Relazione_delibera Acqua

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DELIBERA DI MODIFICA DELLO STATUTO COMUNALE

Oggetto: Modifica ed integrazione dello Statuto Comunale.

Definizione dei servizi pubblici comunali privi di rilevanza economica

Il Consiglio Comunale di Pescara PREMESSO CHE

l'acqua rappresenta fonte di vita insostituibile per gli ecosistemi, dalla cui disponibilità dipende il futuro degli esseri viventi; l'acqua costituisce, pertanto, un bene comune dell'umanità, il bene comune universale, un bene comune pubblico , quindi indisponibile, che appartiene a tutti; il diritto all'acqua è un diritto inalienabile: l'acqua non può essere proprietà di nessuno, bensì bene condiviso equamente da tutti, l’accesso all’acqua deve essere garantito a tutti come un servizio pubblico; l'accesso all'acqua, già alla luce dell’attuale nuovo quadro legislativo, e sempre più in prospettiva, se non affrontato democraticamente, secondo principi di equità, giustizia e rispetto per l'ambiente, rappresenta una causa scatenante di tensione e conflitti all'interno della comunità internazionale e una vera emergenza democratica e un terreno obbligato per autentici percorsi di pace sia a livello territoriale sia a livello nazionale e internazionale; Ritenuto necessario, sancire nello Statuto comunale lo status del servizio idrico come servizio pubblico locale privo di rilevanza economica Visto il vigente Ordinamento degli Enti Locali; Visto lo Statuto comunale, DELIBERA di integrare lo Statuto comunale con l'introduzione del seguente articolo: Articolo n. 60bis Definizione dei servizi pubblici comunali privi di rilevanza economica

Il Comune, visti gli articoli 1, 2, 3, 5, 43, 114, 118 della Costituzione, riconosce i servizi pubblici locali quali: servizio idrico, servizio sanitario, igiene pubblica, servizi sociali, istruzione pubblica, tutela dei beni cuturali e delle risorse ambientali e paesaggistiche e quant'altro riconoscerà il Consiglio comunale, di preminente interesse generale. Riconosce il diritto umano all'acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto umano universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico. Conferma il principio che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà; nonché il principio che in ambito pubblico devono essere mantenute la proprietà delle reti e la gestione del s.i.i.. Riconosce al servizio idrico integrato lo status di servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e senza fini di lucro, la cui gestione va attuata secondo gli artt. 31 e 114 del d. lgs n. 267/2000, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire il diritto universale all’acqua e pari dignità umana a tutti i cittadini.

RELAZIONE Il recente art. 15 del D.L. 135/09 - approvato definitivamente dalla Camera dei Deputati il 19 Novembre 2009 - introduce alcune modifiche all’art. 23 bis della Legge 133/08 e muove passi ancora più decisi verso la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri servizi pubblici locali, prevedendo l’obbligo di affidare la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica o, in alternativa a società a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40%. Tale provvedimento sottrarrà ai cittadini ed alla sovranità delle Regioni e dei Comuni l’acqua potabile di rubinetto, il bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati. Si tratta di una scelta discutibile sia per un concetto inviolabile che annovera l’acqua come un diritto universale e non come merce, ma anche per le ripercussioni disastrose che una privatizzazione potrebbe generare sui cittadini in funzione della crescita delle tariffe. Anche in presenza dell’art. 15 del D.L. 135/09, rimane possibile dar vita ad una gestione pubblica del servizio idrico integrato che si realizza pienamente attraverso

