REATI CONTRO LA VITA E L'INCOLUMITÀ PERSONALE L'omicidio in generale L'omicidio è l'uccisione di un uomo cagionata da un altro uomo con comportamento doloso o colposo e senza il concorso di cause di giustificazione. L'incriminazione ha come scopo la tutela della vita umana, non solo nell'interesse dell'individuo ma anche in quello della della collettiivtà: ciò si rende chiaro dalla presenza, nel nostro ordinamento, della figura dell'omicidio del consenziente. Oggetto materiale dell'azione criminosa è un uomo diverso dall'agente (non essendo il suicidio previsto come reato), uomo con l'accezione quanto più ampia (anche l'essere mostruoso partorito da donna). Uomo che sia vivo; pena la mancanza dell'oggetto dell'azione, ex art. 49, Il fatto materiale dell'azione criminosa implica tre elementi: una condotta umana, un evento ed un nesso di causalità fra la prima ed il secondo. ●
Condotta: essendo il delitto uno di quelli tipicamente a forma libera (o causalmente orientati che dire si voglia), essa può consistere tanto in azione che in omissione ed estrinsecarsi nelle forme più diverse, purché sia causalmente collegata alla morte di un uomo.
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Evento, in questo caso naturalistico, coincide con la morte della persona. La nozione di morte non è univoca, ed è in continua evoluzione a seconda dello stato della scienza medica, che per ora la configura come l'arresto irreversibile delle funzioni dell'encefalo.
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Nesso di causalità: nulla v'è da dire rispetto quanto già esposto nella Parte Generale, tantopiù in considerazione del fatto che l'elaborazione dottrinale dei penalisti riguardo il processo causale è stata svolta tenendo in considerazione proprio l'omicidio.
Per Antolisei tempus commissi delicti dell'omicidio coincide con la morte dell'uomo. Non così la pensa Gallo, in accordo al quale il tempus sarebbe in questo caso da ravvisarsi con l'atto tipico, l'ultimo della catena per l'omicidio, che è delitto causalmente orientato. Riguardo all'elemento sogettivo valgono le regole di parte generale, salvo aggiungere che l'omicidio può essere non solo doloso e colposo, ma anche preterintenzionale. Tutte le cause di giustificazione possono avere efficacia scriminante nella fattispecie del delitto di omicidio. Passiamo ora alle varie figure di omicidio così come contemplate dal codice. Omicidio doloso comune Art. 575. Omicidio. — Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno [276, 295, 579; c. nav. 1150]. Nel Codice Zanardelli era contenuto l'inciso “con la volontà di uccidere”. Essa è stata, nel testo successivo, rimossa, ed a ragione: può infatti configurarsi dolo di omicidio senza volontà di uccidere, ma solo con l'accettazione del rischio relativo, così come si verifica in presenza del dolo eventuale. Se molti codici prevedevano e prevedono due figure di omicidio, una con un dolo più grave, l'altra con un dolo meno grave, il nostro sistema gradua il reato attraverso il sistema delle circostanze. Cominciamo con le aggravanti: ●
L'aver commesso il fatto con premeditazione: controverso è il concetto di premeditazione. Per Antolisei si compone di due elementi: il trascorrere di un certo lasso di tempo tra risoluzione criminosa e sua attuazione e la preparazione accurata del delitto. Antolisei critica l'impostazione di certi autori che vorrebbero rinvenire la premeditazione nel mero elemento cronologico del lasso di tempo. In virtù della sua stessa struttura, la aggravante della premeditazione è incompatibile con il vizio parziale di mente.
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L'aver agito per motivi abietti o futili;
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L'aver adoperato sevizie, agito con crudeltà;
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L'aver commesso il fatto con sostanze venefiche o altro mezzo insidioso. Fra i “mezzi insidiosi” possono essere ricomprese forme moderne di delinquenza, quale il sabotaggio del motore di un aereo o dei freni di un'automobile.
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L'aver commesso i fatto per eseguire od occultare un altro reato, ovvero per conseguire a sé o af altri il profitto o il prodotto o il prezzo dell'impunità di un altro reato;
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Omicidio commesso dal latitante per sottrarsi all'arresto, alla cattura, alla carcerazione ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;
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L'aver commesso il fatto contro l'ascendente ed il discendente;
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L'aver commesso il fatto contro il conige, fratello, sorella, padre e madre adottivi, figlio adottivo, contro l'affine in linea retta.
