Jigme Rinpoche - Architetti Della Propria Vita

  • December 2019
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Architetti della propria vita

Abbiamo visto come la meditazione sia il cuore del sentiero verso l'illuminazione. Sebbene ottenere l'illuminazione possa non essere l'obiettivo di tutti, quelli di noi che desiderano fare come il Tathagatha[1] decideranno di percorrere il sentiero verso l'illuminazione; per noi, la meditazione è necessaria. Altri invece preferiranno condurre una vita normale, ma potrebbero desiderare di migliorare la loro condizione. In un modo o nell'altro verranno a conoscenza della natura della mente e alla fine guidati alla Buddhità. Alcuni di noi vogliono smettere di soffrire. Dal momento che la premessa dell'intero insegnamento del Buddha è che la sofferenza è la causa o radice di ogni cosa, sia che la nostra motivazione sia raggiungere la Buddità o smettere di soffrire, il percorso è lo stesso. Alcuni credono che il Dharma o insegnamenti siano altruistici e che perciò escludano quelle persone che vogliono interessarsi solo di sé stesse. Indipendentemente dal fatto che il punto di partenza sia l'egoismo o meno, quando cominciamo a praticare il Dharma cominciamo a vedere le cose come sono veramente. Ad un certo punto capiremo che niente è possibile quando non siamo interessati al benessere degli altri. Qualunque sia la motivazione all'inizio, la pratica rivelerà inevitabilmente che gli altri sono d'importanza vitale e la nostra motivazione cambierà naturalmente.

Ad un livello pratico, la prima cosa è rendersi conto che ogni persona è dotata della natura di Buddha, una chiara consapevolezza in grado di conoscere l'intero universo. Pensiamo da un lato: "Cercherò di sperimentare questa consapevolezza libero dalla sofferenza", e poi dall'altro: "Vivo in un mondo fatto di felicità e di sofferenza". Dobbiamo comprendere che tutto è sofferenza. Persino la felicità è causa di sofferenza perché la felicità ha una fine. Aprite un qualunque libro sulle "Quattro Nobili Verità". Non enuncia che tutto è sofferenza? Abbiamo bisogno di comprendere questo assioma fondamentale in modo da essere consapevoli che la felicità è sofferenza. Abbiamo bisogno di essere consapevoli che la nostra mente è il Tathagatha, e di vedere questo mondo di sofferenza così com'è, di comprenderlo chiaramente. In secondo luogo, esaminiamo l'ignoranza. Qualcuno la considera come un demone, ma l'ignoranza non è una forza demoniaca né una qualche energia esterna pronta a distruggerci. Sebbene non sia maligna, è tuttavia vero che essa è alla radice di ogni sofferenza. Quando l'ignoranza diminuisce, diminuisce la sofferenza. Per esempio, se la gamba mi duole e il dolore non smette, io potrei incominciare ad immaginare che potrebbe essere un cancro. Se qualcuno mi dice che c'è una scheggia, tutta la mia sofferenza mentale immediatamente scompare. Posso dunque tendere verso il dolore, ma se non riesco a vedere la cosa con chiarezza, le mie azioni potrebbero essere inappropriate e anzi danneggiarmi. Così la maggior parte delle volte un incidente può

essere banale, ma se non lo vediamo per quello che veramente è, può essere molto pericoloso. Combattere l'ignoranza non è come iniziare una guerra: è semplicemente aprire i nostri occhi per osservare le piccole cose che, se non riconosciute, potrebbero diventare problematiche e pericolose per gli altri e per noi stessi. Abbiamo la tendenza a volere tutto subito. Dopo aver ascoltato gli insegnamenti, pensiamo di avere le chiavi, ma in qualche modo queste non funzionano. Allora può succedere che rinunciamo senza riflettere sui nostri sforzi e sulle informazioni ricevute. Per esempio, nel caso della scheggia, pur sapendo che la situazione non avrebbe potuto peggiorare, per qualche tempo avrei in ogni caso provato dolore. Perciò abbiamo bisogno di sviluppare un'attitudine ad essere rilassati mentre facciamo ciò che è necessario. Può volerci del tempo, ma gradualmente il miglioramento verrà. Il pericolo qui è la tensione che sperimentiamo mentre aspettiamo un risultato. Infatti, questa ansietà blocca o rallenta lo sviluppo. Qualunque cosa facciamo viene meglio se fatta in modo rilassato. Se abbiamo fretta, ci vorrà più tempo. Nel tentativo di ridurre la nostra sofferenza, non dobbiamo escludere le altre persone. Esse sono essenziali per il nostro successo perché attraverso di loro incrementiamo la potenza della nostra consapevolezza. Quando meditiamo abbiamo una mente più chiara, ma quando terminiamo la nostra pratica e affrontiamo gli altri, scopriamo che non siamo migliorati poi così tanto. La meditazione ci rende più sensibili alle persone che ci circondano.

