Mario Schiattone - Giuseppe Mazzini. Il Progetto Della Giovine Europa

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Rivista di Studi Utopici n.1 aprile 2006

Giuseppe Mazzini. Il progetto della «Giovine Europa» di Mario Schiattone

1. Aspetti utopici del progetto La Giovine Europa è stata concepita da Mazzini come momento di emancipazione delle masse dallo stato di sudditanza ai regimi costituiti, per la conquista dell’indipendenza e della cittadinanza fondata sul principio universale della libertà. Indipendenza implica anche il pieno diritto alla cittadinanza che, di fronte a regimi autoritari, può essere conquistata solo con la cospirazione, l’insurrezione e la rivoluzione. Proprio la rivoluzione attribuisce a tutti i cittadini il diritto e la dignità di soggetto politico1. La cittadinanza è universalmente riconosciuta nella unità di un popolo, nell’unità politica, nell’unica costituzione, nella comune tradizione. Pur riconoscendo agli Italiani profonde diversità nei costumi, nelle lingue, nelle passioni, Mazzini riconosce nella nazione l’unica possibilità di armonizzazione delle diversità. Perciò, per Mazzini, la nazione è principio politico e morale, è il fondamento della solidarietà e della fratellanza tra i cittadini, che è poi il presupposto della solidarietà e della fratellanza tra le nazioni libere. La cittadinanza è di segno universale, come sancito dalla Rivoluzione francese, per il fatto che i popoli, mentre si distinguono nell’assetto geopolitico per tradizioni, linguaggi, costumi, vicendevolmente si riconoscono come cittadini di nazioni eguali, dello stesso peso politico ed etico; ma, secondo Mazzini, questo principio si disperde, poi, in una congerie di contraddizioni politiche, tra cui il perpetuarsi della stratificazione sociale e la conquista del potere da parte della classe emergente. La cittadinanza ha, come fondamento etico, l’uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini e tra i popoli, per cui il persistere della disuguaglianza determina un divario etico-sociale tra cittadino e cittadino; e ha anche conseguenze politiche sulla realizzazione della democrazia. Pertanto Mazzini vuole che la cittadinanza sia una conquista definitiva nell’uguaglianza, per cui tutti gli uomini sono tenuti a realizzare questa condizione che, anche dal punto di vista politico, aggiunge dignità alla natura d’uomo, alla sua capacità razionale2.

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Rousseau e Proudhon attribuiscono alla disuguaglianza una matrice borghese, nel senso che è il possesso esclusivo, la proprietà privata, a segnare la differenza di condizione dei cittadini. Per Mazzini la cittadinanza si fonda, in primo luogo, sul principio di emancipazione popolare, determinata dalla cultura e dall’educazione. Alla base di tutte queste accezioni appare irrinunciabile il sentimento del dovere kantiano, che attribuisce agli uomini e ai popoli il medesimo fine, il fatto cioè di considerare l’uomo e il cittadino mai come mezzo, ma sempre come fine. Se si prescinde dalla valenza etica, non è possibile dare fondamento razionale all’uguaglianza, non è possibile un processo di riduzione della disuguaglianza. Mazzini attribuisce all’uguaglianza un’ispirazione e un influsso divino; perciò l’emancipazione nell’uguaglianza si pone sì come compito inderogabile, come dovere, ma attraverso un imperativo che trascende la coscienza dell’uomo, un comando che gli viene dall’intimo e insieme dall’alto. Questo tipo di impostazione contiene residui dell’idealismo hegeliano, di cui non è immune neanche Saint-Simon. Infatti, sia per Mazzini che per Saint-Simon, il tentativo è di procedere ad una sintesi che racchiuda in un principio unico la visione del mondo e che colga il significato profondo dell’esistenza3. Non è il portato di un imperativo categorico insito nella coscienza, è un dettato sovrumano che sfugge alla discussione e alla possibilità di poterne realizzare una certa qual consapevolezza, se non nella fede. Più opportunamente, Leroux recupera la sintesi confuciana di esistenzareligione-ragione che spiegherebbe l’umanità dell’uomo, da cui dipende la sua capacità di stringere relazioni, di attuare la socialità e la fratellanza. L’umanità posta da Dio nell’uomo si presenta allora come unica legislatrice, al di là di ogni intermediario; un’umanità senza profeti e senza messia, e per ciò stesso un’umanità che direttamente legifera e governa4. Bonaiuti avverte in Mazzini un forte richiamo alla tradizione cristiana, interpretata comunque in termini deistici, per cui Dio è la realizzazione ipostatica e la sanzione concreta delle leggi morali non scritte, da cui è retta la vita associata, capace di accomunare gli uomini al di là di tutte le discipline esteriori e di tutte le costituzioni5. Al di là di ogni riflessione di carattere filosofico-teologico, le tesi di Leroux e di Mazzini hanno rilievo, dal punto di vista politico e sociale, in quanto la sovranità popolare è il portato dell’umanità dell’uomo, e costituisce il fondamento della democrazia diretta. L’Europa si presenta allora come unione di popoli liberi e indipendenti, come alleanza di repubbliche democratiche all’insegna

