Materiali per l’industria meccanica 1 Meccanismi di rafforzamento 1.1 Rafforzamento per soluzione solida (6pt) È una tecnica utile per aumentare la durezza e la resistenza dei metalli legandoli con atomi di impurezza in modo da formare al loro interno soluzioni solide interstiziali o di sostituzione. Questo rafforzamento avviene grazie all’introduzione di atomi di soluto in soluzione solida nel reticolo del solvente, che vanno a posizionarsi vicino le dislocazioni riducendo gli stress residui. Le dislocazioni possono essere a spigolo e a vite, quest’ultime non sono indicate per questo tipo di rafforzamento per via dei campi tensionali di solo taglio. Nelle soluzioni solide sostituzionali, gli atomi del soluto possono sostituirsi agli atomi del solvente o muoversi nelle vacanze (in funzione anche della temperatura). In base alla dimensione dell’atomo di soluto si possono generare stress di compressione nel caso in cui l’atomo di impurezza sia più grande dell’atomo del solvente e stress di trazione nel caso opposto. Nelle soluzioni solide interstiziali invece, l’atomo di soluto (H, C, B, N) è di dimensioni molto ridotte rispetto all’atomo del solvente e pertanto può andare a occupare posizioni interstiziali del reticolo del metallo base (come ad esempio nel Fe-C dove il carbonio si posiziona nelle lacune ottaedriche). L’utilizzo di questo metodo di rafforzamento permette di abbassare l’energia legata alle dislocazioni e innalza l’azione tangenziale di taglio all’interno del solvente. Ciò fa sì che le leghe siano più resistenti dei metalli puri in quanto le impurezze introducono degli stress maggiori che ostacolano il movimento delle dislocazioni. Ne è una prova il True stress che sale con differenze notevoli nella lega rispetto all’elemento puro, seguendo la legge: 3
Δτ = Gbε2 √c Dove G è il modulo di taglio, b è il vettore di burger, c è la concentrazione soluto, ε è la deformazione. Si può notare che in alcune curve nella lega al Mg (soprattutto lega 5182) ha una specie di andamento seghettato. Questo è dovuto all’effetto Portevin-Le Chatelier, dovuto alle tensioni che salendo fanno disancorare gli atomi di soluto, facendo scendere per poi riprendere le dislocazioni e per poi far salire di nuovo lo stress necessario. Un esempio negativo però si può avere nella lega ferro idrogeno che crea una soluzione solida interstiziale, creando così gli acciai effervescenti che non solo sono soggetti ad invecchiamenti rapidi e infragilimento ma sono anche non saldabili. Infatti, gli acciai strutturali sono raramente zincati perché generano questo infragilimento da idrogeno. Nell’alluminio e anche nel rame non esistono elementi interstiziali. Esempi di rafforzamento per soluzione solida: - Alluminio con Mg (leghe serie 5000) o Mn (leghe serie 3000), - Ottone quindi rame zinco fino al 39% di zinco in massa primo titolo, - Acciaio da costruzione con manganese o azoto o cromo o rame.
1.2 Rafforzamento per incrudimento (6pt) Fenomeno per cui aumentiamo la durezza e resistenza a scapito della duttilità del materiale, effettuando una deformazione plastica a bassa temperatura. Esaminiamo il grafico. Facendo riferimento, per semplicità, ad una prova di trazione: -deformo plasticamente a T bassa superando Rp 0.2, -arrivo al punto 1 e scarico, -quando riapplico il carico ho un nuovo carico di snervamento Rp 0.2.
R’p 0.2 >
È possibile notare come questo meccanismo di rafforzamento aumenti la tensione di snervamento e al contempo riduca la lunghezza a rottura. In alcuni materiali si verifica anche un infragilimento dovuto all’aumento della temperatura di transizione oltre alla diminuzione di alcune proprietà fisiche come conducibilità elettrica, la permeabilità magnetica e la densità. Durante la deformazione all’aumentare di questa, cresce la densità delle dislocazioni (tanto da arrivare ad una concentrazione così elevata di dislocazioni da essere definita foresta di dislocazioni) e ciò porta ad un rallentamento del loro moto, per cui lo sforzo necessario per mettere in moto le dislocazioni cresce e si ha un carico di snervamento maggiore. Il risultato finale è che il movimento delle dislocazioni è ostacolato dalla presenza di altre dislocazioni e di conseguenza lo sforzo necessario da impiegare per deformare un metallo cresce all’aumentare della deformazione a freddo. L’effetto dell’incrudimento è qualitativamente rappresentato dalla formula, essa descrive la curva di deformazione plastica, cioè la curva che va da Rp0.2 a Rm, dove si ha uno stato di tensione uniassiale (oltre Rm: strizione):
Dove: ▪ τ0 è la tensione di taglio sul piano di scorrimento di una dislocazione che si muove senza incontrare ostacoli, cioè la resistenza intrinseca del reticolo cristallino ▪ α è una costante che dipende dalla natura delle dislocazioni ▪ G modulo elasticità tangenziale ▪ b modulo del vettore di Burgers ▪ ρ indica la densità delle dislocazioni è definita come tensione di flusso plastico ▪ M è il Fattore di Taylor che riguarda l’orientazione dei sistemi di scorrimento (policristallini M=3) Di seguito alcuni valori di densità delle dislocazioni ρ -acciaio laminato
cm/cm3
-acciaio incrudito per trazione -acciaio ricotto
cm/cm3
cm/cm3
Durante la deformazione plastica a T bassa si osservano modifiche nella forma del grano, aumento delle dislocazioni ed energia di deformazione associata a zone con stati tensionali residui. Per questo motivo si può fare un trattamento termico di ricottura per recuperare la struttura originaria. 1.3 Rafforzamento per precipitazione (8pt) Il rafforzamento per precipitazione è tipico delle leghe leggere (Al e Mg) e avviene quando delle particelle di seconda fase precipitano nel reticolo ospitante. Queste bloccano il movimento delle dislocazioni e migliorano le proprietà meccaniche. Le particelle di precipitato hanno dimensioni comprese tra 10 nm e 100 nm. Le particelle delle seconde fasi servono a rendere difficoltoso il passaggio delle dislocazioni, talvolta le dislocazioni riescono ad attraversare le particelle consumando però energia per deformale, ma se le particelle sono incoerenti (o indeformabili) allora le dislocazioni sono costrette ad AGGIRARLE secondo lo schema di Orowan. La dislocazione si piega curvandosi attorno alla particella per poi ricomporsi al di là della particella dopo aver lasciato attorno ad essa un anello di dislocazione che ostacolerà il passaggio della dislocazione successiva. Definiamo la τ critica per l’aggiramento dei precipitati: ▪ beta= costante di aggiustamento ▪ G= modulo elasticità tangenziale ▪ b=vettore burger ▪ r=dimensione precipitato Si nota che più il precipitato è piccolo più è difficile aggirarlo. Inoltre, definiamo anche la τ critica per il taglio dei precipitati (meccanismo di Friedel): ▪ ▪ ▪
alfa = costante sperimentale f=frazione in volume del precipitato gamma=energia del bordo di antifase
Questi meccanismi avvengono in funzione della natura dei precipitati. Ne esistono tre tipi: o Coerenti: il piano reticolare della matrice e del precipitato è lo stesso, quindi la matrice cristallina é continua, cioè i piani cristallini sono allineati. Un’ipotetica dislocazione potrebbe attraversare facilmente il precipitato. (Friedel) o Incoerenti: la particella di precipitato ha un piano cristallino che non è continuo rispetto alla matrice, sia per orientazione che per struttura. Difficilmente le particelle vengono attraversate, ma solitamente vengono scavalcate con il meccanismo di Orowan. o Semi-coerente: sono particelle coerenti ma presentano distorsioni reticolari, dunque la continuità della matrice non è omogenea. Di conseguenza le dislocazioni non possono attraversare facilmente i precipitati. Perché avvenga il meccanismo di Friedel è necessario che le particelle piccole siano coerenti, oppure le particelle incoerenti siano molto grandi. In questo meccanismo le dislocazioni attraversano i precipitati tagliandoli e lasciandosi alle spalle un bordo di antifase che rende più difficoltoso il un ulteriore passaggio. Questa legge segue un andamento proporzionale alla radice del raggio medio, dunque più la particella è grande, maggiore sarà l’energia necessaria per attraversarla.
Nel meccanismo di Orowan si ha l’aggiramento del precipitato, dunque è applicabile nei casi in cui il meccanismo di Friedel richiederebbe quantitativi di energia troppo elevati, come in precipitati molto grandi o incoerenti. Questo meccanismo segue un andamento proporzionale al reciproco del raggio. Come da grafico si avrà un’intersezione tra le due curve rappresentanti i due meccanismi. Si può notare come quel punto evidenzi un raggio critico in cui avviene il passaggio tra i due. Vi sono alcuni fattori che influenzano il raggio critico come la frazione in volume dei precipitati e la durezza delle particelle di precipitato.
Per ottenere un rafforzamento per precipitazione si effettuano in successione 3 diversi trattamenti termici: ▪ Solubilizzazione: mi avvicino il più possibile alla T eutettica per avere la soluzione solida limite cioè faccio entrare nel solvente più soluto possibile, mantengo questa temperatura per ottenere la completa dissoluzione del soluto nella fase. ▪ Tempra: porto le condizioni metastabili a T ambiente solitamente con acqua (a temperatura di circa 50°C) e si ottiene la SSSS (super satur solid solutions ) ▪ Invecchiamento artificiale: riscaldo a una temperatura precisa per un certo periodo di tempo al fine di ottenere i precipitati voluti, in particolare i metastabili intermedi (semi-coerenti). Questo processo può avvenire anche a temperatura ambiente per alcuni tipi di leghe (Al-Cu) e prende il nome di invecchiamento naturale.
Esiste un 4 trattamento, chiamato super invecchiamento in cui si ritorna alle fasi stabili e viene utilizzato solitamente per ridurre gli effetti della corrosione. Cosa succede al materiale durante il meccanismo di invecchiamento? 1 - Clusters di soluto: come prima cosa si formano delle piccole aggregazioni di soluto che si chiamano zone Guinier-Preston. All’ inizio queste zone sono poche decine e si parla di zone GPI e causano un modesto aumento di durezza, poi, col passare del tempo, si parla di zone GPII caratterizzate da clusters più numerosi, di dimensioni maggiori e che causano durezze maggiori. 2 - Precipitato semicoerente : stadio in cui compare la fase semicoerente, in cui si ha il massimo della durezza e quindi del rafforzamento 3 - Precipitato incoerente : questa fase è indicata con (chiamato rafforzamento per dispersione con particelle di dimensioni superiori a 10 micrometri) in cui il precipitato assume una composizione incoerente con la matrice e la durezza del materiale incomincia a diminuire 4 - Overaging: prolungando troppo a lungo l’invecchiamento si ha un aumento di dimensioni del grano e una successiva coalescenza che porta un notevole calo delle proprietà di durezza.
1.4 Rafforzamento per trasformazione martensitica (8pt) La trasformazione di austenite (CFC) in martensite(TetragonaleCC) avviene per riorientamento del reticolo cristallino mediante piccoli movimenti degli atomi (spostamenti inferiori all’unità reticolare), in totale assenza di diffusione. La trasformazione martensitica è diffusa in molti sistemi metallici (Fe-C, Fe-Ni, Ti-Ni. Ni-Al (lega a memoria di forma)).
È rilevante soprattutto nelle leghe Fe-C, infatti le elevate caratteristiche meccaniche della martensite indicano differenti barriere al moto delle dislocazioni. A differenza della maggior parte dei sistemi e delle leghe a memoria di forma, nei sistemi Fe-C la martensite non è una struttura di equilibrio, quindi al riscaldamento non si genera direttamente austenite. La formazione di martensite è costituita da una rapida nucleazione con un’energia di attivazione nulla, a qualunque temperatura il tempo di nucleazione è dell’ordine del microsecondo (10^-6), mentre la velocità di movimento dell’interfaccia è dell’ordine del 10-30% della velocità del suono (nell’acciao 10^3 m/s). Essa avviene tramite una deformazione della fase madre. La trasformazione può avvenire in determinate condizioni anche al di sopra di Ms per mezzo di deformazioni plastiche e al di sotto di una temperatura Md>Ms. La martensite che si forma dipende solo dalla temperatura e non dal tempo secondo l’equazione di Koistinen e Marburger:
1-fv=eβ(ms-T) ▪ beta è una costante che vale -0,011 in Fe-C ▪ fv è la frazione in volume della martensite start ▪ T la temperatura Dato che dipende solo dalla temperatura questo tipo di trasformazione prende il nome di trasformazione ATERMICA. La trasformazione martensitica, avvenendo senza diffusione, è molto caratterizzata dal punto di vista cristallografico. Le evidenze sperimentali hanno indicato che il movimento delle dislocazioni o la geminazione sono i due possibili meccanismi per le trasformazioni senza diffusione, come appunto la trasformazione martensitica. Due sono le caratteristiche morfologiche possibili: • la grande densità delle dislocazioni (lath martensite) • la struttura finemente geminata (plate martensite). Si definisce come piano d’abito (habit plane) quell’interfaccia piana semicoerente e glissile, che potrebbe ben essere l’interfaccia fra la martensite e la fase madre (austenite nei sistemi Fe-C). Lath martensite Questo tipo si trova in acciai al carbonio oppure debolmente legati fino a C=0,5%. La morfologia è fatta da pacchetti di piccole placchette stratificate e molto lunghe. Nei pacchetti le placchette sono separate fra loro soprattutto da bordi di grano a basso angolo. Non è mai stata trovata 9
la presenza di geminati. La densità di dislocazioni è di 10 -10 fortemente deformati
10
-2
mm , comparabile con quella di metalli
Plate martensite E' tipica di acciai ad alto tenore di C, tendenzialmente maggiore di 1%. E' costituita da placchette fatte di una coppia di geminati molto fini, dello spessore di 10-100 nm. Le placche crescono in modo indipendente le une dalle altre. Una caratteristica tipica delle martensiti ad alto tenore di C è il fenomeno della detonazione, cioè una placca di martensite nuclea una serie di altre placche quando la sua crescita provoca una concentrazione di stress a causa dell'incontro con un bordo di grano o con altre placche martensitiche.
Questo tipo di martensite è anche rinvenibile in acciai a basso tenore di C o addirittura in assenza di C, purchè vi siano elementi leganti in quantità massiccia. Un esempio è la lega Fe-Ni con circa il 30% di Ni.
A tenori di carbonio intermedi, fra 0,5 e 1,4%, vi può essere coesistenza di lath e plate martensite. Quest'ultima però cresce dando origine a placche perpendicolari fra loro. Nella plate martensite, la cui percentuale aumenta con la percentuale di C, le placche nucleano e crescono isolatamente. È inoltre da notare che all'aumentare della percentuale di C, la geminazione diventa progressivamente più difficile, perchè gli enormi stress elastici interni dovuti alla trasformazione martensitica finiscono per opporsi al piccolo movimento degli atomi necessario. Rimane quindi una percentuale di austenite non trasformata, detta austenite residua (retained austenite). ll prevalere dell'una o dell'altra struttura dipende dalla competizione dei due meccanismi, cioè il movimento delle dislocazioni o la geminazione. Tale competizione è governata dal confronto dei valori di stress reticolare ai quali avviene la geminazione o ai quali si raggiunge la CRSS nei sistemi a facile scorrimento dell'austenite. Il prevalere dell'uno o dell'altro meccanismo dipende principalmente dalla composizione chimica: • concentrazione di C • concentrazione degli elementi leganti • temperatura di trasformazione Martensite Start Ms. L'organizzazione cristallografica comporta di per sé un rafforzamento, operante in qualunque tipo di martensite, anche quelle non Fe-C. Viste le morfologie dei due tipi di martensite negli acciai, i due meccanismi di rafforzamento morfologico operanti che esercitano un ostacolo al moto delle dislocazioni sono: • lath martensite: le dislocazioni già presenti (come se fosse un rafforzamento per incrudimento) e le interfacce fra le placchette (come se fosse una specie di rafforzamento per bordo di grano) • plate martensite: i fittissimi bordi dei geminati (come se fosse una specie di rafforzamento per bordo di grano) Il secondo e più importante contributo al rafforzamento è dato dalla presenza degli atomi di C. Nel passaggio dall'austenite alla ferrite, la solubilità del C crolla, come si vede dal diagramma delle fasi Fe-C. Come è ben noto, la tempra congela gli atomi di C in soluzione solida nei cristalli CCC della ferrite, anzi nei nuovi cristalli TCC della martensite. Tali atomi di C deformano elasticamente in modo molto pronunciato il cristallo ospitante, perché occupano tutti i siti potenzialmente disponibili, assimilabili a delle lacune (ottaedriche e tetraedriche), per l'introduzione degl'interstiziali. Gli atomi di C diffondono lentamente a T ambiente e si vanno ad attaccare sulle dislocazioni presenti, ancorandole fortemente. Un altro fenomeno è la formazione di cluster di atomi di C sui piani cristallini, dove ostacolano il moto delle dislocazioni con un meccanismo simile a quello svolto dalle fasi GP nelle leghe leggere. 1.5 Rinvenimento della martensite (8pt) Dopo tempra l'acciaio è costituito da una miscela meccanica di martensite e austenite residua, la prima largamente predominante. Entrambe tali fasi sono termodinamicamente instabili, e possono lentamente degenerare, l'austenite anche a temperatura ambiente. L'austenite si può trasformare in martensite, mentre quest'ultima tende a trasformarsi in fasi meno metastabili o, alla fine, nelle fasi di equilibrio. Vi sono inoltre altre due questioni fondamentali: • le trasformazioni di entrambe le fasi implicano variazioni di densità del materiale, e quindi di volume dei componenti, del quale si deve tenere conto • la martensite è una fase abbastanza fragile, ed è inoltre soggetta a cricche che possono svilupparsi anche senza che il pezzo venga sollecitato, ma solo lasciato a temperatura ambiente.
Quanto sopra esposto mostra chiaramente che la martensite, da sé sola, è poco utile nella maggior parte dei casi, e che quindi ne deriva la necessità di un trattamento termico che ne cambi le proprietà in modo favorevole. In generale, si tratta di riscaldare il componente temprato a temperature che non devono raggiungere la temperatura eutettoidica (727°C), con permanenza di alcune ore, e finale raffreddamento non controllato a temperatura ambiente. Di qui si capisce subito che la temperatura permetterà la diffusione di elementi nell'acciaio, permettendo così delle trasformazioni di fase che portano l'acciaio ad una maggiore tenacità e stabilità dimensionale. Come sarà qui di seguito descritto nel dettaglio, il rinvenimento viene convenzionalmente suddiviso in 5 possibili stadi diversi, ognuno caratterizzato da specifiche trasformazioni di fase. 1° Stadio: Avviene a temperature basse, cioè da temperatura ambiente fino a 150-200°C, secondo la composizione chimica dell'acciaio. I fenomeni microstrutturali sono i seguenti: • una piccola parte del carbonio (massimo 0,2%) in condizioni di sovrasaturazione nella martensite ne fuoriesce, e rilassa meccanicamente il reticolo cristallino diffondendo in minima parte e andando a decorare le dislocazioni, è da notare che tali atomi di C rimangono in posizione interstiziale • tutti gli atomi di C che eccedono lo 0,2% concorrono ad una trasformazione di fase: MC+ (martensite tetragonale con molto C)
→Mc- (martensite tetragonale con poco C)+ε(carburo Fe2.4C),
cioè la martensite si rilassa espellendo almeno una parte del C; quest'ultimo concorre con il Fe a generare la nuova fase, il carburo ε, che è metastabile, di struttura cristallografica a prisma esagonale, di forma aghiforme e con dimensioni molto piccole. In questo stadio il rilassamento delle deformazioni reticolari elastiche della martensite, generate dagli atomi di C in soluzione solida sovrasatura, porta ad una mitigazione del rafforzamento della martensite che, di conseguenza risulterà meno dura che a piena tempra. Una parte della durezza persa è recuperata dal rafforzamento per precipitazione del carburo ε, che ostacola efficacemente il movimento delle dislocazioni, perché è molto piccolo e coerente. Complessivamente, nel primo stadio del rinvenimento si verifica solo un moderato abbassamento di durezza del metallo. Avvengono però altri due fenomeni di rilevante entità. La scomparsa della martensite tetragonale ad alto tenore di C porta ad una variazione negativa di volume, cioè l'acciaio si contrae, e tende ad assumere una densità che si avvicina un po' a quella della ferrite. Si ottiene quindi un miglioramento della stabilità dimensionale dei componenti. L'altro fenomeno, sempre connesso alla scomparsa della martensite tetragonale ad alto tenore di C, è la diminuzione delle tensioni residue di tempra, che si rilassano, rendendo l'acciaio molto meno suscettibile alle cricche dopo tempra, quindi con un moderato guadagno di tenacità. 2° stadio: In un intervallo di temperatura compreso circa fra 100 e 300°C avviene la trasformazione γres (austenite residua)→B (bainite). Si tratta di una miscela meccanica di ferrite α e carburo ε o anche cementite se la trasformazione avviene alle temperature più prossime a 300°C. In entrambi i casi si tratta di carburi finissimi sotto forma di aghetti lunghi dell'ordine di 10 nanometri (la dimensione dipende ovviamente dalla temperatura alla quale avviene la transizione di fase). La trasformazione avviene con sensibile diminuzione di densità, e perciò con dilatazione dimensionale dei componenti. Essa sarà rilevante solo quando la frazione in volume dell'austenite residua è importante, cioè almeno al di sopra del 10%. Complessivamente, però, va a compensare almeno in parte la contrazione che si è verificata nel primo stadio del rinvenimento, con l'espulsione di C da parte della martensite tetragonale.
