ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Camera dei Deputati Commissione Giustizia 17 settembre 2008 Intercettazioni Telefoniche
AUDIZIONE O.U.A in materia di “Intercettazioni telefoniche e ambientali e di pubblicità degli atti di indagine” C. 406 Contento – C. 1415 Governo – C. 1510 Tenaglia XVI Legislatura
1 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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Appunti sui DDL in tema di intercettazioni e di pubblicità degli atti di indagine 1 - INTRODUZIONE In linea generale non può non esprimersi condivisione e apprezzamento per la volontà della politica, condivisa da ogni schieramento, di intervenire organicamente sul tema delle intercettazioni, con la preoccupazione di contemperare i diversi interessi e diritti in gioco. L’apprezzamento si estende anche alla dichiarata volontà di intervenire in modo concreto ed effettivo e con attenzione metodologica alle risorse a disposizione e all’impatto delle modifiche sul sistema. La ricchezza contenutistica delle relazioni ai singoli DDL, della documentazione allegata al DDL governativo e del materiale predisposto dal Servizio studi della Camera (con apprezzabile attenzione anche alla giurisprudenza della Corte EDU, alla legislazione di altri paesi europei e alla normativa dell’Unione anche in fieri) esonerano dal dover affrontare analiticamente molti passaggi e snodi dei problemi. Il presidente della Commissione ha individuato, nella sua relazione del 24.07.2008, “tre … piani della disciplina delle intercettazioni che richiedono interventi: la genesi, la conservazione e la divulgazione”. Quest’ultimo aspetto richiama subito il delicato, ma non più eludibile, tema del processo mediatico in tutte le sue implicazioni, compresa quella della libertà di stampa e della tutela della presunzione di innocenza. Si seguirà pertanto lo schema individuato dalla Presidenza della Commissione, concentrando le osservazioni su alcuni snodi fondamentali dei temi in discussione, con riserva di suggerire emendamenti e osservazioni tecniche dopo che sarà predisposto e reso noto il testo base per l’iter legislativo. La relazione del Presidente ha sottolineato la presenza di “due esigenze da contemperare: quella investigativa e quella relativa alla tutela della riservatezza dei cittadini. Sarebbe un grave errore privilegiare una sola di esse. Compito del legislatore è trovare un punto di equilibrio tra i due interessi”. Il problema delle intercettazioni è risalente nel tempo (si pensi ad esempio alle intercettazioni delle lettere della regina narrateci da Alexandre Dumas e al controllo, sempre esercitato dal potere, sulla corrispondenza epistolare, che fino alle invenzioni del secolo scorso era “il” mezzo di comunicazione interpersonale, e sui colloqui tra due o più persone, attività che ove non controllabile veniva sovente vietata in toto) così come lo è, più in generale, quello dei mezzi per la ricerca della verità, la quale non può essere inseguita a qualunque prezzo ma solo nei limiti imposti dal rispetto dei diritti fondamentali della persona. Così, se è vero che un ricorso a tappeto alle intercettazioni telefoniche permetterebbe in molti più casi di conoscere e provare la verità (ma soprattutto di controllare l’intera collettività e i singoli), esse sono ammissibili solo a condizioni molto rigorose, così da rimanere compatibili con il rispetto della vita privata dei singoli, un diritto, questo, più ampio e pieno di quanto non sia la cd. privacy all’italiana (spesso, sinora, un mero pretesto per imporre vessazioni “burocratiche”, divieti tanto proclamati quanto inosservati perché inosservabili, nonché nuove forme di autorità e autorithies, di potere – e di occupazione anche di sedicenti studiosi – piuttosto che un modo per risolvere i reali problemi di tutela dei diritti delle persone). Sul punto non può non richiamarsi l’art. 8 della Convenzione EDU (nel cui quadro giuridico sono state affrontate dalla Corte di Strasburgo le problematiche di legittimità delle intercettazioni telefoniche nei vari paesi) e si comprenderà il reale ambito del diritto che occorre tutelare in una società democratica, contemperando i diritti delle persone al rispetto della propria vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza” con le limitate e predeterminate ingerenze delle autorità pubbliche, sia pure giudiziarie, ammissibili solo se e nei limiti in cui costituiscono una “misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
