Limes: Libano-egitto; Islamismo Rampante Per Stati In Crisi?

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IL MARE NOSTRO È DEGLI ALTRI

LIBANO-EGITTO: ISLAMISMO RAMPANTE PER STATI IN CRISI?

C’

È UN PERICOLO REGIONALE NELL’AFFAIRE

Õizbullåh in Egitto? Quale connessione con il movimento della Fratellanza musulmana? Quali conseguenze per le vicine elezioni in Libano? Tre punti di vista espressi sull’autorevole rivista egiziana al-Ahram Weekly.

La rete di Õizbullåh in Egitto è solo la punta di un iceberg di

Abdel Moneim SAID

È sbagliato pensare che la scoperta di una rete segreta di Õizbullåh in Egitto riguardi solo i rapporti tra Il Cairo e l’organizzazione islamista. In realtà ha più a che fare con la dimensione regionale. Primo: l’esistenza del gruppo di Õizbullåh non è connessa alla guerra di Gaza e alla necessità di aiutare i palestinesi in difficoltà. Le indagini hanno dimostrato che la prima cellula di questa rete è stata realizzata nel 2005 e il principale sospetto, Såmø Muõammad Manâûr, è stato arrestato il 19 novembre 2008, alcune settimane prima della guerra israeliana a Gaza. Secondo: si tratta di un’infrastruttura in grado di svolgere varie operazioni paramilitari. Gaza potrebbe essere stata un obiettivo, ma probabilmente non il più importante. Terzo: la rete si estende oltre la connessione tra Beirut – dove gli ordini venivano dati al Cairo, dove la testa dell’organizzazione si nascondeva – e il Sinai e il Canale di Suez dove operava. Piuttosto è parte di una più ampia rete internazionale a sua volta interconnessa con altri network dediti al traffico di armi, in particolare dall’Iran – attraverso il Golfo, l’Oceano Indiano e il Mar Rosso – ai porti sudanesi e da lì attraverso il territorio egiziano o altre regioni. Quarto: una rete di queste dimensioni è capace di realizzare attacchi contro qualsiasi gruppo di paesi arabi. Si possono facilmente immaginare i suoi legami con reti analoghe in altri paesi, come lo Yemen, il Bahrein, la Siria, la Giordania e oltre. Infine, una rete con queste capacità non può operare su tale scala senza il coordinamento con l’intelligence, le Forze armate e altre strutture di uno Stato. Lo Stato, in questo caso, è l’Iran.

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Il confronto non è tra l’Egitto e Õizbullåh o tra Il Cairo e Õasan Naârallåh, ma tra le forze radicali nella regione e le forze moderate. Le proteste e le condanne che abbiamo sentito negli ultimi giorni suggeriscono che questo conflitto è entrato in una nuova fase. Anche se la realizzazione di tali reti ha avuto inizio non solo prima della guerra a Gaza, ma anche prima della guerra in Libano dell’estate del 2006, la successione temporale non è stata casuale. Queste iniziative sono state preliminari all’avvio di un movimento rivoluzionario in molti paesi arabi. Non è la prima volta nella storia contemporanea del Medio Oriente che forze radicali prendono a pretesto la causa palestinese per alimentare il dissenso e cercare di assicurarsi e mantenere il controllo di questo o quell’altro paese arabo, o per aiutare i gruppi radicali in altri paesi e cercare di destabilizzare i governi che rifiutano di essere intimiditi. Tra gli innumerevoli esempi ricordiamo Saddam, che usò la causa palestinese per prendere il controllo dell’Iraq e, più tardi, per invadere il Kuwait. Il regime Ba‘ñ siriano allo stesso modo ha utilizzato i palestinesi come pretesto per invadere il Libano e intromettersi negli affari libanesi. Oggi Teheran e il suo alleato Õizbullåh vogliono trarre vantaggio dalla causa palestinese per garantirsi il controllo del Libano e da lì infiltrarsi in altri paesi arabi. Õasan Naârallåh non ha mostrato il minimo imbarazzo quando ha ammesso l’esistenza della sua rete segreta in Egitto. Per lui era perfettamente naturale, non si mostrava affatto preoccupato di cosa pensassero gli egiziani. Dopo tutto non conta l’egiziano in quanto individuo ma importa solo che obbedisca ai comandi dei saggi che sanno condurre la battaglia. Gli equilibri in Medio Oriente sono diventati una sorta di groviglio. Le divisioni sono tracciate non tra i paesi arabi e quelli non arabi, o tra alcuni paesi arabi e altri, ma all’interno dei singoli paesi. Il Sudan è un valido esempio. Questo grande paese dispone di enormi ricchezze e potenzialità. Tuttavia l’islamismo radicale ha iniettato il suo virus nel paese, precipitandolo in guerre di religione senza fine, rivolte locali e azioni terroristiche. Le conseguenze sono il Sud vicino alla secessione, la profonda frattura che separa il Dårfûr, dal centro e i tanti altri segnali di frammentazione di un paese al collasso. A capo di questa nazione fatiscente siede un uomo ricercato dal Tribunale penale internazionale. Eppure, a dispetto di queste tragiche circostanze, il presidente di un paese che sta per diventare uno dei cosiddetti «Stati falliti» si precipita a Doha, in occasione della guerra di Gaza, per abbracciare il presidente iraniano. Poi più tardi si scopre che il suo paese è luogo di transito di un’operazione di contrabbando di armi attraverso l’Egitto e un importante anello della rete segreta di Õizbullåh che conduce fino all’Iran. Inoltre, nonostante sia al collasso, il Sudan sta partecipando al tentativo di smembrare lo Yemen malgrado Âan‘å’ sia uno dei più strenui sostenitori della causa palestinese. Lo scopo di tutto ciò è rafforzare le relazioni tra i vari Stati falliti, in cui il caos, i movimenti rivoluzionari e l’estremismo religioso governino dietro la santa bandiera della causa palestinese. C’è molto da imparare dal caso della rete di Õizbullåh in Egitto. Fortunata-