La bainite è una fase un po' meno tenace dell'austenite, ma molto più resistente, grazie al rafforzamento per precipitazione conferito dal carburo ε. 3° stadio: Al di sopra di 250°C le fasi metastabili martensite, bainite e carburo ε si trasformano nelle fasi di (quasi) equilibrio ferrite e cementite: Mc-→α+Fe3C ε →α+Fe3C B→α+Fe3C
Alle temperature più basse la cementite è estremamente fine, con cristalli ellissoidali di lunghezza di 10-100 nanometri. A temperature al di sopra di 400°C la cementite assume forma più globulare, con dimensioni dei cristalli al di sopra dei 100 nanometri. Al di sopra dei 600°C diventa possibile una vera e propria ricristallizzazione, con formazione di cristalli di ferrite equiassica. Nel terzo stadio del rinvenimento non avvengono sostanziali variazioni di densità ma, al massimo, una leggera contrazione dimensionale dovuta alla totale scomparsa della martensite. Le caratteristiche meccaniche variano invece in modo molto sensibile. Concludendo, nel terzo stadio del rinvenimento si ha un sostanziale abbassamento della durezza e delle caratteristiche tensili, accompagnato da un aumento di tenacità che però si fa fondamentale solo al di sopra di temperature dell'ordine di 500- 550°C. 4° stadio: Convenzionalmente questo stadio è assegnato a temperature al di sopra di 600°C e consiste nella crescita in dimensioni dei carburi (per lo più cementite) globulari ereditati dal terzo stadio. La cinetica è governata dalla diffusione allo stato solido, perciò è più rapida negli acciai al C, più lenta o necessitante delle più alte temperature (il più vicino possibile all'eutettoide) nel caso degli acciai legati, dove gli elementi sostituzionali, se entrano nei carburi, diffondono molto più lentamente. La spinta termodinamica alla crescita dei carburi viene dalla necessità di minimizzare l'energia libera superficiale delle interfacce fra carburi e matrice ferritica. Quindi la tendenza è avere il minor numero possibile di carburi e questi devono essere il più grande possibile, perchè così si minimizza la superficie dell'interfaccia. Per quando detto finora, è coerente con l'interpretazione del fenomeno il fatto che questa sia la microstruttura termodinamicamente più stabile che si può ottenere a quelle temperature di trattamento.
5° stadio: In questo stadio avviene la precipitazione di cristalli di carburi complessi fra C ed alcuni elementi leganti appositamente introdotti nell'acciaio. Aggiungendo elementi leganti agli acciai, essi possono essere solubili solo nelle fasi metalliche ferrite ed austenite, oppure possono avere anche la tendenza a formare carburi: • non formano carburi Al, Cu, Si, P, Ni • hanno crescente tendenza a formare carburi gli elementi Mn, Cr, W, Mo, V, Ti, Nb Gli elementi leganti sopra elencati hanno tutti l'effetto di rallentare o posporre le trasformazioni di fase che avvengono durante il rinvenimento. Ne consegue che, a pari temperatura e durata del rinvenimento, gli acciai legati abbiano caratteristiche migliori rispetto agli acciai al C. Al di sopra di circa 550°C anche la diffusione degli elementi sostituzionali diventa sensibile. La loro precipitazione interrompe la decrescita delle caratteristiche meccaniche resistenziali col prolungarsi del rinvenimento, anzi si assiste ad un nuovo incremento delle stesse, soprattutto della durezza che raggiunge un picco, al punto che si parla di durezza secondaria.
1.6 Rafforzamento per bordo di grano e legge di Hall-Petch (10 pt) I BDG costituiscono degli ostacoli al movimento delle dislocazioni. Infatti in questa particolare zona cambia l’orientazione del sistema di scorrimento, inoltre i BDG sono regioni ad alto disordine (discontinuità nel piano di scorrimento). Quando le dislocazioni incontrano il BDG si bloccano perché nel grano successivo cambia l’inclinazione del piano di scorrimento. Un materiale con grana fine è più resistente di quello con grana grossolana perché il primo ha una maggiore superficie di bordo di grano per impedire il movimento delle dislocazioni. Per quantificare la variazione della tensione di snervamento in presenza del rafforzamento per bordo di grano utilizziamo la legge di Hall-Petch in cui vediamo che all’aumentare del diametro medio del grano diminuisce il carico di snervamento infatti:
Per capire in cosa consiste la legge di Hall-Petch partiamo dall’analisi del movimento di una dislocazione. La tensione tangenziale da applicare sul piano di scorrimento per muovere una dislocazione è definita come: ▪ ▪ ▪ ▪
è lo stress di taglio sul piano di scorrimento è dovuta ai meccanismi di rafforzamento operanti ad esclusione dell’ostacolo dei bordi di grano, G è il modulo di taglio b il vettore di Burgers.
Consideriamo ora una dislocazione che deve superare un bordo di grano e chiamiamo L la distanza dal punto in cui si è generata, considerato che per i cerchi di Mohr avremo che la tensione che bisogna applicare esternamente per far arrivare la dislocazione al bdg è tale che :
dove il fattore (1-ν) è per la dislocazione a spigolo, per quella a vite il fattore è 1. Dall’equazione si vede anche che se L tende a infinito, cioè se la sorgente di dislocazioni si allontana moltissimo, allora il secondo membro tende a zero e σ→σ0, cioè la tensione applicata per nucleare una dislocazione lontana non risente dal bordo di grano, ma solo dagli altri meccanismi di rafforzamento già operanti. Se ora lo stress σ sale, la sorgente emetterà una nuova dislocazione, che scorre fino ad impilarsi alla precedente, che esercita contro di essa un’azione repulsiva, che si somma a quella del bordo di grano. Man mano che lo stress sale, si genereranno nuove dislocazioni, che andranno a rimpolpare l’impilamento al bordo di grano. Da un punto di vista microstrutturale, la distanza della sorgente (che potrebbe trovarsi anche su un altro bordo di grano) scala naturalmente con la dimensione d del grano, cioè L proporzionale a d. Allora, per generare e impilare N dislocazioni ai bordi di grano è necessaria una tensione risolta sul piano di scorrimento tale per cui:
E’ interessante notare che le N dislocazioni che si sono impilate al bordo di grano, sono come avere arrestato in quel punto una superdislocazione con modulo del vettore di Burgers Nb. Inizialmente la dislocazione e il successivo impilamento si bloccano al bordo di grano. Lo stress cresce per vincerne la resistenza, e così facendo continuano a generarsi dislocazioni che continuano ad impilarsi, facendo crescere le tensioni locale della superdislocazione con vettore di Burger di modulo Nb. Lo stress locale (l’estremità dell’impilamento sul bordo di grano) vale N volte quello di generazione (σ-σ0) di una nuova dislocazione quando N sono già presenti. Si può seguire un altro metodo riconducibile alla meccanica della frattura per una cricca che si propaga in modo di taglio (mentre nell’equazione analizzata prima si seguiva il modo di trazione). Cioè si schematizza il sistema di scorrimento reticolare con sopra N dislocazioni, che scorrono e s’impilano al bordo grano, come una cricca sollecitata da sforzi di taglio remoti (idealmente all’infinito) paralleli al piano della cricca stessa. Nella seguente equazione si riporta la funzione tensione tangenziale, parallela alla cricca, generata da una tensione tangenziale lontana dall’apice della cricca. Segue la simbologia: o τxy = tensione di taglio parallela alla cricca funzione delle coordinate x e y nel piano (l’asse X è parallelo alla fessura, l’asse Y è perpendicolare ad esso) o τ = tensione applicata remota (idealmente all’infinito) sul piano di scorrimento o a = lunghezza della cricca o r = coordinata che dà la distanza dall’apice della cricca o θ = coordinata che dà l’angolo d’inclinazione rispetto al piano della cricca o fxy(θ) = funzione angolare
Si può trasportare l’eq. nel caso presente facendo le seguenti assunzioni: o si sceglie di stare sul piano della cricca (in realtà stiamo parlando ora del sistema di scorrimento), quindi θ=0 e perciò fxy(0)=costante o come grandezza remota al posto di τ s’introduce delle dislocazioni
τ-τ0, che è fisicamente coerente con lo scorrimento
o si trasforma la lunghezza di cricca a nella lunghezza L del sistema di scorrimento, anzi nella grandezza del grano d:
dove C2 è una costante che ingloba le costanti numeriche dell’equazione precedente. Occorre adesso trattare la singolarità elastica all’apice della cricca. Per dare più significato fisico all’equazione successiva si deve considerare che: o come sopra, dai cerchi di Mohr τ=1/2 σ in trazione monoassiale; quindi s’immagina che la tensione di taglio remoto τ sia generata da uno stress di trazione monoassiale remoto pari a σ o per eliminare la divergenza della tensione locale τxy, ci si avvicina al massimo all’apice della cricca, cioè si è ad un vettore di Burger dal bordo di grano
o C3 è una costante che ingloba tutte le costanti geometriche o ora come equivalente locale della τxy si può prendere un valore di σ locale, cioè σloc o in particolare, come valore di σloc si sceglie il valore critico σ* che fa oltrepassare il bordo di grano alle dislocazioni
in cui denominando k*=σ*/C3 si ritrova le legge di Hall-Petch:
Si fa notare che si è voluto introdurre la costante k*, che è determinabile sperimentalmente applicando una regressione su dati di differenti prove di trazione condotte su campioni con grani cristallini di diverse dimensioni, allo scopo di mascherare la resistenza intrinseca σ* del bordo di grano, in quanto grandezza fisica molto più incerta dal punto di vista della sua determinazione sperimentale.
2 Tecnologia dei getti 2.1 Vantaggi dell’uso dei getti rispetto alle altre lavorazioni (asportazione di truciolo e deformazione plastica) (5 pt) I componenti fabbricati in fonderia hanno caratteristiche un po' diverse da quelle degli equivalenti fabbricati dai semilavorati mediante deformazione plastica ed asportazione di truciolo. In generale i pezzi ottenuti per colata hanno caratteristiche meccaniche inferiori. Tuttavia, la fabbricazione in fonderia permette degl'innegabili vantaggi che spesso ne fa preferire l'impiego. Vantaggi: • costi di fabbricazione molto minori per pezzi di forma complessa • Proprietà meccaniche isotrope • Progettazione per funzionalità senza tenere conto di problematiche di assemblaggio • Aumento della velocità della prototipazione rapida La produzione di pezzi mediante fonderia offre al progettista vantaggi sui costi rispetto alle altre tecnologie di produzione quando le geometrie sono molto complesse, per le seguenti motivazioni: • uso di un minor numero di pezzi • eliminazione di lavorazioni per deformazione plastica o per asportazione di truciolo • tempi di montaggio più brevi • risparmio di massa. Applicazioni: Negli ultimi decenni si è assistito a un grande incremento nell'utilizzo di componenti in lega leggera per minimizzare le masse di macchinari in movimento, soprattutto per quanto riguarda l'industria dei trasporti. Si producono: • componenti automobilistici (telaio o chassis, parti del motore) • parti strutturali in aeronautica (ipersostentatori, alloggiamenti delle trasmissioni, involucri di componenti...) • parti fisse di motori, carcasse di turbine e compressori • componenti per lo sport • carcasse di strumentazione elettromeccanica e bricolage. Progettazione: La progettazione di un componente si svolge in tre fasi: • la determinazione della tensione che deve essere sopportata • valutazione delle limitazioni geometriche dovute all'ingombro • progettazione con distribuzione della massa in modo ottimale per reggere i carichi ed evitare gli effetti d’intaglio. Proprietà meccaniche: • esiste un'ampia varietà di leghe, una scelta adeguata richiede delle conoscenze molto più profonde delle sole tabelle delle normative; • le proprietà dipendono dal processo di produzione del componente: • la microstruttura è determinata dalla tecnologia utilizzata • le proprietà meccaniche saranno poco disperse solo in zone specifiche del getto, mentre potranno variare in modo importante ma prevedibile da parte a parte del pezzo • il trattamento termico.
2.2 Sviluppo del danno microstrutturale in trazione di leghe da fonderia (per esempio tratto plastico in leghe AlSi) (5 pt) Per capire la correlazione fra le caratteristiche resistenziali di una lega leggera da fonderia e la sua microstruttura è istruttivo esaminarne il comportamento durante una prova di trazione in situ, cioè svolta all'interno della camera di un microscopio elettronico a scansione (SEM). Si usa una lega Al-Si ipoeutettica; la fase primaria è Al, rafforzata da fine precipitazione della fase metastabile nanometrica β' (Mg2Si) che deriva dal trattamento termico; la fase secondaria è fatta da particelle di Si eutettico, che contornano i bracci delle dendriti di Al. Sollecitando il campione di trazione al di là del suo limite elastico, si entra nel campo plastico e quindi s'induce un danno microstrutturale. La matrice metallica di Al è capace di deformarsi plasticamente, mentre le particelle di Si, di natura ceramica, non consentono il passaggio delle dislocazioni e quindi si comportano solo elasticamente. Si verifica sulle particelle di Si una concentrazione di stress molto forte, per cercare di accomodare elasticamente la deformazione plastica della matrice. Tale concentrazione di stress supera ben presto il valore critico di resistenza locale, quindi si dovrà assistere alla rottura delle particelle di Si o al loro distacco interfacciale dalla matrice di Al. Si nota che bande di dislocazioni (ciascuna formata da un pacchetto di dislocazioni) attraversano i bracci dendritici e vanno ad impattare sulle particelle interdendritiche di Si. Queste non ne permettono il passaggio e quindi si accollano l'accumulo di stress dovuto all'impilamento delle dislocazioni. In taluni casi lo stress locale supera il valore critico di rottura delle particelle. Si osserva che si raggiunge più facilmente la condizione critica delle particelle di Si quando queste sono più grandi o presentano delle irregolarità geometriche con effetto d'intaglio. Con il progresso della deformazione plastica si moltiplicano le dislocazioni ed aumenta il numero delle particelle di Si che si fratturano. Presto o tardi, le fratture di particelle di Si adiacenti si congiungono lungo i percorsi interdendritici attorno ai bracci secondari delle dendriti, formando delle microcricche. Si nota che, essendo le microcricche interdendritiche, la loro dimensione sarà dell'ordine di quella del braccio secondario delle dendriti (qualche decina di micrometri). Successivamente la coalescenza delle microcricche genererà una cricca, questa volta macroscopica, responsabile del collasso del materiale.
2.3 Microstruttura del materiale ottenuto per colata (dendriti, fasi secondarie, composti intermetallici indesiderati, inclusioni…) e parametri stereologici che li descrivono. (6 pt) La microstruttura di pezzo ottenuto per fonderia dipende da 4 fattori: o tipo di lega o tecnologia di colata o trattamento termico o forma e dimensione della seconda fase In dipendenza del tipo di lega usato, cambiano gli intervalli di solidificazione. Infatti con un breve intervallo (ΔT<50°C) si otterrà una microstruttura dendritica che cresce nella direzione del calore di solidificazione, dunque le dendriti andranno ad intersecarsi lasciando delle porosità arginate con l’utilizzo di materozze. Per intervalli più lunghi (50°< ΔT<100°), si nota che oltre alle dendriti già descritte, al centro del bagno possono nucleare dei cristalli di solido che cresceranno come dendriti equiassici, dando luogo a porosità disperse (zona pastosa). Con ΔT>100°C si otterranno poche o nulle dendriti colonnari ma molte equiassiche portando alla formazione di una grande zona porosa. La tecnologia di colata influisce sul tempo di solidificazione, infatti una solidificazione veloce favorisce la nucleazione delle dendriti, che quindi saranno più numerose e di dimensioni minori con proprietà meccaniche migliori per il pezzo.
Nell’effettuare i trattamenti termici si otterranno delle modifiche alla microstruttura, come la precipitazione di seconda fase, caratterizzata dal Deq medio e dal fattore di forma f:
Più la particella è grande, più si allontana dalla sfericità e più ho concentrazione di tensione e si arriva prima alla rottura. Quindi come evidenziato da f (f ≥1) possiamo avere particelle sferoidali oppure aghiformi. Normalmente la microstruttura del getto è così costituita: o chill zone (grani equiassici fini pareti fredde), o columnar zone, o Equiaxed zone(dendriti equiassiche, nucleazione omogenea). La proporzione tra zona colonnare e equiassica dipende da: o surriscaldamento: Tcolata > Tfusione quindi alti gradienti maggiore crescita colonnare o composizione: Aumento elemento legante, diminuisce ΔT e favorisce la crescita della zona colonnare o inoculatori con affinazione grano: Riduce la crescita colonnare o vibrazione e agitazione meccanica: Spezza dendriti e aumenta la zona di matrice equiassica In alcuni casi si può verificare nel getto la presenza di composti intermetallici che si formano durante il raffreddamento seguendo regola di Hume-Rothery. Questi sono caratterizzati da un reticolo cristallino diverso da quello dei metalli costituenti e possono variare le proprietà fisiche e meccaniche della lega dal momento che in determinate condizioni possono precipitare e dare vita a dei punti duri. La presenza di questi punti duri può essere nociva e declassare la qualità dei getti. Analizzando la microstruttura dei materiali per colata si possono notare anche delle inclusioni, queste possono essere di due tipi: o Esogene, se vengono dall’esterno, come ad esempio frammenti di crogioli, agglomerati di sabbia degli stampi. o Endogene, se dipendono dalla composizione chimica del metallo e da eventuali composti chimici aggiunti in quantità eccessive.
