Provincia Autonoma di Trento
Servizio Sanitario Provinciale
O
Punto mega
SPEDIZIONE IN A.P. - ART. 2 COMMA 20/B 45% - LEGGE 662/96 - DC TRENTO-
Quadrimestrale - Nuova serie - Anno V n. 12-13/2003
ALLA LLA RICERCA RICERCA DELLE MENTI PERDUTE PERDUTE
Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
Punto Omega Rivista quadrimestrale del Servizio Sanitario del Trentino Nuova serie Anno V/dicembre 2003 numero 12/13 Registrazione del Tribunale di Trento n. 1036 del 6.10.1999 © copyright 2003 Provincia Autonoma di Trento Tutti i diritti riservati. Riproduzione consentita con citazione obbligatoria della fonte Direttore Remo Andreolli Direttore responsabile Alberto Faustini Coordinamento redazionale ed editoriale Vittorio Curzel Redazione a cura del Servizio Programmazione e ricerca sanitaria
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Questo numero è stato realizzato con la collaborazione del MUSEO
STORICO
IN TRENTO
ONLUS
Hanno scritto per questo numero: Carmelo Anderle,
Renzo Anderle,
Pius Dejaco,
Valerio Fontanari,
Fabrizio Fronza,
Casimira Grandi,
Domenico Luciani,
Giuseppe Pantozzi,
Gian Piero Sciocchetti,
Rodolfo Taiani,
Lorenzo Toresini,
Alfredo Vivaldelli.
Grafica e impaginazione a cura del Servizio Programmazione e ricerca sanitaria Art Director Vittorio Curzel Progetto grafico Giancarlo Stefanati Editing Attilio Pedenzini Giovanna Forti Stampa Tipografia Alcione Trento
Provincia Autonoma di Trento Servizio Programmazione e Ricerca sanitaria Via Gilli, 4 38100 Trento tel. +39.0461.494037 fax +39.0461.494073 e-mail:
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Il disegno di copertina e quelli alle pagg. 11, 16, 19, 20, 22, 24, 26, 28, 31, 33, 43, 46, 71, 73, 86, 89, 111, 112, 115, 126 sono di Bruno Caruso e sono tratti da “Dai luoghi della follia. Disegni del manicomio di Palermo 1953 1958 e oltre”. Edimond, Città di Castello (PG), 2000.
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Remo Andreolli Editoriale Alfredo Vivaldelli Il superamento dell’ospedale psichiatrico provinciale di Pergine Valsugana (Interventi al Seminario del 30 novembre 2001)
Lorenzo Toresini 15 Alla ricerca delle menti perdute: ragioni di un seminario a Trento Domenico Luciani 21 La terza utopia Gian Piero Sciocchetti 29 Edificazione di un manicomio Renzo Anderle 42 Un luogo per nuove politiche sociali Carmelo Anderle, Fabrizio Fronza 49 Il recupero del parco Casimira Grandi 74 Tracce per una riflessione (Altri interventi) Rodolfo Taiani 83 Un manicomio, una storia, un progetto Pius Dejaco 93 Il manicomio provinciale tirolese di Pergine (1912) Giuseppe Pantozzi 108 Il manicomio di Pergine, istituto interprovinciale
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anno cinque numero dodici/tredici
Valerio Fontanari 113 Gli infermieri di Pergine. Cento anni di storia Scheda 1 128 Il riuso organico dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana Scheda 2 130 Bibliografia
“Serrati gli uni contro gli altri dalla crescita del loro numero e dalla moltiplicazione dei collegamenti, accomunati dal risveglio della speranza e dell’angoscia per il futuro, gli uomini di domani lavoreranno per la formazione di una coscienza unica e di una conoscenza condivisa”. Pierre Teilhard de Chardin “Punto Omega”, nel pensiero di Teilhard de Chardin, filosofo e teologo vissuto tra il 1881 e il 1955, è il punto di convergenza naturale dell’umanità, laddove tendono tutte le coscienze, nella ricerca dell’unità che sola può salvare l’Uomo e la Terra. “Punto Omega” è anche il titolo scelto per la rivista quadrimestrale del Servizio sanitario del Trentino ideata nel 1995 da Giovanni Martini, poiché le sue pagine vogliono rappresentare un punto di incontro per tutti coloro che sono interessati ai temi della salute e della qualità della vita.
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Editoriale
el processo di crescita e di progresso civile della società italiana la legge n.180/78 ha costituito certamente un significativo passo avanti, preve dendo la deistituzionalizzazione del malato psichiatrico e la sua integra zione nell’ambiente relazionale e so ciale di riferimento, anche attraver so modalità assistenziali di tipo co munitario, restituendo dunque a que sti individui la loro dignità di esseri umani. Credo che sarebbe un errore tornare indietro su questo punto, come vor rebbero le proposte di modifica della legge di riforma psichiatrica attual mente in discussione a livello nazio nale. Tali proposte non considerano infatti che i disagi, le sofferenze e anche le situazioni estreme che non di rado le famiglie di questi pazienti soffrono, non sono dovute al fatto che la normativa sia sbagliata, ma piut tosto al fatto che essa non è stata applicata nella sua interezza.
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Gli ostacoli e le difficoltà di attuazio ne che a 25 anni dall’approvazione della Legge Basaglia sono ancora pre senti, seppure a diversi livelli, sul ter ritorio nazionale, sono prima di tutto barriere di carattere culturale, espressioni del rifiuto di considerare le possibilità di cura e di riabilitazio ne della malattia mentale, superan do lo stigma di irrecuperabilità, di pa ura, di indifferenza e di emarginazio ne che la caratterizza. Sulla base di questi presupposti, in provincia di Trento abbiamo comple tato il processo di superamento del l’Ospedale psichiatrico di Pergine Val sugana pensando alla contempora nea costruzione di una rete integra ta tra sanità ed assistenza, con ser vizi residenziali diffusi sul territorio, sia per ricollocare i pazienti dell’ex
O.P., sia per i casi sorti dopo la sua chiusura nel 1978. Sono state create variegate tipologie di soluzione a se conda delle situazioni patologiche personali e dell’evoluzione delle stes se, per permettere ai pazienti di com piere un percorso orientato, per quan to possibile, verso la riacquisizione della socialità e dell’autonomia. In questo momento di riqualificazio ne dell’assistenza psichiatrica in Tren tino, proiettata alla piena realizzazio ne dei principi ispiratori della legge n.180, ci sono sembrate di particola re interesse le iniziative intraprese dal Museo Storico in Trento con l’in tento di ripercorrere la storia dell’isti tuzione manicomiale di Pergine Val sugana, nella sua progressiva trasfor mazione, nel suo rapporto con il ter ritorio e con l’evoluzione della comu nità locale, promuovendone la memo ria e lo studio, per riflettere e per in terpretare le dinamiche che hanno condotto nel tempo al suo supera mento e per ricordare, a monito per il futuro, la sofferenza e le vite delle donne e degli uomini persi e dimenti cati nel passato all’interno delle mura delle istituzioni manicomiali. A que sto tema è dedicato questo nuovo nu mero di Punto Omega, realizzato con la collaborazione del Museo, in occa sione dell’iniziativa “Alla ricerca del le menti perdute - Viaggi nell’istitu zione manicomiale”.
Remo Andreolli Assessore provinciale alle politiche per la salute
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Il superamento dell’ospedale psichiatrico provinciale di Pergine Valsugana Alfredo Vivaldelli
Le strutture psichiatriche tra storia e prospettive.
Sono stato tentato di titolare que sto mio contributo "l’Ospedale psi chiatrico provinciale c’è ancora" in reazione alla fretta che colgo nel ten tativo si scotomizzare l’esistenza di questa struttura. Mi riferisco ad al cuni articoli di giornali quotidiani apparsi in questi ultimi mesi "Dopo 120 anni sparisce il mani comio", "Il manicomio non esiste più", "La follia rimossa dalla men te: all’ex manicomio vivono anco ra, abbandonati e dimenticati qua rantatre sudtirolesi". Un altro motivo che mi spinge rebbe a sostenere questo titolo è la rapidità con cui si sono occupati gli spazi da sempre riservati ai pazienti per assegnarli ad altri servizi: scuo la, Villa Rosa, servizi vari. Se da un lato è da ritenere ragionevole che le amministrazioni si preoccupassero di trovare un idoneo riutilizzo degli spazi lasciati liberi dalla lenta ma progressiva riduzione del ricoverati, dall’altra sarebbe stato forse oppor tuno progredire nel rispetto dell’esi stente. Invece ora siamo "sfratta ti" da luoghi nati apposta per ac 4
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cogliere persone ammalate ma nel lo stesso tempo scomode e dob biamo trovare nuovi luoghi non facili da reperire come si può re gistrare anche dai contradditori interventi sui giornali. In questa prima parte del mio in tervento mi piacerebbe riproporre pubblicamente il problema di que sta realtà che sembra vissuto più come un ingombro che non come un bisogno da soddisfare. Nel tentativo di trovare una spiegazione di questo fenomeno, nella seconda parte af fronterò la clinica del mondo psico tico e della cronicità psichiatrica e nell’ultima parte approfondirò la questione della difficile avventura della presa in carico da parte degli operatori. I processi di deistituzionalizzazione L’ex Ospedale psichiatrico provin ciale ha cominciato la sua opera di deistituzionalizzazione nei pri mi anni settanta con la riorganiz zazione in “settori”. Non tutti ricordano che in precedenza l’ospedale era organizzato in reparti che ospitavano pazienti suddivisi per qualità e intensità della patologia. Con la “settorializzazione” si intro duceva il concetto della territoria lizzazione dell’assistenza psichiatri ca nel senso che ogni area geografi ca del territorio trentino aveva in Ospedale psichiatrico il suo reparto seguito dalla stessa équipe di medi ci, assistenti sociali, infermieri e as sistenti sanitarie, con il compito di seguire il paziente nel suo percorso clinico sia dentro che fuori dall’Ospe dale psichiatrico.
Questa organizzazione, seppure all’epoca molto criticata in Italia, ha permesso una lenta e monitorata ri duzione dei ricoveri tanto che la leg ge 180 del maggio 1978 non ha vi sto l’esodo e l’invasione delle nostre città e paesi da parte degli ex OP (come venivano chiamati in modo piuttosto dispregiativo i pazienti di messi) come invece avvenne in altre città d’Italia. Questa legge ha totalmente spo stato l’asse dell’intervento sul terri torio e in provincia di Trento si sono immediatamente organizzati undici centri di salute mentale con quattro servizi psichiatrici di diagnosi e cura (dall’inizio di quest’anno sono tre per la chiusura del servizio psichiatrico di diagnosi e cura di Mezzolombar do). Dopo il dicembre 1981 in Ospe dale psichiatrico non fu più possibi le ricoverare, ma erano ancora pre senti circa cinquecento persone. Da questo momento l’attenzione dei tecnici operanti sul territorio si concentrò sul cercare nuove tecni che e far nascere nuove strutture che rispondessero adeguatamente ai bi sogni dei pazienti, delle famiglie e della società prendendo a riferimen to le più moderne concezioni ezio patogenetiche e di cura della soffe renza mentale È stata una ricerca in tensa con uno stimolo continuo a studiare, sperimentare, verificare le teorie delle diverse e spesso contrap poste scuole di riferimento che ha portato la psichiatria trentina ad alti livelli nel panorama nazionale. Purtroppo anche per gli addetti ai lavori operanti sul territorio, l’Ospedale psichiatrico provinciale Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
cadde nel dimenticatoio tanto che si interruppe quel rapporto tra ospe dale e territorio garantito della set torializzazione. L’Unità operativa del l’ospedale psichiatrico faticava molto a coinvolgere le unità operative ter ritoriali su progetti di dimissioni no nostante uno stimolo continuo ve nisse dal Dipartimento di psichiatria, sollecitato peraltro anche dalle leg gi nazionali e dai provvedimenti pro vinciali. Nel 2001 dopo una attenta rico gnizione da parte di una commissio ne del Dipartimento di psichiatria che ha portato alla sistemazione alter nativa di alcuni pazienti e in occa sione dell’inaugurazione del rinno vato reparto "Pandolfi", la popo lazione dell'Ospedale psichiatrico, che era ancora di 185 persone, venne distribuita in tre aree: psi chiatria, geriatria e disabilità. I pazienti con prevalenti problemi geriatrici vennero collocati nel re parto Pandolfi, quelli con proble mi di disabilità al Perusini II e III piano e i pazienti con prevalenti problemi psichiatrici vennero sud divisi in un reparto più assistito al I piano Perusini e in alcune case famiglia ospitate al reparto Bene detti. Nel dicembre 2001, con delibera n. 3356, la Giunta provinciale asse gna all'Azienda provinciale per i ser vizi sanitari l’obbiettivo di superare entro il 2002 l’Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana e ricollocare i pazienti in residenze sanitarie assi stenziali e strutture psichiatriche. Quando nel febbraio 2002 arrivo a Pergine con l’incarico di direttore dell'Unità operativa 3 di psichiatria, 5
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tra gli altri, mi confronto con que sto obbiettivo enorme non tanto sul piano formale ma piuttosto sul piano culturale. Si lavora su più fronti: con l’Azienda provinciale servizi sanitari, con il personale, con i famigliari, con il Tribunale dell’ammalato, con l’Unità di va lutazione multidimensionale, con i pazienti, con i tutori, con il Tri bunale civile, con gli uffici ammi nistrativi, con i Medici di medicina generale, con i vari gruppi di vo lontariato, con il Centro di salute mentale di Pergine e con sporadi ci contatti con pochi altri centri di salute mentale, con il tempo. Vi risparmio l’interessante proces so che ha portato alla delibera del Direttore generale dell'Azienda pro vinciale servizi sanitari n. 1314 del 29 ottobre 2002 con il quale si san civa il definitivo superamento del l’Ospedale psichiatrico provinciale e la possibilità di parlare legittima mente da questo momento di ex Ospedale psichiatrico provinciale. I
pazienti con questa delibera veni vano ricollocati in una residenza sanitaria assistenziale, in sette re sidenze psichiatriche (le nostre case famiglia) e una residenza sa nitaria assistenziale psichiatrica. Vi mostro la consistenza delle nostre strutture con alcuni dati ag giornati al primo gennaio 2003 (Tab.1). Le giornate di degenza in ospeda le psichiatrico nel periodo 1 genna io-31 ottobre 2002, sono state 52.521, così suddivise per provincia di provenienza degli ospiti e sesso (Tab. 2). Le giornate di degenza nelle strutture residenziali nel pe riodo 1 novembre-31 dicembre 2002, sono state 10.313, così sud divise per provincia di provenien za degli ospiti e sesso (Tab 3). La situazione del personale in servizio presso le strutture assisten ziali sorte a seguito della chiusura dell'ex Ospedale psichiatrico alla data del 31 dicembre 2002, è la seguente.
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La clinica del mondo psicotico e della cronicità Tutto questo per dire che il Distret to sanitario dell’Alta Valsugana e l’Unità operativa 3 di psichiatria si stanno occupando ancora di una re altà fatta di uomini e donne parti colari che troppo presto viene lascia ta alla memoria e relegata in luoghi che non sono più quelli abitati per decenni.
Come accennavo all’inizio di que sta relazione la facilità con cui si rimuovono o si negano attraverso la sublimazione questi personaggi mi ha fatto riflettere sul significato del le reazioni non solo della gente co mune ma anche degli addetti ai la vori. Per poter mettere un po’ di luce su queste questioni credo che ci venga in aiuto la clinica del mon
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do della psicosi e della cronicità. Il nucleo originario della psico si si colloca nella primissima infan zia: il bambino alla nascita entra in una intensa relazione con la madre di mutua seduzione come dice Racamier. All’inizio questa se duzione mira a stabilire e perse verare un accordo perfetto, senza sfumature, senza tensioni. Questa modalità relazionale è vitale in quanto esclude o quanto meno neutralizza le tensioni che proven gono dall’interno e dagli stimoli che arrivano dall’esterno. La ma dre e il suo bambino vivono in una profonda ammirazione reciproca, in una relazione di amore incon dizionato e acritico, in una fusio ne, in un unisono narcisistico che aspira a costruire un unico corpo. In questa fase della vita del bambino e della sua mamma qual siasi differenza è foriera di un pe ricolo di separazione con il dolore che ne consegue. Con il passare del tempo e con l’aiuto dell’ambiente il bambino scopre il desiderio del la esplorazione, della conoscenza e nello stesso tempo la madre si riappropria della sua vita di adul ta. È questo processo che mette fine all’incantesimo del narcisismo ideale; il bambino comincia a di stogliersi dalla madre indistinta, illusoria e totale nella quale incar na la relazione di seduzione narci sistica pura e distogliendosene comincia a perderla. Freud, Ferenzi, Winnicott, Raca mier, sono alcuni autori che ben hanno descritto il lutto che ognu no di noi ha affrontato dovendo rinunciare a questa illusione di on
nipotenza e di appartenenza tota le alla madre per scoprire un og getto-madre distinta, che si può investire, che si desidera, che si respinge, che si delimita, che si interiorizza, che si ama e che si odia. Kestemberg afferma la ma dre "viene ritrovata come oggetto vero e proprio in quanto viene a poco a poco perduto come ogget to di possesso assoluto". Contestualmente alla nascita del l’oggetto-madre esterno cominciano a mettersi le basi dell’Io e quindi del senso della propria esistenza È proprio questo evento che i pa zienti psicotici non accettano e con tro il quale protestano per tutta la vita e con tutte le loro energie in una lotta defatigante e inconsape vole. Sassolas afferma che la psicosi è "un macchinario difensivo nel quale si esaurisce tutta l’energia psichica di coloro che rifiutano di esistere perché esistere significa ri conoscersi come separati, esiliati per sempre dalla pienezza del nar cisismo primario. Limiti, separa zione, morte, altrettanti sinonimi per loro, altrettanti volti della stes sa condizione inaccettabile: que sto maledetto destino che è il no stro di aver all’inizio conosciuto la pienezza senza limiti del narcisi smo primario alla quale in seguito bisogna continuamente rinuncia re. La psicosi rappresenta il rifiuto di vivere questo esilio, il rifiuto di esistere, di avere una identità de finita, per non dovere soffrire la tor tura quotidiana della separazione sia da un bambino meraviglioso che tutti siamo stati che dalla madre narcisi 9
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stica depositaria di questa perfe zione perduta". Nella relazione con il mondo il paziente psicotico ripropone questa sua modalità che arriva a noi con una forza spaventosa. Non è quindi la paura fisica che ci tiene lontani da queste persone ma la potenza dolorosa di una relazione simbiotica che inconsciamente intuiamo come minaccia per il nostro equilibrio. Ancora Sassolas dice: “non ingannia moci sul motivo che conduce tali pazienti verso di noi: se ci cercano e investono la nostre strutture psichia triche è perché la relazione simbio tica con un famigliare non si è po tuta stabilire in maniera sufficien temente stabile per svolgere la sua funzione difensiva ed è per questo che sono alla ricerca di una situa zione dello stesso tipo capace di pro teggerli contro l’angoscia psicotica di viversi separati, nel loro essere soggetti mortali, finiti. Queste per sone si pongono nei nostri confron ti con precauzione, con sospetto, troppo passivi, senza grandi richie ste proprio perché intuiscono i pun ti deboli del proprio funzionamento psichico e cercano di porvi rimedio tenendoci lontani. In questo modo si proteggono dalla fragilità delle loro strutture psichiche suscettibili di andare in frantumi sotto l’effetto delle ferite e degli stimoli intensi che possono nascere dagli imprevisti di ogni relazione”. Ogni relazione umana riattiva, in fatti, una serie di stimoli interni e quindi impone di essere presenti alla propria attività mentale intesa come l’intrecciarsi di sogni, desideri, pen sieri spontanei, fantasmi, ricordi sen
timenti, affetti, ecc., ma questo per il paziente psicotico risulta insop portabile perché fonte di pericolo e di dolore. Contro questi stimoli interni il paziente si attrezza per annullarli con un dispendio di energie percepito con un senso di sfinimento psichi co, di adinamismo mentale la cui intensità dà la misura dell’energia psichica spesa. A noi il contatto con queste persone lascia un senso di povertà di contenuto dell’incontro, di aridità che testimonia il vero e proprio essiccamento della vita psi chica così che i pazienti ci appaiono non solo privi di desideri e di pro getti ma anche senza identità, senza passato, senza storia, in definitiva senza vita. Spesso il paziente psicotico deve far fronte agli stimoli interni che si presentano sotto forma di allucina zioni e deliri che, parassitando il loro pensiero in maniera tirannica, com promettono le funzioni dell’Io e il fondo psichico in modo talmente esplosivo da rendere impossibile qualsiasi contatto con il mondo esterno. Il fondo psichico descritto da Cor reale partendo dalla psicologia del Sè rappresenta il modo con cui ogni individuo sperimenta, in un certo momento, il proprio senso di coe sione, di continuità e di vitalità. Il fondo psichico non è legato a una singola immagine o rappresentazio ne ma è invece il prodotto di una trama, di un fitto intreccio di fatto ri in larga parte cenestesici, tattili e affettivi che fanno sentire la propria presenza come uno sfondo su cui si collocano gli eventi della vita.
Bruno Caruso, Il coro del manicomio, 1954, particolare.
La crisi psicotica acuta è carat terizzata dal fatto che il paziente percepisce un improvviso crollo dell’integrità del suo fondo psichi co. Con le parole di Correale: “ciò che normalmente veniva sentito come relativamente fluido, ordina to e continuo, comincia invece a essere sentito come spezzato, di sordinato e confuso. L’oggetto di venta bizzarro, misterioso e inaf ferrabile e per quanto ne sia rico nosciuta la natura nell'ambito del l'uso abituale, sembra acquisire significati misteriosi i quali riman dano a mondi oscuri che per la prima volta si manifestano. Nel momento stesso che il fondo su bisce massicce trasformazioni, il soggetto si sente diviso in parti, o troppo dilatato o troppo coarta to, e il senso stesso del tempo su bisce drastiche modificazioni”. Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
Il ricordo di questo doloroso senso di caos e la sensazione che nulla possa tornare come prima, orientano il paziente verso due obbiettivi fondamentali: il primo evitare sistematicamente e conti nuativamente ogni situazione traumatica che anche lontanamen te rievochi ciò che ha determinato la crisi, il secondo un controllo ossessivo su tutti gli aspetti della vita quotidiana che gli dia la sen sazione di una vigilanza distanzia ta da tutto ciò che può accadere. Il prezzo di questa operazione è la caduta del senso della prospetti va e tutto viene vissuto in una spe cie di eterno presente dove il piace re deriva esclusivamente dall’intera zione con pochi oggetti sempre uguali ai quali il paziente attribu isce un senso di saturazione e co noscibilità e dai quali si attende 11
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soltanto il messaggio che il mon do è circoscritto, chiaro, preciso e privo di incognite. È qui che può aprirsi la strada della cronicità come rappresenta zione del crollo della speranza e l’inaridimento delle energie psichi che o l’abnorme reinvestimento. La cronicità rappresenta la regressio ne rigida a livelli di funzionamen to mentale estremamente arcaici e il ritiro desolante degli investi menti dalla realtà. Pur di tenere accesa l’ultima fiammella di so pravvivenza del Sé, si ritorna alla difesa narcisistica primaria. La cro nicità è la mancanza di soggettivi tà, l’astoricizzazione della perso na, la perdita della progettualità per un’esistenza fissa nella ripeti tività, nella staticità, priva di ogni creatività. Questo inquadramento del mondo psicotico e della cronicità rendono forse più comprensibile la difficoltà per chiunque di mantenere una rela zione anche superficiale con questi soggetti. Non nella paura, non nello stigma, non nel pregiudizio, non nel la vergogna, ma nell’angoscia che trasuda nel contatto con questo mondo dobbiamo cercare il motivo per cui i "matti" venivano (e ven gono ancora adesso) esclusi e i ma nicomi venivano costruiti nelle pe riferie delle città, il motivo per cui del nostro Ospedale psichiatrico pro vinciale per anni se ne è parlato come se fosse chiuso e ora si tolgo no spazi prima ancora di aver trova to le alternative, il motivo per cui i gruppi di volontariato, tanto attivi nelle residenze sanitarie assistenzia li, dove i pazienti sono anche più
complessi dal punto di vista clini co, hanno rinunciato a collabora re su nostri progetti, il motivo per cui i centri di salute mentale terri toriali non si impegnano come per altri pazienti a volte anche molto più problematici, il motivo per cui la città tende a cancellare rapida mente i segni dell’esistenza del suo ospedale. L'area di intervento dell'operatore psichiatrico In questo contesto si colloca il la voro degli operatori delle strutture psichiatriche. Izzo afferma che la cronicità psicotica obbliga il tera peuta a modificare la posizione e il modo in cui vede l’incontro e la com prensione dell’altro poiché spesso deve fornire a questi pazienti la pri ma esperienza di un ambiente vita le. In primis il terapeuta si trova a proporre un ambientale attento ad ogni elemento dell’esperienza re lazionale, per trasformarla da sem plice stereotipo senza qualità vi tali e utilizzata per la sopravviven za del Sé, in elemento strutturan te il Sé. L’intervento terapeutico si carat terizza per il tentativo di proporre esperienze significative che da una parte attivino un processo di svilup po e dall’altra forniscano sollecita zioni in grado di riaprire la possibi lità di partecipazione a quell’area vitale che Winnicott chiama “area dell’esperienza culturale”. Perché ciò avvenga è necessario che ogni piccolo gesto che ogni piccolo cambiamento, ogni piccola crea zione venga riconosciuta e valo rizzata dall’operatore e il tutto
venga restituito al paziente arric chito di nuove cariche vitali. Il bagaglio tecnico dell’operatore non è di per sé sufficiente se non viene collocato all’interno di una di mensione intersoggettiva. Il pazien te, infatti, ha bisogno di esperire una relazione con una persona che gli si ponga come “officina della men te”, un’officina nella quale compie re quelle operazioni negate dal l’ambiente primario. In questo spa zio relazionale e su questa perso na il paziente deposita alcuni af fetti, alcune emozioni, alcuni pen sieri, alcuni desideri, ritenuti trop po dolorosi da sostenere da soli. L’operatore deve quindi prestare se stesso per vicariare quelli strumen ti assenti ma non necessariamen te mancanti al paziente, accettan do di porsi in aree dello sviluppo molto primitive e di conseguenza molto angoscianti. Gli scopi della cura del paziente psicotico possiamo riassumerli in questo modo: da una parte condurre il paziente a poco a poco alla capa cità di sentire i suoi limiti, di espri merli senza essere distrutto dall’odio che provoca in lui il riconoscimento della doro esistenza, di dirli invece di negarli come ha fatto finora con il delirio e le allucinazioni o stabi lendo relazioni simbiotiche, in altre parole uscire dal mondo rassicuran te della psicosi per accettare il lutto primario descritto da Racamier e sen tire nascere una propria soggettivi tà, una propria identità senza l’ine vitabile terrore della separazione e della morte. Dall’altra il delicato ten tativo di costruire o ricostruire il fondo psichico inteso come la sen Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
sazione fisica di coesione, continui tà e vitalità. In questa impresa l’ope ratore deve accettare l’uso che fa di lui il paziente per la continua tessi tura di una trama molto delicata e sottile, facilmente soggetta a frat ture e lacerazioni. L’operatore con il suo modo di porsi, con la sua com petenza e la sua professionalità è responsabile di garantire la continui tà e l’esistenza senza sentirsi respon sabile anche della trama che invece è del paziente essendo sua e solo sua la sua vita. L’operatore e il servizio quindi devono creare una situazione in cui possa organizzarsi il fondo psichico attraverso una relazione caratteriz zata da un senso di calore, continui tà, fluidità, vitalità e personalizza zione. Il paziente cercherà di stabilire con noi una relazione senza tempo, senza fine, in sintesi una relazione simbiotica. Noi dobbiamo rinuncia re a questa chimera di una relazione stupenda, eterna, senza conflitti. Dobbiamo invece strutturare una re lazione vissuta dal paziente come affidabile, ma nello stesso tempo come lacunosa, insufficiente, inca pace di colmare tutti i suoi limiti e di rispondere subito alle sue attese onnipotenti che attivano facilmente le altrettanto onnipotenti concezio ni di una certa psichiatria. Questa struttura deve essere solida per re sistere agli sbalzi prodotti dalla sof ferenza e dalla collera del paziente di fronte alla nostra incapacità o al nostro rifiuto di svolgere questa funzione simbiotica. Sofferenza e collera che l’operatore deve esse re in grado di accogliere per po 13
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terla restituire senza la carica di struttiva che tanto spaventa il pa ziente. Questo modo di offrici ha una alta funzione terapeutica per ché smentisce i fantasmi del pa ziente di pericolosità della sua stessa vita psichica attraverso il mantenimento della nostra rela zione con lui e la persistenza del nostro interessamento per la sua vita psichica, i suoi affetti, i suoi investimenti, i suoi pensieri. Strutturare una situazione in cui calore, fluidità, vitalità e persona lizzazione costituiscano gli elemen ti per la strutturazione di un fondo psichico aiutano il paziente a creare un senso di famigliarità con il mon do esterno. Abbiamo visto come il paziente psicotico tenda a sostituire questo senso con la sterotipia e il ripetersi coattivo degli eventi. Ogni nostro intervento può cadere nella trappola della ripetizione coatta de gli eventi, tocca a noi uscire dal tor pore della cronicità per fornire un ambiente in cui il ripetersi regolare delle azioni, dando un senso di noto, di riconoscibile e quindi di apparte nenza, possa continuamente fornire l’occasione per l’attivazione di pic coli traumi-legami, separazioni, fru strazioni, distacchi, responsabilità, che in passato hanno rappresentato fattori scatenanti della frammenta zione del Sé e che oggi possono in vece essere attraversati con l’aiuto degli operatori e del gruppo in un lento processo terapeutico. Conclusione Sono partito dall'osservazione di un costante e diffuso, anche se for se inconsapevole, bisogno di ne
gare l’esistenza dell’Ospedale psi chiatrico provinciale. Mi sembra ora più facile comprendere i mec canismi inconsci che si attivano in chiunque si incontri anche casual mente e per brevi momenti con questi pazienti. Loro ci pongono una richiesta sul piano relazionale specifica: una relazione simbio tica in cui esiste solo l’Io onnipo tente e l’altro non esiste se non come parte dell’Io deputato a sod disfare ogni bisogno prima anco ra che sia elaborato come deside rio. Noi tutti abbiamo sperimen tato nelle prime fasi della nostra vita una esperienza così piena e totale per la quale ognuno nutre una inconsapevole nostalgia e ver so la quale ognuno di noi tende rebbe se non si conservasse anche l’inconscio ricordo del dolore e della fatica che ha comportato ela borazione del lutto primario.
NOTE [*] Il coordinamento della Resi denza sanitaria assistenziale è affidato a due medici conven zionati con l’Azienda provin ciale per i servizi sanitari. Il coordinamento delle residen ze psichiatriche è affidato ad un medico del Centro di salu te mentale di Pergine
Alfredo Vivaldelli è Direttore dell’Unità Operativa 3 di Psichiatria dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari.
Alla ricerca delle menti perdute: ragioni di un seminario a Trento Lorenzo Toresini
Il passaggio dall’utopia della terapia nell’istituzione alla cura nello scambio sociale e nella collettività. La Mitteleuropa e lo sviluppo della cultura psichiatrica.
