Mio Fratello Gemello, Bruno Argento

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Mio fratello gemello, Bruno Argento

di Bruce Sterling interpretato da David Orban

Buongiorno! Grazie per avermi invitato all’Icograda Design Week! Come scrittore di fantascienza, sono molto interessato all’argomento del giorno che tratta dei mondi paralleli e del multiverso. Conosco veramente molto bene questi temi. Signore e signori, sono certo che per voi “multiverso” significhi metafora, qualcosa di inverosimile. Nessuno di voi si aspetterebbe di incontrare qui qualcuno proveniente da un mondo parallelo al vostro. E invece, eccomi qua! Sono nato in un mondo parallelo. Sì, mi chiamo Bruce Sterling, lo scrittore di fantascienza. O meglio, sono Bruce Sterling proveniente da un’altra parte del multiverso. Nel mio mondo, Bruce Sterling non è americano e decisamente non è nato in Texas. Nel mio mondo, Bruce Sterling è nato a Torino. Uno scrittore di fantascienza torinese, quindi. Quell’uomo sono io. Mi chiamo Bruno Argento, naturalmente, perché sono la versione italiana di Bruce Sterling! So che fate fatica a credermi. Non preoccupatevi, a noi scrittori di fantascienza capita spesso di non essere creduti. Come potete notare, conosco tutto quello che Bruce Sterling conosce, sono qui al posto di Bruce Sterling ma sono anche Bruno Argento e parlo correntemente italiano. Io sono qui mentre lui se ne è andato. Questo tipo di viaggio, è molto più semplice di quanto immaginiate. Voi non sapete come viaggiare nel multiverso. Avete solo una vaga idea di cosa significhi. Nella mia Torino, le idee sono precise e concrete. Sappiamo come viaggiare. Possiamo spostarci da un multiverso a un altro con estrema facilità. Infatti, non appena avrò finito di parlare, tornerò indietro. E a Torino, non vi sarà più traccia di Bruno Argento. Al contrario, noterete che Bruce Sterling sarà tornato a Torino. Spero che questo chiarirà i vostri dubbi. Quando sono arrivato per la prima volta nel vostro universo, ho realizzato che io, Bruno Argento, ero un texano. E la cosa non mi piaceva. Questo texano ed io abbiamo carriere parallele. Ho superato i 50 anni, proprio come lui. Scrivo racconti, romanzi di fantascienza e tratto

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temi di tecnologia, proprio come lui. Mi interesso anche di design. Per cui sono in gran parte simile a quell’americano che conoscete con il nome di Bruce Sterling. C’è una cosa però che ci differenzia. Il vostro Bruce Sterling è uno straniero che sa appena leggere l’italiano e non conosce Torino. Quando passeggia tra di voi, assomiglia a un bambino meravigliato e ingenuo. Gli italiani lo compatirebbero o cercherebbero di aiutarlo. Al contrario, io sono lo scrittore di fantascienza futuristica più noto di Torino. Sono nato qui, ho fatto le scuole qui, mi sono sposato qui e i miei figli sono cresciuti qui. Ma non voglio vantarmi dei miei successi! E non voglio più parlare di Bruce Sterling. Invece, voglio parlare di Torino. La mia Torino. La città delle lettere, dell’ingegneria e del design. La città della cultura. Una città nata da una precisa pianificazione architettonica e urbanistica. Una capitale. Sì, Torino. Torino nel multiverso. La mia Torino, la Torino di Bruno Argento, è la Torino che appartiene a un mondo parallelo. Quindi la mia Torino non corrisponde completamente alla vostra Torino. Con questo non voglio dire che la mia Torino, la Torino di Bruno Argento, sia superiore alla vostra Torino. Non rivendico questa supremazia, perché Torino è unica in ogni multiverso. Tutte le forme di Torino sono, in un certo senso, Torino. Tuttavia, conosco bene Torino. Conosco ogni singolo quartiere e ogni strada. Conosco tutte le varietà di cioccolato e tutti i bar in cui è possibile farsi un “bicerin”. Conosco la mia città come potrebbe conoscerla Giuseppe Culicchia. Tutte le forme di Torino contengono una forma di Beppe Culicchia. Penso sia importante che lo sappiate. Torniamo al motivo della mia visita. Come torinese affezionato, devo confessarvi però che voi non possedete alcune caratteristiche della mia futuristica, visionaria e fantascientifica Torino. Per prima cosa c’è lo Slow Food. So perfettamente che tutti i piemontesi sono orgogliosi del loro movimento Slow Food. E non voglio assolutamente urtare i vostri sentimenti. Ma il nostro Slow Food è più lento del vostro. Molto più lento. Nel vostro mondo, Carlo Petrini, detto Carlino da Bra, è considerato un uomo dell’opposizione. È un “no global”, uno che combatte i McDonalds e i fast food. Carlo è uno che va controcorrente.