I parametri stereologici principali che descrivono la microstruttura sono: o Deq, cioè il diametro equivalente della particella (si ricava dall’area della particella), generalmente varia da 1-10 micrometri
o F il fattore di forma che è dmax/dmin ≥ 1, immaginando le particelle ellittiche o inscrivibili in un rettangolo si prende a il suo asse maggiore e b il suo asse minore o SDAS (secondary dendrite arm spacing) =L/n, spazio tra i bracci di una dendrite
2.4 Resistenza a fatica dei getti (6 pt) Il limite a fatica per i getti si definisce come σlim,7, ossia la resistenza a 10^7 cicli. Le prove per resistenza a fatica si effettuano per flessione rotante (r=-1) σmin/σmax. In maniera sperimentale, per l’acciaio, se non si conosce la resistenza a fatica a 10^7 cicli, come tentativo posso prendere σlim,7=R/2. Per le leghe leggere non esiste il limite a fatica. Nel caso di presenza di difetti si introduce σlim,dif,7 che sarà sicuramente minore di σlim,7. Si va a definire un’area che viene introdotta nella formula come una lunghezza ottenuta come (area)^1/2. L’area è quella perpendicolare al massimo stress principale del massimo difetto in superficie, se ci sono più difetti molto vicini si utilizza l’area dell’inviluppo. HV = durezza Vickers
Si ha che:
Queste formule derivano dalle scoperte di Murakami-Ueno. In linea di massima se la dimensione del difetto diventa piccola la σlim,dif,7 aumenta, se l’area del difetto tende a zero allora la σlim,dif,7 tende a σlim,7 . La σlim,7 è un valore costante che si determina statisticamente attraverso prove sperimentali e rappresenta il limite superiore della resistenza nel caso di pezzi perfetti. Al di sotto di certe dimensioni, i difetti non propagano, anche se sono presenti. Quindi i difetti troppo piccoli non sono propaganti, ed è come se non esistessero. Ne consegue che le soprastanti equazioni possono prevedere il valore minimo dei difetti propaganti, ed è quello per il quale la resistenza a fatica con difetti eguaglia quella senza difetti. 2.5 Indicare le cause di insorgenza di strappi a caldo nei getti e citare quali leghe di Al e di Mg potrebbero esserne affette. (6pt) Il grosso della contrazione avviene durante la solidificazione. Gli strappi a caldo (hot tears) avvengono quando lo stress durante le ultime fasi di solidificazione supera la resistenza a trazione del metallo pastoso. Le fratture sono sempre intergranulari e la tendenza o meno alle cricche dipende molto dal tipo di lega. Gli strappi a caldo si formano in certe determinate condizioni. Se vi è un contrasto geometrico in zone di fine solidificazione, dove si ha un liquido pastoso e esiste un pericolo di porosità, che provocando stress vanno a sommarsi agli stress termici e di contrazione di solidificazione, la somma di questi stress porta alla formazione di strappi a caldo. Se l’ultima parte a solidificare è quella dove avviene il cambio di sezione, allora si vengono a creare stress elevati; per questo si tendono: ad evitare queste zone o si inseriscono raffreddatori in modo che solidifichi non per ultima oppure si aggiusta la composizione chimica inserendo elementi fluidificanti che formano eutettici basso fondenti e che danno degli ultimi liquidi molto fluidi, fungendo nelle zone delle cricche da cicatrizzanti. Un classico esempio per questo è Al-Si con un eutettico a 577°C inserendo il ferro l’eutettico si abbassa, la fase liquida si prolunga e pur infragilendo il pezzo ottengo un buon compromesso evitando gli strappi a caldo. La Composizione chimica è anche un fattore che gioca sul favorire o meno sugli strappi a caldo, esistono leghe predisposte proprio a dare questi strappi a caldo ad esempio Mg-Zn (fenomeno contrastato da aggiunta di Terre Rare) o Al-Cu (fenomeno contrastato da aggiunta di ferro). Ricapitolando, i metodi per minimizzare il rischio di strappi a caldo: o curare il disegno della forma evitando bruschi cambi di dimensioni della sezione del pezzo, perchè angoli, spigoli e soprattutto rientranze generano hot spots che inducono solidificazione finale isolata con vincolo volumetrico; al fine di contrastare i vincoli al ritiro volumetrico, l'uso di raffreddatori o isolanti termici nel posto giusto è benefico o Impurezze, per esempio Fe nelle leghe di Al, se in quantità sufficiente, fluidificano l’ultimo liquido e accomodano il metallo pastoso allo stress o grandi intervalli di solidificazione favoriscono il fenomeno, perché alla fine si ha poco liquido eutettico che può riempire e riparare le cricche o è bene affinare il grano il più possibile per disperdere l'ultimo liquido che solidifica, che non deve quindi essere concentrato in pochi bordi di grano
2.6 Spiegare la porosità da ritiro in una lega di intervallo di solidificazione corto e una con intervallo di solidificazione lungo, facendo il paragone tra le due. (6 pt) La porosità da ritiro si manifesta a fine solidificazione, perché in quell'ultimo liquido si riassume tutto il ritiro della trasformazione liquido-solido, senza che sia più possibile avere altro liquido che riempa le cavità che si formano a causa della contrazione. In certi casi il fenomeno si compensa con le materozze, che concentrano dentro di sè il ritiro volumetrico della trasformazione. Tuttavia, tale contromisura non è sempre efficace. In ogni caso, anche in presenza di materozze, è condizione necessaria, ma non sufficiente a spostare il ritiro fuori dal getto, l'attuazione di solidificazione quanto più possibile direzionale. In pratica si deve organizzare il contenitore che accoglierà il metallo liquido in modo che i gradienti termici pilotino la solidificazione nella direzione delle materozze, che devono solidificare per ultime. Nel caso del metallo puro l'intervallo di solidificazione è nullo (Tsolidus=Tliquidus) e non vi sono dendriti. Di conseguenza il fronte di solidificazione è piano e segue semplicemente il gradiente termico. Il gradiente localizzerà la zona di fine solidificazione, e lì avverrà il ritiro volumetrico. Il posizionamento coerente della materozza farà sì che quest'ultima rifornisca la zona critica del getto del liquido necessario e concentri dentro di sé la porosità. Nel caso delle leghe l'intervallo di solidificazione Tliquidus -Tsolidus non è nullo e inoltre vi sono le dendriti. Nella grande maggioranza delle leghe la solidificazione termina ad un punto eutettico. o Nelle lega ad intervallo di solidificazione corto Tliquidus -Tsolidus<50°C la situazione è simile a quella che avviene nei metalli puri, la solidificazione direzionale è efficiente perché il fronte del solido più indietro dell'apice primario delle dendriti si trova a moderate distanze da esse. In tal caso la zona di fine solidificazione è abbastanza circoscritta. Se il contenitore dove si cola il liquido è ben congegnato, si piazzano le materozze accanto alle zone dove dovrebbe terminare la solidificazione, cosicché esse possono fornire il liquido che serve per compensare il ritiro. Annullare completamente quest'ultimo è possibile, ma non è facile, così qualche modesta porosità può rimanere in quella zona. o Nella lega ad intervallo di solidificazione ampio Tliquidus -Tsolidus>110°C, le difficolta di compensazione del ritiro della trasformazione liquido-solido non sono arginabili. La solidificazione direzionale è inefficiente perché il fronte del solido si trova più indietro dell'apice primario delle dendriti o a grandi distanze da esso oppure, più frequentemente, vi sono dendriti equiassiche isolate ovunque sparse nel liquido. La mushy zone (zona pastosa) è di ampie dimensioni e quindi le zone di fine solidificazione non sono circoscritte, ma sono sparpagliate su ampia scala. Compensare il ritiro con le materozze quindi non ha alcun effetto e ci si ritrova con piccole porosità interdendritiche diffuse quasi ovunque. 2.7 Spiegare la porosità da gas (idrogeno e aria intrappolata nei getti) e le contromisure per evitarle. (6p) L'idrogeno è un gas solubile in tutti i metalli liquidi. La sua solubilità nel solido è invece praticamente nulla. Non è così per tutti i metalli, per esempio nel Fe un poco di solubilità allo stato solido c'è. Durante la solidificazione dell'Al e del Mg, l'H viene rigettato fuori dal solido sotto forma molecolare e provoca la formazione di porosità, che appaiono come vuoti nei getti. La sorgente dell'H è principalmente l'umidità di provenienza atmosferica. L'ossido superficiale che ricopre il liquido rallenta l'assorbimento, ma se si verificano disturbi che ne rompono l'integrità (come turbolenza fluida durante travasi e colata), la protezione diminuisce e l'acqua presente nell'umidità dell'aria reagisce con l'Al:
3H2O+2Al→Al2O3(ossido superficiale)+6H(disciolto nel liquido) Vi può essere anche contaminazione dal riciclo di boccame umido o dall'utilizzo di scorie protettive (flux) umide derivanti da sali igroscopici. Nel caso di colate in sabbia le forme stesse possono essere umide.
La porosità da H si manifesta in due forme: o quando vi è poco H si formano bolle sferiche nell'ultimo liquido che solidifica; o si formano invece vuoti interdendritici dispersi quanto vi è abbondanza di H. Lo sviluppo di H può essere ostacolato da solidificazione rapida come in conchiglia o ancora di più in pressocolata, perchè rimane in soluzione solida sovrassatura. Si rimuove l'H dal bagno liquido facendo il flussaggio con gas inerti (nei confronti del metallo, non è detto in assoluto), cioè facendo gorgogliare gas secchi puri come N, Ar o Cl, il più efficace. Fra i gas intrappolati nei pezzi si annoverano soprattutto aria e poi, in secondo ordine, vapore e gas da combustione di lubrificanti. L'aria intrappolata è un problema nella colata a pressione e influenza profondamente la qualità e le caratteristiche meccaniche del getto. Se il liquido arriva in velocità, sposta e comprime il gas oppure lo assorbe come bolle compresse, che danno porosità centrali di grande entità. Da notare che i pezzi che hanno sacche di gas intrappolati non siano trattabili termicamente, per non dare origine al blistering. Se si rimuove l'aria dalla forma prima della colata, non ci sarà gas intrappolato e i pezzi saranno trattabili termicamente. Le contromisure per eliminare o almeno mitigare il problema sono le seguenti: 1) il metodo più semplice di evacuazione del gas è quello di mettere dei piccoli canali di sfiato nel contenitore. 2) Un metodo più costoso, ma ben più efficace, è quello di mettere sottovuoto (in realtà bassa pressione) l'interno della forma, risucchiando l'aria in un accumulatore prima della colata. 3) Altro metodo è quello di lavare l'atmosfera dentro lo stampo con soffiaggio di ossigeno, che rimane il solo gas all'interno. Il metallo liquido reagirà poi con il gas eliminandolo come strato di ossido superficiale. Il metodo non porta a risultati apprezzabili se la velocità d'ingresso del liquido è grande. 4) Infine, si può applicare alla forma una camera di sfogo dove si raccoglie l'ultimo liquido con una parte del gas non ancora intrappolato. La forma deve essere fatta apposta per consentire il semplice spostamento del gas durante la colata. La camera di sfogo, per essere efficace, deve essere grande. Il metallo che la occupa va poi eliminato dopo la sformatura e questo implica uno scarto che ha un costo. 2.8 Peculiarità delle caratteristiche meccaniche dei getti (dipendenza dai parametri di fabbricazione e microstruttura che ne deriva), differenza rispetto ai semilavorati ottenuti per deformazione plastica (piastre, lamiere, barre) (8 pt) La modalità di fabbricazione influenza la microstruttura del getto soprattutto per quanto riguarda la velocità di raffreddamento (sabbia 0,2 °C/s, conchiglia 5, squeeze casting 40, pressocolata 100, semisolido 10), che determina la finezza della microstruttura e quindi proprietà meccaniche diverse. Molto importanti sono anche la geometria del getto, la temperatura di colata, la geometria di alimentazione e la presenza o meno di raffreddatori. Un metallo puro ha una temperatura di solidificazione e presenta un fronte piano di solidificazione. Una lega ha un intervallo di solidificazione ed a seconda della sua ampiezza presenta una microstruttura diversa. Il getto solidifica con una struttura colonnare che si propaga in verso opposto a quello di scambio termico, se l’intervallo di solidificazione è breve (<50°C) si ha una solidificazione direzionale (con struttura colonnare) che favorisce il concentrarsi delle porosità in corrispondenza delle materozze opportunamente collocate. Se invece l’intervallo di solidificazione è ampio (>110°C) si ha una struttura meno colonnare ed equiassica in zone lontane dalle pareti, si hanno porosità diffuse che abbassano molto le caratteristiche meccaniche. Con velocità di raffreddamento elevate (ordine di 100 K/s) si ottengono microstrutture molto fini. Partendo dalla legge di Chvorinov, con dei passaggi matematici ci riconduciamo all’allungamento percentuale a rottura:
Ovvero possiamo dire che all’aumentare della dimensione della cella dendritica l’A% decresce. In presenza di dendriti di grosse dimensioni le dislocazioni si addensano ai bordi di grano provocando una rottura del pezzo anticipata rispetto al caso di dendriti piccole a cui fanno capo caratteristiche meccaniche migliori. La resistenza a snervamento non dipende dalla dimensione della cella dendritica perché il moto delle dislocazioni dipende dalla resistenza intrinseca del reticolo. Dunque abbiamo visto che nel caso dei getti il DAS (dendrite arm spacing ) e il parametro L(dimensione della cella dendritica) hanno una forte influenza sulle caratteristiche meccaniche oltre a questi parametri sono importanti il Deq (diametro equivalente delle particelle di seconda fase) e il parametro f (fattore di forma della particella di seconda fase) che forniscono informazioni riguardo le proprietà meccaniche di un getto, infatti, tanto più è grande e tanto più f è diverso da 1 maggiormente fragile sarà il getto (meno duttile). Fatte queste considerazioni possiamo confrontare le proprietà dei getti con quelli dei semilavorati ottenuti per deformazione plastica. La differenza principale tra le leghe utilizzate nei semilavorati per deformazione plastica e le leghe da fonderia sta nel fatto che per le prime resistenza e duttilità sono caratteristiche opposte, cioè alta resistenza a trazione comporta bassa duttilità e viceversa; mentre nelle leghe da fonderia si vede che alta resistenza a trazione comporta alto allungamento percentuale e questo perché non si arriva mai a strizione perché in questo materiale la trazione comporta l’insorgere delle cricche e la loro crescita, e dunque se la lega è duttile riesce a resistere bene alle cricche. Inoltre è possibile notare come nei semi-lavorati ottenuti per deformazione plastica le proprietà meccaniche siano anisotrope e dipendano dalla specifica direzione di lavorazione secondo la quale sono state ottenute (ad esempio pezzi laminati o trafilati). Non presentano effetti di scala come i getti e le proprietà tabellari sono molto affidabili a differenza dei getti dove è presente una sovrastimatura del 20% circa. 2.9 Contrazione di volume e porosità da ritiro (7 pt) Ci sono in generale tre tipi di ritiro durante le operazioni di fonderia: 1. contrazione liquida, e dipende dal grado di surriscaldamento con il quale si cola 2. contrazione solida fra la solidificazione e la temperatura di sformatura, e di solito si compensa facendo le forme poco più grandi 3. contrazione di solidificazione, è la più importante; dà luogo a ritiro liquido-solido che può portare facilmente alla creazione di porosità, con decadimento delle caratteristiche meccaniche; dipende dalla composizione delle leghe e si contrasta utilizzando assieme il principio della solidificazione direzionale e il posizionamento di materozze vicino alle aree di fine solidificazione. La porosità da ritiro si manifesta a fine solidificazione, perché in quell'ultimo liquido si riassume tutto il ritiro della trasformazione liquido-solido, senza che sia più possibile avere altro liquido che riempa le cavità che si formano a causa della contrazione. In certi casi il fenomeno si compensa con le materozze, che concentrano dentro di sé il ritiro volumetrico della trasformazione. Tuttavia, tale contromisura non è sempre efficace. In ogni caso, anche in presenza di materozze, è condizione necessaria, ma non sufficiente a spostare il ritiro fuori dal getto, l'attuazione di solidificazione quanto più possibile direzionale. In pratica si deve organizzare il contenitore che accoglierà il metallo liquido in modo che i gradienti termici pilotino la solidificazione nella direzione delle materozze, che devono solidificare per ultime. Nel caso del metallo puro l'intervallo di solidificazione è nullo (Tsolidus=Tliquidus) e non vi sono dendriti. Di conseguenza il fronte di solidificazione è piano e segue semplicemente il gradiente termico. Il gradiente localizzerà la zona di fine solidificazione, e lì avverrà il ritiro volumetrico. Il posizionamento coerente della materozza farà sì che quest'ultima rifornisca la zona critica del getto del liquido necessario e concentri dentro di sé la porosità. Nel caso delle leghe l'intervallo di solidificazione Tliquidus -Tsolidus non è nullo e inoltre vi sono le dendriti. Nella grande maggioranza delle leghe la solidificazione termina ad un punto eutettico.
2.10 Effetti di scala (influenza del volume) nelle proprietà meccaniche dei getti (8 pt) I valori tabellari delle proprietà tensili dei getti sono dei valori tipici. Infatti, per quanto riguarda i dati reali di Rm e Reh si ha che sono circa il 20% inferiori a quelli tabellari. Il motivo principale di ciò sta nel fatto che le caratteristiche meccaniche sono variabili da zona a zona nel getto a causa della diversa velocità di raffreddamento locale che quindi favorisce la formazione di microstrutture più o meno fini. Per determinare la probabilità di rottura di un getto, si utilizza la statistica di WEIBULL. Si definiscono: o V è il volume del pezzo o della zona sollecitata che interessa (“è un fattore di scala”); o V0 è un volume rappresentativo del materiale (dipende dalla microstruttura; per esempio un grano cristallino o la cella dendritica); o σ0 è la soglia di tensione al di sotto della quale non vi può essere rottura (di solito si prende pari a 0); o σmed (V0) è il valor medio della tensione di rottura nel volume rappresentativo; o w è l’esponente di Weibull, se è basso indica un’elevata dispersione nei valori di resistenza, viceversa una bassa dispersione (per la resistenza statica si hanno i seguenti valori tipici: vetro(5), ceramica(10), metalli laminati(80), metalli forgiati(50), getti in lega di Al (30), getti in lega di Al “premium quality”(50)); o P è la probabilità cumulativa di rottura;
Assumendo σ0=0, e eseguendo alcuni passaggi:
Introducendo le coppie di dati sperimentali ottenuti da prove di trazione sui getti, si riportano sul diagramma doppio logaritmico (R, P) e facendone la regressione, si ricava la retta la cui pendenza è w e dall’intercetta q si ricava σmed(V0) (lega A356 T6). Si nota a livello più pratico che all’aumentare di V aumenta P, infatti se V è grande il tempo di raffreddamento sarà più lungo, allora saranno f grande e Deq grandi, dunque avrò dendriti più grosse, per cui calano resistenza a trazione e allungamento a rottura e soprattutto se V è grande il getto avrà molti difetti. 2.11 Solidificazione con dendriti colonnari (9 pt) La solidificazione di un componente incomincia sempre dalle pareti del contenitore del getto, ovviamente più fredde del liquido. La rugosità superficiale del contenitore fornisce naturalmente i siti iniziali di nucleazione eterogenea dei cristalli della lega. La bassa temperatura iniziale della parete e il gran numero di siti di nucleazione favoriscono la copiosa formazione di fini cristalli equiassici, che formano uno strato iniziale per il solido in formazione, la cosiddetta chill zone. A questo punto l’interfaccia solido-liquido è all’incirca piana, cioè avrà una rugosità che riflette la presenza di molti piccolissimi cristalli affiancati.
