Kundalini Yoga E Psicologia Sociale

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LIBERA UNIVERSITÀ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM CORSO DI LAUREA IN RELAZIONI PUBBLICHE MILANO

RELAZIONE TRA KUNDALINI-YOGA E PSICOLOGIA SOCIALE IL MODELLO “SISTEMA DEI CHAKRA”

RELATORE: Chiari.mo Prof. Massimo Bellotto Tesi di laurea di Federico Moro Matr.n.:116845

Anno Accademico 2003/2004

0

INDICE

Introduzione

p.1

Capitolo I: Kundalini Yoga e sistema dei Chakra 1 Tantra Yoga e Kundalini-Yoga,

p. 3

1.1 Lo yoga tantrico e il sistema dei chakra;

p. 4

1.2 Concetti fondamentali del kundalini-Yoga

p. 6

2 Il sistema dei Chakra come teoria di sviluppo psicosociale

p. 9

2.1 Uno sguardo generale

p. 10

2.2 I sette chakra

p. 15

2.3 Armature caratteriali

p. 35

Capitolo II: Psicologia sociale e teorie di sviluppo stadiale 1 Le origini della psicologia sociale e i principali orientamenti

p.38

1.1 Le visioni interpretative

p.39

1.2 La teoria del campo di Lewin

p.42

2 Terie di sviluppo stadiali e contesto sociale.

p.46

2.1 La dottrina psicanalitica delle fasi di Freud

p.46

2.2 La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget

p.46

2.3 La teoria di sviluppo psicosociale di Erikson

p.64

1

Capitolo III: Il contesto culturale della postmodernità

1 Il pensiero della crisi e i paradigmi del postmoderno

p.74

1.1 Storia e crisi della modernità

p.75

1.2 I paradigmi fondanti del postmoderno

p.77

2 Antropologia del modello sistemico

p.81

2.1 Linguaggio e gestione della complessità

p.82

2.2 La struttura del pensiero scientifico

p.85

2.3 L’errore di Cartesio

p.91

Capitolo IV: Kundalini-yoga e Psicologia sociale

1 La realtà come legame tra Kundalini Yoga e Psicologia sociale

p.96

2 La compenetrazione delle discipline

p.98

Capitolo V: Conclusioni

Una riflessione sul concetto di equilibrio

p.104

Ringraziamenti

p.108

2

Capitolo I: Il sistema dei Chakra

Le cose immutabili sono così profondamente noiose... SAIYUKI

1 Tantra Yoga e Kundalini Yoga Districarsi tra le differenti discipline della tradizione mistica indiana, che si possono racchiudere sotto il nome di yoga, non è affatto un’impresa semplice. Il complesso di testi in cui questa fonda le radici, i Veda, sono una summa di scritti articolati, raccolti in un lungo lasso di tempo e scritti a più mani, in più luoghi. A questi si aggiungono un altro notevole volume di scritti di speculazione filosofica. Come se non bastasse, la cultura indiana si fonda su un politeismo multiforme e ricco di molte ritualità differenti, che complicano ulteriormente una ricerca lineare. È quindi difficile per chi si avvicina alle discipline yogiche comprenderne la struttura e acquisirne una conoscenza ordinata e gerarchica. Scansando il desiderio di “mettere in ordine” possiamo dire, che si intendono sotto il nome di yoga tutte quelle tecniche con un unico scopo comune: la totalità dell’uomo. La parola yoga infatti significa unire; unire l’essere umano con tutto ciò che lo circonda e lo comprende. Ci si può facilmente immaginare quante scuole e quante tecniche la cultura indiana possa aver ideato. Tecniche più o meno complesse, che si concentrano su differenti tipologie di pratiche. In un luogo dove la spiritualità permea l’aria che si respira, sono stati ispirati molti maestri che, nel corso dei secoli, hanno prodotto appunto una infinità di varianti. 3

1.1 Lo yoga tantrico e il sistema dei chakra Il carattere comune delle differenti correnti ha permesso una tolleranza, che unita a un solido politeismo ha consentito una continua influenza reciproca e uno scambio proficuo. Per questa ragione è complesso fare una schematizzazione precisa delle varie discipline yoga: possiamo però, dopo un’attenta analisi, affermare che una delle correnti più significative è quella dello Yoga Tantrico Lo yoga tantrico [...] utilizza come via mistica lo spettro integrale dei pensieri, delle emozioni e delle sensazioni dello yogin, situato dentro il pullulare della realtà. [...]Tutto per il tantrica è saturo di essenza divina[...]1. Storicamente il Tantra Yoga affonda le proprie radici nella tradizione scivaita; il culto di Shiva, di origini remote, si è sviluppato con la civiltà dravidica 9000 anni prima di Cristo, che si stabilì nella valle dell’Indo. Raggiunto il suo apice tra il 6000 e il 2000 a.c., la società dravidica fu spinta a sud dall’invasione ariana, dove è rimasta fino ai giorni nostri. Si narra che Shiva, presagendo l’era dell’oscurità, inviò ai suoi discepoli un messaggio tramite un saggio di nome Durvasa che abitava sul monte Kilasha. Il saggio fu investito del compito di trasmettere i Tantra (che si avvicinano più a indicazioni che a precetti), così diede la sua conoscienza alla figlia. Il fatto che la scelta della trasmissione dei Tantra fosse caduta su una bambina non è casuale. Per il tantrismo infatti alla donna spetta una posizione privilegiata rispetto all’uomo; le più antiche scuole, o famiglie, avevano una tradizione di tipo matriarcale, dove le donne nei secoli si susseguivano nel ruolo di yogin. Questo grazie anche al fatto che nel tantrismo gli insegnameti si rivolgono a tutti, senza nessuna restrizione di sesso, di casta o di razza.

1

D. Odier (1997), Tanta Yoga, guida alla pratica del tantra e della conoscenza suprema, p. 31 4

Una donna intoccabile può, nel tantrismo, diventare maestro d’un bramino2. Con questo spirito il tantrismo è stato tramandato, prima oralmente e poi attraverso testi. Questi dal dravidico sono stati tradotti nell’allora nascente sanscrito e inglobati in buona parte nel corpus dei Veda e da lì sono giunti sino a noi. Ciò che ha consentito allo yoga tantrico di attraversare un lasso di tempo così lungo senza subire un radicale cambiamento, è proprio il suo carattere di grande apertura e di universalità che ne facilita le contaminazioni senza perdere la matrice originaria. Per dare un quadro di riferimento possiamo affermare che sotto la denominazione di "Yoga Tantrico" vengono raccolte svariate forme di tale disciplina come, ad esempio, lo "Hatha Yoga", il "Kundalini Yoga", il "Laya Yoga", o il "Mantra Yoga". In tutte queste varietà di yoga, nella pratica, l'attenzione viene posta in una serie di tecniche che operano prevalentemente sul piano fisico: le purificazioni, le indicazioni igieniche ed alimentari, le attività fisiche, il lavoro e il sesso. Si tratta di diverse forme di yoga, ognuna delle quali privilegia l'utilizzo di certe tecniche piuttosto che di altre; ad esempio: il Mantra Yoga utilizza la pronuncia di sillabe sacre evocatrici di misteriose potenze; lo Hatha Yoga propone svariate tecniche, di purificazione di canali sottili di conduzione della forza vitale nel corpo; il Laya Yoga si propone la dissoluzione dello spirito individuale nello Spirito Divino ed il Kundalini Yoga ha come obiettivo quello di risvegliare e incanalare l'energia Kundalini; questa, passando attraverso i centri di energia e i corrispondenti piani di coscienza, si eleva fino a riunirsi con Shiva, il Principio stesso. È da notare che ogni tipo di Yoga, pur avendo proprie caratteristiche e particolarità, utilizza anche tecniche appartenenti agli altri sistemi.

2

Ibidem, p.35 5

Tutto questo non ha come scopo finale la perfezione del corpo a livello superficiale, quanto invece lo sviluppo delle potenzialità psicofisiche dell'uomo. Lo scopo è quell’unità a cui il termine yoga fa riferimento.

Un’ analisi completa di tutte le dottrine non è ovviamente qui possibile, nè faciliterebbe le cose. Per poter fare un discorso dettagliato e poter lavorare a un maggiore livello di profondità è necessario prima di tutto compiere una scelta, e capire quale delle differenti discipline sia più opportuno trattare. La scelta fatta è quella del Kundalini Yoga, principalmente per due valide ragioni. Prima di tutto il Kundalini Yoga, conosciuto in maniera più diffusa come sistema dei chakra, si fonda su un sapere che si sta diffondendo nell’occidente in misura maggiore rispetto agli altri; in secondo luogo (e questa rimane la ragione più rilevante), data la sua struttura e le forme simboliche attraverso cui si rappresenta, è proprio su questo sistema che si sono svolti il maggior numero di studi, di analisi e di confronti tra le scienze occidentali e i saperi orientali. Soprattutto in campo psicologico esistono oggi molti sistemi di terapia che integrano i saperi delle differenti culture, rendendo possibile l’applicazione di nuove tecniche e creando nuove soluzioni operative. Per affrontare lo studio dello yoga, infatti, oltre a una pratica matura, occore avere una buona capacità riflessiva e di analisi. 1.2 Concetti fondamentali del kundalini-Yoga Le basi metafisiche di questa disciplina che ne permettono la comprensione sono assai complesse. Uno dei resoconti più efficaci è sicuramente quello fatto da Arthur Avalon, nel suo libro: Il Potere del Serpente. Avalon sulla base di una attenta traduzione di alcuni scritti vedici, studia concetti basilari come quello di Coscienza e Non-Coscienza e della loro associazione nello Spirito Incarnato (Jivatma) e cerca di portare per gradi il lettore nell’articolato mondo della spiritualità induista.

6

In estrema sintesi, possiamo dire che ciò che A. Avalon deduce dalle scritture è una storia, un mito in cui si racchiude la struttura del mondo. Peculiarità di questo è lo specchio diretto tra la forma del mondo e le differenti dimensioni psichiche e fisiche dell’essere umano che cercano qui di essere rappresentate. Avalon tratta le antiche dottrine: prima della manifestazione dell'Universo vi era solo l'Essere-Coscienza-Beatitudine, cioè Shiva-Shakti, che costituisce l'esperienza totale (Purna). Ma in questo Uno di una unica Coscienza è implicito un doppio aspetto: l'aspetto trascendente, immutabile (Parasamit) e l'aspetto energetico, mutevole e creatore detto Shiva-Shakti. Nulla può esistere senza un ambiente in cui collocarsi, senza un subsatrato da cui scaturire. Affinchè una cosa esista, è necessario che abbia una possibilità e una ragione di essere. Abbiamo visto che il substrato universale si chiama Immensità, Brahma; che la possibilità meccanica della manifestazione consiste di due tendenze opposte, la coesione (Vishnu) e la dispersione (Shiva) e che la risultante, il principio da cui nasce lo spaziotempo, si chiama Essere immenso (Brahma). La tensione tra le due tendenze opposte, che fa nascere la possibilità di movimento nel substrato, è rappresentata come la forma primaria dell’energia (Shakti)3. Nella "creazione" Shakti svolge una azione negativa in quanto, nella serie di campi finiti, dello spazio e del tempo, autolimita il suo processo di differenziazione. Nasce da qui il processo di dualismo che porta alla creazione. Shiva non si modifica nel suo aspetto trascendente ma in quello immanente di Shakti, da qui, senza perdere la sua assoluta Unità, la creazione si dispiega e il Principio viene velato (Maya) dalle forme e della realtà concretizzata nel tempo e nello spazio. In questa trasformazione Shiva non perde la proria volontà creativa, al sorgere della quale Shakti palpita come nada, la vibrazione sonora.

3

A. Danielou (2002), Miti e dei dell’India, p. 291 7

È l’inizio della differenziazione: lo Spirito Eterno si limita nel tempo, l'onniscienza cede il posto alla conoscenza ristretta a cose limitate, la beatitudine e consapevolezza della propria perfezione lasciano il posto alla insoddisfazione e lo Spirito, persa la consapevolezza del Creatore di tutto, agisce con potere circoscritto. In questo modo si sviluppa il principio di manifestazione delle cose, attraverso Shakti (la Potenza di Shiva), il mondo si realizza su un piano concreto, in un processo estramente complicato e sofisticato, che parte dagli elementi più sottili e intangibili dell’esistenza. Per questo, per l'uomo tantrico non vi è nulla nell'Universo che non vi sia anche nel corpo umano: l'uomo, nella sua essenza, è Onnipotenza --ossia Shiva-- Pura Coscienza. Il Tantra ha come scopo il superamento della coscienza individuale frammentata, per riattingere la sacra pienezza della Coscienza Unica. Così, la "sperimentazione del sacro", tema assai diffuso nell'antichità, diviene per il tantrica una via concreta, quasi "fisiologica"; tutto questo, si compone nella ritualità indiana: da un complesso materiale simbolico tradizionale, particolari pratiche, da precise tecniche e da una serie di meditazioni che portano alla salvezza, pur mantenendo una disciplina molto concreta, legata alla materialità della vita, come lo sono le discipline yoga. Ciò che costituisce assolutamente una novità per la cultura occidentale, è che questa perfetta reintegrazione col principio universale, e quindi la Liberazione completa dell'uomo, può avvenire anche nel corso della sua vita e non dopo la morte. Shakti, la cui radice shak significa "avere potenza", "essere capace", è, dunque, la Potenza di Shiva che, sotto forma di Forza Vitale risiede nel corpo umano e si colloca nel Muladhara Chakra. Questa potenza rivela la sua presenza sotto forma di Kundalini (Dea Serpente) che giace addormentata, simbolo di una energia allo stato potenziale, in attesa di manifestarsi. È lei che origina le forme e le differenziazioni e conserva la vita.

8

Opportunamente stimolata Kundalini si desta dal suo sonno e intraprende il suo percorso verso l'alto, arrotolandosi sulla colonna vertebrale. Durante il percorso Kundalini attraversa sette punti di connessione tra mente, corpo e spirito: i chakra. La parola chakra in sanscrito significa ruota, cerchio; i chakra si presentano come sette dischi posizionati nel corpo in modo da guidare e gestire il flusso delle energie fisiche ed emotive. Il viaggio di Kundalini va da modalità caratterizzate da aspetti grossolani ad altre sempre più sottili, si muove nel senso inverso a quello della manifestazione. La regola è che ogni cosa viene assorbita da ciò che l'ha generata, fino alla completa reintegrazione col mondo e nel mondo. Vedremo in seguito come il pensiero occidentale ha elaborato questo concetto. L’intera storia umana è la dimostrazione dell’assioma generale secondo cui l’umanità cerca nel suo sviluppo (sia come individuo che come razza) di migliorare le proprie condizioni di vita. È quindi questo il punto da cui parte il nostro percorso di ricerca. Nell’ analizzare la relazione tra Kundalini Yoga e Psicologia sociale, occorre a questo punto compiere una scelta metodologica. La scelta fatta è quella di mettere a confronto i due modelli, senza intraprendere un lavoro di integrazione. Questo non deriva da una necessità di semplificazione, ma dall’ipotesi che i modelli del Yoga Kundalini e della Psicologia sociale, abbiano molti punti in comune, tanto evidenti da consentire una comprensione intuitiva ed efficace della loro relazione.

2 Il sistema dei Chakra come teoria di sviluppo psicosociale Il sistema dei chakra nasce quindi nell’India vedica, oltre quattromila anni fa. La parola chakra, dopo il suo arrivo in occidente, si è diffusa a partire dalla prima metà del Novecento, ed oggi è abbastanza nota per chiunque si interessi alla 9

medicina alternativa, o alle discipline di guarigione che vengo raggruppate sotto la definizione: “olistiche”. La sua fama è data principalmente dalla semplicità della sua struttura e dalla varietà delle sue possibili applicazioni. Data la dimensione commerciale che ha assunto il fenomeno negli ultimi anni (cosa che tra l’altro è oggi in calo), tra gli scaffali delle librerie si possono trovare decine di saggi, manuali di esercizi, fino ai più svariati kit di pronto soccorso per lo stress e affini. Ciò non di meno esiste una vasta letteratura sul tema, dalle tradizioni profonde e da autori di fama internazionale. Una delle opere di maggior rilievo sulla relazione tra il sistema dei chakra e la psicologia è sicuramente quella della terapista americana Anodea Judith. Nonostante le possibilità di mercato abbiano spinto la Judit a intraprendere una strada di commercializzazione del suo lavoro, che ne ha danneggiato l’mmagine, il suo testo: Il libro dei Chakra, rimane oggi uno dei saggi più completi in materia. 2.1 Uno sguardo generale Nella sua visione il sistema dei chakra si offre come un percorso, un Viaggio attraverso le molte dimensioni del […] sé, tessendo passato presente e futuro in un intricato tessuto di comprensione. […] questo viaggio è ricco di colori, come è ricca di colori la vita.[…] scopo di questo viaggio sarà quello di recuperare la varietà multidimensionale dell’esperienza umana, esattamente una ricerca della nostra interezza e del rinnovamento del nostro spirito collettivo. I sette colori dell’arcobaleno, costituiscono così un’alternativa alla nostra consapevolezza binaria in bianco e nero e ci offrono un mondo di possibilità molteplici.[…] I sette colori dell’arcobaleno rappresentano sette modalità vibratorie dell’esistenza umana, correlate ai sette chakra della tradizione yogica indiana4.

10

La ricerca dell’interezza è la ricerca di quel “legame” a cui la parola yoga si riferisce: quello tra la sfera personale (fisica e intellettuale) e quella spirituale dell’individuo. Questo legame si realizza attraverso stadi di coscienza sempre più profondi, e questi stadi, sono appunto rappresentati dai chakra. Il loro funzionamento si fonda su una strettissima correlazione tra gli stadi psicologici e gli aspetti fisiologici di sviluppo dell’individuo, ma soprattutto, sull’inevitabile relazione che l’indivuo instaura con l’ambiente sociale e culturale in cui cresce e si sviluppa. I sette chakra sono un elemento di connessione che, come la ruota di un mulino, serve a sfruttare le energie che scorrono attraverso il corpo per sostenere e stimolare le varie fasi di sviluppo e i vari aspetti della personalità. In base alla loro collocazione nel corpo, i chakra sono stati associati a vari stadi di coscienza, ad elementi archetipici e a costrutti filosofici. Ad esempio, i chakra più bassi, che sono fisicamente più vicini alla terra, sono in rapporto con gli aspetti più pratici della nostra vita: sopravvivenza, movimento, azione. Sono regolati da leggi fisiche e sociali. I chakra superiori rappresentano aree mentali e funzionano su livello simbolico, attraverso le parole, le immagini e i concetti5. I sette chakra sono associati ad altrettante aree della salute psichica umana: sopravvivenza, sessualità, forza, amore, comunicazione, intuizione e cognizione; così come a sette elementi: terra, acqua, fuoco, aria, suono, luce, pensiero. Tutti insieme i chakra rappresentano una specie di linea, o meglio ancora di canale, che unisce il cielo alla terra. Attorno a questa vi è l’individuo, inserito nel suo ambiente storico, culturale e sociale. Allineati quindi alla colonna vertebrale di ogni persona vi sono sette dischi, che fanno fluire le energie in movimento dal cielo alla terra e viceversa, seguendo due distinte correnti. La corrente della liberazione e la corrente della manifestazione; la 4 5

A.Judith (1999), Il libro dei chakra, p.13 ibidem, p.18 11

prima, che porta le energie dalla terra verso il cielo, si muove verso la libertà, l’espansione, l’astrazione e l’universalità. La seconda scorre dal cielo alla terra, ed è diretta verso la forma, la materialità, i confini e l’individualismo. Concetto centrale è l’equilibrio che deve essere sempre mantenuto tra queste. La liberazione è il sentiero per la trascendenza. La manifestazione è il sentiero per l’immanenza. Entrambe conducono al medesimo luogo: il divino6.

Secondo questa teoria al momento della nascita il bambino è in uno stato di “illuminazione potenziale”, cioè ha una totale percezione dell’universalità del mondo, ma non ne è consapevole e non è in grado di disgiungere da questa la propria individualità. Il suo viaggio attraverso il ponte dell’arcobaleno, consisterà proprio nella scoperta di ogni aspetto della sua personalità, per poter alfine raggiungere, in modo assolutamente consapevole, quella totale percezione di universalità che aveva al momento della nascita. Le fasi di sviluppo del bambino, sono quindi collegate ai vari chakra in maniera sequenziale, dalla nascita all’età adulta (dopo la fine della adolescenza), poi vi è un sorta di “secondo giro”; l’individuo adulto percorre cioè nuovamente i vari stadi con la possibilità di risolvere i traumi avuti durante lo sviluppo, e di portare in equilibrio i chakra bloccati che impediscono uno fluido scorrere delle energie. Aggiungendo qualche elemento alla metafora del mulino, si può infatti osservare come ogni ruota, non sia passiva allo scorrere delle correnti, ma abbia un ruolo determinante su loro fluire. La psiche infatti costituisce la forza che muove le correnti da un chakra all’altro, rappresentando la resistenza o la spinta che queste ricevono. Dato che si tratta di un sistema simbolico, molte sono le metafore che si possono immaginare, sia per l’intero sistema che per i singoli elementi. Quella proposta,

6

ibidem, p.26 12

delle ruote del mulino, verrà infatti integrata da altre per renderne sempre più intuitivo il funzionamento del sistema. La metafora utilizzata dalla Judith nella presentazione del modello è quella del computer: dove l’elettricità è l’energia che scorre attraverso il corpo, e i chakra sono i dischetti o le unità di memoiria che contengono informazioni programmate (nel settimo chakra vi è il sistema operativo). Il paragone è qui fatto con le informazioni contenute nei filamenti di dna, ripartite per tutto il corpo e ognuna collocata poi in una specifica zona dove assolve alla sua funzione. Abbiamo quindi molti programmi: da quelli per la sopravvivenza, a quelli per la sessualità, le azioni, l’amore e così via. Alcuni sono comuni a tutti gli esseri umani indistintamente, altri sono modellati in varia misura dalle differenti culture in cui gli individui si trovano. Partendo dal presupposto che tutti abbiamo bisogno di insiemi di programmi per funzionare, l’impresa A. Judith consiste nell’ identificarli in modo cosciente e correggere i bug, gli errori che vi si trovano: I chakra contengono subrutine programmate che modellano il nostro comportamento. Mangiare eccessivamente, è una subrutine del chakra della sopravvivenza. Perdere la calma potrebbe essere una subrutine inconscia del chakra del potere […]7 In

ogni stadio il bambino concentra la sua attenzione su un singolo chakra,

apprendendo, interpretando e manipolando il programma a cui questo è riferito. Lo sviluppo prevede che, se nei differenti stadi le condizioni ottimali non vengono rispettate, si creano dei blocchi (o crisi), che possono manifestarsi tramite due polarità opposte: eccessi e carenze. Un blocco si sviluppa quando due forze uguali e contrarie si incontrano su uno stesso e particolare piano. Non possiamo semplicemente eliminare l’una o l’altra. Devono essere integrate8.

13

Un esempio molto semplificato potrebbe essere quello di un bambino che non riceve le dovute attenzioni; una parte di sé può affermare di non averne bisogno, mentre un’altra affermerà questo come una necessità o, nelle parole dell’autrice, un diritto. La risoluzione di questo conflitto porterà a un eccesso: “tutti hanno bisogno d’amore tranne me quindi rivolgo il mio amore solo agli altri”; o a una carenza: “il bisogno d’amore è solo un’illusione, quindi non esiste”. L’oscillazione tra eccesso e carenza, nel tentativo di raggiungere l’equilibrio tra le due correnti, è il fulcro centrale del pensiero di A. Judith; questa oscillazione avviene tra due elementi, che l’autrice ha metaforicamente chiamato diritti e demoni. L’essere umano, infatti, durante il suo sviluppo deve affermare sette diritti, che vengono messi in discussione da altrettanti demoni. Tornando all’esempio del bambino che non riceve affetto: il diritto che si trova ad affermare è quello di amare/essere amati (quarto chakra), il demone di questo diritto è il dolore. Attraverso il dolore per non aver ricevuto l’affetto di cui aveva bisogno il bambino compie la sua elaborazione personale che lo porta ai due estremi sopra descritti. Riassumendo, il diritto è ciò che il bambino ha la necessità di affermare con se stesso e col contesto sociale in cui si trova. Il demone è ciò che mette in discussione e limita questo suo diritto. Ogni qual volta il bambino non riesce ad affermare (a prendere consapevolezza) di un diritto, il chakra in cui si trova subisce un blocco, o ostruzione.