Fra le figure autonome di omicidio doloso, considerate come figure autonome di reato, copare l'omicidio del consenziente. Esso è previsto in quanto il bene della vita è un bene considerato come indisponibile; tuttavia il legislatore ha ritenuto meritevole di attenuare quell'omicidio cagionato con il consenso altrui. L'atto del consenso, per avere questa efficacia attenuante, deve essere prestato da persona maggiore degli anni diciotto, che non sia inferma di mente ed alla quale il consenso non sia stato estorto con violenza. Troveranno, altrimenti, applicazione le disposizioni sull'omicidio comune. Il consenso può essere tanto sottoposto a condizione (a.e. All'uso di un determinato mezzo) quanto revocato. L'eutanasia rientra nell'attenuante di omicidio del consenziente? Solo in pochissimi casi: infatti, dovendo il consenso essere manifestato non in condizioni di deficienza psichica, raramente i malati sono in grado di esprimere un consenso valido. L'applicazione rigorosa della legge porta, in questi casi, a configurare l'omicidio doloso comune; tuttavia è questa una situazione che, per Antolisei, richiede un intervento del legislatore. Omicidio preterintenzionale Art 584. Omicidio preterintenzionale. — Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni [585, 586; c. nav. 1151]. I delitti ai quali ci si riferisce nel rimando sono le percosse e le lesioni. L'omicidio è appunto preterintenzionale perché “va oltre” l'intenzione: la lesione personale deve essere procurata senza volerlo. L'elemento soggettivo deve consistere nel dolo delle lesioni o percosse. V'è da aggiungere che all'omicidio preterintenzionale è strutturalmente inapplicabile la disciplina del tentativo: può aversi solo omicidio preterintenzionale, omicidio tentato o consumato. Nessuna via di mezzo. Omicidio colposo 589. Omicidio colposo. — Chiunque cagiona per colpa [43] la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da uno a cinque anni. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone [582], si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni dodici. Non vi è, in aggiunta, molto da dire, se non rinviando alle disposizione di parte generale sulla colpa.
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Lesioni o percosse Cominciamo con l'esaminare il delitto di lesione personale comune, previsto dall'art. 582, per il quale va sotto il nome di lesione personale lieve. La lesione è definita lievissima quando “la lesione personale che cagiona malattia nel corpo o nella mente” si protrae sotto i quaranta giorni. In questo caso, il reato è perseguibile a querela della persona offesa. La lesione non richiede violenza fisica, ben potendo verificarsi con l'uso di mezzi morali o con mezzi del tutto non violenti, come il coito permesso che cagiona contagio. L'evento di questo delitto non consiste nella lesione, quanto nella malattia. Essa consiste, per Antolisei, in un processo patologico localizzato o diffuso che determina una apprezzabile menomazione fisica, in accordo a quanto sostenuto dalla scienza medica. Ergo, le ecchimosi – i c.d. “lividi” non rientrano nella categoria delle malattie. Tempus commissi delicti si realizza, per Antolisei, al momento del verificarsi della malattia. Gli artt. successivi configurano le aggravanti della lesione grave o gravissima. La prima importa una malattia o un'incapacità di attendere alle normali occupazioni per un tempo superiore ai quarant giorni; la seconda una malattia incurabile, la perdita di un senso, un arto, deformazione o sfregio permanente del viso, ecc. Antolisei critica la comune dottrina, che considera queste forme circostanziate di reato, in virtù della rubrica sotto la quale il legislatore le ha poste. Per l'Autore esse sono, infatti, autonome figure di reato. Ciò ha conseguenze importanti: la giurisprudenza, perdeverando nell'errore, arriva a punire ogni tentativo di lesione come tentativo di lesione comune, anche se era diretto a cagionare una lesione gravissima.
REATI CONTRO IL PATRIMONIO Il codice Zanardelli denominava questo tipo di reati come “reati contro la proprietà”. La nuova rubrica, quella di “reati contro il patrimonio”, apporta sicuramente un perfezionamento rispetto alla terminologia precedente, per la ragione della sua capacità di ricomprendere non solo i diritti di proprietà, a anche il possesso di ogni diritto reale e di obbligazione. Tali reati, rubricati sotto il XIII libro del c.p., sono posti a tutela non solo di interessi patrimoniali, ma anche di interessi della persona, quali sicurezza e libertà: basti pensare alla rapina, all'estorsione, al ricatto. Nei reati patrimoniali sovente ricorrono termini provenienti dal diritto privato (si rilegga la definizione di elemento normativo nella parte speciale), termii quali patrimonio, cosa, possesso, detenzione. Riguardo al significato da dare a questi termini, due correnti si sono scontrate: ●
Corrente privatistica: sostiene che il significato dei termini che hanno origine del diritto privato dovrebbe trarsi solo da questo; le altre branche del diritto dovrebbero solo occuparsi di recepirli così come elaborati dai privatisti.