Nel diagramma, che mostra l’evoluzione delle grandezze fisiche all’allontanarsi dall’interfaccia, sita a z=0, sono disegnati quattro tipi di curve: o la distribuzione di temperatura nel solido (curva a sinistra), approssimata come retta dalla pendenza GS o la distribuzione di temperatura nel liquido (curve a destra), approssimate come rette a, b, c con pendenze GL ognuna diversa dall’altra o la distribuzione di concentrazione di soluto nel liquido, ovviamente decrescente a partire dall’interfaccia ed avente gradiente GC o la temperatura di solidificazione costituzionale Tcostitutional, ovviamente crescente a partire dall’interfaccia (tratteggiata nella Figura), che esprime il fatto che la sovrassaturazione in soluto del liquido vicino all’interfaccia abbassa localmente la temperatura di solidificazione, che ritorna al valore nominale quando la concentrazione del soluto è di nuovo quella nominale (vedere la curva di concentrazione del precedente punto, il che accade sufficientemente lontano dall'interfaccia solidoliquido). Al fine di semplificare un problema che nella realtà dei fatti sarebbe un problema a sei variabili (temperatura, tempo, composizione, x, y, z) faremo le seguenti osservazioni in modo da ricondurci ad un problema a 1 dimensione: ❖ Si descrive una situazione con gradienti termici monodirezionali ❖ Il gradiente termico nel solido è basso se il contenitore è metallico allora facilmente è minore di Gl, non è detto se il materiale del contenitore varia questo resti vero ❖ Il gradiente Gl nello strato limite iniziale sarà forte poi andrà a diminuire man mano che il contenitore si scalda 1- Inizialmente il gradiente termico è ancora molto forte subito dopo la nucleazione dei primi cristalli equiassici superficiali. Quindi la retta ha una pendenza molto alta: nucleano e accresono cristalli di dimensioni molto ridotte 2- Crescendo lo strato di piccoli cristalli equiassici, nella chill zone si abbassa il gradiente termico Gl, quindi anche la pendenza della sua retta fino a quando sarà uguale a quella Tcostitutional. A questo punto finisce la crescita della chill zone. Se il pezzo è molto piccolo e il raffreddamento molto veloce la solidificazione si potrebbe anche concludere qua e non si avrà formazione di dendriti. 3- Se invece si va ancora avanti con la solidificazione, il gradiente termico del liquido diventa più basso di quello della temperatura di solidificazione Tconstitutional, cioè si troverà nella situazione della retta c. Questo accade immediatamente oltre all’interfaccia dove si avrà la superficie solida a contatto con un liquido sotto raffreddato. A causa dell’irregolarità della superficie di interfaccia sono presenti piccolissime regioni solide più avanzate rispetto al fronte medio dove saranno a contatto con un liquido ancora più sotto raffreddato rispetto agli altri bracci dendritici rimasti “indietro” rispetto a loro. Questo sistema è, dunque,
instabile e la continua crescita di quei bracci più avanzati rispetto al fronte comune formano delle protuberanze che si prolungano nel liquido. Questa zona tende a crescere più velocemente, le protuberanze tendono a crescere in maniera equidistante, perché crescendo il calore di solidificazione rilasciato inibisce la crescita dei bracci dendritici rimasti “indietro”. Crescendo queste protuberanze rilasciano soluto in eccesso, che anch’esso sotto raffreddato va a generare altre protuberanze anche lateralmente formando strutture reticolari chiamate dendriti. Quest’ultime sono costituite da bracci primari, secondari e, più raramente, terziari formando una struttura ad albero. E’ subito evidente che il fattore più importante sia il gradiente di raffreddamento nel liquido. Se questo si abbassa sufficientemente, come nel caso della retta c si verificherà la crescita di cristalli dendritici colonnari. Tuttavia, un altro fattore può entrare in gioco, la velocità di v=avanzamento dell'interfaccia solido-liquido. Due meccanismi di trasporto di massa sono invece operanti: ❖ la diffusione allo stato liquido, che obbedisce alla legge di Fick, inevitabile perchè esiste il gradiente GC ❖ la convezione naturale dovuta al gradiente di temperatura imposto dal raffreddamento; ciò implica un rimescolamento del liquido ed un'attenuazione del gradiente composizionale. L'importanza dei due fattori sopra enunciati è di natura essenzialmente cinetica: se la velocità di v avanzamento dell'interfaccia solido liquido è alta, non vi è tempo per il riequilibrio composizionale dettato dai due fattori di cui sopra. Al contrario, avanzamenti lenti dell'interfaccia lasciano il tempo per smorzare a sufficienza i gradienti composizionali, finché il sottoraffreddamento costituzionale non sarà più sufficiente a garantire la crescita delle dendriti colonnari. In definitiva, basso deve essere il gradiente termico nel liquido ed alta deve essere la velocità di avanzamento dell'interfaccia solido-liquido. Mettendo assieme questi due fattori, si può formulare come criterio di crescita dendritica colonnare il rapporto fra gradiente termico e velocità GL/v, che va minimizzato. Con solidificazioni effettuate in contenitori di sabbia o di metallo (conchiglie), i gradienti sono sufficientemente bassi per assicurare solidificazione dendritica. Al contrario, con colata a pressione e squeeze casting, i gradienti termici nel liquido sono molto alti e si arriva facilmente a sopprimere la solidificazione dendritica. 2.12 Solidificazione con dendriti equiassiche (9 pt) Man mano che la solidificazione avanza si affossa tutto il profilo della temperatura T nel liquido, ma la temperatura all’interfaccia diminuisce poco per via dello scambio quasi stazionario fra il contenitore e l’ambiente circostante(fig.A). In uno stadio avanzato della solidificazione tutta la curva della temperatura del liquido si abbassa, e si andrà a finire che ci sarà tutta la zona centrale in cui T
A questo punto si avrà crescita di nuclei solidi già presenti nell’ultimo liquido. Lavori di ricerca sperimentale hanno dimostrato che nuclei del solido sono già presenti e vengono a concentrasi nel liquido finale, come tutte le impurezze; i nuclei sono già presenti per i seguenti motivi: a) alcuni di essi si sono formati durante il versamento del liquido della colata quando questo è venuto transitoriamente a contatto con il contenitore più freddo b) durante la crescita colonnare normale, si sono staccati alcuni frammenti di dendriti che si sono poi concentrati nell’ultimo liquido. Da questo punto in poi la crescita dei nuclei cristallini già presenti sarà dendritica ed equiassica per i seguenti motivi: a) il gradiente GL perde la monodirezionalità, che era la condizione per avere crescita colonnare b) c’è sottoraffreddamento come prima, ma ora non direzionale c) ci può anche essere effetto del calore latente di solidificazione, che avvelena la crescita del cristallo nelle regioni immediatamente adiacenti al braccio dendritico che si stava sviluppando; tuttavia, siccome non si partiva da un’interfaccia planare ma da un cristallo più o meno poliedrico, vi saranno facce cristalline più distanti da quelle interessate dalla liberazione del calore latente di solidificazione e che saranno quindi in grado di crescere in una diversa direzione; in definitiva si ha una crescita complessiva non direzionale in modo simultaneo.
3 Alluminio da fonderia 3.1 Composizione, microstruttura e proprietà delle leghe binarie Al-Si (6 pt) Le leghe binarie sono le leghe della serie 4XX.Y.La lega tipica di questa famiglia è la 413.0 (AlSi13Fe). Sono le leghe da getto più usate perché: sono molto fluide per il grande volume di liquido eutettico. Infatti il calore di fusione del Si è alto, 1810 kJ/kg, mentre per l'Al è 395 kJ/kg, perciò si prolunga la vita della fase fluida. Sono molto resistenti a corrosione e hanno buona saldabilità perché il Si riduce il ritiro da solidificazione e abbassa il coefficiente di espansione termica. Inoltre, le particelle dure di Si peggiorano la lavorabilità all'utensile quando si fanno forature o finiture superficiali, però danno rafforzamento per dispersione e conferiscono resistenza all'usura. Nella struttura di solidificazione vi sono almeno due fasi, Al e Si, la scala microstrutturale è nell'intervallo 1100 μm (1-10 μm le particelle di Si, 10-100 μm i bracci secondari delle dendriti). La duttilità della lega dipende dalla morfologia del Si (diametro equivalente Deq e fattore di forma f): • a bassa velocità di solidificazione la struttura è grossolana con l'eutettico fatto da grandi placche o aghi di Si su fondo di Al (Deq e f grandi) • le particelle di Si sono quasi interconnesse e danno fragilità perché in tal modo creano percorsi prestabiliti per una facile frattura • a grandi velocità di solidificazione la struttura è fine e il Si assume una forma fibrosa che aumenta duttilità e resistenza • si possono migliorare ancora le caratteristiche meccaniche modificando l'eutettico. Le leghe binarie hanno una duttilità appena discreta se sono ipoeutettiche e presentano queste caratteristiche: • La percentuale di Fe deve essere bassa, al massimo lo 0,2% per leghe colabili in sabbia e conchiglia, altrimenti si forma il composto Al5FeSi aghiforme, che conferisce notevole fragilità alla lega. • E' possibile contrastare l'azione negativa del Fe aggiungendo Mn, che mitiga gli effetti deleteri sulla duttilità degli aghi di β-Al5FeSi, causandone un cambiamento morfologico in favore di cristalli α-Al5FeSi cosiddetti a scrittura cinese. • Nelle leghe da pressocolata, che hanno alto Si e grande velocità di raffreddamento, si mette 1 ≤ Fe ≤ 2% per scongiurare gli strappi a caldo; il Fe farebbe anticipare la rottura in leghe con percentuali di Si molto minori dell’eutettico, perché quelle sarebbero di per sé ben più duttili, e di conseguenza lunghi aghi di β -Al5FeSi produrrebbero fragilità. Se viceversa il Si è circa in percentuale prossima all'eutettico o ipereutettica, e quindi molto alta, la lega è già molto fragile, e quindi la presenza di β -Al5FeSi non diminuirebbe quasi allungamento a rottura, mentre l’effetto positivo dei liquidi basso fondenti contenenti Fe a fine solidificazione contrasterebbe gli strappi a caldo. Alla fine è meglio una particella contenente Fe che incrementa ormai poco la fragilità, che avere la presenza di cricche dall’ultimo liquido solidificato. Le leghe eutettiche hanno molto Si e quindi: • hanno poco ritiro • sono molto fluide • si rafforzano per dispersione di particelle di Si • vanno bene per getti a parete sottile dove la resistenza non è fondamentale, esempio scatole per ingranaggi automobilistici, ma dove evitare la porosità da ritiro è fondamentale, perché aumenta la tenuta a pressione di componenti cavi, senza perdite di liquido contenuto; tipico esempio è la lega B413.0/AlSi13Fe si colano soprattutto in conchiglia o a pressione perché, contenendo molto Si e da solo (Cu e Mg peggiorano la fluidità del liquido), sono di per sé molto fluide e quindi sono adatte a riempire velocemente delle forme più o meno complicate geometricamente; tipico esempio è la lega A360.0/AlSi9MgFe.
3.2 Effetto del Si nelle leghe di Al da fonderia (7 pt): Il silicio inserito nelle leghe di alluminio ha molti effetti tra i quali: • Migliorarne la colabilità per via del delle elevate energie in gioco, ci sta tanto a solidificare (per fondere un Kg di Al sono necessari 395 KJ invece per un kg di Si 1810KJ); questo evita anche la porosità nella lega. • Le leghe contenenti silicio danno poco ritiro volumetrico che è funzione del silicio presente per via del fatto che il silicio ha la stessa densità dell’alluminio liquido quando è solido questo contrasta il ritiro. • Le leghe con il silicio hanno un’ottima resistenza alla corrosione, l’alluminio è ottimo come resistenza alla corrosione perché si passiva formando uno strato superficiale nel pezzo stabile non poroso e aderente alla superficie; il silicio al più migliora questa proprietà ma non la peggiora. • Le leghe alluminio-silicio sono saldabili, non saranno ovviamente saldature ad alta resistenza, interessante anche per eventuali riparazioni. • Hanno un coefficiente di espansione termica basso, questo permette di ridurre le tensioni residue all’interno del pezzo. Infatti durante una saldatura si va a fondere una zona, lasciando quindi un gradiente di temperature nel pezzo. Questo gradiente genera delle tensioni residue alle volte anche vicino allo snervamento che crea problemi di resistenza a fatica e stress corrosion cracking. • Il silicio da rafforzamento per dispersione, non per precipitazione per via della grandezza dei precipitati • Data la durezza delle particelle di silicio i componenti di questa lega danno un’usura maggiore degli utensili di lavorazione. • Il silicio da anche una resistenza all’usura in vantaggio. 3.3 Composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-Si-Mg da fonderia (7 pt) Sono leghe della serie 3xx.y, aventi circa il 7%Si e 0,3-0,5%Mg, sono molto utilizzate come componenti strutturali in meccanica e aeronautica. Hanno applicazioni come: supporti motori aeronautici, supporti motori automobilistici, ipersostentatori, ecc. Sono usatissime soprattutto le 356 e 357 per colate in sabbia e conchiglia, perché il Mg permette il trattamento T6, con il quale come minimo si raddoppia il limite elastico rispetto a leghe binarie con pari Si. Hanno le seguenti proprietà: • Alte proprietà meccaniche (R circa 300MPa, A% circa 7%); • Buona fluidità grazie alla presenza del Si (buona colabilità); • Ottima tenuta a pressione; • Ottima resistenza a strappi a caldo; • Buona resistenza a corrosione; • Buona saldabilità; • Bassa resistenza a caldo;
Queste leghe possono essere rafforzate con un T6 grazie alla presenza del Mg ottenendo il precipitato β’(Mg2Si) nanometrico che favorisce una resistenza allo snervamento circa il doppio rispetto ad una lega AlSi avente la stessa quantità di Si. Si ha inoltre un rafforzamento per dispersione di particelle di Si micrometriche. Deformando la lega plasticamente in trazione si ha la rottura delle particelle di Si o di β (fragili). La duttilità in trazione è controllata da: 1 rottura di particelle di Si in matrice plasticamente deformata 2 è fondamentale modificare l'eutettico e svolgere il trattamento T6 per abbassare Deq e f e aumentare il limite elastico rafforzando la matrice metallica. 3 Si contrasta l'infragilimento dovuto al Fe in due modi: o si mantiene Fe≤0,2%, ma meglio ancora sotto lo 0,1% o si aggiunge Mn che contrasta la formazione di aghi di β-Al5FeSi in favore di α-Al5FeSi a scrittura cinese.
Le leghe Al-Si-Mg spesso lavorano a fatica. Si verificano sporadicamente alcuni problemi: • le curve di Woehler talvolta sono poco sensibili al T6 • ciò è in contrasto con il comportamento delle leghe da deformazione plastica, dove un innalzamento della resistenza a trazione comporta anche un innalzamento della resistenza a fatica • la spiegazione sta nel tipo, posizione e dimensione dei difetti: se questi non sono presenti, o sono pochi e non in zone superficiali, l'effetto del T6 è di aumentare anche la resistenza a fatica; se invece vi sono difetti superficiali, oppure sono centrali, ma in grande quantità, fungono da nucleatori di cricche di fatica oppure aumentano la sollecitazione sul componente a pari stress apparente applicato: in tal caso il T6 è poco o nulla efficace. 3.4 Composizione, microstruttura e proprietà delle leghe Al-Si-Cu (7 pt) Sono leghe della serie 3xx.y e la lega tipica di questa famiglia è la A380 (“lega target per resistenza a creep”). Si utilizzano al posto delle leghe binarie quando si necessita una maggiore resistenza (grazie al Cu). Spesso si ha anche un po’di Mg<1%. Le tipiche applicazioni sono di tipo strutturale come blocco motore o pistoni. Se si ha un tenore elevato di Si, normalmente si ha anche un tenore di Fe (1-2%) che sfavorisce la formazione di cricche a caldo (dovute alla presenza di Cu) seppur forma β-Al5FeSi, che è una struttura aghiforme e fragile (effetto meno dannoso delle cricche a caldo). Solitamente la composizione di questa lega è data da particelle numerose e fini. Le composizioni più comuni sono con Si (3-10,5%) e Cu (1,5-4,5%). Getti con basso Si% e Cu% si producono in sabbia e conchiglia, mentre, con alto Si (10%) sono colati a pressione. Effetto dell’alto contenuto di Si (>8%): ➢ Aumento resistenza all’usura (particelle di Si); ➢ Colabilità favorita dalla fluidità e riduzione dei ritiri; ➢ Permette raffreddamenti rapidi e riempimenti di forme complesse; ➢ Modificazione dell’eutettico con P, che forma AlP che è un nucleante per ottenere piccole particelle di Si. Effetto del Cu: • Si applica il trattamento termico T5 quando il raffreddamento dopo solidificazione è veloce quasi come una tempra; • Migliora la resistenza meccanica tramite rafforzamento per soluzione solida, per precipitazione e per dispersione; • Migliora la lavorabilità all’utensile; • Peggiora la duttilità e la colabilità; • Peggiora la resistenza alla corrosione; • Favorisce la formazione di strappi a caldo (hot tearing); Rafforzamento: o rafforzamento per dispersione di particelle micrometriche di dimensioni fra 1 e 10 μm: Si, θ (Al2Cu) e β(Mg2Si) o rafforzamento per precipitazione di particelle nanometriche di dimensioni fra 10 e 100 nm: θ' (Al2Cu) e β' (Mg2Si) e S' (Al2CuMg) o rafforzamento per soluzione solida di Cu e Mg rimasti in soluzione solida sovrassatura al termine della solidificazione e del raffreddamento rapidi.
Trattamenti termici: ▪ F: grezzo di colata; ▪ T5 (invecchiamento artificiale): si consegue un incremento della resistenza da modesto a buono; ▪ T6: praticabile solo se il getto ha bassa porosità, altrimenti si ha il blistering.
3.5 Confronto della composizione e microstruttura delle leghe Al-Si e Al-Si-Cu. (7 pt) Le leghe Al-Si sono le leghe della serie 4xx.y mentre le leghe Al-Si-Cu sono leghe della serie 3xx.y. Confrontando le due leghe: Le applicazioni sono molto diverse: le leghe binarie Al-Si hanno minore resistenza e se contengono molto Si sono molto colabili e vengono impiegate per ottenere getti complessi e a parete sottile (scatola ingranaggi) aventi buona tenuta a pressione; invece, le leghe Al-Si-Cu (con circa Si (3-10,5%) e Cu (1,5-4,5%)) sono usate per impieghi strutturali ove si necessita maggiore resistenza, la lega A332 con il 2% di Ni ha elevata resistenza a caldo (pistoni); Le leghe Al-Si hanno rafforzamento per soluzione solida e per dispersione del Si ma non contengono elementi che favoriscono rafforzamento per precipitazione; mentre le leghe Al-Si-Cu oltre al rafforzamento per soluzione solida e per dispersione (Si, θ(Al2Cu) e β(Mg2Si)) se soggette ad un trattamento T5 o T6 (solo se si hanno getti con poche porosità facendo attenzione al blistering) hanno rafforzamento per precipitazione di θ’(Al2Cu) e β’(Mg2Si); Dal momento che le leghe Al-Si-Cu contengono Cu, questo le caratterizza rispetto alle leghe binarie Al-Si con: - migliore lavorabilità all’utensile;
- migliore resistenza meccanica e peggiore duttilità; - peggiore colabilità; - peggiore resistenza a corrosione; - peggiore resistenza agli strappi a caldo. Si può aumentare la resistenza agli strappi a caldo inserendo nelle leghe Al-Si-Cu 1-2% di Fe che però aumenta la fragilità (β). 3.6 Modificazione dell’eutettico nelle leghe di Al contenenti Si (leghe ipoeutettiche e ipereutettiche) (8 pt) La modificazione chimica dell'eutettico fa lo stesso effetto di un raffreddamento rapido, cioè si aumenta la velocità di nucleazione e si diminuisce la velocità di crescita dei cristalli di solido eutettico; le particelle di Si passano da grandi aghiformi a piccole fibrose (Deq e f piccoli) e si ottiene: o miglioramento della resistenza R o migliora la duttilità come allungamento a rottura A% e la tenacità a frattura KIc. LEGHE IPOEUTETTICHE (<12%Si): La modifica dell’eutettico si effettua inserendo Na (come sale di sodio o come metallo). Si ottiene un sottoraffreddamento di circa 12°C, si riduce inizialmente la nucleazione del Si, ma scendendo di temperatura la velocità di nucleazione aumenta favorendo una bassa crescita. Se è presente P, si forma il composto AlP che essendo un nucleante di Si porta a formare grandi particelle di Si (fragilità). Aggiungendo Na (0,005-0,015% in massa) si neutralizza l’effetto del P formando NaP, ma ciò diminuisce l’effetto della modifica dell’eutettico e deve essere inserita una quantità maggiore di Na (problema della sottomodifica). Allo stesso tempo, se è presente troppo sodio si ha il problema della sovramodifica caratterizzata dalla formazione di AlNaSi che è nucleatore di Si. Occorre quindi partire da leghe povere di P (0,0005%) facendo inoltre un controllo attento della dose di Na efficace considerando anche il problema dell’evaporazione e ossidazione. Nell’utilizzo del Na come modificante si ha una minore fluidità del liquido e la perdita della modifica in caso di rifusione del metallo per cui si possono utilizzare in alternativa al Na, lo Sr o l’Sb. Con l’uso di Sr (0,02%) o di Sb (0,2%), si affina l’eutettico ottenendo caratteristiche comparabili alla modifica con Na, il maggior vantaggio è che non hanno il problema della sottomodifica e sovramodifica ed inoltre la struttura modificata si mantiene anche dopo rifusione. LEGHE IPEREUTETTICHE (>12%Si):
Hanno molto Si che favorisce poco ritiro, maggiore fluidità e sono quindi maggiormente prodotte in conchiglia o a pressione. Si usano per getti a parete sottile dove la resistenza non è fondamentale (scatole per ingranaggi). La modifica dell’eutettico consiste nell’affinare i cristalli primari di Si
mediante l’aggiunta di P, ottenendo AlP che è nucleatore dei cristalli di Si (inoculazione). Per far ciò è necessario svolgere prima un flussaggio prolungato con Cl per eliminare H e impurezze come Ca, Na, che diminuirebbero il P necessario per la modifica. Quindi si aggiunge P e alla fine si effettua il flussaggio breve per eliminare l’H eventualmente entrato. In successivi riutilizzi, dovendo rieseguire il flussaggio si perde il P, che quindi deve essere introdotto di nuovo.