Nome del chakra

Diritto

Demone

7

Sahasrara (dai mille petali)

Conoscere

Attaccamento

6

Ajna

Vedere

Illusione

5

Vissuddha (purificazione)

Comunicare

Bugia

4

Anahata (non colpito)

Amare

Dolore

7 8

ibidem, p.24 ibidem, p.24 14

3

Manipura (gemma di luce)

Agire

Vergogna

2

Svadisthana (dolcezza)

Provare emozioni

Colpa

1

Muladhara (radice)

Esistere

Paura

Poiché l’effetto di un chakra in eccesso o in carenza si radica sia nella psiche che nel fisico è a questo punto possibile distinguere sei armature caratteriali, cioè sei tipologie di posture e strutture fisiche che vengono progressivamente assunte e che danno, col passare degli anni, forma al corpo dell’individuo. Per esempio, una persona eccessivamente timida o paurosa assumerà da ragazzo una postura scorretta, con la testa bassa. Col passare degli anni la postura diviene un fatto automatico involontario che lentamente modella la colonna vertebrale e la schiena. A. Judit identifica i caratteri, in relazione ai chakra che più influiscono sugli atteggiamenti fisici. Il sistema dei chakra rispetta un ordine gerarchico ben preciso dal basso verso l’alto, i blocchi ai Chakra inferiori sono infatti più gravi e dannosi di quelli ai chakra superiori. Un’ultima cosa da aggiungere, prima di entare nello specifico di ciascun chakra, è che il sistema non è semplicemente lineare, i dischi infatti sono collegati a due a due in maniera speculare, facendo centro sul quarto (1 e 7, 2 e 6, 3 e 5); Anahata, (il chakra del cuore) è infatti il punto centrale in cui scorrono tutte le energie, a simboleggiare l’importanza dell’amore nello sviluppo e nella vita di ogni individuo, come elemento fondamentale di equilibrio e salute interiore. 2.2 I sette chakra: Il primo chakra: Muladhara (0 – 12 mesi) Il significato in sanscrtito della parola Muladara è radice: infatti questo chakra rappresenta le fondamenta della nostra personalità fisica, psichica e spirituale. Il suo elemento è la terra, che simboleggia solidità e concretezza. Là dove ogni cosa si manifesta. Il colore è il rosso vivido del sangue pieno d’ossigeno. Il suo scopo la fondazione. 15

Immaginando il corpo come il tempio dell’anima, l’obiettivo di questo stadio è appunto quello di costruire le fondamenta di tale tempio, fondamenta che più solide saranno più sosterranno la struttura nei momenti di forte vento e grandi difficoltà. L’orientamento psicologico è verso la sopravvivenza. Dato che in questa fase l’infante è assolutamente dipendente dall’esterno, la cura e le attenzioni che riceve sono fondamentali per un sano rapporto col mondo; in questa fase egli deve affermare a se stesso il proprio diritto di esistere. Il demone che mette in discussione questo diritto è la paura: ogni volta che l’infante manifesta una necessità e questa non viene immediatamente soddisfatta comincia a sentirsi in una situazione di pericolo. Questa sensazione, se di breve durata, cioè se dopo poco il suo richiamo viene accolto, serve a solidificare il suo senso di fiducia nel mondo (quando ho bisogno c’è qualcuno che si occupa di me); al contrario la reazione istintiva sarà quella di dubitare del proprio diritto d’esistere (se non è giusto che ci si occupi di me perché esisto?). Oltretutto il bisogno di nutrimento costringe l’infante a rimanere costantemente aperto verso l’esterno, esponendosi in tal modo a molti fattori che possono minare la sua salute, ma che in compenso possono dargli stimoli per cominciare a orientarsi nel mondo in cui si trova. I primi mesi di vita sono anche fondamentali per lo sviluppo motorio sia articolare che muscolare. Una eccessiva limitazione dei movimenti, lettini troppo piccoli o vestiti troppo stretti possono contribuire a frenare la percezione della possibilità di movimento, riducendo il diritto ad esistere a una forma più mentale che fisica (cosa che si può anche osservare nei bambini in età scolare che non praticano attività sportive). Tutto ciò può portare a una carenza o a un eccesso di energia nel chakra. Un primo chakra carente è contratto, vuoto, debole, afflosciato o privo di forma. Tutto questo in genere si riconosce semplicemente osservando il corpo. La contrazione spinge verso l’interno, come se la persona stesse cercando di rendersi più piccola possibile. Egli

16

potrebbe sedere a gambe incrociate e inclinato in vanti, con le braccia incrociate e tenute strette al corpo, compiendo piccoli movimenti contratti9.

Un primo chakra carente porta prevalentemente a un disinteresse per la fisicità e la materialità. Dato che il contatto con la terra e quindi con la manifestazione risultano compromessi o ridotti; il soggetto tenderà a convogliare la maggior parte delle sue energie verso l’alto concentrando la sua attenzione sulla sfera intellettuale e progressivamente disinteressandosi al corpo e alla sessualità. Al contrario un primo chakra in eccesso si sente pesante. Possiede solidità, ma con un senso massivo di pesantezza. È possibile che il corpo sia ampio e denso, con eccessi di peso distribuiti specialmente alla cosce e alle natiche […]. Se non vi è un problema di peso, si troverà che i muscoli sono rigidi e induriti10. L’eccesso nel primo chakra porta a una necessità di solidità. Le fondamenta del tempio in questo caso non sono sottili e fragili, ma per reggere a quello che si immagina sarà un carico insopportabile, sono grosse e statiche, contribuendo a costruire una personalità poco propensa al cambiamento, indolente e annoiata, con confini tanto rigidi da rallentare la crescita. Il primo chakra in eccesso richiama a sè molte delle energie che dovrebbero essere indirizzate in altri luoghi del corpo. Il secondo chakra: Swadhisthana (6 – 24 mesi) Il significato in sanscrito della parola Swadhisthana è dolcezza: cominciamo dalle fondamenta a costruire il primo livello del nostro tempio. Passiamo qui dalla terra all’acqua, in un universo fluido di trasformazioni e nuove connessioni. Le caratteristiche principali di questo stadio sono appunto la percezione delle sensazioni, il movimento la sessualità e la ricerca del piacere.

9

ibidem, p.115 ibidem, p.117

10

17

Il primo chakra era orientato alla sopravvivenza e il bambino, non avendo ancora la possibilità di distinguere chiaramente la propria identità da quella della madre, non poteva far altro che manifestarsi e “sperare”; ora, grazie allo sviluppo della vista e dell’equilibrio e del tatto il bambino ha gli strumenti necessari per cominciare l’ esplorazione del mondo in cui si trova. Non avendo ancora sviluppato un registro linguistico che gli consente di comunicare a un livello dialogico con se stesso e con l’ambiente che lo circonda, il suo universo percettivo è strettamente limitato alle emozioni, e alle percezioni fisiche primarie (caldo, freddo, fame, etc...). Attraverso il soddisfacimento del piacere, compie i primi passi nel mondo esperienziale cominciando la distinzione tra bene e male; a seconda delle azioni che compie, infatti, riceve dall’ambiente esterno (siano essi i genitori o anche semplicemente gli oggetti con cui viene in contatto) stimoli positivi o negativi. Questa distinzione è il primo vero passo verso la consapevolezza. L’individuo entra definitivamente e in maniera cosciente nel mondo della dualità. L’io ora è nitidamente distinto dall’altro, e la spinta interiore della necessità muta in desiderio e viene a delimitarsi nella sfera personale. Tu sei cio che è il tuo desiderio profondo che ti guida. Come è il tuo desiderio così è la tua volontà. Come è la tua volontà così sono le tue azioni. Come sono le tue azioni così è il tuo destino.11 È il desiderio che deve guidare l’uomo nel mondo della dualità, e della scelta. Un desiderio questo, inteso come passione non istintuale profonda, conosciuta e vissuta con la piena consapevolezza del proprio essere. Ed è proprio questa consapevolezza che il bambino deve costruire in questa fase del suo sviluppo: il riconoscimento del piacere e della possibilità che ha di guidare le azioni corrette.

11

Brihadaramayaka Upanishad iv. 4.5, Upanishad anitche e medie, Bollati Boringhieri editore (1960) 18

Piacere che si manifesta nel bisogno di sperimentare. Per questo il diritto che il bambino cerca di affermare in questa fase è proprio quello di provare emozioni. Se questo gli viene in qualche modo negato, per esempio attraverso punizioni e rimproveri, verrà risvegliato il demone che riposa nel chakra: la colpa. La colpa, freno (o stimolo esagerato) sessuale, risiede proprio nell’area genitale (con una piccola differenza tra uomini e donne), e da qui esercita il suo influsso maggiore. In quest’ottica, la colpa è vista come ciò che limita la libertà di provare emozioni, limitando così anche il senso di libertà pura e semplice, di fare, pensare muoversi e sperimentare. Un genitore che minaccia di arrabbiarsi o di offendersi se il bambino compie atti di qualunque genere, limita così la possibilità futura dell’adulto di compiere scelte basate su un libero arbitrio solido e maturato interiormente. E così, come per il primo chakra, anche Svadhisthana può bloccarsi, in eccesso o in carenza. Un secondo chakra carente causerà innanzitutto una limitazione del movimento, dal punto di vista fisico, emotivo, sessuale. Nel corpo questo effetto si manifesterà con movimenti rigidi e goffi, giunture irrigidite e muscolatura rigida [...] una persona del genere cammina in rigido, muovendo poco le anche e ha [...] difficoltà a piegare le ginocchia e le pelvi. (Un aspetto che varia secondo la gravità; non tutte le carenze sono così evidenti)12. Una estrema rigidità in questa parte del corpo rende fragili. Tutte le tensioni che si accumulano dalla testa verso il bacino vengono infatti abitualmente scaricate a terra tramite le gambe; è per questa ragione che nella pratica di una qualunque attività sportiva (eccetto casi molto particolari) gli istruttori consigliano sempre di tenere le gambe leggermete flesse; questo perchè mantenedo morbido il contatto con il terreno, si riesce a far fluire una parte dello sforzo verso terra, alleggerendo pesi e tensioni. Le gambe rigide e le pelvi contratte bloccano all’altezza della vita gli sforzi, gravando sulla base della colonna vertebrale e ri-inviando forza ed energie

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verso l’alto, dove non trovano uno sfogo adatto (da qui deriva la postura un po’ goffa e gobba che caratterizza chi ha particolari disturbi in quest’area).

Tenedo conto che nella fase dello sviluppo la postura dà forma alla colonna vertebrale, e quindi alla struttura fisica, negli anni questo gioco di energie non sfogate si manifesta sempre più visibilemente. Nel caso di un secondo chakra in eccesso le cose sono molto differenti. Ci si sente vivi al massimo in stati emotivi intensi. La fase “sono arrabbiato” implica che noi siamo quell’emozione, più che provare semplicemente quell’emozione in quel momento. Per alcuni, l’unico periodo in cui sentono di essere qualcosa è quello in cui provano un tipo di emozione forte. Il campo può variare dalla rabbia alle lacrime, dall’eccitazione alle paure ciascuna un centro attorno a cui tutti devono danzare13. Per questo le persone con un secondo chakra in eccesso, faticano a disgiungere se stesse dalle proprie sensazioni, rendendo per tanto molto complesso se non addirittura impossibile un’analisi obiettiva dei fatti. Un secondo chakra in eccesso non è quindi un freno alle energie, ma un catalizzatore, che le concentra tutte in un unico punto (sia fisico, che psichico) annebbiando il resto. Il terzo chakra: Manipura (18 mesi – 4 anni) Il bambino è cresciuto, non ha ancora imparato a parlare, ma sa farsi capire benissimo. Muovendosi nell’ambiente ha iniziato con le sue prime scoperte: cosa è buono, cosa cattivo; quali sono le azioni per cui riceve premi e quali quelle che rendono l’atmosfera tesa nei suoi confronti. Quali persone gli vogliono bene e da quali cose stare alla larga... piano piano, seguendo la bussola del piacere compie passi sempre più lontani, avventurandosi così nel terzo chakra. Manipura, dal 12 13

A.Judith (1999), Il libro dei chakra, p.180 ibidem, p.183 20

sanscrito gemma di luce, è il centro dell’energia. Collocato nel plesso solare (il luogo appunto dove il nutrimento diviene energia), in questo disco sono presenti i metaprogrammi del potrere e dell’azione; il colore giallo, di cui è permeato rappresenta l’identità assoluta e indivisibile dell’individuo: si parte da qui. La correnete liberatoria dal basso porta energia pura, quella della manifestazione porta l’intenzione della forma. Incontrandosi nel terzo chakra si combinano per essere proiettate all’esterno verso l’azione. In questa fase dello sviluppo il bambino ha acquisito tutti gli strumenti per mettersi in gioco, per provare per la prima volta il significato della parola autonomia. Pur rimanendo strettamente legato all’ambiente familiare, in cui si rifugia ogni volta che ha bisogno di cure o rassicurazioni, adesso cerca di capire quanto è ampio il suo terreno di gioco. Attraverso questa nuova relazione col mondo esterno il bambino comincia a comprendere la sua individualità rispetto agli altri in maniera più consapevole. Sta nascendo l’ego: una realizzazione conscia di noi stessi come realtà autodeterminante14. Riferendosi all’ego A.J. riporta il modello postulato da Freud, specificando che: In termini di chakra l’ego è un organizzatore dell’energia instintiva che sale dal primo e dal secondo chakra e la combina con la coscienza che scende dalla parte superiore. Diamo forma all’ego con la coscienza, l’energia vitale ne è la sostanza15. Con lo sviluppo dell’ego il bambino è in grado di cercare una propria collocazione nel mondo, è aperta la via all’autodeterminazione. L’ambiente sociale in cui è immerso viene ora distinto in singoli frammenti, tanti quanti sono gli elementi che lo compongono im maniera via via più sofisticata. Comincia così il rapporto col potere e con le posizioni gerarchiche. In questi anni infatti il bambino sviluppa il linguaggio (attraverso il corrispondente quinto chakra) e con esso la possibilità di interagine in maniera più profonda con le persone che compongono il suo ambiente 14 15

ibidem, p.217 ibidem, p.218 21

sociale. Attraverso il linguaggio rielabora le relazioni e le struttra su piani differenti, inoltre scopre la dissonanza che ci può essere tra il linguaggio non verbale, di cui è stato partecipe negli stadi precedente a quello verbale, che ora prende il predominio affermandosi come maggiormente veritiero. Le parole diventano così il primo strumento di potere che il bambino deve gestire, poichè tentano nella maggior parte dei casi ad affermare dissonaze rispetto alle emozioni che prova o quantomeno a razionalizzarle; questo processo di razionalizzazione è per il bambino frustrante e difficoltoso. In una continua ricerca di comprensione del mondo e della propria posizione (che non è definibile, poichè muta con la crescita repentina dell’individuo stesso), il bambino non smette mai di muoversi e fare, in un gioco continuo di errori e correzioni. Il diritto che deve affermare in questa fase è appunto quello di agire. Ipotizzando che i precedenti stadi si siano svolti in maniera ottimale, in questa fase il bambino deve avere la possibilità di affermare la libertà delle proprie azioni. Il demone che è a guardia e frena questa impellente necessità è la vergogna. È inversamente proporzionale al potere personale, [...] la vergogna blocca la corrente liberatoria e impedisce all’energia che risale dai chakra inferiori di trasformarsi in un’azione reale, ci vergognamo di noi stessi e dei nostri istinti di base che, a questo punto devono essere tenuti sotto controllo dalla mente. In tal modo, le personalità legate alla vergogna si sentono bloccate e possono cadere in modelli di ripetizione e dipendenza compulsiva16. Si crea in tal modo una persona che segue più i pensieri che le emozioni in una spirale senza fine: infatti, il blocco operato dalla volontà impedisce un fluido scorre delle energie verso il secondo chakra, centro del piacere. Dunque le attività che vengono svolte all’insegna di una vergogna che ne ha eliminate altre, danno raramente soddisfazione. La vergogna è mitigata in qualche modo dalla sofferenza, che soddisfa così il senso di colpa dando una idea illusoria e fragile di equilibrio.

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ibidem, p.223 22

Anche il centro della forza è quindi soggetto a blocchi che si possono manifestare, come negli altri casi nelle due polarità: in eccesso o in carenza. Le persone che hanno una carenza del terzo chakra presentano un insieme di caratteristiche che possono comprendere mancanza di fuoco o vitalità, mancanza di autodisciplina, volontà debole o mancanza di spontaneità. Possono essere facilmente manipolati dagli altri e si sentono delle vittime [...] queste persone possone essere assai timide e apparire fredde e riservate17. Sono tipicamente i bambini abbandonati dalla famiglia, o quelli vissuti in contesti sociali molto rigidi tesi alla dominazione e al controllo, o comunque con poca possibilità di esprimersi secondo le proprie esigenze. Paura, colpa e vergogna contribuiscono in maniera univoca a creare un terzo chakra carente, infatti come abbiamo osservato all’inizio: l’energia scorre in modo fluido nel sistema non per compartimenti stagni, così le influenze negative o i traumi dei primi si ripercuotono inevitabilmente sui chakra che seguono; nel tentativo illusorio di stabilizzare una torre dalle fondamenta storte, senza agire direttamente su di esse. Così un terzo chakra carente può anche essere un sintomo manifesto di uno sbilanciamento nei chakra inferiori, pur non essendo direttamente danneggiato o coivolto in situazione negative.

L’eccesso di forza di vigore e di energie può nascondere quindi un malessere profondo, inciso proprio nella fonte dell’energia vitale. Infatti spesso, per superare situazioni difficili, momenti di debolezza, abbandono o abuso, si verifica un attaccamento eccessivo al potere e al controllo: può ad esempio essere una reazione a un senso di colpa di inettitudine del secondo chakra, o l’atteggiamento di un bambino eccessivamente violento in risposta a un trauma al primo.

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ibidem, p.260 23

Poichè il cuore del sè è denutrito, si cerca di tenere in piedi un’immagine di un falso sè che deve essere nutrito dall’approvazione degli altri. [...] Una persona che ha un eccesso nel terzo chakra è dominata da una volontà rigida. Una volontà eccessiva non è necessariamente una volontà forte, poichè la sua mancanza di flessibilità può renderla fragile. [...] Una volontà eccessiva ha il costante bisogno di avere controllo di se stessa, degli altri, delle situazioni18. È persino possibile riscontrare questo eccesso a livello fisico: gli atleti, i ballerini, le persone ossessionate da diete e palestra, che trattano il loro corpo come una macchina, sottoponendolo a sforzi e lavori eccessivi senza ascoltarlo e senza cercare uno sviluppo armonico con esso, perfino pratiche di yoga possono rivelare un eccesso nel terzo chakra, che devia l’obiettivo dell’allenamento (la ricerca del benessere e della salute) in una routine di competizione senza scopo. L’eccessiva volontà può assorbire energia vitale da quasi tutti gli altri chakra, chiudendo il secondo per l’assenza di sentimento, impedendo al quarto una connessione autentica e al quinto l’espressione. Il corpo può anche apparire radicato nell’attività, ma lo spirito non è radicato nel corpo19. Il quarto chakra: Anahata (4 anni – 7 anni) Superato il centro del potere rappresentato nel terzo chakra ci accingiamo quindi a giungere nel centro del ponte dell’arcobaleno. Il chakra Anahata in corrispondenza col cuore è il chakra dell’amore. In questo punto del sistema tutte le correnti affluiscono nel centro dell’essere. Gli aspetti fondamentali che incontriamo nel chakra del cuore riguardano equilibrio, amore e relazione. Attraverso l’equilibrio troviamo un centro da cui possiamo amare, attraverso l’amore creiamo le relazioni e attrverso le relazioni abbiamo l’opportunità di risveglire l’ego, 18 19

ibidem, p.257 ibidem, p.258 24

centrato su se stesso dei chakra inferiori alla consapevolezza del regno più vasto in cui siamo racchiusi20.

L’amore scioglie i parametri rigidi su cui si è formato l’individuo e trasforma la sua struttura psichica; in questo processo, lo sviluppo dell’affettività getta il soggetto in una realtà sociale più ampia, dove il rapporto uno a uno che caratterizzava i chakra inferiori viene sostituito con quello uno a molti che caratterizzerà quelli superiori. Il bisogno di rapporti non basati sulle necessità primarie, ma su scambi affettivi sarà così il fondamento dello sviluppo successivo del bambino. Nel periodo dai 4 ai 7 anni il bambino, comincia a vivere l’emotività in maniera differente, comincia ad apprezzare il fatto di occuparsi degli altri (è il tipico caso delle bambole); lo sviluppo dell’identità sociale, porta inoltre il bambino a un’interazione più complessa col mondo, cercando di mantenere l’equilibrio tra autonomia e dipendenza. Lo sviluppo intellettuale compie qui un grande balzo in avannti, preparandosi ai processi mentali puramente astratti degli stadi successivi. Lo sviluppo adulto del chakra del cuore porta a trascendere l’ego, a integrare i chakra inferiori e superiori, a creare la sacra empatia tra il maschile e il femminile e a sviluppare l’empatia sociale e l’altruismo. [...] il quarto chakra è l’ingresso alla pienezza spirituale e al dominio personale. Il premio che offre è l’autoaccettazione e l’amore per se stessi21. Ora che l’universo sociale si espande, è possibile fare nuove esperienze emotive e creare legami differenti da quelli avuti sino a questo momento. Con questo, l’entarta nel contesto sociale non è priva di rischi. L’amore porta con sè accettazione e compassione; implica la capacità di protendersi verso l’altro abbassando tutte le proprie difese, attraverso l’amore l’individuo è in grado di spogliarsi della sua identità sociale e di mostrare la più profonda intimità. Nel far questo però si espone

20 21

ibidem, p.281 ibidem, p.309 25

la parte più fragile e sensibile di sè, rischiando che semplici gesti causino ferite profonde. Anahata, che in sanscrito significa non colpito, trova già nel suo nome la radice del suo carattere di fragilità. il diritto di amare ed essere amati, centrale per la vita ogni individuo, viene così contrapposto al demone del dolore, che ne limita l’espressione. Le ferite del cuore, data la loro profondità e la posizione centrale all’interno del sistema causano ripercussioni su tutti gli altri chakra. Il fluire di tutte le energie attraverso il quarto chakra rende le ferite affettive dannose per tutti gli altri aspetti dell’esistenza. Violenza, perdita e abbandono, sono tutti traumi che l’organismo cerca di compensare in eccesso o in carenza portando a concetti distorti e relazioni instabili. Un quarto chakra carente ha dei confini rigidi che impediscono all’interno di uscire e all’esterno di entrare, provocando isolamento, che a sua volta aumenta la carenza. Un chakra del cuore carente risponde alle ferite d’amore ritirandosi. Essendo stato ferito in precedenza il cuore diventa un sistema chiuso e l’amore diventa condizionato. [...] Poichè si sente svuotato fin dall’inizio, un cuore carente vuole che siano gli altri a fare la prima mossa22. La tendenza è quindi quella di un attaccamento al passato, legato a relazioni terminate da tempo, attribuendo alla controparte le colpe del proprio senso di vuoto.

L’eccesso di amore, invece rischia di essere usato come una droga, con lo scopo di inebriare di sensazioni profonde e liberare magicamente da dolori e responsabilità scomode.

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ibidem, p.332 26

Un eccesso nel chakra del cuore non significa un eccesso di amore vero e proprio, besì un uso eccessivo dell’amore per le nostre personali necessità. Un eccesso si verifica quando cerchiamo di ipercompensare le nostre ferite. Poichè l’amore, per sua natura, coinvolge altre persone allora gli altri diventano vittime trascinate nel dramma della nostra ipercompensazione23.

L’ecceso provoca un movimento verso l’esterno talmente forte che non vi può entrare energia, sul lungo periodo questo svuota il centro della ruota e stimola comportamenti complusivi tesi a ristrutturare con altri le stesse modalità eccessive. Se il terzo chakra ha svolto bene il suo compito, il quarto chakra può contare su un valido appoggio, la differenza qualitativa tra il terzo e il quarto chakra consiste nella condizione del fare contrapposta a quella dell’essere. L’evoluzione di questo stadio consiste infatti nell’esprimere la propria verità, capacità che necessita sia dell’uno che dell’altro. Il quinto chakra: Vissudha (7 anni – 12 anni) Entrando nella triade dei chakra superiori ci addedentriamo nel mondo simbolico della mente. Si apre così l’universo del pensiero e con lui quello del suono. La vibrazione è l’aspetto centrale di questo chakra, che si espirime e comprende attraverso di essa. Il quinto ciakra è collocato all’altezza della gola ed è preposto all’espressione. A seguito dell’entrata in una realtà sociale più ampia, la comunicazione, o meglio una comunicazione articolata e ricca diventa necessaria per potersi confrontare con il proprio ambiente. Essendo la parola la massima manifestazione della nostra creatività, questo chakra porta con sè l’identità creativa dell’individuo. Il suo nome in sanscrito Vissuddha, significa purificazione, per sottolineare l’importanza di esprimersi ed essere ascoltati, in collegamento diretto con Manipura (3° chakra), rappresenta la relazione profonda cui scaturisce il rimo con cui si compiono le azioni. 23

ibidem 329 27

Il bambino esplora il mondo del quinto chakra tra i sette e i dodici anni. Adesso le sue capacità di ragionamento sono quasi complete, è in grado di comprendere non solo terminologie, ma anche concetti complessi con maggiore facilità; ha acquistato le nozioni temporali di presente e futuro in modo solido. Questo stadio segna il punto in cui l’intelletto è in grado di separare sè stesso dall’esperienza immediata, abbastanza a lungo da formulare delle ipotesi alternative24.

Attraverso il confronto coi compagni e l’entrata in nuovi contesti, il bambino sposta la sua attenzione dall’identità sociale a qualla creativa, caratteristica come detto di questa fase. La possibilità di esprimere il proprio pensiero in un gruppo di pari fortifica il suo senso di indipendenza e gli fa mettere alla prova i propri limiti in modo creativo.