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Corrente autonomista: sostiene che il diritto penale debba riplasmare in modo indipendente gli istituti del diritto privato, in modo da renderli più adatti a soddisfare le esigenze del nostro ramo del diritto,
Secondo Antolisei il problema va risolto caso per caso, avendo sì come punto di partenza la nozione privatistica di una determinata categoria, ma badando se si forma un contrasto rispetto ai fini dell'ordinamento penale. E se tale contrasto c'è, compito del penalista è risolverlo. Patrimonio Stricti iuris, patrimonio è il complesso delle attività e delle passività facenti capo ad una determinata persona. Ai nostri fini, interesserò solo il patrimonio netto, ovvero quello scremato dalle passività. Per i civilisti, tali attività debbono riferirsi a cose od entità aventi valore economico. Ecco qui un primo motivo di scontro con i penalisti, per i quali – seppure molti beni economicamente irrilevanti quali il chicco d'uva o il chiodo
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arrugginito non sono ricompresi nel patrimonio – pure esistono oggetti privi di valore economico ma carichi di valore affettivo: una ciocca di capelli, un portafortuna, ecc. Siccome non si può ammettere che il proprietario sia spossessato impunemente di tali beni, deve ammettersi che anche essi rientrano nella nozione di patrimonio rilevante ai fini del diritto penale. Di converso, fanno parte del patrimonio anche i valori posseduti in contrasto col diritto: concordemente, anche il possesso del ladro è tutelato. Se si adottasse una definizione ricalcata troppo sulla concezione economica di patrimonio, dovrebbe ammettersi che non ci sarebbe offesa quando, a.e., il ladro lasciasse al posto della cosa rubata un valore economico almeno equivalente. Ai nostri fini, tuttavia, c'è offesa al patrimonio anche in caso di violazione dell'obbligo di non ingerenza. Infine, dobbiamo chiarire se la tutela del diritto penale si rivolge al patrimonio complessivamente inteso ovvero ai singoli rapporti di esso facenti parte. Per Antolisei se è pur vero che la maggioranza dei reati patrimoniali si rivolge a tutela dei singoli rapporti (a.e. Furto, appropriazione indebita, rapina, ecc.), vi sono parecchi reatip preposti a tutela del patrimonio nella sua totalità: truffa, estorsione, violenza fraudolenta, ecc. La distinzione delle cose Sono cose per il diritto tutti gli oggetti corporali ed entità naturali suscettibili di appropriazione e che hanno un valore economico, cioè un valore di scambio. Fra di essi rientrano anche le energie naturali aventi valore economico (elettricità, gas, ecc), come da artt. 624 c.p. ed 814 c.c. I beni si distinguono fra mobili ed immobili. La differenza è rilevante: per i beni mobili è infatti possibile solo il furto, per gli immobili l'usurpazione. Può essere accolta la distinzione dettata dal codice civile, anche se con alcuni ritocchi (a.e. la ghiaia di un giardino, che è reputata immobile dal diritto civile). L'altruità della cosa In molte disposizioni compare l'aggettivo “altrui”. Quand'è che ai fini del diritto penale una cosa può dirsi altrui? Deve essere accolta una concezione estensiva di altruità, tale da ricomprendervi anche i diritti di godimento (uso, usufrutto) e di garanzia? Così sembrerebbe, al fine di assicurare maggiore tutela ai fini del diritto penale. Tuttavia il dato normativo è incontrastabile, e l'altruità consiste esclusivamente nella proprietà altrui: per il nostro legislatore il proprietario che sottrae la cosa legittimamente posseduta da altri non commette furto, applicandosi l'art. 334 c.p. Ergo, il proprietario non può essere soggetto attivo di reati che esigono l'altruità della cosa. Il danno Esso, pure se espressamente citato solo in alcune figure criminose, è requisito implicito di tutti i delitti contro il patrimonio. Esso consiste in un danno patrimoniale, precisamente in una deminutio patrimonii, cioè alterazione sfavorevole di detto partimonio. Alterazione la quale può muoversi o nel senso di una diminuzione delle attività, o in un aumento delle passività. L'alterazione dovrò essere misurata in astratto, tenendo conto di criteri oggettivi, ma concretizzata quanto basta al fine di ricomprendervi anche i valori di affezione, che abbiamo già considerato quali rilevanti ai fini del diritto penale. Da ciò, se ne deduce che il concetto di danno economico non coincide con quello di danno giuridico: quest'ultimo ricomprende il primo, prendendo in considerazione anche il valore affettivo. Il profitto La sua presenza è richiesta in molti delitti contro il patrimonio. In cosa consiste? In una qualunque soddisfazione o piacere che l'agente si riprometta dalla sua attività criminosa. Non è quini indispensabile che si tratti di utilità pecuniaria. Quando si parla di profitto, il legislatore aggiunge quasi sempre l'aggettivo di ingiusto. Quando ricorre il carattere della ingiustizia? Per Antolisei, quando il profitto non è in alcun modo tutelato dall'ordinamento giuridico., cioè in suo contrasto.
