Memorie Di Massa

  • November 2019
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MEMORIE DI MASSA e MEMORIE A SEMICONDUTTORE 1 MEMORIE DI MASSA

Generalità Poiché la memoria RAM è soltanto temporanea, dati e programmi per non essere perduti devono essere salvati su memorie permanenti ovvero le memorie di massa. Le più importanti e diffuse memorie di massa sono l’hard disk (disco rigido o disco fisso), il floppy disk e i CD-ROM. I floppy sono i supporti più adatti al trasporto dei dati, mentre CD-ROM sono i più adatti per la lettura di software commerciali. Il disco rigido rappresenta il principale dispositivo per la memorizzazione dei dati.

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1.1 Hard disk Gli hard disk sono un supporto di memorizzazione di massa leggibile e scrivibile, basato su tecnologia magnetica. Il disk drive (o unità a disco) è costituito da uno o più dischi sovrapposti e montati su un unico asse (tecnologia Winchester), composti di materiale plastico o metallico (tipicamente alluminio), rivestiti da una superficie di materiale ferromagnetico (ad esempio ossido di ferro) e fatti ruotare contemporaneamente da un motore incorporato nello stesso asse di rotazione. Normalmente entrambe le facce del disco vengono utilizzate per memorizzare le informazioni, dunque sarà presente un numero di testine di lettura/scrittura in numero pari al doppio del numero di dischi presenti all’interno dell’unità a disco; le varie testine sono disposte a pettine. Sulle facce del disco le varie zone che conterranno le informazioni sono disposte in una sequenza di tracce concentriche; ogni traccia è poi a sua volta suddivisa in settori. Tracce omologhe appartenenti ai vari dischi formano una struttura logica che viene detta cilindro. La lettura e la scrittura delle informazioni vengono effettuate utilizzando delle apposite testine, che nel caso degli hard disk sono costituite da alcune spire conduttrici avvolte attorno ad un nucleo ferromagnetico, che devono essere posizionate sul punto in cui si desidera scrivere un dato binario: facendo scorrere la corrente nell’una o nell’altra direzione si creerà un campo magnetico che magnetizzerà il materiale sottostante nella direzione voluta (scrittura), mentre rilevando una differenza di tensione indotta ai capi dell’avvolgimento sarà possibile rilevare l’orientamento attuale della zona al di sotto della testina (lettura). Come si vede il principio fisico utilizzato da tutte le memorie magnetiche è lo stesso delle calamite: ogni magnete ha due poli magnetici con proprietà opposte, e in tal caso un orientamento indotto localmente nel materiale magnetico identificherà l’informazione binaria 0, l’orientamento opposto identificherà l’informazione binaria 1. La memorizzazione delle informazioni così ottenuta è permanente, in quanto l’orientamento in Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