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2 - GENESI La premessa degli interventi sulla “genesi” delle intercettazioni proposti nei vari DDL è condivisa, evidenziata, sia pure con distinguo, in tutte le relazioni accompagnatorie. ed è stata riassunta il 24.07.2008 nel “ricorso smodato a tale strumento di indagine. Le intercettazioni sono diventate, infatti, un mezzo ordinario di ricerca della prova anche di reati per i quali il codice di rito non ne consente l'utilizzo, non rientrando la pena edittale nei limiti previsti dall'articolo 266 né tra le tassative eccezioni ivi stabilite. Da qui il fenomeno delle cosiddette intercettazioni a rete” e altri meccanismi via via adottati da taluni magistrati”. D’altronde quello attuale è la prosecuzione del cammino iniziato nella scorsa legislatura. La Relazione 22.01.2008 del ministro al Parlamento sullo stato della giustizia nel 2007 aveva così riassunto i termini del problema: “le intercettazioni telefoniche sono uno strumento irrinunciabile nella lotta alla criminalità grave, tanto più nella lotta al crimine organizzato, ai grandi traffici illegali, al terrorismo. Rinunciare a quest’arma, o comprimerne l’uso fino a ridurne l’efficacia, sarebbe un gesto autolesionistico … La maggior parte di questi casi sono resi possibili da un regime giuridico complessivo sostanzialmente disinteressato alla tutela degli estranei al procedimento penale, e che comunque sacrifica oltre ogni ragione processuale la privacy delle stesse persone sottoposte ad indagine. … L’intercettazione delle conversazioni e comunicazioni private è un atto tra i più invasivi, e non può essere usata che per l’accertamento dei reati. Ad essa devono applicarsi i principi di proporzionalità e di sussidiarietà”. La necessità di garantire un’efficace repressione degli illeciti penali (e il mezzo di indagine delle intercettazioni è divenuto, anche per lo sviluppo tecnologico della società, sempre più importante per la prevenzione e repressione dei reati di criminalità organizzata e di terrorismo) deve essere bilanciata dalla protezione dei diritti individuali di libertà e di rispetto della privacy, quest’ultima da considerarsi con il tema della libertà di informazione e di stampa. Nell’ambito giuridico europeo il diritto alla tutela della vita privata e familiare, codificato nell’art. 8 Convenzione EDU, ha manifestato una forza espansiva. Due sono i diversi profili della privacy secondo la Corte EDU: - la “segretezza” (che si traduce nell’esigenza di assicurare che notizie relative a vicende personali non siano conoscibili da terzi), - la “riservatezza” (che comporta l’esigenza di non divulgazione delle medesime notizie anche da chi ne sia venuto legittimamente a conoscenza, salvo che l’interessato presti il suo consenso). Le interferenze dello Stato sono consentite dall’art. 8 Convenzione EDU se previste dalla legge e se necessarie per proteggere altri beni. Occorre tenere ben presente i due profili (segretezza e riservatezza) poiché i presupposti per intercettare comunicazioni e violare la “segretezza” sono diversi da quelli per far venire meno la “riservatezza” delle informazioni ottenute: in altre parole lo Stato a certe condizioni può procurarsi con le intercettazioni informazioni “segrete” ma deve poi garantire la “riservatezza” delle stesse a meno che anche il venir meno della “riservatezza” sia necessario per proteggere altri beni. Correttamente la relazione 24.07.2008 alla Commissione giustizia del Presidente ha individuato per le intercettazioni un momento (la genesi) che attiene alla “segretezza” e due altri successivi (la conservazione e la divulgazione) che attengono al profilo della “riservatezza”. La giurisprudenza della Corte EDU ha evidenziato, in generale, la necessità - di previsione delle interferenze sulla privacy in forza di una “base legale” (da intendersi non solo nel diritto positivo scritto ma anche nel c.d. diritto giurisprudenziale per i paesi di common law e nelle interpretazioni giurisprudenziali nei sistemi di civil law), accessibile e conoscibile dalle persone1 e sufficientemente chiara e precisa in ordine all’ampiezza ed ai limiti del potere dell’autorità nazionale che attua l’ingerenza nella privacy2, 1
Corte EDU sent. 25 marzo 1983, Silver e altri c. Regno Unito, § 87. Corte EDU sent. 25 marzo 1998, Kopp c. Svizzera, § 64; Corte EDU Grande Camera sent. 16 febbraio 2000, Amann c. Svizzera, § 56; Corte EDU sent. 2 agosto 1984, Malone c. Regno Unito; Corte EDU sent. 24 aprile 1990, Huvig c. Francia. 3