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dell’uguaglianza e della fratellanza, come sovranità popolari al plurale, nella parità e nella reciprocità. Da questa prospettiva è possibile comprendere l’ulteriore principio della Giovine Europa e cioè «lo sviluppo libero e armonioso delle facoltà umane», in un ambito in cui nessun ostacolo si opponga alla libera espressione dell’uomo e alla libera associazione fra uomini e fra popoli; per cui, anche, ogni uomo, ogni popolo, in quanto parte dell’umanità e in quanto in essa si riconosce, è portatore di valori comuni, e di contributi atti alla realizzazione del benessere generale. Giovine è l’Europa che si avvale dell’apporto delle generazioni; per cui, tra le generazioni, si ristabilisce un recupero della fiducia reciproca, che è quasi sempre venuta meno nei secoli precedenti, per il prevalere degli interessi contingenti, rispetto al progetto della società giusta e fraterna. Giovine significa, anche, che questa fiducia consente a tutti gli uomini e a tutti i popoli di rinnovarsi e di concepire la visione di una società di uguali. Sembra anzi che il progresso dell’umanità nell’uguaglianza e nella democrazia non sia possibile senza questa fede. La fiducia determina il profilo della speranza dell’umanità. Utopica è la fiducia nel progresso come incremento della scienza e del sapere, come sviluppo della democrazia e del benessere sociale. Distopico può diventare l’aspetto trascendente e provvidenzialistico della dottrina politica mazziniana. Così come il sottolineare l’elemento della fiducia e della speranza, senza tener conto della insocievolezza prodotta proprio dai sistemi politici, dalle forme storiche di egemonia delle classi dominanti, dall’impostazione capitalistica delle società occidentali; significa perdere di vista la realtà su cui bisogna continuamente intervenire. Quanto alla tendenza della reductio ad unum, sia dal punto di vista etico che politico e sociale, essa è certo fondativa della nazione unitaria ma, dal punto di vista politico, Mazzini persegue un fine contingente, ovvero fare dell’Italia una «grande» nazione, al pari dell’Inglitterra e della Francia, riconducendo i popoli alla delega, spesso incondizionata, del potere; sotto le forme della rappresentanza, in cui la sovranità popolare tende a disperdersi nei meandri della burocrazia. Lo si evince dall’Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, in cui prende corpo il senso della nazione una, indipendente, sovrana, e dove soprattutto si insiste sulla rivendicazione dei territori di lingua e di cultura italiana ancora soggetti allo straniero6. La questione dell’unità finisce per rendere inevitabile la guerra di indipendenza, che Mazzini si ostina a chiamare rivoluzione. Significa anche che, finché tutti i contesti etnico-storico-linguistici non sono ricondotti ad un unico stato e ad un’unica nazione, non è possibile impostare rapporti di relazione in Europa, se

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non sotto la forma delle alleanze contrapposte. Ma riconoscere l’autonomia dei vari contesti politici e attribuire loro la deliberazione di appartenenza a una nazione, non richiede una guerra di indipendenza o una rivoluzione. Tale è la tesi di Ferrari e di Cattaneo, sia pure derivata da Proudhon7. C’è poi il tema della sovranità, che potrà essere popolare e tendente a una democrazia diretta se lo stato è a misura d’uomo, ovvero se è possibile il massimo grado di partecipazione alla vita politica, che può realizzarsi solo nel piccolo stato, connesso ad altri stati in una federazione. Mazzini ritiene che a tutto questo si può ovviare istituendo ovunque la repubblica, che, di per sé, è garanzia dell’uguaglianza nella cittadinanza, attribuisce ad ogni cittadino il diritto di contestare al potere la realizzazione di interessi particolari o di parte. Egli è altresì convinto che, in una repubblica così concepita, può essere superata anche la divisione dei poteri, perché, idealmente, potere legislativo e potere esecutivo sarebbero nelle mani del popolo, attraverso la ratifica dell’operato della Costituente; e anche per la ragione che i poteri, distinti e autonomi, finiscono per essere in lotta tra loro a danno dell’armonia della vita sociale e politica. Una repubblica-nazione in un contesto di nazioni repubblicane, questa è la prospettiva mazziniana dell’Europa. L’unità nazionale è lo strumento base del dialogo tra i popoli. Infatti, per Mazzini, le federazioni come la Svizzera sono politicamente inerti, immerse nelle ostilità locali, senza unità di fede e di legislazione, senza unità di educazione8. . Secondo Croce, Mazzini ha individuato i problemi eternamente connessi alla società; cioè quello inerente l’emancipazione della persona, che avviene attraverso l’educazione e la rieducazione morale, religiosamente morale o, se si vuole, di rinnovata religiosità politica; ma l’errore ch’egli trova in Mazzini è quello di affidare questo compito ad un ente immaginario quale è il popolo, che, di fatto, non esiste; perciò Mazzini viene abbandonato da tutte le forze politiche che avrebbero potuto realizzare concordemente questo progetto, ma nel quale nessuno ha mai creduto9. Croce, dal canto suo, non si rende conto che, se viene meno il popolo, viene meno la società, lo stato, la nazione; questa carenza di Croce è ascrivibile alla sua tendenza ad affidare la storia ai raggruppamenti politici, alla loro azione, alla loro capacità di trascinamento delle masse; mentre è ormai chiara la visione della storia come storia di popoli. Il popolo unico soggetto della storia, in quanto è il portatore del progetto della storia sia nelle forme implicite, quando cioè il progetto si manifesta attraverso espressioni che tendono a trascendere il tempo e lo spazio in cui si pratica l’ingiustizia; sia nelle forme esplicite, attraverso le rivoluzioni10.

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Nella repubblica di Mazzini, invece, i popoli hanno un ruolo determinante, non soltanto nell’ambito dello stato, ma anche nell’associazione di stati, quale si presuppone sia la Giovine Europa. Nell’associazione repubblicana, cioè in una condizione in cui ogni cittadino è parte attiva dello stato, è possibile anche una equa distribuzione della ricchezza11. Nell’associazione repubblicana il territorio, l’esercito, il potere sono del popolo; le risorse sono sfruttabili in nome del popolo, per il popolo; le armate sono costituite da popolani che difendono la nazione, si sacrificano per essa, come voleva Machiavelli; supposto che, per Mazzini, principe sia il popolo. A capo di un popolo così concepito occorre un governo che sia espressione e modello di libertà e di progresso; un governo promotore delle attività produttive per il benessere generale. Nell’associazione delle repubbliche, la democrazia è espressione di verità politica in universale12. La storia dell’Italia unita ci dice chiaramente che le cose non stanno in questi termini, se ancora oggi si discute e si lavora sul tema dei rapporti tra nord e sud, sul divario economico-sociale che divide ancora le popolazioni del mezzogiorno da quelle del settentrione; tutta la discussione sulla devolution, la cui graduale e lenta realizzazione sembra comportare l’istituzione di poteri sovrapposti, doppie fiscalità, incoerenze amministrative; fa prefigurare difficoltà, non sempre oggettive, relativamente alla democrazia come impianto di una verità politica incontestabile in ambito europeo. Mazzini, pur essendo consapevole del variegato tessuto dell’Italia, tanto che registra sistemi diversi e anarchici negli stessi partiti democratici, non riesce a delineare un progetto di autonomizzazione dei contesti politici e sociali, per la sua avversione al socialismo, per i pregiudizi che nutre nei confronti delle teorie federaliste13. Nel Manifesto programmatico del Comitato Centrale Democratico Europeo redatto nel luglio del 1850, Mazzini, con a fianco Ledru-Rollin, non si preoccupa di esprimere le istanze delle democrazie europee, quanto invece di realizzare la più grande unità possibile dei partiti democratici europei. Ledru-Rollin, d’altro canto, è il responsabile della svolta reazionaria della Francia, per la sua ostilità al socialismo e il suo atteggiamento contro gli operai nella primavera del ’48. In una lettera a Mazzini George Sand, invitata a prendere parte al Comitato, esprime il suo rammarico per la scelta di Ledru-Rollin, per il contenuto del Manifesto e per il carattere elitario dei partecipanti al Comitato14. Louis Blanc rimprovera a Mazzini e a Ledru-Rollin il fatto che i rappresentanti nazionali del Comitato non sono tali per delega elettorale dei partiti democratici15.

