Ricerca Applicata, Applicazioni Della Ricerca (2003)

  • May 2020
  • PDF

This document was uploaded by user and they confirmed that they have the permission to share it. If you are author or own the copyright of this book, please report to us by using this DMCA report form. Report DMCA


Overview

Download & View Ricerca Applicata, Applicazioni Della Ricerca (2003) as PDF for free.

More details

  • Words: 1,523
  • Pages: 8
Politiche sociali e sviluppo locale Percorsi di ricerca

Scritti di: Natalie Benelli, Nico Bortoletto, Folco Cimagalli, Emilio Cocco, Germana D’Ottavio, Everardo Minardi, Gian Luca Piscitelli, Daniela Rinaldi, Salvatore Rizza, Roberto Veraldi

L’edizione del testo è stata curata da Nico Bortoletto

4. Ricerca applicata, applicazioni della ricerca di Agnese Vardanega

La ricerca applicata in Italia non ha mai avuto grande sostegno da parte del mondo accademico: per meglio dire, non c’è mai stata nelle università italiane l’abitudine a formare professionisti della ricerca applicata. Le ragioni di tale dato di fatto sono numerose, e non tutte ascrivibili alla chiusura dell’accademia nei confronti della società civile e del mondo economico. Il nostro tessuto produttivo è in larga parte ancorato a modalità “tradizionali” di produzione e commercializzazione dei prodotti, e solo da pochi anni avverte la necessità di rinnovarsi, attraverso l’innovazione organizzativa (tecnologica e sociale), la formazione continua e la costituzione di rapporti non solo estemporanei con le università. Il nostro welfare state, al di là della crisi oramai inarrestabile che attraversa, non è mai stato paragonabile – per modalità organizzative – a quello del Regno Unito o dei paesi Scandinavi: lì ricerche preparatorie, individuazione di fabbisogni e valutazione degli interventi (policy analysis), qui interventi centralizzati, leggi, burocrazia e poca attitudine alla rendicontazione e valutazione dei risultati raggiunti. Il mercato dei professionisti in ricerca applicata, così come quello degli operatori sociali, in questo contesto, non ha mai avuto dimensioni consistenti. Da parte sua, il mondo accademico è sempre stato coinvolto in attività a carattere applicativo, eventualmente necessarie a supportare, confortare, legittimare le scelte politiche o le scelte imprenditoriali. Ma chi fa ricerca applicata solitamente non dedica molto tempo ad insegnare

ricerca applicata, né a “scrivere”, pubblicare articoli e libri di testo, contribuendo così al costituirsi di una tradizione accademica in grado di avviare il “ciclo riproduttivo”: professionisti che formano professionisti, e giovani professionisti che crescono. Da qualche tempo a questa parte, mi pare che le cose stiano cambiando: pubblicazioni significative sono state ad esempio tratte delle esperienze di formazione che le Università hanno condotto per i dirigenti scolastici, o per la dirigenza pubblica, a seguito delle riforme. Dopo la riforma universitaria sono nati diversi corsi di laurea in sociologia applicata. Questo dottorato di ricerca in Sviluppo locale e politiche sociali, come altri sorti in Italia negli ultimi anni, mi pare possa rappresentare un piccolo contributo della nostra piccola comunità accademica a che la ricerca applicata abbia anche in Italia una sua tradizione. La ricerca applicata allo sviluppo locale necessita senz’altro di una solida formazione accademica: richiede infatti conoscenze di vario tipo, capacità di far convergere gli apporti di tante discipline, informazioni di diversa natura, metodi diversi, a problemi concreti, a progetti di sviluppo, ad interventi di natura sociale. Ed un ruolo particolare può avere in tale contesto la riflessione metodologica, sui metodi cioè di raccolta, analisi ed utilizzo delle informazioni necessarie a costruire progetti, valutare interventi, individuare nuovi fabbisogni formativi, a risolvere problemi “in loco”. La ricerca applicata è chiamata a risolvere piccoli o grandi problemi concreti in tempi brevi; si sa invece che i metodologi, come Talete, si distraggono a guardare le stelle e non si accorgono delle fosse sotto i loro piedi, e come la pratica pastorella prende in giro il filosofo caduto ed infangato, così il sociologo applicato si volge alacre al suo lavoro, e lascia il metodologo alle sue riflessioni, spesso inutili, talora dannose, sempre noiose e senz’altro una perdita di tempo. Lo scherzoso aneddoto calza proprio bene: il metodologo, come Talete, ricerca l’arché, il principio guida, e si cura poco delle conseguenze pratiche (al limite si cura poco di fare ricerca). La fossa è “accidente”, ciò che conta è la logica, il rispetto delle regole, i principi metodologici. Ma forse le cose non stanno proprio così. Non voglio dire che io non guardi le stelle, che anzi non nascondo essere il mio passatempo preferito. Né che io non cada nei fossi (nel caso della ricerca empirica: gli errori più “banali” ed “ovvi”), che sono sempre sotto i nostri piedi a