4 Leghe di Magnesio 4.1 Resistenza alla corrosione nelle leghe di Mg con Al e Zn (5 pt) • •
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Il Mg è un metallo molto anodico, ha il potenziale elettrico più piccolo di tutti i metalli strutturali. Accoppiato con altri metalli, si corrode galvanicamente in modo più o meno veloce. In presenza di H2O o aria umida si passiva con formazione di Mg(OH)2 ed è più resistente alla corrosione atmosferica dell'acciaio dolce. Tuttavia lo strato di passivazione è più poroso e meno stabile di quello di Al e Ti. In ambiente rurale all'atmosfera o in acqua il Mg resiste discretamente, la velocità di corrosione è -
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dell'ordine di 0,25 mm/anno. Le soluzioni contenenti Cl distruggono molto facilmente lo strato di passivazione e danno corrosione per pitting. Quindi il Mg non resiste a corrosione in ambiente acido. Le soluzioni contenenti Cl- distruggono molto facilmente lo strato di passivazione e danno corrosione per pitting. Il Mg non resiste a corrosione in ambiente acido. Nelle leghe storiche Mg-Al e Mg-Al-Zn si verificavano severi problemi di corrosione in condizioni di bagnato o umido. Il problema si riduce se si aggiunge Mn=0,2%, perché si neutralizzano le impurità Cu, Fe e Ni formando composti intermetallici poco dannosi, che a volte passano nella scoria, oppure sono poco catodici rispetto alla matrice. Ci sono limiti di tolleranza: Cu=0,13%; Fe=0,017%; Ni=0,0005%. Al di sopra di questi la velocità di corrosione aumenta enormemente. Altra misura è appunto quella di abbassare i tenori di Cu, Fe, Ni. Si può proteggere dalla corrosione con dei ricoprimenti di natura organica o inorganica.
Le leghe basate sul sistema Mg-Al sono le leghe più usate per il loro costo e, per l'eccellente fluidità impartita dall'Al, si prestano a essere colate soprattutto a pressione. Contengono principalmente Al che conferisce indurimento per soluzione solida. Sono leghe che contengono, oltre ad Al, almeno anche o Zn o Si o Mn come elemento legante o come piccola aggiunta per migliorare la resistenza alla corrosione. In particolare, le leghe Mg-Al con aggiunta di Zn hanno le seguenti caratteristiche: • sono leghe molto fluide per via dell'Al e quindi si colano a pressione • per la ragione di cui sopra, contengono la tipica porosità centrale nei getti • l'Al conferisce rafforzamento per soluzione solida • sono leghe inoculate, quindi anche rafforzate per finezza di grano • possono soffrire di corrosione (per esempio AZ91A, AZ91B e AZ91C) a meno che ➢ non siano di alta purezza (bassissimi Fe, Cu e Ni) ➢ abbiano composizione bilanciata con Mn per avere buona resistenza alla corrosione (Fe, Cu e Ni in intermetallici con il Mn poco catodici rispetto alla matrice) • sono leghe di uso generale, con buona resistenza e duttilità a T ambiente • la massima temperatura di esercizio è 120°C, poi soffrono il creep.
4.2 Proprietà ingegneristiche peculiari (leggerezza, capacità di smorzamento, lavorabilità) delle leghe di magnesio (7 pt) Le leghe di magnesio sono utilizzate in ambito ingegneristico per: ❖ Leggerezza Densità =1740 kg/m3 E=45 Mpa La bassa densità del Mg (in confronto con l’acciaio e l’alluminio) consente di ottenere, a partirà di rigidezza o resistenza a flessione, un considerevole alleggerimento strutturale, a patto di un ingombro maggiore. Per questo motivo trova impiego in campo aeronautico e automobilistico
❖ Capacità di smorzamento elevata Il Mg possiede elevata capacità di smorzamento: la capacità specifica di smorzamento è definita come rapporto fra l'energia dissipata per ciclo e l'energia elastica del ciclo stesso durante vibrazioni meccaniche. Dipende ovviamente dall'ampiezza di sollecitazione, visto che le dislocazioni incominciano a muoversi già ben al di sotto del limite elastico, che rimane un valore convenzionale utile per l'ingegnere. Tuttavia, anche a bassi carichi, alcune dislocazioni sui sistemi di scorrimento (piani e direzioni) più favorevolmente orientati alla tensione di taglio agente cominciano a muoversi, generando fenomeni dissipativi per attrito interno, che si manifesta a livello macroscopico come ciclo d'isteresi. Innalzando l'ampiezza della sollecitazione, si attivano nuove dislocazioni su sistemi via via meno favorevolmente orientati, allargando così il ciclo d'isteresi. Elevata capacità specifica di smorzamento: (D=Udiss/Uel), dovuta ad un ciclo di isteresi molto ampio. Energia dissipata Energia elastica Per quanto detto sopra, la capacità specifica di smorzamento diminuisce con l'alligazione e l'incremento di resistenza. Infatti quei fattori che alzano il limite elastico convenzionale rendono comunque più difficile l'attivazione del moto delle dislocazioni e pertanto, a pari ampiezza di sollecitazione, tendono a stringere il ciclo d'isteresi. ❖ Eccellente lavorabilità all’utensile: Il Mg è contraddistinto dalla migliore lavorabilità all'utensile di tutte le leghe metalliche strutturali. Ciò è principalmente dovuto alla formazione di trucioli piccoli (il Mg ha comportamento relativamente fragile) che si staccano facilmente. Ciò provoca: • incremento della vita dell'utensile di 5-10 volte tanto • le superfici di lavorazione sono molto lisce e non c'è bisogno di finitura o di lubrificazione fino a velocità di taglio al di sotto di 5 m/s • la lubrificazione può essere consigliabile per evitare rischi d'incendio da parte delle polveri prodotte che, se sono molto fini, risultano piroforiche, soprattutto se le velocità di taglio sono molto elevate. 4.3 Leghe Mg-Al-Zn, Mn-Al-Mn e Mg-Al-Si (composizione, microstruttura e proprietà) (7 pt) ❖ Leghe Mg-Al-Zn (AZ): Si può diminuire molto la quantità di β (composti intermetallici) introducendo Zn; si ha solo aumento moderato di resistenza a creep, ma è interessante il rafforzamento per precipitazione: durante l'invecchiamento in un T5 o T6, dove lo Zn porta a η’= MgZn2, semicoerente e rafforzante. Lo Zn deve essere presente in quantità moderate (1-3%), altrimenti causa la comparsa di strappi a caldo. La lega AZ91B è suscettibile di corrosione atmosferica perché il contenuto delle impurezze di Fe, Cu, Ni non è basso. Essa è in commercio perché meno costosa, in quanto viene prodotta a partire da scarti e riciclaggi, si può quindi usare quando non è richiesta resistenza a corrosione, come parti verniciate in ambienti non corrosivi. Per avere elevata resistenza alla corrosione si passa alle leghe ad alta purezza e contenenti un minimo prescritto di Mn (in assenza di Mn i limiti sono Cu=0,13%; Fe=0,017%; Ni=0,0005%): la AZ91D, con resistenza a corrosione atmosferica in ambiente urbano o industriale eccellente, oppure AZ91E che ha purezza ancora maggiore, che le permette una moderata resistenza a corrosione anche in acqua salata.
❖ Leghe Mg-Al-Mn (AM) L’introduzione di Mn comporta una maggiore duttilità e tenacità, una diminuzione di fase beta Mg 17Al12 (composto intermetallico) a BDG e un’ottima resistenza alla corrosione. Infatti vengono prodotte leghe ad alta purezza come AM60. Tuttavia la percentuale di Mn deve stare intorno allo 0,3%. Questo tipo di leghe viene utilizzato per la produzione di interni di auto come sedili e volante, e per ruote. ❖ Leghe di Mg-Al-Si (AS) L’introduzione di Si comporta una riduzione in volume della fase beta, tuttavia con raffreddamenti lenti si ottengono Mg2Si a scrittura cinese il quale peggiora le caratteristiche meccaniche. Si può ovviare al problema cercando di eliminare Mg2Si aggiungendo lo 0,1% di Ca oppure sfruttando le alte velocità di raffreddamento realizzate con processi del tipo pressocolata, dove in particolare Mg2Si va a depositarsi, come precipitato fine, nei BDG. Questo tipo di precipitazione inoltre comporta una maggiore resistenza al creep fino a temperature moderate 140°, valore che non si ottiene in leghe del tipo AZ e AM. AS41(più fluida) e AS21(meno fluida ma più resistente a creep) sono leghe abbastanza diffuse, per esempio la VW le ha utilizzate per la produzione di blocchi motore. 4.4 Temprabilità degli acciai da bonifica (5 pt) La temprabilità degli acciai descrive essenzialmente la capacità del metallo di trasformarsi in martensite a distanze via via crescenti dalla superficie temprata. Assumendo come ben noti i concetti relativi agli aspetti tecnologici del trattamento di tempra, si ricorda che il diametro critico ideale di tempra (Dci) è il diametro della barra cilindrica che prende tempra fino a cuore, cioè sarà costituita a cuore da almeno il 50% di martensite con una tempra ideale, che è quella che è capace di portare istantaneamente la superficie della barra alla temperatura del bagno di spegnimento e di mantenerla per tutta la durata del trattamento. E' chiaro che si tratta di una situazione ideale. Si ricorda che il diametro critico ideale dipende dalla composizione chimica dell'acciaio e dal diametro del grano austenitico che si raggiunge durante l'austenitizzazione. Definiti quindi: Dci = diametro critico ideale di tempra per l'acciaio in esame Dc = diametro critico ideale di tempra per un acciaio con la percentuale di C pari a quella in esame, ma privo di elementi leganti (in pratica una lega binaria Fe-C) n = numero di grani di austenite al pollice quadrato visti con un microscopio ad un ingrandimento di 100X N = dimensione del grano ASTM, ottenuto arrotondando all'intero più vicino il valore ottenuto dalla seguente equazione n=2^(N-1) fi = fattore moltiplicativo del diametro critico ideale che tiene conto della temprabilità conferita dagli elementi leganti iesimi (nell'ordine di efficacia Mo, Mn, Cr, Ni, Si) Dic = Dc*fMo*fMn*fCr*fNi*fSi dove i singoli fattori, qui riprodotti in Figura 1, si trovano tabellati nelle varie normative.
Il diametro critico ideale permette, scegliendo il mezzo temprante reale e la geometria del pezzo effettivo da trattare, di calcolare la profondità di tempra dei componenti. Per questo si fa ricorso a tabelle e diagrammi riportati nelle normative e nella letteratura tecnica attinente. In questa sede giova solo ricordare quali fattori influiscono sulla temprabilità e collegarli con le curve CCT di ciascun acciaio. Come si vede sopra, all'aumentare delle percentuali di C e degli elementi leganti aumenta la temprabilità perchè aumenta il diametro critico ideale, il che si ribalta nel fatto che le curve CCT si spostano progressivamente verso destra, cioè le trasformazioni avvengono dopo tempi d'incubazione più lunghi. Ciò permette di ottenere martensite con raffreddamenti più lenti o, visto sui diagrammi delle curve CCT, con curve di raffreddamento più prolungate, che incrociano la retta di martensite start prima della curva di trasformazione dell'austenite in una fase diversa dalla martensite. 4.5 Resistenza alla fatica a flessione di ruote dentate: criteri di scelta degli acciai e sensibilità all’intaglio (7 pt) Per poter scegliere l’acciaio adatto per le ruote dentate, bisogna tenere conto di diversi fattori strutturali ed in particolar modo bisogna tener conto della resistenza a fatica a flessione e della sensibilità all’intaglio. La massima tensione equivalente a flessione nel punto più sollecitato (il piede del dente) σF deve essere minore o uguale alla tensione ammissibile σFP: σF≤σFP A sua volta, la tensione ammissibile σFP è funzione dei seguenti parametri: • • • • •
σFlim = limite di fatica o, più correttamente, resistenza a fatica del materiale (riferito a condizioni di rapporto di carico -1 (flessione rotante) SFmin = fattore di sicurezza minimo alla flessione (reperibile nella normativa) YF = fattore della geometria delle ruote dentate e delle condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa) yNT = fattore di durata del materiale, che indica come si abbassa la resistenza a fatica con il numero di cicli di sollecitazione fino a 3 106 cicli, oltre i quali yNT è unitario yδrelT = fattore relativo all'intaglio, che dipende dalla sensibilità all'intaglio a fatica del materiale
I parametri σFlim yNT e yδrelT, che rappresentano le caratteristiche dei materiali e quindi devono essere utilizzati nella scelta degli acciai opportuni, si trovano tabellati nelle normative, sia pure con parecchia approssimazione. ❖ Resistenza a fatica Per quanto riguarda la resistenza a fatica, in una prima grezza approssimazione si può fare uso di una tabella riportata dalla norma UNI 8862, che condensa in modo spiccio e vago le caratteristiche delle leghe ferrose più usate. Vi è correlazione di σFlim con la durezza. Si tratta di un espediente approssimato, che è molto sbrigativo nei calcoli di progetto ma, nel caso di materiali a durezze molto basse o molto alte, trascura parecchi fenomeni come indurimento ed addolcimento durante il ciclaggio, che portano a resistenze a fatica un po' diverse.
Anche la norma ISO correla in modo semplicistico la resistenza a fatica alla durezza mediante delle correlazioni lineari, tuttavia è apprezzabile lo sforzo di fornire un panorama più dettagliato sui materiali e il loro diverso comportamento. Talvolta le durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella Vickers. Quest'ultima è sempre preferibile, sia per la maggiore affidabilità alle alte durezze, sia per il fatto che mediante la Vickes a bassi carichi è possibile ottenere valori significativi e differenziare con precisione fra diverse posizioni su un dente di un ingranaggio. Per quanto riguarda il fattore di durata yNT, di nuovo la norma interviene per la sua determinazione, sia pure con una drastica approssimazione. Ovviamente, giocando sui parametri di trattamento termico (il rinvenimento durante la bonifica) o termochimico (il tipo di cementazione o nitrurazione), si possono modulare le caratteristiche degli acciai con grande flessibilità, cosa che non appare nelle tabelle delle normative. Un'alternativa alle norme è tratta dalla letteratura americana, che rimane sempre piuttosto grezza, ma ha il pregio di mostrare in modo più ampio come varia la resistenza a fatica con il numero di cicli di sollecitazione, e in funzione della durezza che consegue al trattamento termico. Si coglie l'occasione per rimarcare che si evita di dipingere un limite di fatica per vita infinita, che in molti casi non esiste, come è sempre più evidente dai risultati riportati dalla letteratura scientifica in materia negli ultimi 20 anni. ❖ Sensibiltà all’intaglio il fattore relativo all'intaglio yδrelT dipende da due parametri: qS = fattore geometrico del dente tabellato dalle norme ρ' = sensibilità del materiale all'intaglio quando sollecitato a fatica, tabellato in modo sbrigativo dalle norme
Si può avere una visione più approfondita e più precisa del comportamento dei materiali prendendo in considerazione la loro microstruttura. In particolare, trattando di sensibilità all'intaglio, sarebbe bene considerare le discontinuità microstrutturali caratteristiche. Avendo esaminato le caratteristiche microstrutturali che fungono da discontinuità, cioè da intaglio interno, e considerando anche la durezza, all'aumentare della quale la matrice aumenta la sua sensibilità all'intaglio, si può avere una visione sia più generale, e nel contempo anche più precisa, della sensibilità all'intaglio delle leghe ferrose. Il compendio è dove le curve sono parametrate dalla durezza.
4.6 Resistenza alla fatica di contatto e pitting di ruote dentate: criteri di scelta degli acciai (6 pt) Per poter scegliere l’acciaio adatto per le ruote dentate, bisogna tenere conto di diversi fattori strutturali ed in particolar modo bisogna tener conto della resistenza a fatica di contatto e del fenomeno del pitting. La massima tensione equivalente derivante dalla pressione di contatto dei denti sul loro fianco deve essere minore o uguale alla tensione ammissibile σHP: σH≤σHP A sua volta, la tensione ammissibile σHP è funzione dei seguenti parametri: •
• •
σHlim = resistenza a fatica per contatto del materiale per durata a lungo termine che, per le 4 famiglie di acciaio menzionate all'inizio, vale al di sopra dei 5 107 cicli di carico); la norma ISO assume di avere probabilità di danno per pitting non superiore all'1% SHmin = fattore di sicurezza minimo nelle condizioni di contatto superficiale (reperibile nella normativa) YH = fattore della geometria delle ruote dentate, dalla loro finitura superficiale, del loro accoppiamento e delle condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa)
Anche in questo caso, come per la flessione, la norma ISO correla in modo semplicistico la resistenza a fatica alla durezza mediante delle correlazioni lineari. Di nuovo, è comunque apprezzabile lo sforzo di fornire un panorama più dettagliato sui materiali e il loro diverso comportamento. Le durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella Vickers, che rimane sempre preferibile ed è quindi quella di riferimento. Altro fenomeno che si manifesta nelle ruote dentate è il pitting. E' il meccanismo di danneggiamento e messa fuori servizio più comune. Presenta le seguenti connotazioni: • richiede alti stress hertziani • avviene in componenti che devono sostenere un altissimo numero di cicli di lavoro, tipicamente superiore al miliardo, sicché non si può o è improprio parlare di limite di fatica • il pitting è un fenomeno di fatica che fa nucleare una cricca in superficie o poco sotto • ha una morfologia caratteristica, dove la cricca propaga per un po' al di sotto della superficie e parallelamente ad essa, poi si ramifica e torna in superficie
• •
la formazione di un pit visibile avviene quando si stacca un pezzo di materiale dalle superfici se diversi pits si uniscono per formarne uno grosso, si parla spesso di spalling.