La prima domanda da porsi è la se guente: perché parlare oggi di ma nicomi? È una domanda intrigante poiché viviamo da ventitré anni in era di post-manicomi . Quindi inizio, se mi è consentito, con un flash personale Mi sono laureato a 25 anni e ho ini ziato la mia professione di psichia tra a Trieste (oggi sono direttore del Dipartimento di salute di Merano). A Trieste, come è noto, venne messo in discussione e venne sciolto il pri mo manicomio in Italia dopo l’espe rienza di Gorizia. Ho iniziato nel 1971. Nel nostro fervore "taleba no" di allora (lo dico evidentemen te scherzando) arrivammo ad es sere convinti che di quel manico mio, allora retto da Franco Basaglia, non sarebbe dovuta rimane re pietra su pietra. Credevamo ve ramente a questa affermazione e a questo progetto. In quella che al lora era una “Istituzione Totale” è avvenuto il decentramento totale delle strutture e delle risorse e, come diceva Franco Basaglia, si è attuato il rovesciamento "come un Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
guanto" dell’ospedale psichiatri co. Il personale, tutti i servizi an nessi e connessi, la gente che ci stava dentro, tutto con la neces saria gradualità e delicatezza, ma anche con l’indispensabile deter minazione, venne spostato da den tro le mura al territorio. Cosa si sa rebbe dovuto fare quindi delle strutture murarie, i diversi padiglio ni di quello che man mano stava diventando ex-manicomio, che nel frattempo rimanevano svuotati di sofferenza e dolore? Eravamo con vinti all’inizio che si sarebbe do vuta attuare una “delenda Cartago”. Quel tipo di pensiero me lo sono portato dietro fino a non moltis simi anni fa, quando ho fatto un viaggio allo “Steinhof” di Vienna con un architetto romano, un cer to Luggini e un mio carissimo ami co: Tommaso Losavio, collega e già direttore del “Santa Maria” di Roma. Andammo a vedere lo Steinhof e poi il prestigioso Bur gkhölzli di Zurigo. Premetto la mia convinzione del fatto che quando noi psichiatri re stiamo all’interno del nostro ambito professionale rischiamo di impove rirci di pensieri e di stimoli, quindi il confronto con altre professionali tà e con altri pensieri è sempre mol to utile. Ebbene quell’architetto mi convinse di una cosa ovvia, dicen domi che i manicomi devono restare come monumenti alla memoria, per riflettere. Di quanto affermo ora mi convinsi ulteriormente ripensando a quanto era successo pochissimi anni prima al muro di Berlino. Il muro di Berlino, come si sa, fu smantellato al 90–95%, però mio figlio quando 15
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si trovò a Berlino andò alla ricerca del muro, perché evidentemente c’è bisogno di tracce, di simboli, di sup porti educativi della memoria stori ca. Bisogna che il muro resti a mo nito degli errori della Storia e a me moria delle future generazioni. Ora noi psichiatri abbiamo abbastanza fa miliarità con i muri e col problema, meglio con tutta la congerie di pro blemi, legati alla simbologia dei muri. Oggi dobbiamo essere fermi nel capire che di muri dobbiamo parlare e per parlare di muri deve esserci la memoria storica di questi ultimi. La memoria storica del manicomio deve rimanere a futuro motivo di rifles sione per noi, innanzi tutto sulle ra dici, sulla genesi e sul significato della nostra professione, e per il mondo circostante: per riflettere sul senso di quello che significavano quei muri. Non erano muri qualsia si, ma erano muri deputati alla se parazione tra quanto stava fuori ed era normale (quindi automaticamen te era normale solo perché stava fuo ri), e di quanto sta dentro di anor male, di insensato, di irrazionale (e che diventava tanto più insensato, irrazionale, sragionevole, pericoloso per il semplice fatto che stava den tro). Questa è una lezione che io cre do ci servirà sempre, ed è bene par lare oggi di manicomi. Paradossalmente credo sia sem pre più facile parlare di manicomi, anche se non è ancora facilissimo, dato che si tratta pur sempre di un problema ancora in via di supera mento. Un superamento che d’al tra parte non avrà mai fine: il pro blema che Franco Basaglia chiama
va ironicamente, ma anche molto seriamente, il “fascino discreto del manicomio”, parafrasando un ben noto film: “Il fascino discreto del la borghesia di Buñuel”. Io credo che il manicomio abbia un fasci no…, un fascino discreto e pro fondo. Personalmente io sono nato in un’istituzione, perché mio padre, dopo la fine della guerra, tornato dalla Germania, ebbe un posto in un gerocomio di Venezia, l’ospedale per anziani “San Lorenzo” e i miei ricor di infantili, i miei sogni sono perva si di questa situazione strutturale in
Bruno Caruso, Il sergente Campanella, disegno acquarellato, 1954.
cui c’erano questi vecchietti che sta vano lì (naturalmente io ero il fi glio del dottore). La vita istituzio nale, la gerarchia, l’ordine, la se rializzazione, che poi abbiamo evi dentemente combattuto dall’inter no nel lungo cammino dentro le istituzioni, cammino che poi ha preso il nome di “deistituzionaliz zazione”, in qualche modo affasci nano. E in genere affascinano so prattutto chi sta al di qua della barriera del potere, più che chi sta al di là. C’è il problema dell’inte riorizzazione, della “seduzione” del manicomio, varie sindromi di Stoccolma per cui chi sta al di là poi in realtà si adatta e a volte capita che non voglia essere dimes so; tutti problemi che abbiamo conosciuto prima del 1978 e dal 1978 in poi. Alla ricerca delle menti perdute Io credo che valga la pena, in que sto filone di pensiero riflettere bre vemente su quanto Pinel, espo nente-manager della Rivoluzione francese, abbia significato rispet to alla razionalizzazione della dea ragione. Com’è noto, nelle catego rie universali della dea ragione doveva inscriversi tutto l’esisten te; quello che i filosofi dell’Illu minismo non sapevano bene dove inscrivere era la "sragione", per ché era difficile (ed è difficile an che oggi) capire che la "sragione" fa semplicemente parte della vita, per cui non c’è motivo di inscri verla in uno spazio particolare. La “sragione”, che è l’ oggetto della storia, delle strutture organizzati
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ve e amministrative degli ex ma nicomi, è immorale, è fuori dell’eti ca, ed è fuori dell’etica perché si coniuga con il non produrre. Sia mo sul back-ground del pensiero di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Il pro blema esiste ancora; a tutt'oggi nel mio Servizio psichiatrico di dia gnosi e cura, neo inaugurato a Merano, la direzione sanitaria si sorprende del fatto che i soli dieci pazienti che noi abbiamo – perché il reparto è piccolo, e più grande di così non lo vogliamo – stiano tutto il giorno a non far niente, qualcuno anche a fumare. Io, par lando con la mia caposala, le ho spiegato che è logico che ci sia lo scandalo del non lavorare, perché è uno scandalo etico. Qui potremmo essere in molti a ritornare sui concetti della “terapia morale”. Era una terapia che io defi nisco utopica, ma lo dico oggi, per ché ai tempi in cui credevamo di "spargere il sale" sulle mura del manicomio l’ergoterapia istituziona le era per noi uno scandalo. Oggi credo che siamo in grado di ripen sare abbastanza serenamente a quella che fu la “terapia morale” nell’Otto cento; nell’era però in cui non c’era no gli psicofarmaci, non c’erano al tri sistemi se non la “terapia mora le”. L’unico modo di curare i pazienti era quello di riabilitarli, come si di rebbe oggi, allora si diceva redimer li, rieducarli a concetti morali e at traverso percorsi etici. L’esempio, la buona educazione, eventualmente la preghiera, la convivenza tollerante. Il pensiero psichiatrico dell’Ottocen to era pervaso da questa concezio 17
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ne, concezione che si coniuga con il discorso della “terapia del lavo ro”. Dico questo perché spesso (ed è una riflessione che faccio rispet to al nostro passato di giovani psichiatri ribelli) in realtà il con cetto della cura nell’istituzione era, come già dicevo, un concetto uto pico che si coniuga con la “terapia morale”. Era l’unico terreno su cui 100-150 anni fa, nascita del ma nicomio di Pergine, ci si poteva muovere. La cosa curiosa è che que sta utopia, che non va disprezzata ma rivista, riletta e trasformata, si coniugò con una concezione in fondo autarchica della struttura. La struttura psichiatrica doveva essere in grado sostanzialmente di provvedere a se stessa; c’erano le fabbriche interne, i servizi interni, l’ergoterapia – “lavori forzati” con un sistema di scambio interno che doveva essere libero dall’inquina mento del denaro esterno. A Trie ste, per esempio, fu scoperta una moneta interna, un gettone, che si usava per gli scambi interni: an dare al bar, comprarsi le sigarette, tutto all’interno del muro di cinta. L’ospedale psichiatrico aveva an che le galline, i maiali, i servizi ge nerali. Una delle conseguenze della scomparsa di questa organizzazio ne autarchica, basata sull’ergote rapia, fu, ad esempio, il fatto che i parchi belli, ben curati dai pazien ti, sono diventati selvaggi. Tempo fa ero al “Santa Maria della Pietà” di Roma e, come a Trieste, questo splendido parco pubblico, è ab bandonato perché nessuno ci la vora, perché nessuno ha mai pen
sato di mettere in bilancio un bu dget per gestire il parco, perché una volta questo era lavoro gra tuito, quindi autarchico. Ma l’uto pia della cura in ospedale, con tutti i correlati paradigmi teorici, è un’utopia che fallì, ma un’utopia molto semplice che pur essendo un’utopia era un’utopia totalizza ta e alla fine totalitaria. Riparliamo di muri: crollo dei muri e crollo dell’utopia totalita ria, era inevitabile che fosse così. Attenzione, non è un crollo avve nuto automaticamente perché tale crollo è costato e sta costando ancora molto lavoro. Ma come la storia non si fa mai automatica mente, ma solo con la volontà e con l’impegno, così è stato anche per il crollo di quest’altra utopia totalitaria e che noi oggi diciamo antistorica. I muri…, Trieste, come Berlino; ma prima, e non è un caso, ci fu Gorizia, città divisa. A Gorizia (per “caso?”) il muro dell’ospeda le psichiatrico faceva parte del confine fra Italia e Jugoslavia, un tempo, fra Italia e Slovenia, oggi. Io credo che in tutto questo di segno – il crollo dei muri, il supe ramento dei muri, il superamento di un certo tipo di etica, il passag gio da un’utopia della cura nell’istituzione alla cura nello scam bio sociale e nella collettività – ci sia un’unità interpretativa che al lora non capivamo molto bene. Io non pensavo ai muri quando pensa vo a Berlino. Oggi, a distanza di non moltissimi anni, credo stia diventan do un disegno in qualche modo tra scendente le contingenze della Sto ria, che riusciamo a leggere con mag
giore chiarezza di quando la Storia si dipanava fra le nostre stesse dita. L’ultimo concetto che si potreb be sviluppare rispetto al tema "Ra gioni di un seminario a Trento sui manicomi della Mitteleuropea o dell’Italia asburgica" è il concetto della crisi. Io purtroppo sono un operatore della pratica e non ho tempo per leg gere tutti i bei saggi che vengono editi, ma ho letto una recensione sull’Espresso di un saggio di Mas simo Cacciari che mi colpì molto. Cacciari collegò lo Steinhof di Vien na a Sarajevo come epicentri di una stessa crisi. Questo è un concetto che mi intriga molto, una sorta di sintesi semantica che sono in gra do solo di citare. Posso intuire: Sarajevo, dallo sparo del 1914 ad oggi, rappresenta chiaramente l’epicentro della crisi europea sul
piano “macro”, lo Steinhof (che è un ospedale psichiatrico bellissi mo, non solo perché è un monu mento architettonico straordina rio, e quindi ovviamente da con servare, ma anche perché c’è intri sa una serie di concezioni tra il giuridico, il filosofico, lo psichia trico, l’idealistico e l’architettoni co) rappresenta la metafora della crisi individuale. Le infinite crisi di individui che vi furono ricoverati dalla data della sua inaugurazio ne (1911) ad oggi. Ma anche la crisi di tutte quelle certezze di pen siero che retrostanno alla conce zione stessa dello Steinhof. Appun to l’insieme generoso di pensiero giuridico, filosofico, psichiatrico, idealistico, architettonico e via di cendo. Il grande Giuseppe Sinopoli, prematuramente scomparso, è sta-
Bruno Caruso, I veri pazzi sono fuori, disegno acquarellato, 1958. Nella pagina seguente: Bruno Caruso, Riposo, 1955.
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to descritto come il musicista del la crisi. Cosa c’entra la Mitteleuropea, l’Italia asburgica, e la psichiatria del Triveneto o del Nord-est con la crisi? La parola crisi deriva dalla parola greca che significa “scelta” o me glio “decisione”. Ogni crisi in fondo, e noi lo vediamo nella nostra quo tidianità di operatori della pratica psichiatrica, rappresenta in realtà una scelta, e ogni paziente in crisi è una persona che tramite la sua crisi viene messo in condizione di iniziare un percorso per arrivare ad una scelta e se possibile ad una svolta nella propria vita; per que sto la crisi va vissuta, perché essa ha un significato immanente alla propria vita. E quindi nessuna cri si va decapitata, meno che mai ta gliata con scorciatoie tipo l’elet troshock o interventi di psicochi rurgia. Un anno fa in occasione della crisi del Kosovo lessi sul gior
nale “Der Spiegel” un articolo dal titolo “Entscheidung”. Questa pa rola, in questa bellissima lingua che è il tedesco, contiene in sé un grande significato. “Decisione”, decisione fra due aspetti che de vono essere separati-tagliati (Scheidung) e fra di loro, fuori di loro (ent-). La crisi come fatto individuale e la crisi come fatto storico, poli tico: la guerra, l’Afghanistan, l’Irak, la Jugoslavia e via dicendo. Prescindendo da tutta la storia della deportazione del 1940 da Pergine nella Germania nazista dei pazienti psichiatrici e portatori di handicap (argomento sul quale è già stato fatto un convegno nel 1995 a Bolzano), le ragioni di un seminario a Trento stanno nel fat to che Trento è una delle capitali della Mitteleuropea italiana, è una città che ha portato, come Trieste, come Venezia, come Treviso, il ca rico di una cultura psichiatrica le gata al tempo e quindi dignitosa, che è sì da rivedere, da riformula re (e lo stiamo facendo), ma di grande importanza. In provincia di Bolzano, ad esempio, dove una qualsiasi cultura psichiatrica non c’è, è difficilissimo inserire una cultura nuova, pratiche nuove, aprire un servizio di diagnosi e cura. Una riflessione che ci augu riamo possa diventare ricca e pro mettente a partire da questo con vegno.
Lorenzo Toresini è Primario del Centro di salute mentale di Merano.
La terza utopia Domenico Luciani
Gli ospedali psichiatrici come patrimonio di natura e di memoria.
Volentieri torno, a distanza di anni, su questo tema. Rendendo di sponibile il testo che premettevo nel 1998 alla ricerca “Per un at lante degli ospedali psichiatrici pubblici in Italia: un censimento geografico, cronologico e tipolo gico” curato da Ida Frigo, Federi ca Palestino e Francesca Rossi per la Fondazione Benetton studi ricer che1. La ricerca, dotata di una carto grafia puntuale con 71 casi raccolti con fatica da Teresa Marson e Massi mo Rossi, ha mostrato la stupefacen te dimensione e la singolare varietà di forme e di figure che costituisco no questo universo. La definizione e la costruzione dei luoghi della psichiatria è stata una grande operazione riformista, anzi un’autentica utopia della modernità. Così come è stata una grande opera zione riformista, una seconda uto pia, uno dei momenti più alti della critica del moderno, il loro supera mento voluto da Franco Basaglia. Ho sostenuto e sostengo, che i luoghi che sono stati della psichia tria chiedono una “terza riforma” o, se volete, una “terza utopia”. Dopo Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
la riforma istitutiva all’inizio del secolo XX, e dopo la riforma deco strut-tiva degli anni settanta del Novecento, la terza riforma si con figura come una guida alla transi zione/trasformazione verso la commistione sociale, culturale, scientifica. Scadenze aspettative progetti, sui quali sarebbe bene ragionare a fon do, si occupano dei luoghi e del loro destino. Ma come dovremmo affrontarla questa terza riforma? Con quali idee guida? È possibile un cambiamento di destinazione d’uso senza perdere l’identità? Si possono trovare nuovi usi economicamente compatibili e socialmente utili? Quali? La “terza riforma” ha il compito di tentare di risolvere un’equazione a molte incognite, di affrontare con temporaneamente più fronti, puntan do a una strategica “mixità”: a) Il fronte sanitario/assistenziale: a tutt’oggi, in luoghi che non sono più asili, restano ancora, forse sotto altro nome, dei ricoverati. È un fronte assai vario, per den sità, per dislocazione geografica, per stratificazione anagrafica e per distribuzione patologica. Occorrerà differenziare “lungo de genza» da «bisogno terapeuti-co non rimuovibile”; b) Il fronte del terzo settore: gli ope ratori, le imprese sociali e coo perative. Si trattava nel 1998 di oltre trentamila persone, secon do indagini accreditate, con un patrimonio di professionalità e di sperimentazione emancipativa di sponibile a coniugare efficienza e solidarietà, in un terreno fer 21
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tile e inventivo di nuova occu pazione; c) Il fronte dei luoghi che più da vi cino interessa questa ricerca e della loro nuova possibile bellez za, della loro ritrovata potenziale utilità. La “necessità” di salva guardia e valorizzazione emerge dalla posizione che occupano nel la forma delle città, dal ruolo che possono giocare nella loro quali tà della vita. Va tenuta ferma la centralità dei segni e dei sedimenti della natura e della memoria (bi blioteche, musei del manicomio, archivi e raccolte documentarie). Diverse sono dunque le economiecoinvolte, dall’economia dello stato sociale e della solidarietà (sanità,
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assistnza), all’economia del terzo settore(né pubblico né privato), fino all’ecnomia dei beni culturali (natu ra, memoria). La nostra parziale ela borazione si muove intorno al l’economia dei beni culturali, me glio l’economia della cultura. L’ipotesi di lavoro è semplice: i coplessi che hanno ospitato gli ospe ali psichiatrici italiani dal 1904 al 1996 non sono volumi e superfici diponibili; questi complessi (manu fati, spazi, siti) costituiscono, a tutta evidenza, beni culturali ambientali. La ricognizione compiuta ci porta a concludere che, nella grande mag gioranza dei casi, essi si presentano come siti notevoli, come autentici patrimoni culturali: a) patrimoni di natura (ambiti e spazi perti significativi, parchi e giardini); b) patrimoni di memoria (manufat ti, biblioteche, musei, archivi); c) patrimoni di presenza umana (ten sioni, sperimentazioni, emancipa zioni). Non si può affermare che nelle strut ture politiche e gestionali responsa bili, così come nel senso comune, vi sia stata e vi sia adeguata con sapevolezza del valore di natura e di memoria (sedimenti e testimo nianze storiche) contenuto in que sti luoghi. Essi rappresentano an cora oggi qualcosa d’”altro” dalle città in cui sono stati istituiti; i rapporti con le più ampie comuni tà esterne sono come sospesi. Non c’è stata, e non c’è (nem meno, qualche volta, da parte di chi ha operato e vissuto la speri menaione degli ultimi vent’anni), sensibilità adeguata per le cose,
Locazioni e anni di fondazione degli ospedali psichiatrici in Italia (dati su 71 ospedali)
Bruno Caruso, Napoleone, disegno acquarellato, 1955.
per i manufatti, per i giardini, per gli spazi aperti. Non c’è stata, e non sempre oggi c’è, cura convin ta dei patrimoni culturali (ambien tali, artistici, archivistici, bibliote conomici, museali) che pure in questi luoghi sono contenuti. Non c’è stata, e non sempre c’è, iniziativa adeguata. Questi luoghi non sono entrati nel catalogo dei Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
beni meritevoli di impegno pub blico per la salvaguardia e la va lorizzazione. Come invece è cultu ralmente e socialmente utile che sia. Il censimento che abbiamo con cluso a fine 1998, è il risultato delle risposte a un questionario in formativo inviato tra maggio e lu glio 1996, del fitto dialogo con i 23
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responsabili e i tecnici che hanno collaborato e delle revisioni ope rate nell’autunno del 1998. Ne è derivato un dossier che cerca di far luce sull’insieme dei 71 comples si, che fino al 31 dicembre 1996 costituivano altrettanti ospedali psichiatrici diffusi sul territorio nazionale, e su un numero (non ancora precisato) di succursali, concentrate soprattutto nel Vene to e in Friuli. Molti dati mancano, molti sono carenti, altri andrebbe ro verificati con sopraluoghi ade guati. L’inchiesta puntava a portare l’at tenzione sui luoghi di un patrimo nio di natura e di memoria di fatto negato, un universo non necessaria mente coincidente con i dati pub blicati dall’Istituto italiano di medi cina sociale o dal Ministero della sanità. Rientrano, infatti, nell’Atlante anche quelle strutture dismesse, ab
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bandonate, che non ospitano più da anni il cosiddetto “residuo psi chiatrico”, qualche volta (non sem pre) passate a nuovo uso, “ricon vertite”. I dati si riferiscono ai 70 (su 71) ospedali psichiatrici provinciali che hanno risposto al questionario. Per quanto riguarda le succursali sono solo state conteggiate 23 strutture. Un primo elemento che ci pare si gnificativo e, per varie ragioni, im pressionante, è l’area complessiva occupata dagli ospedali esaminati, circa una decina di milioni di mq. È d’obbligo l’approssimazione perché le risposte sulle superfici non han no sempre tenuto conto dell’ azien da agraria che faceva parte integrante dell’ospedale. Si devono tuttavia im maginare aree per mille ettari, 10 kmq, qualcosa come un grande cen tro storico (con una capienza a pie-
Bruno Caruso, La corsa pazza, disegno acquarellato, 1954.
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no regime che può essere calcolata attorno alle 90.000 persone, una media città); è interessante rilevare come questi mille ettari siano in nove casi su dieci situati nei centri o nelle prime periferie delle nostre città, e siano tendenzialmente as sai poco costruiti, come appare da un’analisi del rapporto tra super ficie coperta e superficie totale dei compendi (11% circa, e solo in cin que casi più della metà della super ficie è costruita). Di questi, un quarto sono localiz zati nei centri urbani, circa due ter zi si trovano nelle prime fasce peri feriche, e meno del 10% in località extraurbane. La grande maggioranza degli ex ospedali psichiatrici occu pano dunque un posto (e possono giocare un ruolo) cruciale nella for ma e nella vita delle città. Degli asili fondati su preesisten ze (di tipo conventuale, militare, re sidenziale, ospedaliero), in totale 33, circa una ventina risente del rappor to con la preesistenza al punto da dare vita a commistioni tipologi che fra vecchio e nuovo che ab biamo definito “ibride”. Gli altri casi sono strutturati indipenden temente dalla preesistenza, la qua le viene, al più, inglobata o assor bita, seguendo gli standard e i cri teri dettati dalla moderna edilizia ospedaliera. Ci risulta (ed è questione per noi centrale) che circa il 70% degli ospe dali comprendesse, all’epoca della costruzione, ampi compendi di ter reno destinati a colonia agricola o laboratori artigianali. Non è stato possibile verificare (per carenza do cumentaria, archivistica e cartogra
fica) quale percentuale di tali spazi permanga all’interno delle aree psi chiatriche, ma è certo che la parte più consistente è rimasta in proprie tà alle Province o è stata alienata. Quando è passata ai Comuni, è stata riutilizzata o ceduta in comodato, qualche volta abbandonata e, in qualche caso, addirittura “dimenti cata” dagli inventari. Emerge, insom ma, anche da dati parziali e approssi mativi, la dimensione e la stratifica zione del patrimonio di natura e di memoria degli ospedali psichiatrici italiani, il loro carattere di grande e denso bene culturale a diffusione nazionale. Tre quarti degli interpel lati valutavano i giardini e, in ge nerale, gli spazi aperti di conside revole pregio naturalistico, a pre scindere dalle condizioni di manu tenzione, quasi sempre assai pre caria, in cui versano. Più di metà degli istituti furono fondati prima del 1904. Nel 1998 il 45% era vincolato, almeno in parte, con la legge 1089/39, mentre sol tanto l’11% con la legge 1497/39. Due terzi degli ospedali segnala vano, inoltre, la presenza di beni culturali e testimonianze significa tive: biblioteche o fondi librari, ar chivi, musei, centri di documenta zione, raccolte di documenti, raccol te di opere elaborate dagli utenti. Sugli archivi, in particolare, vorrei richiamare l’attenzione come su stru menti cruciali per ricostruire i ca ratteri scientifici, antropologici e culturali di questa porzione rimossa della modernità. Infine, per quanto riguarda l’”uso” degli asili, ritenevamo importante segnalare come, di norma, questi 25
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luoghi ospitassero attività diver se. Se è vero che quasi il 90% era sede di strutture sanitarie “altre” (uffici amministrativi, ospedali ci vili, po-liambulaorii, ecc.), è altret tanto vero che solo il 20% era esclusivamente “cittadella” sanita ria. Un quinto erano sedi universi tarie, un quinto sedi scolastiche; la metà accoglievano attività pri vate (cooperative sociali, soprat tutto), un quarto servizi aperti al pubblico (teatri, impianti sporti vi, centri sociali). In generale, dun que, i compendi racchiudevano una realtà multiforme ed erano diven tati “contenitori”. Sarebbe interes sante capire, con opportuni sopraluoghi e verifiche, quanto questi “contenitori” siano stati capaci di sviluppare una vera “commistione” tra i diversi settori della vita so ciale che ospitano. Una parte significativa (forse la
metà) degli ex ospedali psichiatrici italiani apparivano ancora in condi zioni complessivamente disponibili a programmi di salvaguardia e va lorizzazione. Ci era parso dunque di qualche utilità, per tutti coloro che fossero interessati alla salva guardia e alla valorizzazione di questi patrimoni culturali e am bientali, delineare un promemoria sotto forma di decalo-go schema tico. E ci pare di qualche utilità ri proporlo nel 2002. 1. Memoria. Questi luoghi non de vono perdere la loro identità sto rica. È un errore intendere la tra sformazione come cambiamento di connotati. Esempio: il muro. Non serve abbatterlo per farlo scomparire (rimozione). All’ori gine degli asili, tra l’altro, non era previsto. Bisogna conoscere la “storia del muro”, trasfor marlo in un sedimento, in una
Bruno Caruso,
Il canguro azzurro,
disegno
acquarellato,
1958.
A pagina 28:
Bruno Caruso,
Camicia di forza & destinazione neuro, disegno a china, 1968.
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testimonianza, togliendogli ogni carattere di confine. A Tri este, nel muro del San Giovan ni, abbiamo proposto di aprire dieci porte pedonali, tutte le sette porte storiche e tre nuo ve porte; 2. Commistione. Le nuove funzioni vanno commisurate all’identità storica dei siti, bisogna accet tare la molteplicità (commistio ne, “mixità”). È importante met tere insieme quello che c’è, quello che arriva, quello che si immagina possa convivere, quello che si propone arrivi in futuro. Università, centri stu di, archivi e musei della prima e della seconda riforma (indispensabili spazi museali/archi vistici/biblioteco-nomici), strutture sanitarie, laboratori di arti e mestieri, lavoro intellet tuale e lavoro manuale tra loro dialoganti. Gli spazi aperti dell’ex ospedale psichiatrico diventano parchi pubblici, luoghi delle città, aperti, rispettati, curati, frequentati; 3. Accordi di programma. Concordare, tra Enti pubblici (Azienda sa nitaria, Provincia, Comune, Regione, ecc.), le destinazioni d’uso dei manufatti, evitando le solu zioni monofunzionali (solo uni versità, solo ASL, ecc.) per pun tare sulla commistione; 4. Convenzioni tra pubblico e privato. Evitare di svendere. Fare piut tosto contratti di comodato. Uti lizzare formule diverse che ga rantiscano dalla deriva dell’abu so e da ogni appetito speculativo;
5. Unità gestionale. Affidare ad un’unica giardineria i poteri e i mezzi adeguati alla cura, al rin novo e alla manutenzione degli spazi aperti, compresi i percorsi e le soste degli automezzi. 6. Vincoli. Costruire un dispositi vo di vincolo con leggi nazio nali (1089/1497/431), regionali e provinciali, norme di Prg comunale sull’intero compen dio e, ove possibile, anche sul l’azienda agraria contigua. Il vincolo non deve immobilizzare, ma pretendere progetti co erenti e unitari (bellezza e uti lità); 7. Ambiti e contesti. Definire gli ambiti e i contesti del compen dio, puntando al recupero delle aziende agrarie (per lo più delle Province), che spesso non rien trano nei progetti di trasforma zione e di riuso, e di eventuali altri spazi contestuali che siano funzionalmente o percettiva mente connessi; 8. Integrità dei luoghi. Proporre os servazioni e varianti alle norme generali e locali in funzione della tutela degli ambiti e dei con testi, anche per evitare che la mobilità urbana attraversi i compendi; 9. Osservatori. Formare gruppi di lavoro agili, composti di poche personalità dei diversi fronti della sanità, dell’impresa sociale e dei beni culturali, che seguano la fase di accelerato cam biamento e coinvolgano i mi nisteri pertinenti e i poteri locali con adeguato monitorag gio e puntuali suggerimenti; 27
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Così come negli anni settanta sono stati i “matti” a uscire in città oltre il muro, nell’attuale trasforma zione in atto è la città che entra fuori nel luogo della psichiatria oltre il muro. È la comunità intera che “esce dentro” con tutte le sue ten sioni e le sue diversità. Quello che è stato l’ospedale psichiatrico di venta così luogo della città a pie no titolo, spazio della comunità, sito civico bello e utile, nuova agorà, nuova piazza, nuovo crocic chio necessario della tolleranza e delle relazioni, stazione di inter mo-dalità culturale, artistica e spi rituale.
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10.Metodo e criteri. Possiamo dun que proporre una provvisoria conclusione, affermando che la “terza riforma”, la “terza uto pia” pretende un’ipotesi di me todo per la definizione dei cri teri generali da osservare nella formazione dei progetti di nuo vi usi degli immobili, degli spa zi aperti, delle aziende agrarie contigue. In estrema sintesi: nella attuale fase di inevitabile modificazione delle figure e delle funzioni degli ex ospedali psichiatrici, gli ambiti di attenzione sanitaria e sociale possono trovare un potente allea to proprio nella qualità (potenzia le) dei luoghi, nel ruolo (poten ziale) che questi si trovano in con dizione di ricoprire nella vita e nella forma della città. Senza tra volgerne la fisionomia, senza ab battere (se non idealmente) muri.
NOTE [1] Revisione del settembre 2002 del testo già pubblicato nel dattiloscritto Per un atlante degli ospedali psichiatrici pub blici in Italia: censimento ge ografico, cronologico e tipo logico al 31 dicembre 1996 (con aggiornamento al 31 ot tobre 1998). A cura della Fon dazione Benetton studi ricer che, stampa 1999.
Domenico Luciani è Direttore della
Fondazione Benetton Studi e ricerche.
Edificazione di un manicomio Gian Piero Sciocchetti
La storia della costruzione dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana. Il frutto di una approfondita ricerca d’archivio in un ipertesto.
La ricerca dei disegni progettuali relativi alla costruzione del “Ma nicomio provinciale tirolese di Per gine1” e di quelli del suo successi vo ampliamento. Si è presentata come una ricerca complessa, con sistente nella ricostruzione docu mentale della storia edilizia del più grande edificio del Trentino e che interessava vari ed inesplorati set tori delle attività tecnico-costrut tive svolte nella nostra regione quali l’acquisto dei terreni su cui costruirlo2, la sua progettazione di massima, i disegni esecutivi e di cantiere, la progettazione dei pri mordiali impianti tecnici3, l’asset to urbanistico del territorio pre scelto4, la progettazione dei giar dini5 e così via, eseguiti nei tren ta-cinque anni intercorsi tra il 1879 ed il 1914. Di una documentazione così im portante per la storia della psichia tria e delle tecnologie usate nella nostra regione, si era persa ogni trac cia. Una constatazione questa assai grave se si pensa che tale documen tazione riguardava il primo dei gran Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
di edifici costruiti nel Trentino sul finire dell’Ottocento, realizzato a tempo di record da una delle impre se trentine più rinomate operanti nel Tirolo e in altri Länder dell’Impero Asburgico. Ben presto mi resi conto che i documenti che cercavamo erano ve ramente scomparsi e che nessuno era in grado di suggerirmi in quale ar chivio avremmo potuto continuare le ricerche. Decisi di interrompere le ricerche in ambito extra provinciale in quanto capii che la documenta zione più interessante – quella ri guardante cioè la fase esecutiva dei lavori – avrebbe potuto trovarsi so lamente negli archivi della vecchia Contea Principesca del Tirolo e non a Vienna – come qualcuno suggeriva – in quanto la realizzazione del ma nicomio riguardava esclusivamente il Land Tirolo e non gli organi cen trali dello Stato Asburgico6. Per il prosieguo della ricerca avrei potuto contare solamente su un’in teressante e completa documentazio ne catastale raccolta nel corso di un’apposita ricerca eseguita, con la solita impeccabile precisione, da Vin cenzo Adorno presso l’Ufficio del Li bro fondiario7 e l’Ufficio del catasto della Regione autonoma TrentinoAlto Adige e su due libri pubblicati nel 1912 e nel 1981. I documenti disponibili consi stevano in una serie di mappe ca tastali su cui erano state eviden ziate tutte le particelle fondiarie acquistate nel 1879 dal Comune di Pergine per la costruzione del ma nicomio (tenuta di Maso San Pie tro) e nel 1902 dalla Giunta pro vinciale di Innsbruck per l’amplia 29
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mento delle strutture esistenti e per la realizzazione della cosiddet ta “Colonia agricola”, necessaria per la sperimentazione dell’er-go terapia (i terreni confinanti a Nord-Ovest dell’edificio principa le del manicomio e quelli della te nuta “Alla Costa” di Vigalzano). Completava la documentazione una serie di vecchie mappe catastali ottocentesche su cui risultavano po sizionati gli edifici realizzati nel 1879-1881 e che, grazie ai segni con venzionali che vi comparivano, per mettevano anche di conoscere i tipi di colture presenti su alcune parti celle e l’esatta conformazione dei giardini realizzati tra i fabbricati del manicomio. Dei due testi disponibili, il più vecchio, era quello curato da Hein rich Schlöss, “Die Irrenpflege in Österreich in Wort und Bild” (“I ma nicomi in Austria nelle parole e nel le immagini”), pubblicato ad Hal le a. S. nel 1912, con particolare riguardo al capitolo relativo al Ma nicomio di Pergine, scritto dal dr. Dejaco8 che in quell’anno ne aveva assunto la direzione, dopo avervi tra scorso un lungo periodo in qualità di assistente. Dalle notizie contenu te nel libro su tutti i manicomi esi stenti nella parte austriaca dell’Im pero danubiano, dalle illustrazione e dai disegni che vi sono riprodotti e dalla precisa e meticolosa descri zione dei vari reparti del manicomio perginese fatta dal dr. Pius Dejaco, è stato possibile ricavarne un nume ro elevato di informazioni riguardanti l’organizzazione del manicomio nel periodo compreso tra il 1893 ed il 1912.