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- che l’interferenza nella privacy sia necessaria in una società democratica per perseguire un fine legittimo ex art. 8 comma 2 Convenzione EDU, - che tra l’ingerenza e il perseguimento del fine legittimo da parte dello Stato vi sia una ragionevole proporzione3 (così la Corte EDU ha sottolineato che anche nella lotta al terrorismo occorre evitare il pericolo di distruggere la democrazia con la giustificazione di volerla difendere4) e, nello specifico delle intercettazioni (generalmente non auspicabili in una società democratica5), - che esse siano disciplinate dalla legge con regole chiare e dettagliate, considerati anche i mezzi tecnici sempre più perfezionati utilizzabili da chi effettua le intercettazioni6, - che l’interessato – anche se solo titolare o mero fruitore della linea telefonica sottoposta a sorveglianza - disponga di strumenti per ottenere sia un“controllo efficace” sull’esercizio del potere di intercettazione da parte dell’autorità7 sia l’esercizio effettivo del “diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale” (art. 13 della Convenzione EDU) competente8. Questi sono i fondamentali parametri giuridici europei9 da tenere presenti nell’analizzare le proposte normative, senza distorsioni della fonte. Individuazione delle attività a cui applicare le norme sulle “intercettazioni” Tutti i DDL tendono a precisare meglio il campo di operatività delle norme sulle intercettazioni, tenendo conto della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sulle zone d’ombra, quali, ad esempio, le videoregistrazioni ambientali inframurarie. Lo scopo condiviso da tutte le parti è quello di chiarire che la normativa sulle intercettazioni è ampia e omnicomprensiva e si applica a tutte le situazioni teleologicamente simili. Il DDL governativo attua questo principio intervenendo solo sul 1° comma dell’art. 266 c.p.p. chiarendo che le intercettazioni sono consentite non solo per le “conversazioni o comunicazioni telefoniche e altre forme di telecomunicazione” ma anche, in generale e senza distinguo, per le “immagini mediante riprese visive, e l’acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni”; viene proposta anche la modifica del 2° comma dell’art. 266 c.p.p. con l’eliminazione del riferimento ai “luoghi di cui all’art. 614 c.p.”. I DDL C-406 e C-1510 propongono invece di inserire - di inserire una piccola modifica generalizzante nel 1° comma dell’art. 266 c.p.p. (da “altre forme di telecomunicazione” ad “altre forme di comunicazione”), - di aggiungere un ultimo comma all’art. 266-bis c.p.p. sulle intercettazioni del flusso comunicazioni relativo a sistemi informatici e/o telematica che chiarisca opportunamente che i limiti di ammissibilità 3
Corte EDU sent. 25 marzo 1983, Silver e altri c. Regno Unito § 97. Corte EDU sent. 6 settembre 1978, Klass e altri c. Germania § 49. 5 Corte EDU sent. 2 agosto 1984, Malone c. Regno Unito, § 84. 6 Corte EDU sent. 24 aprile 1990, Huvig c. Francia, § 32; Corte EDU sent. 24 aprile 1990, Kruslin c. Francia § 33. Sono state queste sentenze di condanna per carenza di determinatezza sui presupposti dell’intercettazioni a condurre la Francia a rendere più stringente (trascrizione delle comunicazioni utili all’accertamento della verità, riversamento nel fascicolo, distruzione delle registrazioni allo scadere del termine di prescrizione dell’azione penale pubblica) la procedura per le intercettazioni in allora vigente. 7 Corte EDU sent. 24 agosto 1998, Lambert c. Francia, § 38-40. 8 Corte EDU sent. 25 giugno 1997, Halford c. Regno Unito, § 65. 9 Occorre ricordare che la Corte Costituzionale con le recenti sentenze 22-24/11/2007 n. 348 e 349/2007, rispettivamente sull’indennità di espropriazione e su quella di occupazione, in materia di norme della Convenzione EDU (che contribuisce alla creazione di un vero e proprio ordine pubblico europeo in cui gli obblighi hanno natura oggettiva e i diritti sono tutelati da una garanzia collettiva, con una protezione diretta) e delle decisioni della Corte EDU, ha affermato che il giudice italiano deve interpretare le norme nazionali in modo conforme alla Convenzione EDU (come interpretata dalla Corte EDU) nel limite del testo della norma nazionale; altrimenti deve investire del problema la corte costituzionale che da un lato deve valutare la compatibilità della legge nazionale con la Convenzione EDU e dall’altro lato deve valutare se le norme della Convenzione EDU interpretate dalla Corte EDU siano compatibili con la Costituzione italiana. 4 4