l’affidamento ad un Ente di diritto pubblico, strumentale dell’Ente diretto Locale (Consorzio tra Comuni, Azienda speciale, Azienda speciale consortile). La strada per arrivare a tale risultato, in particolare per costruire un Azienda speciale consortile, è sostanzialmente la seguente: tale strada passa attraverso l’inserimento negli Statuti Comunali dei Comuni dell’ATO di una specifica formulazione che definisca il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica. Ciò è pienamente legittimo, in quanto l’Unione Europea demanda ai singoli Stati membri il fatto di definire quali siano i servizi a rilevanza economica e quali privi di rilevanza economica e la normativa del nostro Paese non si è mai pronunciata esplicitamente in questa direzione. L’unico riferimento esistente in proposito risale al comma 16 dell’art.35 della legge 448/2001 (legge Finanziaria 2002), con il quale il governo era impegnato, nell’arco di tempo di 6 mesi, ad emanare un regolamento per definire i servizi pubblici locali da considerarsi “a rilevanza industriale”. Regolamento che non è mai stato presentato. Con tale operazione, i Comuni dell’ATO hanno la potestà di decidere quale forma gestionale intendono adottare per la gestione del servizio idrico in quanto servizio privo di rilevanza economica, e, quindi, scegliere di affidarlo direttamente ad un’Azienda speciale consortile da essi costituita. Infatti, con la sentenza n. 272 del 27 luglio 2004 la Corte Costituzionale è intervenuta nell’ambito della normativa che disciplina i servizi pubblici locali. Con tale sentenza la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, comma 1 e 2, del D.L. 269/2003 ("Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici") in quanto tali norme determinavano un’illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale in materia di servizi pubblici locali. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, tra le norme abrogate, anche dell’art. 113 bis del D.Lgs. 276/2000 (TUEL), cioè di quell’articolo che disciplinava i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica. Secondo la Sentenza citata, infatti, “il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale”. Il legislatore statale, quindi, in materia di servizi può legiferare soltanto in riferimento al tema della “tutela della concorrenza”, tutto il resto è demandato al livello locale. A questo punto per l’Ente Locale è possibile il ricorso all’articolo 114 (azienda speciale) del TUEL, che, combinato con l’art. 31 dello stesso TUEL, porta a dar vita ad un’Azienda speciale consortile. Vanno sottolineati, sia pure in modo sintetico, i motivi per i quali la scelta dell’affidamento ad un’Azienda speciale consortile sia quella realmente rispondente ad una gestione pubblica del servizio idrico, a differenza dell’affidamento ad una SpA “in house”. Le ragioni sono sostanzialmente tre: la prima, di carattere “pratico”, ma che non va sottovalutata, è relativa al fatto che la scelta della SpA “in house”, per la sua natura ambigua, di essere contemporaneamente società di diritto privato e organo dell’Amministrazione pubblica, è sottoposta a molte verifiche e contenziosi. Lo dimostra da ultimo, ad esempio, il provvedimento di indagine disposto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori su tutte le 64 Spa

a totale capitale pubblico che gestiscono il servizio idrico nel nostro Paese, così come l’ultima procedura di infrazione 2007/4269 attivata dalla Commissione europea nei confronti dell’ATO2 Marche Centro-Ancona. La seconda ragione è decisamente più di sostanza, nel senso che un Ente pubblico si muove nell’ambito del diritto pubblico, mentre una SpA, anche se a totale capitale pubblico, rientra in quello del diritto privato. Ora, questa differenza non è affatto secondaria o puramente di principio, anche se questo piano non va assolutamente sottovalutato. Infatti quando parliamo di acqua, di un bene comune essenziale per la vita e di un diritto umano da garantire a tutti, le questioni di valore e di principio non possono essere facilmente eluse. Stare nell’ambito del diritto pubblico o in quello privato non è assolutamente la stessa cosa in termini di conseguenze per chi usufruisce del servizio: essere azienda di diritto privato significa dover rispondere all’obiettivo di produrre utili, mentre un Ente pubblico assume come vincolo il pareggio di bilancio. Il che, per esempio, non è decisamente indifferente nella fissazione dell’andamento tariffario, a partire dal riconoscimento della remunerazione del capitale aziendale investito in una misura pari al 7%, e, più in generale, per l’insieme delle scelte gestionali che un’azienda deve assumere. La terza ragione è la consapevolezza che la spa spesso ha consentito forti degenerazioni clientelari e scarsa trasparenza per l’assenza di quelle regole che caratterizzano un ente diritto pubblico. Un servizio pubblico va gestito con un quadro di regole che garantiscano trasparenza ed efficienza e non alimentare la crescita dei costi impropri della politica. Per tutte queste ragioni è indispensabile che ogni Comune riconosca nel proprio Statuto il Diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico e, soprattutto, che la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, e quindi la cui gestione va attuata attraverso gli Artt. 31 e 114 del d.lgs n. 267/2000.

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