Il diritto e il demone di questo chakra sono la verità e la bugia; con l’affermazione della verità avviene la completa espressione dell’individualità della persona. In questo dunque si riflettono tutte le disfunzioni dei chakra inferiori che emergono sia dalle modalità che dai contenuti dell’espressione. La verità può essere considerata un campo di risonanza, le esperienze negative ci insegnano a negare e a ritirarci nella nostra verità. Veniamo puniti se non diamo ragione ai nostri genitori, veniamo presi in giro se ammettiamo di avere paura. [...] se le nostre idee non concordano con quelle della maggioranza veniamo messi al bando25.

Reprimendo così la verità si reprime anche una parte del campo di risonanza del quinto chakra, e il conseguente completameto della corrente orizzontale che si muove da esterno a interno.

24 25

ibidem, p.372 ibidem,p.360 28

La bugia è il demone del quinto chakra, ciò che più di ogni altra cosa limita il diritto di esprimersi, la bugia è tanto malsana, in quanto non nasconde la verità, ma la trasforma in un qualcos’altro di fasullo, influenzando in maniera deviata tutto ciò che ne segue. Paura, segreti, bugie e pensieri contarddittori possono portare un quinto chakra a essere in eccesso o in carenza. Queste anomalie sono facili da riscontrare, poichè è sufficente ascoltare una persona per capire in che misura è aperta o chiusa al passaggio di comunicazione. Chi ha un quinto chakra carente non riesce a mettere insieme le parole [o ci riesce solo in modo confuso]. La voce può essere debole, sottile, stentata, ritmicamente ineguale.[...] Talvolta all’interno la comuncazione è buona, ma non trova mai l’uscita attraverso le porte. Talvolta la comunicazione interna è limitata e mente e corpo sono fortemente separati26. Un quinto chakra carente, frena quindi i tentativi di muoversi verso il fuori, ritraendo le energie al centro per sfuggire al bombardamento esterno. Al suo opposto, un eccesso in questo chakra si fonda sull’espressione di una personalità esterione , che ha perso il contatto con le proprie radici esprimendosi in modo casuale. Il parlare è una difesa che viene usata come mezzo per mantenere il controllo. Un quinto chakra in eccesso tiene il controllo della conversazione, dell’ argomento e del ritmo, in modo da porre la persona che parla al centro della conversazione27. Così si ottiene un flusso di parole privo di spessore o significati profondi, più che altro un rumore che copre la voce della propria coscienza, nel tentativo illusorio di non ascoltarsi. Il sesto chakra: Ajna (adolescenza) 26 27

ibidem, p.390 ibidem, p.392 29

Con l’entrata nel chakra della fronte, cambiano le modalità di osservazione nel percorso fatto sinora; mentre gli occhi fisici sono gli organi della pecezione esterne, Aja, situato al centro della fronte, è in relazione con il terzo occhio, l’organo della percezione interiore. Il terzo occhio è in grado di vedere distintintamente lo spettacolo offerto da memoria e fantasia, immagini e archetipi, intuizioni e immaginazione. Capacità fondamentale è qui quella di cogliere le strutture e gli schemi, che rivelano l’identità delle cose. Il terzo occhio serve appunto a comprendere modelli e significati sempre più profondi; il suo scopo è quello di combinare le informazioni giunte dai chakra sottostanti in modelli significativi. Non appena individuiamo uno schema possiamo intuire ciò che diverrà e possiamo indirizzare le nostre azioni di conseguenza. Questo è l’inizio della saggezza28. Una volta riconosciuti gli schemi, comincia la strada per l’introspezione, cioè la capacità di vedere dall’interno, di scoprire un sistema e osservare come questo si lega al disegno più ampio.

L’illusione è il demone di questo chakra; come è facilmente intuibile, l’illusione altera, come la bugia la percezione del vero. Un’illusione è un’immagine statica collocata nella corrente del tempo ed è per questa ragione che è irreale. I mondi illusori sono tutti modi di fissazione, impossibilitati al cambiamento e rigidi nelle loro forme. Presa coscienza dell’illusione si può accedere al mondo degli erchetipi e comprenderne il significato. Nel sesto chakra infatti ci muoviamo vero l’identità archetipica, riconoscendo le immagini e i simboli che accompagnao l’individuo ogni giorno.

28

ibidem, p.422 30

Il gradino superiore al chakra del cuore, immerge infatti l’individuo nel mondo del simbolo; i simboli emergono sotto forma di sogni e fantasie. Emergono ogni volta che si riconosce uno schema ricongiungendo l’individuo alle sue radici ancestrali. Il sesto e il settimo chakra portano il soggetto nella sfera transpersonale, al fine di ricongiungerlo col principio cosmico da cui è derivato. Il regno della coscienza transpersonale è un regno che oltrepassa sia l’ego che gli istinti e tuttavia li riflette e li combina entrambi29. Freno a questo processo di liberazione è il già citato demone dell’illusione. Un sesto chakra carente ha confini eccessivi che impediscono di vedere al di fuori, limitando la riflessione del sè a un ristretto circiuto di pensieri egoriferiti. Se nel sesto chakra si verifica una carenza, le facoltà ad esso associate non si sviluppano. La capacità intuitiva è poca e spesso si concentra per compensazione sui processi razionali del pensiero30. Una carenza al sesto chakra rende quindi ciechi, incapaci di vede la realtà delle cose, questo è un fenomeno di negazione che coinvolge tutta la sfera percettiva dell’individuo. Il suo effetto è una difficoltà a immaginare alternative differenti e nuovi modi possibili. Nella negazione l’individuo (o la collettività) è posseduto dal demone dell’illusione, che nasconde e trasforma la realtà allontanandolo dalla presa di responabilità obbiettive. La fase di sviluppo del sesto chakra corrisponde all’adolescenza, qui infatti il bambino, ormai entrato in un sofisticato mondo di relazione comincia a percepire una necessità di una collocazione. Pur non essendo ancora il momento di capire esattamente quale sarà il suo posto nel mondo (che sarà l’obeittivo del settimo chakra) la sua attenzione è concentrata sull’osservazione della realtà Attraverso l’identificazione degli schemi, l’adolescente cerca di elaborare un proprio stile 29 30

ibidem, p.437 ibidem, p.451 31

comportamentale, in un continuo confrontro tra l’infanzia e l’età adulta. In corrispondenza ad Ajna, c’è infatti Svadhisthana (secondo chakra), che ripropone così la dinamica affettiva e sessuale sotto una luce differente. La maturazione fisica, fa emergere una serie di pulsioni istintive che devono essere collocate in una realtà diventata in poco tempo molto più complessa e sofisticata di quanto il bambino si potesse aspettare. Il settimo chakra: Sahasrara (età adulta) Col settimo chakra si conclude il viaggio attraverso il ponte dell’arcobaleno; questa fase durerà tutta la vita, comprendendo una riesplorazione di tutti gli stadi alla luce del maggior livello di consapevolezza acquisito. È qui che il ponte congiunge lo spirito con la materia, l’individualità con la manifestazione. Comprendere la simmetria tra questo chakra e il Muladhara (il primo) è l’obiettivo di tutte le discipline spirituali indiane. La trasformazione della linea tra cielo e terra in una circonferenza chiusa è l’immagine simbolica della forma del tempo, il cui apparente sviluppo lineare si inserisce in un più ampio contesto ciclico. Il suo nome Sahasrara “dai mille petali” indica la molteplicità dell’universale a cui l’evoluzione spirituale porta. Posizionato sulla corteccia cerebrale, a metà tra l’individuo e la realtà esterna, si pone come un anello di congiungimento. Il suo scopo è la comprensione, che avviene attraverso l’assimilazione di conoscenza e sapere. L’obiettivo è il raggiungimento della saggezza, intesa come la capicità di conoscere attraverso la distinzione tra realtà e schemi del chakra precedente. Qui si scopre definitivamente e si fonda la coscienza. Lo sviluppo del settimo chakra costituisce la nostra struttura cognitiva, il nostro bagaglio di credenze, la nostra comprensione del mondo e la nostra capacità di mettere in discussione il mondo e di pensare in modo autonomo. Per tutto questo non esiste uno stadio evolutivo preciso, in quanto si realizza in modi diversi dal momento della nascita fino alla morte31.

32

Parliamo ora di un individuo adulto, libero dai continui cambiameti dello sviluppo fisico. Il suo percorso di crescita è passato dalla fortificazione delle sue radici e del rapporto con la materialità a un universo emotivo. Attraverso il terzo chakra ha esercitato e compreso il suo potere, col quarto è entrato nel mondo delle relazioni e ha esteso il suo campo di azione sociale. Inserito ora in un contesto più ampio ha proseguito il cammino nel mondo simbolico della mente, prima sviluppando le proprie capacità creative (quinto), poi comprendendo la valenza degli schemi (sesto) estrapolati dal tessuto contestuale. L’individuo ha compito il suo percorso attraverso i chakra scoprendo le proprie identità e il loro orientamento.



Nome del chakra

Identità

Orientamento

1

Muladhara (radice)

Fisica

Autoconservazione

2

Svadisthana (dolcezza)

Emotiva

Autogratificazione

3

Manipura (gemma di luce)

Egotica

Autodefinizione

4

Anahata (non colpito)

Sociale

Autoaccettazione

5

Vissuddha (purificazione)

Creativa

Autoespressione

6

Ajna

Archetipica

Autoriflessione

7

Sahasrara (dai mille petali)

Universale

Autoconoscenza

Attraverso la conoscenza la coscienza si amplia, aprendosi a una incontaminata accoglienza. È la scoperta dell’immensità del sistema in cui siamo immersi e di cui facciamo parte che ci consente la connessione con l’universo. Questo processo di introspezione, associato a una necessità di conoscenza dell’esterno , è lo spazio in cui agiscono le forze contrastanti presenti nel settimo chakra. È necessario premettere che blocchi e disfunzioni ai chakra alti non hanno influssi così rilevanti come quelli agli stadi inferiori. Ciò nonostante, anche

il

settimo chakra, come gli altri prima di esso può bloccarsi, in eccesso o in carenza. 31

ibidem, p. 500 33

Il demone della conoscenza e della coscienza è l’attacamento. In netta contarpposizione quindi con i demoni dei chakra inferioni, l’attaccamento si manifesta in piccole influenze su moltissimi aspetti. Shasrara è privo, come il sesto chakra, di una armatura caratteriale, cioè è privo di una manifestazione fisica visibile quindi, nonstante l’attaccamento sia comunque presente in molti aspetti della vita di ogni singolo individuo, è molto complesso riconoscerlo e osservarlo. Qualunque convinzione ferrea, qualunque idea immutabile, può essere sinonimo di un attaccamento. Questo non significa che bisogna abbandonare le proprie convinzioni, o che sia impossibile prendere posizioni decise. Più semplicemente (se così si può dire), l’attacamento rivela quando la verità di una convinzione è un elemento certo e aprioristicamente indiscutibile. Lo sviluppo di un settimo chakra sano porta infatti a una consapevolezza più relativa delle realtà del mondo in contrapposizione con la propria coscienza. Se il settimo chakra è chiuso, la corrente liberatoria non può terminare il suo viaggio, e noi non potremmo raggiungere la libertà. Le energie della trasformazione che si alzano all’interno del corpo non possono giungere pienamente alla coscienza, e dunque non giungono a realizzarsi. Nella nostra vita gli schemi si ripeteranno senza sosta, in quanto tenteranno di giungere continuamente alla coscienza. Senza la consapevolezza del Chakra della corona è assai più probabile che a guidarci sarà il nostro inconscio32. L’eccesso nel settimo chakra porta a esasperare la corrente liberatoria ascendente, lasciando

priva

di

intensità

quella

discendente

della

manifestazione.

Intellettualismo psichico, dipendenze di tipo spirituale, e nevrosi, sono manifestazioni di questo. La carenza blocca la corrente ascensionale nel suo completamento impedendo lo sviluppo di una coscienza libera dal percorso evolutivo compiuto. 2.3 Armature caratteriali (immagini in allegato p. )

34

Un’ultima cosa da riportare sul sistema dei chakra di A. Judith, sono le armature caratteriali. Come detto all’inizio, l’oscillazione tra eccesso e carenza dei singoli chakra porta una manifestazione fisica evidente e tangibile dei traumi psichici subiti. Così un eccesso al primo chakra sarà costituito da un fisico prevalentemente pieno e acerbo, una carenza al quarto da una struttura rigida e impostata, ecc. A. Judith, identifica sei prevalenti strutture caratteriali che si rifanno ai più comuni blocchi nei chakra. Il termine armatura caratteriale si riferisce al fatto che gli individui con blocchi ai chakra di notevole entità, indossino una certo numero di caratteristiche compotamentali come un’armatura in risposta a un ambiente esterno ostile e minaccioso. Il carattere Schizoide-Creativo, che manifesta un blocco al primo chakra, è caratterizzato da un distaccamento con la realtà materiale. Si sviluppa in seguito a traumi infantili molto precoci, che risalgono al periodo uterino fetale e ai primi mesi di vita. L’infante che percepisce di non essere voluto, assume quindi un rapporto di distacco col mondo. La sua corrente discendente non trova le radici con cui aggrapparsi al terreno e così le sue energie sono proiettate verso l’alto. È detto creativo data la grande importanza che assumo per lui i chakra alti. La sua struttura fisica sarà quindi molto particolare, con la testa sproporzionata rispetto a un corpo esile e privo di densità. Il carattere associato al secondo chakra è invece quello dell’Orale-Amante. La struttura fisica tipica è col bacino in vanti e le spalle leggermente arretrate. Con questo il fisico rappresenta il contrasto tra il bisogno di dare e il terrore di ricevere ciò che non si desidera. L’Orale cerca dipendenza e fusione, ricollegandosi all’incapacità dell’infante di occuparsi in modo autonomo di se stesso. Gli individui muniti di tale armatura sono convinti che l’amore possa risolvere tutto. In questo

32

ibidem, p.507 35

rivelano il loro pessimo rapporto con i confini, che si mesacolano a seconda delle necessità del momento. Attraverso un trauma al terzo chakra si puo manifestare il carattere Tollerante. Con una corporatura spessa, e le spalle curve in avanti il tollerante ha subito un controllo eccessivo, una limitazione della sua libertà che lo costringe al compromesso di dover tollerare, di accettare che la propria volontà sia spezzata. Lo Schizoide si caratterizza per la concentrazione a tenere insieme tutti suoi componenti, nel terrore di poterli contaminare nel contatto con l’esterno, l’Orale si tiene aggrrappato, il tollerante ha come schema primario quello di tenere dentro. Il timore maggiore è quello di esporsi, che si associa al demone della vergogna. Commettere errori, o ricevere giudizi negativi fanno ricadere il Tollerante in un senso di umiliazione profonda, che egli porta nuovamente a interiorizzare. Nel quarto chakra possono rilevare due differenti schemi caratteriali il Rigido e l’Isterico. Il carattere rigido si cartterizza per una carenza; il cuore, soggiogato dal demone del dolore si riuchiude su se stesso, bloccando, dalla sua posizione privilegiata, lo scorrere di tutti i canali. Si sviluppa così una corporatura solida, di grande integrità che manca però di libertà e contatti con le altre sfere d’identità. La necessità di successo e di autoaffermazione diviene quindi una meta irraggiungibile che non consente momenti di piena soddisfazione. Lo Schema dell’isterica e quello di rappresentare l’emotività con dinamiche estreme. Il suo corpo è fatto a pera, differenziandosi per le forme minute e infantili del busto e quelle ampie e mature dei fianchi. L’isterica muta atteggiamento di continuo alla ricerca di un equilibio interiore senza punti d’appoggio. L’ultimo chakra a manifestarsi attraverso un’armatura caratteriale è il quinto; avvenedo alla fine dello sviluppo, i traumi nei due chakra successivi sono di minore entità sul piano fisico non consentendo quindi una simile analisi. In questa fase si sviluppa il carattere Sfidante-Difensore. Questa struttura è frutto di una deprivazione fisica tra i due anni e mezzo e i quatto (durante lo sviluppo nel terzo 36

chakra), ed è dovuta alla tendenza a spingere l’energia del corpo verso l’alto. Il carattere sfidante, si combina con quello difensivo, dando una spinta di notevole compassione all’individuo, ma congiuntamente mettendolo nella posizione di pensare di essere l’unico a poter risolvere i problemi. La sua struttrura fisica è orientata verso l’alto, con spalle larghe e sottili, l’ecceso di energia dei chakra inferiori lo porta a essere esuberante nel manifestarsi e manifestare la propria cratività, dando impressione di forza e sicurezza di sè.

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Capitolo II: Psicologia sociale e teorie di sviluppo stadiale

Se ci volgiamo all’Oriente, vediamo che si sta compiendo un

irresistibile

destino(…)Abbiamo

conquistato

politicamente l’Oriente. Sapete ciò che successe a Roma quando soggiogò il vicino Oriente? Lo spirito dell’Oriente penetrò in Roma. Mithra diventò il dio militare romano (…) So che il nostro inconscio è zeppo di simbolismo orientale. Lo spirito dell’Oriente è veramente ante portas. CARL GUSTAV JUNG (1932)

Le origini della psicologia sociale e le teorie dello sviluppo La storia della psicologia è una storia della modernità. È una storia che si consuma negli ultimi 150 - 200 anni, in un era nella quale l’uomo ha ormai preso il suo cammino di dominatore del mondo. Il patto con la natura è rotto. L’umanesimo e poi l’illuminismo, saldamente suppotrati

dallo

sviluppo

scientifico

che

incalza,

hanno

portato

nuove

consapevolezza nello sviluppo del pensiero. La linea del tempo, quella del tempo naturale, cadenzato dai giorni e dalle stagioni, ha perso rispetto alla matematica precisione degli orologi meccanici. I simboli del potere umano sono sempre più visibili e più dominanti, cominciando a cambiare in modo sensibile il paesaggio stesso. Lo sviluppo demografico è parallelo a quello dell’estensione delle città. C’è chi si chiede se sia davvero la strada giusta; il dibattito filosofico si concentra sulle implicazioni di questo sviluppo, ma i fatti sono evidenti. L’uomo, la cultura, la scienza, l’occidente, hanno vinto. Le prospettive di benessere date dallo sviluppo

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tecnologico sono inimmaginabili. Ma i dati, i singoli elementi rimangono assolutamente tangibili. Qui nasce la psicologia. Dal dato, dal segno più del posivismo. Comte (1798 – 1857) classifica l’evoluzione dell’uomo in tre periodi: teologico, metafisico astratto, e scientifico positivistico. Il dato, è il fatto. L’emento necessario da cui partire per ogni analisi e riflessione. Al di fuori di ciò che è originato da singoli fatti non esiste nulla. Wundt (1832 – 1920), a Lipsia, traccia i fondamenti del suo pensiero secondo cui la psicologia deve investigare i fatti della coscienza, così da trovare le leggi che ne regolano le connessioni. Per spiegare i processi psichici, Wund si avvalse della scomposizione, cioè della possibilità di ridurre la coscienza a singole parti non ulteriormente divisibili. Chiamò queste parti elementi e su questi fonda la sua psicologia degli elementi. Concetto centrale per questa psicologia è quello di appercezione, e Wundt ne indica il carattere intuitivo. È come se i singoli dati siano alla periferia del campo visivo della mente; attraverso questo, è possibile il richiamo istantaneo da parte della coscienza dell’elemento necessario. Di pari passo alla psicologia, anche la medicina compiva la sua evoluzione; grazie all’invenzione del microscopio, alle precauzioni igieniche e alla scoperta di nuovi narcotici e sterilizzanti, nella seconda metà dell’ 800 furono possibili interventi chirurgici impensabili sino a pochi decenni prima.

Le visioni interpretative È in questi anni che si afferma una tesi che associa a tutti i fenomeni i caratteri tipici della fisica e della chimica. Questa nuova corrente fu chiamata materialismo o meccanicismo. Nella visione meccanicistica ogni singolo elemento del mondo (e il mondo stesso quindi) è visto come una macchina, composta da singole parti che si combinano e interagiscono nel tempo e nello spazio. La metafora può essere quella di un

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orologio, come di un qualunque macchinario composto da parti indipendenti alle quali, applicando una data forza, si ottiene un risultato prevedibile e sempre uguale, in rapporto alla stimolazione effettuata. Conseguentemente anche lo sviluppo si fonda sul concetto di una totale passività dell’uomo rispetto agli eventi che accadono, in quanto le sue reazioni non sono mediate da fattori interni intangibili, ma sono la diretta e logica conseguenza di stimolazioni, che azionano specifici “ingranaggi” all’interno della sua mente. Si può dire, a ragione, che il primo solido tentativo di superamento di questa linea di pensiero è avvenuto nei primi anni del ‘900, per opera della psicologia della Ghestalt, in particolare a seguito del pensioro dei fondatori della scuola di Francoforte - Berlino del 1909: M.Wertheimer, W. Koler, K.Koffa. Il punto di partenza del loro pensiero andava proprio contro la teoria materialista con un’ idea più articolata, quella organismica: al posto della macchina, il modello considerato è quello tipico degli esseri viventi, come piante o animali. Questa interpretazione é di origini antiche e risale alla metà del 1600, per opera del filosofo naturalista Leibniz (1646-1716), ricordato per le sue idee filosofiche di grande influsso nel pensiero naturalistico. Il filosofo enunciò il principio della ragion sufficiente (verità di fatto) secondo il quale si cerca di spiegare perché un singolo fenomeno si svolga in un certo modo partendo dalle relazioni e cor-relazioni tra le varie sostanze.

Tra queste relazioni e correlazioni, però, secondo Leibniz, non esiste sempre e necessariamente un rapporto di causa - effetto, è per questo che non si possono fare previsioni certe in natura. Le leggi e i fenomeni naturali e ambientali si possono comprendere e interpretare solo a posteriori, non a priori, e questo comporta che i fenomeni naturali siano solo comprensibili, non prevedibili. Questa differenza, tra visione meccanicistica e organismica, si può spiegare semplicemente attraverso il concetto di scomposizione di W. Wundt: nella visione meccanicistica l’uomo, come una macchina prodotta da una catena di produzione 40

fordista, è scomponibile in singole parti e ricomponibile nella sua forma originaria senza che vi siano cambiamenti di nessuna sorta. Nella visione organismica invece ciò non è possibile. L’organismo è qualcosa di più che la semplice somma delle singole parti. La scuola di Francoforte - Berlino si fa forte di questo approccio, anche qui viaggiando di pari passo con l’evoluzione scientifica. Sono infatti gli anni in cui la fisica contemporanea sta gettando la base per una nuova concezione della materia, del tempo e dello spazio. M.Wertheimer, è stato molto influenzato nellla formulazione delle sue teorie dai colloqui avuti con A. Einstain, che ebbero notevoli ripercussioni sulla maggior parte del pensiero psicologico dell’epoca. Il superamento dell’ottica organismica avviene più avanti, con il contestualismo. Qui la metafora interpretativa si fa più complessa, non si tratterà più di macchine o di esseri viventi, ma il paragone si sposta su costrutti culturali, come il tessuto o l’arazzo. Un passo avanti rispetto alla visione organismica: qui il soggetto compie azioni che hanno un significato solo se riferite all’ambiente storico e culturale in cui si sviluppa. Il filosofo Stephen Pepper sostenne l’esclusione dalla conoscenza umana del concetto di verità. Pepper utilizza un sistema che lui stesso definisce come world hypotheses, cioè come un sistema di ipotesi verbali sufficenti a dare un’interpretazione sistematica del mondo. Con questo cerca le connessioni tra soggetto e contesto e tra i differenti contesti legati strettamente isieme. Il contestualismo prende come sua metafora di base la tessitura dell’evento, coi suoi fili riccamente qualificati che sfumano entro un passato che scompare e guidano le forme cangianti di un presente che continua verso il futuro che albeggia. L’evento grazie alla sua tessitura, si estende lateralmente nella sua durata presente verso i contesti vicini che sono essi stessi tessiture che si estendono in altri contesti ancora. E la tessitura di ogni evento è

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interamente analizzabile in trame che hanno tensioni individuali e riferimenti ad altre tessiture33.

Come la visione organismica anche quella contestualista è di tipo olistico, l’orizzonte temporale di riferimento però è differente, mentre si immagina un tempo che scorre lineare e che guida lo sviluppo degli eventi nella prima, per quanto riguarda la visione contestualista il tempo è strettamente intrecciato con il quadro della vita umana, assumendo forme e prendendo direzioni spesso differenti da individuo a individuo. La nascita del tempo non è dunque la nascita del nostro tempo. Già nel vuoto fluttuante il tempo esisteva, allo stato potenziale34. Quello che ormai è una realtà più che accertata e dimostrata, è che lo sviluppo individuale avviene attraverso le influenze che questo riceve dall’ambiente esterno in cui si trova. 1.2 La teoria del campo di Lewin Si giunge così al pensiero psicosociale che vede già nella prima metà del 900 una focalizzazione degli studi psicologici, sulle dinamiche socioculturali che ruotano intorno agli individui, inevitabilmente partecipi di un processo di creazione e definizione continua del mondo . Negli anni ’30, uno dei più noti psicologi sociali, Kurt Lewin (1935), ha, invece, spostato l’attenzione dalla dimensione interna alla complessa relazione tra gli aspetti personali e sociali, riferendosi sempre più alla complessa costellazione dei fattori interni ed esterni al

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Pepper (1942), citato in Teorie dello sviluppo psicologico, Miller P. H, p.24

34

Ilyia Prigigine, La nascita del tempo (1978), p.63 42

momento presenti e dinamicamente interagenti per provare a rendere conto del perché le persone agiscano in un determinato modo piuttosto che in un altro35.