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sono gli stessi delle intercettazioni telefoniche di cui all’art. 266 c.p.p., - di prevedere, attraverso i nuovi artt. 266-ter e 266-quater c.p.p., l’applicabilità delle norme sulle intercettazioni telefoniche anche all’intercettazione di corrispondenza postale che non ne interrompe il corso della spedizione (diversamente entrerebbero in gioco le norme in materia di sequestro), alle riprese visive, con alcune differenze tra il C-406 e il C-1510 in ordine all’eseguibilità ad iniziativa della polizia giudiziaria di riprese visive in luoghi pubblici, che secondo il C-406 possono essere eseguite (nuovo art. 266-quater comma 3 c.p.p.) senza ulteriori formalità (ma allora che senso ha prevederne - comma 2 - l’autorizzazione del PM con decreto motivato se poi l’eccezione – comma 3 - è la “libertà di intercettare”: evidente che la polizia giudiziaria le farà senza chiederne prima l’autorizzazione al PM) mentre secondo il C-1510 la polizia giudiziaria dopo averle eseguite di propria iniziativa, magari perché la situazione presentatasi alla polizia non consentiva di attendere l’autorizzazione del PM, nell’ambito delle attività di indagine dovrà procurarne la convalida con un decreto motivato del PM nelle 48 ore successive. Se l’obiettivo condiviso è quello di predisporre una normativa generale per tutte le intercettazioni di conversazioni e di ogni altra forma di comunicazione, telefonica e non, allora la Commissione dovrà unificare i testi al proprio esame aggiungendo alle soluzioni tecniche individuate dal DDL governativo quelle di cui al DDL C-1510. Il problema delle videoregistrazioni domiciliari Al fine di consentire alla Commissione di valutare l’adeguatezza delle soluzioni proposte nei diversi DDL sul tema delle riprese visive per l’adozione di una soluzione che risolva attuali incertezze interpretative, pare opportuno ricordare brevemente le soluzioni date dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni unite della Cassazione alla prassi delle riprese visive. La Corte costituzionale (sent. 24.04.2002 n. 135), di fronte alla richiesta di una pronuncia additiva che allineasse la disciplina processuale di tutte le riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni fra presenti nei medesimi luoghi, aveva ritenuto - che la ripresa visiva, se finalizzata alla captazione di “comportamenti a carattere comunicativo”, “ben può configurarsi, in concreto, come una forma di intercettazione di comunicazioni tra presenti”, alla quale “è applicabile, in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora”, - che se la videoripresa non concerne invece comportamenti di tipo comunicativo non è possibile estendere alla captazione di immagini in luoghi tutelati dall’art. 14 Cost. la normativa dettata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., “data la sostanziale eterogeneità delle situazioni: la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, da un lato; l’invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall’altro”. Le Sezioni unite della Cassazione (sent. 28.03.2006 n. 26795, non richiamata nel pur completo dossier del servizio studi della Camera), componendo una vexata quaestio sulla legittimità ed utilizzabilità processuale delle videoriprese effettuate in ambito domiciliare, hanno infatti ritenuto, dopo la sentenza della Corte delle leggi e disattendendo il prevalente indirizzo di legittimità, che, in virtù di una corretta applicazione dell’art. 189 c.p.p. (sulle prove atipiche), le videoregistrazioni domiciliari di comportamenti non comunicativi sono operate in violazione dell’art. 14 Cost. e come tali devono considerarsi inammissibili e non già inutilizzabili. Stante l’occasione di un intervento complessivo in materia di intercettazioni, pare questo il momento di accogliere l’invito che, nel 2002, aveva formulato la Corte costituzionale, la quale aveva sottolineato, “per l’importanza e la delicatezza degli interessi coinvolti, l’opportunità di un riesame complessivo della materia da parte del legislatore stesso”, visto che “l’ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di intercettazione di comunicazioni potrebbe ... essere disciplinata soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali dell’art. 14 Cost.”