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Per gli stessi motivi non aderisce al Comitato neanche Herzen. Si ottiene invece l’approvazione e l’adesione di Arnold Ruge in Germania. La critica di Marx ed Engels al Manifesto mazziniano si appunta soprattutto sulla mancata comprensione, da parte dei mazziniani, del materialismo storico e del materialismo dialettico, oltre che alla mancata distinzione tra struttura e sovrastruttura che, per il marxismo, è il principio motore della storia. Mazzini e i mazziniani pensano, poi, di poter conciliare tutte le forze democratiche nel Comitato, senza tener conto delle profonde divergenze tra i democratici europei. La democrazia teorizzata dai mazziniani, anche per Ferrari appare formale e inconcludente perché non si propone di affrontare nei modi dovuti la questione sociale. Le insurrezioni mazziniane, oltre che dare pretesto all’Austria di rafforzare il suo dominio sull’Italia, tendono a rovesciare il sistema moderato, per affidare al Comitato Centrale Europeo la guida delle nazioni16. Paolo Rossi attribuisce a Mazzini il difetto di non conoscere i problemi sociali e politici dei popoli europei, per il suo misticismo e per il carattere predicatorio del suo apostolato17. L’intento di Mazzini appare, tuttavia, mirato al consolidamento della democrazia in Europa attraverso una grande opera di riconciliazione delle forze politiche democratiche, per opporre un fronte di rivendicazioni nazionalistiche, di senso politico e sociale, che non si riesce a praticare nei singoli ambiti nazionali. Si tratta della fondazione della democrazia europea per superare l’immobilismo in cui versano tutti i partiti democratici. Il Comitato Centrale Democratico di Mazzini è il prototipo di una visione europeista della politica, che poi verrà attuata da quasi tutti i partiti, in ambito europeo. Infatti, accanto all’internazionale socialista, si istituirà l’internazionale dei popolari e dei liberali, per trovare le radici ideologiche comuni e concepire una prassi politica sopranazionale di stampo sociale. L’internazionale socialista si sviluppa in Europa, ma non ha una visione autenticamente europeista, poiché tende all’unione mondiale delle forze operaie e non ha un progetto di unione politica dell’Europa. È nota l’attività di Mazzini relativamente alla costruzione dell’Internazionale dei lavoratori del 1864, in cui fu fortemente osteggiato da Marx e isolato dalla maggior parte dei componenti il Comitato18. Il fallimento del Comitato Centrale Europeo viene ascritto all’incapacità di Mazzini. Di fatto Mazzini non si rese conto del variegato profilo politico dell’Italia e dell’Europa; il suo unitarismo non è praticabile per le contrapposizioni ideologiche, per la divergenza degli interessi dei singoli stati, per l’impossibilità di un apostolato sul popolo, emarginato nella miseria e nell’analfabetismo. Mazzini è

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fortemente criticato dai repubblicani per i suoi contatti con Carlo Alberto e, a sua volta, egli rimprovera i socialisti perché tesi piuttosto alla soluzione dei problemi sociali rispetto a quelli politici, considerando che i problemi sociali sono risolvibili solo dalla politica. Mazzini è criticato anche per aver determinato l’isolamento dell’Italia, per aver ricusato l’aiuto militare della Francia. Molte accuse rivolte a Mazzini sono, però, infondate. Ad esempio, non si può dire che egli sia mai venuto meno al suo ideale repubblicano; anche quando si rivolge alla monarchia sabauda, lo fa sapendo che la monarchia costituzionale è l’inevitabile via per la transizione alla repubblica. Quanto alla Francia, Mazzini considera che l’indipendenza ha carattere patriottico-rivoluzionario e deve essere realizzata dai patrioti e non dagli eserciti; nel contempo egli simpatizza con quei francesi che hanno a cuore i diritti umani. Il federalismo è per Mazzini «inintelligibile», perché viene assunto come mero localismo, pur essendo egli per l’autonomia amministrativa dei comuni19. Nel 1872, Mazzini ripropone il suo concetto di verità, che si fonda sulla coscienza storica e sulla tradizione, sulla combinazione tra l’analisi dei fatti e la loro interpretazione. Proprio l’interpretazione dei fatti storici induce all’azione, per la consapevolezza che si acquisisce dello stadio dell’emancipazione raggiunto rispetto a quello da raggiungere. La coscienza storica mette, poi, in luce il valore dell’associazione; è storicamente dimostrato che, mediante l’associazione, gli uomini e i popoli hanno potuto raggiungere traguardi non raggiungibili individualmente20. È evidente qui il riflesso di alcune teorie di Leroux e di SaintSimon. La storia, per Mazzini, è progresso nella libertà, vale a dire che tutto ciò che non risponde ad un divenire nella libertà non è progresso, non è storia; l’mmobilismo rappresenta un blocco del progresso e della storia; un rischio insito nella storia umana, poiché non c’è una dialettica che imposta a priori il libero agire degli uomini, né sussiste un fine assoluto della storia supposto idealmente a priori; non ci sono categorie o teoremi della libertà, in quanto è essa stessa in continuo farsi21. Negli stessi termini il concetto di cittadinanza, potrebbe perdere il suo senso morale, se viene inteso in termini domestici, cioè per dare senso alla propria vita individuale e al gruppo di appartenenza; ma anche quando nella cittadinanza sono implicite discriminazioni di ceto, di ricchezza e di potere; quando si suppone e si tollera un diverso destino per gli associati; perché la virtù civica impone a tutti la reciproca solidarietà e la sobrietà dei costumi22. Analogamente la democrazia, per Mazzini, è fondata sul consenso tra eguali, in cui nessun individuo, nessun gruppo prevarica gli altri; sulla base del principio di

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reciprocità, la democrazia si espande dall’ambito municipale alla nazione e all’Europa. Così, per Mazzini, la libertà di una nazione è precaria se le nazioni che la circondano non sono libere. Questo comporta anche, oltre la reciprocità, il senso della responsabilità rispetto ai popoli non ancora liberi e indipendenti23.