Considerando l’importanza del la descrizione fatta dal Dejaco per il prosieguo della ricerca, il dr. Giu seppe Pantozzi ha tradotto in lin gua italiana l’intero capitolo che riguardava il manicomio di Pergi ne9, permettendo in tal modo di non perdere alcun particolare del la minuziosa descrizione dei sin goli reparti os-pedalieri. Il secondo testo disponibile, il più completo ed interessante libro sulla storia del manicomio di Pergine e di Hall era quello importantissimo, ai fini della mia ricerca, di Giuseppe Pantozzi, “Gli spazi della follia: sto ria della psichiatria nel Tirolo e nel Trentino 1830-1942”, edito dalla Scuola superiore di servizio sociale di Trento e dal Centro studi Erickson di Gardolo nel 1989. Senza di esso questa mia ricerca non avrebbe po tuto essere portata a termine. Dopo aver esaminato attenta mente la suddetta documentazio ne, decisi di ricapitolare cronolo gicamente tutte le notizie di cui fossi venuto a conoscenza, in modo da poterle confrontare tra loro, controllandone l’affidabilità ed integrandole con altri dati ri guardanti la realizzazione delle grandi opere pubbliche realizzate nel Trentino nello stesso periodo (1880-1914). Per far ciò mi sarei avvalso della documentazione rac colta per la stesura del mio studio sulla costruzione della Ferrovia della Valsugana10 (1884-1886) e di altri interessanti testi editi dall’As sociazione amici della storia di Per gine11, di cui faccio parte. I risultati così ottenuti sono stati superiori ad ogni aspettativa perché
Bruno Caruso, Ospedale dello Spasimo, particolare, 1954.
mi hanno permesso di farmi un’idea dei costi sostenuti per l’ac quisto dei terreni, dei materiali im piegati nelle costruzioni, dei costi della mano d’opera, dei sistemi co struttivi, dell’onere dei trasporti, della situazione della rete strada le, delle condizioni amministrati ve che regolavano i contratti di allora e del funzionamento del Catasto e del Libro fondiario au stroungarico. Ritenni indispensabile dover fare anche un riferimento alla par ticolare situazione che stava attra versando la Monarchia danubiana, in quanto in quell’epoca tutti i ter ritori appartenenti agli Asburgo stavano attraversando un periodo di profonda trasformazione eco nomica12, tributaria13, organizzati va e istituzionale14. A ingarbuglia re maggiormente le cose fu l’en trata in vigore delle leggi che di sponevano il cambio della valuta15 Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
e l’introduzione del nuovo siste ma metrico decimale16. Per quanto riguarda specificamen te il Trentino la situazione risultava ancora più grave che altrove in quan to a partire dal 1866 le nuove fron tiere con l’Italia posero fine ai rap porti economici e di buon vicinato con la Lombardia e con il Veneto17. Contemporaneamente, una profonda e grave crisi economica, causata dal le avverse condizioni meteorologi che e dal diffondersi di malattie del la vite e dei bachi da seta, stava at tanagliando l’economia trentina ba sata prevalentemente sull’agricoltu ra di montagna18, sulla produzione enotecnica19 e sulla bachicoltura20. Una volta completate le ricerche preliminari potei dedicarmi al vero scopo del mio studio. Partendo dal le mappe catastali d’epoca, fornitemi da Vincenzo Adorno, fui in grado di ricostruire le varie fasi di costru zione del manicomio, la relativa di sposizione urbanistica dei vari fab bricati, le modifiche apportate ad alcuni edifici e la particolare con formazione data alle aiuole dei giar dini. Contemporaneamente mi dedi cai alla riproduzione delle fotogra fie d’epoca e a eseguirne di nuove degli stessi particolari che compari vano nelle vecchie immagini, risalenti perlopiù al primo decennio del Novecento. Qualche tempo dopo, Anita Pas qualeti, esperta in ricerche biblio grafiche del nostro gruppo di stu dio, mi avvertiva di aver trovato ca sualmente presso la Biblioteca co munale di Trento, un album foto grafico prodotto dal noto fotogra fo trentino Untervegher per l’inau 31
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gurazione del manicomio pergine se, prevista per il 19 settembre 1882 21 . Purtroppo la cerimonia non poté aver luogo per il verifi carsi della più grande alluvione verificatasi sul Trentino e in Val sugana negli ultimi secoli e per quel motivo, forse, l’album era sta to così a lungo dimenticato tra i tanti documenti conservati nella biblioteca. Con le copie delle fotografie ot tenute dalla Direzione della biblio teca, unitamente alle immagini e alle planimetrie di alcuni fabbricati rea lizzati nel 1902-1905, che compaio no nei libri di Heinrich Schlöss e di Giuseppe Pantozzi e con le notizie tratte dai testi di Cesare Battisti, di Nino Forenza, di Roberta Grof, di Jole Piva e di Luciano Dellai, potei di sporre di un sufficiente repertorio di documenti ricostruire con buona precisione le varie fasi che porta rono alla costruzione e ai succes sivi ampliamenti del manicomio perginese. Non disponendo di alcuna pla nimetria relativa al primo gruppo di fabbricati22, costruiti tra il 1879 ed il 1881, e considerando che quelle disponibili risalivano a non prima del 1970 e che quindi erano assai diverse da quelle originali, mi resi conto che l’unica possibilità di poter disporre di planimetrie più vecchie era quella di rintracciare la documentazione presentata dai proprietari di immobili all’atto della costituzione del Nuovo Ca tasto Edilizio Urbano del 1939, documentazione che trovai nell’ar chivio dell’Ufficio del Catasto di Pergine e che riguardava tutte le
planimetrie23 rilevate da vari tec nici abilitati in occasione del l’”Accertamento Generale della Pro prietà Immobiliare Urbana" dispo sto con Regio Decreto Legge 13 Aprile 1939-XVII n. 652. Con gran de soddisfazione potei consultare tutte le piantine dei singoli piani di tutti gli edifici preesistenti al l’entrata in vigore della legge e quelle relative ai fabbricati eretti o ristrutturati dopo il 1939 non chè a tutte le varianti e modifiche apportate agli edifici fino ai gior ni nostri. Grazie alla preziosa collaborazio ne del Capufficio del Catasto di Per gine e dei suoi collaboratori, nel giro di soli tre giorni potei disporre di tutte le planimetrie che mi interes savano. La loro riproduzione com portò la suddivisione in più fogli formato UNI A3 per cui furono ne cessari alcuni giorni per realizzare i collage necessari per metterle as sieme. Purtroppo le planimetrie più vecchie, disegnate su carta mil limetrata prodotta nel periodo bellico, ingiallita dal tempo, con profonde piegature dei disegni originali, rendevano le fotocopie assai scure, con linee a volte de formate dalle pieghe, oppure par ticolarmente sbiadite; l’unico si stema per poterne ricavare dei di segni di più facile lettura, magari in scala ridotta per poterle consul tare senza problemi, consisteva nel ridisegnarle tutte su normale car ta da lucidi non millimetrata. Iniziai a disegnare le piante del fabbricato principale risalente al 1879-1880. L’idea fu vincente in quanto sovrapponendo casual
mente le prime due tavole realiz zate potei constatare che le mu rature interne degli scantinati non sempre corrispondevano a quelle dei tramezzi del piano superiore, cioè, risultava che alcuni muri di fondazione non servivano a soste nere alcun sovraccarico concentra to nel piano sovrastante. La stra na situazione mi divenne chiara nel disegnare le piante dei piani superiori da cui potei notare che la posizione delle tramezzature
erano tornate a coincidere con le murature portanti esistenti nello scantinato. Era evidente che all’at to del rilevamento la situazione era diversa da quella del 1882 e che, nel frattempo, parecchi muri divisori erano stati demoliti. Un’ulteriore sorpresa la ebbi quando, seguendo meticolosamente la descrizione dei vari re parti del fabbricato centrale del manicomio, fatta dal dr. Pius Deja co, potei constatare che quella
Bruno Caruso, Il mondo alla rovescia, disegno acquarellato, 1958.
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descritta corrispondeva esattamen te alla suddivisione interna dei locali dello scantinato. Facendo tesoro dell’esperienza acquisita continuai a disegnare piantine ininterrottamente per circa tre mesi realizzando sessanta plani metrie relative a tutti i fabbricati costruiti tra il 1879 ed il 1973 e le relative variazioni apportate a par tire dal secondo dopoguerra. Per elaborare e ridisegnare tutte le planimetrie, per raccogliere tutte le notizie necessarie, per riprodurre le immagini ho impiegato circa sei mesi a partire dall’11 settembre del 2000 fino al 21 marzo 2001. Come ho già specificato in precedenza, per facilitare la consultazione, i disegni sono stati ridotti di forma to in modo da poterli riprodurre in un comune foglio formato UNI A4. Contraddis-tinguendo ogni locale con un numero progressivo e dotando le plani-metrie di un’apposita legenda è possibile ora conoscere l’uso che se ne fa ceva a suo tempo. Purtroppo i di segni risultano privi delle varie se zioni, delle piante dei sottotetti e dei disegni delle facciate, ma la loro ricostruzione peraltro non ne cessaria avrebbe comportato una lunga perdita di tempo. Nel nostro caso, infatti, i disegni approntati sono in grado di far conoscere l’or ganizzazione sanitaria dei vari re parti, la sistemazione dei servizi generali, le continue modifiche e gli amplia-menti eseguiti per po tenziare la capacità ricettiva del manicomio. Oltretutto le varie fotografie d’epoca, tra cui molte inedite, ci per
mettono di avere una visione d’as sieme dell’opera e di tutti i princi pali particolari architettonici del mo numentale fabbricato principale e dei vari padiglioni costruiti all’ini zio del secolo. Nella primavera del 2002, in oc casione del mio ultimo sopralluogo all’ex Ospedale psichiatrico le due archiviste che, con certosina pazien za e con estrema precisione, stava no riordinando l’archivio mi conse gnarono due fotocopie degli unici disegni tecnici relativi al manicomio trovati tra l’enorme mole di docu menti che stavano ultimando di rior dinare. L’importanza del ritrovamento dei due disegni è rilevante in quanto uno di essi ci permette di conoscere le dimensioni e le relative caratteristi che delle fondazioni dei piccoli fab bricati adibiti a lavanderia, a docce, a camera mortuaria e a magazzini provvisori24, in parte demoliti nei primi anni del Novecento (fig. 1). L’altro ci consente invece di avere la conferma dell’insorgere di proble mi sorti per la sistemazione all’in terno dell’Istituto delle 20 suore a cui la Provincia aveva affidato, con regolare contratto, gran parte della gestione logistica dell’intero mani comio. Secondo le clausole contem plate dal contratto stipulato nell’estate del 1881 con la direzione generale delle Suore della Divina Provvidenza di Gorizia25, la Giunta provinciale si era impegnata a met tere a disposizione delle suore, ido nei locali riservati, in grado di ospi tarne eventualmente un numero maggiore. Secondo il contratto, in fatti, le venti suore rappresentava
Figura 1 - 1880-81 Manicomio provinciale tirolese di Pergine Valsugana: studio di massima per la trasformazione del tratto centrale del secondo piano dell’edificio in alloggi per le suore, per il capellano, per i medici assistenti e in due locali da adibito a biblioteca e a cancelleria
no il numero minino di quelle che avrebbero dovuto svolgere la loro attività d’assistenza alle malate, nu mero che però sarebbe potuto au mentare in qualsiasi momento pre via richiesta della Giunta provincia le tirolese. Probabilmente tutti que sti problemi, poterono essere ri solti approfittando della necessi tà di dislocare le docce lontano dai locali delle cucine come invece era stato previsto nel progetto inizia le26. Come è stato possibile appu rare, sul retro del grande edificio manicomiale vennero apposita mente realizzati una serie di pic coli fabbricati non previsti inizial Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
mente, che permise di risolvere “in qualche modo” tutte le manchevo lezze progettuali evidenziate du rante i lavori o non approvate dal le autorità sanitarie provinciali. Contrariamente ad ogni principio deontologico, la progettazione delle modifiche e dei nuovi fab bricati non venne eseguita dal pro gettista ing. Josef Huter, bensì dal direttore dei lavori, l’ing. Lindner. Era evidente che i rapporti tra il progettista e l’Ente committente si fossero interrotti, ma i motivi pur troppo non li conosciamo. Ad avvalorare tale supposizione ci viene in aiuto il secondo disegno 35
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(fig. 2) in cui compare abbozzato uno studio per la sistemazione del l’alloggio delle suore da realizzare al secondo piano del corpo centrale del manicomio. Si tratta di una si stemazione di ripiego che evidente mente non poteva essere accettata dalle suore: infatti, oltre al poco spa zio disponibile e alla cattiva dispo sizione interna dei locali, i servizi igienici risultavano essere fuori dagli alloggi usati in comune con altri reparti dell’ospedale. Grazie al ritrovamento di queste due planimetrie è stato possibile completare tutte quelle dei fabbri cati realizzati nell’ex Ospedale psi chiatrico tra il 1879 e la fine del secolo scorso. Finalmente alla fine di marzo del 2001 riuscii a portare a compimento l’incarico preso. Per rendere meno pesante la relazione sulle attività svolte, che avrei dovuto esporre ai componenti del gruppo di lavoro, approntai una serie di diapositive riproducenti i principali documenti d’epoca integrandole con quelle scattate in occasione dei miei vari sopralluoghi. Conclusi la mia espo sizione consegnando alla dott.ssa Grandi due raccoglitori da duecen to buste trasparenti, contenenti specchi cronologici, trascrizioni di documenti, riproduzioni di foto grafie, disegni esplicativi, cartine, tabelle e soprattutto le planime trie del complesso ospedaliero e degli edifici nella loro disposizio ne iniziale. Dopo qualche tempo, quando or mai avevo ripreso in mano il mio lungo studio sulle difese delle coste mediterranee dalle incursioni turco-
saracene, la dott.ssa Grandi mi tele fonò comunicandomi di aver visio nato la documentazione che le ave vo consegnato e che riteneva oppor tuno trasformarla in un ipertesto multimediale a carattere divulgati vo. Sul finire dell’estate, quando dopo un lungo periodo d’assenza tornai a Trento, incontrai la dott.ssa Grandi che mi pregò di esporre la mia rela zione sul lavoro fatto ad alcuni fun zionari della Provincia autonoma di Trento, e successivamente, ai rappre sentanti dell’Amministrazione comu nale di Pergine e del Comprensorio dell’Alta Valsugana. Mingardi, esperto informatico in occasione di un incontro fu deciso che l’ipertesto uno scopo prettamen te divulgativo diretto ai giovani, in grado di far loro conoscere cosa si gnificò per i Trentini l’aver ottenuto un ospedale psichiatrico in cui i pro pri malati avrebbero potuto con siderarsi tra la propria gente, non più costretti ad “emigrare” in ter ritori lontani ove l’isolamento sa rebbe risultato ancor più accentua to dalla diverse usanze e soprat tutto dalla diversa lingua. Per po ter raggiungere gli obiettivi che ci eravamo preposti sarebbe stato necessario approntare una specie di “menabò” da cui chiunque – non solo gli addetti ai lavori – intera gendo tra i vari file contenuti in un CD-ROM potesse seguire un per corso da cui trarre tutte le infor mazioni che più interessano. Sul finire del mese di aprile 2002 con la dott.ssa Grandi decidemmo di articolare la Storia dell’ex Ospe dale psichiatrico di Pergine dalla
sua ideazione alla fine della Gran de Guerra27 nei seguenti periodi o “argomenti principali”: 1. Antefatti; 2. il manicomio a Pergine; 3. la costruzione dell’Ospedale psi chiatrico; 4. l’inaugurazione; 5. alla ricerca di nuovi spazi; 6. la Grande Guerra; 7. il primo dopoguerra; 8. la costituzione della nuova pro vincia della Venezia Tridentina. Ognuno di essi, a sua volta, avrebbe dovuto essere articolato in una se rie di “argomenti specifici” riguar danti ciascuno degli otto periodi presi in esame. Di conseguenza ogni argomento specifico avrebbe dovu to essere descritto succintamente
fornendo le indicazioni necessarie per i successivi approfondimenti co stituiti da brevi flash denominati “ar gomenti particolareggiati”, che avrebbero costituito il punto di partenza per poter interagire con altri file consistenti in una serie di documenti ancor più particola reggiati, basati essenzialmente sulle immagini con relative dida scalie e spiegazioni. L’ipertesto sarà dunque composto da: - 8 “argomenti principali”; - 34 “argomenti specifici”; - 120 “argomenti particolareggiati” sotto forma di schede, con ri ferimenti alle fonti per un ap profondimento dell’argomento; - 6 cartine geografiche;
Figura 2 -1881 Manicomio provinciale tirolese di Pergine Valsugana planimetria delle fondazioni dei piccoli fabbricati realizzati nella zona retrostante il fabbricato centrale
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- 30 tavole di disegno con relati ve spiegazioni; - 48 fotografie d’epoca, in parte inedite; - 5 mappe catastali; - 17 tabelle; - fotografie recenti dello stato delle strutture; - trascrizioni di documenti più im portanti e difficilmente reperibi li; - bibliografia completa sugli argo menti. Il CD-ROM sarà probabilmente rea lizzato entro la fine del 2003.
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NOTE ]1] Denominazione ufficiale as sunta dall’Ospedale psichiatri co di Pergine dall’inizio delle attività fino al 1916. Dopo tale data i comandi militari au stroungarici preferirono chia marlo Ospedale militare di San Pietro o più semplicemente Ospedale di San Pietro. [2] Avvenute in un periodo di transizione compreso tra la formazione del Catasto fon diario impostato su base geo metrica e particellare (1853), la compilazione dei fogli di possesso fondiario (Grundbe sitzbogen) e la costituzione del Libro fondiario (1900). [3] Già nel 1880-1882 furono re alizzati alcuni primordiali, ma complessi, impianti tecnici quali quelli di riscaldamento, quello fognante e nel 1903
l’impianto elettrico allacciato ad una delle prime centrali della regione alpina. [4] Consistenti: nell’allontana mento dei rivi d’acqua presenti nella zona ove venne eretto il grande fabbricato, lo sposta mento del corso del "canale macinante"; l’allacciamento idrico all’acquedotto; la ricer ca di nuove sorgenti e la co struzione di un nuovo acque dotto; l’impianto elettrico che assorbiva gran parte della po tenzialità della nuova centra le elettrica di Serso; l’installa zione di montacarichi; l’im pianto di produzione d’acqua calda per le docce e la lavan deria; l’impianto telefonico; la realizzazione di una grande cucina dotata di grosse pen tole funzionanti a vapore. [5] Il cui progetto fu eseguito dal conte Carlo Lodron ed appro vato dalla Giunta provinciale. [6] La legge imperiale 17 febbra io 1864, modificando profon damente la legislazione pree sistente in tema di assistenza ai malati di mente, decentra va ogni competenza in mate ria ai vari Länder dell’impero austroungarico. [7] L’istituzione del Libro fondia rio fu introdotta nel Trentino a seguito dell’entrata in vigo re della legge provinciale del Tirolo n. 9 del 17 marzo 1897. L’impianto del libro fondiario
fu eseguita nell’arco di tempo di mezzo secolo ed ebbe ini zio a partire dal 1900. Il rile vamento dei dati, intrapreso dai funzionari austroungarici, venne continuata dal governo italiano che ne riconobbe la validità, ultimandone l’im pianto e mantenendo la vali dità nel territorio della regio ne Trentino-Alto Adige. [8] Il dottor Pius Dejaco, nato a Cognola di Trento il 24 aprile 1859 da una famiglia di lin gua tedesca, prese servizio presso il manicomio di Pergi ne nel 1893 in qualità di assi stente, fu direttore dello stes so manicomio dal 1912 al 1919. [9] DEJACO 1912. Per la traduzio ne cfr. più avanti. [10]SCIOCCHETTI 1998. [11]BATTISTI 1987; BATTISTI 1898; FORENZA 1995; FOREN ZA 1998; GROFF – PIVA – DEL LAI 1985. [12]Generata dalla rivoluzione scoppiata in Ungheria, in Bo emia, a Vienna e nel Lombar do Veneto (1848-1849), dal la guerra contro il Regno di Sardegna (1848-1849), dalla guerra contro i Franco-Pie montesi (1859), dalla guerra contro l’Impero Prussiano e il Regno d’Italia (1866) e l’an nessione della Bosnia Erzego vina (1878). Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
[13]Introduzione del nuovo cata sto fondiario impostato su base geometrica e particellare con rilevamento cartografico alla scala 1:2880 eseguita dall’ i.r. Genio Militare (1853 1863) e all’introduzione del Libro fondiario (1897), ulti mato dopo la Grande Guerra. [14]Causata dalla trasformazione istituzionale della Monarchia Asburgica da Impero d’Austria in Impero d’Austria e Unghe ria (1867) che causò la com pleta riorganizzazione dell’ap parato statale e la riforma del le forze armate che vennero suddivise nei seguenti tre eserciti: l’imperiale e regio esercito (comune alle due par ti dell’impero), l’imperial-re gia Landwehr austriaca e la regia Honved ungherese. [15]Sul finire dell’Ottocento ven ne introdotta la corona al po sto del fiorino. Per molti anni le due monete continuarono ad avere corso legale che al cambio ufficiale corrisponde va ad un fiorino per due coro ne, aumentando così il disa gio tra la popolazione locale che preferì chiamare soldo il centesimo di corona invece che Heller. [16]La riforma comportò l’abban dono di tutti gli antichi siste mi di misura riguardanti le lunghezze, i volumi, i liquidi, gli aridi (granaglie) e le su perfici del terreno. 39
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[17]Vennero, infatti, vietati i rico veri dei malati di mente tren tini presso i manicomi di Ve nezia e di Milano.
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[18]I raccolti risultarono notevol mente inferiori a quelli medi a causa dell’imperversare di lunghi periodi di avverse con dizioni meteorologiche e alla caduta di valanghe. In occa sione dell’entrata in funzione del manicomio di Pergine la direzione fu costretta ad ac quistare la paglia nel Veneto in quanto quell’anno in zona non fu possibile acquistare le foglie di granoturco necessa rie per la confezione dei ma terassi. L’alimentazione basa ta essenzialmente sul mais, ti pica delle valli meridionali del Trentino, fece aumentare no tevolmente il numero dei ma lati colpiti dalla pellagra, in crementando tangibilmente il numero dei ricoveri in mani comio. [19]Negli ultimi tre decenni del l’Ottocento i vigneti trentini vennero distrutti dalla fillos sera che fece scomparire com pletamente alcuni tipi di pre giata uva, tra cui la famosissi ma uva denominata “goccia doro”. [20]Sul finire del secolo XIX il set tore della bachicoltura entrò in profonda crisi per la con correnza straniera per l’esi stenza di una rete ferroviaria assolutamente insufficiente e
dall’imperversare della “pebri na”. A risentire maggiormente la crisi del settore fu la stessa Pergine con le sue numerose filande costrette a chiudere l’attività. [21]A causa della disastrosa allu vione verificatasi nel Trentino ed in Valsugana la cerimonia inaugurale non poté avveni re. Le eccezionali piogge dei giorni precedenti provocaro no lo straripamento dell’Adi ge del 17 settembre, il crollo della serra di Civezzano e la rottura degli argini del Fersi na, che resero impercorribili le strade della zona. La stessa Trento fu inondata unitamen te a tutto il fondovalle dalla più grande inondazione mai registrata negli ultimi secoli. I danni furono ingentissimi e le strade furono inagibili per parecchi giorni. [22]I piccoli fabbricati costruiti nel 1881, vennero demoliti in parte dopo il 1905. [23] Sono planimetrie redatte su moduli forniti dagli Uffici pe riferici del Catasto su cui sono riportate le piante degli edifi ci alla scala 1:200 o 1:400 se condo le dimensioni dell’edi ficio. In Trentino tali docu menti vengono normalmente denominati “catastini”. [24] Si tratta delle due baracche usate per lo stoccaggio del carbone e della legna da ar
dere e l’altra per la conserva zione dei pagliericci e delle foglie di granoturco con cui riempirli. [25]Il numero contrattualmente previsto era di 20 suore, au mentabile a richiesta della Giunta provinciale. La Giunta si impegnava inoltre a fornire un appartamento completa mente arredato, con cucina e una cappella privata, nonchè un orto per gli usi della men sa conventuale; di cedere loro gratuitamente le candele per l’illuminazione, il sapone, la cenere per il bucato, la legna da ardere, un quarto di vino giornalmente e il compenso di 40 fiorini annui. Le suore dal canto loro avrebbero dovuto assicurare il funzionamento della lavanderia (eventual mente assumendo due lavan daie locali che avrebbero do vuto ricevere 80 fiorini all’an no) e l’assistenza diretta del le malate ricorrendo eventual mente ad assumere due ausi liarie alle stesse condizioni amministrative di 80 fiorini annui. Con teutonica precisione il contratto prevedeva inoltre che le suore avessero il com pito: della gestione della men sa degli ammalati e degli in fermieri; l’acquisto diretto del le derrate alimentari; della compilazione dei menù secon do particolari disciplinari da rispettare; di curare il servizio di guardaroba dell’ospedale e Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
delle scorte di magazzino; di garantire la presenza di suore bilingui tra quelle impiegate nella cura delle malate. Come si desume dall’esame delle clausole presenti nel contrat to, la Giunta provinciale, ave va demandato alle suore tut ta l’organizzazione logistica dell’ospedale, comprese le cuoche nelle cucine e quella dell’assistenza nei reparti ri servati alle ammalate. Spetta va invece al Direttore del ma nicomio stabilire se una suo ra era idonea o meno a svol gere il suo compito specifico e alla sorveglianza sulle atti vità svolte. Per contro la cat tolicissima amministrazione provinciale dovette sistemare nel migliore dei modi possi bili le giovanissime suore giu liane, friulane e goriziane che si dimostrarono sempre all’al tezza della situazione (cfr. PANTOZZI 1989). [26]Come è rilevabile nel testo della relazione di Dejaco, la di slocazione delle docce era pre vista nelle immediate vicinan ze dei locali della cucina ma tale soluzione non venne ac cettata dalla commissione sa nitaria provinciale. Da tale pre cisazione si riesce a capire il motivo della realizzazione dei due porticati che collegavano il fabbricato centrale con le cucine. Gian Piero Sciocchetti è Generale di Brigata Ris. del Genio Militare. 41
Un luogo per nuove politiche sociali Renzo Anderle
Il progetto per il riuso dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana.
È fuori dubbio che la presenza del l’Ospedale psichiatrico in Pergine ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della borgata, a partire dal la fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri, con ripercussioni sia per quanto concerne l’economia, che per quanto riguarda gli aspetti sociali. L’influenza dell’Ospedale psi chiatrico sulla comunità di Pergi ne è stata talmente forte da far sì che la stessa borgata fosse identi ficata con il manicomio e Pergine definito, non sempre ironicamen te, come “il paese dei matti”. Indubbiamente, se ripercorriamo la storia dell’Ospedale psichiatrico, dalla scelta della sua ubicazione in Pergine fino alla legge 180 del 1978, che ne ha decretato di fatto la chiu sura, non si può non rilevare come l’Ospedale psichiatrico, con la sua presenza di pazienti, che sono arri vati nel momento di maggiore uti lizzo della struttura ( nel maggio 1963) a 1775 degenti, e con i suoi 400 addetti, ha assunto dimensioni confrontabili con quelle del centro
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urbano di Pergine. È quindi eviden te il peso “demografico” di questa istituzione sulla comunità. Analo go discorso vale per quanto con cerne le aree dell’Ospedale, che hanno occupato una porzione con siderevole del territorio della bor gata, in posizione abbastanza cen trale, a ridosso del centro storico. Dagli iniziali nove ettari, derivanti dall’acquisto della prima porzione di terreno dal conte Crivelli per la costruzione del padiglione centra le, si è arrivati, progressivamente, ad una superficie interessata dal la struttura di 251.500 mq, dei quali 13.200 coperti da edifici e 238.300 mq di superfici libere (via bilità, campi coltivati, aree bosca te). Le figure seguenti danno un’indi cazione dell’evoluzione dell’abitato di Pergine nel tempo. La prima (fig. 1) si riferisce alla più antica mappa reperibile negli archivi comunali e risale al 1750. Da questa si possono osservare le ridotte dimensioni del l’abitato, che allora contava presu mibilmente 2.500 abitanti. A metà Ottocento ritroviamo Per gine ampliata intorno al centro sto rico, con una popolazione attestata intorno a 3.100 abitanti. Nella se conda (fig. 2) non risulta ancora in dicato il nuovo Ospedale psichiatri co la cui ubicazione risulta sullo sfondo dell’immagine. La scelta della costruzione del nuovo Ospedale psichiatrico è avve nuta nel periodo 1875-1877, dopo un lungo e intenso dibattito attra verso il quale si è pervenuti, innanzi tutto, alla scelta di realizzare un nuo vo Ospedale psichiatrico nell’area
Bruno Caruso, Non riconosce, disegno a matita.
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“italiana” in aggiunta al già ope rante Ospedale psichiatrico di Hall, vicino ad Innsbruck. Diversi i co muni candidati ad ospitare il nuo vo Os-pedale psichiatrico, struttu ra che risultava di particolare in teresse per le amministrazioni co munali, in grado di offrire lavoro a un elevato numero di residenti e capace di operare un forte indot to nelle economie locali. La scel ta, alla fine, cadde su Pergine e la progettazione dell’edificio fu affi data all’ingegnere Karl Lindner, per una struttura capace di ospitare 200 pazienti. La prima pietra fu posata il 20 marzo del 1879, mentre la fine dei lavori è avvenuta il 19 settembre 1882. Interessa rilevare che la con clusione dei lavori – e quindi l’aper tura dell’Ospedale psichiatrico – è avvenuta nel periodo in cui il Tirolo veniva interessato da fenomeni al luvionali di particolare intensità, che hanno coinvolto anche il Comune di Pergine in vari punti del territorio, recando danni e distruzioni. Proprio in relazione a quegli eventi, l’inau gurazione del complesso ha subito un ritardo, come pure l’attivazione dell’Ospedale psichiatrico. Ma, nel complesso, i lavori si sono svilup pati secondo il programma stabili to. La prima struttura riguardava la costruzione del cosiddetto padiglio ne centrale dalla classica forma ad E; edificio articolato su tre piani fuo ri terra più un piano interrato. Come si è detto, la superficie interessata dalla nuova struttura psichiatrica ri guardava inizialmente 90.000 mq; oltre all’edificio, quindi, esistevano
ampie superfici libere, fin dalla pri ma concezione della struttura man comiale. A partire dal 1926, l’Ospedale psi chiatrico si è via via ampliato se condo il concetto della struttura “per blocchi isolati”, collegati fra loro da una viabilità interna, ampia e articolata. Nel 1926 entrò in fun zione la costruzione nota come “pa diglione Osservazione” che consta va di 120 posti letto. Nel 1934 è stata completata la costruzione del padi glione Valdagni, per le donne, della capienza di 130 posti letto. Nel frat tempo, anche il padiglione centrale subiva alcuni ampliamenti per quan to concerne la ricettività, al punto che, nel 1934, questa era di 750 po sti, per diventare presto di circa 1000 letti. Una città nella città: così si po teva definire intorno agli anni qua ranta l’Ospedale psichiatrico di Pergine. A separare le due struttu re urbanistiche una sorta di corti na, in muratura oppure in rete metallica, per isolare i malati di
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mente dalla comunità “sana”. Una città praticamente autonoma, con propri servizi, con un’elevata ca pacità di soddisfare l’esigenza pri maria dell’alimentazione dei pazien ti attraverso la coltura dei fondi agri coli messi a disposizione, non solo all’interno dello spazio dell’Ospeda le psichiatrico, ma anche nella vici na azienda agricola della Costa; una città dotata di servizi, anche moder ni, in grado di assolvere alle princi pali necessità dei propri residenti che, tra pazienti e personale dipen dente, ammontavano a circa 2.000 unità. Occorre citare, accanto alla vera e propria struttura ospedaliera, l’edi ficio destinato da ultimo alla scuola per infermieri, il reparto cucina-la vanderia, il panificio, i locali per le manutenzioni, il teatro, la chiesa, gli alloggi per le suore, le strutture tec nologiche, come l’acquedotto con relativo serbatoio realizzati nel 1884, e le reti di distribuzione, la rete fo gnaria, gli impianti per la produzio ne e la distribuzione del calore. Di particolare rilevanza architet tonica la cappella mortuaria, costruita all’inizio del 1900 in stile liberty e non manomessa nel tempo, struttura che rappresenta un piccolo gioiello e sulla quale sarà utile impostare, nel prossimo futuro, un serio progetto ai fini del recupero e a testimonianza di una tipologia di edifici che hanno trovato scarsa diffusione sul territorio della Provincia di Trento. Tale edificio potrebbe essere utilizzato quale sede di una mostra sul manicomio e come archivio-museo delle numerose docu-mentazioni ancora
esistenti presso l’ex Ospedale psichiatrico. La situazione dell’Ospedale psi chiatrico nel periodo della sua più ampia attività è quella riportata nella fig. 4 dalla quale si può cogliere immediatamente l’articolazione del la struttura ospedaliera in vari bloc chi con i diversi percorsi interni. Per quanto concerne le superfici non occupate dagli edifici e le loro pertinenze, si osserva che circa sei ettari di terreno sono occupati da bosco, mentre la parte coltivata ri guardava circa tre ettari di terreno. Tutta la superficie è percorsa da stra de o da sentieri che ne rendono pos sibile l’accesso praticamente in ogni sua parte. L’ingresso principale è po sto sul lato sud-ovest, in prossimità del corpo centrale. Con l’entrata in vigore della leg ge 180 si è posto il problema di un riutilizzo delle strutture del l’Ospedale psichiatrico che, gra dualmente, sarebbero state libera te dai pazienti. Analogo discorso valeva per le ampie superfici, par te a bosco e parte coltivate. Varie sono state le ipotesi prese in con siderazione, non ultima quella che prevedeva la realizzazione di una sede universitaria – una sorta di college – progetto che però non è riuscito a radicarsi ed è pertanto stato abbandonato dopo una bre ve, ma animata discussione. Non c’è stata, quindi, un’idea di fondo, sviluppata nel tempo, che ri guardasse l’intera superficie a suo tempo destinata ad Ospedale psi chiatrico (25 ettari per l’intera su perficie) ma l’adozione di una se rie di decisioni di utilizzo dei vari
edifici, per diverse attività, in fun zione di specifiche esigenze che a mano a mano venivano a manife starsi sul territorio. A fronte dell’esigenza di disporre di un idoneo edificio da destinare a scuola media superiore, è stata ope rata la scelta di utilizzare, previa ra dicale ristrutturazione, il padiglione centrale, riservando pertanto alle attività didattiche la porzione posta più a sud del complesso ospeda liero. Tale intervento viene attua to per lotti e vedrà il completa mento della ristrutturazione del padiglione centrale nel corso dei prossimi 3-4 anni. Il lavoro si com pleterà con la realizzazione di un palazzetto dello sport, che sarà utilizzato, oltre che dalla scuola, anche dalla comunità perginese e che sarà realizzato in corrispon denza al margine sud-ovest del complesso ospedaliero, a ridosso del nucleo storico del “Tegaz”. Il padiglione “Osservazione” è sta to destinato e utilizzato ormai da tempo dalle attività sanitarie, come pure il contiguo padiglione “Perusi ni”; che attualmente ospita il repar to psichiatrico. Il padiglione “Pan dolfi”, costruito nel 1934, è diven tato adesso R.S.A. di tipo psichiatri co, mentre il padiglione “Valdagni” sarà adibito, tra breve tempo, ad am bulatori e a uffici della struttura sa nitaria. Un discorso a sé va fatto per quanto concerne il padiglione “Be nedetti”, realizzato negli anni cin quanta, e che fino a non molto tem po fa ospitava il reparto psichia trico, mentre attualmente è utiliz zato solo in parte per attività sa Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
nitarie. Ebbene, il padiglione “Be nedetti”, insieme con altre strut ture realizzate in questi ultimi cin que anni, verrà adibito a struttura ospedaliera (centro di riabilitazio ne), in sostituzione dell’attuale Ospedale Villa Rosa. Da anni si sta lavorando intorno a questo pro getto che vedrà il suo completa mento nel 2005. Le strutture più decentrate, come Maso San Pietro e Maso Tre Castagni, sono state oggetto di interventi di ristrutturazione (attualmente anco ra in corso per quanto concerne due dei tre edifici del Maso Tre Casta gni) e destinate a comunità di recu pero. Da quanto detto, emerge in ma niera abbastanza evidente, che l’in tera struttura dell’ex Ospedale psi chiatrico sta assumendo una propria precisa fisionomia, con una altret tanto precisa destinazione dei vari edifici all’interno del complesso; edifici che sono stati oggetto, o lo saranno a breve, di interventi di ri strutturazione o di ampliamento. Ciò che rimane ancora aperto è il discorso relativo all’utilizzo degli spazi liberi intorno ai quali si è svi luppato un confronto, in questi ul timi anni, con la Provincia, proprie taria dell’intero complesso, ai fini di una fruizione di tali spazi da parte della comunità di Pergine. L’obiettivo di fondo è quello di una sorta di “recupero” alla comunità perginese di quest’area che è stata in qualche modo sottratta alla co munità stessa nel periodo di funzio namento dell’Ospedale psichiatri co. Sottratta, ma anche preservata da speculazioni di vario genere. 45
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Con il progetto che si intende realizzare si vuole in qualche modo eliminare, almeno parzialmente, an che il muro che ha isolato la strut tura ospedaliera dal resto della co munità, rendendo tale barriera permeabile in più punti, al fine di consentire un’adeguata fruizione degli spazi dell’ex Ospedale psi chiatrico alla comunità stessa. Le coordinate entro le quali il pro getto di riutilizzo dell’area dell’ex Ospedale psichiatrico dovrà artico larsi possono essere sostanzial mente riassunte nel modo seguen te:
1. utilizzare i volumi esistenti at traverso processi di ristruttura zione, limitando gli ampliamen ti nei termini già definiti attra verso le progettazioni autoriz zate; 2. limitare allo stretto necessario la realizzazione di nuovi edifi ci; 3. evitare che i viali interni, soprat tutto quelli della parte più bassa, vengano interessati dal traffico veicolare. Occorre far sì che ven ga costruito un collegamento for te tra la struttura ospedaliera in fase di realizzazione (nuovo Vil la Rosa) e il centro storico del
Bruno Caruso, I pazzi del manicomio di Palermo (che mimano la corrida), disegno acquarellato, 1955.