. E’ in tale quadro che una riflessione supplementare della Commissione e dei proponenti i vari DDL in 5 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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ordine alla miglior soluzione tecnica per disciplinare il vacuum evidenziato nel 2002 dalla Corte costituzionale (se cioè il semplice espresso inserimento nel 1° comma dell’art. 266 c.p.p. del riferimento alle intercettazioni di “immagini mediante riprese visive” sia sufficiente e adeguato ovvero se, come parrebbe a una prima analisi, non sia invece preferibile, alla luce delle sentenze 135/2002 della Corte costituzionale e 26795 delle Cassazione Sezioni unite, una disciplina più articolata, come proposto ad esempio dai DDL C-406 e C-1510, modulata sulla distinzione delle operazioni di ripresa visiva tra quelle captative di conversazioni e quelle a contenuto non captativo che si svolgono nei luoghi di cui all’art. 614 c.p.). Uno dei presupposti per le intercettazioni ambientali La proposta di cui al DDL governativo di modifica del 2° comma dell’art. 266 c.p.p. riduce l’ambito di discrezionalità del ricorso alle intercettazioni ambientali, ovviamente sempre nei casi di cui al 1° comma, richiedendo la necessità del “fondato motivo” di ritenere che “si stia svolgendo l’attività criminosa” per tutte le intercettazioni di comunicazioni tra presenti, non solo più solo nei luoghi di abitazione o di privata dimora ma in ogni luogo (anche pubblico o aperto al pubblico). Trattasi di una modifica “garantista” dei diritti di “segretezza” di cui all’art. 8 Convenzione EDU. Definizione dei presupposti di ammissibilità delle intercettazioni - la ridefinizione dell’elenco dei reati Una delle novità di maggior impatto del DDL governativo è la ridefinizione dell’elenco dei reati per i quali sono consentite le intercettazioni. Gli altri DDL preferiscono invece lasciare immutato tale elenco. Sul punto si sono incentrati i primi passi del dibattito, con toni talora anche accesi. Sotto il profilo tecnico il DDL governativo non pare creare problemi nell’individuare la “base legale” delle intercettazioni (cioè il parametro di “chiarezza legislativa” di cui all’art. 8 Convenzione EDU): - da un lato vi è un aumento (da 5 a 10 anni) del limite massimo di pena edittale dei reati per cui le intercettazioni sono in via generale consentite, - dall’altro lato varia parzialmente l’elenco dei delitti per i quali, nonostante abbiano un limite di pena massima inferiore ai 10 anni, le intercettazioni sono comunque consentite (è la nuova lettera b del comma 1 dell’art. 266 c.p.p. che rinvia ai delitti di cui agli artt. 51 commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies e 407 comma 2 lettera a c.p.p., norma quest’ultima che a sua volta rinvia ai delitti per cui è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza ex art. 380 c.p.p., norma questa ampliata da altra modifica), trattasi in sintesi dei reati di mafia, terrorismo e di cd. “gravissimo allarme sociale” - resta immodificata la possibilità delle intercettazioni per i delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni di reclusione (vi è solo il cambio della lettera, da “b” a “c”, e quindi della posizione nell’elenco) e per i reati di ingiuria, minaccia, usura, molestia o disturbo delle persone con il mezzo del telefono - viene eliminata la intercettabilità nell’ambito di procedimenti per alcuni reati economici (abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato), - viene introdotta, nei procedimenti per delitti non colposi con pena superiore nel massimo a 5 anni, la possibilità di intercettazione (telefonica e non) su richiesta della persona offesa limitatamente alle utenze ed i luoghi nella disponibilità della stessa. Complessivamente vi è quindi una ridefinizione dell’elenco dei reati per cui le intercettazioni sono consentite, con una riduzione complessiva dei procedimenti per cui è consentito il ricorso a tale mezzo di indagine: è una scelta politica (su cui diverse sono le opinioni delle forze politiche e dei singoli) ma che pare rispettare i parametri individuati dalla Corte EDU. Dall’esame del dossier di legislazione comparata predisposto dal servizio biblioteca della Camera è possibile vedere che anche negli altri paesi l’intercettazione è consentita per un numero ridotto di reati, sia pure con varianti da paese a paese e con limiti più ampi per le cd. intercettazioni di sicurezza (tema 6 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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estraneo ai DDL in esame). Dal dossier del servizio studi della Camera è dato di comprendere come il proposto nuovo elenco di reato in relazioni ai quali le intercettazioni saranno consentite non dovrebbe porre problemi di contrasto10 con la normativa dell’Unione europea anche in fieri (proposte di decisione quadro relative alla creazione di un mandato europeo di ricerca delle prove diretto all'acquisizione di oggetti, documenti e dati da utilizzare a fini probatori nei procedimenti penali [COM(2003)688] - su cui è atteso entro il 23 ottobre 2008 il nuovo parere del Parlamento europeo – nonché alla protezione dei dati personali nel quadro della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale [COM(2005)475], Dagli allegati al DDL governativo non è stato dato di capire