con i coni al di fuori della fovea. Perché? Perché anche sulle cellule bipolari esiste un minimo di convergenza: al di fuori della fovea, e man mano che ci si allontana dalla fovea verso le regioni più laterali della retina, di fatto ogni cellula bipolare prende contatto anche con 2, 3, 4, fino a una decina di coni diversi; questo, se aumenta la sensibilità, perché aumenta il numero di fotorecettori che rispondono -diciamocontemporaneamente sulla stessa cellula bipolare, diminuisce le proprietà di risoluzione
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spaziale. Quindi le cellule bipolari che troviamo non nella fovea ma nelle regioni attorno, di fatto hanno un minimo di convergenza, quindi ricevono input da 3, 4, 5, fino a un massimo di una decina di coni. Le cose sono invece profondamente diverse a livello della fovea, dove abbiamo un rapporto 1:1 tra cono e cellula bipolare. Quindi non c’è convergenza proprio per mantenere la massima possibile risoluzione spaziale. Sono appunto 7 tipi di cellule bipolari per i coni che hanno un minimo di convergenza e invece 3 tipi di cellule bipolari che hanno un rapporto 1:1 con i coni e si trovano a livello della fovea. Queste cellule si trovano definite in vario modo: sui testi tradotti dall’inglese sono chiamate midget, oppure parvocellulari - i due nomi indicano la stessa attitudine. Quindi le cellule midget o parvocellulari sono quelle che hanno un rapporto diretto 1:1 tra cono e cellula bipolare. L’altro tipo di cellula, che nei testi inglesi è chiamato parasol (ombrellone) perché sono molto più grandi, invece hanno un certo tipo di convergenza, e in italiano sono dette la via magnocellulare. Come rispondono da un punto di vista elettrico le cellule bipolari? Rispondono in 2 modi diversi. Il disegno riproduce la sinapsi che abbiamo visto prima nello strato plessiforme esterno tra cono e cellule orizzontali e bipolari, e bastoncello e cellule orizzontali e bipolari. La situazione è diversa a seconda che si tratti del cono o del bastoncello. Partiamo dal cono: il cono, oltre a prendere contatto con 2 cellule orizzontali, prende contatto con 2 cellule bipolari diverse, anche nella foveola (noi abbiamo detto che c’è un rapporto 1:1 con i coni: è vero, però ora chiariremo meglio). Delle 2 cellule bipolari con cui prende contatto una, quella centrale, si chiama ON, l’altra cellula bipolare si chiama OFF. Perché? Vediamo la risposta in termini di potenziale di membrana del cono o del bastoncello. Quindi dal potenziale di buio si iperpolarizza la cellula. Le cellule bipolari OFF hanno lo stesso tipo di risposta, quindi in seguito alla stimolazione luminosa si iperpolarizzano, tanto quanto fa il cono. Le cellule bipolari ON, invece, hanno la risposta opposta: quando il cono si iperpolarizza, in seguito all’assorbimento di un fotone, queste cellule si depolarizzano, invece. Quindi da ciascun cono partono 2 vie diverse, che rimarranno divise per tutto il resto della trasmissione
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dell’informazione, una via OFF e una via ON. Simultaneamente, in seguito all’illuminazione del singolo cono, avremo una cellula bipolare OFF che si iperpolarizza, tanto quanto il cono, e una cellula bipolare ON che si depolarizza. Entrambe però traggono la loro eccitazione o inibizione dallo stesso cono. Queste 2 vie in parallelo, ON e OFF, ci spiegheranno parte del funzionamento della retina un po’ più avanzato che vedremo successivamente. Per quanto riguarda il bastoncello, invece, non esiste la via OFF, quindi la cellula bipolare del bastoncello è una cellula ON, ovvero si depolarizza in seguito all’iperpolarizzazione del bastoncello. Quindi dai coni emergono 2 vie, trasportate da 2 cellule bipolari distinte, una via ON e una via OFF, dai bastoncelli invece un solo tipo di via che è una via ON, quindi la cellula bipolare si depolarizza in risposta all’iperpolarizzazione del bastoncello. Abbiamo detto che il neurotrasmettitore che viene rilasciato dal bastoncello o dal cono (facciamo l’esempio dal cono, che è quello più immediato) è il glutammato. Il glutammato va ad agire su tutti i recettori post-sinaptici delle cellule con cui trae contatto sinaptico. Com’è possibile che in questa sinapsi, dove viene rilasciato solo glutammato, un gruppo di cellule risponda iperpolarizzandosi e un gruppo di cellule risponda depolarizzandosi? È un chiaro esempio dove il principio di Dale nella sua forma classica non ha applicazione. Il principio di Dale, visto in una delle prime lezioni, espresso nella sua forma classica dice che ogni cellula ha gli stessi effetti o eccitatori o inibitori su tutti i neuroni - in quel caso, diceva il principio di Dale, con cui trae contatto sinaptico. Questo palesemente non è vero qui, perché il cono ha un effetto opposto, inibitorio per la via OFF, eccitatorio per la via ON, sui 2 tipi di cellule con cui ha contatto sinaptico. Quindi questa differenza è dovuta non tanto al tipo di neurotrasmettitore, perché è sempre il glutammato, ma è dovuta al tipo di recettore presente sulla membrana post-sinaptica. Evidentemente, le cellule bipolari OFF avranno un tipo di recettore per il glutammato identico a quello delle cellule orizzontali, quindi sarà ionotropico, le cellule bipolari ON avranno un tipo di recettore per il glutammato diverso, cioè metabotropico. Questo è quindi l’esempio più palese che sta a indicare che l’effetto sinaptico di un neurotrasmettitore è dovuto al tipo di recettore con cui va a legarsi: la sinapsi tra cono e cellule bipolari, perché a livello della stessa sinapsi abbiamo 2 effetti diametralmente opposti. Come funziona il meccanismo che fa depolarizzare la cellula bipolare? Questo è un bell’esempio di un principio costitutivo molto più generale di tutti gli organismi viventi, uomo compreso, e cioè che la natura se
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inventa un macchinario molecolare che funziona cerca poi di adottarlo in tutti i sistemi in cui può trovare impiego, senza stare a inventare delle cose diverse. Il meccanismo è identico a quello della cascata fototrasduttiva, né più né meno: è un meccanismo molecolare che funziona, viene utilizzato a livello del segmento esterno del fotorecettore per trasdurre la luce, viene utilizzato qui, invece, per far sì che la risposta della cellula bipolare
ON
sia
invertita.