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la città di Pergine, attraverso un percorso protetto. Questo per corso deve diventare una sorta di sutura tra la città e l’area del l’ex Ospedale psichiatrico, un elemento di collegamento for te tra i due spazi urbani, una sorta di canale che consenta un flusso di persone dal centro abitato a questo polmone ver de e viceversa, tale da poter essere usufruito in assoluta si curezza; 4. gli accessi ai vari edifici devo no essere garantiti dalla viabi lità periferica (Via San Pietro), con penetrazioni limitate ai di versi complessi, dove saranno realizzati parcheggi ad uso de gli stessi; 5. il complesso dei percorsi esisten ti all’interno delle aree a bosco e delle aree coltivate andrà comple tato al fine di creare circuiti per pedoni e per ciclisti, con aree di sosta, nei punti più panoramici e con aree attrezzate a gioco per i bambini; 6. buona parte della superficie at tualmente coltivata e affidata in gestione all’Istituto sperimenta le per l’agricoltura della Costa, che è opportuno continui a mantene re questa funzione, con alcune varianti. In particolare, si riter rebbe utile creare una sorta di “Museo delle colture agricole”, at traverso il recupero di specie arboree frutticole che stanno scomparendo soppiantate dalle colture intensive. Tutto questo per mantenere la memoria dei sa pori della frutta di un tempo. Ciò sarà possibile grazie anche
alla disponibilità della Direzio ne dell’Istituto sperimentale dell’agricoltura. È questo un ele mento nuovo che potrà carat terizzare fortemente una por zione del territorio dell’ex Ospe dale psichiatrico. Sempre con riferimento alla vege tazione, si dovrà tenere conto del le specie arboree di particolare in teresse e che potranno diventare, nell’ambito di questo progetto di recupero delle aree aperte dell’ex Ospedale psichiatrico, sorta di monumenti vegetali sui quali at trarre l’attenzione dei visitatori. Pergine “Città dei bambini” po trà trovare, nell’utilizzo di questi ampi spazi, nuovi elementi per rin forzare quel concetto di attenzio ne nei confronti delle categorie più deboli che è alla base del pro getto stesso della “città dei bam bini”1 . È un’occasione, questa, che consentirà di dare ulteriore sostan za a un progetto che è stato am piamente recepito da parte della popolazione e apprezzato per il suo contenuto. Un accenno, infine, ad altri due interventi da realizzarsi all’interno dell’area dell’ex Ospedale psichiatri co, la cui attuazione consentirebbe di creare un cordone di saldatura forte con la città. Ci si riferisce alla realizzazione di un parcheggio inter rato su due piani a fianco del co struendo palazzetto dello sport, che consentirebbe di mettere a disposi zione della comunità perginese, re sidente nella parte più antica della città, una struttura per il ricovero dei propri automezzi2. Altro intervento riguarda l’ipo 47
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tesi di realizzazione di un audito rium, costruito per la scuola, ma realizzato in modo tale da poter essere utilizzato anche per l’atti vità ricreativo-culturale nel perio do estivo. Il sito per collocare que sta struttura dovrebbe essere, na turalmente, quello delle pertinen ze scolastiche e quindi verso la porzione a sud-ovest dell’area dell’ex Ospedale psichiatrico. È un’ipotesi da approfondire e valutare attentamente; certo è che consentirebbe di tradurre in concre to – e in maniera forte – il concet to di apertura degli spazi dell’ex Ospedale psichiatrico alla comunità e viceversa. La posizione dell’area, a pochi passi dal centro storico, dotata di infrastrutture per par cheggio, con a fianco un ampio parco, è quanto di meglio si possa pensare per un’opera di questo genere. Occorre però passare, ades so, dal campo delle ipotesi a quel lo delle idee tradotte in progetti concreti.
no. Gli elaborati sono stati oggetto di una mostra svoltasi nel mese di maggio 2002 (n.d.r.). [2] Si potrebbero liberare così an che le strade, in particolare nelle ore notturne, dai veicoli in sosta, con tutti i benefici che un’operazione di questo genere comporterebbe. Basti pensare a quanto sarebbe age volato il lavoro di pulizia delle strade nelle ore notturne oppure lo sgombero della neve e via dicendo.
NOTE [1] Il progetto «città dei bambi ni» si riferisce all’iniziativa svi luppata dall’amministrazione comunale di Pergine Valsuga na in collaborazione con gli architetti del gruppo “Palo mar”, che vede la partecipa zione di alcune classi scolasti che a laboratori di progetta zione partecipata con la rac colta di idee e proposte su come i bambini immaginereb bero la città nella quale vivo-
Renzo Anderle è sindaco di Pergine Valsugana dal maggio 2000.
Il recupero del parco Carmelo Anderle e Fabrizio Fronza
Il Servizio Ripristino e Valorizzazione della Provincia Autonoma di Trento e il suo contributo al recupero del parco dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine
Il Servizio Ripristino e Valorizzazione Ambientale della Provincia autonoma di Trento Alla fine degli anni ottanta, in una fase di emergenza occupazionale e ambientale, la Provincia autonoma di Trento avviò un piano strategico la cui importanza, per i suoi risvolti paesaggistici e occupazionali, è sta ta in seguito universalmente ricono sciuta. Tale esperienza, nata come misu ra di emergenza si è in seguito con solidata e ha dato origine ad un set tore specifico dell’amministrazione pubblica che cura una vasta gamma di interventi sul territorio. L’inserimento del progetto di re cupero dell’ex Ospedale psichiatrico di Pergine nel piano del Servizio Ri pristino e Valorizzazione Ambienta le testimonia la scelta di restituire ad un uso pubblico il compendio del l’ex ospedale, valorizzando e riorga nizzando gli spazi interni, nel rispet to della memoria storica del luogo. La riqualificazione degli spazi in terni all’ex Ospedale psichiatrico, Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
e la valorizzazione del sistema del verde consentiranno di restituire il parco alla cittadinanza, recupe rando la memoria storica del luo go. Il contesto socio-economico in cui è nato il Servizio A metà degli anni ottanta la disoc cupazione in Trentino raggiungeva il 10% circa. Dopo il disastro di Sta va del 19 luglio 1985, il governo provinciale in piena emergenza ambientale intese rispondere alla duplice domanda di posti di lavo ro e di difesa del territorio con un "Progetto speciale". Nel 1986 un primo gruppo di quattrocento ex-disoccupati furo no da subito impiegati in opera zioni di manutenzione ordinaria del territorio. Superata la fase di emergenza alla fine degli anni ottanta si chiuse l’esperienza del "Progetto specia le per l’occupazione attraverso la valorizzazione delle potenzialità turistiche ed ecologico-ambienta li" e nacque una nuova struttura dell’amministrazione provinciale, il Servizio Ripristino e Valorizzazio ne Ambientale, il cui ruolo è preci sato nella Legge provinciale 32. La legge d’istituzione del Servizio La Legge provinciale n. 32/1990 coniuga le esigenze di sostegno occupazionale per particolari fasce deboli di forza lavoro con iniziati ve di interesse generale nel com parto ambientale e turistico-cultu rale: i settori d’intervento com prendono la rete dei percorsi turi 49
Il recupero del parco
stici e culturali, i manufatti d’in teresse culturale, le piste ciclope donali, i parchi e i giardini pub blici, il consolidamento dei versan ti franosi, il recupero dei relitti stradali e la realizzazione di pen siline di fermata degli autobus. Gli interventi sul territorio sono gestiti dal Servizio Ripristino e Va lorizzazione Ambientale in base a un programma pluriennale approvato dalla Giunta provinciale. Le opere sono ammesse al finan ziamento in base a logiche di prio rità ed equità territoriale e alle
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proposte dei comuni secondo le previsioni della pianificazione ur banistica provinciale subordinata, privilegiando gli interventi dov’è prevalente l’impiego di manodo pera e di materiali naturali. Per capire le implicazioni della L.P. 32 è utile conoscere alcuni dati geografici e sociologici della provincia di Trento (tab. 1). I dati evidenziano che dal pun to di vista della disoccupazione il Trentino si trova in una posizione privilegiata rispetto al resto della penisola (tab.3).
(Il tasso di attività è calcolato come rapporto tra le persone appartenenti alle forze di lavoro e la popolazione di età superiore ai 15 anni).
Tab. 1 caratteristiche geografiche e demografiche della Provincia Autonoma di Trento (1999).
I soggetti La legge n. 32 impegnava l’ammi nistrazione provinciale a trovare occasioni d’impiego nel settore ambientale alle categorie sociali deboli. I primi ad essere assorbiti furono gli ultracinquantenni e le donne ultraquarantacinquenni cui veniva meno la protezione della “cassa integrazione guadagni”. In seguito sono state coinvolte altre categorie: disoccupati, emi grati trentini rientrati dal Sud America e dai territori dell’ex Ju goslavia. Un’apposita Commissio ne provinciale per l’impiego indi vidua numero e tipologia dei la voratori da impiegare nei vari pro getti individuati e gestiti dal Ser vizio Ripristino e Valorizzazione Ambientale; la gestione della ma nodopera e la fase esecutiva di re alizzazione delle opere sono inve
ce affidate a un consorzio che rag gruppa le cooperative presenti sul territorio (tab. 4). Settori d’intervento a) Parchi e giardini storici. Il progetto di recupero e riqualifi caione dell’ex Ospedale psichiatri co di Pergine rientra nelle tipolo gie d’interventi previsti nel piano del Servizio Ripristino e Valorizza zione Ambientale ed è assimilabi le ad altri interventi in parte già realizzati (Giardino storico di Vil la de’ Mersi a Trento, Parco arcidu cale ad Arco) o la cui progettazio ne è in corso (Parco delle Terme di Levico e Parco delle Terme di Ron cegno). Nell’area dell’ex Ospedale psichiatrico di Pergine da due anni sono in corso interventi di manu tenzione ordinaria per riqualifica
Tab. 2 Tassi di disoccupazione comparativi con altre realtà .
Tab.4
Grafico 1
Tab. 3 Tasso di disoccupazione:% di pesone in cerca di occupazione rispetto alla forza lavoro. Fonte: Servizio Statistica P.A.T. annuario generale statistico anno 2000
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re zone degradate e non fruibili dai visitatori. Con le operazioni di diradamento selettivo si riapriran no spazi aperti in zone preceden temente rimboscate, rendendo così fruibili molti spazi interclusi. È inoltre in corso la fase esecutiva di un progetto che mira al riordi no e alla riqualificazione di tutte le aree dell’ex Ospedale psichiatri co a cura del Dott. Carmelo Ander le. Le linee guida del progetto sono state concordate in numero si momenti di confronto e dibatti to nell’ambito del gruppo di lavo ro sugli ex ospedali psichiatrici di cui fanno parte il Comune di Per gine Valsugana, un gruppo di ri cerca coordinato dall’Università di Trento con storici, archivisti e ar chitetti e il Servizio Ripristino e Va lorizzazione Ambientale della Pro vincia autonoma di Trento;
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b)Parchi urbani ed extraurbani Sono ormai quasi 150 gli interventi realizzati in varie località del terri torio trentino per conto delle ammi nistrazioni locali. Molte opere han no contribuito a riorganizzare e ri qualificare aree marginali quali ex discariche d’inerti, zone incolte o vecchie aree già utilizzate come parchi urbani. Gli interventi com prendono parchi urbani, extraur bani, fluviali, ricreativi all’aperto, sportivi agonistici e non, oltre a parchi termali e altri ambiti pub blici (stazioni ferroviarie, scuole); c) Recupero delle rive dei laghi Gli interventi di recupero rive la ghi realizzati a partire dalla fine degli anni ottanta riguardano la
riqualificazione di fasce lago par ticolarmente frequentate e sottoposte a carico antropico, con il fine di riqualificare paesaggisticamen te zone degradate. Si tratta gene ralmente di: - opere di difesa spondale quali scogliere, rimodellamento ecc. - passeggiate circumlacuali, piste ciclabili, passerelle e sentieri - opere d’ingegneria naturalistica per la rinaturalizzazione delle rive - creazione di veri e propri parchi pubblici, riapertura di zone in tercluse, lidi per bagnanti. La riqualificazione delle fasce di rispetto dei laghi è in linea con le indicazioni del piano urbanistico provinciale, che individua in detta glio le zone soggette ad interventi di riqualificazione paesaggistica. Nel corso di 12 anni di lavori sono stati realizzati significativi interventi sulle sponde di 17 laghi: 7 nuovi bacini sono stati creati ex novo nell’ambito di sistemazioni paesaggisti che; d) Piano generale delle piste ciclabili d’interesse provinciale. Il piano generale delle piste ciclopedonali d’interesse provinciale è in avanzata fase di realizzazione: degli oltre 400 Km di progetto sono sta ti finora realizzati circa 350 Km di tracciati, utilizzando prevalente mente tomi arginali e strade interpoderali. La rete, una volta ultimata, con sentirà ai ciclisti di raggiungere i centri principali della provincia di Trento su percorsi dedicati e protetti;
e) Recupero di aree franose ed ex discariche Si tratta di sistemazioni di pendio che sono prevalentemente realizza te con le tecniche dell’ingegneria na turalistica. Dal 1990 sono stati ultimate le si stemazioni di circa 30 scarpate e 26 discariche, per un totale di più di 50 ettari di territorio sistema to; f) Aree di sosta e pensiline per la fermata lungo le strade provinciali. Un’attività capillare di ricucitura del territorio, forse la più visibile anche ai non addetti ai lavori, è quella della riqualificazione dei relitti stradali, tratti viari abban donati, aree marginali che sono state rese disponibili alla fruizio ne pubblica come aree verdi per la sosta. Nel corso di circa 10 anni d’interventi sono stati realizzati circa 230 interventi ormai entrati nel piano di manutenzione ordi naria. g) Passeggiate e sentieri turistici e naturalistici. Nel corso degli anni continua il re cupero della fitta rete di percorsi pedonali d’interesse culturale ed ambientale. Si recuperano e realiz zano ex novo antichi tracciati di montagna, camminamenti della Grande Guerra, percorsi naturali stici ed etnografici e viabilità sto riche, riscoprendo le tecniche del la tradizione: muri a secco, selciati, opere in legname per il conso lidamento dei versanti, stacciona te; Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
h) Beni culturali minori Capitelli, insegne votive, manufatti che testimoniano la storia del Tren tino come segherie ad acqua e vec chi mulini, sono stati restaurati e resi visitabili. Nel caso delle segherie e mulini il recupero delle parti in mo vimento ha permesso una fruizione a scopo didattico; i) Altro Negli ultimi anni si è consolidata la collaborazione con Arte Sella, Bien nale internazionale d’arte e natura che si svolge nei boschi, prati e nel greto del torrente della Val di Sella (Borgo Valsugana). La collaborazio ne con artisti di levatura internazio nale consiste nell’apporto operativo di risorse per la realizzazione e ma nutenzione delle opere. Oltre alle attività più propriamente legate al paesaggio il Servizio Ripri stino e Valorizzazione Ambientale fi nanzia e coordina: - Attività d’indagine per la ricogni zione delle infrastrutture del ser vizio idrico; - Custodia di musei e castelli. Scenari attuali e futuri punti critici L’avvento del Servizio Ripristino e Valorizzazione Ambientale ha au mentato la sensibilità delle ammi nistrazioni locali riguardo alle te matiche del paesaggio, scatenan do delle "reazioni a catena" in base ad un effetto imitazione che ha avuto ripercussioni su tutto il ter ritorio provinciale. Dal punto di vista sociale il caso del Servizio Ripristino e Valorizza zione Ambientale è stato citato 53
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come “Esempio di buona prassi nella gestione del fattore età” dalla “Fondazione europea per il mi glioramento delle condizioni di vita e del lavoro" nell’ambito del la ricerca “lotta alle barriere basa te sull’età nel lavoro”, riconosci mento che va ben oltre i confini della Provincia di Trento e che per mette di dare forza alle strategie per l’occupazione individuate nel corso di diverse legislature. In alcuni casi però sono stati evidenziati i limiti dell’impiego di manoopera non specializzata e/o con problemi di vario genere, tra cui l’assenza di esperienza e qua lificazione professionale. Dal pun to di vista del mercato del lavoro l’inserimento dei lavoratori ex cas sintegrati nel piano dei progetti di ripristino ambientale ha contribu ito alla riemersione di forza lavo ro dal sommerso. Il piano occupazionale lascia
spazio all’impiego di soggetti de gli ex ospedali psichiatrici, molti dei quali sono già stati inseriti in analoghe iniziative per il lavoro “protetto”, come l’Azione 12 del l’Agenzia del lavoro. La loro collo cazione in uno stabile progetto occupazionale potrebbe costituire un’efficace strategia terapeutica. La riqualificazione del parco dell'ex Ospedale psichiatrico Al fine di riqualificare l’area del parco dell’ex Ospedale psichiatri co di Pergine il Comune di Pergine in accordo con il Servizio ripristi no e valorizzazione ambientale della Provincia autonoma di Tren to, ha formalizzato un incarico a un progettista per la redazione della progettazione preliminare. Nel corso del 2001 è stata concor data e presentata una proposta progettuale, redatta in base agli studi e alle valutazioni del grup-
Budget totale (in Euro)
56.754.481,55
di cui
cofinanziati UE finanziati Provincia relativi al piano piste ciclabili amministrati direttamente
7.230.396,59 28.405.129,45 17.043.077,67 3.873.426,74
Budget totale (in Euro)
42.998.652,74
di cui
amministrati direttamente compresi investimenti e attrezzature nonché per la gestione in amministra zione diretta dei Parchi di Levico e Roncegno per il piano piste ciclabili
4.798.093,14
7.734.869,30
Foto 1 - 1882 - La mappa mostra il probabile sedime dell’edificio originario, così come si presentava negli elaborati progettuali; da notare le previsioni di giardini all’italiana sui lati dell’ingresso ed in corrispondenza dell’attuale parcheggio; le aree a prato e a bosco sulla collina e a monte dell’edificio, la viabilità originaria verso Maso San Pietro ed il Castello.
Tab. 5 Informazioni finanziarie 1997-1999
Tab. 6 Informazioni finanziarie 2000-2002
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po di lavoro coordinato dalla prof.ssa Casimira Grandi, docente di Storia sociale presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, e in base alle esigenze e alle richieste della cittadinanza e delle diverse amministrazioni coinvolte. Studio preliminare per una ricostruzione storica dell’evoluzione del parco dell’ex Ospedale psichiatrico di Pergine. Nel corso dei numerosi incontri che hanno preceduto la stesura del progetto è stata significativa la co noscenza del generale Gian Pietro Sciocchetti, il quale, nell’intento di realizzare una storia del manico mio di Pergine (“Appunti per un ipertesto sulla storia del manico mio di Pergine: l’ospedale psichia trico di Pergine Valsugana attraver
so vecchie immagini fotografiche e la ricostruzione delle planimetrie di vari edifici”), ha saputo racco gliere diverse immagini storiche. Di queste alcune sono state utilizza te al solo scopo di rinvenire trac ce della vegetazione e dell’arredo originario del parco dell'ex Ospe dale psichiatrico di Pergine. Nelle pagine successive, con il permesso dell’autore si propone una lettura critica delle stesse con alcune note di commento in dida scalia. Le date sono quelle ripor tate da Sciocchetti. La carta catastale storica d’impianto. Alla formazione della cartografia catastale si arrivò a partire dalle reti di triangolazione del 1856, per seguire con il rilievo di detta glio degli anni 1860. La formazione del patrimonio 55
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Dall’alto: Foto 2 - 1882 – La facciata principale ed il muro di cinta: quest’immagine deve essere anteriore di qualche anno alle due immagini successive in quanto qui siamo in fase di messa a dimora delle piante; il muro di cinta è pressoché pulito: le immagini fanno propendere per un giardino all’italiana che però sembra non collimare con i disegni di progetto?! Foto 3 - 1882 – Da questa foto è possibile notare i probabili giardini «all’italiana» realizzati sia sul lato nord-est sia su quello sud-ovest dell’edificio principale. Nella parte bassa della foto, all’inizio dell’attuale salita per maso San Pietro (campi di bocce) è presente un’area aperta, non boscata.
Dall’alto: Foto 4 -1885-1890 La facciata del nuovo manicomio: qualche anno dopo l’inaugurazione si nota la presenza di vegetazione all’interno del muro, che però non supera l’altezza del primo solaio: le eventuali alberature non si sono ancora affrancate. Foto 5 1885-1890 - Il padiglione centrale è accompagnato da vegetazione, anche arborea che non supera però la quota del solaio del primo piano, se non in parte sul lato sinistro della foto. Sullo sfondo, cioè sulla collina del Tegazzo appaiono solo piante latifoglie a chioma voluminosa (forse castagni?), non si rinvengono conifere.
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Dall’alto: Foto 6 - 1905-1910 Il padiglione Pandolfi con il muro antistante, all’interno del quale non è ancora presente alcuna alberatura. Lo stesso fu costruito negli anni 1903-1905. Foto 7 - 1905-1912 – Attraverso l’ingresso principale si nota il cimale di una conifera (forse un abete rosso) a destra sopra la portina; l’altezza presunta è di 5-6 metri.
Dall’alto: Foto 8 - 1905-1912 Anche qui si può notare la presenza di un filare di conifere, poste con sesto d’impianto abbastanza irregolare davanti alla facciata e lungo il vialone d’ingresso, che raggiungono a malapena il secondo solaio. Foto 9 - 1912 – Di fronte all’edificio della «Portineria vecchia» è presente una conifera (probabile cedro) di dimensioni già elevate, perlomeno pari all’altezza dell’edificio principale (tre piani).
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Dall’alto: Foto 10 - 1912 – Questa immagine da corpo alla conifera vista nella foto precedente si notano infatti alcune grosse conifere sulla destra dell’ingresso principale del padiglione, di cui la prima un cedro, la seconda un abete e poi altre; a sinistra dell’ingresso vediamo svettare l’abete richiamato Foto 11 - 1912 – Da questa immagine presa da Maso San Pietro è facile notare come i presunti giardini «all’italiana» presenti sul lato nord-est siano ormai dominati da uno strato di conifere che raggiunge in altezza il tetto, dell’edificio. Dalla collina sono visibili la piattaforma recintata posta all’incirca in prossimità dell’attuale campo di bocce, la lavorazione a vigneto dell’anfiteatro posto a ridosso della stessa, la piantumazione con latifoglie delle pendici a ridosso dell’acquedotto austriaco. Vegetazione abbondante anche in prossimità dei padiglioni Pandolfi e Perugini.
Dall’alto Foto nr. 12 -1912 – La stessa immagine capovolta, presa dalla piattaforma recintata, mostra Maso San Pietro posto alla sommità di un terrazzamento a vigneto, con qualche latifoglia verso la presa dell’acquedotto ed il bosco di latifoglie a destra della vallecola. Le piante più vicine alla recinzione sembrano essere fruttifere, impalcati ad alberetto. Foto nr. 13 -1912 – Anche questa immagine mostra le aree aperte ed i fruttiferi presenti sulla collina, a monte della cucina.
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Dall’alto: Foto nr. 14 -1912 – Analogamente, a monte dell’obitorio sono presenti alberature latifoglie tipicamente riconducibili a fruttiferi. Nei dintorni dell’edificio mancano i grandi pini neri attualmente presenti. Foto nr. 15 - 1915-1918 – Nel periodo della Grande Guerra l’Ospedale fu trasformato in Ospedale Militare; si nota come cedri ed abeti abbiano già raggiunto altezze di 10-15 m. La foto mostra il lato ovest della proprietà, in particolare lungo via San Pietro in corrispondenza del Padiglione Pandolfi. I Padiglioni Pandolfi e Perusini furono costruiti già a partire dal 1903 anche se inaugurati e denominati nel 1920.
Dall’alto: Foto nr. 16 -1954 – Dalla foto aerea si può notare la quasi completa assenza di bosco sulle superfici della collina, in particolare a monte dell’edificio principale, intorno a Maso San Pietro, a valle dell’acquedotto austriaco, nell’area attualmente agricola; il bosco è relegato alle aree più pendenti poste nord-ovest e per un tratto a monte della piattaforma, ora campo di Bocce. Nel parco sono visibili alberature intorno a tutti gli edifici. Foto nr. 17 - Questa cartolina è probabilmente stata scattata nei primi cinque anni successivi all’inauguazione (1885-1890); si possono notare il viale alberato (ippocastani) lungo Via Tegazzo, gli orti con due pozzi centrali al posto dell’attuale parcheggio, i giardini all’italiana ancora distintamente visibili sui lati sud-ovest e nord-est dell’edificio principale.
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Dall’alto: Foto nr. 18 - Questa foto aerea è collocabile all’incirca nel secondo decennio del secolo scorso (1910-1915); si vedono le alberature che ormai dominano completamente quello che era nato come giardino all’italiana; lungo il viale centrale è presente una doppia quinta arborea che a detta di qualche testimone dovrebbe essere stata costituita da «peri»; sono visibili gli orti verso via Tegazzo ed il recinto del nuovo padiglione costruito tra il 1903-1905, poi chiamato «Perusini». Non è ancora presente l’Osservazione che è del 1920 Foto nr. 19 - Nel primo dopoguerra la vegetazione del parco del manicomio sembra essere lussureggiante: sono cresciute a dismisura le piante intorno al padiglione centrale, quelle lungo il viale centrale, quelle poste a dimora nei fossati, davanti a Perusini e Valdagni; è presente il reparto Osservazione mentre sono spariti parte degli alberi presenti nel cortile centrale alla sinistra dell’edificio Principale; le rive a valle di Maso San Pietro, terrazzate, sono segate e punteggiate da alberi da frutto (1935-1940).
Dall’alto: Foto nr. 20 - Anche (1935-1945) in questa seconda cartolina forse contemporanea alla prece dente si può notore come le alberature dei giardini del lato sud-ovest siano ormai coprenti; lo stesso orto lussureggiante nella stagione estiva è dotato di corposi arbusti centrali, forse sempre verdi; gli ippocastani di via Tegazzo, pur a forma tondeggiante e regolare (potati?) uguagliano o superano i tetti delle case Le superfici poste a monte del padiglione centrale sono ancora prati ve, come peraltro rimarranno fino agli anni sessanta, e sono punteggiate da antichi castagni. Foto nr. 21 - Il padiglione Benedetti fu inaugurato nel 1966; negli anni sessanta furono effettuati numerosi interventi di messa a dimora di specie, in particolare sulla collina, ma anche in prossimità del nuovo edificio; qui si possono notare gli alberetti, a)ancora impalati che potrebbero corrispondere a parte delle 150 Lagestroemie poste a dimora nel 1965.
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cartografico avvenuta negli anni tra il 1853 e il 1861 precedette la determinazione dei redditi dell'im posta fondiaria nella seconda metà dell'Ottocento e quindi l'opera di impianto del Libro fondiario ini ziato nei primi anni del Novecen to e conclusosi nella seconda metà degli anni cinquanta. Numerosi sono i testi, le norma tive, le istruzioni e le direttive rac colti nei Bollettini Leggi Imperiali asburgici dal 1849 al 1918. Ciò si gnifica che il progetto del Mani comio di Pergine fu successivo alla redazione della carta catastale e che la stessa rappresenta quindi la situazione della campagna pergi nese preesistente alla costruzione di quello che oggi è ancora chia mato Padiglione centrale. Osservando la mappa catastale storica si può notare come il bo sco occupi i versanti pendenti e rivolti a nord delle pendici del col le del castello; in particolare è pre sente nel vallone posto a valle del maso San Pietro. Tutte le altre su perfici erano occupate quindi o da prati o da coltivi, di diversa quali tà, così come rappresentati in ver de, in giallo, in rosa. È interessante notare la preesi stenza sia del Maso San Pietro sia del Maso Tre Castagni: in prossi mità di quest’ultimo è visibile una sorta di croce formata da due viali alberati, con due piazzette, termi nale e centrale. Ancora oggi sem bra di poter vedere sul terreno le vestigia della piazzetta centrale. Di un certo interesse anche la viabilità storica verso il colle del castello e la posizione del canale
macinante nei suoi due rami. La carta proviene dagli archivi del catasto ed è parte dei Fogli di Map pa nr. 3-4 del C.C. di Pergine I. Alcune altre immagini Col prezioso contributo del signor Luciano Dellai sono state rinvenu te alcune immagini che sono rile vanti per capire l’assetto all’im pianto del manicomio di Pergine, in particolare del Padiglione Cen trale, e la sua evoluzione nei pri mi cinquant'anni del secolo scor so. Censimento delle alberature a) Aree pianeggianti - Nel corso della fase d’analisi per la predispo sizione del progetto sono stati censiti i soggetti arborei presenti nelle aree pianeggianti, poste a ridosso dei vari padiglioni. Di cia scuno è stata segnata la posizione su una planimetria riferita al pia no catastale, sono stati individuati genere e specie, è stato misura to il diametro a metri 1,30 dal suolo: a ciascuna è stato assegnato infine un indice di “pregio”, nell’ordine decrescente da 1 a 3. L’analisi permette di definire al cuni punti fermi: - Numero: numericamente la spe cie più rappresentata è sicura mente il Cedro deodara, segui ta lontanamente dall’Abete ros so, dall’Olmo siberiano, dal Pino nero d’Austria; le altre specie presenti si possono considera re sporadiche, non sempre co munque “esemplari” degni di nota; - Diametro: le piante più grosse
(in rosso nel grafico) sono rap presentate in particolare dal Cedro deodara, da pochi Cedri dell’Atlante, dal Pino nero e dal l’Abete rosso: notevoli sono inoltre un Tiglio, due Gingko, un Platano, alcuni Abeti rossi. Anche se la correlazione diame tro-età non è lineare ma può essere inficiata da specie e po sizione e da qualche altro fat tore, si può affermare con una certa disinvoltura che questi soggetti appartengono ad im pianti effettuati ancora alla fine del secolo scorso (1882-1912). Di questo periodo possono essere anche parte dei soggetti presenti nella fascia blu, in particolare i Ce dri atlatica, i Pini neri, forse qual
che Abete rosso sottoposto. Gli altri soggetti blu si collocano a mio parere negli anni del dopoguerra assieme a qualcuno dei soggetti verdi, quali Cedro deodora, Pino nero, Cedro atlantica, un Gingko. Tutti gli altri soggetti possono essere riconducibili chiaramente agli anni sessanta-settanta, forse di poco valore storico ma con la possibilità, se in buona posizione ed in bune condizioni, di diventa re piante esemplari nel prossimo cinquantennio; - Indice di pregio: ai singoli sog getti è stato infine attribuito un numero che identifica il pregio del soggetto: è stato attribuito in base ad un’analisi visiva, fat ta da diverse posizioni, che tie-
Elenco delle piante da collocare presso i vari padiglioni (1965).