una delle due direzioni opposte del campo magnetico si mantiene da sola anche in assenza di alimentazione. All’interno del drive, costituito da una unità sigillata per evitare qualunque penetrazione di polvere, la testina di lettura/scrittura è fissata su di un braccio portatestine che la muove in direzione radiale in modo da non farla mai poggiare sulla superficie del disco ma facendola stazionare a meno di un micron da essa; lo stesso drive avrà poi il compito di far ruotare il disco ad una certa velocità, alla quale siano consentiti la lettura e la scrittura dei dati richiesti. In tal modo per posizionare la testina su di un certo dato bisognerà attendere il tempo di posizionamento della testina sulla traccia richiesta (tempo di posizionamento o seek time) e il tempo di rotazione del disco per portare il settore richiesto sotto la testina stessa (latenza rotazionale). La somma del tempo di posizionamento e della latenza rotazionale viene detta tempo di accesso. Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche degli hard disk attualmente in commercio, essi presentano capacità comprese tra 20 e 100 GB, una velocità di rotazione di 5400 o 7200 rpm (rotations per minute, giri al minuto), e tempi medi di accesso compresi tra 8 e 10 ms. C’è da notare che mentre fino a qualche anno fa i drive potevano essere composti da molti dischi coassiali (anche 8), oggi i modelli più recenti sono internamente composti solo da uno o due dischi (e quindi le testine sono 2 o 4 rispettivamente); questo non impedisce di ottenere capacità di memorizzazione e velocità molto elevate (40 GB e 7200 rpm). Sulla carta i dischi da 7.200 giri al minuto offrono prestazioni nettamente superiori rispetto ai modelli da 5.400 giri, ma in realtà sulle prestazioni incide molto di più la dimensione del buffer per i dati: questa memoria funziona come un tampone tra la relativamente lenta velocità di scrittura e lettura del disco fisso e il più veloce bus dei dati. Nel buffer sono registrate sia le informazioni da scrivere sul disco sia quelle lette. Se l’informazione richiesta si trova in memoria il tempo di trasferimento si misura in microsecondi anziché nei millisecondi necessari all’attuatore per spostarsi alla posizione dove si trovano i dati. I dischi fissi utilizzano una particolare funzione chiamata read ahead, la lettura anticipata dei dati che si trovano nei settori successivi dopo quelli richiesti dalla CPU, confidando nella probabilità che siano i prossimi richiesti dal software. La deframmentazione del disco aumenta questa probabilità, in particolare con i file di grandi dimensioni. Attualmente la capacità media del buffer è di circa 2 MByte, e a questo parametro per quanto detto bisogna prestare particolare attenzione. Riguardo alle interfacce di collegamento, nei componenti di archiviazione come i dischi fissi, i CD-ROM e le unità a nastro, l'interfaccia più comune e meno costosa è costituita dal bus IDE o ATA. Il protocollo IDE (Integrated Drive Electronics) è stato definito nel 1986 da Western Digital e Compaq; varie proposte sono poi confluite in uno standard noto come ATA (AT Attachment); i due termini IDE e ATA possono quindi essere usati in modo intercambiabile. Il protocollo IDE si è poi evoluto in EIDE (Enhanced IDE) che ha permesso di raggiungere velocità più elevate. Sulle schede madri è disponibile un controller EIDE a 2 canali, con due connettori di collegamento ai drive. Su ogni canale, al quale viene connesso un cavo piatto a 40 poli, possono essere collegati due drive in cascata: uno è il master, l’altro si comporterà da slave. In totale si possono dunque avere 4 unità EIDE tra hard-disk, lettori di CD, masterizzatori e lettori di DVD. Il bus IDE-ATA fa uso di due diversi metodi per comunicare con il computer. Uno è costituito dall'accesso DMA (Direct Memory Access), anche detto bus mastering (controllo diretto del bus), per scambiare direttamente i dati tra disco e la RAM di sistema gestito dal controller dell'hard disk con l'ausilio del chip set, con un minimo intervento diretto della CPU. L'uso di questa tecnica è limitato dalla velocità e dalla larghezza di banda del bus di sistema della scheda madre. Al Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