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Nella mia Torino, Carlo Petrini rappresenta l’establishment. È un gentleman con un ruolo di potere. Il Signor Petrini ha avuto successo in elezioni politiche. È proprietario di una rete televisiva. È un multimilionario che gestisce una catena di supermercati italiani. Quando gira per la città con il suo convoglio di limousine blindate, la gente scende in piazza per difendere i McDonalds. I McDonalds tremano di fronte a Carlo Petrini. Il signor Petrini è il principale rappresentante dell’imperialismo culturale torinese. Vi vedo perplessi. Penso sia necessario che vi spieghi cosa intendo per “imperialismo culturale torinese”. Questa definizione vi sembrerà strana. Nel mio multiverso, noi torinesi la sentiamo spesso. Nel mio mondo, si usa “imperialismo culturale torinese” per indicare la pressione, il potere della cultura torinese. La nostra cultura sta cambiando la gente. Una pressione che a volte è lenta e sottile, come un savoiardo che si dedicasse alla politica. Altre volte è rapida e ti sorprende, come il Risorgimento. Ma in ogni caso si fa sempre sentire perché è reale. Siamo una presenza. Non si tratta di imperialismo militare. E neanche di imperialismo finanziario. È una forma di antimperialismo alla quale le persone non sanno resistere. E non resistono. Sono appena in grado di descriverla. Assomiglia un po’ a una delle figlie piemontesi più famose: Carla BruniSarkozy, la prima donna della vicina Francia. Ma il paragone non regge. È molto più facile credere che Bruce Sterling venga rimpiazzato da Bruno Argento che non credere che Carla Bruni diventi la prima donna di Francia. Ma è successo. La gente però non sa cosa farsene di lei, si intimidisce al cospetto del suo fascino. Nel mio mondo, Torino è la Carla Bruni delle città. Questo è ciò che le persone intendono quando parlano di “imperialismo culturale torinese.” Vogliono dire che alcune cose - la struttura della nostra vita, il nostro atteggiamento e il nostro modo di vivere, emanano da noi. Voglio però utilizzare parole più semplici e immediate per spiegare tutto ciò. Come sappiamo, Torino è la “Capitale mondiale del Design 2008.” Lo stesso vale anche per la mia Torino. Ma la mia Torino è anche la “Capitale mondiale dell’Industria della tradizione alimentare” e la “Capitale mondiale dei veicoli ecologici”. Siamo la “Capitale mondiale del Restauro dei palazzi reali”, la “Capitale mondiale della Cyber Cultura Artistica” e la “Capitale europea delle lingue regionali in via di estinzione”. Abbiamo smesso di chiedere di essere capitale ma è la gente che ci OBBLIGA ad esserlo. La mia Torino non è la capitale d’Italia. La capitale è Roma, conosciuta come la “città eterna.” Torino non è “eterna.” Posso essere sincero? Non è il massimo essere “eterni.” Per definizione, in una capitale eterna non può succedere niente di interessante. Le tombe sono eterne. Se volete