Come
funziona?
Nell’immagine abbiamo la sinapsi tra il fotorecettore e la cellula bipolare ON. Il fotorecettore al buio rilascia glutammato, perché il suo potenziale di membrana è intorno ai -35 mV, quindi entra Ca in cellula, e così via, come abbiamo visto. Il glutammato si lega al suo recettore e attiva una proteina G. E’ un recettore metabotropico per il glutammato quindi è accoppiato a un sistema a secondo messaggero. Si lega ad una G proteina e l’attiva. La G proteina attiva la fosfodiesterasi, la fosfodiesterasi idrolizza il cGMP. Sulla membrana cellulare della cellula bipolare ON ci sono gli stessi canali al cGMP che abbiamo sul segmento esterno del fotorecettore. Quindi al buio questi canali, presenti nella cellula bipolare ON, sono chiusi, perché il glutammato che si lega al recettore metabotropico per il glutammato, tramite la stessa catena di eventi che è propria della catena fototrasduttiva, tiene bassa la concentrazione di cGMP e quindi questi canali sono chiusi. Quando arriva lo stimolo luminoso, il fotorecettore si iperpolarizza, viene meno il rilascio di glutammato, quindi il glutammato non si lega più al suo recettore, questa via viene interrotta (perché la G proteina non viene più attivata), di conseguenza la fosfodiesterasi non funziona più, funziona solo la guanilatociclasi (che anche qui è costitutivamente attiva), quindi aumenta la concentrazione di cGMP a livello della cellula, questa va ad agire sui canali ionici per il cGMP, questi si aprono, lasciano entrare Na e Ca e quindi il potenziale di membrana si depolarizza, e abbiamo la risposta invertita. Utilizzando quindi lo stesso identico sistema che viene utilizzato nel fotorecettore per trasdurre il fotone di luce, la cellula bipolare ON inverte il segno della risposta, quando il fotorecettore si iperpolarizza lei si depolarizza.
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Ci soffermiamo ora su quello che succede sull’altro strato della retina che possiede i contatti
sinaptici,
plessiforme
interno.
ovvero In
lo questo
strato strato
abbiamo le sinapsi formate dalla cellula bipolare, sia ON che OFF, e dalle cellule amacrine e dalle cellule ganglionari. Quindi questi 3 tipi di cellule formano i contatti sinaptici che sono presenti a questo livello che è lo strato plessiforme interno. Le cellule amacrine svolgono una funzione simile a quella svolta dalle cellule orizzontali, ovvero trasferiscono l’informazione orizzontalmente nella retina tra gruppi di cellule poste una a fianco all’altra anche a distanze considerevoli. Anche qui ci sono diversi tipi di cellule amacrine, molto di più di quanto non siano stati visti di cellule bipolari; il loro ruolo è un po’ più “fumoso”, perché ancora non sono molto ben conosciute; quello che si sa di certo è che alcuni tipi di cellule amacrine rispondono alla dopamina e, apparentemente, la loro funzione più evidente è quella di regolare la sensibilità alla luce di tutta la retina. Quindi, tramite un sistema che utilizza dopamina, in qualche modo le cellule amacrine sono capaci di regolare la sensibilità di tutta la retina al livello di illuminazione media della scena, quindi introducendo una ulteriore modulazione del guadagno di tutto il sistema. Però, più di tanto non si sa ancora bene di tutti i tipi di cellule amacrine, per cui è inutile stare a soffermarsi più di tanto. Cominciamo ora a vedere le 2 vie verticali di trasmissione dell’informazione, quella dei coni e quella dei bastoncelli. Questa è la via dei coni: innanzitutto, abbiamo visto, non è un’unica via, perché da ciascun fotorecettore (cono) partono 2 cellule bipolari, una ON e una OFF, e le cellule bipolari vanno poi a trasferire l’informazione a livello delle cellule ganglionari, a livello dello strato plessiforme interno. Tra la via ON e la via OFF non c’è solo una distinzione dal punto di vista della funzione della risposta elettrica, c’è proprio una differenza dal punto di vista
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morfologico, perché lo strato plessiforme interno è suddiviso in 2 lamine, una più esterna e una più interna: le cellule bipolari OFF prendono contatto sinaptico con le cellule ganglionari, che si chiameranno OFF a loro volta, a livello dello strato più esterno dello strato plessiforme interno; mentre le cellule bipolari ON prendono contatto sinaptico con le cellule ganglionari, che per questo si chiameranno ON, a livello invece dello strato più interno dello strato plessiforme interno. Quindi, oltre a una differenza di funzione, già ai tempi di ? dove non si conosceva la risposta elettrica delle cellule ma si conosceva molto bene la morfologia, è stato lui a dividere lo strato plessiforme interno in queste 2 regioni, proprio perché c’è una diversa morfologia e una precisa disposizione dei contatti sinaptici tra le cellule della via OFF e quelle della via ON. A cosa serve avere una via OFF e una via ON? È una base, funzionale e morfologica, per spiegare il fenomeno su cui su basa il funzionamento della retina, che è l’esistenza di quelli che si chiamano