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mente il governo egiziano ha avuto la capacità e la forza per far fronte a questo stratificato complotto. Oltre alla dimensione militare vi era quella politica, cioè la strategia di puntare sull’ingenuità di alcuni gruppi di opposizione egiziani, tale da farli cadere nella trappola di mettere a rischio la sicurezza dell’Egitto per l’amore della causa palestinese, che Õizbullåh usa così abilmente per i propri fini. Allo stesso tempo c’erano i media, che hanno approfittato di quella lunga schiera di scontenti sempre pronti ad applaudire e marciare dietro chiunque prometta di liberare la Palestina, anche se il percorso della liberazione deve passare per il Kuwait, Il Cairo o Beirut. Mi riferisco in particolare ad alcune tv satellitari arabe, pronte a sacrificare i fatti pur di fare audience. Nulla di ciò sarebbe accaduto se non ci fosse stato un vuoto strategico nella regione. È ora di considerare con attenzione il caos «distruttivo» che l’Iran e i suoi accoliti stanno cercando di diffondere, per le ripercussioni che può avere. L’Egitto può aver avuto successo questa volta, ma non deve abbassare la guardia. Non bastano lo scambio di informazioni e collaborazioni temporanee con altri paesi arabi: è necessaria una strategia complessiva.

Le due anime dei Fratelli musulmani di ‘Amr ÕAMZÅWØ

I parlamentari collegati ai Fratelli musulmani si sono ben comportati nel corso della discussione in parlamento sul caso della rete di Õizbullåh in Egitto. Si sono schierati chiaramente e inequivocabilmente a difesa della sicurezza nazionale egiziana e hanno condannato tutti i tentativi di violarla per qualsiasi motivo, sia pure in nome della resistenza o dell’aiuto alle fazioni palestinesi a Gaza. Ma le dichiarazioni della Guida suprema Muõammad Mahdø ‘Åkif non avrebbero potuto essere più dannose per i Fratelli musulmani. ‘Åkif ha bollato il caso della cellula di Õizbullåh come un’esagerazione dei media e ne ha minimizzato la rilevanza per la sicurezza nazionale, dicendo che «ci sono due linee di condotta nella regione, una opera per proteggere la resistenza e perseguire la vittoria sul nemico sionista, l’altra è interessata solo a tranquillizzare gli americani e i sionisti». Altri membri della leadership dei Fratelli musulmani egiziani hanno fatto eco alle dichiarazioni della Guida suprema, sottolineando che la cellula aveva l’obiettivo di sostenere la resistenza in Palestina, non di danneggiare l’Egitto. L’affermazione è difficile da credere anche per i più creduloni e va contro le convinzioni della maggioranza del popolo egiziano. La cosa che ci interessa qui, tuttavia, è che la disparità di opinioni tra il gruppo parlamentare e l’Ufficio della Guida suprema è indicativa di visioni divergenti all’interno della Fratellanza musulmana sul concetto stesso dello Stato e della sua sicurezza. Mentre il primo è coerente con la sua volontà di diventare un soggetto at-