La valutazione dell’influenza della sfera sociale nello sviluppo dell’individuo diviene d’ora in poi un fatto centrale per lo studio sulla psiche. È da osservare come, nella citazione sopra riportata, il termine “complesso” ritorni più volte; la necessità sempre emergente per la cultura, di trovare efficaci strumenti per gestirsi, insieme alla nuova consapevolezza di un individuo radicato e inevitabilmente influenzato dalle condizioni sociali in cui si trova, danno così una forte ragione d’essere a tutto il pensiero psicosociale. La complessità dell’azione umana è stata analizzata attraverso le leggi darwiniane della lotta per la sopravvivenza e della vittoria del più forte, oppure attraverso le leggi della percezione, della motivazione, dell’attenzione, spesso estrapolate a partire da un individuo costretto a interagire in situazioni di laboratorio, a volte assai lontane dalla quotidiana e ricca complessità della vita di tutti i giorni36. Nel 1957, Kurt Lewin teorizza il concetto di “campo”. La caratteristica peculiare di un campo è che il comportamento degli elementi in esso presenti dipende dalla sua configurazione complessiva, la quale a sua volta viene determinata dalle interrelazioni degli stessi. Di conseguenza, secondo Lewin, il comportamento di un individuo è funzione del suo ambiente contingente (eventi, situazioni, persone, ecc.) e della sua personalità. Lewin propone di considerare l’universo psicologico come un campo composto da regioni interdipendenti, le cui componenti principali sono la persona e l'ambiente. All’interno di una curva chiusa di forma ovale (la curva di Jordan) si colloca un puntino, che corrisponde all’individuo. I conflitti sono un punto centrale del pensiero di Lewin, e sono ciò che fa sì che l’uomo attraversi lo spazio vitale 35

V. Russo (2004) in Psicologia sociale, dall’individuo alla collettività, M.Bellotto e V. Russo (2004), p.27

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rappresentato dalla curva secondo il principio di locomozione (che comunque non è uno spostamento fisico del soggetto). Dalle osservazioni sullo spazio vitale si evince che il modo in cui l'uomo si costruisce il proprio mondo varia a seconda del mutare delle sue esigenze e dei suoi scopi personali. Lewin ritiene inoltre che la percezione che il soggetto ha della realtà costituisca il punto di partenza per avviare un’analisi dei processi psichici e della personalità nel contesto fisico-temporale in cui si manifestano e nella rete di relazioni che li determinano. Quindi, il campo non è altro che tutto ciò che è presente al soggetto in un dato momento e che ne determina l’agire, il sentire e il conoscere. All’interno del campo si distinguono tre aree fondamentali: spazio di vita (caratterizzato dai bisogni, dalle motivazioni, dalle mete e dagli ideali del soggetto); mondo fisico e sociale (fenomeni che non hanno una diretta incidenza sullo spazio di vita della persona in quel dato momento); zona di confine (fenomeni che agiscono sullo spazio di vita della persona in quel dato momento). Questo concetto può essere rappresentato con la seguente formula: C = f(P;A) Dove C corrisponde al comportamento umano, ed è funzione (f) di P, la personalità del soggetto, e di A, ossia l’ambiente nel quale vive.

Il contributo di Lewin inoltre è fondamentale per le teorie dello sviluppo. Lewin teorizza che lo spazio vitale del bambino sia più piccolo ma meno differenziato di quello dell’adulto. La sua estensione temporale è minore e questo significa che il bambino vive maggior tempo dell’adulto nel presente, in uno spazio in cui si confondono i piani della realtà e della fantasia. Attravero una documentazione filmata dei bambini della sua cerchia famigliare, Lewin mette in evidenza le meccaniche di comportamento ricavandone dimostrazioni della sua teoria.

36

V. Russo (2004), p. 33 44

Nel tentativo di mettere in relazione il Kundalini Yoga con la psicologia sociale, questo è uno dei punti centrali. Per come è stato elaborata (sopratutto dallo studio fatto da A. Judith), la struttura del Kundalini yoga altro non è altro che una teoria di sviluppo. Il lavoro di Lewin non è però sufficente a fare un efficace paragone, soprattutto tenendo conto che le teorie di sviluppo sono una corrente psicologica che si è sviluppata in qualche modo a sè rispetto alla psicologia sociale e alle altre correnti. Ciò nonostante, come accade per la maggior parte delle scienze moderne, non si può tracciare una linea di demarcazione netta tra una disciplina e l’altra, E. Erikson, per esempio, ha saputo congiungere i due saperi ricavandone una teoria di sviluppo psicosociale che è appunto quanto vi sia di più simile in psicologia al sistema Kundalini Yoga. È pertanto necessario, a questo punto, soffermarsi un attimo sulle principali teorie di sviluppo; è infatti proprio dall’analisi di queste, alla luce delle riflessioni già fatte sul Kundalini Yoga, che può essere quindi compreso pinamente il significato della loro relazione. Le teorie di sviluppo si occupano di come le influenze del mondo fisico e sociale strutturano la personalità dell’essere umano durante la sua vita; in particolare in quel delicato periodo di formazione della personalità che va dalla primissima infanzia alla fine dell’adolescenza e l’entrata nell’età adulta. È infatti proprio nei primi anni di vita che quanto è compreso nel campo di Lewin dà il suo maggiore apporto allo sviluppo dell’identità. Si osserva quindi che dalla sua nascita l’essere umano compia un percorso progressivo di sviluppo nel tentativo di soddisfare dei bisogni specifici, e in una certa misura comuni, peculiari di ogni fase della crescita umana. Sono molti gli psicologi, sociali e non, che si sono cimentati nel tentativo di stendere un modello efficace per spiegare cosa accada durante lo sviluppo del bambino. Le varie teorie interpretano il periodo di crescita come diviso in una serie di tappe, che il bambino deve raggiungere e superare per diventare adulto. 45

Tutte comunque, hanno come punto focale lo scambio di input che avviene con l’ambiente in cui il bambino si trova, quindi in primis nel rapporto coi genitori e via via con un ambiente sociale sempre più complesso e articolato.

2 Teorie di sviluppo stadiali e contesto sociale Il concetto di uno sviluppo psichico in stretta connessione con lo sviluppo fisico risale a epoche remote, per contro l’idea odierna di uno sviluppo infantile è un fatto abbastanza recente. Per lungo tempo infatti si è data poca importanza allo sviluppo dei bambini, tanto che fa riflettere scoprire che un concetto tanto comune come quello di adolescenza è stato introdotto da Ernst Meumann appena un secolo fa. Fin dal medioevo i bambini erano considerati adulti dal dodicesimo anno di età. Negli ultimi 120 anni vi è stato un progressivo avvicinarsi alle dinamiche di sviluppo dei bambini per le stesse ragioni per cui abbiamo detto essersi sviluppata la psicologia. Lo sviluppo delle città e l’incremento demografico ha portato alla luce la necessità di istruzione per i bambini, e il formarsi di nuove posizioni professionali come quella di insegnante, ha contribuito al diffondersi della disciplina. La descrizione dello sviluppo umano secondo livelli o fasi oggi sembra essere accettata universalmente. Il percoso che seguiremo per arrivare al pensiero di Erikson (1902, 1994) passa per due delle principali teorie, che appare opportuno analizzare in maniera approfondita: la dottrina psicanalitica delle fasi di S. Freud (1856, 1939) e la teoria dello sviluppo cognitivo di J. Piaget (1896, 1980). 2.1 La dottrina psicanalitica delle fasi di S. Freud È quasi impossibile affrontare qualunque argomento relativo alla psicologia senza parlare o almeno accennare a Freud. Il suo pensiero è stato fondante per tutta la 46

psicanalisi moderna e le sua opere contengono una summa di pensiero tanto vasta da rientrare in quasi qualunque campo di analisi. In questa sede però ci limiteremo a trattare solo della sua teoria sulle fasi di sviluppo, così come faremo anche per gli altri autori che lo hanno seguito.

L’approccio stadiale di Freud si basa su due forti postulati. Il primo è che i primissimi anni di vita siano quelli in cui viene fondata la personalità, ma soprattutto (il secondo postulato) che gli stadi siano di natura psicosessuale. Secondo Freud, infatti, si può capire un comportamento adulto solo sapendo comequesto ha avuto origine e si è sviluppato durante la storia iniziale di una persona. Una delle teorizzazioni più importanti del padre della psicologia è che vi sia una strettissima relazione tra il corpo e la psiche, tanto da fondare su questo tutto il suo pensiero; ogni stadio è definito quindi da una pulsione localizzata in una determinata zona del fisico. Si passa così dalla fase orale, a quella anale, a quella fallica; poi vi è un periodo di latenza cui segue lo stadio genitale tipico dell’adolescenza . Il passaggio da stadio a stadio è biologicamente determinato, e quindi accade indipendentemente da quanto successo nello stadio precedente. La fonte energetica e’ soggetta a maturazione e determina le fasi dello sviluppo (psicosessuale) e i rapporti tra le istanze psichiche, che nello specifico del pensiero freudiano sono: Es: serbatoio dell’energia psichica, ricerca la gratificazione immediata del bisogno Io: si consolida progressivamente nel corso dello sviluppo, è l’istanza di adattamento Super-io: istanza morale, si sviluppa successivamente all’interiorizzazione delle norme genitoriali conseguentemente alla dissoluzione del complesso edipico. Gli stadi di sviluppo servono quindi a consolidare e maturare il dialogo e la relazione di questi tre differenti aspetti della personalità.

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Stadio orale: (dalla nascita a un anno circa) Durante la fase orale dominata dalla zona orale (labbra, bocca e lingua), la gratificazione libidica è inizialmente associata alla soddisfazione di bisogni di nutrizione attraverso il succhiare, che di solito portano al rilassamento ed al sonno e poi al piacere del succhiare e del mettere in bocca le dita della mano, dei piedi, e molti oggetti inanimati, in assenza dell’assunzione di cibo. Mano a mano che procede la fase orale, agli elementi orali-erotici si aggiungono quelli oraliaggressivi. Questa fase è caratterizzata dalla soddisfazione del bisogno di cibo, dalla progressiva distinzione fra sè e non sè, da un principio di acquisizione di capacità di dilazione della soddisfazione.

Stadio anale: (da uno a tre anni circa) Il secondo stadio dello sviluppo della sessualità

è dato dall’investimento

pulsionale della zona erogena uretrale-anale: la gratificazione pulsionale deriva dal trattenere ed espellere le feci, ma anche dal guardare, toccare ed odorare. E’ la prima occasione in cui il bambino deve venire a patti con le norme sociali, consolida la distinzione fra mondo interno ed esterno, acquisisce interesse verso una maggiore autonomia.

Stadio fallico: (da tre a cinque anni circa) Quando il bambino raggiunge il terzo stadio, quello fallico-edipico, il punto focale dell’autostimolazione è rappresentato dai genitali: in questo periodo l’interesse sia dei maschi che delle femmine è diretto verso il fallo: l’esibizionismo raggiunge il suo massimo; tipicamente il bambino giunge ad idealizzare il padre ed il pene del padre e desidera averne uno uguale per sé, anche se questo comporta l’angoscia di castrazione basata sul timore della vendetta paterna. Con la progressione delle pulsioni, la sessualità si avvia verso le vicende del complesso edipico, su cui vale la pena spendere un paio di parole.

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Freud concettualizza il complesso di Edipo in forma positiva e in forma negativa. Nel primo caso si prova un forte desiderio di morte del rivale, che è rappresentato dal genitore dello stesso sesso, e invece un desiderio sessuale nei confronti del genitore di sesso opposto. Nella sua forma negativa c’è un capovolgimento, ossia si prova amore per il genitore dello stesso sesso e odio geloso per il genitore di sesso opposto.



È la base per la formazione del Super Io e dell’Ideale dell’Io.



Principale punto di riferimento per la psicopatologia: ad esempio il sintomo nevrotico deriva da una non risoluzione del complesso edipico a livello pulsionale, con una regressione della pulsione a fasi di fissazione precedenti. Nel modello strutturale il complesso di Edipo è all’interno dell’Io: provoca il segnale d’angoscia e quindi l’attivazione dei meccanismi di difesa, tra i quali l’identificazione.

Nel maschio il declino deriva dalla “minaccia di evirazione” o angoscia di castrazione da parte del padre, che determina nel bambino la rinuncia dell’oggetto incestuoso. Questo comporta una conclusione relativamente brusca del conflitto, con un’identificazione del bambino con il padre. Nella bambina, invece, è proprio il “complesso di evirazione” o di castrazione che determina l’insorgere del complesso edipico: nella concezione freudiana la bambina durante la fase fallica scopre sia l’esistenza dell’organo maschile, sia di esserne priva, e per questa ragione immagina di essere stata evirata. “Vittima dell’invidia”, la bambina si rifiuta di accettare la sua evirazione e si ostina nelle fantasie di possedere un pene. La rinuncia al pene, accompagnata da un forte tentativo di rivalsa, avviene tramite il desiderio di avere un figlio con il padre. L’essere delusa dal padre in questa aspettativa, consente alla bambina di ritornare al legame con la madre ed all’identificazione con quest’ultima, a meno che non si presentino difficoltà nel corso di questo complicato processo. 49

Periodo di latenza: (da cinque anni all’inizio della pubertà circa) Questi anni sono dedicati all’elaborazione e al controllo del complesso edipico tramite rimozione e formazioni reattive della moralità a vergogna e disgusto ed a ideali estetici: è il “periodo della latenza sessuale”, inteso come un periodo di manifestazioni sessuali latenti che comprende l’età dai sei anni fino all’insediarsi della pubertà. Caratterizzato da relativa tranquillità istintuale dovuta allo spostamento degli interessi del bambino su altri scopi diversi da quelli precedenti di natura psicosessuale, consolidamento dell’io, del super-io, delle difese.

Stadio genitale: (adolescenza) Il relativo equilibrio del periodo di latenza viene interrotto dai cambiamenti biologici introdotti dalla pubertà e dall’adolescenza, durante i quali gli impulsi sessuali genitali si intensificano e risvegliano: le precedenti zone erogene divengono subordinate alla predominanza dei genitali che porteranno alla scelta dell’oggetto eterosessuale nell’età adulta. L’adolescenza è un momento complesso e risolutivo (nell’ipotesi di uno sviluppo ottimale) del complesso di edipo e del rapporto con la libido. Freud la divide a sua volta in tre momenti: la preadolescenza, adolescenza, tarda adolescienza. Questo modello, sebbene sia stato in parte discusso, può fornire, e ha fornito spunti preziosi e utili intuizioni a tutti i teorici dello sviluppo come, per esempio la teoria degli stadi, le strutture della psiche, la motivazione inconscia e l’importanza delle esperienze precoci. Per contro si può riscontrare nelle sue teorie una scarsa verificabilità di alcuni concetti, a cui va aggiunta una eccessiva attenzione alla sessualità infantile che la maggior parte delle moderne ricerche hanno a ragion veduta criticato. Ciò non toglie che le teorie di Freud siano una solida base su cui gli psicologi che lo hanno seguito si sono potuti appoggiare.

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2.2 La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget Tra le teorie dello sviluppo non si può non considerare l’opera di Jean Piaget (1896 1980). La sua lunga vita, insieme a una capacità produttiva e concettuale fuori dal comune, gli hanno consentito di sviluppare un pensiero molto articolato e rivisitato a più riprese dallo stesso Piaget, alle quali ha apportato nel tempo modifiche e correzioni. Si farà riferimento in questa sede esclusivamente alla sua teoria dello sviluppo che vede, come per Freud, una crescita stadiale del bambino. Anche se il suo studio si concentra prevalentemente sugli aspetti dell’evoluzione psicologica e intelletiva del bambino, come per Freud, anche per Piaget gli stadi seguono un ordine invariante, ma le due teorie si differenziano sotto molti altri aspetti. Il primo punto di grande distacco è l’origine esclusivemente dovuta alla maturazione fisica di detti stadi nel sistema di Freud; inoltre nella teoria di Piaget gli stadi non sono indipendenti, ma concatenati in maniera fluida; ogni stadio contiene i germi dello stadio successivo ed è la diretta conseguenza di quello precedente, dando in tal modo un’idea più “morbida” e naturale al concetto di sviluppo. Ogni stadio emerge da uno stadio precedente trasformandolo progressivamente nello stadio successivo (ad eccezione ovviamente del primo e dell’ultimo), quindi per capirne la struttura bisogna collocarli in un sistema temporale più ampio, che Piaget divide in periodi. Il centro del lavoro di Piaget è il tentativo di descrivere gli stadi evolutivi che precedono il pensiero logico e astratto. La sua anlisi quindi è un’analisi del tutto concentrata sullo sviluppo del pensiero. Concetto fondamente è l’accomodamento. Cioè il processo che tenta un accomodamento tra gli schemi cognitivi e l’oggetto della coscienza. Andando per gradi, sono quattro i periodi della teoria piagetiana (che vanno dalla nascita ai 15 anni):

Periodo sensomotorio (dalla nascita ai 2 anni circa)

Modificazione dei riflessi Relazioni circolari primarie 51

Periodo preoperatorio (da 2 a 7 anni circa)

Relazioni circolari secondarie Coordinazione degli schemi secondari Relazioni circolari terziarie Invenzione di mezzi nuovi mediante combinazioni mentali Funzione semiotica

Periodo delle operazioni concrete (da 7 a 11 anni circa) Periodo delle operazioni formali (da11 a 15 anni circa)

1. Periodo senso-motorio (dalla nascita ai due anni) Durante il periodo senso-motorio, l'infante parte da un livello neonatale, di puro riflesso, caratterizzato dalla completa assenza di differenziazione, la sua identità con la madre è assoluta e non riesce a distinguere sè stesso dal resto del mondo. Progressivamente giunge ad una organizzazione degli stimoli relativamente coerente che lo rende capace di azioni senso-motorie entro i suoi ristretti limiti ambientali. Questa organizzazione è esclusivamente pratica e comporta semplici aggiustamenti percettivi e motori ai fenomeni circostanti, piuttosto che la loro manipolazione simbolica. Piaget descrive sei sottostadi principali di questo periodo.

Essi

riflettono,

evolvendosi

impercettibilmente,

le

transizioni

organizzative per quei semplici aggiustamenti percettivi e motori, fino a che alla fine del periodo senso-motorio, è raggiunta una rudimentale capacità di simbolizzare azioni o eventi. Il primo stadio, quello dei riflessi (dalla nascita a un mese), comporta una crescente efficienza nel funzionamento dei riflessi innati. È importante notare come una delle principali considerazioni di Piaget sul comportamento dei riflessi in questo stadio sia che, perfino queste forme basilari di adattamento, non sono meramente

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provocate da una stimolazione esterna diretta. Ma è piuttosto l'infante (come creatura attiva più che passiva) che dà spesso inizio a questa attività. Durante il secondo stadio dello sviluppo senso-motorio (da due a quattro mesi), avvengono le reazioni circolari primarie. Esse sono azioni non intenzionali e spontane e entrate sul corpo del bambino (perciò sono state chiamate primarie) che vengono ripetute più e più volte (perciò sono state chiamate circolari) fino a che si rafforza e si stabilisce l'adattamento. Il comportamento nel secondo stadio, quindi, è caratterizzato dalla comparsa della ripetizione di atti semplici. Tali atti sono inintenzionali e fine a se stessi. Esempi di reazione circolare primaria possono essere la ripetitiva suzione del pollice o l'azione ripetuta di tastare una coperta. Gli altri quattro stadi del periodo sensomotorio sono caratterizzati da una crescente intenzionalità da parte dell'infante. Nel terzo stadio (dai quattro agli otto mesi) è di estrema importanza lo sviluppo delle reazioni circolari secondarie. Durante questo stadio si estende la consapevolezza dell'ambiente esterno da parte del bambino. Le sue reazioni più che incentrarsi primariamente su azioni corporali, implicano ora la manipolazione di eventi o di oggetti dell'ambiente esterno. Reazioni di questo tipo sono state perciò chiamate secondarie. L'attività, durante tale stadio, è caratterizzata ancora una volta dalla circolarità (le azioni sono ripetute più e più volte). Tuttavia, le reazioni non sono ripetute solo come fine a se stesse, ma per un interessante effetto di stimolo creato da qualche attività particolare. Dalla ripetizione di queste azioni (scoperte per caso) vengono appunto ottenuti risultati interessanti, tali da spingere alla produzione di nuove alterazioni dell'oggetto o dell'evento esterno. Un esempio di reazione circolare secondaria potrebbe essere costituito da un infante che agita ripetutamente le braccia allo scopo di imprimere movimento ad un giocattolo sospeso sopra la sua culla. Il quarto stadio senso-motorio (dagli otto ai dodici mesi) implica la coordinazione delle reazioni secondarie. I mezzi e i fini sono chiaramente differenziati; per la prima volta il comportamento dell'infante è di natura veramente intenzionale e il bambino 53

comincia a risolvere problemi semplici. Schemi non preventivamente associati di azione (uno schema è una risposta generale usata per risolvere un problema particolare), sono associati in modo nuovo. L'infante applica uno schema come mezzo per raggiungere uno scopo; un altro schema familiare è impiegato per instaurare un comportamento nei confronti dello scopo, una volta che questo è stato raggiunto. Questa nuova coordinazione di reazioni secondarie è resa possibile grazie alla capacità dell'infante di generalizzare o di trasferire uno schema usato come mezzo oltre la situazione nella quale era stato originariamente utilizzato. Durante il quarto stadio avviene la progressiva differenziazione tra sé e il mondo. Viene stabilita la permanenza dell'oggetto. Se l'infante osserva un oggetto che successivamente viene sottratto alla sua vista, arriva a capire che questo oggetto ha ancora una esistenza obiettiva anche al di fuori della sua azione. Ma forse è bene citare un esempio: immaginiamo un infante che vede la madre uscire dal suo campo visivo. Piaget afferma che questi, essendo nel terzo stadio dello sviluppo senso-motorio, quando l'oggetto è completamente nascosto, non riconosce più la oggettiva esistenza dell'oggetto; per cui è come se la madre non esistesse più, ciò che esce dalle sue percezioni cessa di esistere. Data la stessa semplice situazione, un infante nel quarto stadio è sufficientemente capace di comprendere l’esistenza della madre indipendentemente dalla sua presenza. Un infante del quarto stadio, avendo la possibilità di muoversi cercherà la madre in giro per la casa. L'azione serve come mezzo per raggiungere un fine. Esso è posto in relazione e coordinato con l'azione finale di raggiungere l'oggetto. Questa capacità di combinare unicamente schemi di azione precedentemente non connessi (usando uno schema come mezzo per raggiungere lo scopo ed il secondo schema per entrare in relazione con lo scopo stesso) in una relazione mezzo-fine, costituisce da parte dell'infante, la base di una semplice attività di soluzione del problema. Il concetto di permanenza dell'oggetto non è, nel quarto stadio, pienamente articolato. 54