campi recettivi concentrici. Quindi ciascuna cellula ganglionare, che è quella più interessante da questo punto di vista perché è poi il suo assone che convoglia l’informazione finale ai centri superiori, possiede quello che si chiama un campo recettivo, come abbiamo visto esserci dei campi recettivi ad esempio per i meccanorecettori tattili: è lo stesso identico concetto, ovvero la cellula ganglionare riceve un input da parte di un certo numero di fotorecettori (che può anche essere uno, nella fovea) che costituiscono quindi il suo campo recettivo. Questo campo recettivo è costituito da un centro e da una periferia, quindi ci sono delle distinzioni. Quindi il campo recettivo di ciascuna cellula ganglionare avrà un centro e una periferia attorno. I colori del centro e della periferia nell’immagine sono opposti per stare a significare un aspetto funzionale fondamentale, ovvero che tutto ciò che accade in periferia inibisce quello che avviene nel centro. Quindi la risposta della cellula ganglionare sarà diversa a seconda che noi andiamo a illuminare solo il centro del suo campo recettivo o solo la periferia del suo campo recettivo. L’esistenza di questi campi recettivi concentrici e questo antagonismo fra il centro e la periferia, fa sì che la risposta della cellula ganglionare, della stessa cellula, sia diversa se noi andiamo a illuminare il centro del suo campo recettivo o se andiamo a illuminare la periferia. Dal momento che esistono entrambi i tipi di cellule ganglionari, le cellule ON e le cellule OFF, il comportamento di questi 2 tipi cellulari sarà diverso tra di
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loro. E qui abbiamo le registrazioni vere e proprie (vedi pag. seguente, ndr). Cominciamo con la cellula ganglionare ON: se noi andiamo a illuminare il centro del suo campo recettivo
la
cellula
ganglionare
ON
si
depolarizza (come fa la cellula bipolare ON: è caratteristico della via ON); se noi andiamo a illuminare il centro del suo campo recettivo ma con un anello sempre più grande di luce, quindi andando un po’ a toccare anche la periferia, abbiamo che la depolarizzazione della cellula ganglionare ON diminuisce un po’, perché il fatto di avere illuminato il centro del campo recettivo ma anche una parte della periferia del campo recettivo di fatto riduce la depolarizzazione della cellula ganglionare ON. Se noi andiamo a illuminare solo la periferia, e lo si può fare con un banco ottico in modo tale da far arrivare solo un anello di luce, quello che vediamo è che addirittura o non c’è risposta o c’è una piccola inibizione, quindi la cellula ON addirittura mi sta iperpolarizzando, sta invertendo la sua risposta. Quindi c’è una profonda differenza di risposta della cellula ganglionare a seconda che si illumini il centro o la periferia, c’è un antagonismo tra questi 2. Stessa cosa per la cellula ganglionare OFF, però ovviamente la risposta elettrica è differente: allora, se illuminiamo solo il centro del campo recettivo della cellula ganglionare OFF questa si iperpolarizza, tipico anche della bipolare della via OFF; se anche qui cominciamo ad allargare un po’ lo spot luminoso e quindi oltre al centro cominciamo a illuminare anche un po’ della periferia, vediamo che l’iniziale iperpolarizazione è seguita immediatamente da un tentativo di ritornare di nuovo al valore di partenza; se, come prima, andiamo a illuminare solo la periferia, addirittura abbiamo una leggera depolarizzazione in corrispondenza dell’illuminazione. Quindi anche qui otteniamo una risposta diametralmente opposta a quella che è propria della cellula ganglionare. Per cui la periferia del campo recettivo contrasta e inibisce ciò che invece accade se illuminiamo il centro del campo recettivo. Questa è una caratteristica fondamentale che spiega buona parte del funzionamento della retina. Andiamo a veder ora la via dei bastoncelli. La via dei bastoncelli, abbiamo detto, è molto convergente
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- dalla figura (la prima della pagina successiva, ndr) abbiamo un’idea dei numeri: pensiamo al rapporto 1:1 che c’è nella fovea tra cono e cellula ganglionare, qua abbiamo che per ogni cellula ganglionare beta, che è quella più piccola, abbiamo una convergenza di circa 21.000 bastoncelli, quindi la risoluuzione spaziale dei 2 sistemi non è assolutamente paragonabile, perché laddove, per quel che riguarda i coni nella fovea, una cellula ganglionare riceve l’informazione che proviene da un singolo cono, qua una cellula ganglionare, fuori dalla fovea ovviamente, riceve l’informazione di 21.000 bastoncelli. Quindi il tipo d’informazione non è paragonabile, c’è un’altissima convergenza sulla cellula ganglionari, aumenta di molto la sensibilità, però a scapito della risoluzione spaziale. Per di più la via dei bastoncelli, di fatto non utilizza una via propria, ma
attraverso
bipolare
del
utilizza
la
cellula
bastoncello
simultaneamente
entrambe le vie dei coni (lo vediamo
nell’immagine).
Abbiamo visto che c’è un tipo di
cellula
bipolare
per
i
bastoncelli.