contrario, la modalità PIO (Parallel Input/Output) richiede un pesante intervento del processore per trasferire i dati dall'hard disk alla memoria centrale. Le velocità ottenibili con questo schema sono cresciute mano a mano che si sono resi disponibili sul mercato processori caratterizzati da maggiori prestazioni, mentre lo sviluppo del metodo DMA è stato ostacolato dal collo di bottiglia di un bus di sistema che non si è evoluto. Con i dischi EIDE, fino a un po' di tempo fa i limiti teorici di queste due modalità nella loro implementazione massima (PIO Mode 4, DMA Mode 2) coincidevano in un burst transfer rate di 16,7 MByte/sec. La differenza sostanziale era rappresentata dalla percentuale di occupazione della CPU, che risultava sensibilmente inferiore abilitando il trasferimento DMA e che lasciava il processore libero di eseguire altre elaborazioni parallelamente all'attività dell'hard disk. L'avvento di architetture più veloci come quelle EIDE e PCI ha tuttavia portato a realizzare uno schema DMA più veloce. Oggi esiste un gran numero di modalità PIO e DMA, e tutti i nuovi dischi fissi ne supportano più d'una. Pochi anni fa è stata introdotta l'interfaccia Ultra DMA/33 (anche nota come ATA-4), capace di raggiungere un burst transfer rate (trasferimento a raffica di pacchetti) di 33 MByte/sec tra l'hard disk e la RAM di sistema, anche se soltanto in congiunzione con i nuovi chipset per schede madri. Il protocollo di trasmissione Ultra DMA/66, introdotto successivamente, rispetto all’Ultra ATA/33 raddoppia la velocità di trasferimento dei dati in modalità burst. L’Ultra ATA/66 è totalmente compatibile verso il basso con i precedenti standard EIDE e anche il connettore è identico L’unica differenza è nel cavo: mentre gli EIDE impiegano un cavo piatto con 40 fili, l’Ultra DMA/66 ne richiede uno con 80 fili. I 40 fili in più sono collegati alla massa e servono per evitare interferenze tra i segnali. Sia il disco sia il controller devono essere in grado di rilevare la presenza del cavo e abilitare il protocollo, altrimenti il disco opera nel modo inferiore, Ultra DMA/33. Negli ultimissimi mesi si è poi passati all’interfaccia Ultra DMA/100 (anche nota come Ultra ATA/5), che prevede un burst throughput di 100 MByte/sec, e al protocollo Ultra DMA/133. Questo ultima interfaccia non è ancora divenuta un vero standard e probabilmente non ne avrà il tempo, vista la prossima introduzione dell’interfaccia Serial ATA e alle ottime prestazioni che questa dovrebbe fornire. Da diversi anni gli hard disk di fascia alta presenti sul mercato dei PC hanno abbandonato il bus IDE-ATA in favore della migliore interfaccia SCSI (Small Computer System Interface, si pronuncia “scasi”), usata anche dai computer Apple Macintosh. Questa tecnologia supporta la connessione di molte periferiche a un singolo canale ed è più efficiente di quella IDE. Pur essendo veloce, con le più recenti interfacce Ultra DMA viene meno la necessità di utilizzare bus di comunicazione SCSI, in quanto per ottenere prestazioni di poco superiori bisogna spendere cifre ragguardevoli (le comuni schede madri integrano un controllore ATA, ma per lo standard SCSI c’è bisogno di un controllore apposito; inoltre il costo di un hard disk SCSI può arrivare ad essere anche 4 volte quello di un disco Ultra DMA equivalente). L'interfaccia SCSI costituisce tuttavia un'utile aggiunta per i server, le workstation con batterie di dischi RAID o i PC destinati ai professionisti. RAID (Redundant Array of Inexpensive Disks, array ridondante di dischi economici) è una configurazione che utilizzando più hard disk in parallelo permette di offrire maggior velocità oppure maggior tolleranza ai guasti. è possibile implementare vari livelli RAID tra quelli standardizzati: il livello 0, detto striping, distribuisce uniformemente i dati tra le varie unità, per cui accedendo simultaneamente più dischi Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

quando si legge o scrive è possibile aumentare il thoughput del sistema (metà dei dati verranno scritti su un disco e l’altra metà sull’altro); invece il livello 1, detto mirroring, prevede che ogni disco sia affiancato da un secondo disco che semplicemente ne effettua una copia (in tal caso, se uno dei dischi si guasta l’altro subentra senza interruzioni). L’elemento positivo dello schema RAID è che si possono combinare tra loro vari livelli, ad esempio disponendo di 4 hard disk (economici!) è possibile configurare una coppia in striping e usare la seconda coppia in mirroring; questo schema è noto come RAID 0+1.

