Massimo Lazzari - Recensione Centogiorni

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LIGURIA CULTURA

Sabato 6 dicembre 2008

Viaggio senza ritorno di 39 repubblichini giustiziati a Cadibona

Giovanni Battaglio

SessantatréannidopolaLiberazione ancora molti sono i tabù sui fatti e misfatti avvenuti all' ombra del 25 aprile. E quando qualcuno prova a parlarne, non mancano le polemiche. Dopo il famosocasoPansa,suscitatoaseguito della pubblicazione de «Il sangue deiVinti», ha fattoscalpore a Savona la pubblicazione di «Trentanovebigliettidisolaandata», un libro che va rivangare la cronaca di una strage avvenuta a Cadibonanelmaggio1945,dicui tuttisannopoconullaedicuinessunohamoltavogliadiparlare. A tirare fuori i faldoni di scartoffie dagliarchivielecronachecittadine dei quotidiani dell'epoca è il lavoropazientediRobertoNicolick,ex consiglieredicentrodestra in Provincia di Savona, autore del libro edito dalla savonese «L. Editrice». Il viaggio nella storia ci riporta indietro a pochi giorni dal crollo delregime.Ibigliettidisolaandatadi cuiparla Nicolick sono quelli di trentanove repubblichini del Savonese, intercettati dai partigiani di una brigata di Alessandria e accompagnati in un viaggiosenzaritorno,conclusosulcigliodiunastradaprovincialedell' entroterra ligure da un'arbitraria sentenza di morte.

il Giornale

Nel maggio del 1945 l’eccidio per mano dei partigiani. La ricostruzione di Nicolick

LA COPERTINA del libro di Roberto Nicolick sull’eccidio di Cadibona

«Nella scrittura dei manuali di storia - racconta Nicolick - finisce inevitabilmente che si creino zone di luce e coni d'ombra». Alcune storie vengono così raccontate e altre restano per anni nel dimenticatoio, nelle caverne del ricordo di qualche superstite, ormaisemprepiùraro.Finchéqualcuno non decide di spolverare quegli accadimenti e raccontare così quello che il processo della storia ha liquidato con minore attenzione. «Ma niente a che vedere con il revisionismo storico precisa -, nessuno vuole mettere in discussione quanto studiosi ben più qualificati di me hanno tramandato nelle loro ricerche. Il mio intento è semplicemente quellodiraccontareunastoriadimenticata, ma che parte da fatti

LA STRAGE L’ex caserma di Altare dove i prigionieri furono temporaneamen te alloggiati prima dell’eccidio

realmente accaduti, atti processualiscrittinerosubianco,cronache dei quotidiani, testimonianze orali autentiche». Una storia che si può dire quasi inedita. Esiste solo qualche accenno nel libro di Gianpaolo Pansa e qualche altro piccolo riferimento nel testo «La stagione del sangue» di

SOLO PAROLE DI CARTA ✤ Dal nostro lettore speciale

DALLA FERRANIA ALL’UNIVERSITÀ

La tesi del laureato sessantacinquenne Triangolo per l’agente immobiliare diventa libro sui mulini della Valbormida Rino Di Stefano