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essere una tomba, dovete chiamarvi eterni. Torino non è una tomba. Torino è la capitale mondiale del Futurismo. Al giorno d’oggi il design industriale rappresenta un settore molto importante. La Conferenza Internazionale delle Società di Industrial Design è una grande organizzazione per cui Torino è la capitale mondiale del Design solo per un anno. E l’anno sta finendo. Il Futurismo, comparato al design, rappresenta un’impresa di piccole dimensioni. Tutti possono dire di conoscere importanti designer come Michele di Lucchi, Luigi Colani, Massimo Vignelli, e Mario Bellini. Ed altri meno famosi come Philippe Starck, Karim Rashid e Ross Lovegrove. Ora, provate a ricordare il nome di qualche superstar del Futurismo. E più semplicemente ancora: nominate un futurista italiano. Poiché l’Italia ha inventato il Futurismo, dovrebbe ospitare molti futuristi. In realtà non è così. I principali rappresentanti del movimento futurista sono morti da quasi cento anni. Il Futurismo italiano è così vecchio che le statue dei futuristi italiani sono effigiate sulle monete. Ciononostante, la mia Torino è stata la capitale del Futurismo per molti anni. E questo ci ha giovato molto. Lasciatemi spiegare come fare per diventarlo. È sorprendentemente semplice. Per prima cosa, dovete dichiararvi da soli Capitale mondiale del Futurismo. E questa è la parte più difficile. Poi dovete creare e dotarvi di un piccolo istituto culturale in cui ospitare e nutrire dei futuristi. Cinquanta futuristi saranno sufficienti e se riuscite a far stare cinquanta futuristi in un solo edificio, allora sarete veramente la Capitale mondiale del Futurismo. Fortunatamente, Torino è piena di piccoli istituti culturali. È stato quindi semplice creare un altro istituto per una dozzina di futuristi impazienti che organizzano conferenze, fanno ricerche, scrivono dossier e hanno una editrice accademica. La cosa difficile è stata convincere il mondo che noi, Torino, eravamo la capitale del futuro. Questa audace dichiarazione non corrispondeva alla nostra riservatezza naturale, la famosa dignità torinese. È stata una piccola violenza all’immagine che avevamo di noi stessi quella di dichiararci la città più futuristica del mondo. Temevamo di dover liberarci dei cimeli di famiglia e di dover vivere con i mobili di plastica progettati da Joe Colombo.

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Ma in realtà era un falso problema perché il futuro degli anni ’60, epoca di Joe Cesare Colombo, non è il futuro. È il passato. Un vero futurista è in grado di trovare molte buone ragioni per dimostrare che Torino è la città del futuro. Torino personifica la maggior parte delle tendenze dell’inizio del XXI secolo. Torino ha il profilo demografico del futuro. Ha la varietà etnica del futuro. È una città postautomobilistica. Ed è anche una città del dopo panico finanziario. Torino non ha nulla a che vedere con quella morta idea di futuro ipotizzata negli anni 60. Torino ha tutte le qualità del futuro attuale. Ma la cosa più importante è che Torino può fare qualcosa per il futuro. Le idee futuristiche sono difficili da mettere in pratica. Considerate ad esempio i diversi livelli fisici dell’organizzazione politica e sociale. Ci sono i diversi livelli del pianeta, l’Unione Europea, lo stato, la regione, la città, il quartiere, l’edificio e l’individuo. E che dire del futurismo? La maggior parte dei futuristi sono degli individui. Sono persone semplici, preparate e di mestiere. Possono essere anche dei romanzieri o dei giornalisti, come me. Alcune volte i futuristi si radunano in piccoli studi e istituti. Esistono anche alcune società di consulenza futuriste. Ma la maggior parte sono individui. Scrittori, studenti, pensatori. Quindi, può un intero pianeta essere futuristico? No. L’Unione Europea è futuristico? Certamente no. L’Italia è un paese futuristico? Molte delle persone che occupano oggi posizioni politiche

erano negli stessi posti anche 20 anni fa. Può una regione come il Piemonte essere futuristico? Sì, moderatamente. Ma può una città essere futuristica? La città è la prima tra queste strutture che può essere genuinamente futuristica. Quindi, quando qui a Torino abbiamo dichiarato di essere la Capitale mondiale del futurismo, non c’erano rivali. La corona era nostra. Lasciatemi illustrare i benefici culturali che abbiamo tratto da questo fatto.