Questa
cellula
bipolare per i bastoncelli, però, non
prende
contatto
direttamente
sinaptico
con
le
cellule ganglionari, ma prende contatto
sinaptico
con
entrambe le vie delle cellule bipolari dei coni, quindi sia la via OFF che la via ON. La cellula bipolare dei bastoncelli prende contatto sinaptico con una cellula amacrina, che si chiama A2 (AII), e questa cellula amacrina è quella che prende contatto sinaptico con entrambi i tipi delle cellule bipolari dei bastoncelli, ovvero con la via OFF e con la via ON. Questo schemino ci è anche molto utile per capire la
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differenza di funzione tra sinapsi elettrica e sinapsi chimica. La cellula bipolare dei bastoncelli è una cellula ON, lei si depolarizza quando il bastoncello si iperpolarizza; la cellula bipolare dei bastoncelli ha una sinapsi di tipo elettrico con la cellula amacrina di tipo II. Avere una sinapsi elettrica vuol dire che la cellula amacrina di tipo II varierà il proprio potenziale di membrana esattamente come lo sta variando la cellula bipolare del bastoncello, perché la sinapsi elettrica non consente di invertire il segno, trasferisce esattamente la stessa variazione di potenziale elettrico. Allora vorrà dire che quando questa cellula bipolare si depolarizza, si depolarizza anche la cellula amacrina AII. Di conseguenza, per attivare la via ON dei bastoncelli, c’è solamente bisogno di un’altra sinapsi elettrica, quindi la cellula amacrina di tipo II ha una sinapsi elettrica con la cellula bipolare ON dei bastoncelli, perché il segno della risposta rimane conservato (ed è infatti rappresentato da una gap junction, che è una sinapsi elettrica). Al contrario, per poter attivare la via OFF, c’è bisogno di invertire il segno della sinapsi, il segno della risposta, perché la cellula bipolare OFF si iperpolarizza in risposta all’illuminazione del fotorecettore. Allora, in questo caso, la cellula amacrina di tipo II non contrae una sinapsi elettrica con la cellula bipolare di tipo OFF, perché altrimenti fornirebbe una risposta sbagliata a questa cellula, ma ha invece una sinapsi chimica. Quindi anche qui con rilascio di glutammato, recettore metabotrobico per il glutammato, la risposta viene invertita. E quindi tramite l’utilizzo di sinapsi elettriche e, contemporaneamente, di sinapsi chimiche sulle 2 vie ON e OFF dei coni, la cellula amacrina di tipo II può trasferire la stessa informazione che è di tipo ON, perché proviene dai bastoncelli, alle 2 vie dei coni. Quindi ogni volta che un bastoncello risponde a un fotone di luce, di fatto l’informazione portata dal bastoncello simultaneamente percorre entrambe le vie dei coni per giungere alle cellule ganglionari, tramite la cellula amacrina di tipo II che con questo trucchetto di sinapsi elettrica e sinapsi chimica riesce ad avere 2 tipi di risposta diversa in risposta allo stesso tipo di eccitazione dovuta alla cellula bipolare ON. Questi
sono
ganglionari.
diversi
tipi
di
cellule
Anche
tra
le
cellule
ganglionari abbiamo una distinzione tra cellule piccole e cellule grandi, non solo dal
punto
di
vista
morfologico
ma
soprattutto da un punto di vista funzionale.
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Qui abbiamo a confronto 2 gruppi di cellule ganglionari che provengono dalla regione della fovea e a 8 mm dalla regione della fovea. Le dimensioni vanno da quelle più piccole, nelle regione della fovea, a quelle più grandi; ma quello che è più interessante, dal punto di vista della funzione, è che la popolazione è divisa in 2 tipi di cellule ganglionari, che sono le cellule midget o P (per parvocellulari), quindi cellule piccole, sia fuori che all’interno della fovea, che ricevono addirittura da un solo cono, e cellule M (magnocellulari) o parasol, che invece ricevono da molti più coni o bastoncelli, quindi hanno una convergenza molto più accentuata. Questa distinzione tra cellule ganglionari P e cellule ganglionari M vedremo che si conserverà da qui fino alla corteccia visiva primaria, proprio perché è diversa la funzione di una cellula ganglionare che riceve da un solo cono, che sono le midget, le P, rispetto a quelle delle cellule ganglionari che ricevono da più coni differenti, che sono le M o parasol. Allora: le cellule ganglionari hanno risposte ON e OFF, le abbiamo viste prima in termine di risposta del potenziale di membrana. Se noi invece andiamo a registrare dall’assone di una cellula ganglionare la frequenza del potenziale d’azione che questa scarica in risposta a uno stimolo luminoso, vediamo che ne esistono sostanzialmente di 3 tipi diversi, e sono elencati in figura. Qui abbiamo la registrazione da un assone di una cellula ganglionare e sotto abbiamo la durata di uno stimolo luminoso. Abbiamo cellule che si chiamano ON-center che quando vengono illuminate (quando il centro del campo recettivo viene illuminato) incominciano a scaricare o aumentano la frequenza di scarica del potenziale d’azione. Abbiamo delle cellule OFF-center che invece cominciano a scaricare il potenziale d’azione quando cessa l’illuminazione. E poi abbiamo delle cellule ON-OFF che scaricano non appena lo stimolo viene fornito e poi quando viene tolto. Quindi abbiamo tutte e 3 le combinazioni possibili: cellule che scaricano il potenziale d’azione quando insorge lo stimolo (ON-center), cellule che scaricano quando lo stimolo viene meno
(OFF-center),
e
cellule
che
scaricano nei 2 transienti(?), quindi all’ON e all’OFF dello stimolo. Qui vediamo un altro tipo di registrazione un po’ più lunga, per far capire qual è
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l’attitudine della cellula ganglionare, perché esiste questo antagonismo. Nella prima traccia stiamo illuminando solo il centro del campo recettivo e registriamo la frequenza di scarica: vediamo che aumenta la frequenza di scarica della cellula ganglionare se andiamo a illuminare solo il centro del campo recettivo. Se andiamo a illuminare solo la periferia del campo recettivo questa cellula smette di scaricare, ed è abbastanza evidente la differenza tra la situazione di buio e quella d’illuminazione, in entrambi i casi: nel primo la frequenza aumenta, nel secondo diminuisce e va a zero. Se andiamo a illuminare in maniera uniforme il campo recettivo, non c’è una grandissima differenza di frequenza di scarica di potenziale d’azione, qualcosa si intravede ma non è così evidente la differenza. Allora l’esistenza di questo campo recettivo concentrico antagonista ON-OFF fa sì che di fatto le cellule ganglionari non sono fatte per informare i centri superiori di quando il loro campo recettivo è illuminato in maniera uniforme, ma devono informare i centri superiori quando ci sono delle zone di luce e di buio che cadono nel loro campo recettivo. Quindi l’informazione che porta la cellula ganglionare non è un’informazione di luminosità costante, bensì è un’informazione di contrasto, cioè a dire: attenzione che nel mio campo recettivo c’è una parte più chiara e una parte più scura. Perché i contrasti sono le parti più importanti dell’immagine? Perché i contrasti vogliono dire i bordi degli oggetti, vuole dire riuscire a capire cos’è un oggetto e cos’è lo sfondo. Quindi l’informazione rilevante di una scena non è tutto ciò che è uniforme, ma è tutto ciò che non lo è, perché laddove c’è un contrasto vuol dire che c’è un bordo tra un oggetto e un qualcos’altro. Quindi cominciamo a capire un po’ di come funziona poi l’elaborazione del segnale e lo si capisce anche da qua (?) perché se noi illuminiamo in maniera uniforme c’è un po’ di ambiguità nel capire se qua (?) è stato illuminato o se è illuminato qua (?), non c’è una gran differenza, mentre c’è un’enorme differenza invece se illuminiamo solo il centro o solo la periferia, è molto più evidente. Vediamo ora dove proiettano le cellule ganglionari, quindi una volta visto come avviene la trasduzione e in parte l’elaborazione dell’informazione nella retina, vediamo le proiezioni delle vie ottiche. Nella prima immagine (pagina seguente, ndr) vediamo lo schema degli occhi, il campo visivo totale, e cosa ne è degli assoni delle cellule ganglionari che escono da entrambi gli occhi. A livello del chiasma ottico, dall’anatomia ricorderete che i fasci nervosi non si incrociano, però si scambiano un certo contingente di fibre e lo vediamo nell’immagine.