40

ricordarci che l’accidente non sarà necessario, ma c’è. Voglio invece dire che fermarsi ogni tanto a riflettere serve a mettere a frutto il lavoro svolto, a non arrugginirsi e a progredire. Del resto, Stouffer, impegnato nella ricerca sull’American Soldier per l’esercito americano, riuscì comunque a fare “ricerca di base”, e lasciarci qualcosa che va certo al di là della semplice risposta pratica ad un problema pratico (“quando riuscivo a fare il 10% di ricerca di base, potevo considerarmi felice” diceva). Con questo luminoso esempio davanti, proviamo a pensare a quali possano essere le competenze metodologiche necessarie ad occuparsi di “sviluppo locale”. L’operatore sociale, il laureato di primo livello, dovrà senz’altro saper leggere i dati prodotti da altri: conoscere le fonti statistiche nazionali ed internazionali, orientarsi nei repertori degli indicatori, saper fare una buona ricerca bibliografica, saper leggere le ricerche empiriche prodotte da studiosi accademici. A tale scopo, dovrà saper rispondere a domande quali: - qual è l’oggetto di questa ricerca?  è il mio stesso oggetto? - quali sono le ipotesi, le domande guida?  mi servono a definire il mio problema? - qual è l’ambito territoriale?  è comparabile con il mio ambito territoriale? - che tipo di campione è stato utilizzato?  i risultati possono essermi utili? - che tipo di informazioni posso trarre?  in che modo posso usarle? - come sono state elaborate le informazioni?  posso rielaborarle? Competenze avanzate sono invece richieste a chi voglia fare ricerca applicata: il sociologo, il laureato di secondo livello, dovrà saper raccogliere informazioni di prima e seconda mano, elaborare i dati, condurre

41

interviste in profondità, padroneggiare insomma le tecniche di raccolta ed analisi dei dati, qualitative e quantitative. Dovrà saper redigere un report professionale, che dia risposte concrete alle domande del committente, enucleando osservazioni e suggerimenti dalla congerie di informazioni raccolte, proponendo soluzioni, indicando strade percorribili. Un dottore di ricerca alla fine del suo percorso è un ricercatore, accademico o professionale: mi aspetterei dunque che sappia fare almeno un 10% di riflessione teorica – ovviamente sui metodi o sui contenuti della ricerca applicata. Mi aspetterei insomma che si preparasse ad avviare il “ciclo riproduttivo” di una tradizione che è – e probabilmente per sua natura sarà sempre – frammentata, ma che comunque ha bisogno di decollare affinché le domande che la società inizia oggi a porre possano trovare domani – ed anche dopodomani – risposte sempre fresche e sempre innovative. Credo però che a questo punto sia necessario fare un po’ di chiarezza sui termini che utilizziamo. Molti credono che ricerca applicata equivalga a ricerca empirica, e che sia “contrapposta” a ricerca teorica. Ma non è così: fra ricerca teorica e ricerca empirica dovrebbe esistere un rapporto reciproco, come in altre scienze: le teorie vengono elaborate sulla base dei risultati di ricerca, i risultati di ricerca vengono guidati dalla teoria. La ricerca empirica può essere distinta in ricerca di base e applicata: nel primo caso, la ricerca ha finalità esclusivamente conoscitive, e viene diretta a controllare e/o costruire ipotesi, ad ampliare e precisare teorie ecc.; nel secondo caso la ricerca è invece finalizzata alla soluzione di problemi, alla progettazione di interventi ecc. Quindi, da un lato, la ricerca empirica applicata dovrebbe essere guidata dalla teoria, così come quella di base; dall’altro, sarebbe bene che sui risultati della ricerca applicata ci si fermasse a riflettere, cercando di trarne indicazioni teoriche di più ampia portata, così come fece Merton sul lavoro di Stouffer. E questo… è davvero raro. La separatezza dei due ambiti è causa dell’impoverimento di entrambi, mentre la distinzione fra ricerca di base e ricerca applicata è assai meno netta di quanto non sembri: i risultati della ricerca di base, e persino i risultati della ricerca teorica, possono alla fine servire gli scopi della ricerca applicata, avere ricadute applicative per la soluzione di problemi. Altro importante contributo della ricerca teorica (e della ricerca empirica di base) alla ricerca applicata riguarda la definizione di

42

problemi: una definizione innovativa di un problema sociale è il primo passo per una soluzione altrettanto innovativa. In campo metodologico, poi, il discorso diventa ancora più intricato. Il metodologo può contribuire alla realizzazione delle ricerche empiriche o teoriche, ma deve anche a sua volta riflettere sui metodi e sulle tecniche di ricerca, nonché sul rapporto fra teoria e ricerca: in questo senso, è giusto che il lavoro del metodologo – per paradossale che possa sembrare – resti fondamentalmente “teorico”. I progetti che vengono qui presentati esemplificano bene, a mio avviso, quanto sin qui detto. Si tratta infatti di progetti che ruotano attorno a problemi sociali emergenti, in cui il lavoro teorico preliminare sarà orientato ad una definizione innovativa degli stessi, e il lavoro “empirico” alla raccolta del materiale informativo necessario alla loro soluzione. Ma l’aspetto che mi preme sottolineare è il contributo che ciascun progetto può dare – per come è stato costruito – ad una riflessione metodologica di carattere più ampio, che parta da un interrogativo di fondo sulle caratteristiche dei metodi attualmente a disposizione dei giovani ricercatori, per arrivare a valutarne l’adeguatezza con un atteggiamento “sanamente” pragmatico, orientato appunto al problem solving.

43

Related Documents