L'infante del quarto stadio incontra considerevoli difficoltà se i movimenti di un oggetto sono complessi o se l'oggetto viene spostato nello spazio dall'area nella quale era stato inizialmente nascosto. Se prendiamo ad esempio un giocattolo che viene ripetutamente nascosto sotto un cuscino, l'infante del quarto stadio lo cercherà. Ma se l'oggetto viene poi nascosto sotto un secondo cuscino, l'infante lo continuerà a cercare sotto il primo, anche se ha visto chiaramente che il giocattolo veniva nascosto sotto il secondo. È come se il posto o la posizione che erano associati con i precedenti felici tentativi di scoprire l'oggetto celato alla vista, fossero un attributo dell'oggetto stesso. Durante il quinto stadio del periodo senso-motorio (dai dodici ai diciotto mesi), l'infante diviene consapevole che un oggetto può essere spostato nello spazio conservando l'idea della permanenza di esso. La costanza di un oggetto è quindi più saldamente stabilita; la permanenza è ora qualcosa di distinto dal passato successo dell'infante nel trovare un oggetto in un posto particolare. Un altro aspetto del quinto stadio è lo sviluppo delle reazioni circolari terziarie. Queste reazioni sono definite in termini di metodi più concreti e avanzati di esplorazione di oggetti nuovi o di eventi ambientali, per mezzo di nuove sperimentazioni. L'interesse per la novità in se stessa è l'attributo primario di una reazione circolare terziaria. Attraverso attive sperimentazioni per prove ed errori, l'infante scopre nuovi mezzi per raggiungere uno scopo. Laddove nel quarto stadio il comportamento che conduceva ad uno scopo era piuttosto stereotipo, l'infante del quinto stadio cerca attivamente e sperimenta mezzi nuovi per raggiungere un particolare fine. Non solo egli si fida delle attività che precedentemente si sono dimostrate capaci di successo, ma si accosta al problema per nuove vie: non si limita a muovere con le mani un cuscino per raggiungere un giocattolo nascosto, ma tenta nuove strade. Può tentare di spingere via il cuscino con un piede o può cercare di farlo per mezzo di un bastone. Il bambino del quinto stadio non inizia una azione al solo scopo di ottenere il risultato desiderato: l'azione viene iniziata in modo che possano essere completamente esplorate le relazioni mezzi-fine. L'infante è interessato a nuove 55

varianti ed a come queste varianti agiscono sull'oggetto o sulla sua abilità ad ottenere l'oggetto. Il sesto stadio (dai diciotto ai ventiquattro mesi) è caratterizzato dalla transizione da un'azione evidente ad una rappresentazione mentale nascosta. Il bambino è in grado di utilizzare

simboli

mentali

per

riferirsi

ad

oggetti

assenti

dall'ambiente

immediatamente circostante. Durante questo stadio il bambino è capace di imitazione differita, cioè di riprodurre a memoria il comportamento di un modello assente: di rappresentare il modello assente per mezzo di alcune forme simboliche. L'infante, in questo stadio finale dello sviluppo senso-motorio, è capace di sperimentazione interiore, una esplorazione mentale interiorizzata delle relazioni tra modi e mezzi. In altre parole, con l'avvento della rappresentazione mentale e della invenzione il bambino è in grado di simbolizzare azioni o eventi prima che questi producano realmente qualche comportamento particolare. Le soluzioni ai problemi sono considerate in termini di dimensione mentale piuttosto che fisica. Durante questo ultimo stadio del periodo sensomotorio il concetto di permanenza dell'oggetto è stabilito in modo più chiaro. Il bambino ora cercherà un oggetto spostato nello spazio dove questo è scomparso l'ultima volta piuttosto che dove era stato nascosto l'ultima volta. Ciò indica che il bambino riconosce il fatto che un oggetto può essere spostato e continuare a mantenere la sua oggettività. 2. Il periodo preoperazionale (dai due ai sette anni) Lo stadio preconcettuale (dai due ai quattro anni di età) è la prima delle suddivisioni del periodo preoperazionale. Evolvendosi dall'ultimo stadio del periodo sensomotorio, la genesi del pensiero per concetti avviene appunto nel periodo preconcettuale. Durante questo stadio il bambino sviluppa capacità linguistiche e abilità a costruire simboli; comincia a distinguere tra significanti (parole e immagini che significano eventi oggettivi o oggetti) e significati (eventi percettivamente assenti ai quali si riferiscono quelle parole o immagini). Il bambino è capace di distinguere «papà che si mette il cappotto» (significante) e il concetto del «papà che

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si mette il cappotto», riferito all'evento ancora percettivamente assente del papà che esce (significato). L'apparire della funzione simbolica (uso dell'immagine mentale, del simbolo, della parola o di un oggetto che significa o rappresenta un evento che non è immediatamente presente) libera il bambino dall'agire su fatti fisicamente presenti nell'immediato ambiente circostante. La funzione simbolica consente al bambino di applicare l'esperienza passata agli eventi presenti. Altra fondamentale caratteristica di questo stadio è che l'imitazione si fa meno esteriore, viene maggiormente interiorizzata. Diviene evidente, durante questo periodo, la presenza dell'immaginazione; il bambino sviluppa la sua abilità a

trattare gli

oggetti come simboli di cose diverse da quello che sono in sé (può usare una scopa come cavallo immaginario o una scatoletta come ricevitore del telefono). Durante questo stadio il bambino comincia a sperimentare sempre più le rappresentazioni mentali del mondo esterno e delle sue proprie azioni. Tuttavia molte caratteristiche del pensiero nello stadio preconcettuale differiscono sensibilmente dai processi più tardi e più maturi. Il bambino a questo livello, ad esempio, non è in grado di formulare una serie di regole che gli consentano di includere un oggetto in una classe specifica di oggetti. Piaget definisce sincretismo questa tendenza a raggruppare eventi o oggetti in un insieme confuso. Il bambino, invece di usare regole classificatorie di un insieme (l'insieme degli oggetti impiegati come utensili per cucinare), per definire quali oggetti particolari appartengono alla cucina, nello stadio preconcettuale non cerca di determinare attributi particolari che siano comuni ad una serie di oggetti. Quello su cui si concentra è classificare insieme oggetti che non hanno rapporto tra loro (biscotti, una donna, un orologio a muro, i fiammiferi, ecc., sono raggruppati insieme ed etichettati «cucina»). Il pensiero preconcettuale è anche egocentrico: il bambino pensa solo secondo il suo punto di vista e non possiede la capacità di assumere il ruolo di un altro individuo. È anche incapace di valutare criticamente i suoi pensieri non pensando ai suoi pensieri e non prendendo in considerazione le possibili contraddizioni dei suoi processi di pensiero. 57

Il pensiero, durante lo stadio concettuale, tende anche ad essere centralizzato: il bambino si concentra su un particolare aspetto o su una dimensione di una serie di stimoli. Non considera mai simultaneamente le varie dimensioni di un problema: mentre centra un aspetto particolare di un evento, sorvola o trascura altre sue dimensioni rilevanti. Non combina mai le singole caratteristiche integrandole in un disegno multidimensionale. Lo stadio intuitivo è il secondo del periodo preoperazionale e va dai quattro ai sette anni circa. È un periodo di preparazione allo stadio delle operazioni concrete. Durante questo stadio vengono costruiti pensieri e immagini più complessi di quelli del periodo precedente e il bambino sviluppa progressivamente la sua capacità di concettualizzazione. Si stabilisce un rudimentale concetto di classificazione basato però su somiglianze colte mediante la percezione piuttosto che su considerazioni logiche o di relazione. Il pensiero, in questo stadio, è ancora largamente legato al contesto delle esperienze percettive del bambino. La sua comprensione degli eventi è ancora ampiamente dominata da una incapacità a percepire nello stesso momento più di una dimensione di una situazione. Un altro aspetto critico del pensiero nel

periodo preoperazionale è la sua

irreversibilità, cioè una incapacità a considerare una serie di operazioni inverse che possono reinstaurare una situazione originaria. Gli esperimenti classici di Piaget, che dimostrano l'incapacità del bambino al livello preoperazionale a capire il fenomeno della conservazione (che cioè la quantità di liquido e la massa o il numero degli oggetti di un insieme resta invariato anche se vi sono trasformazioni percettive), serve a caratterizzare molti dei processi dominanti di pensiero dei bambini

durante

questo

intero

periodo.

Alcune

qualità

del

pensiero

preoperazionale rendono impossibile ad un bambino di questo livello riconoscere che una quantità di acqua resta costante (si conserva) malgrado la diversità della forma del contenitore in cui l’ acqua è versata. Se l'acqua è versata in due bicchieri identici e raggiunge in tutti e due lo stesso livello, il bambino capirà prontamente che la quantità d'acqua nei due bicchieri è la stessa, se l'acqua di un bicchiere viene 58

poi versata in un bicchiere più alto e più stretto (in modo che nel nuovo recipiente il livello dell'acqua sia più alto) il bambino dello stadio preconcettuale del periodo preoperazionale insisterà col dire che il bicchiere più alto e più stretto contiene più acqua. Può darsi che il bambino dello stadio preconcettuale difetti dell'idea di conservazione perché si occupa solo di un aspetto saliente del problema (l'altezza del liquido nelle colonne d'acqua), trascurando fatti ugualmente importanti, cioè che il secondo recipiente differisce dal primo in larghezza, oltre che in altezza. Focalizzando l'attenzione percettiva su una dimensione alla volta, il bambino è incapace della coordinazione simultanea di due o più attributi dimensionali del problema. In ogni caso, il pensiero è marcato dalla sua irreversibilità. Il bambino del periodo preoperazionale è inconsapevole che esista una operazione che possa reinstaurare la situazione originaria. Ovviamente questi processi di pensiero, quali la centralizzazione e l'irreversibilità, sono fortemente correlati. Ad esempio, un bambino del periodo preoperazionale può vedere che quando l'acqua è versata di nuovo nel contenitore originale (operazione inversa) raggiunge un'altezza uguale a quella dell'altro identico contenitore. Il bambino può allora accorgersi che la quantità d’acqua nei due bicchieri è uguale; tuttavia, quando avviene una nuova trasformazione (ad esempio quando l'acqua è versata nel bicchiere alto e stretto), per una ragione o per l'altra, il bambino, al livello preoperazionale, perde di vista questa operazione inversa; non la prende in considerazione e continua a fare assegnamento sulle caratteristiche percettive più evidenti. 3. Periodo delle operazioni concrete (dai sette agli undici anni) . A partire dalla nascita, le attività mentali dominanti sono passate dalle azioni evidenti (nel periodo senso-motorio) alle percezioni (nel periodo preoperazionale), alle operazioni intellettuali (nel periodo delle operazioni concrete). Queste operazioni avvengono all'interno della struttura di ciò che Piaget chiama mobilità del pensiero: la capacità di spiegare la reversibilità, di decentrare, di assumere il punto di vista altrui e di concettualizzare le relazioni di classe. Durante il periodo 59

delle operazioni concrete il bambino getta le basi del pensiero logico, che si identifica col successivo e ultimo periodo dello sviluppo intellettuale. Ci sono molte differenze tra il bambino del precedente periodo e quello del periodo delle operazioni concrete. Per quanto riguarda lo stesso problema della conservazione, rispetto ai bambini nel periodo preoperazionale, i bambini nel periodo delle operazioni concrete comprendono l'idea che la quantità resta invariata malgrado le trasformazioni colte attraverso la percezione. Il pensiero del bambino in questo stadio è caratterizzato dalla comprensione delle operazioni inverse. Così il bambino può adesso rispondere correttamente a domande sulla conservazione del liquido affermando che la quantità d'acqua (dopo la trasformazione) è ancora la stessa, perché si può versarla nuovamente dal bicchiere stretto e alto in quello di partenza e il livello dell'acqua nei due bicchieri identici sarà ancora lo stesso». Un'altra differenza tra il pensiero preoperazionale e quello del livello delle operazioni concrete è che il bambino nel periodo delle operazioni concrete ha sviluppato un concetto chiaramente definito di classe e classificazione. Lo sviluppo della abilità a pensare simultaneamente a relazioni parte-tutto è una componente di questa nuova capacità che si è stabilita. Ad esempio, se ai bambini nello stadio preoperazionale sono mostrate otto caramelle gialle e quattro marroni e viene loro chiesto: «Ci sono più caramelle gialle o più caramelle?». Probabilmente essi risponderanno: «Più caramelle gialle». I bambini al livello delle operazioni concrete probabilmente resteranno perplessi di fronte ad una domanda così assurda ed eventualmente risponderanno dicendo: «Ci sono più caramelle (totali) che caramelle gialle». La loro risposta a questa domanda indica una chiara differenziazione tra parti e tutto, una capacità di ragionare simultaneamente sulle relazioni parte-tutto e una conoscenza che sottoclassi di elementi (caramelle gialle e marroni) possono essere incluse in categorie più ampie (caramelle in generale). Le altre differenze più notevoli tra periodo preoperazionale e periodo del pensiero operazionale concreto sono le seguenti. 60

1. La capacità di utilizzare termini relazionali. Il bambino nello stadio preoperazionale guarda a espressioni relazionali come «più scuro» o «più grande» in termini di attributi assoluti di oggetti in opposizione ad attributi relativi. «Più scuro» significa «molto scuro», non più scuro di un altro oggetto; «più grande» significa «molto grande» in contrasto con il concetto relativo di più grande di un secondo o di un terzo oggetto. Il bambino è in grado, durante il periodo delle operazioni concrete, di vedere oggetti o avvenimenti in modo relativo. Dato il problema «se A è più piccolo di B e B è più piccolo di C, A è più piccolo di C?», il bambino nel periodo delle operazioni concrete ha la capacità di risolvere il problema considerando i rapporti relativi tra ciascuno degli oggetti materiali. 2. Il bambino in questo periodo possiede la capacità di ordinare gli oggetti secondo alcune dimensioni qualitative come il peso, la grandezza, la scala ordinale. Piaget chiama seriazione questa capacità concettuale. La seriazione è fondamentale per la comprensione del fatto che la relazione che un numero ha con gli altri ed è quindi un requisito preliminare per lo sviluppo del pensiero matematico. 3. Il bambino nel periodo delle operazioni concrete è anche capace di utilizzare una rappresentazione mentale di una serie di atti. Il bambino nello stadio precedente può essere in grado di coprire una breve distanza per andare a scuola se sa i punti precisi in cui deve voltare a destra o a sinistra, ma non ha il concetto dell'insieme della strada che fa quando va a scuola. Il bambino nel periodo delle operazioni concrete è capace di progettare l'intera serie di operazioni che gli sono necessarie per andare a scuola: è capace di concettualizzare in anticipo l'itinerario. Le operazioni concrete sono strutturate e organizzate in termini di fenomeni veramente concreti (eventi che generalmente Si verificano nell'immediato presente). La considerazione della potenzialità (del modo cioè in cui è possibile che gli eventi si producano), o il riferimento a eventi o a situazioni future è piuttosto limitata. È questo approccio concreto alla realtà che differenzia il periodo delle operazioni concrete dal periodo finale dello sviluppo intellettuale.

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4. Periodo delle operazioni formali (dagli undici ai quindici anni) . Questo periodo copre l'età dagli undici ai quindici anni. L'attributo più generale del pensiero formale è la comprensione che la realtà è solo una di serie di infinite possibilità. Il ragionamento dell'adolescente è ipotetico-deduttivo; egli comincia con la considerazione di un dato problema in termini di concettualizzazione di tuttele relazioni che possono verificarsi (una serie di ipotesi possibili). Poi, attraverso un processo di sperimentazione combinato con l'analisi logica, ogni singola ipotesi viene confermata o respinta. La capacità di produrre tutte le possibili ipotesi risolutive e poi di verificare la validità d’ognuna di esse attraverso una analisi logica è la caratteristica del periodo delle operazioni formali. A questo livello il pensiero è soprattutto proposizionale. L'adolescente manipola i dati grezzi nei quali si imbatte in relazioni organizzate o proposizioni, e successivamente elabora connessioni logiche tra di essi. Inoltre il pensiero operazionale formale è interproposizionale, implica cioè le relazioni logiche tra le proposizioni formate dai dati grezzi. Piaget si riferisce a queste operazioni come ad operazioni di secondo ordine, o operazioni sulle operazioni. L'individuo al livello di pensiero operazionale formale è in grado di usare, per risolvere problemi specifici, un'analisi combinatoria. Supponiamo di dare a qualcuno quattro secchi di vernice, ognuna di un diverso colore. Il problema consiste nel combinare due di questi colori allo scopo di creare un colore unico. L'individuo nel periodo delle operazioni formali capisce che può combinare il colore numero uno con il colore numero due, il numero uno con il numero tre, il numero uno con il numero quattro, il numero due con il numero tre, ecc. Prende cioè in considerazione tutte le possibili combinazioni. Dato lo stesso problema, il bambino nel periodo delle operazioni concrete non è in grado di prendere in considerazione tutte le possibilità, ma solo quelle che sono in relazione con il presente tangibile. Di conseguenza questo bambino considererà solo, ad esempio, la combinazione dei secchi uno e due, due e tre e tre e quattro.

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L'adolescente ha anche la capacità di applicare

regole semplifìcanti come

operazioni di ordine più alto per arrivare alla soluzione di un problema. Supponiamo, ad esempio, che ad un individuo sia presentata una vasca d'acqua e una gran varietà di oggetti diversi e gli sia richiesto di selezionare quegli oggetti che galleggiano. L'individuo nel periodo delle operazioni formali non è più legato al concreto, non deve mettere ogni oggetto nell'acqua per determinare quale galleggia e quale no; applica invece una regola semplificante. Sa che gli oggetti di legno galleggiano; può quindi determinare sperimentalmente quali degli oggetti che ha di fronte sono di legno, impiegando per far questo prove empiriche. E quindi eliminata la necessità di porre direttamente ogni oggetto nell'acqua. La capacità di impiegare analisi combinatorie e regole semplificanti forma il substrato fondamentale del pensiero algebrico ed è un requisito assolutamente necessario alla comprensione del ragionamento matematico superiore. Il dominio della realtà per mezzo della possibilità caratterizza inoltre le relazioni dell'individuo con il futuro. Il pensiero degli eventi futuri diviene bene articolato. L'evento remoto o distante può essere visto nei termini di una serie di possibilità ipotetiche: i processi individuali di pensiero non devono più essere limitati al presente o ai suoi dintorni immediati. Durante il periodo delle operazioni formali viene raggiunta la capacità di pensare in modo approfondito ad eventi futuri. Una caratteristica finale del pensiero al livello delle operazioni formali può essere sintetizzata da un'osservazione abbastanza frequente negli adolescenti: «Mi sono trovato a pensare al mio futuro, poi ho cominciato a pensare perché stavo pensando al mio futuro, poi ho cominciato a pensare perché stavo pensando a perché stavo pensando al mio futuro». La caratteristica primaria del funzionamento cognitivo durante il periodo delle operazioni formali appare essere l'interesse nei confronti dei meccanismi del pensiero. Infine, per parlare in termini di interazione sociale, che sono, come indicheremo più avanti, messi non abbastanza in rilievo da Piaget, questi sembrerebbe suggerire che motivazione e valutazione dipendano da ideali ed eventi. E questi ultimi tendono 63

ad essere giudicati sulla base di approssimazioni della situazione teoretica che informa gli ideali. L'adolescente vede i suoi piani e le sue attività in relazione ad un gruppo sociale idealizzato. L'individuo comincia a pensare a se stesso come ad un membro a pieno diritto della società.

La teoria di sviluppo psicosociale di Erikson Erikson nasce nel 1902 a Francoforte in Germania, nel luogo dove pochi anni dopo sarebbe sorta la scuola di Francoforte - Berlino della Ghestalt. Dopo una serie di studi dedicati all’arte, si reca a Vienna per insegnare, dove entra quasi per caso nella schiera degli allievi di Freud, sostenendo un periodo di terapia presso la figlia Anna. Rimasto affascinato dalla psicanalisi e date le sue notevoli capacità concettuali, venne presto ammesso all’istituto psicanalitico veinnese dove appunto fece il suo periodo di training.

Come molti neo-freudiani, Erikson accetta gli elementi di base del suo pensiero, come l’esistenza delle strutture psicologiche, i concetti di conscio e inconscio, le pulsioni, il metodo psicanalitico, ecc.. ciò nonostante il suo pensiero si allontana dall’approccio biologico di Freud, prendendo in considerazione in modo sostanziale l’influenza che il contesto sociale (sintetizzato nella teoria di campo di Lewin) esercita sullo sviluppo. I siuoi studi giovanili lo portano a un interesse per l’evoluzione psichica esaminando bambini di differenti ambienti culturali. Attraverso questo confronto il suo lavoro lo convinse della necessità di aggiungere una dimensione psicosociale all teoria degli stadi di Freud. Per Erikson, infatti, le pulsioni non sono, come sosteneva Freud, sessuali o aggressive, ma sono pulsioni sociali; che inducono una persona a creare legami e a interagire con l’ambiente che la circonda.

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Per illustare le relazioni tra pulsioni psicosessuali e psicosociali, Erikson mette a confronto il piacere dell’infante nell’emettere suoni (pulsione psicosessuale) con quello della possibilità di uno scambio verbale coi genitori, o con altri membri del suo ambiente sociale (pulsione psicosociale). La maturazione fisica, secondo questa ipostesi ha ripercussioni personali e sociali, maturazione che porta con sè nuove abilità per il bambino (ma anche per l’adulto, con il crescere dell’esperienza) una continua crescita delle richieste che il contesto sociale gli fa. Si va in tal modo delineando una teoria che non si fermerà con lo sviluppo biologico (nel senso comune del termine) del bambino, ma che proseguirà anche nella fase adulta. La connessione tra sviluppo sociale e cultura è riscontrabile attraverso due punti. In primo luogo, anche se i bambini di tutte le culture passano attraverso la stessa sequenza di stadi, ogni cultura li vive in modo peculiare; in secondo luogo è da tenere in conto la relatività culturale anche all’interno della cultura via via che cambia col passare del tempo. Il principio epigenetico è ciò che consente la progressione dello sviluppo psicosociale

La prospettiva psicosociale vede lo sviluppo cognitivo come interazione tra la maturazione fisica, che porta con sè nuove abilità e quindi nuove possibilità, e le richieste che la società indirizza al bambino sollecitandolo affinchè egli apprenda nuovi comportamenti. Le civiltà hanno elaborato modi convenzionali per far fronte alle esigenze che il bambino presenta lungo le varie fasi della sua maturazione: le cure dei genitori, le organizzazioni sociali e un insieme di valori. E così come la cultura ha cercato di adattarsi al bambino anche quest’ultimo si adatta ad essa. Erikson osservò che anche se tutti i bambini attraversano la stessa sequenza di stadi, è pur vero che ogni cultura ha sviluppato un proprio modo di guidare e promuovere il comportamento del bambino a seconda dei bisogni e dei valori che ogni società ha sviluppato.

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La personalità si differenzia e si organizza gerarchicamente, secondo Erikson, passando attraverso una serie di "crisi" psicologiche ed in concomitanza a ciò l’individuo allarga la gamma delle sue relazioni sociali. La ricerca dell’identità è il tema centrale della vita che comprende sia l’accettazione del sè che della civiltà in cui si vive. La domanda fondamentale “chi sono io?”, per Erikson, rappresenta la ricerca che l’uomo compie per costruire la sua identità; ad ogni stadio di sviluppo diamo una risposta diversa a questa domanda, ed è proprio sulla somma di tali risposte che si costruisce l’identità dell’individuo in uno stretto rapporto, sia con il sé, che con la società. Se nel bambino (o meglio nel dialogo tra il suo sé e il contesto sociale) tutto va bene, la sua identità si riconferma su un nuovo livello, altrimenti si ha una perdita di identità, una sorta di smarrimento, di decentramento rispetto all’identità in costruzione o costruita. Erikson fa corrispondere alle varie fasi psicosessuali che Freud aveva individuato nello sviluppo umano, otto stadi dello sviluppo psicosociale. In questo gioco di costruzione dell’identità, nel tentativo di superarne le crisi, l’individuo attraversa "otto età dell’uomo", che si riferiscono a otto periodi critici che interessano l’individuo lungo tutta la sua esistenza. Ogni stadio ha due poli, uno positivo e uno negativo; trovare una efficace mediazione tra i due poli, è ciò che consente, prima al bambino e poi all’uomo di raggiungere ciò che Erikson definisce equilibrio: la condizione ottimale di una personalità sana e solida in grado di ben relazionarsi con se stesso e con la realtà sociale in cui è inserito. Un’altra differenza tra questo modello e quello di Freud è che per Erikson lo sviluppo dell’uomo va dalla prima infanzia fino all’età più avanzata. Più precisamente: alla fase orale corrisponderebbe la crisi psicosociale relativa ai vissuti di fiducia/sfiducia, alla fase anale quella di autonomia /dubbio e vergogna, alla fase fallica quella di iniziativa/senso di colpa, alla fase di latenza quella di industriosità/inferiorità, alla pubertà l’identità/diffusione di identità, alla genitalità

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l’intimità/isolamento, all’età adulta la generatività/stagnazione, ed infine all’età senile l’integrità/dispersione. Erikson si sofferma particolarmente sull’età infantile e sullo stadio dell’età adolescenziale a cui dedicherà parecchie opere. I rapidi cambiamenti che si producono nel corpo durante l’adolescenza (bisogni sessuali, pressioni sociali), fanno sì che i giovani prendano in considerazione e agiscano più ruoli. Ma poichè l’adolescente non è ancora in grado di integrare le proprie identificazioni o i propri ruoli, vive una "diffusione di identità" e la personalità appare frammentaria. Gli adolescenti cercano se stessi aderendo a gruppi di coetanei, movimenti politici e così via e l’ideologia della società di appartenenza guida queste scelte accreditando alcuni ruoli anzichè altri. Parte fondamentale nello sviluppo dell’uomo ha il gioco, che è essenziale per il bambino poichè attraverso l’esercizio ludico egli può non solo provare modalità nuove ed impadronirsene, ma può anche esprimere una vasta gamma di emozioni e far emergere problemi che nella realtà vive e a cui può dare spazio. Anche per l’adulto il gioco, spesso ritualizzato, resta un modo accettato culturalmente attraverso il quale entrare in rapporto con gli altri. I rituali sono dunque meccanismi attraverso i quali l’uomo, via via che procede lungo il suo sviluppo, si appropria del modello culturale e acquisisce soluzioni già pronte a problemi quotidiani. Il contributo fondamentale di Erikson alla teoria psicanalitica sta nell’aver rilevato che la nozione di vita deve essere intesa come ricerca di identità e, mentre Freud aveva rivolto la sua attenzione soprattutto ai conflitti e ai meccanismi inconsci di difesa, egli ha un approccio più positivo facendo emergere il desiderio insito nell’uomo di dare coerenza e significato alla propria esistenza. Erikson interpreta in forma originale concezioni e termini formulati da Freud rivelando il più ampio respiro con cui egli concepisce il senso della vita umana stessa, soprattutto da un punto di vista sociale: "... e la parola Eros sottolinea ancora una volta il fatto che la teoria psicoanalitica ipotizza l’iniziale presenza di estese 67

forze istituzionali che, nei loro aspetti migliori, possono contribuire al raggiungimento

di

un

amore

universale".