L

ei, lui, l'altro. È la storia di un triangolo amoroso, in tutti i suoi risvolti possibili, ciò che Massimo Lazzari, scrittore esordiente dalle profonde introspezioni psicologiche, ci propone nel suo primo romanzo «Centogiorni», pubblicato da Gammarò Editori di Sestri Levante. È molto probabile che saranno in molti ad identificarsi con gli anonimi protagonisti di questo libro. Perché Lazzari, per precisa scelta letteraria, non dà un nome ad alcuno dei personaggi che rendono viva, e forse fin troppo vera, la storia su cui ha costruito il suo racconto. Di per sé, la trama è semplice. Fin dalle prime pagine ci troviamo nella casa di una qualunque coppia di persone sposate. Lui è un uomo tranquillo, ama il suo lavoro e vede come obiettivo della vita il benessere e l'affetto della sua famiglia. Nel caso specifico della sua bella moglie. Bella sì, ma anche insoddisfatta. Perché la signora in questione non riesce ad accontentarsi di un marito che l'adora, di una vita agiata e di una casa immersa nel verde. Quell'ambiente la opprime, anche se non se ne rende conto appieno. Cerca quindi la via di fuga, l'avventura, la passione. E la trova quando, casualmente, una coppia di conoscenti viene invitata a pranzo dal marito. L'uomo che le si para davanti è un militare, alto e attraente. E poco importa se è sposato. Lei lo vuole. Comincia così il solito eterno gioco del corteggiamento nascosto, dei sotterfugi, dei baci rubati, del tradimento. Anche perché l'oggetto del desiderio della signora, pur amando la moglie, sente che quella è un'occasione da non lasciarsi scappare. Lazzari è bravissimo a ricostruire i pensieri, i desideri e le angosce più profonde che turbano i suoi personaggi. Questo, infatti, è un romanzo dove il vero protagonista principale è il pensiero, non ciò che viene detto. Lei scatena tutte le sue voglie represse, tutto il suo desiderio di evasione dalla realtà quotidiana, cercando di conquistare l'uomo dei suoi sogni. E lui, che capisce fino a che punto può spingersi con lei, si lascia andare alle schermaglie della seduzione, accantonando in un angolo della sua mente la pur adorata mogliettina, inconsapevole della passione che travolge il consorte. E così assistiamo a sfrenate scene di sesso tra i due amanti fedifraghi, che si lasciano completamente andare all' amore, senza porsi alcun limite. Anche se, come lo stesso Lazzari si domanda descrivendo le acrobatiche prestazioni dei due, non si capisce se facciano sesso per sesso, o sesso per amore.

Forse, si risponde l'autore, non è possibile amore senza sesso o sesso senza amore. Fatto sta che il marito di lei, per quanto tranquillo, non è uno stupido. E un bel giorno la mette garbatamente alla porta, dicendole che in quella casa non dovrà più tornare. A quel punto la signora comincia a fare i conti con la realtà. Il suo amante, infatti, ama godere delle sue grazie, ma a lasciare la moglie non ci pensa neppure. L'antico concetto del «tengo famiglia» supera la soddisfazione sessuale che l'amante, con tanta generosità, gli regala. Ma lui è un militare, un ufficiale che deve tenere al pubblico decoro, a parte le battaglie clandestine che combatte a letto. Come quando, approfittando dell'assenza della moglie, si era portato a casa l'amante impegnandosi con lei in un memorabile corpo a corpo stoppato, loro malgrado, dall'anticipato arrivo della consorte che, pensate un po', aveva la pretesa di rientrare nella propria casa perché fuori faceva freddo. Insomma, la signora in cerca di avventure, scopre che la passione è una cosa, la vita reale un'altra. E così rimedia un tetto provvisorio presso un amico che, tra l'altro, vorrebbe anche lui diventarle un po' più intimo, ma non lo fa proprio per la lunga amicizia che li lega da anni. Insomma, manca il gusto della novità improvvisa, della spinta verso il proibito. In tutto questo, Massimo Lazzari, che tra l'altro di professione fa l'agente immobiliare, dimostra un acume non indifferente nel mettere a nudo i pensieri più nascosti dei protagonisti. E nel farlo, consciamente o inconsciamente, è come se facesse l'occhiolino al lettore, quasi a voler dire: «Anche tu ti sei trovato in situazioni come queste, non è vero?». Che ciò sia vero o meno, è difficile da dirsi. Certo è che l'autore fa parlare ben poco i suoi personaggi. Tutti presi come sono a pensare al comportamento da tenere per evitare danni, a come districarsi nelle ardue situazioni interpersonali in cui si ritrovano a navigare, la parola, come espressione verbale, viene relegata in secondo piano. Ognuno è troppo preso a riflettere sul come cavarsela, sulle decisioni da prendere e sul godersi i piaceri della vita sessuale senza pagarne il dazio, per perdere tempo in troppi discorsi. Anche se, alla fine, i nodi vengono al pettine e si scopre, come sempre, che la passione impone spesso un prezzo assai salato. Un prezzo che, volenti o nolenti, poi si deve pagare. «Centogiorni» di Massimo Lazzari, Gammarò Editori, 183 pagine, 14 Euro. lettore [email protected]