1.2 Floppy disk I floppy disk sono supporti di memorizzazione di massa leggibili e scrivibili (ma la scrittura può essere inibita), basati sulla stessa tecnologia magnetica degli hard disk. Rispetto agli hard disk essi sono rimovibili, dunque possono essere usati per trasportare dati ma sono molto meno capienti e meno veloci; inoltre rispetto all’hard disk qui appare molto netta la suddivisione tra il supporto di memorizzazione, definito floppy disk e sempre costituito da un unico disco di materiale plastico ricoperto da una custodia protettiva, e l’unità a disco vera e propria, detta floppy disk drive, fissata sul frontale del case del computer e quindi dotata sempre di 2 testine, una per la faccia superiore del disco ed una per la faccia inferiore. Una ulteriore differenza riguarda le testine di lettura/scrittura, che nel caso dei floppy toccano effettivamente la superficie del disco usurandolo abbastanza velocemente. Il formato più diffuso alcuni anni fa era quello da 5,25” (cinque pollici e un quarto, pari a circa 13 cm di diametro), in cui un disco di mylar (un materiale plastico molto morbido, da cui il nome floppy) e con un rivestimento di ossido di ferro sensibile ai campi magnetici era contenuto in un involucro flessibile tipicamente di colore nero. Tale involucro era internamente rivestito da un materiale speciale per aiutare il disco a ruotare dolcemente e garantire la pulizia della superficie. Una grossa apertura ovale, sempre accessibile, forniva l’apertura per le operazioni di lettura/scrittura; una tacca su un lato della custodia esterna serviva ad inibire la scrittura, per evitare la cancellazione accidentale di dati: quando tale tacca veniva coperta con una etichetta adesiva (inclusa nella confezione) non era possibile scrivere sul disco. A seconda del drive, del tipo di disco acquistato e del sistema operativo in uso era possibile memorizzare su ogni supporto 360 KB (questo formato era utilizzato sul primo PC IBM e sul PC XT) oppure 1,2 MB (questo formato venne introdotto con il PC AT). Il formato più diffuso da molti anni è quello da 3,5” (tre pollici e mezzo, pari a circa 8,75 cm di diametro); questa volta l’involucro è in plastica rigida, e l’apertura per il contatto della testina con il disco interno è protetta da un otturatore metallico scorrevole che il drive sposta internamente quando il disco viene inserito e che ritorna poi automaticamente in posizione grazie ad una molla quando il disco viene estratto. La protezione in scrittura viene segnalata tramite una linguetta scorrevole: per poter scrivere sul disco tale linguetta deve essere spostata in modo da occludere il foro corrispondente. Nuovamente, a seconda del tipo di drive e del tipo di disco acquistato, è possibile memorizzare su ogni supporto quantità differenti di dati, pari a 720 KB o 1,44 MB; il disco da 720 KB viene chiamato anche DS-DD (Double Side - Double Density), mentre quello da 1,44 MB è identificato dalla sigla DS-HD (Double Side - High Density); questi ultimi dischetti ad altà densità (HD o High Density) anche esteriormente si differenziano dagli altri per la presenza di un foro aggiuntivo su un lato dell’involucro e delle lettere “HD” stampate vicino all’otturatore metallico. Per un breve periodo apparve sul mercato anche un drive che su dischi particolari era in grado di memorizzare 2,88 MB, ma esso ha avuto scarso successo ed è stato installato solo su alcuni modelli di personal computer IBM. Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