quante siano state negli ultimi le intercettazioni che, con la nuova normativa, non avrebbero potuto essere disposte (la relazione tecnica indica nel 20% l’abbattimento del costo totale delle intercettazioni “derivante dalle limitazioni alle autorizzazioni delle intercettazioni”, precisando però che trattasi di stima prudenziale): trattasi di dato che, se acquisito dalla Commissione e reso noto, potrebbe contribuire a “svelenire” i primi passi del dibattito parlamentare e politico e consentire ragionamenti scevri da preconcetti. - i presupposti (e la relativa motivazione) A fronte della prassi sviluppatasi in ordine alla motivazione per relazione dei decreti autorizzativi e al fine di sottolineare l’aspetto sussidiario del mezzo di indagine delle intercettazioni viene proposta la modifica dell’art. 267 sia inserendo la non modificabilità né sostituibilità del decreto autorizzativo (comma 1° nonché dei successivi provvedimenti di convalida – comma 2°) sia la necessarie presenza (ovviamente da esplicitare nel decreto autorizzativo con idonea motivazione) di “specifiche ed inderogabili” esigenze relative ai fatti per i quali si procede fondate su elementi espressamente ed analiticamente indicati nel provvedimento, non limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche intercettate nel medesimo procedimento”. L’intervento richiama quelli già effettuati dal legislatore a partire dagli anni ’80 in ordine alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali e alla motivazione dei provvedimenti del Tribunale del riesame al fine di imporre il superamento di talune prassi giurisprudenziali. Opportunamente deroghe alla disciplina generale sono previste per le intercettazioni disposte nei procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, terrorismo o minaccia col mezzo del telefono. In tali casi l’autorizzazione è data se vi sono sufficienti indizi e i termini di durata delle operazioni sono più lunghi di quelli ordinari senza la previsione di alcun termine di durata massima. Il diverso regime per questi reati particolarmente gravi pare giustificabile in base al principio di proporzione e conforme alle previsioni dell’art. 8 Convenzione EDU. - limiti temporali alla durata delle intercettazioni Tutti i DDL puntano a limitare la durata complessiva massima del termine per le intercettazioni prevedendo un limite finale di 3 mesi (ulteriormente allungabile secondo il DDL C-406). La disposizione appare opportuna al fine di evitare il protrarsi “patologico” di intercettazioni, anche per anni, attraverso il meccanismo delle proroghe successive. Le intercettazioni a rete e altre disfunzioni (contenimento di una “slealtà” e di un “autoallargamento giudiziario delle possibilità di intercettare”) 10
Si consideri altresì che per quanto concerne la definizione dei reati la proposta prevede che, per 32 categorie di reato, lo Stato di esecuzione non possa addurre la doppia incriminabilità come motivo del rifiuto di eseguire un mandato europeo di ricerca delle prove (anche nel caso in cui sia necessario effettuare una perquisizione o un sequestro), qualora il reato in questione sia punibile nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà della durata di almeno tre anni. Il Consiglio ha sottolineato che tale impostazione è in linea con precedenti strumenti come il mandato di cattura europeo, le decisioni di blocco o sequestro, le sanzioni pecuniarie. 7 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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Una problematica comune a tutti gli ordinamenti è quella delle prove viziate nelle modalità per ottenerle, con l’interrogativo sull’ammissibilità delle prove ottenute illecitamente o slealmente, tenuto conto che molti sottolineano la necessità di punire i malfattori, soprattutto in relazione a reati assai gravi. Quando una prova illegalmente ottenuta dimostra che l’accusato è colpevole di uno di tali delitti suscita sconcerto il rinunciare a servirsene se il risultato è quello di lasciare che un delinquente sfugga alla giustizia. In Italia la Corte Costituzionale (sentenza n. 34/1973) aveva affermato in passato l’inutilizzabilità della prova ottenuta in violazione in diritti garantiti dalla costituzione, con riferimento proprio ad una ipotesi di intercettazione telefonica attuata al di fuori dei presupposti legali. Più che giustificata quindi la preoccupazione condivisa di incidere sul fenomeno dell’abuso delle intercettazioni, principalmente attraverso quelle cd. a rete, e riportare l’uso delle intercettazioni nel corretto alveo di un mezzo di indagine sussidiario agli altri e proporzionato, nel quadro