PERCHE’ TANTI OMICIDI IN FAMIGLIA Prima parte - Il dovere di dare una risposta I ripetuti episodi di violenza tra le mura domestiche, come quello terribile accaduto recentemente a Verona, assieme a molti altri di cui ci bombardano i media, che di solito vedono come protagonista il marito assassino che uccide moglie, figli e poi si ammazza, ci devono interpellare dal profondo della nostra coscienza e non possono passare sotto silenzio. E’ vero che, davanti a questo tipo di efferatezze, sinonimo di disperazione, non ci sono parole per esprimere tutto il nostro sconcerto se non quelle di pregare il Signore e lo Spirito Santo che abbia pietà di noi e che ci mantenga sana la mente fino al nostro ultimo respiro, tuttavia, oltre alla preghiera, è necessaria anche una riflessione che porti a una risposta concreta, in quanto ciascuno di noi ha la sua parte di responsabilità sociale in tali vicende. Il nostro quotidiano “l’Arena” ha avuto il coraggio di tentare una risposta logica: “A provocare la strage la paura di perdere tutto” confermando quello che molti di noi, in cuor nostro, pensavamo, dai pochi dati che sono emersi, e cioè che il povero padre-assassino, dopo aver sperimentato a 6 anni cosa voleva dire perdere la famiglia (i genitori erano morti entrambi di malattia improvvisa e venne allevato dai nonni) si era visto in procinto di perdere per la seconda volta e in maniera definitiva, irrecuperabile, anche la seconda famiglia, quella che si era costruito con fatica e con passione. Vedendo che rischiava di essere abbandonato e di rimanere di nuovo completamente solo (non aveva né fratelli, né cugini e anche i nonni erano morti), è entrato in uno stato tale di disperazione da perdere la testa, a tal punto che ha preferito perdere tutto subito, piuttosto che essere sottoposto a quella tortura cinese, a quel trauma lacerante, (magari già visto sulla pelle di amici suoi), costituito dalla trafila necessaria per arrivare alla “gloriosa” meta del divorzio, cioè alla perdita definitiva di quello che di più caro aveva al mondo: moglie, figli, casa. Non scendo nei particolari della vicenda che non conosco fino in fondo, tuttavia da questo e da altri episodi simili che spesso ci vengono brutalmente annunciati come violenze fra le tante, emerge che la causa scatenante di questi gesti, diciamo pure di pazzia, è la rottura dell’unità familiare in vista della separazione e del divorzio. E che queste domande di divorzio provengono nella misura del 85% dei casi, secondo l’Istat, e come ciascuno di noi può constatare, da donne che hanno la fortuna di vivere in famiglie benestanti e tranquille. Davanti a simili prospettive, la prassi comune è quella di non interferire, lasciando che i due interessati se la sbrighino da soli. “Tanto, che male c’è? E’ inevitabile! Bisogna prendere atto pacificamente della rottura del matrimonio come di un evento tra gli altri, e bisogna farlo in maniera civile, con serenità, nel reciproco rispetto del coniuge e delle leggi!” affermano tutti con fare incoraggiante come quando si deve affrontare un difficile intervento chirurgico per poi godere dei benefici della guarigione. Ma quale guarigione? Quale intervento a fin di bene? Quale gioia da raggiungere? La rottura del matrimonio, anche nel migliore dei casi, costituisce sempre un evento così traumatico per entrambi i coniugi che difficilmente si risolve senza l’aiuto di psichiatri e di psico-farmaci! Per il fatto che il matrimonio è talmente parte intrinseca della persona, della natura umana, della famiglia naturale, che la sua soppressione, come nel caso dell’aborto, provoca una lacerazione così profonda da creare dei traumi psico-fisici incancellabili per tutto il resto della vita. Il divorzio è sempre traumatico, e da quella data nefasta che lo ha sancito come legge, nel 1975 e che ha segnato lo sfascio della famiglia, sono aumentati i disperati, i nevrotici, i psicopatici, i pazzi, i suicidi, i drogati ecc. proprio perché figli di divorziati, senza famiglia e senza punti di riferimento. Senza dire che tutto questo ha provocato nelle nuove generazioni una grande sfiducia vero lo stesso istituto del matrimonio! Non vogliamo con questo giustificare il gesto degli assassini, ci mancherebbe altro, tuttavia esiste un assassinio premeditato forse peggiore che è quello costituito dalla moglie quando, per futili motivi, o di carriera, o di nostalgia di vana libertà, o perché vittima di facili lusinghe da parte di qualche corteggiatore, decide di “accoltellare al cuore” il marito, abbandonandolo, e portandosi via figli, casa e buona parte dello stipendio del coniuge. Questo tradimento può capitare anche alla moglie che viene abbandonata dal marito, evidentemente, ma qui entrano in gioco altri e diversi meccanismi di cui parleremo. Sta di fatto che non è così semplice staccarsi dall’amore vero e ormai consolidato per buttarsi alla cieca nella braccia di nuovi amori sconosciuti e imprevedibili. Eppure si preferisce dare spazio alla stoltezza collettiva! Anziché amare, cioè condividere gioie e dolori, sopportare eventuali difetti, cedere su piccole cose prima che diventino montagne invalicabili, accettare qualche sacrificio soprattutto in vista del bene dei figli, ecc. si preferisce rompere, tagliare, distruggere e non ci si accorge che si sta rompendo, tagliando e distruggendo la propria vita.
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