Quando siamo soli non c'è problema, ma, quando siamo di fronte ad altre persone, le nostre emozioni vengono a galla. E' nelle nostre esperienze con gli altri che troviamo combustibile per il nostro sviluppo. Se vogliamo avere risultati duraturi dobbiamo raggiungere un equilibrio tra lo stare con gli altri e la nostra solitudine. L'attitudine a svilupparsi e' costituita da un ragionevole bilanciamento tra reazione e accettazione. Non c'è uno standard prestabilito. Ci svilupperemo grazie all'interazione con altre persone, ma è necessario che ognuno di noi trovi i propri limiti. La chiave sta nell'essere consapevoli in modo da poter vedere le cose chiaramente e senza bisogno di punti di vista preconcetti che offuscano soltanto la percezione. Vogliamo riconoscere che cosa sta realmente succedendo. Ogni volta che guardiamo, troviamo " l'attaccamento dell'ego". Questo è il primo guizzo della nostra consapevolezza. Tutti noi abbiamo questa prima reazione: "Io percepisco". Alla base di ogni esperienza c'è l'attaccamento dell'ego che è la radice della sofferenza. Quando si scopre questo attaccamento c'è una tendenza a combatterlo. Il punto è non di combatterlo, ma di riconoscerlo, percependolo direttamente o indirettamente: "Io voglio", che è desiderio, o "io non voglio", che mostra la nostra avversione, o "non mi interessa", che mostra la nostra ignoranza. Tutte le emozioni sono dovute all'attaccamento dell'ego, una modalità dualistica di percezione, "io" e "gli altri". Ciò produce molta sofferenza, tuttavia non possiamo

liberarcene agitando una bacchetta magica. E' interessante osservare l'attaccamento dell'ego in ogni esperienza e cominciare a lavorare con esso. Il termine "emozioni perturbatrici" è semplicemente un'etichetta. Infatti, quando esaminiamo queste emozioni vediamo eventi mentali, immagini, sensazioni, ecc... e non sappiamo a cosa esse corrispondano. Prendiamo, per esempio, lo studio della botanica. Prima otteniamo la comprensione della connessione tra fiori e frutti, di come crescono e della sequenza corrispondente alle stagioni. Nello stesso modo, prima raggiungiamo la consapevolezza e poi la comprensione delle "emozioni perturbatrici" e "dell'attaccamento dell'ego". Generalmente, investighiamo o ci poniamo delle domande solo quando qualcosa è andato storto o quando non siamo fel i ci. Quando siamo felici non facciamo niente. Alla base della nostra consapevolezza c'è l'attaccamento dell'ego, "Cosa mi piace, cosa non mi piace, non mi interessa, ecc.". Più ne sappiamo di noi stessi, maggiori possibilità abbiamo di piacerci e di accettarci. L'attaccamento dell'ego è anche la radice dell'orgoglio, della gelosia e delle altre emozioni perturbatrici. Lentamente, gradualmente, comprenderemo che l'attaccamento dell'ego pervade tutte le nostre esperienze. Vedremo la nostra gelosia e il nostro orgoglio. Nell'esempio della botanica è come vedere il seme o il germoglio. Se vogliamo sbarazzarci della pianta, facciamo prima liberandoci del germoglio. La mente è sempre un processo continuo, un continuum. Questo