Quando si verifica il rotolamento con strisciamento fra due superfici, si assiste allo spostamento del massimo dello sforzo di taglio nel contatto con attrito fra due ruote dentate, cha da sottocorticale (rotolamento puro) si avvicina alla superficie, fino ad affiorare quando un attrito intenso genera sforzi di sfregamento elevati. Nella figura soprastante si schematizza il contatto di rotolamento fra due superfici. Questa sarebbe la situazione tipica dei cuscinetti (rotolamento puro) e la curva che rappresenta la tensione tangenziale in funzione della distanza dalla superficie è rappresentata in linea continua. In linea tratteggiata è invece rappresentato lo stress tangenziale generato dalla frizione fra le due superfici. Infine, la curva punteggiata è la somma delle due. Il massimo si sposta verso la superficie quanto più l'azione abrasiva superficiale è intensa. Innesco del pitting: 1. Gli inneschi sono sub-superficiali se vi sono difetti localizzati, tipicamente inclusioni (di qui la stringente necessità di utilizzare acciai molto puliti) mentre le condizioni di lavoro che si riscontrano sono normali e cioè: • alta velocità di rotazione • ottima finitura superficiale • adeguata lubrificazione 2. sono per lo più superficiali, o si spostano dalla zona sub-corticale verso la superficie all’aumentare dell’intensità delle forze di attrito fra le superfici antagoniste; infatti, il picco di stress di taglio (che nuclea la cricca) si sposta gradualmente verso la superficie; in tal caso le cause più comuni sono: • spessore del film di lubrificante insufficiente • contatto metallo-metallo esageratamente intenso, tipicamente legato a finitura superficiale inadeguata o difetti superficiali; in questo caso si hanno: o interazioni fra le asperità delle superfici antagoniste o contatti con difetti come righe o solchi 3.vi sono alterazioni nel lubrificante: • contaminazione con H2O, con conseguente corrosione • contaminazione con particelle abrasive, con susseguenti indentazioni e solchi sulla superficie. Contromisure: • abbassare gli stress di contatto, di solito variando i parametri geometrici delle ruote dentate, cioè in tal caso si agisce sul progetto • scegliere un materiale ed un trattamento termico adatti per avere un dente resistente con una superficie dura; di solito, ma non sempre, si scelgono acciai da cementazione, perché sono quelli più adatti; le caratteristiche salienti sono: o la superficie è molto dura o in superficie vi sono tensioni residue di compressione o i costi di produzione sono elevati o dopo trattamento termico necessitano di finitura superficiale mediante rettifica o lappatura. • occorre scegliere un lubrificante tale da dare origine ad un film spesso e viscoso, in ottemperanza ai dettami dell’elasto idrodinamica, che prescrive: o lubrificante molto viscoso o pulito, cioè non contaminato da particelle o sostanze estranee o il lubrificante deve poter lavorare freddo, altrimenti perde viscosità o deve essere secco, cioè deve essere privo di acqua.
5 Acciai per ruote dentate 5.1 Inclusioni non metalliche e il loro effetto negli acciai per ruote dentate (5 pt) Gli acciai legati (debolmente, cioè nessuno degli elementi introdotti raggiunge o supera la percentuale del 5%) hanno un contenuto di elementi leganti dell'ordine del 3%. Essi sono aggiunti per conferire temprabilità, in modo da avere penetrazione della trasformazione martensitica durante la tempra fino a grandi profondità. Nella citata norma UNI EN 10083 la percentuale massima ammessa di P è sempre 0,035 per tutti gli acciai; per quanto riguarda lo S, che induce la presenza d'inclusioni non metalliche come solfuri, vi sono tre grandi gruppi di acciai: o gli acciai da bonifica al C, ognuno dei quali (ad esempio C40) presenta la variante E (C40E), in cui la percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante R (C40R) la percentuale di S è invece compresa fra 0,02 e 0,04; o gli acciai da bonifica legati (salvo un sottoinsieme speciale), ognuno dei quali (ad esempio 41Cr4) presenta la variante senza aggiunte di lettere (41Cr4), in cui la percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante S (41CrS4) la percentuale di S è invece compresa fra 0,02 e 0,04; o gli acciai (un po' più) legati 50CrMo4, 36CrNiMo4, 34CrNiMo6, 30CrNiMo6, 36NiCrMo16 e 51CrV4 per i quali entrambe le percentuali di S e P sono al massimo 0,035. Si specifica che c'è un limite di accettabilità per la popolazione d'inclusioni. Si esaminano le metallografie senza attacco chimico, esplorando diverse zone secondo le regole delle norme; ciascuna zona, usualmente 2
osservata ad un ingrandimento di 100X, ha un'area della superficie pari a 0,5 mm . Siccome le inclusioni possono essere allungate (caso dei solfuri) oppure possono manifestarsi come gruppi allineati, la direzione di deformazione del semilavorato (per esempio la direzione di laminazione) è importante, quindi il piano metallografico la deve contenere. Le norme classificano le inclusioni nelle seguenti 4 categorie: A-solfuri, B-ossidi (allumina), C-silicati, D-ossidi globulari, e forniscono delle tavole con delle immagini tipo con le quali confrontare ciò che si vede al microscopio. I tipi A e C sono abbastanza simili, quindi è richiesta un'analisi metallografica più attenta, che le distingua per colore, che è grigio chiaro per i solfuri, mentre è nero per i silicati. 5.2 Pallinatura negli acciai per ruote dentate (5 pt) Per ovviare a certe situazioni in cui, mediante un acciaio da bonifica, si vogliono nel contempo elevata temprabilità, elevata durezza e resistenza a fatica, ma anche eccellente resistenza agli urti, tutte caratteristiche necessarie nella progettazione dei denti delle ruote dentate, non resta che scegliere un acciaio molto temprabile, bonificarlo a valori di tenacità elevati e quindi con solo moderata resistenza a fatica. Per recuperare quest'ultima è necessario incrudire la superficie e nel contempo conferirle uno stato di tensioni residue di compressione. L'incrudimento va pari passo con la durezza, crea un forte ostacolo al movimento delle dislocazioni e di conseguenza aumenta la resistenza a fatica. Tecnologicamente ciò si attua applicando un trattamento di pallinatura. La pallinatura è un'operazione che consiste nel martellamento superficiale eseguito a freddo mediante un violento getto di pallini sferici, oppure di cilindretti ottenuti tagliando un filo. Un tipico profilo di tensioni residue ottenuto mediante pallinatura è mostrato nella Figura 6 per l'acciaio 42CrMo4 bonificato con rinvenimento a 600°C per 1 h. Il vantaggio sulla resistenza a fatica è evidente. Si deve comunque concludere che la pallinatura comporta dei rischi. Nel caso degli
acciai da bonifica, il rischio più comune è il notevole peggioramento della rugosità. Infatti, dopo tale trattamento si deve prescrivere una finitura superficiale. 5.1 Acciai per tempra superficiale e le loro condizioni di applicazione per gli ingranaggi (5 pt) La temprabilità degli acciai descrive essenzialmente la capacità del metallo di trasformarsi in martensite a distanze via via crescenti dalla superficie temprata. Assumendo per ben noti i concetti relativi agli aspetti tecnologici del trattamento di tempra, si ricorda che il diametro critico ideale di tempra (Dci) è il diametro della barra cilindrica che prende tempra fino a cuore, cioè sarà costituita a cuore da almeno il 50% di martensite con una tempra ideale, che è quella che è capace di portare istantaneamente la superficie della barra alla temperatura del bagno di spegnimento e di mantenerla per tutta la durata del trattamento. E' chiaro che si tratta di una situazione ideale. Gli acciai per tempra superficiale si prefiggono di raggiungere elevate durezze superficiali, maggiori o uguali a quelle degli acciai da bonifica, mantenendo però di questi ultimi le caratteristiche resistenziali e di tenacità. Gli acciai da tempra superficiale potrebbero ricadere nella categoria degli acciai da bonifica, sia per la loro composizione chimica, sia per il fatto che essi, prima del trattamento superficiale, vanno bonificati, altrimenti non è possibile ottenere l'elevata tenacità che solo le microstrutture di rinvenimento della martensite garantiscono. Vi sono alcune differenze rispetto agli acciai da bonifica comunemente detti, quelli della norma UNI EN 10083. Il tenore di C non scende mai sotto lo 0,36%, perché altrimenti non si raggiunge la durezza superficiale che giustifica la scelta di questi acciai. D'altro canto, confrontandosi con gli acciai da bonifica, con gli acciai da tempra superficiale non si adottano tenori di elementi leganti particolarmente elevati, perché questa volta si presuppone che la tenacità sia un requisito meno stringente. Si tratta quindi di acciai per ruote dentate che lavorano sia nel caso della fatica a flessione, sia nel caso della fatica di contatto, sebbene in quest'ultimo caso non si possa garantire una durata, come resistenza al pitting, paragonabile a quella degli acciai da cementazione. E' evidente che la tempra, essendo superficiale, porta al vantaggio di avere tensioni residue di compressione in superficie. Non è quindi necessario ricorrere a pallinatura per aumentare la resistenza a fatica. L'acciaio deve prima essere bonificato e poi temprato superficialmente; si prescrive poi che tutte le ruote dentate temprate ad induzione debbano essere soggette a rinvenimento in forno, mantenendo alcune prescrizioni previste per gli acciai da bonifica. Si fa riferimento alla superficie, di cui ci sono prescrizioni per quanto riguarda la durezza e la microstruttura.
5.4 Pitting per le ruote dentate (6 pt) E' il meccanismo di danneggiamento e messa fuori servizio più comune. Presenta le seguenti connotazioni: • richiede alti stress hertziani • avviene in componenti che devono sostenere un altissimo numero di cicli di lavoro, tipicamente superiore al miliardo, sicché non si può o è improprio parlare di limite di fatica • il pitting è un fenomeno di fatica che fa nucleare una cricca in superficie o poco sotto • ha una morfologia caratteristica, dove la cricca propaga per un po' al di sotto della superficie e parallelamente ad essa, poi si ramifica e torna in superficie • la formazione di un pit visibile avviene quando si stacca un pezzo di materiale dalle superfici • se diversi pits si uniscono per formarne uno grosso, si parla spesso di spalling.
Quando si verifica il rotolamento con strisciamento fra due superfici, si assiste allo spostamento del massimo dello sforzo di taglio nel contatto con attrito fra due ruote dentate, cha da sottocorticale (rotolamento puro) si avvicina alla superficie, fino ad affiorare quando un attrito intenso genera sforzi di sfregamento elevati.
Nella figura soprastante si schematizza il contatto di rotolamento fra due superfici. Questa sarebbe la situazione tipica dei cuscinetti (rotolamento puro) e la curva che rappresenta la tensione tangenziale in funzione della distanza dalla superficie è rappresentata in linea continua. In linea tratteggiata è invece rappresentato lo stress tangenziale generato dalla frizione fra le due superfici. Infine, la curva punteggiata è la somma delle due. Il massimo si sposta verso la superficie quanto più l'azione abrasiva superficiale è intensa. Innesco del pitting: 3. Gli inneschi sono sub-superficiali se vi sono difetti localizzati, tipicamente inclusioni (di qui la stringente necessità di utilizzare acciai molto puliti) mentre le condizioni di lavoro che si riscontrano sono normali e cioè: • alta velocità di rotazione
• ottima finitura superficiale • adeguata lubrificazione 4. sono per lo più superficiali, o si spostano dalla zona sub-corticale verso la superficie all’aumentare dell’intensità delle forze di attrito fra le superfici antagoniste; infatti, il picco di stress di taglio (che nuclea la cricca) si sposta gradualmente verso la superficie; in tal caso le cause più comuni sono: • spessore del film di lubrificante insufficiente • contatto metallo-metallo esageratamente intenso, tipicamente legato a finitura superficiale inadeguata o difetti superficiali; in questo caso si hanno: o interazioni fra le asperità delle superfici antagoniste o contatti con difetti come righe o solchi 3.vi sono alterazioni nel lubrificante: • contaminazione con H2O, con conseguente corrosione • contaminazione con particelle abrasive, con susseguenti indentazioni e solchi sulla superficie. Contromisure: • abbassare gli stress di contatto, di solito variando i parametri geometrici delle ruote dentate, cioè in tal caso si agisce sul progetto • scegliere un materiale ed un trattamento termico adatti per avere un dente resistente con una superficie dura; di solito, ma non sempre, si scelgono acciai da cementazione, perché sono quelli più adatti; le caratteristiche salienti sono: o la superficie è molto dura o in superficie vi sono tensioni residue di compressione o i costi di produzione sono elevati o dopo trattamento termico necessitano di finitura superficiale mediante rettifica o lappatura. • occorre scegliere un lubrificante tale da dare origine ad un film spesso e viscoso, in ottemperanza ai dettami dell’elasto idrodinamica, che prescrive: o lubrificante molto viscoso o pulito, cioè non contaminato da particelle o sostanze estranee o il lubrificante deve poter lavorare freddo, altrimenti perde viscosità o deve essere secco, cioè deve essere privo di acqua. Micropitting: E' tipico di acciai con grande durezza superficiale, come acciai cementati o nitrurati, e si manifesta con pit aventi profondità dell'ordine di 10 μm. E' il contrario di quel che accade negli acciai da bonifica, che sono relativamente teneri e tenaci, e in cui le cricche devono propagare molto prima che dalla superficie si stacchi un frammento, che risulta in quel caso con dimensioni dell'ordine del mm. Negli acciai da bonifica non si verifica quindi di micropitting, perchè i pit sono ben distinguibili ad occhio nudo. Invece negli acciai trattati
superficialmente, la durezza superficiale è molto alta, mentre è assai bassa la tenacità, si staccano subito frammenti molto più piccoli. Alcune note caratteristiche del micropitting sono: ➢ aspetto da superficie brinata (frosting) ➢ talvolta non risulta distruttivo, quando viene gradualmente eliminato durante il running-in perchè si verifica una specie di lucidatura ➢ si forma facilmente se lo spessore del film lubrificante è troppo piccolo ➢ è favorito da superfici rugose ➢ è contrastato da levigatura o lucidatura superficiale ➢ è facilitato da basse velocità di rotazione, perchè in quelle condizioni diminuisce lo spessore del film lubrificante. Le contromisure da prendersi per evitare la formazione di micropitting sono le stesse di quelle adottate nel caso del pitting normale. 5.5 I diversi tipi di usura nelle ruote dentate (6 pt) ❖ Usura adesiva L’usura adesiva consiste nello staccarsi di sub micrometrici frammenti quando si verifica saldatura estremamente localizzata delle superfici. Un po' di usura adesiva contenuta è tollerabile se si limita ad interessare lo strato di ossido superficiale. Quando il distacco di frammenti interessa anche il metallo al di sotto dell'ossido superficiale, allora il fenomeno è rilevante e dannoso, e dà origine a: ▪ vibrazioni e rumore durante l'esercizio ▪ riduzione graduale dello spessore dei denti, il che induce un progressivo aumento dei carichi dinamici delle vibrazioni, che in un secondo tempo portano a rotture per fatica a flessione. Contromisure o Utilizzare ruote dentate con superfici dei denti molto lisce o svolgere una procedura di running-in, facendo precedere l'entrata in servizio da un esercizio per 10 h a metà del carico di progetto o far lavorare le ruote dentate ad alta velocità, perché ciò contrasta l'assottigliamento del film di lubrificante; da questo punto di vista, gli acciai da nitrurazione sono favoriti, perché funzionano bene con lubrificanti molto viscosi o Se non si lavora ad alta velocità, evitare l'utilizzo di lubrificanti con additivi allo S e al P, che sono ottimi per prevenire lo scuffing, ma peggiorano il funzionamento in condizioni di usura adesiva o Si consiglia l'uso di lubrificanti molto viscosi, puliti, cioè non contaminati con sostanze chimiche o da particelle solide; essi devono anche essere secchi, cioè privi di acqua; si suggerisce inoltre di evitare condizioni di funzionamento in cui la temperatura sale, riscaldando il lubrificante e facendogli perdere viscosità.
❖ Scuffing Si tratta di una forma accelerata di usura adesiva. Nel caso di pressioni di contatto estremamente elevate e susseguente innalzamento di temperatura, lo strato superficiale di ossido che ricopre ogni superficie antagonista si scaglia. Si ha quindi contatto diretto fra il metallo dei denti antagonisti e si provocano delle saldature localizzate. Subito dopo queste vengono strappate via, generando una superficie opaca e ruvida. In definitiva, il fenomeno si verifica in precise condizioni: • lo spessore del film lubrificante è troppo piccolo • il contatto è così forte che si verifica un notevole surriscaldamento • non si riscontra tempo d'incubazione del fenomeno come nel pitting • si verifica più facilmente in denti nuovi che non hanno ancora sperimentato il running-in.
Contromisure: o utilizzare ruote dentate con denti molto lisci, la lappatura è preferibile alla rettifica o Praticare il running-in per 10 h a metà carico di lavoro o usare lubrificanti ad alta viscosità con additivi antiscuffing che, quando la temperatura sale, reagiscono chimicamente con le superfici metalliche impedendo l'incollaggio o Lubrificare copiosamente o Se è possibile, preferire ruote dentate costruite con acciai nitrurati. ❖ Usura abrasiva Si basa essenzialmente su l'azione di sfregamento di piccole particelle dure appuntite che piano piano asportano materiale dalle superfici dei denti. La loro origine è la seguente: contaminazioni esterne o avvengono durante le operazioni di montaggio o avvengono durante le operazioni di manutenzione sorgenti interne di detriti, quali o fatica hertziana con generazione di pitting, soprattutto micropitting o usura adesiva che genera distacco di frammenti appiccicati da adesione delle superfici antagoniste. Contromisure: 1. rimozione contaminazioni esterne e cambio lubrificante 2. minimizzare la formazione di detriti di usura: o utilizzate acciai cementati o induriti superficialmente
o utilizzare denti con superfici molto lisce o applicare un lubrificante molto viscoso ❖ Lucidatura E' una specie di usura abrasiva che si produce soprattutto quando si utilizzano lubrificanti che hanno additivi antiscuffing e le condizioni di scuffing non si verificano. Gli additivi basati su solfuri o fosfuri di ferro sono chimicamente reattivi ed impediscono l'incollaggio dello scuffing quando la temperatura o la pressione locali salgono troppo. Quando non svolgono questa funzione perché non si verificano queste ultime condizioni, agiscono come finissime particelle abrasive e chimicamente aggressive (accelerano l'usura favorendo l'asportazione del metallo per dissoluzione anodica) e piano piano si riduce l'accuratezza del profilo dei denti. Contromisure: o rimuovere gli abrasivi dal lubrificante, o meglio ancora cambiare quest'ultimo o se si ritiene comunque necessario prevenire lo scuffing con degli additivi, sceglierne di meno chimicamente reattivi, come i borati. 5.6 Variazioni di volume per le trasformazioni di fase nel sistema Fe-C (6 pt) Le transizioni di fase implicano quasi sempre una variazione di densità che, come nel caso delle deformazioni termiche, non porta mai a deformazioni libere, che quindi si traducono in tensioni residue. Nel caso del sistema Fe-C la situazione è accentuata dalla presenza di C, che può esacerbare od attenuare le differenze di densità fra le fasi. Esaminando cosa accade durante la tempra, se ne deduce che la formazione di martensite porterà ad un aumento di volume rispetto alla sola austenite. D'altro canto, a seconda dell'acciaio e della sua composizione chimica, un po' di austenite residua dopo tempra sarà presente. Il suo effetto immediato è quello di moderare l'aumento di volume del pezzo dovuto alla trasformazione. Tenendo conto della densità delle fasi, spesso in letteratura sono indicate le variazioni di volume e dimensionali in funzione delle fasi che si possono trovare prima e dopo le lavorazioni e i trattamenti termici. Questi possono essere utilizzati per una prima stima di valutazione se e di quanto le lavorazioni e i trattamenti
portano i componenti fuori dalle tolleranze previste. Si tratta appunto di una prima stima, e per giunta ottimistica, delle variazioni dimensionali, perché queste sono state supposte isotrope. Ciò in pratica difficilmente accade, fondamentalmente per due fattori: la microstruttura e la natura delle fasi fanno sì che la dilatazione termica durante i riscaldamenti e i raffreddamenti sia essa stessa anisotropa, cioè ha delle direzioni dove è più intensa, altre dove è più attenuata dalle trasformazioni di fase, e soprattutto quella martensitica, sono sensibili alla distribuzione di temperatura nei componenti quando questa varia, sicché le trasformazioni iniziano in certe zone prima di altre (per esempio la trasformazione martensitica inizia nella zona del pezzo che per prima impatta con il liquido di spegnimento), inducendo distorsioni di forma che non si recuperano al completamento del trattamento termico. Le variazioni di volume più vistose avvengono nella trasformazione martensitica, ma non sono le uniche. Si può in linea di massima osservare che: o le trasformazioni al raffreddamento dell'austenite comportano sempre degli aumenti di volume, e la loro entità diminuisce all'aumentare della percentuale di C in modo più o meno spiccato, a seconda delle fasi che si formano
o durante il rinvenimento la trasformazione della martensite porta sempre ad una diminuzione del volume del componente
o durante il rinvenimento la trasformazione dell'austenite residua in bainite, o in martensite, se si svolgono invece trattamenti sotto zero, avviene sempre con aumento di volume, che può in parte compensare il restringimento del componente dovuto alla trasformazione della martensite
o il rinvenimento della martensite a temperature sufficientemente alte da entrare nel terzo stadio, tecnologicamente di solito fra 550 e 650°C, porta sempre ad una contrazione finale di volume rispetto alla martensite di partenza
o per gli acciai suscettibili di durezza secondaria, il verificarsi del quinto stadio del rinvenimento comporta la formazione di carburi complessi meno densi della cementite, di conseguenza il componente aumenta leggermente di volume rispetto allo stato di microstruttura costituita di sola ferrite e cementite.