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ne conto delle caratteristiche della specie (longevità, appara to radicale, resistenza al gelo, resistenza agli eventi meteori ci, ecc.) e della sua ubicazione;
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quest’ultimo parametro è im portante perché consente di de terminare la possibilità del sog getto di svilupparsi nei prossi mi decenni e di divenire o con-
Cronologia degli interventi.
tinuare ad essere un "soggetto in esemplare". Ai soggetti mi gliori corrisponde un indice "1", ai peggiori un indice “3”.
piante da collocare presso i vari padiglioni:
Area collinare. Nell’area collinare invece sono sta te censite, descritte e cartografate le diverse tipologie di bosco pre sente; in ognuna di esse sarà poi possibile procedere secondo le in dicazioni di progetto con interven ti di tipo selvicolturali. Sono stati segnati ed evidenziati i soggetti arborei di maggior pre gio e le alberate presenti in que ste zone: in cartografia sono con traddistinti dalla stessa simbolo gia usata per le aree pianeggian ti. Il rilievo in questo caso è solo vi sivo e non supportato da strumen to di precisione. Sarà questa un’operazione che si dovrà effet tuare in sede di progetto esecuti vo.
a) Area Pianeggiante intorno agli edifici Così come previsto dal progetto, intorno all’Edificio Principale fu rono realizzate alcune aiuole ri conducibili alle tipologie dei “Giar dini all’Italiana”; le geometrie ab bastanza rigide vedono l’alternar si di vialetti ed aiuole. L’elevata esigenza di manutenzione costan te potrà essere colmata dal basso costo della manodopera e/o dal l’utilizzo degli stessi pazienti. L’anno 1882 fu anche l’anno di una delle più pesanti alluvioni che nel secolo scorso investirono i ter ritori alpini; anche negli anni 1884 e 1885 occorsero altri eventi calamitosi. A partire da queste date l’Impero Austroungarico iniziò una serie di colossali opere di regima zione dei torrenti e di consolida mento dei versanti, con ingente uso di materiale vivaistico e note vole spinta anche all’uso delle co nifere; gli stessi cantieri di siste mazione si appoggiavano a vivai appositamente creati per far fron te alla richiesta ingente di mate riale da rimboschimento. È quindi spiegata non solo la disponibilità di materiale vivaistico per tutti gli enti in qualche modo legati al pub blico, ma anche la moda che si ven ne a creare circa l’impianto di spe cie conifere. È molto probabile che anche nelle aiuole (forse al cen tro delle stesse) dei cosiddetti Giardini all’Italiana, pur non es
Notizie utili Il giorno 3 marzo del 1965 il dott. Giordano Castelli, nel quadro dei lavori di assestamento dell’Ospe dale psichiatrico di Pergine tra i quali era previsto anche il parzia le rinnovamento del parco e la messa a dimora di piante ad altofusto nelle adiacenze del nuovo padiglione (leggasi Ferretti) chie deva all’Assessorato regionale al l’Economia montana e foreste di Trento: - 20 Abeti rossi - 20 Abeti argentati - 10 Cedri deodara o del libano È sempre del 1965 un elenco di Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
Considerazioni critiche
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sendo le specie adatte, fossero messe a dimora molte conifere: questo spiegherebbe non solo la loro attuale presenza, considerata anche la longevità di alcune di queste specie, ma anche l’apparen te irregolarità dell’impianto. Le piante messe a dimora alla fine del secolo scorso crebbero e furono probabilmente integrate da altre, simili per specie e genere, seguendo lo sviluppo urbanistico del complesso manicomiale. Già dal periodo della prima guerra mon diale sembrano pressoché spariti i giardini all’italiana, che rimasero forse solo in parte segnati sul ter reno. È interessante notare come men tre il padiglione centrale fungeva anche da sede di rappresentanza, i due nuovi padiglioni, il Perusini ed il Pandolfi, erano destinati a quelli che erano chiamati "agita ti"; questi due edifici erano dotati di un cortile recintato da un muro d’altezza pari a due metri circa ver so l’interno. I due nuovi padiglioni furono costruiti negli anni 1903-1905 e probabilmente successiva a tale data è l’epoca di piantumazione degli stessi cortili; vennero inau gurati solo dopo la fine della guer ra (1920). Nel corso dei decenni sparirono quasi tutte le alberature presenti all’interno del Padiglione Centra le, tutte quelle presenti sul fronte sud-ovest, quasi tutte a parte un nucleo residuo lungo la strada sul suo lato nord-est. Ne resistettero alcune di quelle presenti lungo la facciata principale.
Degna di nota è la tradizione di una doppia alberatura sul viale centrale, che pur con alterne vicen de ed avvicendamenti di specie, è rimasto fino ai giorni nostri: non sarà l’ultimo l’impianto lungo lo stesso viale di Lagestroemie nel periodo Castelli (complessivamen te 150 piante nell’anno 1965). b) Area Collinare Sembra assodato che a partire dal l’anno dell’inaugurazione del pri mo edificio, la destinazione di qua si tutta l’area posta sulla collina, allora non completamente di pro prietà, fosse agricola. In partico lare un’ampia zona era prativa mentre un’altra consistente fetta era specificamente agricola: era coltivata sulle aree pianeggianti prospicienti maso San Pietro, ter razzata a vigneto nell’anfiteatro posto a valle di Maso San Pietro, alberata con piante da frutto scen dendo dall’acquedotto austriaco fin quasi all’edificio dell’Obitorio. Sulle "rive" segate e/o pascola te a monte dell’edificio principale emergevano vecchi castagni. Solo uno stretto lembo di bosco scen deva dalle pendici del colle del ca stello per giungere, con esposizio ne nord, fino quasi agli attuali cam pi di bocce. Pur con l’alternarsi delle coltu re, rimase comunque agricola sicu ramente fin dopo la seconda guer ra mondiale, fino a metà degli anni cinquanta, da quando comin ciò una radicale e sistematica opera di rimboschimento delle superfici ex-agricole, non più considerate produttive. È del decennio succes
Bruno Caruso, L’armadietto pedagogico, disegno acquarellato, 1958.
sivo l’introduzione delle conifere anche sulle superfici a ridosso del padiglione centrale, la comparsa della Douglasia e del Pino Strobo, specie a rapido accrescimento che andarono di moda, per così dire, negli anni sessanta. La cosiddetta Legge Fanfani (prevedeva incen tivi per il rimboschimento di su perfici nude) promosse molteplici di questi interventi e dalla fine de gli anni cinquanta fin dopo la metà degli anni sessanta si sono succe Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
duti anche gli interventi di rimbo schimento della collina del castel lo, anche dopo la sua vendita da parte del Comune di Pergine al si gnor Oss. Furono introdotte so prattutto conifere, in particolare Abete rosso, Douglas, Pino strobo hymalaiano. La presenza del dott. Castelli diede nuovo spunto alle attività di giardineria; numerosi furono gli impianti effettuati ne gli anni sessanta, anche se sem bra verosimile pensare che gli stes 71
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si interessassero in particolare il rimboschimento delle aree collina ri, non più coltivate. Di quegli anni possono essere tutti gli Abeti ros si presenti vicino a Maso Tre Ca stagni, molti degli Olmi siberiani, qualche Cedro himalaiano, le Dou glasie, i Pini strobi.
da parte dell’Ente manicomio, in particolare in prossimità di Maso San Pietro e Maso Tre Castagni; - affinità storica e contiguità an che strutturale dell’area collina re con il Parco del Castello.
In sintesi - Presenza di soggetti arborei di valore all’interno del parco pia neggiante (Cedrus deodara, Pi cea excelsa, Gingko biloba, Ce drus atlantica); - tradizione di un viale alberato centrale; - presenza originaria di molti giar dini all’italiana all’intorno e den tro il Padiglione Centrale; - presenza fino all’anno 1975 dei fossati antistanti i padiglioni Pe rusini e Pandolfi; - scarsa valenza storica del muro che delimita il manicomio da via San Pietro: risale agli anni ses santa e segue la demolizione del vecchio muro (parte del 1885 e parte del 1930) per allargamen to della strada e costruzione della nuova portineria; - bosco originario nella vallecola (solo su versante con esposizio ne nord) a monte del campo di bocce; - tradizione agricola e prati-pa scoliva su tutta l’area collinare; - tradizione agricola su terrazza menti nella vallecola (su versan te con esposizione a sud) a mon te del campo di bocce; - presenza sull’area collinare di grossi soggetti arborei, antichi e talora preesistenti all’acquisto
a) Valenza storica dell’Ospedale: - restauro degli edifici storici (obitorio, acquedotto, ecc.) - tabellare i vari edifici a ricordo del passato utilizzo; - definizione al suolo delle trac ce dei due ‘fossati’; - creazione di un percorso tema tico a ricordo dell’attività mani comiale; - realizzazione di un archivio sto rico presso il Maso Tre Castagni; - creazione di una Casa della me moria nel vecchio Obitorio (pic colo Museo).
Altre indicazioni progettuali
b) Valenza botanica del Parco: - valorizzazione e tutela di quan ti più possibili soggetti arborei di pregio e/o monumentali; - rifacimento di un tratto di giar dino all’italiana nei pressi del l’attuale edificio scolastico; - ripristino di almeno due strut ture coperte tipo ‘Gazebo o Glo riet’ nell’area collinare a ricor do dei preesistenti e a libera fruizione da parte del pubbli co; - tabellare i soggetti arborei di pregio e creazione di un percor so tematico ‘botanico’; - realizzazione di un piccolo giar dino botanico sulle pendici ter razzate esposte a sud della val
Bruno Caruso, Povero & pazzo, incisione.
lecola a valle di Maso Tre Casta gni (ex vigneti). c)Valenza sociale: - ripristino dei manufatti realizzati dai “Malati” all’interno del par co; - realizzazione degli interventi per mezzo di operai ex cassaintegrati o disoccupati; - in ricordo e a memoria del l’”ergoterapia” la manutenzione futura del parco sarà affidata ad una cooperativa di solidarietà sociale o comunità di recupero (già presenti all’interno della struttura). d) Valenza estetico-paesaggistica: Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
- eliminazione e/o relativo inter ramento degli elettrodotti che attraversano il parco. e) Valenza fruizionale: - creazione di un’area giochi per bambini nell’area pianeggiante a supporto dei servizi sanitari; - creazione di un’area giochi per portatori di handicap nell’area pianeggiante a sevizio del nuo vo “Villa Rosa”.
Carmelo Anderle e Fabrizio Fronza sono funzionari del Servizio Ripristino e valorizzazione ambientale della Provincia autonoma di Trento. 73
Tracce per una riflessione Casimira Grandi
Gli ospedali psichiatrici come testimonianza per la Storia della scienza e delle istituzioni, ma anche come contenitori di tante storie minimali di vita di uomini e donne.
L’incontro seminariale del gruppo di lavoro Alla ricerca delle menti perdute1 tenutosi il 30 novembre 2001, dedicato a Progetti e rea lizzazioni per il riuso degli ex ospe dali psichiatrici nei territori italia ni appartenuti all’impero asburgi co, ha riunito persone con diverse competenze, che, con convinzione, percorrono un comune cammino volto ad affrontare la vergogna di una memoria oggi scomoda per affermare la coscienza storica di un recente passato troppo spesso volutamente dimenticato o banal mente male interpretato. Tra i par tecipanti non c’era la “boria dei dotti”, per dirla con Vico, non c’era ciarpame ideologico, ma la consapevolezza che derivava dal la sicura, documentata, conoscen za dei fatti. Il titolo del seminario delinea il centro focale dei lavori nell’impegno per il recupero degli “spazi della fol lia”, parafrasando Giuseppe Pantoz zi2, funzionale ad un ambito scienti fico ampio, che bene si può definire trans-disciplinare, senza una gerar 74
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chia di rilevanze, come si desume anche dalla pluralità delle discipli ne rappresentate, che trovano un punto di convergenza nella volontà di pervenire ad un riuso degli ex ospedali psichiatrici coerente con le aspettative della società contempo ranea, ma senza cancellare la memo ria delle passate funzioni. Come ha scritto l’architetto Luciani, sostan zialmente, s’indaga seguendo una li nea di “intrinseca continuità tra lo studio della storia e la messa in va lore dei suoi segni e sedimenti”3. Un proposito non sempre facil mente attuabile, perché sono molti gli interessi che gravitano attorno a ciò che rimane di queste istituzioni, le quali oscillano per lo più tra la totale cancellazione di quello che resta del manicomio e l’oblio dell’in differenza – un oblio, oserei aggiun gere, non di rado strumentale e af fatto estraneo alla psichiatria –. Coscienza della storia e vergogna della memoria I contributi presentati al semina rio si sono sviluppati nella pro spettiva di ciò che dovrebbe esse re l’ex istituzione manicomiale nel la società contemporanea, suppor tando la gracilità delle specificità locali entro la cornice di una co mune etica, che pone il ricordo come impedimento al ripetersi di eventi negativi. Affinché questo sia concretamente incisivo è neces sario intanto lasciare una traccia visiva di ciò che è stato per espri mere compiutamente quello che non si dovrà mai più ripetere. I quadri storici esposti dai parte cipanti erano tutti improntati alla
logica di una corretta interpreta zione della storia degli ospedali psichiatrici antecedenti la Legge 180, un’obiettività quanto mai ap prezzabile in una fase in cui è an cora troppo diffusa l’acritica nega zione del periodo precedente la ri voluzione basagliana. Una negazione che rischia di can cellare una memoria, perché è uno scomodo patrimonio di scienza e di sofferenza, che invece abbiamo il dovere civile di tramandare. Questa è, forse, la meta più ambi ziosa che si propongono coloro che sono interessati al riuso degli ex ospedali psichiatrici, perché la no stra società è pervasa da una preoc cupante debolezza etica. Si deve, e si può, ritrovare una morale nell’eti cità delle relazioni con il nostro pas sato; questo non dovrebbe essere difficile per chi, come gli italiani, può vantare una solida storia. Inol tre, non vanno sottovalutate le ostentate certezze o gli eccessi di modellizzazione di coloro che vor rebbero ricreare l’accerchiamento intorno ai “matti”, per deprecabili situazioni prodotte da défaillances amministrative, quando non da ir risolte paure per ignoranza della realtà contemporanea. L’approccio dato al nodo gordia no ex ospedali psichiatrici – col locazione degli ex pazienti, in con formità alla legislazione in atto e alle relative politiche sociosanita rie, presso l’opinione pubblica ma sovente anche presso un pubblico qualificato, non di rado ha porta to a valutazioni antitetiche che vanno dalla nostalgia per il pas sato istituzionale alla sua assolu Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
ta riprovazione, entrambe, comun que, pesantemente influenzate da nostalgiche ideologie politiche e dall’assenza della percezione sto rica del fenomeno. Questa peculiare condizione c’induce a ricordare come la storia sia nata sostanzialmente quale ancella della politica: la svolta scientifica si è presentata come indicazione positivis-ta del rispetto dei fatti. Una forma di oggettività che si è imposta come assolutezza entro qualsiasi paradigma ideolo gico, che nello specifico del caso in esame, non può disgiungere una logica razionalità dallo sviluppo della cosiddetta società civile. Tut te le problematiche che rappresen tano i punti dolenti della coscien za difficile del nostro tempo, i traumi della nostra esperienza col lettiva, con le sue continue ripro poste situazionali oggetto di eti che diverse (solidaristiche, concor renziali, autoritarie) non possono essere disgiunti dalla coscienza storica. Uscire dalla confusione vocian te delle testimonianze, dal verba lismo manipolato, proponendo dei modelli di prospezione analitica, governati da un sistema di valori non assoluti, ma culturali, storica mente specifici, potrebbe rappre sentare un momento di reale cre scita civile. E la storia degli ex ospedali psichiatrici rappresenta un soggetto ideale per questa esperienza. È una proposta speri mentale, “bricoleuse”, continua mente innovabile, suscettibile di un’ampia varietà di apporti, ma an che, metaforicamente, ricca di un 75
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orizzonte senza limiti, perché le mura che nascondevano malinte se vergogne sono state abbattute da decenni.
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Per un’altra storia “Oltre il muro”, significativo titolo di un incontro organizzato a Roma nel 1999 dalla Fondazione Benetton studi e ricerche, dal Dipartimento po litiche di cittadinanza ed economia sociale della CGIL e dall’Istituto na zionale di urbanistica, ha stimolato anche in Trentino un’attenta rifles sione sull’ex ambiente manicomiale, inteso come sistema culturale e so ciale, non tralasciando, peraltro, un approccio di ecologia culturale, che ha come obiettivo la conservazione della molteplicità delle memorie e delle loro forme espressive. L’ospedale psichiatrico trentino era collocato a Pergine, dove ha la sciato un’impronta indelebile sul pa esaggio con il monumentale padi glione centrale attorniato dall’ar chitettura minore che si è sedi mentata nel tempo, documento visivo del suo passato e della re altà territoriale in cui operava. L’edificio principale, inaugurato nel 1882, armoniosamente inseri to nello scenario naturale, era un segno del progresso scientifico e sociale dei tempi, che esprimeva la sua identità attraverso l’ine-qui vocabile stile dell’architettura sta tale asburgica e l’imponente mole che sovrastava le costruzioni del paese. L’istituzione psichiatrica chiusa era una struttura comples sa, in cui si sviluppava un micro cosmo di relazioni interpersonali in spazi sociali prestabiliti: negli
edifici, nel giardino o nella colo nia agricola. Questa situazione raccomanda una proposta analitica complessiva, (cui peraltro non è estranea la tutela ambientale) che il progetto per il riu so coerente dell’ex ospedale psichia trico di Pergine (inteso quale luogo per nuove politiche sociali e la va lorizzazio-ne del suo passato), ha av viato attraverso un’ipotesi di riqua lificazione del parco nel rispetto del le essenze autoctone, ad esempio, in serito nel più ampio intervento di ripristino del verde manicomiale. Un progetto la cui positiva ricaduta an drà ben oltre le vecchie mura ospe daliere. In estrema sintesi, ciò che resta del passato manicomiale è sovente un complesso monumentale, un bene culturale da salvaguardare nel rispet to della civiltà che l’ha prodotto e del paesaggio in cui è inserito. Ma qual è l’itinerario per un cor retto recupero storico di questo patrimonio? Ricordando Friedrich Nietzsche, potremmo far riferimento ai diver si generi di storie, quella “monu mentale”, che si esprime attraver so le grandi realizzazioni architet toniche, manufatti cui si adatta perfettamente il termine “monu mento”, etimologicamente relati vo a ciò che “va tenuto a mente”, ed una storia minore, dal Nostro definita “antiquaria”, che testimo nia la quotidianità delle persone comuni. Un’interpretazione del passato che la Scuola delle Annales, in tem pi più recenti, ha distinto in storia degli événements e storia minima
Dislocazione degli istituti per malati di mente secondo l’elenco seguente (disegno di Gian Piero Sciocchetti)
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SITUAZIONE DEI MANICOMI PUBBLICI IN AUSTRIA NEL 1898
Posti Letto Complessivi: 14.847 degenti
I.
Bassa Austria (Niederösterreich); capacità ricettiva totale 3.683 degenti: 1. Manicomio provinciale della Bassa Austria in Vienna, sistema a corsie, degenti n. 834; 2. Manicomio provinciale della Bassa Austria in Ybbs, sistema a corsie, degenti n. 490;
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3. Manicomio provinciale della Bassa Austria in Klosterneuburg, sistema a corsie, degenti n. 539;
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4. Manicomio provinciale della Bassa Austria in Kierling- Gugging, filiale di quello di Vienna, sistema a padiglioni, degenti n. 603; 5. Manicomio provinciale della Bassa Austria in Langenloiis, succursale di quello di Vienna, tipo per infettivi, degenti n. 217; 6. Grande colonia agricola provinciale della Bassa Austria in Mauer-Oehling, degenti n. 1.000.
II. Alta Austria (Oberösterreich); capacità ricettiva totale 626 degenti: 7. Manicomio provinciale dell’Austria Superiore in Linz, sistema chiuso, degenti n. 527; 8. Manicomio provinciale dell’Austria Superiore per l’infanzia in Gschwendt, degenti n. 99.
III. Salisburgo (Kronlande Salzburg); capacità ricettiva totale 170 degenti: 9. Istituto psichiatrico salisburghese in Maxglan, sistema a padiglioni, degenti n. 154; 10. Manicomio in Salisburgo, degenti n. 16. IV. Stiria (Steiermark); capacità ricettiva totale 1.285 degenti: 11. Manicomio provinciale stiriano in Feldhof, sistema chiuso, degenti n. 818; 12. Filiale femminile del manicomio provinciale stiriano in Lankowitz, sistema chiuso, degenti n. 135; 13. Filiale maschile del manicomio provinciale stiriano in Kainbach, sistema chiuso, degenti n. 116; 14. Filiale del manicomio stiriano in Hartberg, sistema chiuso, degenti n. 24; 15. Istituto stiriano per malati psichici in Schwabenberg, sistema a corsie, degenti n. 192. V.
Carinzia (Kärnter); capacità ricettiva totale 347 degenti: 16. Manicomio provinciale carinziano in Klagenfurt, sistema a padiglioni, degenti n. 347.
VI. Carniola (Krain); capacità ricettiva totale 202 degenti: 17. Manicomio provinciale della Carniola in Studenc, sistema chiuso, degenti n. 202.
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VII. Litorale (Küstenland); capacità ricettiva totale 279 degenti: 18. Manicomio cittadino in Trieste,
sistema chiuso, degenti n. 93;
19. Sezione di manicomio presso l’ospedale cittadino in Trieste, degenti n. 186. VIII.Gorizia e Gradisca (Görz und Gradisca); capacità ricettiva Totale 192 degenti: 20. Sezione di manicomio maschile presso
l’Ospedale di Gorizia, degenti n. 94;
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21. Sezione di manicomio femminile presso l’Ospedale di Gorizia, degenti n. 98.
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IX. Tirolo (Tirol); capacità ricettiva totale 558 degenti: 22. Manicomio provinciale tirolese in Hall,
sistema chiuso, degenti n. 338;
23. Manicomio provinciale tirolese in Pergine, sistema chiuso, degenti n. 220. X. Vorarlberg (Vorarlberg); capacità ricettiva totale 147 degenti: 24. Manicomio provinciale di Valduna,
sistema chiuso, 147 degenti.
XI. Boemia (Böhmen); capacità ricettiva totale 4.138 degenti: 25. Manicomio provinciale boemo di Praga, tipo chiuso, degenti n. 1196; 26. Manicomio provinciale boemo di Dobrau, sistema a padiglioni con corsie, degenti n. 1469;
27. Manicomio provinciale boemo di Kosmanos, sistema a padiglioni con corsie, degenti n. 794; 28. Filiale di manicomio provinciale boemo di Ober-Berkowitz, sistema chiuso, degenti n. 396; 29. Filiale di manicomio provinciale boemo di Woporan, sistema chiuso, degenti n. 283. XII. Moravia (Mären); capacità ricettiva totale 1.383 degenti: 30. Manicomio provinciale moravo di Brünn, sistema a corsie con 4 padiglioni, degenti n. 602; 31. Manicomio provinciale moravo di Sternberg, sistema a padiglioni, degenti n. 781. XIII.Slesia (Schlesien); capacità ricettiva totale 781 degenti: 32. Manicomio provinciale slesiano di Troppau, sistema a padiglioni, degenti n. 781. XIV. Galizia (Galizien); capacità ricettiva totale 839 degenti: 33. Sezione psichiatrica dell’Ospedale generale di Cracovia, sistema a corsia, degenti n. 133; 34. Manicomio provinciale galiziano di Kulparkow, sistema a due padiglioni, degenti n. 706. XV. Bucovina (Bukowina); capacità ricettiva totale 101 degenti: 35. Sezione psichiatrica dell’Ospedale generale di Czernowitz, sistema chiuso, degenti n. 101. XVI. Dalmazia (Dalmatien); capacità ricettiva totale 116 degenti: 36. Sezione psichiatrica dell’Ospedale generale di Sebenico, sistema a padiglioni, degenti n. 116.
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le, quella degli esclusi dalla gran de storia, che enfatizza l’attenzio ne all’esistenziale sullo scenario di un determinato contesto ambien tale4. Quale delle due proposte segui re? Secondo il pensiero del filoso fo tedesco nessuna delle due, per ché quella monumentale tralascia molte cose importanti e quella del paesaggio trascura la trama di un tessuto, quale può essere conside rato il territorio, che si regge sul l’interconnessione di una realtà fatta di tanti elementi; inoltre, quella antiquaria può produrre un eccesso di memoria. Entrambe però possono rallen tare, se non impedire, l’incessante precipitare della storia. Queste di scriminanti storiche e memoriali sul paesaggio consentono di rece pire la ricchezza delle testimonian ze sia della grande storia, sia del la storia minima. E gli ospedali psichiatrici, spes so monumentali edifici circondati da spazi verdi, preservati dalle in terferenze – non sempre debite – del mondo esterno da alte mura secolari, rappresentano la storia con la £s maiuscola”, quella della scienza, delle istituzioni e di mol to altro ancora, ma sono anche contenitori privilegiati di tante storie minimali, quelle di individui che una sorte malevola ha condot to a vivere in quel chiuso recinto, il più delle volte privandoli della speranza, smarrendoli nel vasto territorio delle patologie della mente, estranei al fluire del tem po. Il progetto nazionale per il re
cupero degli archivi psichiatrici, significativamente denominato “Carte da legare”, restituisce al mondo le tracce di tante vite, non più annotazioni nascoste fra le pie ghe di relazioni mediche, quasi a negarne l’esistenza, ma elevate a nitide biografie di quella vita “in tono minore” trascorsa nei monu mentali edifici, menti ritrovate dai posteri.
NOTE [1] Titolo di sapore proustiano il cui “copyright” appartiene al nostro collaboratore arch. Pa olo Botteon. [2] Pantozzi 1989. [3] Luciani 1992: 8. [4] Mastrogregori 1986.
Casimira Grandi è Ricercatrice di Storia economica presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Trento. Ha coordinato il gruppo di studio sul “riuso” dell’Ospedale psichiatrico di Pergine.
Un manicomio, una storia, un progetto Rodolfo Taiani
Dalla storia dell’istituto perginese a un progetto di studio e di ricerca, verso il riuso degli spazi e la valorizzazione del patrimonio documentario.
“Alla ricerca delle menti perdute: viaggi nell’istituzione manicomiale” è il titolo di un progetto sulla storia della scienza e dell’assistenza psi chiatriche promosso dal Museo sto rico in Trento in collaborazione con l’Università degli studi di Trento. Attivo da alcuni anni questo proget to, ha raccolto l’adesione di nume rosi altri soggetti1 . Nel 2003, venti cinquesimo anniversario dell’appro vazione della cosiddetta legge Ba saglia (la n. 180 del 13 maggio 1978), esso vivrà il suo momento di maggior visibilità. I temi guida sono i luoghi, le persone e le azioni che hanno con tribuito nel corso dei secoli, fra il XVIII e il XX, a dar forma a quel variegato universo identificato con il termine di manicomio, ossia una struttura pensata, realizzata e or ganizzata con il precipuo scopo di accogliere, custodire e assistere i cosiddetti malati di mente. La prospettiva che anima questo progetto è pertanto la storia di tanti spazi e individui uniti insieme, ma che può assumere ad emblema, per Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
il contesto territoriale di riferimen to del progetto stesso, il manicomio di Pergine Valsugana. In questa struttura, aperta nel 1882 e definitivamente chiusa solo nel 2002, sono transitate decine di migliaia di esistenze fra loro diverse nelle vicende personali, ma simili nei percorsi interni all’istituto, nella quotidianità imposta, nell'incontro con gli altri ricoverati, con il perso nale medico e paramedico; simili anche nell'incontro/scontro con la comunità ospite esterna la cui dina mica si ripropone ancor oggi lì dove è aperto il dibattito sul recupero e il riuso delle strutture dismesse2 . Una sintesi dei principali episodi che hanno segnato la storia dell'ex ospedale psichiatrico di Pergine può pertanto essere un utile modo sia per evidenziare esemplarmente alcune delle numerose e varie dinamiche che hanno contrassegnato la storia di questa come di altre strutture mani comiali3, sia per render ragione dei contenuti del progetto stesso. Già nel 1807, in periodo di gover no bavaro, si discusse sull'ipotesi di aprire due istituti per il ricovero dei pazzi con sede l'uno ad Innsbruck e l'altro a Trento o Rovereto4. A que sta prima proposta, tuttavia, seguì un nulla di fatto. Bisognerà atten dere il 1830 prima che alle porte di Innsbruck, ad Hall, venisse inaugu rato il primo manicomio provinciale tirolese dove venivano ricoverati an che gli infermi provenienti dal Tren tino. In precedenza, costoro veniva no trasferiti negli ospedali di San Servolo a Venezia, della Senavra a Milano o in altri istituti del Lombar do-Veneto, eventualità che fu espres 83
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samente vietata, tuttavia, per i più bisognosi con una circolare del 5 giugno 1835 con la quale il governo del Tirolo comunicava che in avve nire i mentecatti poveri del Tirolo non sarebbero più stati “accolti e mantenuti gratuitamente negl'istitu ti… del lombardo veneto”, ma per l'appunto in quello di Hall5 . L’apertura di un istituto manico miale anche in Trentino fu nuovamen te sollecitata, nel 1850, dal medico Francesco Saverio Proch. Costui, in un opuscolo a stampa, argomentava le motivazioni che a suo dire rende vano quanto mai urgente la realizza zione di una simile opera6. Ci volle ro, tuttavia, ancora altri anni di di scussione prima che la Dieta tirole se giungesse a deliberare, il 12 ot tobre 1874, la costruzione di un se condo manicomio, collocato nel Ti rolo italiano. Veniva così garantita ai sudditi di lingua italiana l'assisten za psichiatrica nei territori d'origine e offerta una prima risposta alla cro nica carenza di spazio deplorata dalla struttura di Hall. Altri anni ci volle ro poi per decidere l'ubicazione del l'istituto e per portare a termine i lavori. L'edificio, realizzato a Pergi ne Valsugana dall'impresa Scotoni di Trento fra il 1879 e il 1881, fu pro gettato dall'ing. Josef Huter se condo la consueta pianta edificia le a forma di E, che già caratteriz zava simili costruzioni in altri par ti dell’Impero. Entrato in attività nel 1882, e per la precisione il 19 settembre in piena emergenza alluvioni, il nuovo istituto, pensato per due cento posti letto, cominciò, tutta via, ben presto a soffrire anch'es
so di problemi di sovraffollamen to, un motivo di costante preoc cupazione, che assillerà tutti i di rettori che si succedettero alla guida dell'ospedale. Già nel 1894, per recuperare altro spazio, fu colmata la separazione che divideva i reparti dei semi-agitati e agitati da quelli centrali. Si creò così una nuova costruzione di tre piani con stanze pensate dapprima come locali di isolamento, ma più tardi arredate con due o anche tre letti. Pochi anni dopo, sul finire del se colo, la direzione del manicomio di Pergine suggerì di procedere ulterior mente nell’adeguamento ed amplia mento dell'istituto. Uno speciale comitato tecnico nominato nel 1902 dalla Giunta pro vinciale verificò le richieste e pro pose per Pergine una serie di inter venti, successivamente approvati dalla Giunta stessa: la costruzione
Ex Ospedale Psichiatrico di Pergine Valsugana, interno.