Negli ultimi anni sono stati anche sviluppati particolari tipi di dischetti con capacità fino a 100 MB ed oltre (Iomega Zip e Imation Superdisk), ma essi hanno avuto una scarsa diffusione sia per la mancanza di standardizzazione sia per la capillare diffusione dei masterizzatori di CD. La seguente tabella riporta le caratteristiche fondamentali dei quattro tipi di floppy disk più comuni: Dimensione [pollici] 5,25 5,25 3,5 3,5 Capacità [byte] 360 KB 1,2 MB 720 KB 1,44 MB Tracce 40 80 80 80 Settori/Traccia 9 15 9 18 Testine 2 2 2 2 Rotazioni/minuto 300 360 300 300 Velocità [Kbps] 250 500 250 500 Custodia Flessibile Flessibile Rigida Rigida Sulla scheda madre è abitualmente presente, oltre ai 2 canali IDE per gli hard disk, un apposito connettore per il drive di floppy disk, distinguibile da quello dell’hard disk perché dotato di un numero inferiore di poli; come per gli hard disk, su ogni canale fisico è possibile collegare 2 unità. Anche se ormai capita raramente di vedere PC dotati di 2 floppy drive, c’è da notare che i primi PC IBM non disponevano di hard disk, dunque i floppy disk rivestivano grande importanza, perché da uno di essi era possibile caricare il sistema operativo e i programmi da eseguire, e dall’altro i dati sui quali lavorare; inoltre 2 drive permettevano di effettuare la copia “al volo” del contenuto dei floppy disk, in quanto, non essendo disponibile un hard disk, per la memorizzazione intermedia dei dati da copiare bisognava utilizzare la memoria centrale (per copiare un disco occorreva inserire più volte i dischi sorgente e destinazione). Normalmente nei sistemi basati su MS-DOS o Windows i due drive per floppy vengono identificati dalle lettere di unità A: e B: (anche se la seconda unità floppy è assente agli hard disk e ai CD-ROM devono essere dunque assegnate le lettere da C: in poi). Come detto la principale differenza dagli hard disk riguarda il fatto che tali dischi sono estraibili, quindi possono essere agevolmente utilizzati per trasportare limitate quantità di dati; purtroppo la meccanica molto meno miniaturizzata e la presenza di grandi forze di attrito (il disco non è sigillato) rendono tale drive molto lento. Dal punto di vista delle prestazioni la velocità di rotazione è di circa di 360 rpm (rotations per minute, giri al minuto), contro i 5000-7000 degli hard disk, mentre il tempo di accesso è di circa 100 ms (più di dieci volte il valore tipico degli hard disk). I dischi a bassa densità hanno 40 tracce, quelli ad alta densità 80 (negli hard-disk circa 1000). Un disco da 1,44 MB memorizza 135 TPI (tracks per inch, tracce per pollice), quindi facendo i calcoli si desume che tra la prima e l’ultima traccia c’è una distanza di soli 1,5 cm (in effetti la finestrella del floppy permette di scoprire solo una piccolissima area). Lo stesso floppy da 1,44 MB suddivide poi ogni singola traccia in 18 settori di 512 byte ciascuno (sono 17 negli hard disk). Normalmente in ogni settore vengono memorizzati 512 byte. Quando si formatta un dischetto per predisporlo alla scrittura, si ottiene tra le altre informazioni “2847 unità di allocazione su disco”: in pratica con la FAT12 (File Allocation Table a 12 bit) è possibile assegnare ai vari file fino a 2^12 = 4096 gruppi di settori, detti appunto unità di allocazione o cluster. Nella pratica su un dischetto da 1,44 MB è possibile individuare 1.457.664 / 2.847 = 512 byte, dunque esattamente un settore; il comportamento è differente da quello adottato per gli hard disk, dove ad ogni file devono essere assegnati un numero intero di cluster, a loro volta costituiti da un numero di settori dipendente dalla FAT utilizzata e dalla dimensione del disco. Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

1.3 CD-ROM I CD-ROM (Compact Disk Read-Only Memory) sono un supporto di memorizzazione di massa a sola lettura (da cui il nome, che non deve portare a confonderli con le ROM basate su tecnologia a semiconduttore), basato su tecnologia ottica e che utilizza supporti rimovibili. In pratica essi sono molto simili ai comuni Compact Disk Audio, che contengono fino a 74-80 minuti di musica digitale, ma sono progettati per contenere fino a 640-680 MByte di dati. I