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tivo e responsabile della vita politica egiziana, la posizione del secondo esprime la continuazione della logica del confronto e del conflitto permanente tra i Fratelli musulmani, come organizzazione ufficialmente illegale, e l’élite al potere. In parlamento, a difesa della sovranità egiziana e della sicurezza nazionale, il deputato della Fratellanza musulmana ‘Iâåm Muœtår ha dichiarato che «la sicurezza nazionale dell’Egitto è una linea rossa che a nessuno dovrebbe essere consentito di superare». Anche con maggior fervore il deputato Õasanayn al-Sˇûrà ha sottolineato che i parlamentari della Fratellanza musulmana «condannano qualsiasi attacco contro la sicurezza nazionale egiziana. “Egypt first!”, L’Egitto prima di tutto!». Tali dichiarazioni riflettono un modo di pensare che abbraccia pienamente il concetto di Stato-nazione e gli dà la precedenza sul concetto antitetico di un movimento di resistenza che trascende i confini, come giustificato dal punto di vista teologico nei proclami e nelle pubblicazioni della Fratellanza musulmana. Quest’ultima è la logica che è stata utilizzata, in alcune occasioni, per giustificare la rivolta contro l’autorità e le manifestazioni a sostegno del jihåd, in Libano nel 2006 e in Palestina nel 2008. La posizione dei parlamentari della Fratellanza musulmana rappresenta un comportamento politico responsabile, di chi è consapevole di dove si ferma l’opposizione politica e inizia la necessità di stare uniti sulle grandi questioni nazionali. Ma le dichiarazioni alla stampa della Guida suprema e di alcuni membri del suo Ufficio di presidenza a difesa di Õizbullåh e del suo uso del territorio egiziano per sostenere i palestinesi nella Striscia di Gaza riflettono la sopravvivenza di una pericolosa tendenza nella leadership dei Fratelli musulmani. In contrasto con la linea dell’Egypt first del suo gruppo parlamentare, la leadership della Fratellanza ha agito in conformità con quello che potremmo definire il principio della «resistenza prima di tutto», nell’ambito del quale le preoccupazioni sulla sovranità nazionale e la sicurezza sono a un lontano secondo posto. Sono convinto che la divergenza di posizioni tra i deputati della Fratellanza musulmana e l’Ufficio della Guida suprema non è parte di una cinica divisione dei ruoli, con un gruppo che si affretta a placare l’opinione pubblica scioccata dalle rivelazioni sulle attività di Õizbullåh in Egitto, e l’altro che continua a mostrare la sua antica solidarietà con il movimento di resistenza più influente del mondo arabo. Piuttosto l’opinione dei parlamentari è collegata soprattutto alla consapevolezza dei doveri e degli obblighi che derivano dal prendere parte alla vita politica ufficiale di una nazione. La Fratellanza ha intuito immediatamente che il suo futuro nell’Assemblea del popolo era subordinato al fare propria una posizione inequivocabilmente patriottica contro la violazione della sovranità egiziana da parte di Õizbullåh. Sapevano che l’adozione della retorica militante islamica della resistenza li avrebbe squalificati anche agli occhi del popolo. Inoltre, l’ammissione di responsabilità di Õasan Naârallåh ha privato i parlamentari di qualsiasi possibilità di rifugiarsi in una zona grigia. Essi non possono più, per esempio, mettere in dubbio la veridicità delle informazioni rivelate dalle agenzie per la sicurezza o l’effettivo coinvolgimento di Õizbullåh.

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La coesistenza tra la visione nazional-statale e quella «al di sopra dello Stato» non può durare a lungo tra le file dei Fratelli musulmani. Se l’organizzazione spera di entrare pienamente nella vita politica egiziana, dovrà porre l’Egitto al primo posto e scegliere l’atteggiamento del suo blocco parlamentare. Se invece conta di continuare a essere un movimento teocratico la cui visione trascende le necessità dello Stato-nazione, allora ci sono poche speranze che possa emanciparsi dal suo stato di organizzazione illegale.

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