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Prima che noi torinesi ci autodichiarassimo futuristi e cominciassimo a pensare in modo futuristico, ci consideravamo minacciati dal futuro. Eravamo un popolo di delusi che difendeva i propri valori. In poche parole, eravamo dei reazionari. Sebbene avessimo molti aspetti dell'avanguardia, non ci consideravamo un’avanguardia. Pensavamo di essere una città di frontiera; visto che non eravamo in grado di percepire le tendenze, non sapevamo che essere città di frontiera significava avere una posizione di leadership. Pensavamo di essere alla periferia degli eventi mondiali, non eravamo capaci di vederci in prima linea negli eventi mondiali. Eravamo una capitale in ombra. Il sole non aveva illuminato il profilo della nostra forza. Torino è stata spesso un luogo oscuro. Tuttavia, è anche stata un luogo forte. Gli storici descrivono il Piemonte dei Savoia come la Prussia mediterranea. Torino è una roccaforte, una fortezza. In Italia, ogni altra città importante era una città stato. Torino non è mai stata una città stato. Torino è stata l’unica importante città d’Italia ad essere stata progettata. Quindi, Torino non è mai cresciuta in modo selvaggio, disordinato o casuale. Torino è sempre stata la città delle cartine, degli schemi e degli intenti profondi: a volte dinastici, altre volte industriali ma sempre in un’ottica di pianificazione. C’è anche un altro fattore importante. Come romanziere, penso che questo potrebbe essere il nostro segreto. Torino non ha mai raggiunto nessuna grandezza guardando solamente ai propri problemi. È sempre tramite le crisi di altri popoli che è emersa la nostra seppur latente potenza. Torino diventa grande quando altre città, altre regioni, altre nazioni sono in crisi. Quel che conta, non è la nostra sofferenza. Se Vittorio Emanuele quando stava per diventare re d’Italia anziché fare il suo famoso discorso avesse dichiarato “Posso udire il mio grido di dolore”, la sua dinastia non avrebbe mai unito l’Italia. Nessuno ode il grido di dolore di Torino. Quando piangiamo per il nostro dolore, non importa a nessuno. Nessuno ha mai prestato ascolto ai nostri lamenti! Neanche un po’. È quando NOI udiamo gli ALTRI piangere di dolore, che la vita diventa interessante.

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Non dobbiamo neppure essere frettolosi su questo. Se conoscete il vostro glorioso Risorgimento (150 anni di storia), forse vi ricorderete che Vittorio Emanuele disse che “non siamo insensibili al grido di dolore che da molte parti d’Italia si leva verso di noi”. “Rimanere insensibili”. Un’espressione molto torinese. Ovviamente il grido di dolore colpiva Vittorio Emanuele da tempo ma non per questo reagì in fretta. Non ebbe una reazione improvvisa, passionale ed emotiva. Al contrario, ammise di fronte al Parlamento di aver scelto di essere insensibile. Torino si trova in una situazione analoga. È una città molto ben educata e ben informata. La gente di Torino si interessa con passione alle questioni pubbliche. La città è un centro editoriale. È piena di architetti, designer, ingegneri, industriali, programmatori, militari. Pullula di talenti e risorse. Chiunque a Torino è in grado di udire il grido di dolore. Abbiamo scelto di essere insensibili. Abbiamo sempre avuto la potenzialità di mobilitarci per porre fine al grido di dolore. Abbiamo scelto di essere sordi. È il grido di un disagio nascente. È il grido di una civiltà incapace di creare e progettare una vita migliore. È un mondo che ha abbandonato se stesso a fluttuazioni casuali e che chiama tutto ciò “saggezza”. Un mondo che rifiuta di intervenire in modo costruttivo per salvarsi dai pericoli presenti e lampanti. Il mondo ha paura, il mondo ha la guerra. Il mondo vede un importante declino dell’ambiente. È corrotto, ha istituzioni inadeguate e assenti e ora, a causa della crisi finanziaria, il mondo vive il primo panico finanziario veramente globale. E Torino rimane insensibile. Perché Torino ha difficoltà nell’immaginarsi come capitale mondiale. Non che Torino sia INCAPACE di esserlo. Dopo tutto, un tempo Torino è stata capitale d’Italia e nessuno se l’aspettava. Torino è la Capitale mondiale del Design. Il Design è importante. Torino potrebbe essere la capitale mondiale di tante cose importanti. Questo è il grido di dolore. Il grido è una gigantesca opportunità torinese. Nella mia Torino, lo abbiamo capito. Ed è ovvio per noi. Ma non siamo solamente diventati la città del futuro. Per prima cosa ci siamo immaginati come città del futuro. Poi abbiamo iniziato a cambiare. Il cambiamento era impercettibile. Ci vorrebbero capacità letterarie per descrivere un cambiamento nel carattere pubblico. Ma siamo cambiati. Potrei raccontarvi una storia su questo. Una storia personale.