5.7 Confronto tra cementazione e nitrurazione: vantaggi e svantaggi di ciascun trattamento (6 pt) E' possibile condurre un confronto fra i due classici trattamenti termochimici superficiali utilizzabili per la fabbricazione di ruote dentate, cioè cementazione e nitrurazione. Entrambi i trattamenti portano alla formazione sull'acciaio di strati superficiali induriti, tuttavia si differenziano profondamente per le modalità di esecuzione ed i risultati ottenuti. Fra i vantaggi che la nitrurazione può annoverare rispetto alla cementazione vi sono i seguenti: o una maggiore durezza superficiale, perché si passa da circa 700 HV fino a 1200 HV per gli acciai che contengono Al o la durezza si mantiene inalterata per tempi di esercizio molto lunghi fino quasi alla temperatura di nitrurazione, cioè le ruote dentate nitrurate possono lavorare fino a temperature dell'ordine di 500°C; viceversa, per i pezzi cementati la durezza comincia a scendere sensibilmente al di sopra della temperatura di distensione, quindi ruote dentate cementate non sono esercibili al di sopra di 180°C; o il trattamento di bonifica dell'acciaio può essere svolto prima della fabbricazione della ruota dentata mediante lavorazione meccanica; si evitano così le variazioni di volume e le distorsioni che la tempra comporterebbe sul componente semifinito
o la nitrurazione svolta dopo la fabbricazione è condotta a temperature dell'ordine di 500°C, quindi non vi sono deformazioni dovute a trasformazioni di fase durante il successivo raffreddamento, mentre le deformazioni termiche sono di entità contenuta visto il salto termico non eccessivo e le velocità di raffreddamento moderate in quanto non è necessario temprare; di conseguenza le ruote dentate nitrurate necessitano alla fine al massimo una rettifica molto leggera o una lappatura, al contrario delle talvolta pesanti rettifiche necessarie dopo cementazione e tempra
o al di sotto dello strato nitrurato, e magari fino a cuore, l'acciaio bonificato è costituito da martensite rinvenuta, quindi presenta la migliore combinazione di resistenza- tenacità possibile in un acciaio.
La nitrurazione presenta tuttavia degli inconvenienti, che talvolta le fanno preferire la cementazione: o uno strato indurito molto più sottile, che può non essere sufficiente alle condizioni di esercizio di fatica di contatto o i tempi del trattamento termochimico sono un ordine di grandezza più lunghi rispetto alla cementazione (tipicamente di 4 h per quest'ultima, di 50 h per la nitrurazione), e di conseguenza il processo risulta assai più costoso;
o il costo degli acciai è sempre elevato, poichè si tratta sempre di metalli che contengono quantità non irrisorie di elementi leganti costosi (soprattutto Mo, Ni e V). 5.8 Applicazione degli acciai da bonifica nelle ruote dentate: condizioni di lavoro degli ingranaggi e tipi di acciaio (composizione e trattamento termico) (7 pt) Gli acciai da bonifica si usano per costruire ruote dentate a cui non è richiesta grandissima durezza superficiale, tipicamente si rientra nell'intervallo 32-48 HRC. Per arrivare a questo, una percentuale media di C deve essere indicata, inclusa nell'intervallo 0,3-0,6%, dove l'estremo superiore si applica laddove sia richiesta maggiore durezza superficiale. Dopo bonifica (tempra + rinvenimento), la resistenza e la tenacità sono elevate nella maggior parte o in tutta la sezione del dente, non solo in superficie. Per contro, tali acciai in superficie non raggiungono una grandissima durezza, quindi non sono in grado di resistere a severe condizioni di fatica di contatto. Le ruote dentate costruite con acciai da bonifica, se usate in presenza di elevati sforzi di contatto applicati per moltissimi cicli, vanno per forza fuori servizio per pitting. Tali acciai sono quindi adatti a costruire ruote dentate a cui è chiesto prioritariamente: 1. elevata resistenza meccanica e a fatica a flessione dei denti 2. elevata tenacità e resistenza agli urti. Il campo di applicazione è quello dei macchinari che devono trasmettere coppie elevatissime ma per un numero di cicli limitato, un intervallo tipico potrebbe essere da qualche migliaio a un milione di cicli. E' necessaria grande resistenza a flessione e a fatica dei denti, che di solito fanno parte di ruote dentate di grandi dimensioni. La grande tenacità è necessaria per poter avvertire un fenomeno di danneggiamento in atto nei denti prima che si abbia rottura catastrofica, la quale potrebbe avere devastanti conseguenze nel cedimento di ruote di grandi dimensioni. Perciò il campo più tipico di applicazione degli acciai da bonifica è quello negli apparecchi di sollevamento, cioè carroponti, argani, gru. Se le ruote dentate sono di grandi dimensioni, è spesso molto difficile o impossibile costruirle in acciaio da cementazione, perché in quest'ultimo caso è poi inevitabile avere grandi distorsioni dopo trattamento termico, e quindi essere costretti a lunghe e costose operazioni di finitura superficiale. L'applicazione di acciai da bonifica risolve in tal caso il problema. Un tipico caso è quello di grandi ruote dentate per propulsori marini di grandi dimensioni o di trasmissione di potenza in campo ferroviario.
5.9 Tensioni residue conseguenti alla tempra di un acciaio al C (per esempio C40) (8 pt) In generale si può dire che la temprabilità di un metallo cresce all'aumentare delle percentuali di C e degli elementi leganti in quanto aumenta il diametro critico ideale di tempra. Ciò si ribalta nel fatto che le curve CCT si spostano progressivamente verso destra, cioè le trasformazioni avvengono dopo tempi d'incubazione più lunghi. Questo permette di ottenere martensite con raffreddamenti più lenti o, visto sui diagrammi delle
curve CCT, con curve di raffreddamento più prolungate, che incrociano la retta di martensite start prima della curva di trasformazione dell'austenite in una fase diversa. Poiché i denti delle ruote dentate lavorano a fatica, specificamente a flessione, se sono scelti acciai da bonifica, determinante è lo stato di tensione residua superficiale. Alle tensioni generate dai carichi esterni, si sommano le tensioni residue che, quindi, giocano un ruolo molto importante. Sarebbe desiderabile che esse fossero di compressione, almeno in superficie. Nel nostro caso si può affermare che negli acciai al solo C (C40) la temprabilità è bassa quindi, se la ruota dentata non è troppo piccola, la trasformazione martensitica interesserà solo o soprattutto lo strato corticale del componente; ne segue, dopo tempra, uno strato di tensione residua di compressione in superficie e nella zona corticale, di trazione nel nucleo del componente. Quindi, con questi acciai, si formerebbe prima martensite corticale, messa in stato di compressione dal nucleo ancora austenitico. La trasformazione del nucleo in ferrite e perlite avverrebbe a temperature molto più alte di Ms, quindi il limite elastico di quelle fasi sarebbe ancora modesto. La loro formazione avverrebbe con minore espansione di quella che accompagna la formazione della martensite e inoltre, non potendo portare la martensite corticale a superare il limite elastico, si deformerebbero plasticamente esse stesse per accomodare la loro modesta deformazione in estensione. Nel successivo raffreddamento le fasi del nucleo dovrebbero contrarsi, in ciò contrastate dalla continuità con la martensite corticale. Tuttavia, anche il nucleo ormai è a temperatura abbastanza bassa e quindi non si supera il suo limite elastico. Non sono più possibili deformazioni plastiche, perciò le deformazioni elastiche necessarie a mantenere continuità e congruenza delle deformazioni fra nucleo e strato corticale contrastano la contrazione del primo (nucleo), mentre schiacciano la martensite del secondo (strato corticale). Considerando le tensioni residue di origine termica, si vanno a sommare andando ad accentuare lo stato di compressione sulla superficie. Nel caso di componenti di piccole dimensioni o di mezzi tempranti molto energici (salamoie ghiacciate, azoto liquido) si può avere tempra fino a cuore anche con acciai poco temprabili; ne segue uno strato di tensione residua di trazione in superficie, di compressione nel nucleo del componente. 5.10 Tensioni residue e conseguenti alla tempra di un acciaio legato (per esempio 36NiCrMo16) (8 pt) In generale si può dire che la temprabilità di un metallo cresce all'aumentare delle percentuali di C e degli elementi leganti in quanto aumenta il diametro critico ideale di tempra. Ciò si ribalta nel fatto che le curve CCT si spostano progressivamente verso destra, cioè le trasformazioni avvengono dopo tempi d'incubazione più lunghi. Questo permette di ottenere martensite con raffreddamenti più lenti o, visto sui diagrammi delle curve CCT, con curve di raffreddamento più prolungate, che incrociano la retta di martensite start prima della curva di trasformazione dell'austenite in una fase diversa. Poiché i denti delle ruote dentate lavorano a fatica, specificamente a flessione, se sono scelti acciai da bonifica, determinante è lo stato di tensione residua superficiale. Alle tensioni generate dai carichi esterni, si sommano le tensioni residue che, quindi, giocano un ruolo molto importante. Sarebbe desiderabile che esse fossero di compressione, almeno in superficie. Nel nostro caso, gli acciai legati (36NiCrMo16) presentano una temprabilità alta, quindi ci sarà penetrazione in profondità dello strato martensitico, eventualmente anche fino a cuore; ne seguirà uno stato di tensione residua di trazione in superficie, di compressione a cuore.
In questo caso quello che succede è che il metallo prende tempra fino al cuore. Immediatamente dopo la tempra lo strato corticale è freddo e quindi si è trasformato totalmente in martensite. Nel contempo il nucleo è caldo, essendo ancora austenite. La martensite che si trova in superficie vuole espandersi, quindi l’austenite (il centro) che è ancora caldo può accoglierla causa del limite elastico basso, ma non viene del tutto accolta in quanto non ha il limite elastico completamente nullo. A questo punto sulla zona corticale si ha uno stato tensionale residuo di compressione, ma non così accentuato perché l’austenite ha concesso una deformazione plastica. Infatti a cuore, per l’equilibrio, ci sarà uno stato tensionale di trazione, ma di piccole entità. In seguito, il cuore si raffredda e vuole espandersi. La martensite corticale, già fredda e con limite elastico molto alto non potrà deformarsi, quindi avrò nel nucleo un forte stato di compressione. D’altro canto, però, la martensite corticale sarà allungata elasticamente dall’espansione del nucleo e presenterà un forte stato di tensione residua di trazione. Considerando le tensioni residue di origine termica, queste si sommerebbero algebricamente ottenendo solo un’attenuazione delle tensioni residue di trazione in superficie. Nel caso di un acciaio alto legato la temprabilità è alta e lo si dimostra anche con la formula del diametro critico di tempra: Dci= Dc*fmo*fmn*fcr*fni*fsi Moltiplicando, nella formula del diametro critico, quei fattori moltiplicativi, ognuno relativo alla concentrazione dell’elemento legante, il valore sarà maggiore. 5.11 Acciai da cementazione: effetti del C e degli elementi leganti (8 pt) Le caratteristiche richieste alla cementazione sono le seguenti: a) dare una durezza superficiale molto grande, accompagnata da un cuore tenace b) produrre uno strato cementato che deve anche essere sufficientemente spesso per resistere allo sfondamento che si avrebbe sotto carichi alti se fosse troppo sottile c) al contrario, se lo strato è troppo spesso, il dente può risultare troppo fragile nel suo complesso ed avere la tendenza a rompersi in modo catastrofico d) in ruote dentate grandi, il carico di flessione è anche grande, quindi è richiesto uno strato spesso o, alternativamente, si devono utilizzare acciai legati per aumentare la profondità di tempra ed avere uno strato subcorticale resistente anche se la parte cementata è relativamente sottile. Gli acciai da cementazione utilizzati per le ruote dentate sono acciai a basso tenore di C, con o senza elementi leganti. Questi ultimi, se presenti, servono soprattutto a conferire temprabilità dopo cementazione. Nella norma UNI EN 10084 la percentuale massima ammessa di P è sempre 0,035 per tutti gli acciai. Per quanto riguarda lo S, che induce la presenza d'inclusioni non metalliche come solfuri, la norma ammette gruppi di acciai che ne contengono di più, per una migliore lavorabilità all'utensile, e gruppi che ne contengono di meno, per una migliore resistenza alla fatica per contatto. Vi sono quindi due grandi gruppi di acciai: o gli acciai da cementazione al C, ognuno dei quali (ad esempio C15) presenta la variante E (C15E), in cui la percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante R (C15R) la percentuale di S è invece compresa fra 0,02 e 0,04; o gli acciai da cementazione legati, alcuni dei quali (ad esempio 16NiCr4) presenta la variante senza aggiunte di lettere (16NiCr4), in cui la percentuale di S è al massimo 0,035; nella variante S (16NiCrS4) la percentuale di S è compresa fra 0,02 e 0,04. Effetto della percentuale di C:
La durezza in superficie dipende quasi solo dalla percentuale di C. Nel contempo, la durezza è dettata dalla resistenza al pitting richiesta dal progetto. L'esperienza ha portato ad individuare come intervallo di composizione di C adeguato in superficie quello compreso fra 0,8 e 1%. Le ragioni sono le seguenti: o aumentare il tenore di C significa, entro certi limiti, aumentare la durezza superficiale e quindi la resistenza alla fatica da contatto
o se C>1%, vi può essere formazione di un reticolo di carburi al bordo di grano dell'austenite, soprattutto in presenza di elementi leganti come Cr e Mo; si ottiene uno strato cementato troppo fragile, vi è probabilità di scheggiatura della punta dei denti
o se C>1%, dopo tempra è probabile che rimanga un'eccessiva quantità di austenite residua, γ > 20%, diminuisce troppo la durezza e quindi la resistenza a fatica
o una percentuale γ »10-15% è considerata l'optimum, perché durante l'esercizio, sotto le forti sollecitazioni di contatto, si trasforma in martensite e contrasta il decadimento della durezza che si verifica a lungo termine
o con un'eccessiva quantità di austenite residua, γ>20%, la sua trasformazione sotto stress in esercizio può causare inaccettabili variazioni dimensionali dei denti a causa dell'aumento di volume durante la trasformazione da austenite a martensite. Per quanto riguarda il cuore, la percentuale di C è necessariamente bassa, di solito fra 0,1 e 0.2%. Ci vuole infatti un cuore tenace per sostenere una superficie cementata così dura, altrimenti i denti si romperebbero facilmente in modo fragile per urti anche di bassa energia. Ne consegue tuttavia che la resistenza del cuore non sia alta, anzi talvolta è insufficiente in applicazioni dove i denti sono soggetti a notevoli sforzi di flessione. In tal caso sarebbe opportuno scegliere, fra la gamma degli acciai possibili, quelli con maggiore percentuale di C e soprattutto contenenti elementi leganti. Di conseguenza la scelta degli acciai al solo C ricade sul caso di ruote dentate di piccole dimensioni e dove non vi sia pericolo di urti. Effetto degli elementi leganti: Come detto sopra, la durezza a cuore è dettata, oltre che dalla percentuale di C, dalla quantità di elementi leganti, necessari se si vuole aumentare la profondità di tempra per conseguire aumenti di tenacità e resistenza a flessione. Questi elementi, oltre alle altre proprietà positive, conferiscono soprattutto temprabilità: permettono quindi di ottenere strutture aciculari (se non martensite almeno bainite) nelle parti subcorticali, fino ad arrivare, se il pezzo non è troppo grosso e la percentuale di elementi leganti è sufficientemente alta, a cuore. Gli elementi leganti utilizzati negli acciai da cementazione sono più o meno gli stessi di quelli utilizzati negli acciai da bonifica, e all'incirca nelle stesse percentuali. Ad esempio: o il Mn, che intorno allo 0.4, è fisiologico, può essere aumentato fino al 2% per aumentare la temprabilità dell'acciaio a costi bassi o per le stesse ragioni, e fino al 2%, viene introdotto il Cr.; è più costoso ma forma carburi che aumentano la resistenza all'usura abrasiva o anche il Mo, introdotto fino ad un massimo di 0,5%, favorisce la temprabilità e forma carburi che aumentano la resistenza all'usura abrasiva; il suo uso è limitato a basse percentuali perchè è costoso
o il Ni, presente fino ad un massimo del 5%, favorisce la temprabilità e conferisce grande tenacità all'acciaio; nonostante il suo costo, il suo uso è imperativo nei casi in cui la tenacità sia un fattore fondamentale in esercizio. La resistenza alla frattura per urto può essere importante in alcuni casi. Allora ciò che importa di più è che eventuali cricche nucleate nello strato indurito si arrestino nella zona subcorticale, senza che il dente si rompa. Quindi è la tenacità del cuore che è determinante. Da questo punto di vista, gli acciai legati si comportano meglio di quelli al C. Un incremento di tenacità a frattura si ha nel seguente ordine: acciai al Cr-Mn
5.12 Acciai da nitrurazione per ruote dentate: condizioni di utilizzo e tipi di acciai (composizione chimica e trattamenti). (8 pt) La nitrurazione è un trattamento termochimico superficiale che introduce N nello strato superficiale dell'acciaio a temperature normalmente comprese fra 500 e 550°C, quando si è in presenza di fase ferritica. Si procede esponendo l'acciaio ad un'atmosfera di ammoniaca parzialmente dissociata. Il Fe catalizza la dissociazione dell'NH3 e l'azoto elementare che se ne sprigiona passa in soluzione solida nel reticolo metallico: NH3→3/2 H2 + N (in Fe α) Così la nitrurazione è simile alla cementazione, perché la composizione chimica della superficie dell'acciaio viene alterata, ma l'azoto entra nella ferrite anziché nell'austenite. Siccome non si entra in campo austenitico, per ottenere la durezza non è necessario temprare per ottenere martensite. Perciò la nitrurazione comporta distorsioni minime e quindi permette un controllo dimensionale eccellente. Tuttavia, la nitrurazione è un processo più costoso della cementazione perchè la diffusione di N all'interno della ferrite è lento, si ottengono strati spessi 0,1-0,2 mm con 50 h di trattamento. Gli acciai da nitrurazione si usano quando si vuole ottenere: o strato superficiale duro anche a temperature elevate quasi fino a quella del trattamento di nitrurazione grande resistenza all'usura o grande resistenza al grippaggio o scuffing o ottima resistenza a fatica o bassa sensibilità all'intaglio o un po' di resistenza alla corrosione o ottima stabilità dimensionale. VANTAGGI APPLICATIVI: o Poiché lo strato nitrurato è alquanto sottile, gli acciai da nitrurazione non sono consigliati per pressioni di contatto molto alte o se vi sono degli shock meccanici. In quest'ultimo caso si avrebbe sfogliatura dello strato, mentre nel primo il picco di stress di contatto potrebbe verificarsi sotto lo strato di durezza maggiore. In tal caso si trasferirebbe al substrato poco o non nitrurato il compito di resistere alla nucleazione del pitting, cosa inopportuna vista la durezza solo moderata dell'acciaio di base. o Specificamente, la grande durezza superficiale degli acciai nitrurati li rende ottimi contro l'usura, specialmente nelle ruote dentate. Visti i costi, non vengono comunemente impiegati al posto degli acciai cementati, che comunque hanno una durezza superficiale ragguardevole. Dove gli acciai da nitrurazione sono nettamente meglio di tutti è nel caso dell'usura adesiva, e particolarmente nella resistenza contro lo scuffing. In ciò la durezza gioca di concerto con il coefficiente di attrito particolarmente basso delle superfici nitrurate. In casi estremi, essi possono lavorare anche senza lubrificante; tuttavia ciò è da evitare perché la resistenza a fatica e allo scuffing diminuiscono nettamente. o La resistenza a fatica ad alto numero di cicli, con intaglio o senza, è la migliore, attribuita alla presenza di forti tensioni residue di compressione che sono il risultato dell'ingresso di N nel reticolo del Fe e poi della formazione della fase γ', meno densa della ferrite (vi è quindi espansione di volume). o L'assenza di trattamenti termici successivi alla nitrurazione evita la decrescita della durezza, come invece avviene, sia pur in modo moderato, durante il rinvenimento di distensione degli acciai da cementazione. Collegato a questo fatto vi è che la nitrurazione è il trattamento superficiale che introduce la massima durezza e i minori cambi dimensionali dei pezzi. E' infatti possibile in alcuni casi mantenere i pezzi in tolleranza dopo nitrurazione senza alcun trattamento di finitura superficiale.