dischi ottici sono basati su tecnologia laser: il laser è un raggio di luce altamente concentrata e perfettamente controllato. Come i CD Audio, i CD-ROM “stampati” vengono preparati usando un laser ad alta potenza per fare buchi di un micron sul disco principale (master), da cui successivamente viene preparato uno stampo, che verrà poi utilizzato mediante sofisticate presse per fare copie su dischi di plastica; queste verranno poi rivestite da un sottile strato di alluminio ed infine da uno strato di plastica trasparente di protezione. Nei lettori di CD un sensore misura l’energia riflessa dalla superficie quando un laser a bassa potenza è indirizzato sulla superficie stessa. Le aree bruciate, chiamate pit (pozzi), e quelle non bruciate, dette land (territori), hanno indici di rifrazione diversi, e quindi è possibile distinguere tra pit e land, e ricostruire così la sequenza originale di 0 e 1 che può corrispondere ai campioni audio di una canzone o ai byte di un CD di dati. In realtà i dati non sono memorizzati direttamente sul disco, ma viene adottata la complessa codifica ad incrocio intercalato Reed-Solomon, che impiega più bit del codice di Hamming per permettere la correzione di errori multipli; inoltre, invece di associare direttamente 0 e 1 a pit e land (o viceversa), ogni transizione da pit a land o da land a pit indica un 1, mentre l’intervallo tra le transizioni dice quanti 0 sono presenti tra i bit. I dischi ottici sono molto più affidabili dei dischi magnetici, in quanto all’interno del drive la testina di lettura rimane sempre ad alcuni millimetri di distanza dalla superficie (mentre la testina di lettura/scrittura dei dischi magnetici sta a distanze dell’ordine dei micron negli hard-disk e addirittura a contatto con la superficie nei floppy disk). Inoltre i dati memorizzati su un CD-ROM sono isolati dall’ambiente esterno tramite un robusto strato protettivo di plastica; in pratica quando il laser illumina il disco per leggere i dati esso mette a fuoco il livello immediatamente sottostante la superficie fisica del supporto. Un disco CD-ROM è un supporto di plastica rigida spesso 1,2 mm e largo 120 mm con un foro centrale di 15 mm di diametro; il laser scrive i dati sul disco creando degli avvallamenti profondi 0,12 μm e del diametro di circa 0,6 μm; l’informazione viene scritta come un’unica spirale continua (diversamente dai dischi magnetici organizzati in tracce concentriche suddivise in settori) partendo dalla parte più interna del disco verso il bordo esterno su una sola faccia, ed ogni traccia di questa spirale dista dalla precedente 1,6 μm; la densità è di 16.000 tpi (tracks per inch) contro le 96 dei floppy disk. Sulla unica traccia a spirale i dati vengono memorizzati in settori di 2 Kbyte; in un CD Player (riproduttore di CD musicali) le informazioni relative alla musica devono essere lette ad una velocità lineare costante (CLV, Constant Linear Velocity) di 75 pollici/sec (poiché ogni settore deve essere letto in 1/75 di secondo), il che comporta che la velocità angolare di rotazione del disco all’interno del drive deve decrescere quando la testina si sposta verso l’esterno. Negli harddisk si adopera invece una velocità angolare costante (CAV, Constant Angular Velocity), ovvero il disco girà continuamente alla stessa velocità angolare, ottenendo in tal caso una densità di Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