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La retina è divisa in 2 regioni, una regione nasale e una regione temporale. A livello di chiasma ottico le 2 regioni nasali si incrociano tra di loro, quindi tutte le fibre di tutte le cellule ganglionari che hanno i loro campi recettivi a livello delle regioni nasali della retina, dell’emiretina nasale, si incrociano, mentre non si incrociano i contingenti di fibre, gli assoni, che provengono dalle cellule ganglionari
che
hanno
campo
recettivo
nell’emiretina temporale. Allora: di fatto, quello che noi otteniamo,e lo vediamo qui, nella prima stazione di relè (?) delle vie ottiche, che è quella a livello dei corpi genicolati laterali, è che l’emiretina temporale di destra e nasale di sinistra vanno a finire su un genicolato, l’emiretina temporale di sinistra e nasale di destra vanno a finire nell’altro. Perché questo incrocio delle 2 emiretine nasali? Perché ciò che vede l’emiretina temporale di destra è la stessa parte del campo visivo che vede l’emiretina nasale di sinistra. Quindi, questa segregazione che può apparire strana, di fatto fa sì che sullo stesso corpo genicolato laterale arrivino tutte le fibre delle cellule ganglionari di entrambi gli occhi che vedono la stessa porzione del campo visivo. Questo è il significato: la regione temporale di un occhio vede la stessa cosa che vede la regione nasale dell’altro occhio, le 2 regioni nasali si incrociano, e quindi nel corpo genicolato laterale di destra noi abbiamo la proiezione binoculare del campo visivo di sinistra, e viceversa. A livello dei corpi genicolati laterali c’è poi una differenza sostanziale tra la regione che riceve afferenze della via parvocellulare, delle ganglionari midget, e quella che riceve l’afferenza dalla via magnocellulare delle ganglionari parasol, come vediamo nella figura.
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Qui vediamo una sezione di corpo genicolato laterale diviso in diversi strati (6 strati). Questi 6 strati sono alternati e ciascuno di essi riceve un’afferenza controlaterale o ipsilaterale, controlaterale, ipsilaterale, alternati (nella maniera della figura). Quindi c’è una disposizione e un arrangiamento molto preciso, molto definito, della provenienza delle afferenze. Questo è fondamentale per la visione binoculare. Quindi controlaterale – ipsilaterale – controlaterale - ipsilaterale, sia per quel che
riguarda le fibre
magnocellulari, di provenienza dalle radici del (?)magnocellulare, che parvocellulare. La differenza più evidente è la quantità di strati che ricevono le afferenze dalla via parvocellulare rispetto a quella magnocellulare. I primi 2 strati più interni ricevono le afferenze dalla via magnocellulare, quindi da tutte le cellule ganglionari, sostanzialmente, che hanno il proprio campo recettivo al di fuori della fovea, quindi praticamente da tutta la retina tranne la fovea. Mentre gli altri 4 strati dei corpi genicolati laterali ricevono le afferenze di tutte le cellule ganglionari che hanno i corpi cellulari che ricevono appunto afferenze a livello della fovea. Quindi vediamo che sproporzione che c’è tra il numero di cellule ganglionari che riceve le afferenze dei fotorecettori della fovea e che proietta su 4 strati, e l’enorme numero di cellule ganglionari che invece riceve afferenze da tutto il resto dei fotorecettori, che proietta invece su 2 strati. Evidentemente la funzione di questi 2 tipi di informazioni è profondamente diversa: la via parvocellulare è quella che possiede la migliore caratteristica in quanto discriminazione spaziale e discriminazione dei colori; quella magnocellulare no, perchè c’è moltissima convergenza. Dai corpi genicolati laterali, poi, attraverso la radiazione ottica,
l’informazione
passa
alla
corteccia visiva primaria, che è a livello
occipitale
Brodmann.