processo continuo non può essere adeguatamente descritto con le parole. La mente procede sulle "orme" derivate dalle abitudini. Quando lasciamo andare alla deriva la nostra consapevolezza ci troviamo a seguire le nostre tendenze abituali che non sono altro che il nostro "ego" al lavoro. Abbiamo sviluppato queste tendenze dalle esperienze passate. Abbiamo bisogno di capire che quando non siamo vigili tendiamo a scivolare nella gelosia o nell'orgoglio o nelle altre emozioni che ci sono abituali. Possiamo ridurre queste tendenze modificando le nostre reazioni in modo da renderle più equilibrate, e possiamo lentamente cominciare ad attuare qualche cambiamento alle nostre abitudini. Possiamo coltivare l'apertura mentale e la benevolenza se abbiamo prima riconosciuto le nostre tendenze abituali. Con la pratica, impareremo col tempo a vedere sempre più chiaramente come, a causa dell'attaccamento dell'ego, la mente reagisce con l'orgoglio, la gelosia, l'avidità e così via. Nelle nostre relazioni con gli altri ci aspettiamo sempre qualcosa. Questo è estremamente importante da capire, perché le nostre aspettative, quando non sono soddisfatte, causano conflitti. Nel nostro ambiente familiare e di lavoro di solito abbiamo molte aspettative. Spesso sosteniamo di agire per il bene degli altri, mentre in realtà coltiviamo aspettative che condurranno a frustrazione. "Mi aspettavo di più... .Adesso sono frustrato. Pensavo di aver ragione. Mi hanno deluso. O io avevo torto, o loro non ci sono arrivati".

Dovremmo renderci conto che ogni persona è così, in ogni luogo, compresi noi stessi. E' usuale pensare così, nonostante tutto bisogna esserne consapevoli. E' utile e necessario riuscire a vedere questa attitudine con un po' di senso dell'umorismo. Non si immagini che ci sia una "soluzione di pronto intervento" per modificarla. Il riflesso abituale cambierà in qualche modo dopo che lo avremo riconosciuto, ma non possiamo forzare il verificarsi del cambiamento. Fin dall'infanzia ci è sempre stato detto: "Non è bene essere orgogliosi, non è bene essere gelosi, ecc..". Ciò che non ci è stato detto è che queste emozioni, la rabbia, l'orgoglio, la gelosia ecc., sono generalmente ciò con cui la nostra mente è preoccupata. La stessa mente sperimenta sia la generosità sia l'avidità. In realtà, non c'è "male" contro "bene", ma piuttosto un errore di etichettatura. Ecco perché è così importante vedere e capire. La chiave non è rifiutare queste emozioni, ma riconoscerle. Ciò che appare come orgoglio può essere cambiato nell'energia dell'azione. Man mano che viene riconosciuta, essa si trasforma in qualità. La gelosia può essere trasformata nella qualità della perseveranza, conducendoci a Bodhicitta [2], all'illuminazione. La rabbia sorge quando qualcosa va storto, la stessa rabbia potrebbe essere una qualità di lucidità mentale, in grado di aiutare a correggere una situazione e perciò potrebbe essere molto utile. Riconoscere le proprie emozioni non significa combatterle o disfarsene. Non c'è niente da rifiutare, ci sono solo energie differenti da usare in modi potenzialmente benefici. Divenendo consapevoli è possibile cambiare l'espressione dell'energia da negativa a positiva.