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Dopo tutto sono un romanziere. Un tempo la mia vita era piena di robaccia letteraria. Ad esempio, vecchie copie della rivista di fantascienza di Italo Calvino. La principale pubblicazione futuristica di Torino. Naturalmente scrivo per la rivista, così come fanno tutti i più famosi scrittori di fantascienza italiani: Valerio Evangelisti, Gloria Barberi, Massimo del Pizzo... il mondo intero conosce questi nomi. In poco tempo, il mio piccolo appartamento torinese si è riempito di robaccia letteraria: premi, targhe, edizioni straniere dei miei libri, adattamenti di Hollywood, souvenir, copertine dei miei libri ecc. ecc.. Stava diventando impossibile muoversi. Lentamente stavo per esserne sopraffatto. Quindi mi sono fatto una domanda molto semplice. “Bruno,” mi sono detto, “sei un cittadino della Capitale Mondiale del Design. Come puoi permetterti di essere travolto da questa robaccia? Ti comporti come se fossi una vittima incapace di difendersi dalle forze casuali del mercato, quasi come un americano”. Quindi mi sono dato tre regole. Ho analizzato gli oggetti che ingombravano la mia vita decidendo di fare qualcosa in proposito. Sono belli? Questa è stata la mia prima domanda. Ero così affezionato a loro che se uscivano dalla mia vita, ne avrei notato l’assenza? Questa è stata la seconda domanda. E per ultima, hanno mai avuto una funzione utile nella mia casa? In altre parole, erano ben progettati e in buone condizioni? Mi sono obbligato a rispondermi con onestà. La maggior parte degli oggetti della mia vita hanno immediatamente fallito la prova. Erano brutti o non ne avevo cura, erano rotti ed ero troppo pigro per buttarli. Ho scritto un articolo su questo argomento per ABITARE. Non il vostro ABITARE—il mio ABITARE, la rivista molto nota a Berlino, Tokyo e Mosca. Questi oggetti inutili e sgraziati... mi stavano danneggiando. Mi stavano allontanando dagli obiettivi. Mi stavano riducendo ad una brutta copia di Bruno Argento, a un essere umano inferiore. Rappresentavano un livello sentimentale del caos. Mi consentivano di nascondermi all’interno della confusione, trasformandomi in un essere passivo. Questo materiale mi allontanava dalla libertà esistenziale. Ognuno di questi oggetti occupava il mio spazio come un invasore. Mi rubava del tempo prezioso.