I bambini di oggi conoscono soltanto un mulino: sforna merendine, biscotti e dispensa sorrisi. Ma ben prima dell'avvento dell'era industriale, i mulini hanno svolto per secoli un ruolo di primo piano nello sviluppo economico della civiltà moderna. Testimoni della storia da migliaia di anni, fin dal 100 a.C., secolo in cui si può far risalire la loro nascita. Chi nasce oggi in città forse non ne vedrà mai neppure uno. Proprio i mulini e in particolare quelli sorti in Valbormida sono al centro dello studio di Fausto Bagnus, pubblicato nel volume «I mulini ad acqua nella storia e in alta Val Bormida», edito dalla Editoriale europea con il contributo dell'assessorato alla Cultura del Comune di Carcare. L'oggetto di studio, manco a dirlo, è di nicchia. Soprattutto da cinquant'anni a questa parte,daquandocioèi muliniadacquasono stati soppiantati dall'energia elettrica e dall' espansioneindustriale ancheinItalia.Eppure il loro ruolo non è di poco peso, se consideriamo che persino Marc Bloch, uno dei padri della moderna ricerca storica, se n'è occupato in uno dei suoi studi sul feudalesimo. Ma oggi dell'antica funzione dei mulini nonrestapressoché nulla.Inognizonad'Italiatroviamo traccepiù o meno evidenti della loro esistenza. Bagnus è andato alla scoperta di quelli in Valbormida attraverso lo studio di carte e atti notarili, ricorrendo anche a testimonianzeorali.EineffettiancheinLiguria come nel resto dello Stivale, è possibile trovar in ogni paese i ruderi di quello che è ormai relegato all'immaginario collettivo: la casetta in pietra, il ruscello, la ruota con le pale spinte dalla forza dell'acqua. E quelli che ancora mantengono le sembianze o paiono addirittura in funzione, hanno in realtà un cuore fatto di cilindri a energia elettrica. «I principali mulini in Valbormida di cui ho ricostruito la storia - spiega Bagnus - sono sei o sette. Per un mulino di Carcare, ad esempio,sonoriuscitoareperiredueattinotarili, di cui uno risalente addirittura al 1206, l'altro al 1624». Quello di Bagnus non è però un libro come tutti gli altri. Si tratta invece del lavoro di unneo-dottoreinricerca storicaall'università di Genova. Fresco di laurea, punteggio 110 e lode, alla bell'età di 65 anni. Un curriculum universitario da far invidia alla gran parte dei giovani studenti, avvantaggiati a quanto pare solo nella teoria. Prima di indossare le vesti di matricola a sessant'anni,Bagnushasvoltol'attivitàdiresponsabile della centrale termoelettrica in Ferrania. Ma l'età della pensione si è rivelata per lui la più verde. È da quando ha lasciato

il posto di lavoro che ha potuto rispolverare i suoi interessi, la sua innata passione per la storia. Unapassione che lo haportato a iscriversi, col suo diploma di perito in tasca, alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Genova. «Rimettersi sui libri non è stato facile - racconta - ma devo dire che mi ha motivatolafortepassioneperlaricercastorica.Lalaureaèstatapermeun'immensagratificazione,ancoradipiùlo èstatalapubblicazione di questa mia tesi». L'idea di pubblicarla è arrivata dal suo relatore, che ha apprezzatoillavoro di Bagnusal punto dasuggerirgli di trasformarlo in un libro. Il saggio, ci racconta, è il risultato di un lavoro durato due anni, in contemporanea conlosvolgimentodelcorsodistudi,concluso in regola con gli esami dopo cinque anni. Senza dubbio uno dei pochissimi pensionati di oggi a essersi laureato con il «3+2», laurea triennale e specialistica. «La vita da studente non è stata priva di sacrifici - conclude - con i trasferimenti quotidiani in treno da Cairoa Genovapiazza Principe».Proprio come i colleghi quarant'anni più giovani. Chissà che non possa servire da esempio. GBatt