In un’ottica psicosociale Erikson ipotizza il formarsi di una "umanità adulta" capace di riconoscersi come tale e di superare "quella immaginaria separazione delle varie specie (razze) che ha portato ad atti di rifiuto con la moralistica razionalizzazione dell’odio verso ciò che è altro e diverso da noi. Un tale ‘specismo' è stato la colonna portante dei più crudeli e reazionari attributi del super-io quando è stato utilizzato per rafforzare la più ristretta coscienza tribale, l’esclusività delle caste e l’identità nazionalistica e razzista, cose queste alle quali si deve attribuire la responsabilità di mettere in pericolo, nell’attuale era nucleare, l’esistenza stessa della specie". Erikson afferma che "la psicoanalisi è essenzialmente un metodo storico". Anche quando i dati su cui si sofferma sono di ordine clinico, è in funzione di un’esperienza passata che essa li interpreta. Facendo della psicoanalisi uno strumento concreto di studio della multietnia, egli ha aperto una strada che val la pena di continuare a percorrere in un tempo segnato sempre più dalla interdipendenza planetaria.

L'infanzia La prima fase, orale-sensoriale, inizia con la nascita ed è imperniata sull'acquisizione di una fiducia di base e della sua controparte, la sfiducia di base; entrambe necessarie ai fini dello sviluppo poiché andranno integrate. La fiducia di base verrebbe acquisita per mezzo delle continue esperienze di tipo sensoriale garantite dalla figura materna. Le varie frustrazioni, come quella legata a provvisorie assenze della madre, hanno l'opportunità di essere gestite proprio grazie all'acquisita fiducia di base. Ciò che permette la modulazione di fiducia e sfiducia, per Erikson, è la speranza. Egli la definisce come la convinzione permanente della realizzabilità dei desideri.

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La seconda fase corrisponde a quella anale-muscolare dello sviluppo psicosessuale. Questa fase è segnata dal controllo e dalla disciplina. Il bambino apprende, in modo graduale, a sottoporre i propri bisogni e desideri al principio di realtà ed a stemperare il proprio egocentrismo nella considerazione della presenza degli altri. Nascerebbe in questa fase una coscienza etica legata soprattutto al sentimento della vergogna, a sua volta correlato all'esperienza del controllo degli impulsi. E' in questa fase che nascono i sensi di autocontrollo, di volontà e di autonomia. La terza fase, quella psicosociale, corrisponde alla fase genitale dello sviluppo psico-sessuale. Autocontrollo, volontà e autonomia si consolida integrandosi in un atteggiamento di padronanza delle situazioni, responsabilità personale ed iniziativa autonoma. Emerge in questa fase la virtù definita fermezza di propositi descritta da Erikson come il coraggio di porsi e di perseguire scopi validi, disinibito dalla sconfitta delle fantasie infantili, dal senso di colpa e dalla paura delle punizioni. L'attività principale del bambino, a questa età, è il gioco; in esso il bambino sperimenterebbe le proprie capacità imparando così a conoscere la realtà, attraverso soprattutto i processi di imitazione ed identificazione con gli altri. E' in questa fase che nascerebbe il senso di colpa, a partire dal riconoscimento che per raggiungere i propri fini si è utilizzato qualsiasi mezzo, soprattutto quelli aggressivi. La quarta fase corrisponde al periodo di latenza dello sviluppo psico-sessuale. Emerge in questa fase il senso di competenza e di efficacia. Questo sentimento va ad integrarsi con le acquisizioni precedenti che come si è detto sopra sono: la speranza, la volontà e la fermezza di propositi. In questa fase il bambino inizia ad impegnare le proprie energie in compiti più maturi, rispetto a quelli esclusivamente ludici della terza fase. Come esempi possiamo citare: le attività scolastiche, sportive, artistiche ovvero impegni che richiedono responsabilità. Questa fase è un momento piuttosto delicato nello sviluppo in cui la sicurezza e la padronanza delle proprie capacità operative, risulta essere premessa per il futuro sviluppo di una riconosciuta competenza lavorativa. Problematiche in questa fase potrebbero 69

produrre un sentimento di inferiorità. In questa importante fase il bambino inizia a ricevere un tipo di educazione più formale, incomincia ad acquisire una serie di condotte sociali ed impara a dominare le proprie reazioni emotive in relazione alla presenza degli altri. Adolescenza Nella quinta fase il mandato dell'adolescente è quello di acquisire un senso di identità che sia stabile ed integrato, rispetto ad uno precedente più diffuso. Si inizia a prendere consapevolezza dei tratti della propria individualità, delle proprie preferenze, dei propri obiettivi e desideri, delle proprie potenzialità ma anche dei propri limiti. Questo processo inizierebbe grazie all'identificazione con i propri pari e con le figure significative che l'adolescente investe di autorità. La transizione dall'infanzia all'età adulta è un momento difficoltoso che vede la coesistenza di due tendenza: una che spinge verso un mondo adulto, complesso, in buona parte sconosciuto e per alcuni versi inquietante ed un'altra dominata dalla riluttanza a lasciare un mondo sicuro, garantito tipico dell'infanzia. L'adolescente soffre di una certa confusione di identità. La crisi di identità di cui parla Erikson nasce dal tentativo messo in atto dall'adolescente di superare la confusione e l'ambivalenza per lasciare poi spazio alla propria identità, con le caratteristiche di stabilità, di coerenza e di separatezza dagli altri. E' in questa fase che si integrerebbe il senso della fedeltà ai propri schemi di riferimento (valori e ideologie). Tipico di questo periodo è l'adesione a forme ideologiche, l'appartenenza ad un gruppo che confermi l'adeguatezza dei proprio valori. Età Adulta (e vecchiaia) La sesta fase segna l’inizio dell'età adulta. Mentre nell'infanzia e nell'adolescenza l'amore è un bisogno indifferenziato, nell'età adulta la ricerca di amore e di relazione è di tipo più maturo. In questa fase le relazioni appaiono come delle scelte

70

di legare la propria individualità a quella di un'altra persona. E' l'amore, inteso come impegno nella relazione, che caratterizza tale fase, quindi la tendenza affiliativa, intesa come compartecipazione a diverse attività, oltre l'amore, quali l'amicizia ed il lavoro. Settima fase: periodo della generatività. E' in questa fase che si esplicherebbe la propria capacità produttiva (persino creativa) nei campi lavorativo, dell'impegno sociale, della famiglia compresa la nascita dei figli. E' la sollecitudine, definita come "la dilatante preoccupazione per ciò che è stato generato dall'amore, dalla necessità o dal caso..." e intesa come tendenza ad occuparsi del proprio simile (cura, assistenza, allevamento dei figli, trasmissione della cultura, ecc.) la virtù emergente in questa fase. L’ottava fase è l’ultima, sottende l'idea della personalità come un processo evolutivo che si protrae fino alla vecchiaia. Questa fase vede l'integrazione di dimensioni psicologiche come l'integrità e la disperazione. In seguito all'essersi occupati delle persone amate e portato a termine i vari obbiettivi mondani, ecc. arriva il momento della riflessione sulla propria esistenza. E' il periodo dell'affermazione della propria individualità e del proprio stile esistenziale. Sono la diversità ed il senso di compiutezza i costituenti del patrimonio di ogni individuo a quest'ultima fase. Anche la disperazione rispetto alla propria esistenza e alla vita, di fronte alla realtà della morte, entra a far parte di questa fase. E' il momento del bilancio, della nostalgia di eventuali rimpianti. Affinché questa fase non degeneri in un sentimento di decadimento è importante integrare la virtù della saggezza, un interesse distaccato per la vita in sé, al cospetto della morte. Questa permette all'individuo di accettare il limite dell'esistenza.

L’analogia di questo pensiero con il sistema dei chakra si rivela maggiormente dall’esistenza per ogni virtù di un doppio negativo, che pone il l’individuo alla continua ricerca di equilibrio. 71

Durante la prima fase, la virtù e il suo doppio sono la fiducia e la sfiducia di base, modulate dalla speranza. Queste si acquisiscono in primis nel rapporto materno costituito sia da gratificazioni che da frustrazioni. L’aspetto negativo è che il rapporto col materno, se deteriorato, può esprimersi nell'adulto in una forma di idolatria. Nella seconda fase emerge la virtù della volontà. E' il periodo in cui si acquisisce il controllo in relazione al sentimento di vergogna. Per contro, il rischio che si corre è che la degenerazione di questa fase può portare al legalismo ovvero la soddisfazione nel punire più che nel comprendere e compatire. L’ emerge della fermezza si acquisisce nella terza fase, in relazione al senso di colpa per aver utilizzato qualsiasi mezzo (soprattutto aggressività) per il raggiungimento dei propri scopi. Il prevalere della drammatizzazione rischia però di portare l’adulto, in un modo fatto di menzogne e fondato sull’illusione. Nella quarta fase avviene l’acquisizione del senso di competenza e di efficacia. Si apprendono cerimoniali sociali ed è il periodo dell'educazione formale (scuola). La controparte negativa dell'educazione formale può essere un eccessivo formalismo nell'adulto che potrebbe inibire la spontaneità. Durante l’adolescenza (quinta fase) si acquisisce un senso di identità stabile, coerente e separata dagli altri. Emerge la fiducia nei propri schemi di riferimento. Perciò un esito negativo di tale fase porta a un mondo in cui c'è un bisogno di adesione ideologica, è il totalitarismo, ovvero il corrispondere in modo esclusivo e fanatico a ciò che appare ideale. Con l’inizio dell'età adulta (sesta fase). Emerge la tendenza affiliativa, intesa come compartecipazione a diverse attività come il lavoro, l'amicizia e l'amore. L'amore viene inteso come un impegno nelle relazioni. Il risvolto negativo di questa fase è la creazione di gruppi esclusivi ed élitari che esprimono una forma di narcisismo comunitario. Con la settima fase, il periodo della generatività l’attenzione è concentrata sull'esercizio della propria capacità produttiva. Emerge la sollecitudine come 72

tendenza ad occuparsi del proprio simile (allevamento dei figli, trasmissione della cultura, assistenza, sostengo economico, ecc.). la sponda opposta porta all'autoritarismo, in cui ad esempio la trasmissione della cultura avviene attraverso l'abuso di potere e non attraverso un uso democratico di tale potere che favorirebbe un atteggiamento critico e creativo. Il periodo della vecchiaia (ottava fase), è il momento del bilancio e delle riflessioni sull'esistenza. Devono essere integrate le dimensioni psicologiche dell'integrità e della disperazione. La disperazione è legata all'inevitabilità della morte. La virtù che emerge è la saggezza, intesa come interesse distaccato per la vita in sé al cospetto della morte, e che rende la vecchiaia più vitale e gioiosa. Alla saggezza si contrappone la supponenza ovvero la convinzione, poco saggia, di essere davvero saggi. In una parola, l’attaccamento. È, appunto, da questa alternanza tra apetti positi e negativi che si instaura il pensiero di Erikson e che trova, più che in ogni altra teoria stadiale, uno stretto parallellismo con i principi di carenza ed eccesso del sistema dei chakra. Come visto nel primo capitolo, nel percorso evolutivo del sistema dei chakra è evidente la somiglianza tra le struttre delle fasi. Concetti come equilibrio e pulsione, hanno qui gli stessi significati. Va inoltre sottolineato la relazione tra la psicologia sociale, la teoria di sviluppo psicosociale e il sistema dei chakra. Come già detto, per Erikson la necessità di inserire lo sviluppo del soggetto in una realtà sociale, è il punto di partenza da cui non è possibile non iniziare. Alla luce di questo quidi, anche la relazione tra il modello del Kundalini Yoga e la psicologia sociale si fa più chiaro ed esplicito.

73

Capitolo III: Il contesto culturale della postmodernità Che privilegio straordinario sarà per noi e per i nostri figli, assistere a quella che credo sarà la più grande rivoluzione della storia umana: capire noi stessi. L’idea di riuscire in una simile impresa è insieme elettrizzante e inquietante. V.S. RAMACHANDRAN

1 Il pensiero della crisi e i paradigmi del postmoderno Per inquadrare in modo efficace la relazione fatta tra Kundalini Yoga e psicologia sociale nel contesto attuale, è necessario analizzare e comprende la struttura e le origini del nostro tempo. Una prima analisi, sul concetto di postrmodernità non è tuttavia sufficente a fare chiarezza sul reale valore della simmetria tra due discipline così distanti come tempo e cultura di riferimento. Per non fermarsi alla superfice del problema, è infatti necessario comprendere come siano nati i paradigmi della cultura occidentale, in modo da poter così collocare sia i ragionamenti fatti sullo sviluppo della psicologia, sia quelli sulla relazione tra Kundalini yoga e psicologia sociale in un quandro più ampio. Scopo di questo capitolo sarà appunto quello di preparare il terreno. In termini di storia della cultura la modernità può essere definita come quel punto di fuga del pensiero occidentale che, a partire dal XVI secolo, segna l'avvio di un processo di disincanto del mondo, di distanziamento della società dalla natura e dell'uomo dal cosmo. Tale processo, che sarebbe riduttivo definire di laicizzazione, è stato in realtà un processo di costruzione di un sofisticato modello di cultura che si traduce in tre fondamentali assunti.

74

In primo luogo la modernità si caratterizza per affermare la centralità dell'uomo rispetto al mondo e il suo divenire misura di tutte le cose; ciò comporta una continua osservazione da parte dell'uomo della sua stessa natura e la conseguente obbligazione di conoscere il mondo per conseguire la posizione di dominio che gli compete. In questo senso la psicologia, in quanto conoscenza del sé, è davvero il prodotto più maturo della modernità. Il secondo assunto è costituito dal privilegio accordato alla razionalità nel processo della conoscenza e, di conseguenza, dalla pratica di una fiducia profonda nel sapere come strumento di appropriazione (ma anche di invenzione) della realtà. Infine il marchio più visibile della modernità è la fede nella possibilità di realizzare, per effetto della centralità dell'uomo e del privilegio del sapere, un ordine definitivo del mondo attraverso l'indefinito sviluppo della convivenza umana, il suo incessante progredire nel processo di emancipazione della persona, di dominio e trasformazione (si potrebbe anche dire creazione) del mondo. 1.1 Storia e crisi della modernità Così interpretata la modernità altro non è che un modello culturale, il quale si sviluppa nell’occidente europeo in un ciclo storico definito: dal XIV al XX secolo sulla base di una datazione ampia, dalla rivoluzione scientifica

alle grandi

rivoluzioni tecnologiche della seconda metà del secolo scorso (XVII-XX). La particolare forza di questo modello culturale rispetto alle altre culture a livello mondiale si è mostrata vincente ed è divenuta dominante nel corso dei secoli. La modernità ha coinciso con il primato dell’Occidente europeo. È ciò che viene definito e vissuto appunto come “eurocentrismo” quale specifica fase di sviluppo della civiltà umana. Tuttavia proprio per effetto della sua forza espansiva e di attrazione la modernità, come particolare modello di cultura, ha generato, al suo stesso interno una profonda revisione critica. La “critica alla modernità” si è sviluppata nella sconda metà del XIX secolo a partire dal pensiero e dall’opera di Nietzsche, ha trovato 75

forza nella reazione al positivismo scientifico e, dopo il disastro della civiltà europea conseguente alla Prima guerra mondiale, ha dato il via ad un generale dibattito

sui

limiti

stessi

del

pensiero

moderno

inteso

appunto

come

“eurocentrico”. La crisi della modernità celebrata nel corso del XX secolo ha posto in evidenza alcuni cerchi viziosi sui quali il dibattito è ancor oggi aperto.

La centralità dell'uomo e il progressivo disincanto del mondo hanno finito per generare

una

desacralizzazione

dell'humanitas,

poi

una

polverizzazione

individualistica («un individualismo estremista» o un «egoismo possessivo» o un «individualismo repressivo» sino a realizzare una soggettività che «minaccia di imprigionare l'individuo tutt'intero nella solitudine del suo cuore». Il privilegio accordato alla razionalità come strumento della conoscenza ha realizzato, a sua volta, un processo di autolegittimazione della conoscenza scientifica e favorito la presunzione di una totale coincidenza tra verità ed emancipazione in virtù della sequenza ricerca scientifica - ricerca applicata tecnologia - produzione di beni materiali - benessere - libertà. Si è assistito così all'insorgere di un primato della ragione strumentale, intendendo con ciò «il tipo di razionalità cui ci rifacciamo quando calcoliamo l'applicazione più economica dei mezzi disponibili a un fine dato». L'intreccio sempre più stretto tra potere e sapere, in luogo di fondare la nostra emancipazione, rischierebbe di soggiogare la mente e di ridurre a zero il grado della nostra libertà. Oggi la centralità dell'uomo ridotta a celebrazione dell'individualismo e il privilegio della razionalità ridotto a mitologia della ragione strumentale rischiano infine di dare scacco alla speranza-programma propria dell'età moderna di realizzare uno stabile ordine del mondo in vista dell'emancipazione della persona umana. E così il terzo assunto della modernità, la fede nella possibilità di un progressivo sviluppo della socialità a misura umana e di un potere dal volto umano che la governi, minaccia ormai di trasformarsi in una sfiducia profonda, se non radicale, nei confronti della razionalità della città terrena. Detentore del sapere tecnologico e 76

del potere della tecnologia, lo stato totalitario è divenuto, nel XX secolo, organizzatore di apparati repressivi formidabili che, ancor oggi, minacciano l'esistenza dei diritti del cittadino. A tal punto che si sono radicate correnti di pensiero e un vasto dibattito volti a celebrare il “declino” e il “tramonto” dell’Occidente come punto di arrivo terminale della cultura della modernità caratterizzati dalla pericolosa mutazione della ragione e degli scopi della socialità.

Sulla scorta della tre grandi rivoluzioni della seconda metà del XX, quella dalle fisica atomica (anni ’40), della biologia molecolare (anni ’50), dell’informatica (anni ’60) il dibattito sulla crisi della modernità sembra ormai avere trovato un punto di sbocco in un nuovo approccio interpretativo che definisce la modernità come un ciclo concluso dell’esperienza umana a vantaggio di un nuovo modello culturale e di una nuova civiltà davvero universale: il postmoderno. 1.2 I paradigmi fondanti del postmoderno Va subito precisato che l’uso stesso del termine “postmodoerno” (e di “postmodernità”), lanciato negli anni ’80 del secolo scorso da François Lyotard come sfida per una critica radicale del razionalismo, raccoglie oggi tutte quelle istanze di revisione della cultura della modernità. É questo un tema, assai discusso e ricco di sfaccettature, che chiama una pluralità di interventi e interpretazioni e addirittura un nuovo linguaggio. J. Habermas definisce la modernità un “progetto incompiuto”37, Gehlen la interpreta come una cultura “cristallizzata” nella quale la “storia delle idee si è ormai conclusa”38; Vattimo coniuga la crisi della modernità con l’insorgere di un pensiero debole; Severino con un trionfo della tecnica che conduce alla irreversibile disumaniszzazione; sulla stessa linea interpretativo di un tramonto delle modernità si colloca Umberto Galimberti.

37 38

Jürgen Habermas (1987), Il discorso filosofico della modernità, p. 12 Gehlen, citato in Jürgen Habermas (1987), Il discorso filosofico della modernità, p. 16 77

“Se la tecnica diventa quell’orizzonte ultimo a partire dal quale si dischiudono tutti i campi d’esperienza, se non è più l’esperienza che, reiterata, mette capo alla procedura tecnica, ma è la tecnica a porsi come condizione che decide il modo di fare esperienza, allora assistiamo a quel capovolgimento per cui soggetto della storia non è più l’uomo, ma la tecnica che, emancipatasi dalla condizione di mero «strumento», dispone della natura come suo fondo e dell’uomo come suo funzionario”39. Paolo Rossi ho fornito un paradigma interpretativo del moderno rispetto al postmoderno sulla base delle seguenti categorie di opposizioni40: • la cultura della modernità viene definita come caratterizzata da una ragione “forte” che costruisce spiegazioni totalizzanti del mondo; • una ragione universalmente diffusa che fonda il concetto stesso di humanitas; • una cultura dominata dall’idea di uno “sviluppo storico del pensiero come incessante e progressiva illuminazione”, appropriazione di conoscenze, garanzia di successo; • che conferisce al pensiero scientifico una autoleggitimazione e assicura la coincidenza tra verità scientifica ed emancipazione morale e civile; • che accetta una interpretazione della temporalità come lineare e quindi dal superamento e dal continuo susseguirsi di novità; • infine sorretta dalla certezza dello sviluppo come evento o serie di eventi positivi (progresso) e della certezza di un positivo impatto della tecnologia come strumento capace di assicurare il dominio s e la previsione.

Per contro

il postmoderno viene definito come un nuovo approccio culturale

caratterizzato da; • un progressivo indebolimento della razionalità e della messa in crisi del significato della storia; 39

Galimberti (1999) Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, p. 34 78

• della pluralità dei modelli e paradigmi della razionalità non omogenei, vincolati al loro specifico campo di applicazione; • un nuovo approccio culturale nel quale la scienza riconosce il suo carattere di discontinuità nella crescita e quindi l’imprevedibilità delle sue applicazioni; • nel quale scienza e tecnologia non rilasciano più verità e anzi non appaiono in grado di garantire la libertà morale e materiale dell’uomo; • infine una cultura caratterizzata dalla dissoluzione dell’idea del nuovo come conseguenza prevedibile e dominabile dello sviluppo e della conseguente affermazione del “nuovo” come valore in sé.

Oltre i confini di questo dibattito sulla contrapposizione modernità/postmodernità, dibattito ancora aperto e irrisolto, sono tuttavia da registrare nuove tendenze che vanno nella direzione non di una fine della modernità come modello culturale, ma come il suo superamento verso un nuovo orizzonte che è quello di una cultura universale che non comporta solo il trionfo di una minacciosa tecno-polis, ma la riscoperta di una nuova cosmo-polis.

Il paradigma della nuova cultura, una sorta di nuova modernità o di una modernità radicale, viene vissuta ad esempio da Edgard Morin come il costituirsi di “nuovi saperi” conseguenti alle tre grandi rivoluzioni del Novecento (quella atomica, biologica, informatica) che attribuiscono all’uomo nuove responsabilità di crescita e collaborazione a livello universale. Noi non abbiamo le porte che aprano le chiavi di un avvenire migliore. “Hel camino se hace andar” (Antonio Machado). Ma possiamo individuare le nostre finalità: perseguire l’ominizzazione in virtù dell’accesso alla cittadinanza terrestre in una comunità planetaria41.

40 41

P. Rossi (1989), Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, p. 34 E.Morin (1999), I sette saperi necessari all’educazione del futuro, p. 121 79

In particolare la nuova cultura del XXI secolo apre la strada a una radicale definizione del concetto stesso di Umanità: L’Umanità ha cessato di essere una nozione solamente ideale: è divenuta una comunità di destino e solo la coscienza di questa comunità può condurla a una comunità di vita42.

Il che implica automaticamente una rifondazione del sapere e un rifondazione dell’uomo stesso,

Jeremi Rifkin in un testo ormai classico ha definito questa fase di superamento del ciclo culturale della modernità come l’avvento di una nuova era della civiltà umana: “l’era dell’accesso” nella quale crollano tutti i tradizionali approcci della cultura capitalistica occidentale e nella quale la mercificazione della cultura da luogo alla “società della conoscenza”. Un modello di società nel quale si sviluppa anche una nuova antropologia. Si tratta della comparsa di un nuovo paradigma dell’essere umano che lo psicologo Robert J. Lifton ha annunciato così: Un nuovo archetipo umano ha fatto la sua apparizione. L'uomo nuovo del ventunesimo secolo è profondamente diverso da coloro che l' hanno preceduto, nonni e genitori borghesi dell'era industriale: si trova a suo agio trascorrendo parte della propria esistenza nei mondi virtuali del ciberspazio, ha familiarità con i meccanismi dell'economia delle reti, è meno interessato ad accumulare cose di quanto lo sia a vivere esperienze divertenti ed eccitanti, cambia maschera con rapidità per adattarsi a qualsiasi nuova situazione (reale o simulata)43. Questa rivoluzione antropologica, trasforma l'uomo della modernità eurocentrica. Da attore della conquista di un potere assoluto sulla natura e sulle altre culture che hanno mantenuto un rapporto di amicizia/simpatia con la dimensione cosmica, egli diviene il navigatore delle reti che creano contatti tra innumerevoli universi 42 43

E.Morin (1999), I sette saperi necessari all’educazione del futuro, p. 120 Rifkin Jeremj (2000), L’era dell’accesso, la rivoluzione della new economy, p.314 80

culturali. Si tratta di una nuova antropologia che lascia appena intravedere una sorta di interazione/integrazione permanente tra Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo proprio sul tema centrale dell’approccio psicologico: la conoscenza di sé e la possibilità della costruzione di un soggetto davvero universale.

2 Antropologia del modello sistemico Grazie all’avvento del postmoderno, un nuovo studio sull’essere umano può quindi essere fatto. Uno studio che non può fare a meno che aprirsi verso nuovi paradigmi culturali, integrando le differenti metodologie di pensiero, credenze e scoperte che l’uomo ha condotto adattandosi con gli strumenti comuni all’ambiente.