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Ho scoperto che, quando ero circondato da oggetti utili, pieni di significato e capaci di parlare al mio civilizzato senso estetico, mi sentivo veramente me stesso. Avevo più chiarezza, più obiettivi. Avevo più tempo per gli amici. Quando venivano a trovarmi dicevano: “Bruno, stai proprio bene!” Non avevano notato che avevo buttato la metà dei miei oggetti personali! Alcuni erano addirittura invidiosi. Vedevano che gli oggetti sopravvissuti erano belli e ben progettati. Per cui probabilmente pensavano che avevo fatto i soldi. Non ero diventato ricco. Ero entrato nel futuro. E avevo potuto farlo perché ero meno oppresso dalla spazzatura. Oggi mi sono dato altre regole. Prima di acquistare un nuovo oggetto, devo prima sacrificarne un altro. Forse vi ricordate che ho scritto un romanzo su questo argomento. Oh, è vero, in questo mondo, non ci sono romanzi di Bruno Argento. Avete solamente gli sfortunati romanzi cyberpunk di quello scrittore texano di fantascienza. Bene, se i cimeli di casa erano brutti, provate a immaginare cosa fossero le mie idee politiche. Erano convinzioni politiche belle? Se per caso mi dimenticassi di loro, sarei in grado di ricordarle nuovamente? Riuscivano a farmi raggiungere benefici concreti nella vita di tutti i giorni? Forse potete immaginare le discussioni che abbiamo avuto... I romanzi di idee, il nuovo teatro, la rivitalizzazione della nostra vita pubblica. Un futurista deve creare prototipi, postulare, speculare, sperimentare. Un designer deve confrontarsi con la natura dei materiali. Quindi, immaginate una città che sperimenti con la natura dei materiali. Sembra molto semplice da dire. Ma vivere in una città di questo tipo... perché me ne dovrei mai andare? Perché uno dovrebbe desiderare di vivere altrove? Non dirò mai che abbiamo raggiunto un’Utopia. L’umanità è deviata. Su di essa non può essere costruito nulla di lineare. Potrei dire che Torino ha raggiunto una consapevolezza torinese. Con il design e il futurismo, guardando al di là dei confini, ascoltando il grido di dolore, abbiamo risolto alcune delle nostre contraddizioni e abbiamo raggiunto una posizione di leadership. La gente guarda alla nostra città come a una dimostrazione di che cosa sia possibile raggiungere in circostanze come le nostre. Ottima cosa. Naturalmente la condizione di leadership è fastidiosa

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di natura. Per una città, anche la prosperità potrebbe essere fastidiosa. Non siamo la metropoli più grande del mondo. Ed è difficile gestire l’ingresso di coloro che vogliono unirsi a noi. Tuttavia, il dovere di una capitale consiste nel civilizzare e organizzare le città minori. E questo è il motivo per cui esportiamo le nostre capacità organizzative. O, come gli atri popoli direbbero, pratichiamo l’imperialismo culturale italiano. Questo è l’unico tipo di imperialismo di cui disponiamo, l’unico concreto, l’unico veramente possibile. E la mia Torino ce l’ha e agisce di conseguenza. L’industria tradizionale italiana sta ricostruendo i palazzi di tutta Europa. L’editoria italiana è considerata un grande centro di studio per risolvere i problemi di integrazione europea, che al giorno d’oggi significa affrontare il problema dell’unione. L’esercito italiano è focalizzato sui problemi militari contemporanei, principalmente la costruzione dello stato. In un mondo in cui la finanza globale è in crisi, la finanza italiana è genuinamente creativa. Inoltre, mentre nella maggior parte dei paesi, l’editoria soffre di debolezza, l’Italia stilla letteratura. Stilliamo letteratura perché anche le nostre fantasie hanno un senso di urgenza. Come Galileo, Colombo, Marco Polo e Calvino aspiriamo a costruire la mappa del mondo. Aspiriamo a costruire la mappa del multiverso! La mappa dei mondi paralleli! Puntiamo a visitare intellettualmente e a sviluppare tutti i mondi possibili! Grazie quindi per avermi ospitato, il fratello gemello di Bruce Sterling. Non avrete ulteriori occasioni di rincontrami. Devo affrontare alcune questioni urgenti nel mio mondo. Me ne vado. Grazie.

Presentato alla conferenza Multiverso il 19 Ottobre 2008 a Torino, nell’ambito delle manifestazioni ICOGRADA per Torino Capitale Mondiale Del Design 2008 Immagini di: kandinski, lonesome cycler, zac mc, sedoglia, torephoto Traduzione italiana di Gabriella Soldadino Pubblicato con licenza Creative Commons Attribution

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