Cinquanta sfumature di MIPS La prima volta che la vidi Era una calda notte di fine luglio quando la vidi per la prima volta. Una calda notte romana, afosa, quando ancora l’asfalto restituisce il calore accumulato di giorno; luglio 1962. Mi era stato detto, con una certa perfidia, che se proprio avevo smania di vederla dovevo andare alle due di notte dalle parti di Piazza Cavour e aspettare che si illuminassero le vetrine di un certo grande edificio. Avrei potuto sbirciarla attraverso una grande vetrata, in piena attività, forse in compagnia di alcuni uomini. Mi sforzai di vincere il sonno fino a quell’ora, ci andai quindi in forte anticipo e mi misi seduto sul marciapiede come un poveraccio nell’attesa che si accendessero le luci. Per passare il tempo feci un giro dell’isolato e quando ripassai davanti alle vetrine le luci si erano finalmente accese. Fu allora che la vidi. Per la prima volta. Fu un colpo di fulmine, mi girò quasi la testa, mi sentii rapito. Non avevo mai visto niente di simile, forse solo su certi fumetti fantascientifici disegnati da artisti molto fantasiosi e anche un po’ morbosi. Era proprio con quella che anche io, dopo appena alcune settimane, avrei passato da solo lunghe notti, appassionate sì, ma con il cervello fumante. Avrei imparato a comprenderne tutti i segnali misteriosi, il significato di quelle sue lucine rosa che pulsavano come esseri viventi di una lontana galassia. Sarei stato anch’io in grado di sfiorare quei suoi innumerevoli bottoni, con perizia, come facevano quei tre uomini che la manovravano, sicuramente marziani, disinvoltamente seduti davanti a lei. Probabilmente ero rimasto a bocca aperta, ammaliato e immobile, quando uno dei tre si voltò verso di me, mi riconobbe e mi fece cenno di entrare da una porta laterale. Mi colpì, venendo dall’aria quasi torrida della notte estiva, l’atmosfera fresca, fin troppo fresca, dell’ambiente. Sapevo che lei doveva essere tenuta con cura a una temperatura costante di diciotto gradi. Poi il fruscio di innumerevoli motori nascosti nel suo corpo perfettamente allineato nel grande salone dal soffitto fortemente illuminato e quasi accecante, come mi sembrò venendo dalla strada buia, mi fecero sentire in un’astronave. Mi avvicinai timoroso e incantato. Potei così vederla da vicino: affascinante! L’amavo già, la console di comando dell’Elea 9003.