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Il possesso nel diritto penale È importante: basti pensare che in alcune fattispecie è richiesta la sua assenza, in altre la sua presenza. Ad esempio, esso è presupposto negativo del furto e presupposto positivo della appropriazione indebita. La nozione è lungi dall'essere pacifica anche nel campo del diritto privato, dove l'art. 1140 definisce il possesso come “il potere sulla cosa che si manifesta i un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”. È stato questo il più aspro campo di battaglia fra i sostenitori della scuola privatistica, i quali sostengono che la nozione sia coincidente con quella del codice civile, e quelli della corrente autonomista, che dissentono rispetto a questa posizione. L'opinione di Antolisei è che sia sì necessario partire dalla nozione privaristica, per la quale occorrono due elementi: ●
Potere di fatto, consistente alla signoria sulla cosa estrinsecantesi in una attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale;
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Animus correlativo, cioè l'animo di comportarsi come se si fosse il proprietario.
Tale nozione per l'autore deve, tuttavia, essere ampliata fino a ricomprendere tutti i casi nei quali è esercitata in maniera indipendente una signoria sulla cosa, fuori della diretta sorveglianza di chi abbia su di essa un potere giuridico superiore. Ai fini del diritto penale, saranno così possessori il locatario, il comodatario ed il mandatario: nel diritto penale il termine possesso acquista, quindi, un significato analogo a quello che questo termine possiede nel linguaggio corrente.
Il furto Art. 624. Furto. — Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centocinquantaquattro euro a cinquecentosedici euro. Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico [c.c. 814; c. nav. 1148]. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625. Il furto è un dei delitti più frequenti, così come il ladro è il delinquente più comune, essendo il furto la manifestazione più naturale dell'istinto predatorio. Scopo dell'incriminazione è la tutela del possesso delle cose mobili, giacché i rimedi civili del risarcimento del danno e dell'azione di reintegro sono reputati come insufficienti. Protetto dalla legge penale è qualsiasi possessore, non soltanto il proprietario; è anzi al possessore che spetta il diritto di querela laddove il reato non è perseguibile d'ufficio. Oggetto materiale dell'azione criminosa è la cosa mobile altrui. Cosa la quale deve essere suscettibile di valutazione economica o essere un oggetto che riveste per il proprietario un certo valore affettivo, essendo così idonea a rientrare nei valori patrimoniali, stante fissa la definizione giuridica di patrimonio poco sopra esposta. Anche le energie, stando a quanto detto sopra, possono essere oggetto di furto; è lo stesso 624 a specificarlo. Ma lo sono soltanto quando sono suscettibili di appropriazione: e tali non sono le onde radiotelevisive, sicché chi adopera un apparecchio ricevente senza pagare il relativo canone non commette furto. Altro requisito, è che la cosa altrui deve essere cosa mobile. La nozione è contigua ma non coincidente con quella del diritto privato, perché anche gli immobili mobilizzati (a.e. La ghiaia, alberi, etc.) potranno essere oggetto di furto. Si richiede la nota dell'altruità della cosa; stante la definizione restrittiva di altruità data poco sopra, il proprietario non potrà essere soggetto attivo del delitto di furto. Nota negativa è invece quella che il delitto in esame non deve verificarsi tramite violenza o minaccia; il reato passa altrimenti in quello maggiore di rapina. Deve quindi esserci un impossessamento non violento. Antolisei individua rispetto al perfezionamento del delitto in esame due momenti, come appare dalla stessa norma incriminatrice: uno della sottrazione, l'altro dell'impossessamento. Impossessamento significa che l'agente deve acquistare lui stesso il possesso della cosa. Qualora ci sia sottrazione ma non impossessamento dell'agente il delitto
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rimarrà allo stato di tentativo. La giurisprudenza e la dottrina dominanti la pensano diversamente: se per A. essere fermati dal guardiano del supermercato con indosso la refurtiva è tentativo di furto, per la giurisprudenza si tratta di furto consumato. Perché si abbia furto consumato, è necessario che la cosa esca dalla sfera di vigilanza del precedente possessore ed entri in quella del nuovo. Deve aversi un nuovo posseso. Il momento della sottrazione e dell'impossessamento possono anche verificarsi in tempi diversi: basti pensare a chi getta dei sacchi di farina da un camion per poi recuperarli in un secondo momento. La semplice amotio della cosa configura solo il tentativo. A segnare il momento della consumazione del delitto di furto è proprio l'impossessamento. Il dolo del delitto di furto deve consistere nella coscienza e volontà di