Il Buddha disse: "Io posso darvi i mezzi per la liberazione ma non posso liberarvi. Posso darvi gli strumenti per raggiungere la meta". Egli inoltre insegnò che non è possibile liberare sé stessi senza gli "altri". L'illuminazione ultima si ottiene solo attraverso bodhicitta. Non possiamo sviluppare le qualità quando siamo isolati perché per superare l'attaccamento dell'ego il nostro successo dipende dal contatto con gli altri. Possiamo cogliere l'occasione di avvantaggiarci delle nostre emozioni quando sorgono, per modificarle e cambiare le nostre tendenze abituali. Bodhicitta, o gentilezza amorevole , è l'antidoto da utilizzare per determinare i cambiamenti. Non c'è altra via. Abbiamo bisogno di metterci nei panni degli altri, essere consapevoli che sono infelici e comprendere che la nostra stessa felicità dipende dalla loro. Ciò significa inoltre che la nostra visione comprende tutti i punti di vista così che la nostra visione di qualunque situazione diventa più completa e quindi più precisa. Il risultato immediato dell'applicazione di bodhicitta è che smettiamo di rifiutare la nostra responsabilità in tutto ciò che accade. Come sviluppare la necessaria vigilanza e integrarla nella nostra esperienza? La meta è percepire la vera natura dei fenomeni della nostra mente, sia interni che esterni. Lentamente e gradualmente sviluppiamo il modo in cui viviamo le nostre vite e ci eleviamo seguendo le linee guida contenute negli insegnamenti. Poi arriveremo ad una fase in cui possiamo prendere il controllo della nostra esistenza. Intraprendiamo un sentiero spirituale

che tiene conto di tutte le implicazioni della legge di causa ed effetto. Ci impegniamo ad essere consapevoli di ciò che è positivo e negativo durante il sentiero verso l'illuminazione. A meno che non ci ritiriamo in solitudine, continueremo a propendere verso azioni negative. Comunque se siamo vigili possiamo vedere attraverso tutte le negatività. Avremo così un'opportunità di lavorare con le nostre percezioni negative attraverso la nostra pratica e di trasformarle in qualità utili. Essendo consapevoli, non solo viviamo con meno sofferenza, ma stiamo anche compiendo ogni sforzo per raggiungere l'illuminazione. Abbiamo inoltre bisogno di essere in grado di percepire la vera natura della mente. Vi è una consapevolezza pervadente che soggiace a tutte le coscienze sensoriali e all'attaccamento dell'ego chiamata alaya vinyana o tathagatagarba. Noi oscuriamo questa consapevolezza pervadente sia con le nostre tendenze abituali che con la nostra modalità dualistica di percezione. Possiamo soltanto lavorare su noi stessi, ma sfortunatamente, non abbiamo accesso a questi livelli di consapevolezza. E' precisamente nell'alaya vinyana che sono accumulate le impronte karmiche. Gli effetti delle azioni negative generano sofferenza e, allo stesso tempo, accrescono i due veli delle tendenze abituali e delle modalità distorte di percezione. Le azioni positive, invece, aumentano i nostri progressi sul sentiero dell'illuminazione e forniscono il così tanto necessario sollievo dalla sofferenza immediata.

Per praticare il Dharma (gli insegnamenti del Buddha), non dobbiamo necessariamente diventare buddisti. Può essere altrettanto efficace anche imparare a prendere il controllo delle nostre vite utilizzando i metodi qui sopra discussi. Ciò che di solito è considerato virtù diviene virtù trascendentale o paramita [3]. Le qualità ordinarie ci permettono di andare oltre la sofferenza. Una delle sei paramita è l'etica. Il comportamento positivo è considerato tale secondo l'esperienza personale e queste azioni positive aiutano sempre a rimuovere i veli che oscurano la consapevolezza. Non ci sono regole esterne da seguire. Dobbiamo giornalmente tenere gli occhi aperti su quello che facciamo. Col tempo la nostra consapevolezza durante la meditazione diventerà gradualmente più chiara e nella nostra vita quotidiana saremo in grado di riconoscere i risultati positivi nelle nostre azioni. Questo sviluppo positivo si estenderà alle nostre relazioni con gli altri. La nostra consapevolezza ci farà da guida per ridurre la sofferenza nostra e degli altri. Quando ci comporteremo scorrettamente ci renderemo conto della nostra responsabilità e non cercheremo più scuse. Ci correggeremo e regoleremo da soli e, alla fine, agiremo appropriatamente. Il cammino spirituale richiede una conoscenza acuta delle azioni negative perché è cruciale riconoscere le caratteristiche di quello che stiamo facendo. Abbiamo bisogno di sentire dispiacere per le nostre cattive azioni come se avessimo ingoiato del veleno. E' importante pensare: "Se potessi ritornare indietro nel passato non lo rifarei". E' anche importante notare che