2. La costruzione dell’Europa Con l’Atto di fratellanza della Giovine Europa sottoscritto a Berna il 15 aprile 1834 da rappresentanti italiani, polacchi e tedeschi, Mazzini ripropone ai popoli europei una sorta di atto di fede nell’uguaglianza e nella libertà, già sottoscritto nel patto della Giovine Italia, miseramente sciolto per il fallimento dei moti insurrezionali nella Savoia e per la recrudescenza delle forze di polizia. Si tratta di un rilancio della fede nella democrazia a livello sopranazionale, correlata al principio di indipendenza delle nazioni. Il patto impone, ai singoli e ai popoli, la missione di concorrere a realizzare il piano «generale dell’umanità», un piano assegnato da Dio; per cui i popoli che sottoscrivono l’atto sono l’avanguardia della costruzione del progresso dell’Umanità. Dunque l’unione europea è una parte del grande patto di alleanza dell’umanità, che non escluderà nessun uomo, nessun popolo24.. Il principio è parte integrante dello Statuto e messo in risalto dai suoi estensori. L’alleanza dei popoli, in Mazzini, ha lo stesso tono biblico della nuova alleanza tra Dio e gli uomini, l’alleanza che Dio pattuisce con Noè all’indomani del diluvio universale; che si concretizzerà poi attraverso l’umanizzazione del Cristo e la sua promessa di redenzione. A parte i presupposti teologici, di cui bisognerebbe trovare le ragioni sociali e politiche, per non sospendere il discorso nel misticismo, Mazzini individua chiaramente che il fine dell’associazione dei popoli è la loro umanizzazione, la rispondenza dei fini di ogni singolo uomo e di ogni singolo popolo all’unica vera alleanza possibile, che, oltre gli uomini, finirà per comprendere la natura e il cosmo. Mazzini intuisce la portata di un rapporto che sussiste tra essere e coessere, che dissolve la solitudine di quello che sarà poi l’essere inautentico di Heidegger, e conduce alla concomitanza degli scopi e dei fini, alla collaborazione-cooperazione; in cui veramente si manifesta l’umanità dell’uomo e in cui ogni uomo, ogni popolo, riceve il reciproco, il complementare dell’altro uomo, dell’altro popolo25. La forza dell’associazione, dice Mazzini, non si misura sulla quantità dei membri, quanto sulla omogeneità degli intenti, che, quanto più hanno carattere universale, tanto più

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sono condivisi; dalla condivisione dei fini deriva poi anche la compattezza dell’azione26.. Questo vuol dire anche che deve essere chiara, a livello sociale e politico, l’ispirazione morale che muove all’azione, che, a sua volta, richiede strumenti adeguati di realizzazione. Il principio d’azione, in Mazzini, corrisponde al marxiano rapporto teoria-prassi, in cui, però, sopravviene la provvidenzialità dello spirito mistico che attribuisce all’opera dell’uomo una corrispondenza all’opera di Dio. Per questo, in Mazzini, l’uguaglianza e la libertà degli uomini sfociano inevitabilmente nella fratellanza, cioè in un rapporto complementare e reciproco, di mutuo riconoscimento etico-esitenziale. Questo spiega anche perché, per Mazzini, qualsiasi altra formula è destinata a fallire, perché non è inclusiva della materialità e insieme della spiritualità. Il tentativo di Buonarroti di riunire tutte le Vendite della carboneria in un unico organismo con un centro propulsore nell’Alta Vendita di Parigi, non si realizza per il suo spirito elitario, per la sua tendenza alla segretezza degli intenti, per la sua azione settaria; fallisce anche per il sopravvenire della Giovine Europa, che include nel suo programma, tra l’altro, principi sociali e strumenti di autentica democrazia, che la carboneria non aveva saputo esprimere. La fratellanza tra Italia, Germania e Polonia comporta anche il superamento della divisione delle razze: quella germanica, quella slava e quella greco-latina; cioè l’implicito riconoscimento della comune origine dei popoli, della loro pari dignità. Italia, Germania e Polonia sono anche espressione di una capacità di iniziativa rivoluzionaria che né l’Inglitterra, chiusa nel suo egoismo mercantile, né la Francia, che considerava esaurito il compito rivoluzionario, possono porsi come missione, come portatrici del piano dell’umanità27. Ogni popolo, per Mazzini, è espressione dell’avvenire dell’Europa e dell’Umanità, purché avverta in sé il richiamo della fratellanza prossima e della fratellanza remota28. Il principio di fratellanza è desunto dal Vangelo, per cui Mazzini gli attribuisce un senso eticoreligioso; ma, dal punto di vista sociale e politico, il principio si esprime nell’associazione che è immanente all’uomo, che, come dice Aristotele, è istinto umano, come tendono a far credere anche le teorie contrattualistiche non viziate dall’utilitarismo. Per questo, è attraverso l’associazione che si può realizzare la fratellanza; le alleanze e le associazioni sono il progetto dell’umanità in quanto storia, in quanto unico possibile essere e divenire dell’uomo e dell’umanità. Anche la democrazia, per Mazzini, è nel divenire dell’Umanità, ma non può essere scissa dallo spirito di associazione e dall’aspirazione alla fratellanza, in quanto democrazia è rapporto armonico tra individuo e collettività. Quanto più ampio è questo rapporto tanto più è concreta la democrazia.