impossessarsi della cosa altrui, ma anche nel fine di trarne profitto. Il profitto può essere anche soltanto un vantaggio morale, non dovendo consistere necessariamente in un profitto pecuniario. In quasi tutti i delitti patrimoniali il profitto è connesso alla qualificazione dell'ingiustizia; perché nel furto allora non compare la locuzione di “ingiusto profitto”? Per A. questo ha un significato, che precisamene consiste nella volontà del legislatore di non permettere neanche a chi ha una pretesa legittima di soddisfarsi apprendendo le cose altrui. L'ingiustizia del profitto è pertanto estranea al concetto di furto. Non si pongono problemi particolari per le cause di giustificazione: tutte possono trovare applicazione nel delitto in esame. Passiamo ora a vedere le circostanze aggravanti speciali del furto: ●
Se il colpevole per commettere il fatto si introduce in un edificio od altro luogo destinato ad abitazione: dove per abitazione sono ricomprese anche alberghi, collegi, ospedali, etc.
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Se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento: alcuni ritengono che mezzo fraudolento sia il superamento di un ostacolo di una certa consistenza.
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Se il colpevole porta indosso armi o narcotici senza farne uso: altrimenti si configurerebbe il delitto di rapina, qualora ne facesse effettivamente uso.
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Se il furto è commesso con destrezza [ovvero strappando la cosa di mano o di dosso alla persona];
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Se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato del pubblico servizio.
L'appropriazione indebita Art. 646. Appropriazione indebita. — Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario [c.c. 17831797], la pena è aumentata. Si procede d’ufficio [c. nav. 11441146], se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell’articolo 61 [649]. L'incriminazione mira ad impedire che chi è in possesso di cose mobili altrui possa commettere attentati patrimoniali: punisce il possessore che si comporta da padrone. È una figura affine a quella del furto; tuttavia, se quest'ultimo implica la mancanza del possesso, nell'appropriazione indebita il possesso è presupposto necessario della incriminazione. La dottrina non concorda riguardo l'essenza di questo delitto. Per alcuni essa risiederebbe nella violazione della fiducia; Antolisei contesta questa visione, facendo osservare come la scelta – necessaria nel caso di detta violazione – non è sempre presente. Per Antolisei, il delitto in esame meglio costituisce una violazione del diritto di proprietà; l'essenza vera del reato è quindi quella dell'abuso del possessore, che si comporta uti dominus, e compie atti dispositivi che danneggiano il patrimonio del prorietario. Soggetto passivo del reato è il proprietario della cosa. Oggetto materiale dell'azione criminosa è invece il denaro o cosa mobile altrui. La precisazione “denaro”, che sembrerebbe pleonastica, risulta invece necessaria, in quanto tradizionalmente i giuristi – essendo il denaro cosa fungibile – ritengono che esso, verificatasi la confusione, diventi di
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proprietà del possessore e che di contro nasca una mera azione creditoria del creditore. Essendo requisito della fattispecie la nota della altruità, se ne deve concludere che il reato possa sussistere soltanto quando l'autore dell'appropriazione non sia il proprietario della cosa. Il soggetto agente deve essere il possessore non proprietario della cosa. L'appropriazione indebita è quindi ipotizzabile quando sussista un negozio idoneo a traslare il solo possesso: contratti quali usufrutto, locazione, mandato, pegno, deposito, comodato, contratto di lavoro. Non deve trattarsi quindi di mera detenzione, ma di possesso discendente da titolo legittimo, che implica la disponibilità autonoma della cosa. Se non c'è possesso ma mera detenzione, non si avrà appropriazione indebita, ma furto: come nel caso del facchino che s'allontani con le valigie del viaggiatore, sussisterà furto; se è l'agenzia di trasporti ad appropriarsi del pacco, vi sarà appropriazione indebita. In alcuni casi la linea di confine tra furto ed appropriazione indebita può essere sfumata; tuttavia adottando il criterio della autonoma disponibilità il giudice accorto riuscirà senz'altro a discernere le due figure. L'azione esecutiva, si deduce dal 646, deve consistere in una appropriazione. Tale locuzione non può essere presa alla lettera, in quanto affinché sussista appropriazione strictu sensu deve sussistere un negozio idoneo a traslare la proprietà. Dobbiamo dunque concludere che il possessore dovrà comportarsi come se la cosa fosse propria, compiendo atti di disposizione che sarebbero altrimenti esclusivi del proprietario: a.e. consumazione, alienazione, etc., o più in generale compia atti incompatibili con i diritti