non abbiamo bisogno necessariamente di sentirci colpevoli. Il beneficio del dispiacere è che esso ci incita a non sbagliare di nuovo. Possiamo allora intraprendere pratiche che purificano la negatività e ci spronano a fare ciò che è corretto. Tutto ciò può accadere se ci sentiamo veramente dispiaciuti. Il processo di auto-correzione può cominciare ad un livello mondano e può alla fine evolvere in un sentiero superiore di pratica dove vengono impiegati mezzi e risorse più potenti per rimuovere i veli mentali. Possiamo prendere nuove abitudini come riflettere ogni sera sulle attività della giornata. Questa consapevolezza ci aiuta a creare l'abitudine di agire in modo più positivo perché possiamo vedere che siamo in grado di creare quotidianamente le nostre esperienze e i risultati. Il sentiero del Dharma è basato sull'assioma infallibile del karma, cioè che tutte le cause e tutte le azioni producono dei risultati. Questo concetto non si ferma solo ai livelli grossolani ed esteriori ma permea anche il nostro intero essere. Le emozioni della gelosia e della rabbia, per esempio, non solo generano conseguenze, ma lasciano anche impressioni nella consapevolezza pervadente. Queste impressioni condizioneranno le nostre percezioni che sono il frutto di azioni precedenti e spiegano perché noi adesso siamo così come siamo. Ci rendiamo conto con cautela che ogni sentimento di rabbia per quanto piccolo lascerà delle impressioni nella nostra consapevolezza pervadente e questo avrà un impatto sulla nostra esistenza futura. Un esempio positivo, d'altra parte, è la pratica

della compassione di Chenrezig. Essa rafforza le impressioni positive nella coscienza consapevolezza che a loro volta condizioneranno la nostra percezione dell'universo. Man mano che progrediamo nel sentiero la pratica dell'etica diventa sempre più importante. Come già spiegato, l'etica non è un insieme di regole esterne ma si basa sull'essere vigili dato il nostro bisogno di sorvegliare con attenzione quello che stiamo facendo. Avendo compreso questo circa il karma, potremmo aver paura di sbagliare. Che succede se non riusciamo a percepire la negatività di un'azione e pensiamo invece che sia positiva? Le dieci azioni negative che coinvolgono i tre livelli di corpo, parola e mente sono un'utile guida: • • •

Mente: invidia, malevolenza, visioni errate Parola: mentire, calunniare, parlare con astio, futilmente (per es. sugli errori degli altri) Corpo: uccidere, rubare (prendere ciò che non ci viene dato), danneggiare sessualmente gli altri

Abbiamo la tendenza a chiedere al lama: "Questo è buono o no?". Se guardiamo abbastanza da vicino e siamo onesti, non abbiamo veramente bisogno di chiederlo. L'etica ci porterà a vedere le cose come sono realmente e, quindi a "far bene". Possiamo usare il nostro discernimento e qualche volta, quando non siamo sicuri, ricorrere alle regole esterne. All'apparenza, l'etica può non sembrare importante, ma le conseguenze possono essere gravi.