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La libertà di un popolo è precaria se i popoli che lo circondano non sono liberi, così la democrazia è limitata e precaria se non vive tra le democrazie. Nell’associazione e nella fratellanza dei popoli si esclude qualsiasi tendenza alla tirannide come all’anarchismo, ambedue conseguenti ad una visione esclusivamente individuale della libertà29. Posta la questione in questi termini, ci sembra di ravvisare una prospettiva analoga, per certi versi, a quella di Montesquieu. In L’esprit des lois Montesquieu vede l’Europa come l’asse del commercio mondiale, cioè individua nell’Europa il perno della diffusione del benessere in universale, considerando il benessere elemento indispensabile e fondativo delle buone relazioni. L’esprit dell’Europa sta, poi, nella circolarità continua tra fisico, morale e politico, ovvero nella capacità di offrire oltre che un clima temperato e una equa distribuzione delle bellezze naturali, una possibilità dell’equilibrio dei poteri, quando ancora contiene in sé repubbliche a monarchie, stati unitari a stati federali, quando deve far coesistere costumi, lingue, religioni diverse. Nelle Considérations, Montesquieu parla dell’Europa come luogo della comunicazione intellettuale in senso cosmopolitico, con flussi e riflussi migratori, spesso imponenti. In Europa è possibile una société des sociétés, ovvero l’estensione orizzontale delle repubbliche preesistenti e della federazione fra repubbliche. In Lettres Persanes si dice che il carattere distintivo dell’Europa è il lavoro, l’operosità, salvo, poi, la discussione sull’organizzazione del lavoro e sui rapporti di produzione30. Dall’Europa si irradia il principio di libertà, cui Mazzini attribuisce due aspetti: libertà come spontaneità operativa e libertà come capacità di una libera scelta tra il bene e il male. Trascuriamo qui la considerazione del dover essere, la cui ispirazione è di carattere religioso-metafisico; consideriamo invece la libertà come spontaneità operativa, già attribuita agli Europei da Montesquieu, in cui consiste anche, per Mazzini, la caratteristica dei rapporti sociali e politici. Senza libertà non può esserci società, poiché tra liberi e schiavi non può esserci associazione, ma solo rapporto di dominio. La libertà è la legge del progresso, poiché non c’è progresso se non nella libertà; così come non c’è progresso, in ambito sociale e politico, senza associazione; nell’associazione l’individuo si fa famiglia, nazione, umanità. Ma nella libertà c’è anche la misura della responsabilità, in quanto per Mazzini, la libertà, più che un diritto, si presenta come dovere. Per questo anche la libertà è lotta e conquista, rientra nel concetto di missione, il cui venir meno fa scadere la libertà nell’individualismo e nell’egoismo. Per tutti questi motivi la coscienza di

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libertà è pienezza della mente, è quel particolare tipo di conoscenza che si traduce inevitabilmente in azione31. Gli interpreti di Mazzini, si chiedono, a questo punto, se in lui sussiste una teoria gnoseologica e, non trovandola, immaginano di poterla desumere da Kant, cui Mazzini, per molti versi è debitore32. Una teoria della conoscenza nei termini kantiani conduce alla riscoperta del valore dell’esperienza e, se questo valore si applica alla storia, è possibile desumere leggi di senso universale che ci permettono di costruire un profilo del divenire dell’umanità, al di là dei sistemi filosofici e politici. Da questa angolazione Mazzini individua il divenire dell’Europa e di tutti gli altri popoli; di cui però egli accentua, forse in modo ossessivo, il profilo etico. Attribuisce agli uomini, alle nazioni e all’Europa un elevato livello di emancipazione, senza considerare problematiche economiche, contraddizioni politiche e sociali, in cui ancora l’Umanità è immersa. Se ci rifacciamo a Kant, dobbiamo porre il sentimento del dovere come l’imperativo della coscienza, prima ancora di istituire una teoria della conoscenza. Per questo Mazzini pone la libertà come consapevolezza dell’essere d’uomo, dell’essere dei popoli, senza preoccuparsi della ragioni che possono esserci alla sua base. Mazzini non pone postulati chiarificativi; assume la libertà come imperativo della coscienza; e a chi chiede spiegazioni, risponde che Dio stesso ha posto nell’uomo l’istinto della libertà. Manca una prospettiva fenomenologia della realtà umana, che gli consenta di attribuire ai processi in atto, soprattutto quello relativo all’unione dei popoli europei, la gradualità epocale. E tuttavia non basta la prospettiva fenomenologia, per individuare tutti gli ordini dei problemi relativi ai rapporti e alle relazioni di portata europea e di portata mondiale. Jan Patocka, un filosofo della resistenza boema, suggerisce di superare la visione fenomenologica husserliana, con la quale si rischia di mettere in oblio il mondo della vita, cioè le relazioni dei fenomeni, che sono sempre più complessi, soprattutto in ambito sociale e politico. Il fatto che la libertà è a fondamento dell’umanità dell’uomo e di popoli resta un enunciato generico, se non si istituisce un dialogo effettivo tra le diverse culture e le diverse forme di umanità, per trovare ciò che è comune a tutte, senza far passare per universale una specifica cultura, una determinata civiltà, una singolare forma di umanità33. Il problema è, semmai, quello di rendere possibile il dialogo che, fino all’era della globalizzazione, è compromesso, nelle singole nazioni europee, dal sistema rappresentativo di tipo prevalentemente centralistico, dall’autocrazia dei partiti e dalla stampa asservita