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di due nuovi padiglioni da cin quanta posti letto ciascuno (deno minati dopo la guerra “Gennaro Pandolfi” e “Gaetano Perusini” in onore di due soldati morti “eroi camente” in battaglia), l'acquisto del podere Gasperini a Vigalzano per l'apertura di una colonia agri cola, alcune nuove sistemazioni e adattamenti al vecchio edificio, una nuova sede per la cucina, la costruzione di una nuova portine ria, di un'officina per fabbro e di una camera mortuaria. I lavori, iniziati nel 1903, si conclusero nel 1905. Seguì la Grande Guerra e con essa, nel marzo del 1916, la decisione di destinare l'edificio principale del manicomio ad ospedale militare. Tut ti i ricoverati, ad eccezione di alcu ni che rimasero presso la colonia agricola, furono così trasferiti in di versi istituti dell'Impero: Bohnice, Hall, Klosterneuburg, Kremsier, Mauer-Oehling, Praga, Vienna, Ybbs. L'annessione all'Italia dell'odier na regione Trentino-Alto Adige alla conclusione della Grande Guerra, in nescò l'iter legislativo del passaggio dell'ospedale psichiatrico, denomi nato dal 1920 «Ospedale provincia le della Venezia Tridentina», dall'am ministrazione austriaca a quella ita liana. L'atto finale fu il R.D. 31 gen naio 1929, n. 204 con il quale fu decretata, a partire dall'1 luglio 1929, l'estensione alle province an nesse al Regno d'Italia della legge italiana sui manicomi del 14 febbra io 1904, n. 36 e il rispettivo regola mento del 16 agosto 1909, n. 615. Ma un'altra importante novità va se gnalata in questa fase di transizio
ne, che caratterizzerà fortemente tutta la successiva storia del ma nicomio perginese: a partire dagli anni del primo dopoguerra comin ciarono ad affluire a Pergine an che malati altoatesini di lingua tedesca, alcuni dei quali trasferiti dal manicomio di Hall fra il 1923 e il 1925. L'ampliamento del territorio di competenza e la conseguente cresci ta dei ricoveri concorsero peraltro a riacutizzare l'annoso problema degli spazi. Per porvi parziale rimedio fu deciso nel 1926 di elevare di un pia no le propaggini estreme dei bracci dell'edificio principale. Fu inoltre stipulata una convenzione con la fondazione “Attilio Romani” di Nomi, per il ricovero di cento pazienti “in nocui e tranquilli” (dicembre 1922), convenzione che scadrà il 28 febbra io 1945. Nell'agosto del 1924 un'apposita commissione reale delineò il proget to di massima per un ulteriore svi luppo dell'istituto, prevedendo fra le altre cose anche la costruzione di tre nuovi padiglioni. Il primo, denomi nato “Osservazione” e situato di fronte all'edificio centrale, fu inau gurato nel luglio 1927; la sua ca pienza era di circa centoventi posti letto ed era destinato ad ospitare anche il laboratorio scientifico di analisi. Il secondo padiglione, de nominato “Valdagni”, fu aperto nel 1934 ed era destinato ad accogliere le donne e i laboratori. Il terzo, che avrebbe dovuto ospitare gli uomini, non fu invece mai realizzato. Alla direzione dell'ospedale psichiatrico di Pergine fu, inoltre, affidata a par tire dal 1936 la sorveglianza sulla 85
Un manicomio, una storia, un progetto
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“Colonia agricola provinciale per infermi di mente tranquilli” (Land wirtschaftliche Siedlung für Geiste skranke) istituita con deliberazione del 30 settembre di quell'anno dalla Provincia di Bolzano a Stadio, nel comune di Varena. A conclusione di tutti questi interventi, la ricettività complessiva dell'istituto era salita a settecentocinquanta posti letto. Seguì, in corrispondenza degli anni della seconda guerra mondiale,
un periodo di drammatiche diffi coltà: all'incremento della morta lità fra i ricoverati per le pessime condizioni di vita, si sommò il dramma di tutti quegli infermi di origine tedesca (299) che, in base all'accordo italo-tedesco sulle op zioni del 1939 (legge 21 agosto, n. 1241), furono trasferiti il 26 maggio 1940 verso l'ospedale psi chiatrico tedesco di Zwiefalten. Molti di questi furono soppressi
Bruno Caruso, Carnevale in manicomio, disegno acquarellato, 1954.
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all'interno del programma di eli minazione sistematica degli indi vidui fisicamente e psichicamente menomati voluto dal regime nazi sta. (“operazione T4”)7 Negli anni e nei decenni del secondo dopo guerra il problema del sovraffol lamento assunse dimensioni sem pre più critiche. La media giorna liera dei degenti giunse anche ai 1600/1700 individui negli anni sessanta. I lavori di riadattamen to o ampliamento delle strutture esistenti furono pertanto conti nue: nel 1949 fu aperto un nuovo reparto per quaranta malate cro niche tranquille al maso Martini; nel 1959 si ricavò dal vecchio fienile un padiglione per lavoratori, denominato «Ferretti»; nel 1966, infine, fu inau gurato il nuovo padiglione “Benedet ti”. Ma sono anche anni e decenni nei quali iniziarono a svilupparsi quelle istanze sociali che puntava no al rinnovamento delle istituzio ni psichiatriche, attraverso l'aper tura dei manicomi verso l'esterno e la fondazione dei centri di igie ne mentale sul territorio. Istanze, in altri termini, che puntavano contemporaneamente sia a una complessiva ridefinizione e ridi mensionamento delle funzioni manicomiali, sia a un potenzia mento delle strutture di assisten za decentrate. Obiettivo finale era quello di realizzare un intervento più mirato ed efficace, capace di rispondere a una crescente e dif fusa domanda di cure, al cronico problema di sovraffollamento de gli istituti e soprattutto di acco gliere anche i nuovi orientamenti
medico-psichiatrici in tema di dia gnosi e trattamento dei disturbi mentali. Un primo passo in questa direzio ne fu compiuto con la legge 18 mar zo 1968, n. 431, la cosiddetta legge Mariotti, che istituì i “centri o servi zi di igiene mentale” (§ 3). L'art. 1 stabiliva che l'ospedale psichiatrico doveva essere organizzato in divisio ni (da due a cinque) con un massi mo di 625 posti letto. Altre novità introdotte da questa legge erano l'ammissione volontaria su richiesta del malato per accertamento diagno stico e cura (§ 4) e l'abrogazione dell'art. 604, n. 2, del codice di pro cedura penale, che prescriveva l'ob bligo di annotare nel casellario giu diziario i provvedimenti di ricovero e loro revoca dei malati mentali (§ 11). In provincia di Trento si diede esecuzione al dispositivo di legge nazionale istituendo, con D.P.G.P. del 2 ottobre 1968, n. 297/1560 legisl., il Servizio d'igiene menta le. Il raccordo con l'esterno stava diventando così una realtà e fu senz'altro rafforzato da un altro importante cambiamento di poco successivo che interessò l'ospeda le psichiatrico. Nei primi anni set tanta fu introdotta, infatti, la “set torializzazione”, ossia una nuova suddivisione in reparti degli infer mi basata non più sulla forma o intensità della malattia, ma sul l'area geografica di provenienza. In questo modo si dava priorità al principio della continuità terapeu tica fra il trattamento di cura ga rantito esternamente e quello di spensato internamente alle strut 87
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ture di ricovero. Il passo successivo e più rilevan te, anche se andrebbero ricordate tante altre tappe intermedie in que sto complesso e difficile cammino verso il decentramento dell'assisten za psichiatrica, fu la legge 13 mag gio 1978, n. 180, nota come “Legge Basaglia”, che ha decretato la chiu sura dei manicomi in Italia e nelle province autonome di Trento e di Bolzano (art. 7). Il 17 luglio 1978 furono così bloccate le ammissioni di coatti e volontari non recidivi all'ospeda le psichiatrico di Pergine. I recidi vi volontari furono ancora accet tati, ma solo fino al dicembre 1980, termine poi prorogato fino all'apri le 1981. Per i recidivi volontari altoatesini invece il termine ulti mo di ammissione fu spostato al dicembre 1981. Dall'1 gennaio 1982 la competenza sul servizio di salute mentale fu trasferito dalla Provincia all'Unità sanitaria loca le. Presso l'ospedale psichiatrico rimasero quei malati ancora degen ti al momento dell'entrata in vigo re della riforma. Perché si completasse la chiusura del manicomio di Pergine occorrerà, però, aspettare quasi un quarto di secolo, l'ottobre del 2002, quando una delibera del Direttore generale dell'Azienda provinciale servizi sanitari, la n. 1314 del 29 ottobre 2002, sancirà il definitivo superamento dell’Ospedale psichiatrico provinciale e la possibilità di parlare legittima mente da questo momento di ex Ospedale psichiatrico. Seguendo la traccia di questa sintetica storia del manicomio di
Pergine Valsugana emergono alcu ni degli snodi tematici che anima no l’intero progetto “Alla ricerca delle menti perdute”: innanzitutto le motivazioni per le quali si giu stifica nel tempo l’edificazione di istituti per il trattamento dei ma lati mentali, successivamente l'identità sociale dei ricoverati in grado di spiegare il problema del sovraffollamento di cui soffrirono cronicamente queste strutture, an cora oltre l'immagine e l'interpre tazione della malattia mentale che suggerisce nelle diverse fasi stori che atteggiamenti culturali e trat tamenti terapeutici diversi, infine, ma l'elenco potrebbe proseguire, la prospettiva di varcare il confine tracciato dall’esperienza manico miale per sperimentare nuove for me di assistenza. A questi temi strettamente con nessi alla funzione dell'istituzione manicomiale si sommano inoltre più ampi interrogativi dettati da singoli episodi: la questione del rapporto fra psichiatria e nazismo8 nel caso dei malati trasferiti in Ger mania nel 1940 o il ruolo della psi chiatria transculturale nel tratta mento di infermi di lingua e cul tura diverse, ma internati nella medesima struttura, come a Pergi ne pazienti di cultura italiana e cultura tedesca. Per concludere infine con la questione non meno importante del riuso degli ex ospe dali psichiatrici che sollecita nei confronti della gestione di questi ampi spazi fisici e culturali una rin novata scommessa. Dopo la riforma istitutiva all’ini zio del secolo XX – come ricorda
Bruno Caruso, Scizofrenic Jazz Band, disegno acquarellato, 1958.
Domenico Luciani nel suo saggio – “autentica utopia della moder nità”, e dopo la riforma decostrut tiva degli anni settanta del Nove cento, si tratta ora di affermare una terza utopia, che “si configura come una guida alla transizione/ trasformazione del manicomio ver so la commistione sociale, cultu rale, scientifica”. “Quello che è sta to l’ospedale psichiatrico diventa così luogo della città a pieno tito lo, spazio della comunità, sito ci vico bello e utile, nuova agorà, nuova piazza, nuovo crocicchio ne cessario della tolleranza e delle re lazioni, stazione di intermodalità culturale, artistica e spirituale”. Sono tutti temi che rapsodicaProvincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
mente trovano spazio nello svol gimento del progetto “Alla ricerca delle menti perdute”, che si pro pone fra gli obiettivi più immediati non certo evidentemente quello di dare una risposta esaustiva a tut te le sollecitazioni qui solo breve mente formulate, ma di muovere curiosità e nuovi interessi intorno ad argomenti che spesso restano relegati in un'area etichettata come memoria “scomoda” e come tale da rimuovere o cancellare. Proprio la tragicità di alcuni degli eventi narrati, tuttavia, impone che questo percorso storico venga approfondito e riproposto affin ché, secondo uno slogan forse as sai logoro, ma sempre efficace, 89
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quanto accaduto non debba più ripetersi. E non solo: in questo modo si ha anche l’ambizione di contribuire ad un filone di ricerca che ha cono sciuto in questi ultimi due decen ni crescenti attenzioni da parte di numerosi studiosi. Limitandosi al solo panorama italiano, si può senz'altro notare come l'applica zione della legge 180 del 1978 abbia in un certo senso stimolato la ricerca e lo studio sugli istituti manicomiali dei quali il provvedi mento legislativo aveva decretato la chiusura e in molti casi, purtrop po, anche la dispersione e distru zione del ricco patrimonio docu mentario. La storia dei singoli isti tuti è diventata così una sorta di passaggio obbligato sia per rico struire le vicende del passato, sia per intervenire a salvaguardia dei giacimenti documentari di rilevan te interesse storico in essi deposi tati.9 E si tratta di un movimento affat to nuovo. Se si guarda, infatti, alla storia della psichiatria in Italia e delle sue pratiche si rimane per lo meno sconcertati dall'assenza fin quasi alla fine degli anni settanta di studi o attenzioni nei confronti di questo settore di ricerca. È una considerazione che svolge Patrizia Guarnieri nel suo saggio bibliogra fico, “La storia della psichiatria: un secolo di studi in Italia del 1991”10 ed è un'analisi che si può tranquil lamente collegare anche al più ampio disinteresse per la prospet tiva storico-sociale che gran parte della storia della medicina ha sem pre testimoniato ponendosi in re
lazione con il proprio passato. Storia a sé stante, interpretata e affrontata solo per gli aspetti più interni alla disciplina, all'evoluzio ne dei saperi, delle tecniche e delle scoperte, la storia della psichiatria non ha certo conosciuto maggior fortuna di quella medica più gene rale. Solo con lo sviluppo di un spe cifico interesse nei confronti del la storia sociale della medicina, che in Italia vive un momento im portante alla fine degli anni set tanta con il convegno del CISO dedicato a temi e metodologie della ricerca in storia della sani tà11, si attua una significativa svol ta. Anzi proprio la storia della psi chiatria è quella che più di altre branche dell'area storico-medica sembra aver saputo cogliere l'im portanza dell'apertura di orizzonti che certa prospettiva storiografica più generale sembrava offrire. Tan t’è, ad esempio, che lo sguardo di studiosi quali Guglielmo Lützenkir chen, oltre a proporre percorsi criti ci attraverso la produzione di argo mento storico-psichiatrico e storiconeurologico si amplia fino ad inglo bare il problema dell'etnopsichiatria, contribuendo con altri autori e con una prefazione esemplare di Alfon so Maria Di Nola ad uno studio sul l'epilessia, malattia considerata appannaggio della scienza psi chiatrica, ma ricca di valenze so ciali e significati culturali tali da collocarla ben oltre il ristretto ambito medico-scientifico una di versa attenzione, dunque, favorita e sollecitata anche dal nuovo cli ma nato dalla riflessione che fin dall'inzio degli anni sessanta insi
steva sulla necessità di ripensare i manicomi e che condurrà, attraver so il primo passaggio della legge Mariotti del 1968, alla cosiddetta riforma Basaglia del 1978. Nel ventaglio di temi che si di schiudevano alla nuova storia della sanità, la storia del sapere psichia trico e delle sue istituzioni rispon deva così non solo alle esigenze co noscitive degli storici, ma anche, e soprattutto, di quegli psichiatri indotti dai profondi rivolgimenti che allora toccavano la loro pro fessione a ricostruire i processi sociali, politici, scientifici che l'ave vano storicamente definita. È in questo itinerario che si vuole collocare pertanto anche il proget to “Alla ricerca delle menti perdu te” offrendo il suo contributo par ticolare alla comprensione della storia della realtà manicomiale. Il programma di eventi che pre vedono spettacoli di danza e teatro, rassegne cinematografiche, esposi zioni, incontri pubblici e pubblica zioni vuole anche essere un tentati vo di dare visibilità a un settore di ricerca, che proprio per i temi af frontati ha bisogno di confrontarsi con un più vasto pubblico - talvolta da sensibilizzare, talvolta da infor mare - e che non deve scontare quella stessa emarginazione di cui soffri rono i protagonisti delle vicende narrate.
NOTE [1] Aderiscono attualmente al progetto: Assessorato alla cul tura del Comune di Trento, As Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
sociazione Amici della storia di Pergine Valsugana, Cassa rurale di Pergine Valsugana, Centro servizi culturali Santa Chiara, Comune di Pergine, Di rezione U.O. 3 di Psichiatria dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, Gal leria civica d’arte contempora nea di Trento, Gesellschaft für Psychische GesundheitPsychohygiene Tirol, Museo civico di Riva del Garda, quo tidiano «l’Adige», Servizio beni librari e archivistici e Ser vizio Programmazione e Ricer ca Sanitaria della Provincia au tonoma di trento, Sezione Trentino-Alto Adige dell’Asso ciazione nazionale archivisti ca italiana, Società di studi trentini di scienze storiche, Univ.-Klinik für Psychiatrie In nsbruck e Universitätsinsitut für Suchtforschung Frastanz/ Vorarlberg [2] Su queste tematiche è attiva da alcuni anni la Fondazione Benetton studi e ricerche di Treviso che nel 1999 ha diffu so a stampa l'interessante pubblicazione a cura di FRIGO – PALESTINO – ROSSI 1998. Più di recente, su questo tema, sono comparsi gli atti di un semi nario svoltosi a Trento il 30 novembre 2001 riferito agli ex ospedali psichiatrici nei terri tori italiani appartenuti all'Im pero asburgico (cfr. GRANDI – TAIANI 2002). [3] Per queste brevi note storiche 91
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mi sono avvalso delle infor mazioni esposte da Marina Pasini e Annalisa Pinamonti nell'inventario dell’archivio del Manicomio di Pergine, in corso di pubblicazione presso il Servizio Beni librari e archi vistici della Provincia autono ma di Trento. Dell'istituzione di Pergine parla diffusamente PANTOZZI 1989.
recenti e a solo titolo esem plificativo, si ricorda MORA GLIO 2002. [10] Guarnieri 1991. [11] Centro italiano di storia ospi taliera 1978. [12] Lützenkirchen 1975. [13] Mal 1981.
[4] Biblioteca comunale di Tren to, Archivio Consolare, Atti ci vici, ms. 3995. [5] Archivio di stato di Trento, Giu dizio distrettuale di Civezzano, Sanità, 1835, cart. n.n. [6] PROCH 1850. [7] A questo episodio ha dedicato un suo studio HINTERHUBER 1995 del quale è prevista per il 2003 l'uscita in traduzione ita liana presso le edizioni del Mu seo storico in Trento. Si segna lano inoltre l'articolo di PANTOZ ZI 1996 e gli Atti del convegno Follia e pulizia etnica in Alto Adige: Bolzano 10 marzo 1995 (cfr. PERWANGER – VALLAZZA 1998). [8] Fra le pubblicazioni più recen ti si segnalano gli Atti del con vegno “Pischiatria e nazismo”: San Servolo, 9 ottobre 1998 (cfr. FONTANARI – TORESINI 2002). [9] Sono numerosi gli studi che hanno proposto la ricostruzio ne della storia di singole isti tuzioni manicomiali. Fra i più
Rodolfo Taiani è responsabile della Biblioteca presso il Museo Storico in Trento.
Il manicomio provinciale tirolese di Pergine (1912) Pius Dejaco
La traduzione di una relazione scritta nel 1912 dall’allora direttore del manicomio.
Prima fase della costruzione La popolazione del Land Tirolese è bilingue; due terzi di essa (tedesca e ladina) abitano nella parte Nord del Tirolo, l’altra parte è italiana e abita nel Sud. Il confine linguistico è a Salorno, nella Val d’Adige. La parte del Land che sta a Sud di Salorno, con la sua popolazione italofona e prevalentemente contadina, costitu isce il bacino di utenza del “Manico mio provinciale-Tirolese di Pergine” (così si denomina ufficialmente). I tedeschi e la gran parte dei la dini inviano i malati di mente nell’Ospedale psichiatrico di Hall. Il Land Tirol, dunque, possiede, per la sua popolazione aggirantesi su 1.000.000 di abitanti, due ospe dali psichiatrici. Ma non fu sempre così. L’Ospe dale psichiatrico di Pergine esiste solo da tre decenni, perché, pri ma, tutti i malati di mente dove vano essere custoditi a Hall, pro venendo dai più lontani e remoti paesi. La consapevolezza delle difficol tà quasi insormontabili che incon Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
trava il trasporto dei malati di men te da così rilevanti lontananze, nelle condizioni ancora manchevoli delle vie di comunicazione, non poteva sfuggire alle autorità competenti. A questi ostacoli di comunicazio ne si univano altri ostacoli, che ave vano la loro origine nella grande va rietà delle peculiarità nazionali e culturali delle due etnie del Land. Anche il cittadino ignaro di cose psichiatriche fu indotto a riflettere se non fosse un controsenso portare un malato di mente (per il tratta mento specialistico) in un ambiente che era in aperto contrasto con quel lo in cui era nato e cresciuto. La grande diversità della lingua, dei costumi e degli usi, dell’alimen tazione e delle condizioni atmosfe riche dell’ambiente, in cui il malato di mente veniva ex abrupto a trovar si, poteva risolversi solo in un dan no per la salute psichica e, quindi, ritardare la possibilità di guarigio ne. Nessuna meraviglia se la maggio ranza dei malati di mente invece di poter fruire del beneficio di un trat tamento specialistico in adatto isti tuto piombavano nella cronicità pe renne in miseri ricoveri comunali o in ospizi o, addirittura, in una di quelle strutture private che si fanno beffe delle regole igieniche. Che ciò sia accaduto risulta in tut ta evidenza dai dati che il “Consi glio provinciale di sanità” ha pub blicato nel 1873. In Tirolo vi erano, allora, 2.200 malati di mente, dei quali solo 250 potevano essere accolti nel Manico mio di Hall. 410 erano in custodia in ospizi e case di ricovero, dislo 93
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cati in tutto il Land, mentre 1.540 (dunque il 70% di tutti i malati di mente tirolesi di quel tempo) era no in custodia a casa, senza aiuto alcuno dall’esterno. La Giunta del Land e il «Comita to dietale per le costruzioni» ave vano riconosciuto chiaramente fin dal 1874 quanto, nelle dette con dizioni, l’erezione di un Manico mio, oppure un notevole amplia mento dell’istituto di Hall, fosse urgente e irrinunciabile; perciò i Comuni italiani (avvalendosi di maggiori entrate ricavate da impo ste aggiuntive) dovettero accollar si un contributo di misura pari alla differenza con quanto già versato dai Comuni tedeschi per la costru zione del Manicomio di Hall.
Circa le domande se e dove erigere una costruzione nuova, oppure se solo ampliare l’istituto di Hall: l’orientamento generale della Dieta era che (per motivi sanitari e uma nitari e, per certi aspetti, anche fi nanziari) la costruzione di un secon do Manicomio per la cura e l’assi stenza dei malati di mente nel Tiro lo italiano fosse da preferire all’am pliamento dell’attuale istituto di Hall.
La Dieta decise il 12 ottobre 1874 di erigere il secondo mani comio per la cura e l’assistenza dei malati di mente nel Tirolo italia no. Gli alti costi, però, erano da sostenersi con mezzi provinciali; va ricordato che i Comuni italiani, quasi senza eccezioni, si erano di chiarati pronti a dare contributi volontari per la costruzione di un Manicomio nel loro territorio nel la stessa misura in cui i Comuni te deschi avevano contribuito per la costruzione di Hall e nei medesimi modi. Fu una significativa dimostrazio ne di interesse per un Manicomio proprio. Per la parziale copertura dei costi fu anche coinvolto l’allora esistente “Fondo per le costruzioni di (mera) assistenza sociale di malati di men te”, il che ebbe come conseguenza che l’istituto da costruire nella par te italiana del Land fu poi concepito non solo come istituto di terapia, ma anche di mera assistenza per incura bili. Ora, per poter eseguire la delibe razione della Dieta dal 12 ottobre 1874, si doveva, come prima cosa, trovare un luogo adatto, che corri spondesse, soprattutto sotto gli aspetti sanitari, economici e finan ziari, agli interessi del Land. Le rilevazioni che la Giunta Pro
vinciale fece fare in tale direzione (con l’aiuto di una commissione specialistica nominata dalla Giun ta Provinciale e, su invito rivolto dalla Dieta il 14.5.1875, opportu namente integrata) erano di natu ra così circostanziata che la Giun ta Provinciale il 17.4.1877 fu in grado di decidere definitivamente che (per la erezione di un Manico mio nel Tirolo italiano) si doveva comperare il maso San Pietro di Pergine. La Giunta Provincia-le or dinò tutte le negoziazioni, proget tazioni, ecc. Alla fine la Giunta Provinciale, col contratto dal 18 settembre 1877, comprò il Maso San Pietro per fiori ni 26.278 (= 52.556 corone), delle quali il Land ebbe a pagare solo la metà, l’altra metà se l’accollò il Co mune di Pergine, il quale, col con tratto 19 settembre 1877, si impe gnò a: - assumere la metà delle spese di acquisto del terreno; - portare la necessaria quantità di acqua, a sue spese, fino al confi ne dell’istituto e a mantenere in efficienza il relativo acquedotto; - cedere gratis al Land un canale di acqua a scopo di lavaggi e irri gazioni; - porre a disposizione le cave di pietra comunali per lo sfruttamen to gratuito. Dopo che furono elaborati piani (sul la base di indicazioni preliminari di una apposita commissione, che sug gerivano una capienza di 200 malati di mente), la Giunta Provinciale de liberò il 18 ottobre 1878 di: - approvare i contratti col proprie tario e col Comune di Pergine; Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
- approvare la costruzione del Manicomio di Pergine secondo i piani stabiliti, con un preven tivo di fiorini 308.000 (= 616.000 corone), più una spe sa di fiorini 50.000 (= 100.000 corone) per l’arredamento oc corrente. Il primo colpo di piccone, per gli scavi, si ebbe il 30.3.1879. Sui lavori di costruzione non bril lò una buona stella. Voci su una cat tiva conduzione dei lavori (la cui direzione era nelle mani dell’Ufficio tecnico provinciale, mentre l’esecu zione era affidata a un impresario) e una cattiva qualità dei materiali im piegati, fornirono alla gente molti motivi per svariati e mordaci com menti. Le voci giunsero alla Giunta Pro vinciale, che si vide costretta ad an dare a fondo delle cose e, a fine no vembre 1879, ordinò la sospensione dei lavori, già giunti al tetto. All’inizio parve che le perizie di due ingegneri ministeriali confer massero le voci, ma puntuali e ac curati so-pral-luo-ghi e analisi ria bilitarono pienamente sia l’impresa rio sia l’ufficio che aveva la direzio ne lavori. Conseguenza fu che: - la costruzione poté continuare dopo una sospensione di tre mesi (non contando i tempi in cui i la vori furono sospesi, come di con sueto, per il freddo invernale); - i danni subiti a causa della so spensione dovettero essere rim borsati all’impresario. L’edificio, in grezzo, fu terminato nel 1881. Ora si dovevano realizzare i dettagli del progetto ed erigere qual 95
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che edificio minore, la cui neces sità si era avvertita durante la co struzione, come effetto di talune variazioni fatte al piano originale. Così in quell’anno (1881) si eresse una casa da servire come la vanderia e bagni (Badehaus). Ver so la fine della costruzione (del monoblocco) una “commissione di revisione” aveva ritenuto necessa rio tale edificio: nel piano origi nale i due detti servizi erano stati infatti previsti inopportunamente vicini alla cucina. Per compiere studi su questo edi ficio minore furono inviati a Mona co due membri della commissione: l’Ing. Lindner e l’economo designa to dell’Ospedale psichiatrico Sig. Delama che poterono visitare im pianti di quel tipo. Contemporaneamente veniva pre parato l’arredamento del nuovo isti tuto. I mobili furono tutti portati da Innsbruck e la fornitura di vesti,
biancheria e lenzuola fu curata dal la Casa madre delle Suore di Inn sbruck. Nell’estate 1882 l’intera costruzio ne era completata, secondo i piani e i programmi. Il 14 agosto di quel 1882 potero no trasferirsi dall’Ospedale psichia trico di Hall 29 malati di mente tran quilli nella «loro» nuova istituzio ne. A questi arrivi seguirono (in più scaglioni) 62 malati cronici, italia ni, che pure erano stati ospitati a Hall. Questo esodo degli italiani dal l’Ospedale psichiatrico tedesco ver so quello patrio di Pergine ebbe ter mine il 15 settembre 1882 e il nu mero totale dei malati di mente tra sferiti da Hall fu di 91. Il trasferimento dei malati di mente da Hall a Pergine coincise col catastrofico nubifragio che nella tarda estate 1882 arrecò stra
ordinarie devastazioni, l’ostacolò, con l’interruzione delle vie di tra sporto, l’arrivo dei malati di men te. A causa di quel disastro si do vette anche ritardare la festosa inaugurazione dell’istituto. I con tributi offerti da numerosi invita ti alla festa inaugurale furono con vogliati su un fondo di beneficen za. Dopo la fine dei trasporti dei ma lati di mente italiani da Hall si ini ziarono (il 19.9.1882) le ammissio ni dirette, ma anche queste riguar davano, in gran parte, malati di men te inguaribili, lungodegenti, già nel reparto psichiatrico dell’Ospedale generale di Trento che a causa della pericolosità sociale furono avviati al nuovo Manicomio di cura. La mensa, la lavanderia e l’assi stenza immediata delle malate di mente furono affidate alle suore del l’Ordine della divina provvidenza, la cui casa madre è a Cormons; per gli uomini l’assistenza immediata fu af fidata a uomini laici. La direzione aveva deciso le nuo ve costruzioni degli edifici minori con verbale dal 31.8.1882 n. 300. Ma i lavori non erano ancora finiti e il periodo costruttivo fu prolungato fino al 1884. La causa principale del ritardo fu senza dubbio questa: il primo diret tore dell’istituto Dr. Sterz non era ancora stato nominato e, quindi, non era presente nella commissione del le costruzioni. Particolari difficoltà presentò la provvista di acqua per l’istituto. Come già detto, il Comune di Per gine (con contratto 19.9.1877) si Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
era impegnato col Land: - a provvedere l’istituto sorto nel suo territorio di acqua potabi le; - a portare l’acquedotto, a sue spe se, fino ai confini dell’istituto e, poi, alla manutenzione. Senonché, quando si approssimò l’apertura dell’istituto, il Comune di chiarò di non poter mantenere la promessa di assicurare la detta quan tità di acqua senza sacrificare sensi bilmente i propri interessi. Di fronte all’inatteso voltafaccia, su un problema tanto vitale, si apri rono lunghe trattative, che si con clusero con la delibera provinciale del 7.7.1883: era stanziata una cer ta somma da destinarsi alle spese per la ricerca di una buona fonte di ac qua. I mezzi vennero tratti dal “Fon do per costruzioni per malati di men te” (della Provincia). Di questa ricerca fu incaricato lo specialista Dr. Ing. Altmann. Le dif ficoltà che si frapposero alla solu zione del problema furono rilevanti. Presso Busneck (vicino a Canezza) si dovette scavare un profondo poz zo, per il cui lavoro fu necessaria una somma imprevista di fiorini 40.000. Quando l’acqua fu trovata il Co mune di Pergine fece un’altra pro posta: avrebbe costruito a sue spese l’acquedotto e provveduto alla ma nutenzione se l’acqua trovata fosse stata messa a disposizione anche della cittadinanza. In pari tempo il Comune si sarebbe impegnato a for nire l’istituto con due litri e mez zo di acqua al secondo. Il Land accettò. Nel 1884 i la vori inerenti al rifornimento di 97
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acqua si conclusero. La tabella seguente offre uno sguardo sulla durata e il costo della costruzione dell’istituto, dell’ac quedotto e dell’arredamento:
(*) La somma esatta sarebbe di fiorini 561.170 (c.d.r.)
Dalla porta Est della città di Trento (porta di Aquileia) la stra da statale (levandosi gradualmen te in larghe serpentine, sulla riva destra del Fersina, inoltrandosi nella profonda forra fra i monti di Civezzano e i monti di Roncogno) porta in Valsu-gana; questa pren de inizio dal Rio Silla e si allarga, sempre più, in un rigoglioso, am pio fondo valle, al cui limite orien tale si trova il paese mercantile di Pergine. Pergine è sovrastata dal suo monte fortificato, da un castello, che risale al tempo dei Longobar di, ed è circondata da una corona
di bei monti. Il luogo sorge a 500 m sul l.d.m. e dista 11 km da Trento. Subito ai piedi del monte fortificato si tro va il maso San Pietro, sul quale fu eretto l’istituto di cura e di assi stenza. Prima, la strada statale provenien te da Trento era l’unica possibilità di comunicazione con la Val d’Adige, per cui i malati di mente dovevano essere condotti all’istituto con lun ghi e faticosi viaggi, con carrozze. Dal 1896, però, una ferrovia uni sce noi con il naturale centro della parte italiana: la città di Trento. Ho detto prima che il Land, per la costruzione del Manicomio, scelse il maso San Pietro e lo comprò. Il ter mine “maso” non va inteso nel sen so che ci fosse, oltre ad una certa area agricola, anche un cascinale, più o meno grande, che potesse essere conglobato nella grande costruzio ne. Il maso San Pietro consisteva solo in campi e prati, ai piedi del monte fortificato, (cioè a Nord del paese e a questo immediatamente adiacen te) e, ancora, in un piccolo casta gneto, in un piccolo vigneto, entram bi sulle basse pendici del monte. Nel punto più alto del terreno vi era una modesta casa rurale, poi gradualmen te riassettata e, già dall’inizio del l’attività manicomiale utilizzate come alloggio del giardiniere. Così era il maso San Pietro, con un’area di mq 96.000. L’istituto di cura e di assistenza nella sua originaria forma L’istituto fu eretto come monobloc co sui campi e prati agricoli, con l’imponente facciata rivolta a
Nord-Ovest, cosicché le corsie po ste lungo la facciata e, con esse, la direzione sanitaria e amministra tiva, solo in estate erano illumi nate dai raggi del sole, mentre nella maggior parte dell’anno si doveva rinunciare ad essi. Dal tratto centrale del palazzo, nel quale sono ospitate le direzioni sa nitaria e amministrativa, con la an nessa sala delle feste e, sopra, la cap pella e l’ufficio economale, si dipar tivano due bracci, a sinistra e a de stra, che, poi, piegavano ad angolo retto, e formavano due ali, che cor revano verso i terreni retrostanti, verso il monte.
Queste due ali contenevano, subito oltre il tratto centrale: - l’ala sinistra: gli uomini malati di mente; - l’ala destra: le donne. Il tratto centrale e le ali formano una E coricata e abbracciano gli edi fici minori manicomiali, cosicché in quell’area, limitata e ben proporzio nata, c’è tutto l’istituto, con tutto il necessario. La costruzione ha un pianoter ra e due piani superiori, con ecce Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
zione delle due case (solo in un secondo tempo unite alle ali estre me) che erano vicine e collegate, ma ancora non unite, e servivano da “reparti per agitati”. Questi reparti per agitati avevano solo piano terra e primo piano.