La
l’area corteccia
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di
visiva
primaria è caratteristica, è quella regione del cervello che si chiama corteccia
striata
proprio
per
la
presenza di una striatura che è la linea del Gennari, ed è dovuta all’enorme spessore del quarto strato della corteccia, che funzionalmente è quello che riceve tutte le afferenze dal sistema sensoriale. In questo caso arrivano talmente tante afferenze dai corpi
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genicolati laterali, che il quarto strato di corteccia è così tanto ampio che determina una striatura molto evidente a livello della corteccia. Quindi le funzioni della corteccia cerebrale sono bene o male simili in tutte le aree della corteccia, per cui la descrizione delle lamine dello strato della corteccia visiva primaria è identica alle altre che vedrete successivamente, quindi non stiamo qua a vederlo nel dettaglio, l’unica situazione da tener presente è che siccome lo strato quarto, che di solito è quello appunto che si occupa di ricevere le afferenze, in questo caso sono talmente tante le afferenze che la corteccia visiva primaria ha uno strato quarto piuttosto cospicuo rispetto al resto della corteccia. Com’è organizzata la corteccia visiva primaria? La corteccia visiva primaria in un certo senso è organizzata come i corpi genicolati laterali. (Allora, quello che vi dico adesso è più oscuro che altro, nel senso che non si conosce ancora nel dettaglio come avvenga l’estrazione dell’informazione visiva a livello della corteccia visiva primaria, quindi ci sono alcune nozioni e si ipotizzano certi tipi di funzionamento, ma ancora le prove certe non ci sono.) Allora: l’organizzazione della corteccia visiva primaria è fatta per cilindri o per colonne di dominanza oculare. Nell’immagine vediamo un cubo che rappresenta un pezzettino di corteccia visiva primaria, i 6 stati della corteccia dal più esterno al più interno, e trasversalmente a questi strati abbiamo delle colonne di dominanza oculare, proprio perché ciascuna colonna riceve le afferenze o controlaterali o ipsllaterali, così come avveniva nei corpi genicolati laterali. Quindi abbiamo questo affiancamento di colonne che ricevono afferenze controlaterali – ipsilaterali – controlaterali – ipsilaterali. Ciascuna di questa colonne, poi, è divisa, e lo vediamo, in tante porzioni le cui cellule rispondono in maniera preferenziale se uno stimolo luminoso ha una certa direzione nel campo visivo. Quindi: sperimentalmente sono andati a registrare l’attività delle cellule che compongono la corteccia visiva primaria e si è visto che in queste regioni ciascun gruppo di cellule che è ospitato in ciascuna regione, risponde se lo stimolo luminoso sta viaggiando in un certo modo nel campo visivo. Quindi in qualche modo a livello di queste
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cellule viene estratta un’informazione che è la presenza di linee preferenziali nel campo visivo, però più di così ancora non si capisce. Inoltre, in ciascuna colonna, sono presenti queste strutture cilindriche che si chiamano bleb o blob e servono per estrarre l’informazione di colore. Quindi le cellule ospitate in questi blob (che sono i cilindri all’interno di ciascuna colonna) non hanno a che vedere con l’estrazione spaziale dell’informazione ma estraggono l’informazione di colore. Come facciano non è ancora noto del tutto, però di fatto la codificazione del colore avviene lì, in queste cellule, che sono quelle che rispondono alle differenze cromatiche sulla scena, e rispondono solo a quelle. In più dobbiamo anche estrarre l’informazione rilevante per quello che riguarda la tridimensionalità della scena. Pare che l’informazione riguardante la tridimensionalità della scena venga estratta dalle cellule che si trovano ai confini tra le 2 colonne di dominanza oculare, perché le cellule che si trovano al confine tra le colonne di dominanza controlaterale e ipsilaterale sono le uniche che ricevono afferenze da entrambi gli occhi, e ricevono le informazioni che riguardano lo stesso punto del campo visivo, per come sono organizzate le proiezioni. Quindi di fatto le cellule localizzate all’interfaccia tra le colonne di dominanza oculare sono quelle responsabili di estrarre l’informazione che riguarda la tridimensionalità della scena, in un modo che adesso andremo a vedere. Quindi le varie informazioni sono estratte in punti diversi della corteccia visiva primaria ad opera di popolazioni cellulari differenti che si occupano solamente di estrarre questo tipo di informazioni. La retina non proietta solo alla corteccia visiva primaria, ma proietta anche ad altre regioni, in particolare sono interessanti il collicolo superiore e la regione pre-tettale. Il collicolo superiore è importante perché è la regione dell’encefalo che presiede ai movimenti rapidi degli occhi. Questa regione riceve sia afferenze da parte della corteccia visiva primaria, sia direttamente dalla retina, e tramite le sue efferenze, che vanno a prendere contatto sinaptico coi muscoli oculomotori, di fatto controlla i movimenti saccadici, cioè i movimenti rapidi degli occhi, di puntamento degli occhi (quando noi giriamo il nostro sguardo verso un punto della scena che ci interessa, questo movimento è stato comandato e controllato dal collicolo superiore). La regione del pre-tetto (pretettale) invece è importante, anche da un punto di vista clinico, perché media il riflesso pupillare. Credo già sappiate che se andate a illuminare un occhio con una luce avete una costrizione(?) della pupilla dell’occhio illuminato e una risposta consensuale nell’occhio