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alle ideologie o agli imprenditori editoriali; il vettore centralistico si proietta poi anche nella globalizzazione sotto forma di alleanza dei paesi capitalisti. Già Francesco Saverio Nitti, all’indomani della prima guerra mondiale, sottolinea l’emergere di singoli interessi e di specifiche ambizioni nei trattati di pace34. Analoga è l’analisi di Altiero Spinelli all’indomani della seconda guerra mondiale; ma, in Spinelli, le avvertenze di Nitti diventano lo stimolo per la realizzazione di una strategia della parità su cui si fonda il movimento per la costruzione dell’unità europea35. C’è chi attribuisce all’Europa una tensione alla definitiva decadenza. Ad esempio, per Umberto Eco, gli unici fattori unitivi sono la comune responsabilità bellica dei popoli europei e occidentali e la crescente disgregazione delle identità culturali36. C’e ancora chi, come Massimo Cacciari, propende per una visione dell’Europa che ha definitivamente dismesso la sua azione di conquista e di colonizzazione, anche perché non ha più confini da trasgredire, e gli elementi interni di contesa si esauriscono o perdono senso. L’Europa perciò può rinascere ammettendo la sua decadenza, facendo la guerra a se stessa, per aprirsi all’altro. L’Europa deve riuscire a pensarsi come a-topia, cioè come incapace di progettualità, come noluntas37. In effetti Cacciari propone il «silenzio» dell’Europa, ovvero l’abbandono della sua diffusa tematica degli opposti, che è tipica delle culture occidentali, per far emergere un criterio di armonia sostanziale con il mondo. Eliminato il pre-supposto logico degli opposti, l’Europa può ri-congetturare il suo metodo di approccio alla verità38. L’assunto di Cacciari rientra, in qualche modo, nella visione mazziniana dell’Europa giovine, cioè di un Europa capace di affidarsi alle nuove generazioni di filosofi, di scienziati, di politici; una sorta di rinascita o di renovatio nella prospettiva dei fini, nella capacità di saper intendere l’altro.

3. Europa «Société des sociétés» Per trovare vincoli comuni tra società diverse, Mazzini riconduce le società stesse a popoli, cioè alla versione più autenticamente politica dell’aggregato sociale, per il fatto che ogni società-popolo ha un impianto giuridico ed economico condiviso da tutti i suoi membri, che è l’esponente concreto da mettere in relazione con altre società, con altri popoli. Sul piano culturale ed etico, sussiste già una implicita reciprocità nell’universale riconoscimento dei diritti fondamentali e nei rapporti interculturali. Eventuali difficoltà nascono in campo economico e nel diritto internazionale, in cui prevale l’interesse particolare delle singole nazioni. Così come problematica è la

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regolamentazione degli scambi. In questo contesto, il quadro si complica quando si considera il livello di autonomia dei singoli contesti politici e sociali già all’interno di uno stato, la cosiddetta devolution, a cominciare dai Municipi, cui Mazzini attribuisce grande rilevanza dal punto di vista dell’autonomia politicoamministrativo39. La connessione nazione-comune stabilisce gli estremi politici e culturali della società-popolo; il locale, per Mazzini, non è mai periferia o elemento subordinato ad un centro regolatore in senso verticistico. Inoltre, il politico non esclude mai il sociale, anzi lo presuppone, tanto che la politicità di un popolo si misura sulla base del livello di socialità che riesce ad esprimere. Queste connotazioni permettono di distinguere il popolo dalla moltitudine e dalla massa. I popoli, per Mazzini, sono i soggetti irriducibili della storia, perché nella storia emerge soprattutto l’espressione di una volontà generale, politicamente e giuridicamente istituzionalizzata, cui corrisponde l’azione dei popoli, la responsabilità dei popoli. I popoli, inoltre, sono elemento di connessione tra individuo e società, tra individui e umanità. Si costituiscono come aggregazioni di persone consapevoli dei fini da raggiungere, consapevoli dei propri doveri, della missione umana cui sono chiamati, per il «divino» che è nella loro natura, per l’ispirazione posta da Dio in ogni uomo a realizzare la sua umanità insieme agli altri uomini. L’ispirazione divina, o, se si vuole, la spiritualità dell’uomo, rende inaccettabile ogni forma di collettivismo, in quanto nessun popolo è riconducibile ad un unico modo d’essere; mentre la persona si identifica nel popolo, nel popolo realizza la sua dignità politica, la sua socialità; nella società-popolo prende risalto la sua autonomia di pensiero e di azione; il collettivismo è da Mazzini definito come lo stato di inerzia della persona. Il popolo, per Mazzini, è dunque la più elevata forma di aggregazione, sia a livello sociale, che politico ed etico, poiché nel popolo la persona realizza la libertà personale, l’uguaglianza tra simili, la giustizia nella società e nello stato; attraverso il popolo la persona realizza la sua umanità, perché il popolo, più che la società, rappresenta il complesso di tutti i diritti; nel popolo si ritrovano tutte le volontà particolari; attraverso il sentimento di popolo ogni contesto sociale e politico raggiunge l’intesa sulla gestione della cosa pubblica, il popolo finisce per avere una sola anima, una sola coscienza40. Il concetto etico che sostiene l’Alleanza Nazionale Italiana, istituita il 5 marzo del 1848 a Parigi, in seguito allo scioglimento della Giovine Italia, è quello del reciproco riconoscimento, della ricognizione delle affinità, più che delle differenze; dell’appartenenza alla medesima cultura, alla medesima patria; di essere titolari della stessa cittadinanza, di essere osservanti della medesima legge; la legge dei popoli liberi; una legge che

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affratella non solo i cittadini di uno stato, ma i cittadini di tutti gli stati europei e che non sopporta corruttele, false dottrine e complicazioni delle diplomazie41. Nell’associazione tra popoli, al di là dei patti politici e degli impegni economici, interviene, nella teoria mazziniana, il principio mutualistico di Proudhon, in quanto si esclude qualsiasi forma di gerarchia tra le nazioni, qualsiasi tendenza alla verticalizzazione dei poteri; così come sono aboliti tutti i simboli e i modelli che possono contraddistinguere i popoli per renderli antagonisti; l’unione pratica uno spirito di fraternità e di lealtà. In quanto aggregazione di uomini, l’associazione è portatrice della rivoluzione permanente, come dice Proudhon e poi Marx, e vince ogni sistema dottrinario. Tutto questo comporta inoltre la rinuncia all’amor proprio, ai particolarismi e ai campanilismi42. Si tratta, per Proudhon come per Adam Fergusson, di un processo virtuoso, in cui persino la proprietà è espressione di operosità; che quindi segna l’evoluzione storica della società in termini di benessere generalizzato, e in cui la differenziazione sociale, prodotta dalla divisione del lavoro, ricompone la società nelle abilità, nelle competenze, nei saperi43. L’alleanza tra società diverse è allora possibile se tutte hanno raggiunto la dignità di associazione mutuale, la consapevolezza di una possibile generale riconciliazione, dice Rawls, in una Europa segnata da storie di guerra, da genocidi, da fenomeni malavitosi44. In questo quadro, per superare contraddizioni e antinomie, occorre un processo di generale riconciliazione Nel processo di riconciliazione delle nazioni, Mazzini scorge anche la possibilità di dirimere tutte le controversie tra le ideologie contrapposte e, contro le critiche di Marx ed Engels, che lo accusano di idealismo, in quanto ignaro del sistema dei rapporti di produzione che in Europa portano al conflitto delle classi, propone al Comitato centrale europeo la ricomposizione dell’Europa sulla base del riconoscimento dei diritti fondamentali e inalienabili45. D’altro canto, dice Mazzini, l’età moderna è segnata, dall’emergere di insurrezioni e rivoluzioni che, se pure hanno comportato errori e insuccessi, hanno fatto emergere, di fatto, il valore politico e sociale della volontà popolare, da cui sono nate le democrazie moderne, e hanno determinato un sistema di democrazie che si rapportano tra loro; e hanno anche, gradatamente, disperso le fazioni, le partitocrazie, restando sempre fermo il principio di popolo. In tutta Europa, la coscienza democratica porta milioni di operai a chiedere «lavoro e pane» per tutti, e a far risaltare le contraddizioni dei governi «spolpati dallo spionaggio», dalla corruzione, dagli eserciti permanenti46. Mazzini vede l’unione europea come aggregazioni di popoli-nazione, di repubbliche democratiche, che hanno un elevato senso della libertà e della nazionalità. Secondo