Piccole azioni, positive o negative, possono portare a risultati imprevisti. Siamo responsabili per le nostre azioni e non vogliamo dare per scontato le piccole cose che possiamo fare. Possiamo proteggere persino la più piccola vita. La nostra generosità ci aprirà alle dieci azioni positive. Possiamo trattenere qualcuno dal compiere azioni sbagliate. Possiamo impegnarci a compiere piccole azioni positive ed evitare di compiere piccole azioni negative, sempre consapevoli che tutte le azioni avranno delle conseguenze. Agendo in modo positivo diminuiamo l'agitazione delle nostre menti. Questo a sua volta faciliterà il compimento di ulteriori azioni positive che porteranno ad una maggior pace mentale. Tutto è conseguente, positivo o negativo, e dobbiamo incoraggiare noi stessi ad agire positivamente. Possiamo notare come il sentiero spirituale pervada ogni aspetto della nostra vita: non c'è un tempo per la pratica ed un altro per non praticare. E' essenziale che siamo consapevoli del modo in cui comunichiamo con gli altri. Se possibile, possiamo cercare di essere gentili con la consapevolezza. Possiamo praticare le due accumulazioni: compiere azioni positive che portano a buoni risultati e avere lucidità di mente con una consapevolezza sempre presente. Quest'ultima richiede la nostra vigilanza costante. Entrambe le accumulazioni sono importanti e sono correlate. Se notiamo che siamo più occupati in un'accumulazione, possiamo espandere il nostro tempo e la nostra energia nell'altra. Ci sono due qualità relative al sentiero spirituale che trascendono la razionalità della vita ordinaria, la fede e la fiducia; entrambe sono al di là della comprensione intellettuale. Possiamo

parlare di etica, perseveranza, ed altre qualità. E' necessario andare oltre i confini delle nostre percezioni ordinarie e dei nostri ragionamenti, e ciò è possibile soltanto se abbiamo delle fondamenta adeguate. La nostra pratica non funzionerà se non avremo un solido radicamento nell'etica. Solo allora potremo cercare di intraprendere una pratica spirituale formale. E' necessario sviluppare l'aspirazione a raggiungere l'illuminazione. Cominciamo la nostra pratica con esperienze semplici ed ordinarie che sono subito disponibili e facilmente comprensibili direttamente nella vita quotidiana. La nostra pratica può portarci a livelli più alti. Per spiegare che cosa intendiamo con "andare al di là del livello ordinario", usiamo l'esempio di bodhicitta e dei nostri buoni auspici per tutti gli esseri. Anche se è impossibile spiegarlo a parole, il potere del fare auspici per beneficiare tutti gli esseri produrrà di fatto nella nostra mente una forza che può purificare le negatività ed utilizzare il potere della saggezza. Sebbene non possa essere spiegato con termini ordinari, può tuttavia essere sperimentato. Ciò che è necessario è l'accumulazione di azioni positive in modo da trascendere i confini esistenti. A quel punto siamo in grado di percepire ciò che altrimenti sembra irrazionale e di comprendere che occuparci del benessere degli altri può portarci solo felicità. Attraverso la nostra pratica formale, la nostra comprensione diventerà più profonda e più acuta. Comprenderemo la vacuità - da non confondersi con il nulla - che è la natura di tutte le cose. Comprenderemo perché la pratica degli yidam può essere così efficace,

come funziona la pratica della purificazione, e perché abbiamo bisogno del lama. Possiamo andare oltre il razionale tramite la logica razionale e la meditazione. Afferreremo gradualmente il significato della "fase di sviluppo" e della "fase di completamento" della pratica e l'utilità delle differenti fasi della pratica. Capiremo gradualmente perché alcune pratiche sono lunghe ed altre sono brevi. E' necessario avventurarsi sempre di più ed investigare da soli. La pratica funziona, anche se la spiegazione è al di là della logica. Gradualmente, avanzeremo sempre più. Questo è ciò che intendiamo con l'espressione "comprensione della pratica". Naturalmente, la nostra pratica formale e la vita quotidiana non sono sullo stesso livello, ma sono sullo stesso sentiero. Per diventare architetti delle nostre vite, dobbiamo avere una base appropriata. La base è essenziale perché ci permette di integrare nella nostra vita quotidiana tutti gli aspetti della pratica per raggiungere l'illuminazione. La base serve anche a darci benessere e pace mentale mentre percorriamo il sentiero spirituale. Con fondamenta solide, tutto è possibile. Senza di esse, nulla. [1]Tathagatha si riferisce all'essenza del Buddha. [2]Letteralmente: Mente (Citta) dell'Illuminazione (Bodhi). N.d.T [3]Paramita: la perfezione che conduce all'illuminazione. Le sei paramita sono: generosità, disciplina,

pazienza, diligenza, concentrazione e saggezza

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