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non illuminato. Questo arco riflesso è dovuto al sistema parasimpatico ed è mediato da circuiti che passano a livello della regione del pre-tetto. Quindi la compromissione del riflesso di illuminazione di costrizione dell’iride, ossia sulla risposta diretta, si chiama quella dell’occhio illuminato che è quella consensuale, di fatto è indice di una compromissione delle parti più profonde dell’encefalo, perché la regione del pre-tetto si trova a livello profondo dell’encefalo, quindi ha un significato clinico e diagnostico non indifferente ed è a carico del sistema parasimpatico. Vediamo adesso, invece, i sistemi che ci consentono di osservare la scena. Fin’adesso abbiamo visto come la scena viene trasdotta e qual è il flusso delle informazioni e chi si occupa di estrarre l’informazione, adesso cerchiamo di vedere come noi più o meno volontariamente fissiamo lo sguardo su un certo particolare della scena. Ci sono 6 sistemi che controllano il posizionamento degli occhi. La via finale comune di tutti questi 6 sistemi sono i 3 nuclei oculomotori, perché chiaramente è tramite la muscolatura estrinseca dell’occhio che poi avviene il controllo della posizione dello sguardo. Però chi comanda i muscoli oculomotori sono 6 sistemi diversi. Quindi abbiamo: 1. le saccadi, che sono i movimenti veloci degli occhi, 2. i movimenti lenti di inseguimento, quando stiamo inseguendo un oggetto che corre nel campo visivo, 3. i movimenti di vergenza, per mettere a fuoco oggetti più o meno distanti, 4. i movimenti vestibolo-oculari, che ci consentono di mantenere fisso il punto di osservazione indipendentemente dai movimenti del capo o del tronco, 5. i movimenti optocinetici, che svolgono la stessa funzione dei vestibolo-oculari per gli oggetti che si muovono sulla scena, 6. la fissazione, sistema che ci consente di tenere gli occhi fissi su un determinato punto. Vediamo brevemente come funzionano questi sistemi, partendo dalle saccadi. Le saccadi sono dei movimenti rapidissimi dell’occhio, nell’ordine dei 900 gradi al secondo (900°/s), gradi di rotazione dell’occhio (non gradi centigradi), quindi ci consentono di posizionare immediatamente gli occhi sul punto della scena che ci interessa. Dicevamo che il controllo delle saccadi è dovuto al collicolo superiore, che poi va a comunicare il comando motorio vero e proprio alla muscolatura estrinseca dell’occhio, però l’origine e il controllo dell’ampiezza del movimento saccadico in realtà è differente a seconda che si tratti di una saccade orizzontale (che è sul piano orizzontale) o verticale. Il controllo delle saccadi
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orizzontali è dovuto alla formazione reticolare pontina mentre quella verticale è dovuto alla formazione reticolare mesencefalica. Quindi l’assenza, in una persona, di un certo tipo di saccade, può essere indice di compromissione o della regione reticolare pontina o di quella mesencefalica, a seconda di quale saccade non compare più, quindi da certi tipi di assenza di riflesso si può arrivare a capire cosa c’è che non va nel sistema nervoso centrale. Il ruolo del collicolo superiore in realtà è anche quello di far spostare gli occhi in seguito a uno stimolo di un’altra modalità sensoriale, ad esempio noi possiamo puntare il nostro sguardo in un punto da cui sentiamo provenire un suono. Quindi non è stato uno stimolo visivo che ha fatto girare gli occhi, ma è stato uno stimolo sonoro che ha causato lo spostamento degli occhi. Questa associazione tra modalità di stimolazione diverse è ad opera del collicolo superiore, perché a livello del collicolo superiore proiettano le diverse modalità sensoriali e quindi è possibile far interagire queste informazioni e far sì che se noi sentiamo un rumore forte verso sinistra noi spostiamo immediatamente lo sguardo verso sinistra. È una saccade comandata dal collicolo superiore, perché il collicolo superiore è l’unico punto dell’encefalo dove possiamo metter insieme l’informazione del rumore e la sua provenienza con il comando di direzione dell’occhio. Poi abbiamo i movimenti lenti d’inseguimento. I movimenti d’inseguimento mantengono fissa, sulla fovea, un’immagine in movimento. Perché abbiamo questa necessità di mantenere l’immagine fissa sulla fovea? Perché la fovea, come abbiamo detto, è l’unico punto di tutta la retina dove noi riusciamo ad avere la miglior visione possibile, è quella con la maggior densità di coni e bastoncelli, è quella con il maggior numero di proiezioni verso la corteccia visiva primaria. Quindi tutti gli oggetti che ci interessano, l’immagine della parte del campo visivo che ci interessa, deve necessariamente cadere sulla fovea per essere capita, compresa, altrimenti non c’è modo di estrarre un’informazione sufficiente dalle altre parti del campo visivo. Il movimento lento d’inseguimento è un movimento che ha bisogno dell’interazione tra la corteccia cerebrale e la regione flocculare del cervelletto, quindi un circuito un pochino più ampio. I movimenti di vergenza, invece, sono quelli che consentono di mettere a fuoco un oggetto vicino o un oggetto lontano sulla retina; però il sistema che attiva i movimenti di vergenza è il sistema parasimpatico che, parallelamente alla vergenza degli occhi, attiva altri 2 movimenti, uno è l’accomodazione del cristallino e il secondo è la costrizione dell’iride. Sono 3 meccanismi che vengono attuati simultaneamente, tutti e 3 sotto il controllo del
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sistema parasimpatico. Quindi, quando noi dobbiamo mettere a fuoco un oggetto vicino, a partire dall’infinito, dobbiamo far convergere gli occhi e facendo convergere gli occhi il cristallino si accomoda aumentando il potere diottrico per mettere a fuoco un oggetto più vicino e contemporaneamente l’iride si restringe un poco per migliorare la profondità di campo; così come in una macchina fotografica si stringe il diaframma per migliorare la profondità di campo, così l’iride compie lo stesso movimento. In questo modo, aumentando la profondità di campo, quando noi osserviamo oggetti vicini non dobbiamo continuamente accomodare il cristallino anche se la distanza dell’oggetto varia di poco. Se non ci fosse la costrizione dell’iride io per mettere a fuoco il mouse, la tastiera e il monitor dovrei continuamente accomodare il cristallino, perché si trovano a distanze piccole ma diverse tra di loro. Costringendo l’iride, per un fenomeno ottico particolare, di fatto aumento la profondità di campo e quindi, senza dover più cambiare l’accomodazione del cristallino, io ho ragionevolmente a fuoco sia il mouse che la tastiera che il monitor, senza continuamente dover far cambiare di forma il cristallino. Questi 3 meccanismi