Nel Tratto Centrale (TC): - Al piano terra, subito a sinistra dell’entrata, c’era l’alloggio del portiere, a destra, i magazzini (più tardi l’alloggio del capo-in fermiere). Più verso l’interno c’era no una stanza per i visitatori e, nella parte opposta, una sala per biliardi, ancor oggi adibita a tale scopo. Nel mezzo, la bella sala delle feste, che, però, oggi, dopo il considerevole sviluppo dell’Isti tuto e dopo l’aumento delle pre senze di malati di mente, si pale sa troppo piccola; - Al primo piano, a sinistra si tro vano i locali direzionali ammini strativi, a destra, lo studio del di rettore sanitario e quello dei medici e, proprio sopra la sala delle feste, la cappella, costrui ta in stile «basilica». Eguali a 99
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quelle che conducono al primo piano, altre scale doppie e mol to larghe, portano; - Al secondo piano, dove, a sini stra c’è l’alloggio del medico as sistente e del cappellano, a de stra l’alloggio delle suore. [Omissis] Si pensava di facilitare alle suore infermiere un agevole diretto acces so dal loro alloggio alla cappella. Però questo programma presto cad de, perché i locali destinati ad al loggio delle suore furono tramutati in alloggio del direttore; originaria mente, secondo il programma fissa to dalla commissione, il direttore avrebbe dovuto abitare a Pergine, fuori dell’istituto. Si era provveduto per l’alloggio del medico assistente, all’interno. Solo più tardi si è aggiun to quello del direttore, mentre il se condo assistente dovette abitare sempre fuori. Attualmente solo il direttore abi ta in istituto. Dal tratto centrale, ora descritto, si dipartivano, verso sinistra e verso destra, le ali orizzontali destinate ai malati di mente.
Al piano terra vi era il primo Repar to, che serviva come reparto accet tazione (proposi io questa destina zione, quando presi servizio come giovane assistente). Sopra, al primo piano, c’era il ter
zo Reparto, riservato ai malati la voranti. Al secondo piano c’era il quinto Reparto, un reparto, allo ra, modesto, quanto alle presen ze. Questi (tre) reparti consisteva no ognuno in due vaste sale-dor mitorio, nelle quali c’erano, per lavarsi, attrezzature lignee, muni te di bacili di porcellana ribaltabi li. In mezzo alle due sale-dormitorio stava la stanza dell’infermiere. Inoltre, il reparto-tipo (modulo) aveva anche una stanza per malati fisici con due letti e una stanza di isolamento con persiane di legno, chiudibili dall’interno. All’angolo (punto di incontro fra l’ala orizzontale e l’ala verticale) c’era la sala soggiorno. Tutti questi locali guardano verso l’esterno del l’edificio; verso l’interno corre, lun go tutto il reparto, un corridoio, munito di numerose finestre (corri doio che, nei pressi della sala di sog giorno funge anche da soggiorno dei malati di mente).
Nei tre piani delle ali verticali vi era no i Reparti secondo, quarto, sesto. Il secondo era, allora, per i “sudi ci”; il sesto per i cronici. Questi reparti erano strutturati in modo diverso dagli altri.
Avevano due dormitori, con la stanza dell’infermiere frapposta, più avanti il soggiorno e due stanze di isolamento, ma, anche un cuci nino e un’area per l’ascensore (un ascensore a mano, usato per le vi vande). Ma questo modo di trasfe rire le vivande si dimostrò compli cato, non pratico e anche perico loso; non fu più usato, smontato e ceduto ai “magazzini agricoli” di Innsbruck. L’area lasciata libera e il cucinino furono trasformati in camere per in fermieri.
Dal secondo Reparto (piano ter ra) una passerella in legno, coper ta, conduceva alle case vicine, in cui erano i reparti per agitati. Reparti per agitati: i due fabbri cati avevano un solo piano superio re e ospitavano due reparti: settimo Reparto e ottavo Reparto. Essi contenevano una stanza per infermieri, un piccolo locale con fon tanelle che serviva per lavarsi, e sette locali di isolamento in fila, che da vano al reparto un aspetto tipicamen te carcerario. Le sette celle del piano terra ave vano finestre chiudibili, con per siane in legno, piccole, poste in alto. Le celle del primo piano, inve Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
ce, erano munite di finestre di grandezza normale. Le finestre di tutti i reparti per malati di mente erano assicurate con inferriate, i pavimenti dei cor ridoi erano in lastre di cemento. Nei dormitori vi erano pavimenti in legno dolce, solo i pavimenti del le stanze di isolamento erano in la rice. In tutti i piani l’acquedotto ar rivava, ma non agli inizi, perché l’istituto dovette affrontare gros si problemi a proposito di approv vigionamento di acqua. Straordinariamente primitivo era il modo di costruire le toilette e i pozzi neri, ecc.. Le toilette in legno, in legno i sedili e anche le condutture. [Omissis] Le finestre, opportunamente numerose, nei lunghi corridoi e
nelle corsie, che, data la presenza di inferriate, potevano rimanere spesso aperte, assicuravano (insie me con un sistema di condutture di areazione incorporate nei muri) la ventilazione di tutti i locali. La Ditta di Monaco Sugg & Kai 101
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ser aveva istallato nei reparti un impianto di riscaldamento, che, però, si limitava alle corsie e ai soggiorni, mentre i corridoi di tutti i reparti erano esclusi da tali im pianti. Il motivo di ciò: la commissione di costruzione aveva l’idea che Per gine fosse favorita da un caldo cli ma meridionale e, per ciò, i corridoi che (ad eccezione dei reparti donne, più o meno esposti al sole) non ab bisognavano di un riscaldamento. Sulle conseguenze di tale errata idea dirò più avanti. I focolari (in cui si accendeva il fuoco, n.d.tr.), con sedici corpi ri scaldanti, erano posti nel sotterra neo, ma non (non erano in un posto unico): erano separati in tre parti, le quali erano accessibili dai reparti dei malati di mente (primo, terzo), eccetto per quella che stava sotto l’amministrazione. Il tratto centrale, invece, era ri scaldato con stufe in ferro Sugg & Kaiser, più tardi sostituite con stufe Küstermann. L’illuminazione era in tutti i re parti esclusivamente alimentata a petrolio. L’ala di mezzo Dal tratto centrale (primo piano) si dipartivano due passaggi coper ti che conducevano all’ala di mez zo (ospitante la cucina, l’alloggio delle suore, l’ufficio della superio ra, ecc.): 1) dal lato che guarda i reparti ma schili il passaggio porta al posto in cui vengono consegnati i pasti per gli uomini; 2) dal lato che guarda i reparti fem
minili il passaggio porta al po sto di consegna dei pasti per le donne, nonché verso la cucina e le annesse dispense e, anco ra, verso il refettorio delle suo re.
Nella cucina c’era, nel mezzo, un va sto focolare; a destra un grosso pen tolone per le zuppe, incorporato in una stufa e, vicino, un grosso paiolo per la polenta. Sempre al primo piano dell’ala di mezzo, vicino alla cucina, si trovava una mensa per inservienti e un uffi cio per la superiora; inoltre una la vanderia, un ambiente refrigerato per il latte, un laboratorio per la pa sta, con relativa macchina a mano, e sale per il pranzo. Dall’atrio della cucina un collega mento conduceva al palcoscenico della sala delle feste (al piano ter ra) e una scala al piano superiore, che serviva da alloggio delle suore. In questo piano una grossa sala, nel mezzo, era trasformata in cappella privata delle suore. Al piano terra dell’ala di mezzo dal vano scale si arrivava a una cantinetta sotterra nea e a un magazzino di frutta e ver dura. Una vera cantina non esisteva. Lo spazio circondato dal palazzo (una E rovesciata) è rettangolare e costituisce un cortile interno; c’era no (e ci sono) quelle costruzioni che erano necessarie all’esercizio delle
attività ospedaliere. Il lungo e rettangolare edificio serviva bene a ospitare i bagni. Nel primo progetto i bagni erano previ sti in locali vicini alla cucina. Ma, ancor prima della fine dei la vori, si pensò di non collocarli là; la commissione di revisione, nel 1881, stabilì l’incompatibilità di vicinanza fra cucina e bagni, per motivi igie nici; per cui fu deciso di erigere (in separata sede) un edificio per la lavanderia e per i bagni (il “Ba dehaus”), per il costo di fiorini 23.024. - Lavanderia. A piano terra si tro vava la grande lavanderia per i vestiari, ecc., col solito sistema a mano, con diverse vasche in ce mento. L’acqua calda era portata da una caldaia sita in un piccolo locale annesso. - Bagni. In quest’ultimo locale una seconda caldaia per acqua calda riforniva i bagni per i malati di mente a mezzo di un semplice tubo che giungeva fino alle va sche da bagno. Il cosiddetto “reparto bagni” consi steva in più cabine con vasche in la miera. L’afflusso di acqua fredda si ave va a mezzo di condutture che corre vano sotto il pavimento, dove c’era un pozzetto che era collegato con l’acquedotto. L’apertura e chiusura dell’acqua fredda si effettuava tramite una chia ve che azionava (bloccava o sbloc cava) il pozzetto sotterraneo. I bagni servivano solo alla pulizia personale dei malati di mente. Con quali scomodità avveniva il trasferi mento dei malati di mente dai re Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
parti, attraverso il cortile fino al “Badehaus”, specie in pieno inver no, lo lascio immaginare. Al piano terra (insieme alla lavan deria e ai bagni n.d.tr.) si trovano anche un apparecchio di disinfezio ne tipo Thursfield e un’officina per falegname. Al piano superiore c’era la stireria, l’essiccatoio (alimentato con aria calda da una stufa Sugg & Kaiser); più oltre un magazzino e le camere da letto del giardiniere e del le lavandaie. Dietro al “Badehaus” un piccolo edificetto rettangolare aveva, nel mezzo, il locale obitorio e la sala necroscopica. A sinistra e a destra dell’obitorio: due fienili. Alte mura, con un solo grande portone, cingevano il grande com prensorio rettangolare, entro il qua le si svolgeva tutta la vita ospeda liera. Avanti, a sinistra e a destra l’isti tuto era circondato (per solo tre lati) da giardini per i malati di mente o da cortili. In fondo, presso il monte, i disa dorni giardini degli agitati, dotati di porticati; più in avanti (adornati da aiuole e cespugli) i giardini dei se miagitati e dei tranquilli, non colle gati fra loro, solo aventi in comune l’uscita dei reparti. Fra il giardino delle donne e l’abitato di Pergine, intercalato un orto. Tutti i giardini erano circondati da muri alti tre metri. Così appariva l’istituto di Pergi ne, quando fu aperto nel 1882. Ebbene, del suo primitivo aspetto (che corrispondeva allo sfarzo dei gusti dominanti in psichiatria tren 103
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ta anni fa, ai modi e alle maniere del trattamento dei malati di men te) non è rimasta che la forma ester na, mentre l’interno, col passare de gli anni, è del tutto mutato. Uomini nuovi vennero e anda rono, ma, a tutti un pensiero fu comune: adeguare l’istituto allo stato della scienza in genere, ai progressi della psichiatria in par ticolare. Questo processo di adeguamento muove i primi passi subito dopo l’ini zio dell’attività, e non ha mai avu to fine. Modifiche Ho già accennato alla storia del l’acquedotto. È memorabile che, nel “periodo senza acqua”, il Land costruì un ac quedotto provvisorio dalla località Ciomba, ai piedi del Monte Orno; senonché all’acqua mancò la sufficiente pressione: i piani superiori rimasero senza, non si poté rifornirli. Molto forte si fece sentire la man canza di cantine.
Il Land decise di ricavare una cantina (almeno) sotto il TC, me diante scavi condotti in economia. Ma non furono poche le diffi coltà incontrate anche in questo lavoro: c’era da lottare col fatto che i muri maestri del palazzo erano troppo poco profondi, si dovette rinforzarli con cemento e poi ini ziare lo scavo per la cantina Disagi e disturbi venivano dal fatto che i focolari del riscaldamento era no situati in tre parti diverse dei lo cali sotterranei, accessibili solo dai reparti primo e secondo, oltre che dal TC. Per evitare che il personale addet to al riscaldamento e i malati di men te che aiutavano dovessero attraver sare spesso altri reparti, i passaggi verso i sotterranei furono unificati. La più grossa delle modificazioni riguardò il riscaldamento (1890). Fino ad allora i lunghi e spaziosi cor ridoi, sui quali davano tutte le stan ze, non erano riscaldati. Era inevitabile che a ognuna del le innumerevoli aperture di porta
(in un manicomio sono inevitabi li) i locali riscaldati non mantenes sero un sufficiente calore; oltretut to, i caloriferi, all’interno delle corsie, si dimostravano insoddisfa centi; venivano surriscaldati oltre misura per cercare di mantenere la temperatura necessaria e, questi, andavano spesso in tilt. Allora tutti i caloriferi (sistema Sugg & Kaiser) furono tolti e adot tato un sistema di riscaldamento nuovo, che coinvolgeva anche i cor ridoi. Al posto dei vecchi sedici furo no istallati dieci nuovi corpi ra dianti della Ditta Porta di Torino e furono anche istallate nuove con dotte d’aria. Il precedente era un sistema a cir colazione (cioè veniva riscaldata l’aria già usata e viziata): il nuovo riscaldamento era ad aria presa fuo ri, sempre nuova e pura, e scaldata. L’anno 1893 portò una grande no vità in tema di illuminazione e, in sieme, un significativo miglioramen to della sicurezza anti-incendio: fu istallata in quell’anno a cura del Co mune l’illuminazione elettrica. Il Comune di Pergine fu uno dei primi a costruire una centrale elettrica. Da tale centrale, in Serso, l’istituto ri cevette la forza per la luce e, più tardi, per un motore collegato all’es siccatoio nella lavanderia. Non si può tacere che, nel corso degli anni, col valido aiuto dei ma lati di mente lavoranti, i fondi agra ri dell’istituto furono mutati taluni, e molto migliorati altri. Così, il vigneto che è sotto il maso San Pietro fu riassettato e reso frut tifero; nel prato fu allestito un om Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
broso parco e i campi grandi furo no migliorati e resi produttivi. Il nuovo tratto di congiunzio ne. Nell’anno 1894 fu fatta una co struzione che va ricordata, non per la sua dimensione, ma per altri motivi: modificò non poco il qua dro dell’istituto. Il vuoto fra il reparto semi-agita ti e quello degli agitati fu riempito con una costruzione alta tre piani, che aumentò di tredici stanze l’isti tuto, già alle prese con la mancanza di spazio. Dapprima furono pensate come stanze di isolamento e, a tal fine, arredate; più tardi, sotto la spinta del sovraffollamento sempre più forte, furono arredate con due e anche tre letti. In questi locali furo no posti i primi pavimenti in legno di faggio dell’istituto. Le finestre, inferriate come ovun que, le persiane chiudibili dall’inter no e le finestrelle sopra le porte, in alto, per le lampade elettriche: da vano al complesso l’impronta di un padiglione di isolamento. Le spese per questi lavori ammon tarono a fiorini 70.000 (= 140.000 corone). Le celle di isolamento, in fila, dei reparti per agitati (settimo) e (otta vo) furono aumentate con due nuo ve celle, sicché si ebbe una lunga fila di nove celle. Con ciò il primo periodo costrut tivo ebbe definitivamente fine: ad eccezione di modifiche minime non venne più costruito nulla. Il tempo di totale assenza di ulteriori lavori durò dieci anni. L’inerzia fece sentire ben presto le conseguenze negative. Anche se, come dimostrano le statistiche, il 105
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numero dei malati di mente non crebbe in assoluto, la mancanza di spazio si fece tuttavia sentire, per cui la direzione fu costretta a re spingere molte domande di am missione. Il sovraffollamento si ebbe soprat tutto a causa del folto gruppo di in curabili che (nonostante l’art. 23 del lo statuto dell’istituto) non poteva no essere dimessi dall’istituto, per ché i Comuni (con tutti i mezzi lega li loro offerti) resistevano alla di missione dei loro malati di mente, anche se non pericolosi per la citta dinanza. In realtà la non-pericolosità di un malato di mente è concetto molto relativo, perché un malato di men
te comunemente non pericoloso, in un altro ambiente (e sotto l’in flusso di circostanze spesso anche futili) può diventare pericoloso. Perciò varie voci si levarono di autorità sanitarie (sia dal punto di vista igienico che psichiatrico) con tro l’eccessivo affollamento. In base ai primitivi calcoli del 1877 la capacità dell’istituto fu ri tenuta sufficiente in 200 malati di mente; erano calcoli fatti in base al dato statistico seguente: 579 malati di mente su 352.000 abitanti. Senonché: già nel primo anno quel numero fu superato; e tuttavia le condizioni di spazio consentirono un aumento nella capienza, in via di fatto, che fu sfruttato a seconda del bisogno; nel novembre 1884 si ebbe la punta massima di presenze: 250. Tenendo conto di queste richieste di ammissione, la capacità ufficiale, attraverso piccole modificazioni in terne, fu portata a 240. La i. r. Luogotenenza (d’intesa col Consiglio provinciale di sanità) il 24.5.1886 comunicò alla Giunta Pro vinciale che l’aumento a 240 era ra tificato, ma ulteriori esuberi non sa rebbero stati ammessi. Con ordinanza 10.6.1892 la Giun ta Provinciale ribadì l’esplicito di vieto di superare il limite di 240. È bene che, nonostante inizialmen te fissata a 200, la normale capien za sia stata aumentata a 240 (130 uomini) (110 donne). È evidente che sarebbe stato im possibile mantenere rigorosamente il limite prestabilito.
NOTA BIOGRAFICA Pius Dejaco (consigliere aulico) nacque a Cognola di Trento il 25 gennaio 1859 da una famiglia di lingua tedesca. Si distinse molto come studente all’Università di Vienna, per cui ottenne la laurea “sub auspiciis imperatoris”, riser vata ai giovani di eccezionale pre parazione. Nel luglio 1893, in qua lità di assistente volontario, entrò a far parte dell’équipe del dott. Aurel Zlatarovich, direttore del Ma nicomio provinciale tirolese di Per gine, divenendo assistente effet tivo del primario in data 20 otto bre del 1893. Tra il 1912 ed il 1919 ricoprì la carica di direttore del Manicomio perginese.
Lasciata la direzione al trentino dott. Guido Garbini (1873-1923), dopo la fine della prima guerra mondiale, si ritirò a Bressanone con la moglie Elvira Fontanari e i cinque figli, e là aprì una clinica privata nella Villa Sabiona, alla confluenza della Rienza nell’Isar co. Uno dei figli, Valerius, sarà sin daco di Bressanone dal 1952 al 1968. Pius Dejaco morì a Bressanone il 29 aprile 1925.
NOTE [1] Il numero delle stanze indica to nel testo è errato, il nume ro esatto deve intendersi 12 e non 13.
Libera traduzione dal tedesco a cura di Giuseppe Pantozzi (DEJACO 1912). Le parole in corsivo rendono le parti di testo sottolineate nell’originale. I disegni che corredano il testo sono stati elaborati da Gian Piero Sciocchetti. Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
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Cultura e collaborazione interetnica nella storia dell’ospedale perginese
La riflessione che è stata fatta sul l’ospedale di Pergine dal gruppo di studio coordinato da Casimira Gran di e Rodolfo Taiani. Quella istituzio ne è stata analizzata da tutti i punti di vista (medico, sociale, economi co, architettonico). Il presente scritto intende consi derare le cose da punti di vista che sono accessori, in relazione a un ospedale, ma non privi di interesse: si tratta in particolare le norme le gislative e delle norme contrattuali, relative alla presenza di bolzanini nei reparti ospedalieri. Ebbene, da questi angoli visuali, l’ospedale appare come una istitu zione strumentale delle due provin ce di Trento e Bolzano. Un regio de creto del 15 marzo 1928 dichiarava un diritto di proprietà di Trento sul complesso ospedaliero e un diritto di utilizzazione di Bolzano. E dun que, sotto l’aspetto del fine istitu zionale, l’ospedale era interprovin ciale. In altre parole: di fronte alle prestazioni assistenziali le due pro vince avevano eguali titoli e diritti, derivanti da un unico atto, costi 108
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tuente lo statuto dell’ospedale. Questa situazione di "parità nell’utilizzo" corrispondeva alle leg gi concernenti i rapporti fra pro vince quando una di esse (nel no stro caso: Bolzano) nasceva dalla divisione territoriale dell’altra (nel nostro caso: Trento). Non conosco bene i motivi per i quali quella divisione (avvenuta nel 1928) sia stata piuttosto contenzio sa e quali influssi abbia avuto quel la contesa sui vari rami amministra tivi, ma so che la direzione ospeda liera ebbe sempre una tendenza a ri muovere l’idea della compartecipa zione assistenziale. Mi spiego: la natura duplice del l’ospedale non apparve mai nella de nominazione ufficiale, non fu mai citata nelle stampe o relazioni, non era nota, per conseguenza, ai medi ci, agli infermieri; men che meno al pubblico; era celata sotto una cap pa di silenzio. Esisteva anche un atto di natura esecutiva: una convenzione del no vembre 1928, destinata a regolare i rapporti concreti sorgenti dalla co mune utilizzazione. Ma non fu ela borata dalle segreterie giuridiche o assistenziali delle due province, ben sì dalle due ragionerie: una scrittu ra in cui si parlava di conti, di ren diconti, di contabilità e di fatture; non si citava una sola volta il mala to, non i suoi rapporti con la fami glia, non l’apporto del servizio so ciale del paese di origine, ecc. Insomma: dei cento rapporti, de licati, che sorgevano dalla comune presenza, venivano regolati soltan to quelli legati al bilancio. Ebbene: negli anni sessanta si pen
Ex Ospedale Psichiatrico di Pergine Valsugana, interno.
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sò, a Bolzano, che occorreva pre vedere, in una rinnovata conven zione, una forma di contatti perio dici, uno scambio costante di in formazioni, un accesso agevolato dei familiari, ecc., Occorreva, in altri termini, avvi cinare l’ospedale alla parte più set tentrionale del suo hinterland; oc correva applicare al manicomio quel lo spirito di servizio sociale, che ve niva teorizzato a Trento, in quei tem pi, più che in altre parti d’Italia. Pergine reagì con cortesia, ma non accettò: volle che fosse mantenuta la convenzione del 1928, inalterata. Oppose una tenace volontà di con servare quella convenzione. E que sta opposizione sorprese i bolzani ni. Tutta la storia dei rapporti fra le due popolazioni, intorno al proble ma psichiatrico, era una storia di collaborazione e di intesa. Dal 1830 al 1882 i malati trentini erano accolti nel manicomio di Hall presso Innsbruck: era disagevole il trasporto, eccessiva la lontananza da casa, diverso l’ambiente antropico, ma l’accoglienza ed il trattamento erano cordiali e soddisfacenti. Nel 1882 fu aperto l’ospedale di Pergine e la coordinazione con Hall fu buona: un continuo scambio di informazioni, esperienze, documen ti (per esempio: le relazioni annuali del direttore di Pergine erano stu diate e conservate in perfetto ordi ne nell’archivio di Hall; e là sono tuttora reperibili). Pergine nacque con uno spirito di collaborazione, che il governo di In nsbruck favorì in più forme. Non va dimenticato che il primo
atto del primo direttore fu quello di invitare tutti i medici del Tren tino; egli li guidò a visitare l’ospe dale e invocò la loro costante col laborazione. Né va dimenticato che, essendo assessore Paul von Sternbach, nel go verno di Innsbruck (nel primo de cennio del Novecento), Pergine fu al l’avanguardia di una psichiatria di namica ed aperta. Egli invitò a Per gine Andrea Verga, il massimo psi chiatra italiano, ed Heinrich KraftEbing, il massimo psichiatra austria co. Andò a visitare Tamburini a Reg gio Emilia, istaurò rapporti di ami cizia con lui (si potrebbe parlare di gemellaggio). Il giovane assessore introdusse a Pergine la metodologia ergote rapica, seguendo i criteri emiliani, piegò alla nuova metodologia la struttura generale dell’ospedale, creando nuovi padiglioni nel com 109
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plesso ospedaliero e una ammire vole colonia agricola in Vigalzano. Spalancò le porte alla cultura. Fece un aperto elogio dei direttori degli ospedali psichiatrici italiani, nella seduta dietale del 5 novembre 1903: "…quei direttori, … sono diventati famosi, ben oltre i con fini di quel regno…". Vi fu un periodo aureo, dunque, in cui Pergine fu il centro interme dio fra la psichiatria italiana e la mitteleuropa: il periodo in cui le mura, intorno all’ospedale, ostaco lavano il passo ai curiosi ed agli sfac cendati, non alle idee, non alle in novazioni. Anche dopo la prima guerra mon diale, divenuto Pergine ospedale in teretnico, in quanto deputato ad ospitare malati del Trentino e del l’Alto Adige, ed interprovinciale, in quanto collegato alle funzioni assi stenziali delle due provincie, la vec chia intesa continuò, sostanzialmen te; non vi sono state lamentele dei bolzanini verso Pergine (salvo gli aspetti negativi derivanti dalla poli tica che dominava in quegli anni), così come non vi erano state lamen tele dei trentini verso Hall (salvo i disagi oggettivamente derivanti dalla lontananza). Perfino la nota "deportazione" di malati bolzanini in Germania, avvenuta nel 1940, svela, a ben osservare, le tracce della tradizio nale sintonia: perché, se è vero che Pergine, sotto il tallone del rude governo che aveva deciso quell’infelice ”Transport”, aveva omesso di compier taluni suoi do veri, è anche vero che gli infermieri perginesi avevano le lacrime agli
occhi quando videro partire i ma lati, e le suore perginesi vissero quella partenza con una loro in tensa sofferenza. Sorprendente e antistorico, dun que, negli anni sessanta il rifiuto di Pergine a una rinnovata conven zione. La spiegazione non fu data, allora, ed è difficile ipotizzarla ora. Di certo influì, in qualche mi sura, la natura che Pergine aveva tratto dalle leggi sui manicomi del 1904, entrata in vigore, nel Tren tino, nel 1929 (quella legge, gui data dalle teorie positivistiche ed organiciste, aveva portato l’ospe dale a trasformarsi nella fortezza che tendeva ai suoi due fini: la conservazione e l’isolamento). Ma fu determinante, a mio pa rere, il timore di coloro, i quali, al l’interno dell’ospedale (dopo la co stituzione liberale del 1948 e dopo il progresso straordinario, sul pia no scientifico, della psicologia) percepivano l’equilibrio precario in cui l’ospedale sopravviveva: un quid novi, anche minimo, avrebbe potuto determinarne il crollo. Negli anni settanta Bolzano deci se di costruire un sistema psichia trico proprio: alcuni centri di pre venzione e alcuni luoghi di cura re sidenziale o semiresidenziale, sparsi sul territorio. Propose a Trento, nuovamente, un aggiorna mento della convenzione del 1928, che consentisse di inviare a Pergi ne propri allievi-infermieri, affin ché svolgessero un periodo di ti rocinio in quei padiglioni che ospi tavano malati altoatesini. Successivamente Bolzano avreb be, gradualmente, ritirato quegli
infermieri, divenuti esperti, insie me con i relativi malati, assegnan doli alle varie strutture nuove, che il proprio programma prevedeva. Era un piano non del tutto nuovo, di cui si era parlato già nel 1966, e Trento l'aveva sostenuto ancor più che Bolzano, perché vi aveva visto, per più aspetti, un suo cointeresse. Ma questa volta pervenne un ri fiuto (22 novembre 1972): man mano che l'idea abolizionista si dif fondeva il meccanismo manico miale si chiudeva sempre più a ogni idea di innovazione. Si riteneva, oltre il muro, che il problema della psichiatria in ge nerale, il suo sviluppo nella regio ne, non riguardassero il manico mio regionale: il meccanismo era programmato per una sola funzio ne originaria: la custodia (e quel la cura che la custodia consentis se). È interessante notare che il re gio decreto del 1928, che ho ri
cordato prima, relativo alla ripar tizione patrimoniale fra le due pro vincie, disponeva non solo su Per gine, ma anche sull’Istituto d’as sistenza infantile di Riva: quell’isti tuto veniva suddiviso in due par ti; divenne, dunque, "interprovin ciale" e fu amministrato da Tren to; ma una commissione pariteti ca decideva sui temi più importan ti; e riunioni bilaterali erano in dette, periodicamente, per recipro che informazioni sull’istituto e sul l’assistenza minorile in generale; riunioni svolte sempre in un clima molto amichevole e proficuo. Ciò dimostra che i rapporti, ben diversi, che intercorsero in relazio ne a Pergine, avevano origine solo dalle ideologie psichiatriche, del tutto prive di elasticità, che sta vano alla base delle leggi, di quel le vecchie e di quelle nuove. Ma debbo subito aggiungere che quei due o tre episodi, di cui
Bruno Caruso, Annotazioni nell’album del manicomio, disegni colorati, particolare, 1953-1960. A pagina 112: Bruno Caruso, Manicomio, disegno a china.
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ho parlato ai fini di completezza storica, non intaccano, oggi, il giu dizio che va espresso sull’ospeda le, nel suo complesso, nel suo se colo di vita. Quel palazzo ospedaliero, che, negli studi citati all’inizio, è detto "monumentale", è un monumento alla sofferta storia della medicina psichiatrica, alla sofferenza di tanti malati, ma anche un monumento alla cultura interetnica, all’intesa fra nazioni diverse. E queste cose meritano il nostro rispetto e richiedono il dovere del la nostra memoria.
NOTE [1] Il progetto dell’edificio prin cipale della colonia di Vigal
zano, ospitante i malati, i la boratori e gli stabulari, fu af fidato al celebre architetto perginese Eduino Maoro; e ciò spiega l’eleganza delle linee e la razionalità funzionale di quella costruzione. E dimostra anche l’importanza che Stern bach assegnava all’istituzione ergoterapica.
Giuseppe Pantozzi ha diretto il Dipartimento della sanità e dell’assistenza sociale della Provincia autonoma di Bolzano.
Gli infermieri di Pergine. Cento anni di storia Valerio Fontanari
L’infermiere psichiatrico da “guardiano dei matti” ad operatore sanitario, con specifiche competenze anche nella relazione con il paziente.