di un corretto bilanciamento di diritti da tutte le parti evidenziato, anche attraverso la previsione: - che gli elementi che consentono la richiesta di un’autorizzazione a disporre intercettazioni non siano “limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche intercettate nel medesimo procedimento” (art. 267 comma 1 c.p.p. nel testo proposto dal DDL governativo), - che i decreti autorizzativi o di convalida delle operazioni di intercettazione non siano modificabili né sostituibili - dell’ampliamento dei divieti di utilizzazione di intercettazioni che non hanno rispettato tutte le regole (nuovo art. 271 c.p.p.) e la restrizione della possibilità di utilizzazione delle intercettazioni o in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte (nuovo art. 270 comma 2 c.p.p.) Il Giudice competente ad autorizzare le intercettazioni Il progetto governativo propone di affidare la competenza in ordine all’autorizzazione delle intercettazioni al tribunale in composizione collegiale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio del PM che ha richiesto l’intercettazione. La finalità, evidenziata nella relazione della Presidente 24.07.2008, di “porre fine alla distorsione applicativa della disciplina vigente” in materia di redazione dei decreti di autorizzazione per relationem in particolare alla richiesta del PM appare condivisibile, così come la sottolineatura - dell’importanza di una maggior distanza “dalle esigenze investigative” del giudice chiamato a decidere in ordine alla richiesta del PM di procedere ad intercettazioni, con conseguente “maggior imparzialità”, - del valore della collegialità del giudice (che “dovrebbe servire a garantire quel vaglio di ammissibilità che il giudice monocratico, sia pure inconsapevolmente, finisce per delegare al magistrato richiedente, che meglio conosce le indagini”). Appare inoltre singolare l’attribuzione a un giudice collegiale del potere di disporre quelle limitazioni della vita privata rappresentate dalle intercettazioni a fronte del permanere invece in capo a un giudice monocratico del potere di disporre limitazioni della libertà personale (misure cautelari personali), senz’altro più invasive, sia pure con il “temperamento” successivo del possibile intervento del di un giudice collegiale. L’innovazione proposta, pur se condivisibile nelle finalità, finisce quindi per tradursi in una incoerenza di sistema, su cui occorre una attenta riflessione. Sotto il profilo degli effetti indotti dallo spostamento di competenza al tribunale collegiale provinciale occorre considerare anche i riflessi in tema di successive incompatibilità. Decine di tribunali provinciali hanno infatti organici inferiori alle 10 unità o poco superiori. Si immagini il caso di un procedimento penale pendente avanti a uno di questi uffici in cui nella sola fase istruttoria siano stati chiamati a occuparsene, a vario titolo, 1 GIP, 3 giudici dell’istituendo Tribunale per le intercettazioni, 3 giudici del Tribunale per il riesame delle misure cautelari reali, 1 GUP. Essendo già stati “bruciati” prima del dibattimento ben 8 giudici, quell’ufficio riuscirà a trovare i giudici necessari per costituire il collegio per 8 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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il dibattimento? E che cosa succederebbe se, in ipotesi, si trattasse di un processo per reati fallimentari con la possibilità concreta che del collegio giudicante non possano far parte quei giudici che si siano occupati della dichiarazione di fallimento o della relativa opposizione ovvero di una azione di responsabilità in sede civile basata anche sugli stessi fatti oggetto del processo penale? L’esecuzione delle intercettazioni Uno degli snodi su cui i DDL intervengono con previsioni analoghe è quello delle modalità di esecuzione delle intercettazioni, dando attuazione alle previsioni di cui ai commi 82 e 83 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008. Il nuovo sistema unico nazionale: esecuzione delle registrazioni, ascolto (con un nuovo ruolo per gli agenti di PG) e riduzione dei costi Il nuovo sistema unico nazionale già previsto nella finanziaria 2008 si articola sulla concentrazione presso gli istituendi “centri di intercettazione telefonica” delle operazioni di registrazione e mentre le operazioni di ascolto delle conversazioni saranno compiute mediante gli impianti installati presso le procure della Repubblica ovvero, se autorizzato dal PM, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini . L’innovazione non può che essere guardata con favore poiché dovrebbe consentire - sia un miglior livello