del proprietario. Anche il semplice uso della cosa può arrivare a configurare appropriazione indebita, nel caso che tale uso non sia conciliabile con il diritto del proprietario, a.e., perché l'uso della cosa implica consumo o logorio idonei a cagionare a quest'ultimo una deminutio patrimonii. Il momento della consumazione del reato consiste, per Antolisei, nell'atto dispositivo del possessore, o – meglio – nella appropriazione. Alcuna dottrina considera il delitto in esame come unisussistente, e che quindi non possa dar luogo a tentativo. Antolisei e Gallo, che criticano la stessa esistenza di questa categoria di reati, ritengono invece che l'impossibilità di configurare un tentativo per questi reati derivi da un mero mancato sforzo di fantasia. Tantopiù che con il criterio adottato dell'appropriazione, ben può configurarsi un tentativo di appropriazione indebita. Il dolo del delitto di appropriazione indebita presuppone la consapevolezza del possesso e della altruità della cosa, insieme alla volontà di compiere l'atto di disposizione. Il fine che deve muovere il soggetto è quello di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto: il dolo è dunque escluso quando il profitto non presenta detto carattere. La truffa Art. 640. Truffa. — Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare [c.p.m.p. 162, 32quater]; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità [649] . Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra circostanza aggravante. La truffa è la frode per eccellenza. L'inganno è il nucleo essenziale della fattispecie; inganno che induce il truffato a compiere un atto dispositivo che diminuisca il suo patrimonio. Atto dispositivo che è compiuto mediante il consenso della vittima; se invece è carpito con violenza siamo di fronte all'estorsione. Scopo dell'incriminazione è la protezione del patrimonio e la tutela della libertà del consenso nei negozi patrimoniali. Vediamo di quali elementi si compone il delitto in esame:
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1 Comportamento del reo consistente in “artifizi o raggiri” L'artificio si ottiene simulando ciò che c'è o dissimulando ciò che non c'è. Il raggiro consiste, invece, in ogni menzogna corredata di ragionamenti idonei a farla apparire come verità. L'importanza degli elementi in esame è andata via via affievolendosi nella giurisprudenza, che ora ammette che, per dar vita alla truffa, possa bastare anche la semplice menzogna. Antolisei concorda parzialmente, purché tale ordine di idee non si spinga fino a ricomprendere gli inganni che negli affari danno vita a semplici scorrettezze; pure se tale area di incertezza può essere utile più che dannosa, a mettere preventivamente in riga i truffatori. 2 – Causazione di un errore che dà origine ad un atto di disposizione patrimoniale La leggerezza dell'errore è indifferente; è sufficiente che sia stato cagionato dagli artifizi e dai raggiri. La struttura della truffa non è idonea a ricomprende gli atti di chi abbia indotto ad una disposizione patrimoniale il soggetto che già si trovava in stato d'errore, sfruttando questo stato. L'incriminazione richiede che vi sia almeno una attività di rafforzamento dell'errore. L'atto di disposizione patrimoniale deve considerarsi quale requisito tacito della truffa. La spontaneità di tale atto dispositivo è ciò che distingue la truffa dalla appropriazione indebita. In questo caso l'ingannato è esso stesso causa del danno. L'atto di disposizione può consistere tanto in un'azione che in una omissione; può riguardare qualsiasi elemento del patrimonio, non solo cose mobili, e ricompresi i valori affettivi, nel senso di quanto già è stato discusso. L'ingannato può anche essere un soggetto diverso dal danneggiato, purché il primo abbia la facoltà di operare un atto dispositivo che riguardi quest'ultimo: può essere, a.e., un suo rappresentante legale. 3 – Causazione di un danno patrimoniale per il danneggiato al quale consegua un ingiusto profitto del truffatore Come sopra; la nota dell'ingiustizia del profitto vale, tuttavia, ad escludere dall'incriminazione il giusto profitto ottenuto mediante artifizi o raggiri. Quale potrebbe essere la riscossione di un credito legittimamente dovuto. Il momento di consumazione del delitto risiede, per Antolisei, in quello della realizzazione del profitto, il quale consiste anche nel solo fatto che l'agente abbia ottenuto il possesso della cosa. C'è quindi larghissimo campo per la configurabilità del tentativo. Per il dolo valgono le regole generali: l'autore deve volere la sua azione, così come l'inganno della vittima e la realizzazione del profitto. Ci si chiede se la truffa esista anche nei casi di negotium turpe: come nel caso di chi paga per acquistare, a.e., droga che però si rivela sostanza innocua. Per Antolisei sì: le ragioni di interesse sociale che interessano la truffa non cessano di sussistere allorché l'ingannato agisca per un fine illecito. Il delitto di truffa è aggravato se: 1.