Per

strumenti

comuni

intendiamo

in

questa

sede,

quelle

caratteristiche fisiologiche e neurologiche che dall’homo sapiens (i cui primi reperti sono datati fra i 500.000 e i 300.000 anni fa) a oggi sono rimaste pressoché immutate. L’homo sapiens è l’ultima tappa nell’accrescimento del cervello, che arriva molto presto ad una media intorno ai 140 cc, quella attuale, con poche differenze tra maschi e femmine […] , ma con molta variazione tra individui44. È opinione ormai accettata che da quel tempo l’uomo non ha fatto altro che apprendere come utilizzare meglio gli strumenti di cui disponeva. Il cervello, così come il corpo, era già completo, e con delle potenzialità in essere di incredibile utilità rispetto agli altri abitanti del pianeta. È questo il punto di forza che ha consentito alla specie di distanziarsi da tutti gli altri esseri viventi: la vera carta che abbiamo giocato, è stata una carta che solo il nostro cervello poteva leggere e tramandare: il linguaggio. 2.1 Linguaggio e gestione della complessità

44

Cavalli-Sforza (1993), Chi siamo, la storia della diversità umana, p. 73. 81

Gli studi condotti da Steven Pinker, direttore del centro per le neuroscienze al Mussachasetts Institute of Technology, hanno certificato, come la nascita del linguaggio non sia un artefatto appreso, ma, citando le sue parole: Il linguaggio è […] un pezzo a sé del corredo biologico del nostro cervello. Il linguaggio è un’abilità complessa e specializzata, che si sviluppa spontaneamente nel bambino senza sforzo conscio o istruzione formale, che viene usato senza la coscienza della sua struttura logica, che è qualitativamente lo stesso in ogni individuo e che è distinto da capacità più generali, come l’elaborare informazioni o il comportarsi in modo intelligente45.

Pinker si spinge oltre, affermando che è il linguaggio è la manifestazione di un struttura psichica comune a tutti gli esseri umani, superando le teorie sul determinismo linguistico che vedono nel linguaggio come causa della differenza di pensiero tra le varie popolazioni. Noi ritagliamo la natura, la organizziamo in concetti, le diamo significato, in gran parte perché ci siamo accordati per organizzarla in questo modo; un accordo, il nostro, che vale nella comunità linguistica a cui apparteniamo e che è codificato nelle forme della nostra lingua. L’accordo è ovviamente implicito e tacito, ma i suoi terreni sono assolutamente obbligatori; non abbiamo nessuna possibilità di parlare se non accettando l’organizzazione e la classificazione dei dati che esso decreta46. Scartando queste ipotesi, osserviamo che il linguaggio è una sistema di organizzazione istintivo; ma per quale motivo è stato tanto affinato dall’uomo? Perché, nel suo cammino evolutivo, l’uomo ha puntato tanto su di esso? Quali sono i reali vantaggi di un uso metodico e sistematizzato del linguaggio?

45 46

Pinker Steven (1997), L’istinto del linguaggio, Come la mente crea il linguaggio, p.10 Whorf (1956), citato in Pinker 1994, p. 51

82

Partendo dal presupposto che tutti gli esseri viventi in qualche modo comunicano, il vantaggio del linguaggio appare quindi evidente nella possibilità di riferire in maniera chiara, precisa e completa le esperienze; esperienze che si vanno arricchendo in quanto cumulabili. Un punto in più che si aggiunge ad ogni generazione che nasce, solo per il fatto di essere figlia di una generazione precedente. In una parola: cultura. Si può quindi affermare che è proprio il linguaggio il motore primo della cultura: un pacchetto in continua crescita e metamorfosi che viaggia attraverso il tempo, di generazione in generazione. La cultura, quindi, porta con sé un crescente grado di complessità del mondo in cui l’uomo si colloca. Complessità che cresce con la crescita della cultura stessa, e che rischia, una volta portata all’accesso, di schiacciare l’uomo in un universo di iperconoscenza. Essendo, infatti, il cervello umano un sistema chiuso, che da centinaia di migliaia di anni ha stabilizzato la sua evoluzione, una indiscriminata e incontrollata crescita delle forme culturali porterebbe il sistema in sovraccarico, rischiando di farlo collassare. Degno di nota in questo campo è lo studio condotto da A.R. Lurija (1979), nel suo testo Viaggio nella mente di un nomo che non dimenticava nulla. È la storia di un uomo dotato di una memoria prodigiosa che invade tutto il suo mondo, condizionandone lo stile di vita, la personalità, e rendendo spesso impercettibili i confini tra realtà e fantasia.

Come mai in una persona sana questo non avviene? Un sistema neurologico funzionante adotta automaticamente a livello istintivo (allo stesso modo che per il linguaggio quindi) dei metodi che consentono di gestire in maniera efficiente gli stimoli esterni e le pulsioni interne. Viene cioè fatta una scelta a livello inconscio di ciò che vale la pena osservare e ciò che è considerato superfluo. È su questa scelta inconscia che si basa la nostra concezione del mondo. 83

Ci si può spingere ancora più avanti, così come il cervello elabora degli strumenti per gestire la complessità del mondo in cui agisce, così la cultura si struttura su un sistema di gestione della complessità che essa stessa produce. Possiamo quindi affermare che la cultura, in quanto strumento più efficace ai fini evolutivi delle specie, è un sistema che al tempo stesso genera e gestisce complessità. Questa è la sua grande forza, e la ragione per la quale la nostra specie, avendone la possibilità, l’ha abbracciata facendo di essa la sua arma più affilata nella lotta per l’evoluzione e la sopravvivenza. Da quando gli antenati dell’Homo Sapiens hanno lasciato il continente Africano, è cominciato un lungo processo di adattamento e di apprendimento di nuove facoltà. Lentamente il linguaggio, e con lui la cultura hanno cominciato a essere utilizzati come strumenti efficaci per la supremazia sul pianeta. Ogni popolo, a seconda delle condizioni climatiche e ambientali che si è visto costretto ad affrontare, ha elaborato un suo sistema di gestione della complessità, che ha imposto, insieme al linguaggio, differenti strutture di pensiero. Conflitti culturali, come: la grande scissione tra oriente e occidente, le intolleranze religiose, le incomprensioni etiche, e tutto quanto riduce la possibilità di comprensione tra le genti, hanno origine da questo. È il paradigma della torre di Babele. Il libro della Genesi narra infatti che in un tempo

remoto

tutti

gli

uomini

parlavano

un’unica

lingua;

consapevoli

dell’importanza di questo decisero di costruire un’unica città in cui vivere per non disperdersi, consci del potere di cui erano in possesso, al centro della città decisero di erigere una grande torre. Ma Dio, vedendo questo si preoccupò del fatto che avrebbero potuto con le sole loro forze raggiungere il paradiso e disse: “Ecco essi sono un unico popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile, scendiamo dunque e

84

confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro47”. Così Dio li disperse per tutta la terra confondendo la loro lingua.

Con l’avvento dell’era dell’accesso e dei processi di modernizzazione48

una nuova

Babele sta sorgendo; siamo solo ai primi gradini, ma già da qui abbiamo acquisito una nuova visibilità sul mondo che ci circonda. La consapevolezza di differenti sistemi di gestione della complessità ugualmente validi, la nascita di un individuo padrone di se stesso e radicato in una sostanziale soggettività, ha cambiato il modo di osservare il mondo e ha dato al singolo la possibilità socialmente riconosciuta e accettata di scegliere quali modelli culturali, e di conseguenza quali strumenti di gestione della complessità ritiene più adatti per il suo sviluppo. Per operare tale scelta è di estrema importanza conoscere quali sono i paradigmi della cultura in cui si nasce e in cui si sviluppa il linguaggio e il pensiero nei primi anni di vita. Il pensiero occidentale ha trovato nel metodo scientifico uno strumento di supremazia sugli altri modelli culturali; negli ultimi decenni, grazie alla crisi della modernità di cui si è già ampiamente trattato, ci è stato possibile rivedere i paradigmi della nostra cultura in un ottica di possibile integrazione tra pensiero tradizionale e alternativo La ragione per cui il metodo scientifico si è mostrato uno strumento assolutamente infallibile è, naturalmente, proprio il linguaggio: chiaro, preciso e riferito sempre a singoli elementi stabili data la loro imprescindibile verificabilità. 2.2 La struttura del pensiero scientifico Si deve, come noto, a Galileo Galilei il decisivo contributo alla scienza moderna, tanto da esserne considerato il padre; anche se Galilei non espose mai in modo sistematico le sue metodologie, ma si limitò semplicemente a teorizzarle ed applicarle durante le sue sperimentazioni, i molti studi fatti in seguito ne hanno 47 48

La Sacra Bibbia (1987), Genesi: 11, 1-9 J. Rifkin (2000). 85

consentito una valida schematizzazione individuando un metodo per procedere nello studio dei fenomeni. Inizialmente si divide il lavoro in un momento risolutivo e in uno compositivo. Nel primo si ha lo studio degli elementi semplici quantitativi e misurabili e si formula un’ipotesi matematica della legge. Il secondo momento è costituito dalla verifica e dall’esperimento, in base al risultato si controlla la verità dell’ipotesi ; se essa viene confermata diviene legge. Nel caso contrario lo scienziato è costretto ad avanzare un’altra ipotesi, e così via; una delle probabili ragioni per cui Galileo non fissò mai le tappe del suo metodo è dovuto alla necessità di una compresenza fra l’indagine empirico induttiva e il momento ipotetico deduttivo;

dalla possibilità di

immaginare, intuire, relazioni apparentemente inesistenti,

in taluni casi

l’esperienza empirica va anteposta ad ogni discorso, ma in altri no, come afferma lo stesso Galileo: Senza esperienza son sicuro che l’effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua49. Questo significa che egli in certi casi, come nelle leggi sulle fasi di Venere, procede dall’osservazione di casi particolari giungendo ad una legge generale quindi per via empirica. In altri, come il principio d’inerzia o la caduta dei gravi, parte da ragionamenti logico matematici scaturiti da un’intuizione di base e procedendo per supposizioni formula la teoria; a questo punto lo scienziato si riserva la verifica. L’oscillazione fra induttivismo e deduttivismo ha dato vita a diverse interpretazioni anche se si può affermare che fra i due differenti aspetti vi è una relazione tanto stretta da renderli indissolubili. La relazione quindi sembra il vero elemento fondante del pensiero scientifico, relazione che, riprendendo le parole di Galileo sopra citate, è una sicurezza, di più: è la consapevolezza di ciò che è corretto. 49

Galileo (1610), Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano, e-book di Google. 86

Questo concetto di relazione, è stato a,lungo analizzato da un filosofo e semiologo americano, le cui opere solo recentemente stanno emergendo come uno dei massimi picchi concettuali del pensiero statunitense: Charles Sanders Peirce. Pierce pone al centro del ragionamento scientifico il concetto di abduzione: L’abduzione è “ il primo passo del ragionamento scientifico” e “l’unico tipo di argomento che origina una nuova idea” Inoltre l’abduzione è associata con, o meglio produce, […] un certo tipo di emozione, che la distingue nettamente da induzione e deduzione50. L’abduzione prende lo spunto dai fatti, senza all’inizio, avere alcuna particolare teoria in vista, benché sia motivata dalla sensazione che si richiede una teoria per spiegare fatti sorprendenti. L’induzione prende lo spunto da un’ipotesi che sembra raccomandarsi senza avere all’inizio alcun particolare fatto in vista, benché ci sia la sensazione di avere bisogno di fatti per sostenere una teoria. L’abduzione cerca una teoria. L’induzione cerca dei fatti. Nell’abduzione la considerazione dei fatti suggerisce l’ipotesi. Nell’induzione lo studio delle ipotesi suggerisce gli elementi che portano alla luce i fatti autentici a cui l’ipotesi mirava51. (Peirce 1929) Per Peirce, il vero ragionamento fondamentale e la vera inferenza essenziale non é quella induttiva né quella deduttiva, è quella "abduttiva", cioè la capacità di formulare delle ipotesi plausibili, avanzare delle istanze probabili, e l'abduzione procede, come segue, secondo un esempio di Peirce: si va non dal presente alle conseguenze come nella induzione ma anzi si va dall'antecedente alle conseguenze. L'abduzione, cioè la probabilità del ragionamento probabile, procede supponendo uno stato di cose antecedente non osservabile che spiega uno stato di cose presente osservabile. Peirce ragionava con i sacchi di fagioli e l'estrazione dei fagioli per vedere se sono bianchi o neri; secondo la sua esemplificazione se su questo tavolo ci sono fagioli bianchi e se nella stanza ci sono vari sacchi di fagioli ma uno solo 50

Eco-Sebeok (1983), Il segno dei tre Holmes, Dupin, Peirce. 87

contiene fagioli bianchi allora io ne devo "abdurre", devo trarne l'ipotesi, che questi fagioli bianchi siano stati tratti da quel sacco anche se io non ho osservato questa realtà; non sono stato presente a questo fenomeno. Così, secondo Peirce, ragiona l'uomo. Per questa via l'uomo ottiene successo nelle sue inferenze razionali e su questa base è impiantabile un metodo della ricerca scientifica che ha nell'induzione certo la sua verifica, ma ha nell'abduzione il suo fondamento.

Seguendo questo principio è forse possibile declinare un denominatore comune di molte forme culturali differenti: il concetto di trinità. Abbandonando per un attimo il pensiero cristiano (che comunque rientra nel modello che si può abdurre ) il concetto di trinità, inteso come una struttura di tre elementi con una particolare legame ricorre in religione, filosofia, antropologia, psicologia, fisica, neurologia e in molti altri modelli culturali. Il modello culturale fondato su tre elementi è un dato sorprendentemente ricorrente nella maggior parte delle culture e delle civiltà; senza voler affrontare un ragionamento di tipo numerologico sul significato intriseco del numero tre e sul rapporto tra pari e dispari, la semplice osservazione delle congruenze tra metodi e modelli differenti può dare una chiave interpretativa intiuitiva del macro modello a cui questi fanno riferimento. Leggendo un qualunque manuale di storia delle religioni di sociologia o

di

antropologia la ricorrenza del concetto di trinità riscontrabili balza subito agli occhi. Di seguito segue una sommaria rapprentazione di questa ricorrenza, che vuole solo essere esemplificativa del modello. L’obiettivo è appunto quello di far emergere il significato della ricorrenza, senza riflessioni storiche e pregiudizi culturali, ma come se fossero una realtà antropologica manifesta di un aspetto comune a tutti gli esseri umani. Ci si soffermerà solamente su quei modelli, dal carattere di maggiore universalità. 51

Peirce (1929), Guessing, in The Hound and Horn 2: 267-282, citato in Eco-Sebeok (1983). 88

Procedendo quindi diciamo che, per Vico gli elementi che si devono riscontrare in un gruppo di esseri umani per poterli definire società sono tre: la religione, la sepoltura dei cadaveri e la contrazione di matrimoni. Per Freud sono tre gli stati dell’io: io es e super io, così come sono tre i tabù delle società totemiche. Il cristianesimo si fonda sulla trinità Padre figlio e spirito santo Nell’Induismo tre sono le divinità maggiori: Bramha Vishnu e Shiva, dove Bramha è l’assoluto, Vishnu la forza creatrice e Shiva quella distruttrice. Mc Lean sviluppa una concezione del cervello dell’uomo come uno e trino, in quanto in sé il paleocefalo (struttura ereditata dai rettili nella quale risiedono o, per meglio dire, che è la fonte, di aggressività, calore e pulsioni primarie), il mesocefalo (eredità degli antichi mammiferi in cui cono connessi tra loro sviluppo dell’affettività e memoria a lungo termine) e la corteccia, che nei mammiferi cresce fino a racchiudere tutte le strutture dell’encefalo e a formare i due emisferi cerebrali. Secondo la filosofia taoista, che porta con sé le fondamenta, in ogni sua forma ed espressione, di tutto il pensiero cinese sono tre gli elementi fondamentali, che rappresentano la struttura e al tempo stesso l’origine del mondo: Yin, Yang e Tao La creazione dell’universo si avviò da uno stato di suprema vacuità, di vuoto senza limiti chiamato wuji. Il Wuji quindi esiste prima che qualsiasi cosa accada: quando da esso qualcosa sorge la condizione originaria di vuoto cessa, ed è a questo punto che si manifesta il taiji. Col taiji si entra nel mondo della dualità [ dove regnano lo yin e lo yan ], il mondo che noi tutti conosciamo. Lo yin e lo yang sono soltanto delle manifestazioni transitorie del Tao che governa il reale , sono degli emblemi provvisti di una potenza evocativa indefinita e totale52. 52

Occhipinti (1995), Il Quigong, L’arte cinese del respiro, p. 9.

89

I popoli indoeuropei articolarono la loro struttura sociale intorno a tre funzioni in cui divisero le caste sociali: la prima funzione governava il patrimonio mitico e rituale, la seconda funzione esprimeva l’attività bellica, la terza tutte le attività economico e produttive. Cesare nella guerra gallica, afferma che le popolazioni dei Celti e dei Germani venerava solo gli dei che erano in grado di vedere e da cui traevano giovamento o castigo in modo diretto: il Sole il Vulcano e la Luna. Anche nella Roma antica incontriamo svariate triadi: Giove, Marte e Quirino che formano la triade arcaica, perfettamente simmetrica alla triade iguvina formata da Giove, Marte e Vofionus. La triade arcaica, o pre - capitolina fu sostituita dalla triade Capitolina Giove, Giunone, Minerva; anche’essa ispirata dalla triade greca Zeus, Era e Athena. Nella filosofia tantrica sono tre le vie da percorrere per raggiungere la liberazione: la pronuncia di Mantra (parole e suoni che racchiudono in sé il potere divino) la meditazione sui Mandala (diagrammi dell’universo e percorsi della mente in meditazione), e la concentrazione sulle Mudra (gesti delle mani e posizioni del corpo che simboleggiano concetti metafisici).

E proseguendo così potermmo elencare ancora moltissime terzià (definite in tal modo dallo stesso Peirce), riscontrabili come detto in altrettante forme culturali. Procedendo col metodo di analisi del filosofo americano, a questo punto non resta altro che porci un’abduzione come domanda, o per meglio dire, tirare a indovinare, nella speranza che l’intuizione che ha originato tutto questo flusso di pensiero porti verso quel bagliore lontano che l’intuito ci ha segnalato. Un oggetto qualsiasi presenta una straordinaria combinazione di caratteristiche delle quali noi vorremmo avere una spiegazione. Che esista una spiegazione di esse è solo una assunzione; e se c’è, è un qualche fatto sconosciuto che le spiega; mentre ci sarebbero,

90

poniamo, un migliaio di altre spiegazioni possibili se non fossero, sfortunatamente, tutte false. Viene trovato, in una strada di New York, un uomo pugnalato alla schiena. Il capo della polizia potrebbe prendere un elenco anagrafico, puntare il dito su un nome qualsiasi e provare a vedere se si tratta dell’assassino. Che valore avrebbe un simile tentativo? Eppure il numero di nomi di un elenco anagrafico non è neppure paragonabile alla molteplicità di leggi d’attrazione che avrebbero potuto accordarsi con la legge di Keplero del moto planetario e, in attesa di una verifica […] l’accordo sarebbe stato perfetto. Newton […] assunse che la legge avrebbe dovuto essere semplice. Ma che altro è questo se non un tentativo di tirare a indovinare? Sicuramente vi sono in natura più fenomeni complessi di quanti ve ne siano di semplici… non siamo autorizzati a fare di più che porre [una abduzione] come domanda53. 2.3 L’errore di Cartesio Come Socrate affermava uno dei principali scopi dell’uomo nel suo viaggio nella vita è la conoscenza. Conoscenza che parte in primo luogo da un desiderio, e che in prima istanza deve essere riferito a sé stessi. Comprendersi, per meglio potersi adattare all’ambiente, diviene quindi lo scopo primo della nascita della cultura, in seno a un paradosso grande come la storia dell’umanità: l’uomo non può definirsi tale se non si interroga sulla sua natura, e l’unica risposta che sembra possibile è che questa risposta probabilmente non esiste. Poiché un’abduzione ad una domanda senza scopo genera infiniti contesti e ipotesi possibili, per l’uomo la ricerca non si può arrestare; è un bisogno senza scopo (in quanto impossibile da soddisfare per ipotesi) che in silenzio guida ogni sua azione. C’è da chiedersi se non sia stato proprio guidato da questa spinta lo sviluppo della cultura, e che quindi questa non faccia altro, nelle sue infinite manifestazioni, se non rivelare la natura dell’essere umano. Affermare che l’uomo sia composto da tre elementi: mente, anima e corpo, legati insieme e in continua relazione, non è certo

53

Peirce (1929), Guessing, in The Hound and Horn 2: 267-282, citato in Eco-Sebeok (1983). 91

una novità. Alla luce però delle riflessioni fatte sinora il legame di quasti tre elementi assume un significato più profondo. Le dinamiche di questa relazione, sono presenti in tutte le trinità sopra citate e la loro struttura si mantiene in modo più o meno specifico; quando i tre elementi non fanno un preciso riferimento alla sfera fisica, emotiva e spirituale dell’individuo, mantengono una struttura metafisica che trova la sua forma più chiara e semplice nel Tao cinese. Due elementi che si contrappongono e si bilanciano e uno che li comprende, li giustifica e li mantiene in equilibrio. Che tra corpo e mente vi sia un legame indissolubile è una scoperta che è stata possibile all’occidente solo di recente, in buona parte grazie alle scoperte in campo neuroscentifico. Per secoli l’attenzione della cultura occidentale ai processi mentali è stata tanto vincolante da consentire lo sviluppo di un individuo in cui la natura umana è stata associata solo e unicamente alla ragione. Nel discorso sul metodo, Cartesio, attraverso una sofisticata concatenazione di passaggi logici afferma: Cogito ergo sum54 (Dubito di tutto fuorchè del fatto che io dubito. E, dubitando, io penso e se penso esisto); creando da questo pensiero un mondo bilanciato in un dualismo perfetto. Lo stampo del suo pensiero ha marchiato in modo indelebile lo sviluppo delle scienze e della cultura di tutto l’occidente. È suggestivo pensare che Cartesio contribuì a modificare il corso della medicina, a far sì che essa deviasse dall’orientamento organico, o meglio, “organistico” che era prevalso dai tempi di Ippocrate fino al Rinascimento55.

Ma l’abbandono dell’attenzione al corpo nella nostra cultura non ha certo origine da Cartesio, che più che altro né è una vittima. L’idea di un uomo votato a una 54 55

Cartesio (1937), Discorso sul metodo, e-book Mondadori. Damasio (1995), L’errore di Cartesio, p. 341 92

logica, sinonimo di potere divino è da ricercare nella culla della nostra civiltà, nel pensiero di colui che a ragion veduta viene definito come l’uomo che diede ordine al mondo: Aristotele. Il

passaggio

dalla

filosofia

pre-aristotelica,

al

pensiero

di

Aristotele

è

splendidamente descritto da Robert M. Pirsig nel suo libro lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Tutta l’analisi di Pirsig del pensiero classico ruota intorno al concetto di aretè, che lui stesso definisce come mal tradotto dal termine virtù.

Aretè infatti è un concetto che porta con sé un significato molto più complesso e profondo. Il concetto di “dovere nei confronti di se stessi”, che è la traduzione pressoché esatta del termine sanscrito dharma, e che a volte, è descritto come l’ “uno” degli indù. È possibile che il dharma degli indù e la “virtù” degli antichi greci siano identici? Qualità! Virtù! Dharma! Ecco cosa insegnavano i sofisti, non la relatività della morale. Non la “virtù” ideale, ma l’aretè, l’eccellenza, il dharma!56

La ricerca di Pirsig è tesa a comprendere come mai nel passaggio dalla filosofia socratica a quella aristotelica questo significato viene a perdersi, trasformando l’aretè in semplice virtù. Il passaggio tra le due filosofie è ovviamente nel pensiero di Platone.

Perché distruggere l’aretè? […] Platone non aveva affatto cercato di distruggere l’aretè. L’aveva incapsulata, ne aveva fatto un’Idea permanente e immutabile. […] L’aretè era divenuta il Bene, la forma più alta, l’Idea più elevata. […] Platone dà all’aretè una posizione di grande onore, subordinandola solo alla Verità stessa e alla dialettica, il metodo attraverso il quale si giunge alla verità. Ma in questo suo tentativo di unire il Bene e la verità egli usurpa il posto dell’aretè e mette al suo posto la Verità dialetticamente determinata. Una volta che il bene viene delimitato come idea dialettica un’ altro filosofo

56

Pirsing (1974), Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, p. 360. 93

non avrà difficoltà a dimostrare con metodi dialettici che l’aretè, il Bene, si può con vantaggio sistemare in una posizione più bassa all’interno del “vero” ordine delle cose. Il suo nome era Aristotele57. (Pirsig 1974)

Forte appunto del lavoro del suo maestro Platone, Aristotele ha con sé tutti gli strumenti per dare una sistemazione logica del mondo a suo piacimento. Il lavoro di categorizzazione, e di sistemazione di tutti gli aspetti della vita in una gerarchia precisa e preordinata diviene solo un fatto meccanico, grazie al nuovo potere che la dialettica ha acquisito; così, le forme immutabili ed eterne, le Idee, rappresentate dal solido platonico vengono poste in secondo piano rispetto agli oggetti reali. Le apparenze si aggrappano a qualcosa che è indipendente da loro e che come le Idee è immutabile. Questo “qualcosa” lo chiamò sostanza. In quel momento, e non prima, nacque la nostra moderna concezione del pensiero scientifico58. E così Aristotele comincia la sua analisi di un modo permeato da materia e sostanza; il Bene non è più un concetto assoluto, ma diviene una branca secondaria della conoscenza e viene incasellato nella gerarchia delle cose sotto il nome di etica. Il solido platonico cambia di forma e natura, non è più fatto di un materiale mutevole e impalpabile, ma diventa più che mai una figura immutabile; il vuoto non esiste più, il modo è ora visto come una struttura composta da mattoni strettamente legati uno sull’alto in cui non c’è spazio per trasformazione o cambiamento.