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Mazzini, il cosmopolitismo che si è sviluppato nel XVIII secolo si presta a confusioni e a fraintendimenti, senza un riferimento al principio di nazionalità. Questo principio è l’unico intermedio tra individuo e umanità, in quanto corredato di forza aggregativa universale; tutte le altre forme di aggregazione sono mirate, hanno fini particolari, anche se nobili e determinanti dal punto di vista sociale e politico. E tuttavia, il principio di nazionalità è elemento aggregativo di carattere culturale e non anche etico, poiché deve essere ancora correlato al sentimento della patria, che esprime il legame etico dell’individuo alla nazione. Nel sentimento di patria c’è umanità, poiché per la patria l’individuo è disposto a mettere a disposizione tutte le sue capacità, la vita stessa47. Il principio di nazionalità, correlato a quello di patria, offre non pochi spunti polemici, poiché il sentimento di patria, in termini mazziniani, significa sia il vincolo culturale e morale che sussiste tra appartenenti alla stessa tradizione, che usano un medesimo linguaggio e adottano i medesimi costumi; ma vuol significare anche l’acquisizione di una precisa identità rispetto a tutte le altre patrie. Senza dubbio, patria implica anche il comune sentimento di libertà, rispetto ai popoli oppressori, soprattutto nella fase della formazione delle nazionalità48. Da questo punto di vista, patria è concetto morale che rifluisce nella nazione, o meglio in quella che si definirebbe Società delle nazioni, quando non sussistono più rapporti di dipendenza tra i popoli. Il patriottismo dissolve la sua valenza epicoeroica per tradursi, nella nazione, in associazione di patrie, in volontà di armonica coesistenza delle differenze. La patria, per E. Bloch, è il richiamo ad una radice dell’umanità, la costruzione della storia e la liberazione continua dall’alienazione, l’uomo che ha realizzato una democrazia sostanziale: «Allora nasce nel mondo qualche cosa che rifulge a tutti nella fanciullezza e in cui nessuno è ancora stato: la patria»49. La patria-utopia di Bloch si correla al principio di libertà e di giustizia, in senso universale, ed è corredata del principio speranza, cioè di un’istanza che tende a materializzarsi e a inverarsi continuamente. Proprio il concetto di patria, tuttavia, rende ambiguo, in Mazzini, anche il concetto di nazione. Da una parte il concetto è legato indissolubilmente all’unità e alla sicurezza delle frontiere; un assunto che può essere comunque giustificato dall’istanza indipendentistica delle nazioni50. Dall’altra parte, in Dovere e necessità, Mazzini afferma che la nazione non può essere scissa dall’umanità; anzi, sembrerebbe scontato il trapasso del concetto di patria nella nazione e da questa nell’umanità. Di conseguenza, in Politica internazionale, Mazzini conferma che la nazione è il popolo che si inserisce nell’umanità, e tutti i popoli lavorano allo stesso fine, e ciascuno vi contribuisce con le proprie attitudini e con i mezzi di cui

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dispone51. La tematica della patria e della nazione, se viene rapportata allo sviluppo del mercato globale, si dissolve ulteriormente per l’interdipendenza economica che viene a stabilirsi tra stati, per cui le stesse istituzioni, ma soprattutto il potere legislativo, sono fortemente condizionate dalla prassi economica mondiale, tanto che la politica estera degli stati stenta a correlarsi agli eventi sopranazionali; i poteri esecutivi sono indotti ad adeguarsi alle decisioni intraprese dagli stati della stessa area geopolitica. Si richiede un’accelerazione della prassi politica, con la conseguenza dell’indebolimento della salvaguardia costituzionale, che tradizionalmente salvaguarda la politica interna. Inavvertitamente si determina anche un deficit di democrazia, poiché le decisioni in campo internazionale risultano spesso immotivate al popolo della nazione52.

Note 1

Manifesto della Giovine Italia, in Scritti politici a cura di T. Grandi e A. Comba, Torino 1972, pp. 173-179. 2 Atto di fratellanza della «Giovine Europa», in Scritti politici, cit., p. 373. 3 Cfr. SAINT-SIMON, L’esquisse d’une nouvelle encyclopédie, Paris 1810; G. MAZZINI, Fede e avvenire, Imola, ed. naz., 1906-1943, VI. 4 Cfr P. LEROUX, De la philosophie et du Christianisme. Réponse à quelques critiques, «Revue Encyclopédique», agosto 1832 ; G. MAZZINI, Lettera a F. Prandi, 13/9/1834, ed. naz., cit., I, p. 149. 5 Storia del cristianesimo, III, Milano 1942-43, pp. 490-495. 6 Scritti politici, cit., pp. 164-165. 7 Per queste argomentazioni cfr. il mio Alle origini del federalismo. Giuseppe Ferrari, Bari 1996 e Città, federazione, cosmopoli in C. Cattaneo, Genova 2002. 8 Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, in Scritti politici, cit., pp. 170-172; vedi anche Contro il federalismo, in AA.VV., Il pensiero e l’opera politica di G. Mazzini, a cura di G. Santonastaso e M. Ralli, Messina-Firenze 1975, pp. 127-130; cfr. W. MATURI, Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, in AA.VV., Nuove questioni della storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, I, Milano 1976, pp. 39-130; S. MASTELLONE, Il progetto politico di Mazzini (Italia-Europa), Firenze 1994, pp. 41-46. 9 Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari 1967, pp. 69-70. 10 Per un approfondimento del discorso si veda A. COLOMBO, L’Utopia. Rifondazione di un’idea e di una storia, Bari 1997. 11 L’iniziativa, in Scritti politici, cit., p. 1016. 12 Alleanza repubblicana, in Scritti politici, cit., pp. 986-1000.