Il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico;
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Se è commesso col pretesto di far esonerare qualcuno dal servizio militare;
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SE è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine della autorità.
La rapina Art. 628. Rapina. — Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona [5812] o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da cinquecentosedici euro a duemilasessantacinque euro. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.
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La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da milletrentadue euro a tremilanovantotto euro: 1) se la violenza o minaccia è commessa con armi [5852], o da persona travisata, o da più persone riunite [112 n. 1]; 2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire [605, 613; c. nav. 1137]; 3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416bis. Sotto lo stesso titolo, nell'art. 628, sono comprese due diverse figure criminose: la c.d. “rapina propria”, nella quale la violenza o la minaccia è mezzo per l'impossessamento, e la “rapina impropria”, nella quale la violenza o la minaccia servono ai fini del mantenimento del possesso e/o dell'impunità. Rapina propria È quella della prima parte dell'art. 628. Si tratta di un reato complesso, il quale unifica in un'unica figura criminosa i reati di furto e di violenza privata. Oggetto materiale dell'azione, come nel furto, è la cosa mobile altrui. Anche l'azione costitutiva è identica a quella del furto, solo che ad essa si sommano la violenza o la minaccia alla persona. Labile è il confine fra rapina ed estorsione. La prima si avrebbe quando l'agente sottrae la cosa al possessore “con le sue proprie mani”, così come sostenuto dalla dottrina, dove nell'estorsione il soggetto passivo la consegnerebbe con le sue mani. Per Antolisei il confine fra le due fattispecie deve essere rintracciato nella differenza fra coazione assoluta e coazione relativa. Se il soggetto passivo no ha possibilità di scelta, non solo perché la cosa gli è strappata di dosso ma anche perché gli è puntata una rivoltella contro, allora sarà rapina; se invece una dose di scelta permane, saremo di fronte ad estorsione. La rapina, come il furto, presuppone la mancanza di possesso dell'agente. Violenza e minaccia sono in rapporto di mezzo a scopo rispetto alla sottrazione; non devono essere rivolte necessariamente verso il soggetto spossessato, bastando anche che siano dirette ad un terazo, a.e. Ad un suo familiare; questa tuttavia non è deviazione rispetto alla regola generale, anche quella essendo una violenza rivolta al possessore. La rapina si consuma con l'effettivo spossessamento; e finché esso non s'è realizzato, rimane allo stadio di tentativo. Il dolo deve consistere nella coscienza e volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la possiede, a tale scopo adoperando violenza o minaccia. Il fine deve essere quello dii trarre ingiusto profitto. Vediamo che, anche qui, compare la nota dell'ingiustizia. Ergo, non sarà rapina, ma esercizio arbitrario delle proprie ragioni in concorso con violenza privata il fatto di chi si impossessi di un credito dovuto adoperando violenza o minaccia. Il reato di percosse resta assorbito in quello di rapina, per espressa previsione di legge; i reati di lesione più gravi delle percosse concorreranno, invece, insieme alla rapina. Le aggravanti speciali sono elencate nello stesso art. 628. Rapina impropria Nel 2° comma dell'art. 628, nel quale la violenza o la minaccia è adoperata subito dopo la sottrazione, per assicurare a sé od altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità. Gli elementi che formano la rapina impropria sono gli stessi che abbiamo già elencato per la rapina propria, solo che son disposti in ordine diverso, violenza e minaccia non precedendo il furto, ma seguendolo. Momento della consumazione è quello in cui si verifica la violenza o la minaccia. Le ipotesi aggravanti sono le stesse della rapina propria. Estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione Estorsione
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Art. 629. Estorsione. — Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da cinquecentosedici euro a duemilasessantacinque euro. La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da milletrentadue euro a tremilanovantotto euro, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente [c. nav. 1137]. Il nucleo del reato in esame è costituito dalla coazione, per mezzo della quale una persona viene costretta a tenere una condotta – che può essere sia positiva che negativa – la quale danneggia il suo patrimonio con profitto dell'agente o di altri. La lettera della legge dispone che la coazione deve essere costituita dalla violenza o minaccia, le quali costringano il soggetto passivo a fare od omettere qualche cosa. Come sappiamo, anche per la rapina il fulcro del delitto è costituito proprio dal costringimento. In cosa consiste, allora, la differenza del delitto di estorsione rispetto alla prima? Secondo Antolisei: ●
Nella rapina: il costringimento è assoluto, tale da non permettere popssibilità di scelta.