o Per tale ragione è possibile talvolta solo con la nitrurazione (e, in sott'ordine, con la tempra superficiale) indurire superficialmente ruote dentate di grandi dimensioni, che invece risulterebbero fortemente deformate se si adottasse cementazione e tempra. o Inifine le ruote dentate nitrurate eccellono rispetto agli altri trattamenti perché possono lavorare a caldo,fino a temperature leggermente inferiori a quella di nitrurazione. Non perdono infatti durezza e quindi mantengono la resistenza a fatica. Per tale motivo, ruote dentate nitrurate sono utilizzate comunemente nell'industria dei trasporti, aeronautica e a terra. Composizione chimica degli acciai: Esaminando il diagramma delle fasi Fe-N si vede a che a temperatura ambiente sono possibili 3 fasi, a seconda della percentuale di N presente: a basse percentuali vi è la ferrite, che alla temperatura eutettoidica del diagramma Fe-N (592°C per la precisione) può accogliere fino a 0,1% di N; però α è una soluzione solida, quindi non è particolarmente dura, perciò non è interessante come fase nitrurata. Cosa simile vale per tenori di N nettamente più elevati, cioè il 6%, dove si forma la soluzione solida ε, che è talvolta utilizzata per la sua buona resistenza alla corrosione, ma non è sufficientemente dura per applicazioni dove è richiesta elevata resistenza a fatica di contatto e ad usura. L'interesse si concentra sulla fase γ', che è un composto semimetallico, di composizione stechiometrica Fe4N. Tale fase ha le caratteristiche richieste per le applicazioni delle ruote dentate. Per aumentare la durezza della superficie è interessante esplorare le fasi che gli elementi leganti dell'acciaio possono fare con l'azoto. Fra quelli studiati, sono risultati più interessanti Cr, Mo, V, Ti e Al. Alla fine, gli acciai da nitrurazione hanno generalmente un tenore di carbonio medio (quindi sono temprati e rinvenuti) e soprattutto contengono elementi, come Al, Mo, V e Cr, che favoriscono la formazione di nitruri molto duri oltre al nitruro di ferro γ'-Fe4N, su cui si basa l'indurimento di base. Si raggiungono comunemente i 900 HV di durezza. L'elemento più efficace è l'Al, introdotto in percentuali dell'ordine dell'1%. Nella ferrite viene a formarsi il nitruro AlN, di per sé con elevatissima durezza, quindi capace di far salire quella dell'acciaio fino a 1200 HV. D'altro canto, è necessario tenere conto che, soprattutto Al e Cr, formando nitruri, finiscono per ostacolare la diffusione dell'N. Lo strato nitrurato risulterà così più sottile di quello ottenibile con la cementazione. Si può concludere che, conducendo la nitrurazione a temperature dell'ordine di 500°C o poco superiori, si ottengono strati nitrurati di uno spessore dell'ordine di 2 decimi di millimetro e con tempi di processo assai lunghi, tipicamente di 50 h. Gli acciai da nitrurazione vengono prima bonificati, e poi nitrurati in un intervallo di temperatura in cui si può avere insorgenza di fragilità da rinvenimento. Questa risulterebbe particolarmente grave perchè il trattamento si protrae per decine di ore. Per tale ragione, quasi tutti gli acciai da nitrurazione contengono del Mo come elemento legante. Vi è da notare che il trattamento di rinvenimento è abbastanza classico, cioè è svolto a 600- 650°C. Quindi la successiva nitrurazione, che è svolta a temperature più basse, non comporta diminuzioni di durezza. 5.13 Tempra degli acciai da cementazione: varianti del trattamento termico e conseguenze per quanto riguarda le cricche di tempra, tensioni residue, austenite residua e distorsioni. (9 pt) Dopo la cementazione, il tipo di tempra e il mezzo temprante sono scelti per controllare i seguenti fattori: o velocità di raffreddamento alta per avere tutta martensite in superficie, e in profondità il più possibile o la velocità di raffreddamento non deve essere così alta da portare a cricche di tempra o a troppa austenite residua. o Si utilizzano soluzioni acquose, tipicamente per acciai al C, dove lo spessore dello strato indurito deve essere relativamente piccolo o si utilizzano olio o soluzioni di polimeri fusi, adottati per temprare acciai legati, che sono molto più temprabili degli acciai al C, e che quindi possono soffrire di cricche di tempra se quest'ultima è troppo energica.
Interconesse con le problematiche di scelta dell'acciaio, vi è quindi quella della scelta del mezzo temprante e della massa del pezzo, generandosi così una situazione complicata: o ruote piccole si temprano facilmente, anche con mezzi tempranti non troppo drastici; questi ultimi poi dipendono anche dalla composizione chimica dell'acciaio o ruote dentate grosse manifestano problemi di lento e soprattutto disuniforme raffreddamento o per ruote grandi la scelta di mezzi tempranti drastici può portare a cricche di tempra, al contrario la durezza necessaria potrebbe non essere raggiunta o in alcuni casi ruote grandi non sono adatte alla cementazione se sono necessarie grandi profondità di tempra, oltre ad elevata durezza superficiale. ❖ Tempra diretta: Quando è possibile, si estraggono i pezzi dal forno di cementazione e li si spegne subito nel mezzo temprante. Questa è la tempra diretta e viene applicata quando è possibile perchè è meno costosa dei trattamenti controllati o a più riprese. Tuttavia, siccome la temperatura di cementazione è 50°C sopra A3 dell'acciaio di partenza (ossia il cuore), essa risulta dell'ordine di 920-930°C, eccessivamente alta come temperatura di tempra rispetto alla superficie, che ha una composizione vicino o poco superiore all'eutettoide; in effetti, in superficie A3 varia fra 720 e 740°C circa, secondo la composizione. Si applica quindi la tempra diretta quanto è possibile evitare:
o cricche di tempra
o distorsioni eccessive
o austenite residua eccessiva, con abbassamento della durezza in superficie La tempra diretta può comportare negli acciai al solo C l'inconveniente di temprare un'austenite surriscaldata, cioè raffreddata da temperature (circa 920°C) 200°C più alte rispetto ad A3 della superficie cementata (circa 720°C). Si potrebbe cioè partire da austenite a grana grossa, dalla quale seguirebbe martensite a placche o aghi grossi, perciò particolarmente fragile e, ancora peggio, resterebbe traccia evidente degli ex bordi di grano di austenite ingrossata, dove sono concentrate tutte le impurezze nocive dell'acciaio. Ne seguirebbe la facilità di fratture intergranulari in caso di sovraccarichi od urti. ❖ Tempra singola: Per evitare alcuni dei problemi di cui sopra, si può diminuire lo sbalzo termico raffraddando in modo controllato fra 920 e 790°C e poi temprare da quest'ultima temperatura. E' necessario tenere conto che l'abbassamento preliminare della temperatura sopra descritto non deve essere eccessivo, altrimenti si rischia di abbassarsi al di sotto di A3 ed avere quindi precipitazione di carburi al bordo grano, che vengono a formare un reticolo e accentuano la fragilità dello strato cementato. Se si evita quest'ultimo problema, si ottiene un profilo di durezza più adeguato. Tuttavia non si è eliminato il problema dell'ingrossamento del grano dell'austenite, che può essere molto negativo qualora la ruota dentata rischi di subire degli urti. ❖ Tempra in due tempi: La cosa migliore sarebbe allora raffreddare più o meno lentamente i pezzi al di sotto di A1, senza scendere inutilmente alla temperatura ambiente, ma accontentandosi della formazione delle fasi stabili; subito dopo è allora necessario riscaldare sopra A3 della superficie (rigenerando così austenite a grano fine) e facendo infine lo spegnimento di tempra. Tale procedura comporta due volte le trasformazioni (anche se diverse) dell'austenite. Comunque, deformazioni o distorsioni se ne generano ad ogni trasformazione, anche se con la trasformazione martensitica esse sono più pronunciate. Il saldo del trattamento a doppio raffreddamento sarebbe una deformazione cumulativa finale più ampia. In realtà tale differenza fra le distorsioni totali è modesta perchè, con la tempra diretta, il raffreddamento avviene a partire da una temperatura molto più elevata, comportando maggiori distorsioni termiche e percentuali di austenite residua nettamente maggiori. Quest'ultima si trasformerà poi un po' in martensite o bainite durante il rinvenimento, un po' alla temperatura di esercizio, dando il suo contributo post-tempra alla deformazione.
Il principale motivo per cui può essere necessario il doppio riscaldamento è quello di evitare martensite da austenite a grana grossa e la traccia dei bordi di grano di quest'ultima. Il fenomeno è sensibile soprattutto negli acciai al C. Invece negli acciai legati il più delle volte si svolge la tempra singola dopo raffreddamento a 790°C circa, perchè gli elementi leganti come Cr, Mo e V formano carburi così stabili da non essere totalmente disciolti alla temperatura di austenitizzazione, esplicando quindi un effetto di ancoraggio al moto del bordo di grano tipico delle alte temperature, impedendo cioè l'accrescimento dei cristalli di austenite. ❖ Tempra sotto zero: Per destabilizzare e diminuire definitivamente la percentuale di austenite residua al di sotto del 20%, tendendo al 10% ritenuto ottimale, è talvolta seguita, dopo la prima, una seconda tempra. La prima tempra è lo spegnimento tradizionale a temperatura poco sopra quella ambiente, la seconda avviene immergendo subito dopo i pezzi a temperature dell'ordine di -80°C, per essere sicuri di scendere al di sotto della temperatura di Martensite Finish. A tale scopo si usano bagni di composti organici a bassissimo punto di fusione, come alcoli. In tal modo la percentuale di austenite residua si abbassa, e si consegue sia maggiore stabilità dimensionale della ruota dentata in esercizio, sia si ottiene una maggiore percentuale di martensite in superficie, che in tal modo risulta più dura e resistente alla fatica di contatto. Tensioni residue e rinveniment: La cementazione induce forti tensioni residue di compressione nello strato cementato dopo tempra, soprattutto perché la trasformazione martensitica avviene solo in superficie. Il rinvenimento successivo attenua un po' lo stato di compressione, e ciò avviene in funzione della temperatura e della durata del trattamento. Gli usuali trattamenti di rinvenimento di distensione che si effettuano dopo cementazione sono condotti per lo più nell'intervallo di temperatura 120-180°C e prolungati per 1-2 h. In tali condizioni la decrescita dello stato di compressione superficiale è assai contenuta. Le durezze desiderate dopo rinvenimento di distensione sono: o in superficie 60 HRC o più (700 HV o più,) o a cuore sarebbero desiderate 32-48 HRC (300-550 HV), ma talvolta è impossibile salire sopra 300 HV, in dipendenza della composizione chimica dell'acciaio, che detta la profondità di tempra. o Alla fine il rinvenimento attenua un po' la fragilità e le tensioni residue di compressione ma, poiché è condotto alle temperature sopra indicate, non comporta una diminuzione di durezza, se non modesta, o addirittura un suo aumento se parte dell'austenite residua si trasforma in bainite o martensite. Il rinvenimento viene talvolta eliminato se interessa solo la durezza e la fragilità non è un problema. La distorsione: La distorsione è un problema tipico dei trattamenti termici in generale, a causa del gioco delle dilatazioni termiche. Con la trasformazione martensitica il problema si aggrava, a causa dell'aumento di volume del materiale dovuto alla trasformazione di fase. Con la cementazione il problema è ancora peggiore. Nelle ruote dentate si hanno dilatazioni della massa, che comportano distorsioni di forma, con eccentricità e fuori piano. Ci sono poi le deformazioni dei denti, che sono dello stesso tipo. Quindi, per produrre ruote dentate di qualità il problema della distorsione, non essendo eliminabile, va tenuto sotto controllo. Ovviamente, la distorsione è accompagnata da tensioni residue, che sono concomitanti alle variazioni di volume, che sono influenzare soprattutto da: o i contenuti di C e degli elementi leganti della martensite; più questi sono elevati, più si ha espansione di volume perché si ha maggiore profondità di tempra o la geometria della distribuzione di massa della ruota dentata; il cuore e i denti hanno masse e geometrie diverse, quindi in esse la trasformazione avverrà in modo non coordinato (come per esempio in un semplice cilindro), e questo causerà tensioni e distorsioni o il modo di entrata dei pezzi nel bagno di tempra; occorrerebbe idealmente avvicinarsi il più possibile ad un impatto simultaneo su tutta la superficie del pezzo da parte del mezzo di spegnimento
o il metodo di trattamento termico; la tempra diretta porta alle minori distorsioni, perchè le trasformazioni, che avvengono con variazione di volume, avvengono una volta sola; svolgendo invece tempra in due tempi, dopo il riscaldamento che viene fatto seguire al raffreddamento lento dopo cementazione (quindi con una trasformazione di fase già avvenuta), si ha nuova variazione di volume, ora più grande, che introduce anch'essa una deformazione e che si somma alla precedente. Purtroppo, se le distorsioni sono non trascurabili, è necessario riportare le ruote dentate in tolleranza svolgendo delle rettifiche. Vi sono i seguenti problemi: o i costi elevati delle rettifiche o anche lappature o in letteratura si trovano tabellate le distorsioni degli acciai da cementazione; alcuni acciai legati presentano distorsioni contenute e quindi si potrebbero scegliere, ma con i costi maggiori dovuti agli elementi leganti o non sempre è possibile ridurre in modo sufficiente la distorsione, se non applicando rettifiche pesanti; però asportando in parte la zona più dura ed efficace dello strato. 5.14 Tipo di cariche di lavoro, caratteristiche per impiego e rassegna generale per materiali per ruote dentate. (10 pt) Normalmente la progettazione di ruote dentate si fa riferendosi a due condizioni, la fatica a flessione e la fatica di contatto. Queste due situazioni si manifestano, se non fronteggiate adeguatamente, con rotture per fatica classica al piede del dente, o con il fenomeno del danneggiamento per pitting. Vi sono altre situazioni di messa fuori servizio delle ruote dentate, fra le quali la più comune è l'usura (abrasiva, adesiva, scuffing). Gli acciai per ingranaggi sono perciò caratterizzati da: 1. elevata resistenza a fatica a flessione 2. elevata resistenza alla fatica per contatto, strettamente correlata alla durezza 3. grande resistenza all'usura, quindi grande durezza 4. adeguata tenacità per fronteggiare eventuali urti 5. stabilità dimensionale durante l'esercizio 6. campo di accentuate tensioni residue di compressione in superficie. La più recente norma UNI è abbastanza più dettagliata sulle caratteristiche dei materiali, anche se comunque i valori riportati non permettono di apprezzare a fondo le differenze fra i vari acciai e le varianti di trattamento termico, quindi spalmano un po' al ribasso le possibilità del metallo. Sono per fortuna di aiuto alcune prescrizioni sulle caratteristiche, la microstruttura e i possibili difetti, che fanno la differenza per quanto riguarda gli acciai, i costi, le prestazioni e l'affidabilità del prodotto finito. Possiamo definire 4 famiglie di materiali, cioè agli acciai da bonifica, acciai da tempra superficiale, acciai da cementazione, acciai da nitrurazione. Per tali famiglie la norma ISO 6336 distingue tre gradi di qualità: o grado ML, per il quale vi sono modeste richieste o prescrizioni circa la qualità dell'acciaio o l'affidabilità del trattamento termico; è un grado in generale da evitare, può essere adatto per limitare al massimo i costi nel caso di ruote dentate poco sollecitate o che debbano lavorare poco e il loro danneggiamento non sia critico per l'esercizio di un macchinario o grado MQ, è il grado medio dove le prescrizioni di qualità di acciaio e affidabilità del trattamento termico sono dettagliate, ma con ampi margini in modo da lasciare la libertà di fare scelte riduttive per abbassare i costi; è il grado più utilizzato, sia per mancanza di conoscenze sui materiali da parte di progettisti, produttori ed utilizzatori, sia per lo scopo di contenimento dei costi; non è consigliato per ruote dentate molto sollecitate o aventi funzione critica o grado ME, quello che garantisce la migliore qualità, perchè prescrive in modo dettagliato le caratteristiche dei materiali, la loro microstruttura e lo stato superficiale dopo la fabbricazione del componente; tale grado implica costi moderatamente più elevati, ma è sempre consigliato se si vuole elevata affidabilità del componente, mentre è obbligatorio nei componenti critici.
Resistenza alla fatica a flessione: La massima tensione equivalente a flessione nel punto più sollecitato (il piede del dente) σF deve essere minore o uguale alla tensione ammissibile σFP: σF ≤ σFP .A sua volta, la tensione ammissibile σFP è funzione dei seguenti parametri: o σFlim = limite di fatica o, più correttamente, resistenza a fatica del materiale (riferito a condizioni di rapporto di carico -1 (flessione rotante) o SFmin = fattore di sicurezza minimo alla flessione (reperibile nella normativa) o YF = fattore della geometria delle ruote dentate e delle condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa) o yNT = fattore di durata del materiale, che indica come si abbassa la resistenza a fatica con il numero di 6
cicli di sollecitazione fino a 3*10 cicli, oltre i quali yNT è unitario o yδrelT = fattore relativo all'intaglio, che dipende dalla sensibilità all'intaglio a fatica del materiale
I parametri σFlim yNT e yδrelT, che rappresentano le caratteristiche dei materiali e quindi devono essere utilizzati nella scelta degli acciai opportuni, si trovano tabellati nelle normative, sia pure con parecchia approssimazione. Per quanto riguarda la resistenza a fatica, in una prima grezza approssimazione si può fare uso di una tabella riportata dalla norma UNI 8862, che condensa in modo spiccio e vago le caratteristiche delle leghe ferrose più usate. Si nota l'immediata correlazione di σFlim con la durezza. Si tratta di un espediente approssimato, che è molto sbrigativo nei calcoli di progetto ma, nel caso di materiali a durezze molto basse o molto alte, trascura parecchi fenomeni come indurimento ed addolcimento durante il ciclaggio, che portano a resistenze a fatica un po' diverse. Talvolta le durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella Vickers. Quest'ultima è sempre preferibile, sia per la maggiore affidabilità alle alte durezze, sia per il fatto che mediante la Vickes a bassi carichi è possibile ottenere valori significativi e differenziare con precisione fra diverse posizioni su un dente di un ingranaggio. Resistenza a fatica da contatto: La massima tensione equivalente derivante dalla pressione di contatto dei denti sul loro fianco deve essere minore o uguale alla tensione ammissibile σHP: σH≤σHP A sua volta, la tensione ammissibile σHP è funzione dei seguenti parametri: o σHlim = resistenza a fatica per contatto del materiale per durata a lungo termine che, per le 4 famiglie 7
di acciaio menzionate all'inizio, vale al di sopra dei 5*10 cicli di carico); per la norma ISO si assume di avere una probabilità di danno per pitting non superiore all'1% o SHmin = fattore di sicurezza minimo nelle condizioni di contatto superficiale (reperibile nella normativa) o YH = fattore della geometria delle ruote dentate, dalla loro finitura superficiale, del loro accoppiamento e delle condizioni di esercizio (dettagliato nella normativa)
Anche in questo caso, come per la flessione, la norma ISO correla in modo semplicistico la resistenza a fatica alla durezza mediante delle correlazioni lineari. Di nuovo, è comunque apprezzabile lo sforzo di fornire un panorama più dettagliato sui materiali e il loro diverso comportamento. Le durezze sono espresse sia in scala Rockwell, sia in quella Vickers, che rimane sempre preferibile ed è quindi quella di riferimento.