Cenni di storia dell’assitenza psichiatrica nel corso del XIX secolo Nella storia della psichiatria si par la poco degli infermieri. Questo ar ticolo si propone di raccontare la storia dell’Ospedale psichiatrico di Pergine attraverso una descrizio ne del lavoro infermieristico. Gli infermieri psichiatrici in pas sato hanno svolto soprattutto fun zioni di servi e di custodi. La prima descrizione esistente parla dei “guar diani dei matti”, come di persone analfabete, ignoranti e brutali, pro venienti dalle classi più basse, temute dai medici e dagli ammalati. Si sa anche che per meglio svol gere funzioni repressive e custodia listiche venivano scelti in base alla loro robusta corporatura. Nel contesto storico del XIX se colo è significativo che, a fianco del la figura di Pinel (che già sul finire del Settecento in Francia tolse le catene ai folli), permanga il ricordo di un sorvegliante eccezionale per l'epoca, Jean Battiste Pussin, precur sore dei principi del trattamento Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
morale dei pazienti e del regime umano nei reparti. Ancora più signi ficativo il fatto che fosse un ex-pa ziente cosicchè meno distante era il rapporto tra paziente e personale d'assistenza. Alla sua morte il suo posto come sorvegliante alla “Salpetriere” ven ne preso dai medici, da Esquirol in particolare, quasi per una riappro priazione di quelle funzioni perico losamente scivolate nelle mani de gli infermieri guardiani, che così ri schiavano di diventare figure di con correnza ai medici. Esquirol teorizzò l'importanza del ruolo di “domestico” per la figura a contatto con il malato: doveva esse re sempre insieme al paziente (in ternato insieme agli alienati), non lasciarli mai soli, non avere forma zione, ubbidire ciecamente al medi co, uomo di fatica e guardia del cor po del medico. In quest'epoca quindi i custodi dei matti erano isolati e molto subalter ni ai medici, e nel contempo molto vicini ai pazienti, insieme ai quali condividevano in negativo molte li mitazioni: come loro avevano l'ob bligo dell'internato come i pazienti e non potevano dormire fuori dalle mura dell'istituto, non potevano spo sarsi, non potevano disporre di sé in maniera autonoma, avevano una di visa che li marchiava. Come in tutte le istituzioni chiuse e totali, ai fini della custodia i guardiani diventa vano a loro volta carcerieri. Tutto questo era evidentemente mantenu to da un sistema gerarchico di pre mi e punizioni. Nello stesso tempo avevano am pio spazio d'azione e possibilità di 113
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rivalsa sui pazienti a loro assegnati: ordinavano a loro piacere ba gni e docciature, immersioni im provvise e violente, rinchiudeva no e incatenavano gli ammalati a capriccio senza farne regolare rap porto, facevano passare per men zognero quel paziente che avesse riferito ai superiori dei maltratta menti subiti, ecc. Questo modello è stato preminen te in tutta l'Europa del XIX secolo. La nascita dell’ospedale psichiatrico di Pergine All’interno dell’impero austrounga rico nacque nel 1882 il manico mio di Pergine, accogliendo circa duecento pazienti provenienti da Hall con un organico di 16 infer mieri che purtroppo non rimase mai stabile. Gli infermieri erano assunti dalla Direzione dell'istituto, e prima della loro assunzione definitiva dovevano superare un periodo di prova di 14 giorni. Dopo dieci anni di servizio potevano licenziarsi e avevano diritto a una pensione minima. Evidentemente molti dei giovani perginesi non sostenevano i ritmi e gli impegni di questa nuova profes sione: infatti, nel 1883 abbandona rono in sei e ne furono assunti altri sette, nel 1884 abbandonarono in nove sostituiti da altri nove, e me diamente nei primi dieci anni il ri cambio fu del 40-50%. Il problema dell’alto tournover infermieristico veniva visto come fenomeno preoc cupante dalla Direzione dell'Ospeda le, che poteva però contare sul con tributo stabile delle infermiere suo re: si trattò di un gruppo di diciotto
unità rimaste continuativamente nel tempo. Non c'era distinzione di compiti tra infermieri maschi e le suore; l'uni co invece che aveva un ruolo diver so e particolarmente di riguardo era il capo infermieri, che ebbe un ruo lo essenziale nell'avvio dell'ospeda le, e fu gratificato con un alloggio privato per lui e la sua famiglia al l'interno dell'ospedale, al pari del Direttore. Il Direttore era ben cosciente de gli effetti che gli infermieri provo cavano sui pazienti, sia in positivo che in negativo, e verificava le atti tudini e la serietà di ogni singolo candidato infermiere, prima della sua assunzione. È riportato anche che era difficile trovare personale all'altezza del compito. Il lavoro degli infermieri era re golato da apposite istruzioni,con compiti essenzialmente di custodia, cura e sicurezza degli ammalati. Ogni paziente veniva affidato a un infermiere che doveva fungere da padre. Per il gruppo di amma lati che aveva in carico, ogni in fermiere doveva curare l'igiene personale, l'alimentazione, il rifa cimento dei letti, la pulizia dell'am biente, l'assunzione dei farmaci, l'osservazione del comportamento e la preparazione per la visita me dica. Era vietata all'infermiere ogni at tività che non fosse l'assistenza di retta al malato. Erano inoltre sorve gliati da una specie di ronda interna formata dagli stessi infermieri, che aveva anche il compito di ispeziona re tutti i locali dell'istituto. Nel dicembre 1882 venne appro
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vato un regolamento di servizio per gli infermieri composto da 56 articoli. In base a tale regolamen to gli infermieri dovevano essere: «creanzati, sobri, costumati, cor tesi, ordinati, puliti, ben pettinati, intelligenti, fedeli, onesti, sin ceri, veritieri». Dovevano: “tolle rarsi a vicenda, stimolarsi l'un l'al tro, trattarsi con urbanità, affida bilità e benevolenza, riferire ai Superiori le contravvenzioni com messe dai colleghi, provvedere alla propria pulizia corporale, lavorare insieme agli ammalati, procedere con economia, considerare l'Isti tuto come una grande famiglia, andare d'accordo e cooperare”. Dovevano inoltre rispettare gli ammalati, trattarli con riguardo, pa zienza e benevolenza anche se erano scortesi, violenti o impulsivi, dimo strare cortesia, non deriderli né chia marli pazzi, matti, ecc. Veniva inol tre specificato di non dare del «tu» ai pazienti; di cercare “con tutta bon tà di far cadere il discorso quando il paziente esponeva le sue idee false o deliranti”; di non intervenire con la camicia di forza senza il parere del medico di sorveglianza; veniva no inoltre proibiti e puniti interven ti aggressivi o punizioni basate sul privare l'ammalato di cibo o di ta bacco. Veniva imposto il segreto pro fessionale e veniva raccomandato l'ascolto del paziente per poi riferi re al medico. Si tratta di un regolamento molto dettagliato, che definisce accurata mente le mansioni degli infermieri: se ne può dedurre che il loro ruolo era privo di autonomia, e che essi erano gli intermediari tra pazien
te e medico; si nota anche che, a fianco dello specifico e necessario ruolo di sorveglianza, si comincia vano a intravedere e incoraggiare elementi per un corretto e positi vo rapporto umano fra infermiere e paziente. Nei primi anni del secolo XX si procedette in questa direzione, con ulteriori norme interne e regolamenti che favorivano la dimissione e la ria bilitazione dei pazienti. Il passaggio di Pergine dalla giurisdizione austriaca alla giurisdizione italiana Nel 1904 in Italia fu approvata la “Legge sui manicomi e gli alienati”, completata da un Regolamento del 1909: questa legge rappresenta il primo tentativo italiano di regolare l'accesso al manicomio e le condi zioni di vita all'interno. A parte al cuni aspetti sulla formazione, la legge non portare novità per quan to riguarda gli infermieri. Anche dopo questa legge, infatti, il tipo di lavoro richiesto era poco diverso da quello del personale di servizio domestico: lavoro permanen te con pochi giorni di riposo al mese; alloggio sul posto di lavoro, in ca mere come quelle dei pazienti o ad dirittura nelle stesse camerate; pa ghe minime; ancora nel 1934 chi si sposava veniva licenziato. Era compito degli infermieri far rispettare le rigide regole istituzio nali, controllare e contenere i com portamenti disturbati dei pazienti; le funzioni di assistenza erano desti nate soprattutto a evitare che i pa zienti disturbassero i medici. Il rapporto medico/infermiere
A pag. 115: Bruno Caruso, Clochard, disegno acquarellato, 1998, particolare.
era basato soprattutto sull'autori tà gerarchica: il medico ordinava e l'infermiere doveva eseguire sen za discutere. La stessa autorità ca ratterizzava il rapporto tra infer miere e paziente, tranne alcuni casi legati all'iniziativa personale. L'Ospedale psichiatrico di Pergine era nel territorio dell'Impero au stroungarico, e beneficiava di leggi e regolamenti più avanzati rispetto alle leggi ialiane. Nel 1935 circa, diciasette anni dopo la guerra, si completò l'italia nizzazione dell'Ospedale psichiatri co e caddero definitivamente i re golamenti austriaci: per la qualità dell’assitenza e per la categoria in fermieristica fu un salto indietro. Nel 1940 i familiari dei pazienti ricoverati dovettero dichiarare la loro madrelingua di appartenenza e quelli che optarono per la lingua tedesca furono deportati in Germania. Gli infermieri, che acompagnarono i pa zienti con una tradotta partita da Pergine, raccontano che all’arrivo a destinazione in Germania, i pazienti furono ospitati in un caseggiato e gli infermieri in un locale attiguo. Durante la notte si sentivano dei la menti e si potevano riconoscere i sin goli pazienti dalle loro grida: poi non si sentì più niente. Al mattino suc cessivo quando gli infermieri ripar tirono per il ritorno a Pergine, si ac corsero che il gruppo di pazienti era ridotto a meno della metà. Dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni sessanta Le terapie Le terapie più antiche consistevano
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in bagni caldi alternati a freddi, o avvolgimenti in lenzuola bagnate, contenimento fisico mediante cami cia di forza, nastri ai polsi e alle ca viglie, o corsetti, isolamento in cel le, nelle quali il pagliericcio per dor mire veniva cambiato una volta alla settimana. Il pagliericcio era com posto da un’alga marina essicata che aveva la caratteristica di polverizzar si, e quindi era una sostanza adatta per prevenire il tentativo di suici dio. L'infermiere, nel caso dell'isola mento, doveva controllare ogni quar to d'ora il paziente, attraverso un apposito spioncino posto sulla por ta della cella. In situazioni di violenza improv visa del paziente, gli infermieri do vevano bloccarlo con la forza, per poi fissarlo al letto. Molte volte si interveniva con la modalità del «co macio», che consisteva nel buttare un lenzuolo sulla testa del paziente, in modo da coprire faccia e collo, cogliendolo di sorpresa da dietro. Le estremità del lenzuolo, tenute in mano dagli infermieri, venivano ve locemente arrotolate in modo da for mare un cappio intorno al collo che veniva stretto a comprimere le giu gulari finchè il paziente sveniva. Gli ammalati dormivano nudi e l'infermiere doveva controllare tut te le sere il vestiario, per escludere la presenza di corpi contundenti. Porte, finestre, luce e acqua erano chiuse a chiave e l'infermiere ne era il responsabile. Le posate, le forbici e altro materiale di ferro o di vetro veniva contato scrupolosamente a ogni cambio di turno e, se risultava mancante anche di una sola unità, 117
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si doveva rovistare e mandare al l'aria il reparto finché non veniva trovato l'oggetto smarrito. Fino all’inizio degli anni sessanta gli infermieri prestavano assistenza alle nuove terapie convulsivanti: malario-terapia, insulino-terapia ed elettroschok. La malario-terapia, che è la più antica tra le terapie, si basava sul creare al paziente degli stati febbri li molto alti, intervallati a periodi di febbre bassa, allo scopo di creare spossatezza e quindi sedazione. Il plasmodio della malaria viene tra smesso dalla zanzara anofele, presen te nelle zone molto calde, ma anche l’uomo è un terreno fertile di coltu ra per tenerlo vivo. Quando non c’era no trattamenti terapeutici da fare, ma occorreva tener in vita il plasmo dio, questo veniva inoculato su pa zienti scelti a scopo punitivo. L’insulino-terapia (scoperta nel 1932) procurava un effetto convul sivante attraverso uno squilibrio metabolico ottenuto mediante l’inie zione per via endovenosa di alte dosi di insulina. Veniva provocata una crisi ipoglicemica, con movimenti tonico-clonici, che si doveva neutra lizzare con perfusione venosa di glu cosio. Ogni ciclo di trattamento, con un “coma” al giorno, variava da ven ti a quaranta giorni e comportava un notevole aumento ponderale del pa ziente. La stanza adibita a questo tratta mento (“camerone”) aveva dodici letti e quando i pazienti incomincia vano ad entrare in coma, si doveva intervenire a iniettare il glucosio a rotazione su tutti in rapida succes sione. Il lavoro veniva svolto da due
infermieri, di cui uno teneva il braccio del paziente che presenta va le contrazioni, e l’altro “spara va” in vena il flacone di glucosio. Si trattava di un intervento infer mieristico molto faticoso fisica mente e di grave responsabilità per la sopravvivenza del paziente. L’elettroschock (scoperto nel 1938 da Cerletti) consiste in una scarica elettrica di un particolare voltaggio allo scopo di scatenare nel paziente convulsioni tonico-cloniche. In cer te cliniche viene riconosciuto ancor oggi come un intervento terapeuti co valido e viene eseguito sul pa ziente in anestesia totale. A Pergine si è praticato fino alla metà degli anni settanta, con il paziente vigile perché non esisteva un servizio di anestesia. Inoltre veniva praticato nei corridoi, sotto gli occhi degli altri pazienti. L’assistenza avveniva con quattro infermieri che blocca vano il paziente appoggiandosi con tutto il peso del proprio corpo sui quattro arti e rispettive articolazio ni del paziente stesso. Al paziente veniva messa una fascia arrotolata fra i denti, per prevenire il morso della lingua. Durante la scarica elet trica, il corpo del paziente si irrigi diva e faceva un salto di 15/20 cen timetri circa, potendo alzare da ter ra tutti e quattro gli infermieri. Que sto trattamento poteva procurare fratture e lussazioni al paziente. L'uso degli psicofarmaci, succes sivo agli anni cinquanta, ha rappre sentato un cambiamento radicale, sia perché essendoci delle “medicine”, la psichiatria si avvicinava alle altre specialità mediche, sia perché la se dazione dei pazienti permetteva di
versi interventi assistenziali. Si comincia a parlare di «cure morali» per intendere un insieme di attenzioni umanitarie che venivano prestate agli ammalati, nella convin zione che un clima più umano aves se ripercussioni positive sulla salu te mentale degli alienati. All’interno dell’Ospedale veniva proiettato un film alla settimana, venivano organizzate delle gite di reparto, a fine anno veniva organiz zato il ballo per i pazienti nel teatro con musica e allegria sia per i pa zienti che per il personale. L’Ospedale psichiatrico di Pergi ne alla fine degli anni sessanta ospitava circa duemila pazienti. Come tutte le istituzioni totali ave va un regime autarchico, cioè do veva provvedere a tutte le neces sità della vita quotidiana. All’inter no dell’Ospedale c’era quindi un forno per il pane, una lavanderia, un laboratorio tessile che produ
ceva la tela per tutte le necessità, un materassaio, il calzolaio, la fa legnameria, ecc., dove lavoravano pazienti sorvegliati da infermieri, e operai. Il fatto di appartenere a queste squadre di lavoro consen tiva agli infermieri di imparare mestieri artigianali. A due chilometri dall’Ospedale si trovava la colonia agricola “La Co sta”. La colonia rappresentava un’azienda agricola e zootecnica, molto avanzata rispetto alle aziende dell’epoca, destinata a produrre il fabbisogno alimentare di tutto il complesso ospedaliero, pazienti e operatori. Serviva inoltre come stru mento di “ergoterapia” per i pa zienti che stavano meglio, prima del loro eventuale re-inserimento in famiglia. Alcuni infermieri in servizio presso la colonia erano deputati, oltre che all’assistenza dei pazienti, al lavoro di agricol tura e di allevamento del bestia-
Ex Ospedale Psichiatrico di Pergine Valsugana, interno.
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me, insieme ai pazienti. Nella Colonia c’era anche il ma cello, da cui poi le mezzene degli animali venivano portate nella ma celleria dell’ospedale, situata presso le cucine. La gestione doveva essere piuttosto allegra perché si racconta che arrivavano due mezzene dello stesso animale con due code o sen za coda addirittura, e non si giusti ficava come potevano appartenere ad un solo animale. Era abitudine conclamata fino a metà degli anni settanta che le colf dei medici dell’Ospedale psichiatri co si recassero il sabato mattina alla macelleria dell’ospedale per fornirsi dei migliori tagli di carne. In gene rale anche alcuni infermieri poteva no trarre vantaggio da un sistema di favoritismi e benefici nella gestione dei beni dell’Ospedale. L’”ergoterapia” prevedeva inoltre la partecipazione dei pazienti a squa
dre interne, per lavori all’interno dei reparti, e a squadre esterne per lavori in campagna e nei parchi. Per i pazienti, essere inseriti nell’”ergoterapia” era più gratificante che stare rinchiusi in reparto, per ché percepivano un minimo salario (all’inizio degli anni settanta, rispet tivamente cento lire per le squadre interne e duecento lire per quelle esterne), e perché avevano qual che privilegio di autonomia che sfociava anche in piccoli spazi di potere. Come in tutte le istituzioni chiuse, gli spazi di potere all’inter no dell’istituzione erano creati sia da gruppi di pazienti che da grup pi di operatori. Caratteristiche contrattuali del lavoro infermieristico Fino alla prima metà degli anni ses santa, il Direttore aveva ancora po tere assoluto su tutto, e poteva li cenziare o assumere a suo piacimen to. Prima dell'assunzione definitiva, il personale infermieristico veniva assunto per periodi iniziali di 15 giorni e poi di due mesi, con suc cessivi licenziamenti per periodi più o meno lunghi a seconda delle esi genze della direzione. Non potevano essere assunti i co siddetti “casi doppi”, cioè poteva es sere occupata una sola persona per ogni nucleo familiare. La motiva zione di questa regola va cercata nei bisogni della comunità locale perginese, che viveva l'ospedale non tanto come struttura di cura per i pazienti psichiatrici, quanto come importante e sicura risorsa occupazionale, e pretendeva un'equa distribuzione fra tutte le
famiglie di quei posti di lavoro privilegiati rispetto alle altre atti vità lavorative, prevalentemente agricole. I turni di lavoro erano di una set timana di servizio e una di riposo, fino al 1945 circa, poi, fino al 1963, di 24 ore di servizio e 24 di riposo, con quindici giorni di ferie all'an no. Nel turno delle 24 ore tutto il personale del reparto lavorava dalle 7,15 alle 20, alle 20 il turno si divideva in due gruppi che fa cevano la prima e la seconda ve glia. Quelli della prima veglia con tinuavano fino all’una di notte, e quelli della seconda veglia lavora vano dall’una alle 7,15 del matti no, finché arrivava il cambio. Men tre era di turno il gruppo della prima veglia, il gruppo della se conda veglia poteva dormire, e vi ceversa. Dormivano comunque nel piano soprastante al reparto, pronti a intervenire immediata mente in caso di urgenza. La divisa per gli uomini consi steva in un lungo camice a righine, cravatta, cappello e mazzo di chiavi alla cinta; per le donne, una divisa quasi monacale con vesta glia e cuffia bianche. La carriera prevedeva quattro tap pe: infermiere di terza classe; infer miere di seconda classe; infermiere scelto; capo sala. Dopo la nomina a capo sala si poteva anche aspirare alla nomina di vice ispettore fino al vertice massimo di ispettore. Il passaggio veniva definito attraver so le note di qualifica (insufficien te, sufficiente, buono, distinto, ottimo) che il medico responsabi le del reparto attribuiva annual Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
mente ad ogni infermiere. Questo giudizio veniva ricavato dalle ri sposte a domande tipo: puntuale, non puntuale, puntualissimo, e, con la stessa declinazione, veloce, cordiale, ubbidiente, ecc. Questo sistema (mantenuto fino al 1978) era evidentemente in fluenzato da personalismi e clien telismi, e testimonia l'ampia discre zionalità dei medici sulla carriera infermieristica. Gli anni settanta: i movimenti di deistituzionalizzazione Dalla metà degli anni sessanta in poi, attraverso la pratica della psi cofarmacologia e sotto l'influsso di contributi scientifici, culturali e sociali che caratterizzarono quel periodo fecondo, fu possibile il superamento degli ospedali psi chiatrici, che può essere circoscrit to tra la legge del 1968 e quella del 1978, la rivoluzionaria 180. Questo processo si concluse nel lo stesso anno 1978 con la legge di riforma sanitaria 833: la psichia tria entrava a tutti gli effetti nel Sistema sanitario nazionale. I grossi fermenti innovativi nella psichiatria arrivarono dopo gli anni sessanta, sotto l'influsso della espe rienza francese del settore, e di una cultura sociale ed antipsichiatrica che assunse in Italia una rilevanza particolare come movimento antiistituzionale. Nel momento in cui si mettevano in crisi i principi dell'”istituzione totale” e dell’assistenza repressiva ed emarginante, si cominciarono a met tere in luce le potenzialità e le con traddizioni della categoria infer 121
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mieristica che, all'interno del ma nicomio, era collocata su un gra dino appena superiore a quella dei pazienti. Erano i primi momenti storici in cui si cominciava a parlare di “equi pe”. Significativo è, un articolo del 1968 di Pancheri, che per la prima volta dà una definizione totalmen te nuova del ruolo dell'infermiere psichiatrico, distinguendone tre compiti: tecnico, umano, sociale, a loro volta così articolati: - compiti tecnici: cure personali ai malati; assistenza prima, durante e dopo elettroshok e insulinote rapia; preparazione dello strumen tario e assistenza al medico du rante narcoanalisi, lombare, ecc.; somministrazione di farmaci; - compiti umani: scelta dell'atteg giamento terapeutico, aiutare il malato nell'accettare le terapie, migliorare le relazioni interperso nali del malato, osservare il com portamento del paziente; - compiti sociali: sorvegliare il la voro collettivo in ergoterapia, sor vegliare gli svaghi. Si trattava cioè di funzioni che con cernevano il malato direttamente (funzioni tecniche di base e specia listiche), ed indirettamente (organiz zazione dell'ambiente terapeutico e supervisione del personale di assi stenza non specialistico). La legge 431 del 1968 (la cosid detta “legge Mariotti”) istituisce la possibilità del ricovero volontario e dell’ attività extraospedaliera. Si in comincia anche in Trentino ad usci re dal manicomio; nascono i dispen sari di igiene mentale sul territorio,
che consistevano in ambulatori fun zionanti per qualche mezza giornata alla settimana. L’attività territoriale era svolta dai medici dell’Ospedale con l’assistenza di qualche infermiere di Pergine e successivamente con le assistenti sanitarie. Gli infermieri, che erano infermieri generici psi chiatrici, potevano lavorare solamen te in psichiatria. Dal 1972 (anno della mitica espe rienza di Gorizia) al 1978 (anno del la legge 180), le esperienze di aper tura degli ospedali psichiatrici si moltiplicano su tutto il territorio nazionale, ma il manicomio di Per gine non era ancora pronto. Si pensi che in quel periodo ven ne istituito un servizio di infermieri «guardia parchi» per controllare il traffico di alcolici attraverso la rete di recinzione dell’ospedale e per con trollare eventuali incontri fra cop piette di pazienti nel vasto parco dell’ospedale. Il gruppo era compo sto di otto infermieri che avevano ognuno il proprio territorio da con trollare. Questo è un esempio di come si era lontani dalle ideologie di liberalizzazione del paziente psi chiatrico, ma mostra anche come al l’interno dell’Ospedale fosse permes sa una certa libertà di movimento. Nel 1974 furono inseriti i tiroci nanti psicologi, provenienti dalla Facoltà di psicologia di Padova, che, insieme a un folto gruppo di psichia tri giovani, hanno dato una grossa spinta alla deistituzionalizzazione e all’apertura verso l’esterno dell’Ospe dale psichiatrico di Pergine. Si co minciava a respirare un forte clima innovativo. Nel clima di innovazione che si
Ex Ospedale Psichiatrico di Pergine Valsugana.
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stava sviluppando, si è attivato an che un gruppo di circa trenta infer mieri, stimolati dal Direttore, che sono anche andati in visita a Trieste e hanno avuto un incontro di con fronto con il professor Basaglia. Que sto gruppo di infermieri ha costitui to un nucleo di operatori più moti vati a proporre un cambiamento isti tuzionale, che si è poi concluso nel maggio del 1978, quando sono usciti dall’Ospedale psichiatrico per aprire i servizi ospedalieri sul territorio. La maggioranza del personale in fermieristico però era abbastanza contraria all’uscita lavorativa sul ter ritorio, per paura del cambiamento da una parte e per il rischio di per dere il lavoro vicino a casa dall’al tra. Nal 1973 nasceva il giornalino in terno “All’ombra del Tegaz” redatto da un gruppo di pazienti coordinati da due infermieri e da una assisten te sanitaria, ma questa esperienza, che dava voce per la prima volta ai pazienti, si esauriva nel 1975 circa. Nel 1975 veniva aperto un servi zio riabilitativo chiamato «Tempo Libero». In questo spazio i pazienti avevano la possibilità di esercita re attività espressive mediante la manipolazione di materiali e attra verso il disegno e la pittura. Nel 1975 ci fu anche il primo soggiorno al mare di due gruppi di venticinque pazienti, accompa gnati da sei operatori per ogni gruppo. L’esperienza si è dimostra ta molto valida, tanto è vero che si è sempre ripetuta anche negli anni successivi. Per coinvolgere la cittadinanza di Pergine nella realtà di un ospedale
psichiatrico in via di trasformazio ne, si organizzarono alcune manife stazioni, come il passaggio del cor teo carnevalesco nei parchi del l’Ospedale, concerti bandistici, spet tacoli di filodrammatiche, mostre ecc. A poco a poco la cittadinanza di Pergine ha conosciuto la realtà del l’Ospedale psichiatrico e i pazienti hanno incominciato ad uscire nel la città, prima accompagnati, e poi anche da soli. Nel 1977 venne organizzato dal “Tempo Libero”, all’interno del pro gramma carnevalesco, una messa in scena del “bruciare il manicomio”. Su un enorme mucchio di neve da vanti alle cucine furono disposti i padiglioni dell’ospedale, ricavati da scatoloni dipinti, che i pazienti con gli infermieri del “Tempo Li 123
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bero” bruciarono in segno di dei stituzionalizzazione e di apertura. Come segno di conservazione e di mantenimento, invece, gli infer mieri dei reparti accorrevano con gli estintori. Il conflitto, inscenato nel clima carnevalesco, ha avuto comunque ripercussioni anche nella vita lavo rativa quotidiana, aumentando la tensione e lo scontro tra operatori innovativi e conservatori. Il nuovo regolamento per il personale di assistenza La Provincia autonoma di Trento nel 1977 elaborò il “Regolamento speciale per il Servizio di salute mentale”, che è rimasto in vigore fine alla metà degli anni novanta. Per il personale infermieristico il regolamentro individuava le se guenti fasce di carriera: ispettore, viceispettori, caposala e infermie ri. Nell'art. 42 vengono elencate le mansioni degli infermieri: - eseguono la terapia indicata dai medici; - prestano l'assistenza negli esami clinici e terapie speciali; - svolgono azioni di pronto soc corso infermieristico; - osservano il comportamento del disturbato mentale racco gliendo le notizie sui rapporti familiari e ambientali; - svolgono compiti generali di as sistenza e di intervento ai fini di un buon andamento del reparto per quanto riguarda sia gli aspetti igienici che gli aspetti personali e sociali, con partico lare riferimento alle attività psi
coterapiche individuali e di gruppo; - contribuiscono ad attuare e svi luppare, unitamente agli altri ope ratori, ogni iniziativa rivolta al mi glioramento delle condizioni di vita e di graduale recupero sociale del disturbato mentale, sia nell'ospedale che nell'ambiente. Stava ormai avvenendo un grosso cambiamento nel modo di conside rare l'infermiere psichiatrico: non più solo custode, non più braccio de stro del medico soltanto, ma ope ratore con competenza propria e specifica nella relazione con il pa ziente. Negli anni settanta, periodo di grandi profonde trasformazioni isti tuzionali, gli infermieri psichiatrici hanno comunque vissuto una grave crisi di identità e di ruolo e sono stati spesso al centro della conflit tualità istituzionale. A volte sono stati mitizzati come strumenti fondamentali per un nuo vo agire psichiatrico, altre volte al contrario sono stati visti come le forze conservatrici e omeostatiche che si opponevano alla ”rivoluzio ne” psichiatrica. Sicuramente gli infermieri psi chiatrici hanno vissuto intensa mente sia gli entusiasmi di un la voro nuovo che le incertezze di cambiamenti non prevedibili; a volte sono stati artefici di situa zioni di assistenza più avanzate e creative, a volte si sono arroccati su funzioni di custodia più repres siva. La legge 180 del 1978: la separazione tra servizi
di salute mentale e Ospedale psichiatrico La legge 180 prevedeva che ogni Unità sanitaria locale dovesse garan tire nei nuovi servizi il proprio per sonale infermieristico. In realtà, sul territorio provinciale, il servizio di assistenza nei Servizi ospedalieri isti tuiti a Borgo, a Trento, a Mezzolom bardo e a Arco, fu espletato, al l’inizio, dal personale che prove niva dall'Ospedale psichiatrico, con la conseguenza che le figure infermieristiche più motivate si sono proiettate sui servizi territo riali a scapito dei pazienti che ri manevano ricoverati in manicomio. In questo modo si trovarono per la prima volta a lavorare fian co a fianco negli ospedali di zona infermieri psichiatrici e professio nali, con contratti, funzioni e re tribuzioni diverse, che si omoge neizzarono nel 1882 con il passag gio del personale infermieristico di Pergine dalla Provincia alle unità sanitarie locali. Gli infermieri psichiatrici di Per gine restarono sempre legati alla Unità sanitaria locale C 4, ed erano parzialmente prestati alle altre Uni tà sanitarie locali; nel 1987 rien trarono tutti in Ospedale psichia trico, mentre nei servizi ospedalieri venivano inseriti infermieri profes sionali e non, senza precedenti esperienze psichiatriche. Mentre i Servizi di salute men tale territoriali crescono e si dota no di nuove strutture per rispon dere ai bisogni della popolazione, l’Ospedale psichiatrico, detto “re siduo manicomiale”, rimane in at tesa di un progetto di «riconver Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
sione» che solo nel 2003 inizierà la sua attuazione. La formazione degli infermieri A conclusione di questa breve ras segna storica sembra utile accenna re alla formazione degli infermieri. La legge italiana del 1904 preve deva che in ogni ospedale psichia trico dovevano essere attivati corsi per la specifica preparazione teori co-pratica degli infermieri. Tuttavia, lo scarso interesse culturale e socia le, l'organizzazione del lavoro, il sa pere medico, la volontà politica stes sa di inserire una classe infermie ristica poco preparata cultural mente, sono stati un freno all'or ganizzazione di questi corsi. Anche dal punto di vista istitu zionale, questi corsi con esami fina li, erano della durata più varia, a partire da un anno a tre mesi (cor si minimi per un totale di cento venti ore), secondo il fabbisogno del momento di infermieri. Si pensi che a Pergine nel 1970 fu fatto un corso serale di due ore per cinque giorni la settimana che durò tre mesi. Dal 1976 la formazione infermie ristica prevede solo le scuole regio nali per infermiere professionale, e quindi non vengono più istituiti corsi per infermieri psichiatrici e generici. Dal 1994 pende avvio di concerto fra il Ministero della Sanità e il Mi nistero dell’Uuniversità, un percor so universitario di preparazione alla professione infermieristica, che viene ad assumere un'imposta zione scientifica specifica. Dall'anno scorso, come era pre 125
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visto dai profili professionali del 1994, è stato attivato in alcune università un master post-laurea per infermieri in assitenza al pa ziente psichiatrico. Questa figura in provincia di Trento era già stata prevista, attraverso un corso di
specializzazione attuato una volta nel 1987 e poi nel 1997, che ha formato circa cinquanta infermie ri. Una nuova figura professionale, che si sta inserendo nei servizi di salute mentale e che affianca l’in
Bruno Caruso, Contro l’uso della camicia di forza negli ospedali psichiatrici.
fermiere, è il terapista della riabi litazione psichiatrica. Anche que sto professionista ha una forma zione di tipo universitario con particolare preparazione nel settore della riabilitazione. Anche il Servizio di salute mentale di Pergine si avvale di questi professionisti. L’istituzione di questi nuovi corsi di laurea evidenzia come all’infer miere che lavora in psichiatria non sia più richiesto solo… una corpo ratura robusta, ma una formazione accurata e specialistica.
tedesco, ma anche quello di altri paesi europei. In tal senso si è re gistrato negli ultimi due decenni un crescente interesse storiogra fico nei confronti di questi temi di cui sono testimonianza, solo a ti tolo esemplificativo, i testi di CALAMANDREI 1983, DONAHUE 1991 e SIRONI 1991.
NOTE Molti particolari raccontati nell’ar ticolo derivano dalla mia esperien za di infermiere a Pergine dal 1970 e da quella di Silvia Lorenzini, mia madre, infermiera a Pergine dal 1936 al 1973. Ho inoltre utilizza to i seguenti testi: BASAGLIA 1968, DE GIROLAMO – CAPPIELLO 1985, GOFFMANN 1968, MARZI – BOLO GNANI 1987, PANCHERI 1969, PANTOZZI 1989, SCHWING 1988 e ZANI – RAVENNA – NICOLI 1984. Evidentemente il presente contri buto non ha la pretesa di affron tare il tema della storia del ruolo dell'infermiere psichiatrico in tut te le sue componenti, ma solo di offrire alcuni spunti di lettura re lativamente alla vicenda di una funzione all'interno del manicomio di Pergine Valsugana. Uno studio più approfondito non può prescindere in alcun modo da una più ampia visione del feno mento che prenda in considerazio ne non solo il contesto italiano o Provincia Autonoma di Trento Punto Omega n. 12/13
Valerio Fontanari è I.P. specializzato in assistenza psichiatrica - Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e professore a contratto del Corso di laurea tecnico della riabilitazione psichiatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Verona. 127
SCHEDA 1
Il riuso organico dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana Proposte per un piano tra politica culturale e imprenditorialità
La riflessione sviluppata nel corso degli anni dal gruppo di lavoro che ha seguito il progetto “Alla ricerca delle menti perdu te”, e della quale gli studi ospitati in que sto numero della rivista offrono parziale testimonianza, ha permesso di elaborare un articolato piano al quale affidare il rag giungimento dell'obiettivo di un riuso or ganico dell'ex ospedale psichiatrico di Per gine Valsugana. In questa sede si presenta l'articolazio ne di questo itinerario, in forma di sem plice scheda, proponendola come una sor ta di promemoria dei diversi passaggi sui quali il gruppo stesso ritiene sia opportu no insistere per recuperare concretamen te ad un fine di utilità pubblica quanto è stato individuato nel corso della ricerca e, in alcuni casi, trasferito anche in precisi progetti. 1. I settori di intervento 1. Il “Contenitore” fisico, alias recupero del parco; 2. La memoria; 2.1 Allestimento di una casa della me moria; 2.2 Valorizzazione dell'archivio storico ai fini della conservazione e fruizione con attenzione anche per l'importante biblioteca scientifica a corredo. 2. Alcune prospettive di attività derivanti dalla memoria (cartacea e orale) 1. Psichiatria perginese tra Austria e Ita lia (la psichiatria transnazionale come mar catore forte); 1.1 I medici; 1.2 Gli infermieri; 128
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1.3 Le suore e i cappellani; 2. Analisi sociale dell’utenza; 3. Topografia dell’utenza; 4. Storia dell’edilizia manicomiale; 5. Storia delle colonie agricole (ergotera pia e scelte virtuose); 6. Operazione T4 (crimini nazisti contro i malati psichici e i disabili); 7. La fine dell’”istituzione totale”. 3. Attività innovative nel quadro di un coe rente riuso 1. Corsi di terapia ortoculturale; 2. Creazione di un “cybercafe” nel parco, aperto ad interni ed esterni; 3. La cultura nella/della follia (mostre di pittura, musicoterapia transculturale, at tività artistiche collegate a manifestazio ni a carattere permanente). 4. Enti collaborativi potenziali 1. Comune di Pergine; 2. Associazione nazionale archivisti-sezio ne Trentino-Alto Adige; 3. Azienda Provinciale per i Servizi Sanita ri; 4. Istituto agrario di S. Michele all'Adige; 5. Museo storico in Trento; 6. Provincia autonoma di Trento; 7. Università degli studi di Trento; 8. Associazioni di familiari dei “malati psi chiatrici”.
Gruppo di lavoro: Roberta Arcaini, Casimira Grandi, Anita Pasqualetti, Vincenzo Adorno, Paolo Botteon, Rodolfo Taiani, Gian Piero Sciocchetti, Ermanno Arreghini, Carmelo Anderle
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SCHEDA 2
Bibliografia
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