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Nell'estorsione: il costringimento è invece relativo, e lascia al soggetto passivo del reato una certa possibilità di scelta.
Affinità si presentano anche rispetto al delitto di truffa. Solo che le fattispecie son qui molto più facili da delineare: se nell'estorsione si è costretti, gli artifizi o raggiri della truffa inducono il soggetto passivo del reato in esame a porre in essere spontaneamente l'atto di disposizione. Se nell'estorsione c'è costrizione, nella truffa c'è induzione. Una forma speciale di estorsione è, invece, la concussione, nella quale l'agente che commette l'estorsione è il pubblico ufficiale che abusa della sua qualità e delle sue funzioni. L'atto di disposizione patrimoniale che cagiona la diminuzione nel profitto del soggetto passivo può essere tanto un atto di disposizione patrimoniale, quanto un atto omissivo che incida comunque negativamente sul suo patrimonio, quale potrebbe essere la mancata riscossione di un credito.
Notiamo che anche nell'estorsione compare la nota della ingiustizia del profitto. È ingiusto il profitto contra ius, quello non per legge dovuto. Invece, scrive Antolisei, “un profitto non può mai considerarsi ingiusto quando abbia come suo fondamento una pretesa comunque riconosciuta e tutelata dall'ordinamento giuridico”. Dunque, se una persona, per effetto di violenza o minaccia, costringa taluno a compiere un atto di disposizione patrimoniale finalizzato alla soddisfazione di un credito dovuto, liquido ed esigibile, in questo fatto di reato non sarà ipotizzabile la rapina, ma solo la violenza privata. Antolisei, tuttavia, ritiene che questo criterio risulti troppo drastico; un profitto sarà comunque ingiusto quando si faccia uso di mezzi non consentiti dalla legge, e tutte le volte che il conseguire quel dato vantaggio con la minaccia di quel dato pregiudizio sia comunque contrario ai buoni costumi. Il tempo di consumazione del delitto si verifica nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto ed il danno patrimoniale. Sequestro di persona a scopo di estorsione Art. 630. Sequestro di persona a scopo di estorsione. — Chiunque sequestra [605] una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della liberazione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni. Se dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrata, il colpevole è punito con la reclusione di anni trenta [586].
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Se il colpevole cagiona la morte del sequestrato si applica la pena dell’ergastolo. Al concorrente [110] che, dissociandosi dagli altri, si adopera in modo che il soggetto passivo riacquisti la libertà, senza che tale risultato sia conseguenza del prezzo della liberazione, si applicano le pene previste dall’articolo 605. Se tuttavia il soggetto passivo muore, in conseguenza del sequestro, dopo la liberazione, la pena è della reclusione da sei a quindici anni. Nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a vent’anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi. Quando ricorre una circostanza attenuante, alla pena prevista dal secondo comma è sostituita la reclusione da venti a ventiquattro anni; alla pena prevista dal terzo comma è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni. Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare per effetto delle diminuzioni non può essere inferiore a dieci anni, nell’ipotesi prevista dal secondo comma, ed a quindici anni, nell’ipotesi prevista dal terzo comma. I limiti di pena preveduti nel comma precedente possono essere superati allorché ricorrono le circostanze attenuanti di cui al quinto comma del presente articolo. Si noti, in particolare, la particolare disciplina disposta per il concorrente dissociato che si adoperi “per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretaamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria ...”, il quale si vedrà diminuita di due terzi la sanzione. Nella l. 92/1991, viene incriminato altresì chi, avendo notizia del delitto in esame, ometti o ritardi di riferirne all'autorità.
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