Massimo Numa. Siamo nel maggio del 1945, dicevamo, quando i partigiani di unabrigatadiAlessandriafermanounasessantinadirepubblichini.«Depredatiearrestati-racconta l'autore - attendono che un autobus da Savona li venga a prendere. Le donne subiscono uno stupro collettivo, mentre gli uomini vengono trasportati alla casermadiAltare,inprovinciadiSavona, dove subiscono un pestaggio». I prigionieri vengono fatti scendere dal soprannominato «autobus della morte», si racconta nel libro, e vengono caricati su di un camion che li condurrà verso la loro ultima destinazione. Al km 142 della strada provinciale cheda Savonaporta adAltare, infatti, vengono tutti uccisi a colpi dimitra,seppellitiinunafossacomune e coperti di calce viva. «A distanza di tutti questi anni - continua - di alcune salme non si conosce l'identità. Oggi riposano nel cimitero delle croci bianche di Cadibona, località dell'entroterra, dove sono seppelliti partigiani e repubblichini». Degli autori dell'eccidio, così come delle vittime, si conoscono nomi e cognomi. «Ho scelto però dipubblicare per interosolo i nominativi delle vittime - spiega mentre dei partigiani che hanno compiuto la strage ho preferito indicare soltanto le iniziali, per evitare che i figli oggi in vita debbano subire i riflessi di colpe che non sono loro». Per Roberto Nicolick questo è il primo esperimento letterario, ma gli è già costato qualche minaccia. Nuovi spunti sono in cantiere per altri libri simili: «Desidero suscitare una riflessione - conclude - e rompere il tabù che da sempre copre gli anni della Resistenza». Perché - come recita la dedica del libro - «i morti non devono avere bandiere, devono avere rispetto».

A spasso nella storia L’inespugnabile Castel di Gavi ai tempi della Repubblica È una storia avvincente quella della più grande fortezza della Repubblica diGenova,inposizionestrategicanell' Oltregiogo: la racconta Armando Di Raimondo nell'elegante volume «Il Forte del Castel di Gavi (1528-1797)», ripercorrendo le tappe della trasformazione da castello a struttura militarepraticamenteinespugnabile,finoalla caduta della Repubblica e al disarmodelForte.Troviamoallavoro,secolo dopo secolo, i più valenti ingegneri e architetti, come Giovanni Maria Olgiati, il frate domenicano Vincenzo da Fiorenzuola, Pietro Morettini. Sullo sfondo, le vicende belliche, in particolare la guerra con i Savoia del 1625 e il conflittoconl'Austriadel1746.L'autore - dirigente d'azienda genovese con la passione per la storia locale - ha raccolto documenti in gran parte inediti negli Archivi di Stato di Genova e Ales-

sandria, studiando a fondo la corrispondenza scambiata tra il Forte e le autorità della Repubblica genovese. In primo piano, la vita quotidiana dei soldati, dalla dieta frugale ai duri turnidi guardiaeallanecessitàdi condividere in due o tre lo stesso giaciglio di notte, con un'unica coperta per scaldarsi,in unposto «freddo d'estate egelato d'inverno». Severa la disciplina, tanto che per le infrazioni più gravi ci si poteva ritrovare condannati a trascorrere un periodo di tempo ai remi dellegaleregenovesi. Non mancanole piccole vicende umane, come qualche rocambolescadiserzione,lastoria dellasentinellaubriacaequellafrail Capitano Duce e la domestica Giulia. Armando Di Raimondo, «Il Forte del Castel di Gavi (1528-1797)», Erga edizioni, pagg. 320, euro 28. Carla Valentino

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