avvengono sempre simultaneamente, non è possibile prescindere da uno di questi, e sono attivati tutti e 3 dal sistema parasimpatico. I movimenti vestibolo-oculari, che vedrete meglio parlando del sistema vestibolo-oculare, servono a compensare la rotazione o la traslazione del capo, sia attorno all’asse y che attorno all’asse x, quindi sia movimenti rotatori che in un piano verticale che in un piano orizzontale, però questi movimenti li vedrete meglio successivamente. Lo schemino indica come mai – prima si parlava di divergenza degli occhi – è necessario far convergere gli occhi per mettere a fuoco l’immagine di un oggetto vicino. Allora: il significato della vergenza degli occhi è che l’oggetto a fuoco, l’immagine proiettata sulla retina dell’oggetto a fuoco, deve cadere in regioni omologhe della retina, ed è questo il caso: in questo caso i 2 occhi stanno puntando il pallino grigio, quindi l’immagine retinica di quel pallino grigio, se gli occhi sono stati fatti convergere in maniera appropriata, cade in regioni omologhe della retina. Dal punto di vista delle cellule che sono deputate a dare l’informazione di tridimensionalità della scena, tutti i punti di quell’oggetto che è a fuoco ed è al centro del campo visivo, hanno disparità
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retinica uguale a zero, ovvero cadono in regioni omologhe della retina. Tutti i punti più lontani e più vicini che sono presenti nel campo visivo, hanno una disparità retinica diversa da zero, il che significa che non cadono in punti omologhi della retina. Il confronto tra tutti questi oggetti che compongono il campo visivo operato da quelle cellule che, dicevamo, esistono all’interfaccia tra le colonne di dominanza oculare, perché sono le uniche che possono capire se in un punto del campo visivo cade lo stesso oggetto oppure no, perché ricevono afferenze da entrambi gli occhi, da entrambe le emiretine, il confronto di tutte le disparità retiniche del campo visivo dà l’idea di profondità, a partire dal punto che viene messo a fuoco. Questo è il meccanismo. I punti che hanno disparità retinica diversa da zero non sono quindi singoli ma danno origine a un’immagine sdoppiata dell’oggetto, ed è molto semplice, di esperienza comune, se voi mettete a fuoco lontano e mettete il dito davanti agli occhi vedete 2 dita, non uno solo, perché in quel momento i 2 occhi non stanno convergendo sul dito e quindi l’immagine del dito è proiettata in 2 regioni non omologhe dei campi visivi. Esistono 2 tipi di questa che è un diplopia fisiologica: sono incrociata o diretta a seconda che l’oggetto sia prima o dopo l’oggetto messo a fuoco. E poi abbiamo gli ultimi 2 sistemi di movimento degli occhi, che sono i movimenti optocinetici e poi la fissazione. Il movimento optocinetico è un sistema che consente di mantenere centrato sulla fovea un oggetto che si sta spostando nel campo visivo – quindi ovviamente sfrutta quello che è il sistema che comanda i movimenti lenti d’inseguimento dell’occhio che abbiamo visto prima. Per far questo ha bisogno di decifrare l’informazione visiva, perché bisogna capire che c’è un oggetto che ci interessa nel campo visivo, capire che questo oggetto si muove e poi comandare l’aggiustamento di posizionamento degli occhi man mano che l’oggetto si muove. Questo è un sistema analogo a quello vestibolo-oculare però con delle differenze sostanziali, perché il sistema vestibolo-oculare ha un guadagno molto elevato, per cui non commette errori ma funziona solo quando il capo sta ruotando e l’immagine è ferma. Se invece noi siamo fermi ed è un qualche punto dell’immagine che si muove, dobbiamo utilizzare il sistema optocinetico, perché non abbiamo nessuna afferenza da parte del sistema vestibolare, come vedrete successivamente. Il problema è che il sistema optocinetico è intrinsecamente poco efficiente perché, dal momento che prima bisogna decifrare l’immagine visiva, per capire che c’è qualcosa che deve essere seguito, la decifrazione dell’immagine visiva, dal
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momento che è un sistema molto complesso, impiega qualche centinaio di millisecondi; quindi la correzione al puntamento(?) degli occhi che viene comandata tramite il riflesso optocinetico è sempre in ritardo rispetto alla vera posizione dell’oggetto, perché dal momento in cui abbiamo visto l’oggetto in quel punto fino a quando è stata decifrata la sua posizione, è dato il comando, sono passati almeno un centinaio di millisecondi; quindi l’oggetto non è più lì, si trova da un’altra parte, però il comando di correzione viene dato sulla posizione iniziale dell’oggetto. Quindi è un sistema abbastanza efficiente ma che non può avere la stessa efficienza che ha il sistema vestibolo-oculare, perché intrinsecamente l’origine del riflesso è la decifrazione dell’immagine visiva che impiega necessariamente del tempo e quindi la correzione è sempre sbagliata, non sbagliatissima ma sempre sbagliata. L’ultimo sistema che controlla la posizione degli occhi è quello di fissazione. Il sistema di fissazione anche qui è appannaggio del collicolo superiore nella parte più rostrale ed è necessario un sistema di fissazione che in realtà non fa muovere gli occhi ma anzi li mantiene fermi, perché deve in qualche modo inibire tutti gli altri centri che invece tendono a far spostare lo sguardo. Quindi la necessità di un sistema di fissazione è quella di avere una regione, in questo caso del collicolo superiore, la più rostrale, che quando fortemente attivata in maniera volontaria perché noi vogliamo mantenere la nostra attenzione fissa su un certo particolare della scena, impedisce che tutti gli altri tipi di riflessi che abbiamo visto in qualche modo possano spostare gli occhi dal punto che stiamo osservando. Quindi la forte attivazione del centro della fissazione del collicolo superiore inibisce parzialmente tutti gli altri tipi di riflesso, specialmente le altre regioni del collicolo superiore che sono quelle che presiedono alle saccadi, quindi ai grossi movimenti degli occhi, in modo tale da mantenere il più fisso possibile lo sguardo sul punto che ci interessa.
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