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Lo spirito della democrazia e la molteplicità dei sistemi, in AA.VV., Il pensiero e l’opera ecc., cit., pp.139-142. 14 G. MAZZINI, ed. naz., cit., XLIV, pp. 156-163. 15 Lettera a A. Barbès, in J.-F. JEANJEAN, Louis Blanc et Ledru-Rollin. Lettres inédites, in La Révolution de 1848, Paris 1910, pp. 109-114. 16 Cfr. F. DELLA PERUTA, I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all’indomani del 1848, Milano 1958, pp. 19-29. 17 Prefaz. a C. CATTANEO, L’insurrezione di Milano nel 1848, Milano 1951, pp. 6-7. 18 Cfr N. ROSSELLI, Mazzini e Bakunin, Torino 1967. 19 Agli Italiani. Marzo 1853, ed. naz., cit., LI, pp. 17-84. 20 Condizioni e avvenire dell’Europa, ed. naz. cit., XLVI, pp. 255-256; Cfr M. ALBERTINI, Idea nazionale e ideali di unità supernazionali in Italia dal 1815 al 1918, in AA.VV., Nuove questioni del Risorgimento ecc., cit., II, pp. 671-728. 21 C. CARBONARA, Platonismo e cristianesimo nella concezione mazziniana della storia, Napoli 1959, pp. 59-61. 22 L. SIEDENTOP, La democrazia in Europa, Torino 2001, pp. 66-68. 23 Organizzazione della democrazia, in Scritti politici, cit., pp. 667-671. 24 Atto di fratellanza della «Giovine Europa», in G. SANTONASTASO, M. RALLI, Op. cit., pp. 97-99. 25 Quanto ai presupposti filosofici, può essere condivisibile la prospettiva che ne dà Cleto Carbonara nell’Op. cit., pp. 20-26; superando tutte le ipotesi fatte fino a Croce e Gentile, sulla filosofia di Mazzini, Carbonara ritiene che l’impostazione sia platonianavichiana, poiché anche Mazzini discopre una interiorità provvidenziale nell’uomo, che è immanente e trascendente nello stesso tempo, è l’avvicendarsi del logos e dell’eros che impone all’uomo di ascendere di virtù in virtù, di valore in valore, per cui l’interiorità, il pensiero, l’idea si trasforma in azione. 26 Istruzione generale per gli affratellati ecc., cit., pp. 164-165. 27 Cfr. L. SALVATORELLI, Prima e dopo il ’48, Torino 1948, pp. 137-141. 28 Lettera a G. Figlioli, 21 luglio 1831, ed. naz, V, pp. 33-34; Cfr. F. DELLA PERUTA, La creazione della «Giovine Italia», in G. SANTONASTASO, M. RALLI, Op. cit., pp. 108110; S. MASTELLONE, Mazzini e la Giovine Italia (1831-1834), I, Pisa, 1960, Appendice, pp. 286-293. 29 Organizzazione della democrazia, in Scritti politici, cit., pp. 667-671; La Santa alleanza dei popoli, Ivi, pp. 652-657; cfr. L. SIEDENTOP, Op. cit., pp. 69-70. 30 Tutta questa argomentazione è stata messa in luce nel Convegno internazionale L’Europa di Montesquieu, tenuto a Genova dal 26 al 29 maggio del 1993; per un’idea generale degli argomenti dibattuti si veda M. PASINI, L’Europa di Montesquieu. Cronaca di un Convegno, «Rivista di Storia della filosofia», 49, 1994, n. 1, pp. 11-119. 31 I collaboratori della Giovine Italia ai loro concittadini, 1832. 32 C. CARBONARA, Op.cit., pp. 61-62. 33 Liberté et sacrifice, tr. fr. di E. Abraams, Grenoble 1990, pp. 211-212. 34 Europa senza pace, in Scritti politici, Bari 1959, pp. 16-23.

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Il progetto europeo, Bologna 1985, pp. 151-191. L’Europa incerta tra rinascita e decadenza, «Repubblica», 31 maggio 2003, pp. 1 e

38-39. 37

Geofilosofia dell’Europa, Milano 1994, pp. 157-159. Ivi, p. 26. 39 Cfr. Sul manifesto del Comune parigino, ed. naz,, cit., VI. 40 Istruzioni generali per gli affratellati ecc., in Scritti politici, cit., pp. 164-165. 41 Programma dell’Associazione Nazionale Italiana, in Scritti politici, cit., pp. 56738

570. 42

P.-J. PROUDHON, Lettera a Giuseppe Giglioli, 21/7/1831 e Lettera a Benelli, 1/8/1831, ed. naz., V, rispettivamente pp. 33-34 e 59. 43 Saggio sulla storia della società civile, Firenze 1973, II, cap. 2. 44 Il diritto dei popoli, tr. it.,Torino 20012, pp. 165-171. 45 G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, III, Milano 1979, pp. 58-61. 46 Fede e avvenire, in G. SANTONASTASO, M. ROLLI, Op. cit., pp. 105-107. 47 La santa alleanza dei popoli, cit., pp. 660-663. 48 F. CHABOD, L’idea di nazione, Bari 1974, pp. 122-1239. 49 Das Prinzip Hoffnung, Frankfurt a.M. 1959, p. 1628. 50 L’iniziativa, in Scritti politici, cit., pp.1001-1004. 51 Per tutti questi aspetti si veda C. CARBONARA, Op. cit., pp. 70-73. 52 Cfr. L. SIEDENTOP, Op. cit., pp. 142-143.

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