L'uomo Narratore Della Vita

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2009

Soggettivismo creativo: contro relativismo etico È possibile narrare la propria storia in una società chiusa, ossia ben organizzata e determinata? È possibile determinare la vita dei soggetti alle funzionalità categoriche di uno SPEC? Per rispondere a queste domande crediamo che dobbiamo comprendere chi è l’essere umano. Una definizione dell’uomo, per trovare uno sfondo, non tanto con i colori determinati, ma alla maniera di un’orchestra “Jazz” che esige dal soggetto la partecipazione attiva alla composizione musicale, essere presente con la capacità dei soggetti e nella loro libera creatività. In questo modo, cercheremo di comprendere l’uomo, cioè, non tanto la sua essenza, ma le sue capacità e i limiti, per poi capire l’utilità e i limiti degli SPEC per la vita.

Ajith Rohan J. T. F. AEED FOUNDATION – SRI LANKA 07/10/2009

L’uomo È il narratore della vita (01)

Ajith Rohan J. T. F.

L’UOMO È IL NARRATORE DELLA VITA (01) L’atto di narrare è complesso quanto il narratore. Tutti gli esseri umani hanno la capacità di raccontare ciò che è stato vissuto, ciò che si vive, si spera e s’immagina. Se siamo tutti narratori, non vi è nulla nella realtà da conquistare che possa giustificare come “reale”, ossia l’esistenza oggettiva indipendentemente dai soggetti. Tutto ciò che è “reale”, dunque, è la creazione umana per eccellenza (n.b. non stiamo trattando ciò che ha detto Hegel: «tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale». Noi escludiamo questo modo hegeliano di pensare, dal nostro, perché, con lui, soggetto e oggetto non sono più uniti immediatamente e indissolubilmente, ma posti in un rapporto di reciprocità tramite l'opera mediatrice della ragione). Questa convinzione necessariamente sottintende la presenza naturale delle caratteristiche peculiari nella vita dei “narratori”che a loro volta galleggiano necessariamente sulla catalisis della “comunicazione”come: stupore, energia incanalata, curiosità di conoscere, operazioni naturali (personalizzate per natura) a livello psicologico, intellettuale e analisi coscienziali. Infine c’è il movimento estrinseco e intrinseco che agisce come catalisis e il catalizzatore per tutto. L’obiettivo finale (o gli obiettivi finali) della narrazione in generale può variare all’infinito, ma, si concentra alla fine nella soddisfazione e nella felicità del soggetto che narra. Il tutto necessariamente diventa memoria. Un narratore cosa diventa, o meglio, un uomo narrando cosa diventa? A me sembra null’altro

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che rinchiudersi nelle proprie storie. È la costruzione artificiale del proprio castello che a sua volta dovrebbe essere o in costruzione e/o in arredamento e preparazione del giardino ecc., d’altra parte il narratore potrebbe essere semplicemente in riposo nel castello costruito. Precisiamo che, quest’ultima fase non è qualcosa di perfetto, cioè, non mancherà inquietudine e un vuoto interiore di natura indicibile. Bisogna rendere evidente che tutti i castelli dei narratori sono pluridimensionali, quindi, possono cambiare in un qualsiasi attimo la visone del sé e del mondo con le prospettive diverse e nuove. Ciò significa che bisogna rilevare che innanzitutto non si diventa necessariamente ciò che si narra, perché ci sono tante altre determinazioni che approfondiremo successivamente. Tra l’altro, non possiamo dimenticare le due dimensioni parallele che a loro volta stanno per essere uniti: vita pratica e conoscenza. Basti ricordare quel detto comune: “Fra dire e il fare c’è in mezzo il mare”. Tanti sono bravi per predicare, insegnare, dire bene, ma nella vita pratica vivono diversamente, cioè, tante volte sono loro che praticano tutto l’opposto di ciò che pretende dagli altri. D’altra parte “essere” rispetto a ciò che è stato dato, è una caratteristica inevitabile per un uomo che nasce, in qualsiasi SPEC. Quei dato tramandati dalla società di appartenenza (SPEC) rimangono come “sistema operativo” della persona, senza i quali l’identità socio-politicoeconomico e culturale insieme a quella psicologica sono impossibili da realizzare. Ora scaturisce la necessità di una definizione dell’uomo, prima di procedere oltre. Prima però prepariamo la strada per una definizione nuova. Dobbiamo analizzare cosa è la vita umana nelle diverse culture. Ci sono alcune procedure