registrazione minima nelle zone esterne; viceversa, la tecnologia CLV impiegata dai CD-ROM permette una densità di memorizzazione costante e dunque un migliore sfruttamento del supporto. La velocità di trasferimento nella lettura dei CD Audio è quindi di 153,60 KByte/sec; per semplicità tale valore verrà approssimato a 150 ed esso verrà assunto come velocità unitaria di riferimento. Nel caso di trasferimento di dati, diversamente dal caso della musica, sarà possibile leggere i dati a velocità molto superiori a quelle richieste dai contenuti musicali, e solitamente ci si riferirà al multiplo di velocità corrispondente: ad esempio un lettore di CD-ROM 2x leggerà circa 300 KByte/sec, un lettore 4x andrà a 600 KByte/sec e così via. Sono oggi disponibili anche lettori 40x, che per quanto detto leggeranno i dati ad una velocità di 150x40 KByte/sec = 6000 KByte/sec = 6 MByte/sec. Le interfacce utilizzate dai drive di CD sono le stesse degli hard disk; in pratica è possibile collegare il lettore di CD al canale EIDE secondario disponibile sulla scheda madre, e tale scelta è consigliabile rispetto all’installazione come dispositivo slave sullo stesso canale EIDE primario al quale l’hard disk è connesso come master; tale scelta, spesso adottata da molti assemblatori di PC per risparmiare i pochi euro del costo del secondo cavo piatto a 40 poli da connettere al secondo canale IDE, penalizza di molto le prestazioni in quanto la velocità dell’hard disk sarà limitata dalla inferiore velocità del lettore di CD. Fino a qualche anno fa la tecnologia che permetteva la registrazione dei CD era molto costosa e riservata ad un ambito professionale; da qualche tempo sono invece disponibili a basso costo i masterizzatori, che impiegano un sistema più economico per memorizzare i propri dati su un apposito supporto CD-R (CD Recordable, CD Registrabile): in pratica in fase di scrittura un raggio laser a bassa potenza “decolora” nei punti opportuni una pellicola organica colorata disposta sul supporto di alluminio riflettente, mentre in fase di lettura da parte di un secondo raggio laser la variazione di luce riflessa viene convertita in bit. Successivamente sono diventati disponibili anche masterizzatori riscrivibili, in grado cioè di scrivere più volte su un apposito supporto CD-RW (CD ReWritable, CD Riscrivibile), che può quindi essere utilizzato come se si trattasse di una unità a floppy in grado di contenere 600 MByte di dati. Di conseguenza ogni masterizzatore deve essere identificato da 3 parametri di velocità: la velocità di scrittura, la velocità di riscrittura su un dispositivo CD-RW, e la velocità di lettura nel caso lo si voglia utilizzare come un comune lettore di CD. Ad esempio un dispositivo 20x10x40x è in grado di masterizzare un CD-R alla velocità di 3 MByte/sec, di riscrivere un CD-RW alla velocità di 1,5 MByte/sec e di leggere qualunque tipo di CD-ROM / CD-R / CD-RW alla velocità di 6 MByte/sec.

1.4 DVD Già da qualche anno si sta diffondendo un tipo di supporto, direttamente derivato dal Compact Disk e ad esso apparentemente identico, che per le sue caratteristiche di enorme capacità di immagazzinamento si presta molto bene a contenere film in formato digitale ad alta definizione: si tratta dei DVD (Digital Versatile Disk), che nel campo televisivo stanno per soppiantare i comuni videoregistratori analogici in standard VHS. La tecnologia DVD aumenta la capacità del CD utilizzando 4 metodi: 1. la lunghezza del pit viene ridotta dal valore minimo di 0,834 μm dei CD a soli 0,4 μm; 2. la spaziatura tra le tracce (track pitch) viene ridotta dagli 1,6 μm dei CD a soli 0,74 μm; Dispositivi Programmabili Fabio Grossi

3. con i DVD doppio strato viene introdotto un secondo strato semi-riflettente intermedio, che il laser può mettere a fuoco indipendentemente da quello sottostante; 4. con i DVD doppio lato è stata prevista la possibilità di registrare entrambi i lati del disco. I DVD possono anche essere utilizzati per immagazzinare dati: utilizzando solo i primi due metodi gli attuali DVD sono capaci di immagazzinare 4,7 GB di dati. Aggiungendo ai 4,7 GB gli ulteriori 3,8 GB dello strato intermedio (meno riflettente) è possibile arrivare a 8,5 GB. Se poi si dovesse utilizzare anche la seconda faccia tale valore potrebbe essere raddoppiato per arrivare a ben 17 GB (quest’ultimo valore è di ben 25 volte superiore a quello ottenibile con i CD-ROM). Anche per i DVD, così come per i CD, esiste una velocità di riferimento: essa è pari a circa 1,4 MByte/sec; la modalità di lettura è CAV, ovvero come per gli hard disk e diversamente dai CDROM durante la lettura non viene mantenuta costante la velocità lineare ma la velocità angolare. In ogni caso gli attuali lettori di DVD sono compatibili all’indietro con i comuni CD che possono quindi essere letti senza problemi. I lettori DVD si stanno diffondendo abbastanza rapidamente; ma anche per questa tecnologia si rende necessario mettere a disposizione dei masterizzatori DVD: purtroppo al momento non c'è ancora uno standard stabilito, in quanto sono stati sviluppati vari metodi (DVD-RAM, DVD-RW, DVD+RW) tra loro incompatibili.

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