57 58

Ibidem, p. 365. Ibidem, p. 363. 94

L’aretè è morta e la scienza, la logia […] ricevono qui il loro atto costitutivo e la loro missione: di trovare e inventare un’infinita proliferazione di forme riguardanti gli elementi sostanziali del mondo e di chiamare queste forme

conoscenza, trasmettendole alle

generazioni future. È la nascita del “sistema”59.

Ed è proprio spinto dalla foga di questi ragionamenti, dall’ossessione per la logica e per il ragionamento sistemico che Aristotele commette il più grande degli errori. Nella sua divisione e gerarchizzazione del mondo il filosofo spacca l’universo in due: mythos e logos. Intendendo per mythos la capacità creativa di immaginazione, narrazione e sviluppo artistico dell’essere umano; e per logos la capacità di ragionare, conoscere e sistematizzare. Da allora l’uomo ha la possibilità di leggere il mondo attraverso queste due lenti, lo spirito (il mythos) e la mente (il logos). E il corpo? Il corpus? Dove sono finite le pulsioni prime dell’essere umano? Probabilmente un mondo in cui anche le emozioni e i sentimenti influivano nelle scelte e nelle azioni umane era troppo complesso, o addirittura inconciliabile con il sistema di Aristotele, o forse semplicemente il filosofo considerò queste come un retaggio del passato, un qualche cosa di cui l’uomo attraverso la sua nuova e impeccabile visione del mondo si sarebbe riuscito a liberare. Mille ipotesi si possono fare, ma il dato di fatto resta che questa divisione del mondo ha impresso a fuoco uno stampo indelebile in tutto il pensiero occidentale.

59

Ibidem, p. 364. 95

Capitolo IV: Kundalini Yoga e psicologia sociale Il mistero di due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche. Se si verifica una reazione entrambe ne escono trasformate. C.G. JUNG

1 La realtà come legame tra Kundalini Yoga e psicologia sociale: Le riflessioni fatte su cultura, modelli e sistemi, sicuramente non consentono, di osservare la problematica senza filtri culturali. Ciò non di meno, esse ci offrono uno spunto maggiore per approfondire la relazione tra Kundalini Yoga e Psicologia sociale. Alla luce di questa riflessione, il significato del concetto di “legame” può assumere un carattere universale. La stretta relazione che il sistema dei chakra, la Psicologia sociale e la realtà stabiliscono , diventa quindi il nodo di partenza di una lunga treccia. Non si può più parlare di un “sistema”, nè di un “modello” nel senso classico del termine, si sono trasformati diventando simili agli schemi che li sesto chakra tenta di individuare. La psicologia sociale é la psicologia tout court. [...] è certamente. L’interfaccia indispensabile per dare un senso a tutte le altre psicologie. [...]”il pensiero, i sentimenti e i comportamenti delle persone sono influenzati dalla presenza del reale, immaginata o implicita di altre persone”, tenendo conto che l’uomo è inserito in una comunità di altri uomini e che lo studio delle interazioni e degli influenzamenti reciproci è essenziale.

96

Quale branca della psicologia potrebbe non essere sociale? [...] tutti gli oggetti della psicologia sperimentale si possono studiare senza tener conto delle interazioni di un soggetto con altri soggetti, tra cui lo sperimentatore stesso60?

E, per riallacciarci anche al discorso fatto sui modelli di gestione della complessità: Più di recente, l’affermarsi del pricipio di indeterminazione, anche nelle scienze cosiddette “forti”, e l’ottica della complessità, ha condotto a riflettere sul fatto che non ci si può limitare [...] a eliminare le variabili di disturbo: una delle quali, quasi sempre la principale, è costituita dal ricercatore stesso61.

Non potremmo dire lo stesso per lo Yoga Tantrico? Sia nelle sue modalità di trasmissione, sia nel rapporto tra maestro e discepoli, il tantrismo ha sempre tenuto questo principio in grande considerazione. Il rapporto tra allievo e maestro infatti non è un rapporto gerarchico. Il maestro è tale solo perchè riconosciuto tale dal discepolo, che quindi in qualche modo tiene le redini del gioco, avendo pieno possesso della propria libertà. Nonostante ogni maestro abbia la sua personalità, il suo stile, dal punto di vista della discendenza è soltanto un anello di una catena ininterrotta che si perde nella notte dei tempi, ed è proprio questo a conferire potenza alla trasmissione o all’iniziazione [...] Una volta che il discepolo abbia ricevuto questa trasmissione, la portata della sua pratica sarà ineguagliabile62. Il maestro è quindi solo colui che fa emergere e porta agli occhi dell’allievo quanto di più ci sia in lui oltre al principio, e come, quanto questo di più sia per tanto da lui conoscibile e mutabile: ed è proprio questa consapevolezza sull’importanza 60

Di Nuovo S. (2004), in Psicologia sociale, dall’individuo alla collettività, a cura di Bellotto M. e Russo V. (2004), p. 292 61 Di Nuovo S. (2004), in Psicologia sociale, dall’individuo alla collettività, a cura di Bellotto M. e Russo V. (2004), p.291 62 D. Odier (1998), Tantra Yoga, p.43 97

delle influenze esterne (sociali) che si stabilisce il carattere comune delle due discipline, il pricipio, la differenza fondamentale è che le discipline occidentali stanno accettando solo adesso il Principio, come possibile oggetto di studio.

2 La compenetrazione delle discipline Sarebbe un errore affermare che solo con l’inizio dell’era postmoderna la psicologia si è occupata di un’analisi delle metodologie orientali. Uno degli studi più rilevanti fatti da uno psicologo al sistema orientale del Kundalini-Yoga è, infatti, sicuramente quello condotto da Carl Gustav Jung in occasione di un seminario tenuto nel 1932. La necessità di un tale incontro e confronto era nata dall’interesse per un ciclo di conferenze, tenute il 3 ottobre dello stesso anno, ad opera dell’indologo Wilhem Hauer, presso il Club psicologico di Zurigo. È da tenere a mente che ci fu un parallelo storico tra lo sviluppo della psicologia del profondo e la diffusione dei testi yoga in occidente; ed è appunto successivamente a questo che Jung dedicò quattro conferenze all’interpretazione psicologica del Kundalini-Yoga. L’interesse di Jung è rivolto all’aspetto puramente psicologico delle pratiche yoga. Lo psicologo vedeva infatti in tutte le tecniche di meditazione e trascendenza, proprie delle filosofie orientali, e più precisamente della filosofia indiana, un formidabile strumento di introversione. Originariamente lo Yoga era un processo naturale di introversione, [...]Un’introversione del genere porta caratteristici processi di mutamento della personalità63.

Jung (1936), citato in Sonu Shamdasani, Il viaggio di Jung verso l’oriente, introduzione a La psicologia del Kundalini Yoga, Jung (2004), p.33

63

98

Lo scopo di Jung era quello di sviluppare una psicologia comparata interculturale dell’esperienza interiore. In questo aveva identificato nel sistema Kundalini-yoga, un simbolismo che ne rappresenta una efficace sistematizzazione . Come già detto, il termine yoga nella filosofia indù significa legame, ed è associato a ogni tipologia di tecnica ascetica e di meditazione. L’etimologia della parola deriva dalla radice yuj: “legare insieme”, “tenere stretto”, “aggiogare”, come a sottolineare l’importanza di comprendere e tenere aggiogati insieme tutti gli aspetti dell’essere umano, dai più oggettivi e superficiali ai più profondi e inconsci. Yoga significa cogliere la vera essenza, la struttura interiore di un oggetto nella sua realtà vivente come sostanza dinamica, e le sue leggi64. A livello più pragmatico possiamo dire che tutti i sistemi dello yoga sono basati sulla concezione che i corpi viventi devono la loro esistenza all’azione di una sostanza immateriale estremamente sottile che pervade l’Universo e che viene chiamata prana. Essa è la causa di tutti i fenomeni organici. Negli organismi viventi utilizza il cervello e il sistema nervoso manifestandosi come energia vitale, che circola nel corpo assumendo due differenti flussi, uno caldo e l’altro freddo, chiamati prana e apana. L’ossigeno è il principale agente della combustione, dato che brucia le impurità del sangue, mentre l’azoto esercita la funzione di moderare il calore. È anche grazie a questo approccio, di tipo neurobiologico, che le discipline orientali si possono collocare nel panorama culturale occidentale, trovando un significativo parallelismo con le più recenti tendenze, frutto della rivoluzione biologica della metà del 900. Gopi Krishna nel suo libro autobiografico Kundalini, L’energia evolutiva dell’uomo sottolinea che la vita sul nostro pianeta non sarebbe possibile senza l’ossigeno, che è presente nella composizione sia dell’aria che dell’acqua, due elementi indispensabili alla vita. Questa potrebbe essere una indicazione del fatto che sulla 64

Hauer (1932), citato in Jung, La psicologia del Kundalini Yoga , p.42

99

terra l’energia vitale cosmica o Prana Shakti utilizza l’ossigeno come veicolo per la propria attività. Il prana è una parte indispensabile dell’energia cosmica universale (Shakti), che, come abbiamo visto, è la forza dietro ogni fenomeno cosmico; concetto questo, che si riscontra non solo nella filosofia induista, ma anche in altri sistemi di pensiero orientali; l’equivalente di prana, che è un termine sanscrito, è chi nella tradizione taoista cinese e ki in quella giapponese. È sulla consapevolezza dell’esistenza di queste energie che tali sistemi filosofici, sviluppano una moltitudine di divinità che metaforicamente le rappresentano; in particolare nell’induismo spiccano racconti e iconografie vivide di colori e forme aberranti, come a dimostrare la molteplicità e l’incredibile, insiti in ogni essere umano. Strumenti visivi e narrativi scioccanti, che più che mai in queste tradizioni sono tanto ricchi di significato e analisi speculativa. Tutte queste straordinarie metafore sono strumenti utilizzati per risvegliare lo spirito, destarlo dallo stato di torpore spirituale dato dal pensiero dualista. È il principio dei kohan zen della tradizione mistica giapponese; brevi storielle che si fondano sul paradosso e che non possono essere che comprese a livello intuitivo. Anche se l’obiettivo è quello di eludere il ragionamento logico, facendo emergere le emozioni e il pensiero creativo, si può intravedere nell’attuale contesto culturale un incontro tra oriente e occidente inedito. Il

sistema

“corpo-emozioni-mente”

dell’essere

umano

ha

un’immediata

corrispondenza con i tre regni dell’evoluzione dell’Universo “fisiosfera-biosferanoosfera”. É il principio alla base della Grande catena dell’essere della psicologia transpersonale, nelle opere di Ken Wilber. La sua è una visione evolutiva della coscienza verso la reintegrazione nello Spirito, condivisa dai grandi mistici d'ogni epoca e paese. Tale "Filosofia Perenne" riconosce l'emergere della vita (la biosfera), dall'oscurità subconscia della materia, (la fisiosfera). La vita vegetale ed animale organizza oloni inferiori a livelli sempre più ricchi di complessità ed espressione, sino a che dalla vita emerge la "mente", (la noosfera) con capacità autoriflessiva. La

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consapevolezza di sé nell'uomo raggiunge il sua culmine con la trascendenza del pensiero. La triade materia, vita, mente (fisiosfera, biosfera e noosfera) è anche corpo, mente e anima, sino all'esperienza dello Spirito Uno. Anche il pensiero di E. Morin riflette queste idee, sostenedo che l'emergenza più importante della mente umana è costituita dalla coscienza, che si configura come prodotto/produttrice dell'attività della mente su se stessa. Attraverso la mente si manifestano poi l'eros, che è il risultato della relazione della mente con il sesso, la razionalità tecnica, il mito e il rito. L'insieme di tutte queste produzioni della mente, che varia da società a società, è definita da Morin, appunto come noosfera; questa, influenza continuamente l'auto-organizzazione dell'individuo e della società. La trinità individuo-specie-società risente di questa articolazione della mente umana ed è anch'essa articolata: l'uomo appare unità multipla, l'umanità si caratterizza nella relazione circolare tra unità e diversità. Morin considera innanzitutto la dimensione del soggetto. Il soggetto è visto in un'ottica che supera sia la visione egocentrica (tipica di Cartesio) sia quella che definisce il soggetto in primis nella relazione con l'altro; inoltre, si sottolinea come il soggetto possa assoggettare se stesso attraverso un'idea, un mito, ecc., e come abbia la capacità di oggettivare, ossia di riconoscere se stesso come altro da sé. È quindi tutto interconnesso con tutto. In certe particolari situazioni è possibile attivare oltre ai ricordi e alle impressioni relative alla nostra vita, anche i ricordi e le impressioni filogenetiche, relative cioè alla storia collettiva dell’umanità e persino oltre, alla storia dell’Universo. Si tratta dell’inconscio collettivo che Jung aveva iniziato a esplorare, rendendosi conto tra i primi, nell’Occidente di quegli anni, che i confini della coscienza e dell’inconscio erano molto più vasti di quanto potesse immaginare la psicologia materialistica dell’epoca. Dopo Jung, infatti, vi è stato un grande sviluppo della psicologia umanistica e transpersonale. Grazie all’accesso divenuto sempre più facile e generalizzato alle pratiche spirituali dell’Oriente, dopo

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secoli di oblio, stiamo scoprendo con altri mezzi quello che nelle antiche tradizioni mistiche di tutto il mondo era già noto e codificato. L'inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall'inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all'esperienza personale e non è perciò un'acquisizione personale. [...] L'inconscio personale consiste soprattutto in "complessi"; il contenuto dell'inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da "archetipi". Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica le chiama "motivi"; nella psicologia dei primitivi esse corrispondono al concetto di raprésentations colletives di LévyBruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Hubert e Mauss "categorie dell'immaginazione"65.

Si tratta della “conoscenza-deposito” che conserva non soltanto le esperienze della nostra vita presente, ma anche quelle degli esseri umani che ci hanno preceduti, procedendo a ritroso nell’infinità del tempo e dello spazio. Per chiarire, possiamo specificare che nel nostro cervello esistono dei tracciati ereditari, delle modalità di funzionamento psichico, dei comportamenti "innati". Questo aspetto dell'archetipo è l'aspetto biologico che interessa la psicologia scientifica. Ma quando si guarda a quest'immagine "dall'interno", gli archetipi risultano essere delle possibilità innate di rappresentazione; sono le immagini delle reazioni istintuali, cioè necessarie a livello psichico, ad alcune situazioni. Quando, nella vita di un uomo, avviene qualche cosa che corrisponde ad un archetipo, quest'ultimo viene attivato; l'archetipo non è quindi un'immagine trasmessa in modo ereditario, ma una "possibilità" di immagine. Spesso esso si veste di simboli che portano il soggetto in uno stato di partecipazione, di emozione, le cui conseguenze sono imprevedibili. Il linguaggio dell'inconscio è un linguaggio immaginifico e gli archetipi appaiono di conseguenza sotto forma di immagini 65

C. G. Jung (1936), Conferenza su Il concetto di inconscio collettivo, trad. it. in Opere, vol. IX, tomo I, p. 23 102

personificate o simboliche, questo numero di archetipi è relativamente ristretto, poiché corrisponde alle differenti possibilità di esperienze fondamentali che può sperimentare l'essere umano. Tali condizioni generali, date dalla struttura ereditaria del cervello, sono la ragione per la quale in tutto il mondo si ritrovano simboli e motivi mitici similari. L'anima contiene tutte le immagini da cui sono nati i miti, poiché i miti sono le manifestazioni psichiche che rappresentano la natura dell'anima. Questo concetto di Jung dà un ulteriore dimostarzione alle riflessioni fatte nel precedente capitolo sul concetto di trinità. Un raffronto quidi tra le teorie orientali e il sapere occidentale diviene allora un punto essenziale per lo sviluppo di ogni disciplina, consentendo all’occidente di riappropriarsi del senso pieno del concetto di spiritualità e di una collocazione in un mondo reale e quotidiano, in cui pensieri e emozioni si leghino insieme interagendo con l’esteno in maniera indissolubile. Anche il pensiero orientale però non ha che da guadagnarci. Il Kundalini yoga è fondato su una pratica particolare che da sola, partendo dal livello fisiologico, influisce sugli aspetti psichici; nonostante queste tecniche siano tutte di carattere intuitivo e tentino di ricondurre l’individuo a singole elementari e indiscutibili verità, non sempre è possibile da parte del singolo arrivare all’insight. Spesso le abitudini e i filtri culturali e sociali, costituiscono uno sbarramento difficilmente sormontabile dalla sola pratica. In questo il confronto con un modello occidentale, può consentirne una maggiore comprensione concettuale, riducendone così il livello di complessità. La relazione tra Psicologia sociale e Kundalini Yoga porta quindi alla luce un inevitabile fenomeno di compenetrazione reciproca delle due discipline, in un contesto culturale dove modelli di riflessione come quelli presentati saranno le linee guida dell’evoluzione della cultura universale nel futuro.

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CapitoloV: Conclusioni

Uomo dell’aria, tu colori col tuo sangue i segni del tuo passaggio tra di noi; i limiti sono nell’animo di chi è privo di sogni. PHILIPPE PETIT (funambolo)

Con queste pagine si conclude un percorso che ha visto oriente e occidente prendersi per mano e osservarsi da vicino. Ritengo sia stato un incontro proficuo. La relazione tra Kundalini Yoga e Psicologia sociale mostra quindi lo stadio avanzato della loro inevitabile compenetrazione. Grazie alle riflessioni fatte sulla postmodernità, è stato possibile constatare come questa compenetrazione sia un fatto che sta già avvenendo da tempo nello sviluppo del pensiero psicologico, ma che ora riceve una nuova spinta e nuova energia. A seguito di questo ci è ora possibile un’ultima riflessione. Una delle ipotesi da cui simo partiti è la stessa da cui Jung ha tratto la teoria dell’inconscio collettivo. Abbiamo immaginato infatti, che in quanto esseri umani, abbiamo tutti un elemento che ci unisce. Un qualcosa in comune da cui è cominciata la nostra storia. È un’ipotesi antica quanto il pensiero stesso, che supera i concetti razziali, i confini politici, le differenze linguistiche e culturali. La religione non è altro che la consapevolezza di questo. E proprio dalla religione abbiamo visto che parte l’indagine dell’uomo su se stesso e sulle forze che governano il mondo. È in questo frangente che le grandi religioni monoteiste fanno la loro comparsa per imporre delle verità che fino a poco prima erano dedotte dalla natura. Abbiamo cominciato il testo parlando della tradizione e del politeismo vedico; con quello, si è chiarito il concetto di yoga. È curioso ossevare quanto sia differente il 104

concetto di “legame” tra una tradizione politeista e il monoteismo. Le religioni fondate su unico Dio infatti, nell’atto stesso della loro origine, creano una scissione insormontabile tra credenti e non credenti. I non crendenti possono solo convertirsi, cioè cambiare radicalmente, senza possibilità di mantenere la loro precedente fede integrandola con quella nuova. L’importanza di mettere in relazione una realtà occidentale con un sistema di matrice politeista, consiste proprio nel permettere un concetto di spiritualità più fluido e adattabile, libero da dogmi e regole. L’occasione di un superamento della concezione classica di pensiero, è dato oggi dalle frontiere aperte dalla globalizzazione e dal postmoderno. É la vittoria della dialettica? Si potrà sviluppare tra i popoli un dialogo teso alla comprensione del vero? Non si può ovviamente rispondere a domande simili. Come sempre le possibilità sono infinite, quello che è possibile fare, è invece cogliere i tratti salienti, i punti concettuali su cui la cultura universale può compiere i suoi passi. Penso che due dei punti centrali, emersi dalla relazione tra i modelli proposti, siano quelli di “legame” ed “equilibrio”. Senza soffermarci nuovamente sul primo, ritengo che il concetto di equilibrio meriti in ultima istanza una più attenta riflessione. Abbiamo visto, nella teoria dei chakra di A. Judith, e in quella di sviluppo psicosociale di E. Erikson, che l’equilibrio assume un un’importanza fondamentale nella gestione dell’emotività e delle pulsioni. È però interessante sottolineare il suo carattere non immutabile; l’equilibrio è infatti per sua natura dinamico, nel senso che la relazione tra due elementi che devono essere messi in equilibrio è una relazione di scambio continuo. Non vi è, infatti, nessuna differenza tra equilibrio fisico e psichico, entrambi hanno le stesse caratteristiche e richiedono la stessa costante attenzione. Per l’infante, muovere i primi passi cercando di stare dritto senza cadere, è equivalente allo sforzo del bambino per vincere una paura irrazionale per qualcosa. 105

Il sistema dei chakra può essere in questo caso d’aiuto. Collocare i cinque sensi nel modello, può portare a un’abduzione interessante. Non tutti gli autori sono concordi, ma in linea generale possiamo fare un ragionevole accostamento. Al primo chakra è associalto solitamente l’olfatto. Il bambino nella primissima infanzia, infatti, ha come canale primario di rapporto col mondo il naso, da cui continua a espirare e inspirare aria. L’olfatto in questo senso non è inteso propriamente come la capacità di distinguere gli odori, quanto quella di concentrare la maggior pare delle proprie energie nell’attività di respirazione. Il secondo chakra, è associato all’udito. Sviluppandosi in sincronia con il sesto (dove sono collocate le orecchie), l’udito consente al bambino di avere una percezione del mondo più ampia e di estendere i propri confini immagazzinando le prime esperienze. Entrando in Manipura (terzo chakra), il bambino ha le possibilità di muovesi nello spazio; il senso qui maggiormente stimolato è il tatto. Lo stesso atteggiamento compulsivo di portare cose alla bocca è dato dal fatto che le labbra e la lingua sono strumenti altamente sensibili che lo aiutano a comprendere la consistenza delle cose. L’amore è cieco, e probabilmente è questa la ragione per cui il quarto chakra è associato alla vista. Questa relazione sottolinea come i sentimenti e le emozioni possano influenzare la visione del mondo. In questo (già solo nella sua dicitura), la vista ha un ruolo centrale rispetto agli altri sensi, così come l’amore lo ha rispetto alle altre emozioni. Il chakra della gola è, come facilmente comprensibile, associato al gusto. È interessante osservare, come mano mano che si sale lungo la via della liberazione i sensi diventino più raffinati e complessi; col gusto infatti intendiamo anche la capacià di saper apprezzare non solo particolari sapori, ma cose di altra natura, come la musica, film, e così via. Con l’entrata nel sesto chakra le cose cambiano. Ajna infatti è a cavallo tra la sfera egotica, composta dal 3°, 4° e 5° chakra (che rappresentano corrispettivamnte 106

l’identità dell’ego, l’identità sociale e l’identità creativa), a quella transpersonale del 6° e 7° chakra (identità archetipica e identità universale). È così errato immaginare un mondo in cui esistono forze contrapposte che giocano a un continuo bilanciamento e sbilanciamento? E in questo, sarebbe altresì sbagliato suppore che l’uomo abbia la possibilità di percepirle? Se così non è, allora l’equilibrio può a buon grado porsi come il sesto senso, in grado di percezioni fisiche, e di intuizioni inaspettate.

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“Tra non avere mai smesso di tentare e aver conquistato la meta, non vi è alcuna differenza” ANONIMO A Checco, fratello d’infanzia e al cammino da percorrere

Ringraziamenti:

Il più grande, il più affettuoso e il più sincero che posso ai miei genitori. Senza il vostro supporto non sarebbe stato possibile. Grazie, per il vostro DNA e per avermi insegnato, a parole e nei fatti, che non si finisce mai di crescere e cambiare.

Un saluto a braccia aperte a tutti gli amici che mi hanno aiutato e sostenuto e sopportato sempre e soprattutto in questi ultimi mesi: Francesca (cui devo una lettura integrale del testo in un pomeriggio per correggere i refusi), Alex, la Iena, Gin, Gianluca, Leo, Marinella, Mirco, Annamaria e Serida; a Valeria, Max, i due Davide, Claudio e tutti gli amici giocolieri, musicisti, ballerini e artisti d’ogni sorta; a Carolina, Mara, Eugenio, i compagni e soprattutto le insegnanti del corso di cinese: Prof Merchionne, Biasco e Jia che stanno sopportando la mia latitanza dallo studio e le presenze distratte.

Agli amici e maestri che mi stanno seguendo e supportando nello scoperta delle mie potenzialità e a cui devo pazienza e preziosi insegnamenti. A Rita, Milena, Dakshina, Daniela, Paola (entrambe ovviamente), Sergio e Lele.

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Al Prof. Massimo Bellotto e al Dott. Andrea Spatuzzi, che mi hanno guidato in quest’impresa.

Ai miei eroi di sempre: Rio, Kintaro e Cirano.

Un abbraccio colmo d’affetto a Prunello, Aspreno, Cecilia e Rosaria

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