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determinate e dogmatizzate, da tutte le culture e le religioni del mondo, cioè, un soggetto membro di uno SPEC non ha piena libertà di scegliere, creare qualcosa di nuovo, o vivere diversamente, vale a dire, è determinato. Per esempio, un soggetto nato, quindi, stato inserito in uno SPEC, deve avere la formazione adeguata al proprio SPEC, poi trovare lavoro (i mestieri sono già categorizzati e determinati, altrimenti bisogna emigrare), sposarsi (sono già categorizzati non c’è una libera scelta), fare figli (questo dovrebbe essere in quel modo di cosiddetto naturale), far crescere i figli (modi sono già stati dati) e così via fino alla morte (tutto programmato). Diversamente dal matrimonio c’è lo stato celibe che, un tempo, solo alcune religioni predicavano con gli attributi spirituali, soprannaturali e le mistificazioni del fatto; mentre ora questo viene scelto come stile di vita da coloro che vogliono vivere per proprio conto, rispettando o adeguandosi alle regole tradizionali della propria cultura (tutto da discutere). Riformuliamo ciò che detto pocanzi: solitamente, dopo la formazione di scuola, di studio professionale o universitari, s’impegnano per trovare un lavoro, poi pensa che bisogna per forza (come pensano in tanti) sposarsi per tirar su una famiglia tradizionale. Anticamente nella mia cultura di base, lo Sri Lanka, in generale ad un adulto c’erano solo due possibilità: o sposarsi o fare il monaco buddista; ora ci sono anche altre religioni quindi si può pensare relativamente a questo proposito. Scegliere la via di mezzo (intendo non sposarsi rispetto a due scelte determinate)

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era una disgrazia che oggi è diventato uno stile di vita. Tutt’oggi si è convinti che non è gradito vedere al mattino presto qualcuno non sposato o donne sposate senza figli. Secondo le convinzioni comuni, questo è un segno di disgrazia e di maledizione. Non solo gli “scapoli” e le “zitelle” vengono considerati come segni di maledizione, ma anche coloro che non hanno i figli, soprattutto la donna che non ha figli viene emarginata dalla società. Vivendo in Italia (Roma) da quattordici anni ho esperienza diretta anche di questa cultura. Anche se ci sono dei diritti umani e delle leggi dello stato non del tutto chiare che tutelano diverse forme di famiglia e di modi di vivere, io vedo sul piano pratico, nella vita quotidiana, che vi è una forma di tolleranza negativa verso le persone che vivono diversamente dai modi abituali e stabiliti dallo SPEC italiano. Ora, senza deviare gli intenti di quest’articolo, formuliamo la domanda: oltre a queste strutture per vivere nella propria società, è possibile avere, scoprire o creare altre scelte? Se la risposta è negativa, poniamoci un’altra domanda: perché impossibile? D’altra parte, se noi ora viviamo nel miglior modo, con le migliori forme di vita possibili: perché gli individui narrano continuamente, in modi diversi dal loro SPEC di base, la loro vita? Se questo è vero, perché un soggetto umano dovrebbe essere sacrificato per una collettività? Una società ben organizzata come, per esempio, questa italiana, è una che rispetta veramente la libertà dell’individuo o ha bisogno dei sacrifici dei soggetti umani diversi? È possibile narrare la propria storia in

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una società chiusa, ossia ben organizzata e determinata? È possibile determinare la vita dei soggetti alle funzionalità categoriche di uno SPEC? Ora crediamo che dobbiamo comprendere chi è l’essere umano. Vale a dire vi presentiamo ora la nostra definizione dell’uomo, per trovare uno sfondo con, non tanto con i colori determinati, ma alla maniera di un’orchestra “Jazz” che esige dal soggetto nella partecipazione alla composizione musicale, essere presente con la capacità dei soggetti e nella loro libera creatività. In questo modo, cercheremo di comprendere l’uomo, cioè, non tanto la sua essenza, ma le sue capacità e i limiti, per poi capire l’utilità e i limiti degli SPEC per la vita. (CONTINUA).

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