di sicurezza nell’acquisizione e trattamento dei dati anche per la limitazione del numero di soggetti che possono accedere alle registrazioni e ai dati, - sia una semplificazione sotto l’aspetto “contabile” riducendo a 26 gli attuali 166 (o 192 se si considerano anche le procure della repubblica presso i tribunali per i minorenni) centri di costo (di cui alcuni parrebbero non aver mai reso alcun conto al ministero), - sia un elevato risparmio di spesa che dovrebbe conseguirne e che la relazione tecnica allegata al DDL 1415 stima in circa 180 milioni di euro annui, importo che dovrebbe coprire la gran parte di tagli alle “missioni di spesa” operati dal DL 112/2008. Peraltro, ad esaminare la Relazione ministeriale al Parlamento sullo stato della giustizia nel 2007, si vede che la cifra di 228 milioni indicata quale costo per le intercettazioni è ottenuta sulla base dei decreti di pagamento emessi (e quindi con un criterio di cassa e non di competenza) e che essa è comprensiva anche dei costi per tabulati che non paiono compresi tra gli oneri stimati nella relazione tecnica. Ne deriva che i dati dei risparmi potrebbero essere da un lato più elevati e dall’altro lato inferiori al reale poiché ai costi per l’impianto e l’esercizio delle nuove strutture distrettuali di intercettazione e circondariali di ascolto occorre aggiungerne altri tecnicamente necessari. Il DDL governativo “complica” la redazione del verbale di esecuzione delle intercettazioni (nuovo art. 268 comma 2) che dovrà contenere molti più dati rispetto a quanto oggi previsto. Il DDL governativo prevede altresì (art. 267 comma 4 c.p.p.) la possibilità che nei casi di procedimenti per delitti di criminalità organizzata, terrorismo o minaccia col mezzo del telefono (semplici) agenti di polizia giudiziaria possano coadiuvare il PM o l’ufficiale di polizia giudiziaria, venendo così incontro ad esigenze operative della polizia giudiziaria. Sempre in materia di esecuzione tutti i DDL prevedono infine che nel registro riservato tenuto nelle procure della repubblica vengano annotati anche data e ora di emissione e di deposito dei decreti autorizzativi. Il DDL C-1510 propone di annotarvi anche i nominativi del personale intervenuto. Evidente lo scopo di prevenire comportamenti scorretti che parrebbero essersi verificati. 3 – CONSERVAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI Presupposto dell’intervento sulle modalità di conservazione del materiale intercettato è la consapevolezza dell’inadeguatezza della situazione attuale (“manca una precisa organizzazione della gestione e 9 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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custodia dei risultati dell'attività svolta”: così la relazione del Presidente della Commissione giustizia della Camera 24.07.2008). Per comprendere meglio le dimensioni del problema e la conseguente necessità di intervento per chi ha la responsabilità politica di intervenire, appare utile il richiamo a un dato evidenziato nella Relazione ministeriale al Parlamento sullo stato della giustizia per l'anno 2007, presentata agli Atti del Senato per la seduta del 22.01.2008, ove il Ministero segnala “sono state anche oggetto di controllo le modalità di custodia della documentazione relativa alle intercettazioni di comunicazioni. Con riferimento a tale dato è stato rilevato che 13 uffici di Tribunale hanno correttamente applicato la normativa a tutela della privacy, 6 uffici lo hanno fatto in maniera inadeguata, 2 non avevano provveduto. Per gli uffici di Procura 14 hanno applicato correttamente la normativa, 6 lo hanno fatto in maniera inadeguata, 2 non avevano provveduto”11. Se su un campione di 43 uffici ben 16 (cioè il 37%) non ha correttamente applicato (o non ha addirittura applicato) la normativa in materia di privacy, allora le dimensioni della criticità portano a ritenere che si tratti purtroppo di una situazione fisiologica e non meramente patologica. L’inadeguatezza dell’attuale sistema di conservazione del materiale intercettato è indubbiamente una delle concause della fuoriuscita del materiale intercettato (o del suo contenuto) verso i media per la divulgazione all’esterno. E’ anche necessario ricordare che la Corte EDU in una, già non più recente, pronuncia relativa all’Italia [sent. Craxi c. Italia (n. 2) del 17 luglio 2003, sia pure con la dissentig opinion del Giudice italiano V. Zagrelbesky] proprio in ordine alla pubblicazione sulla stampa di intercettazioni telefoniche relative a conversazioni di natura privata, irrilevanti o poco rilevanti per le accuse oggetto del procedimento penale (depositate nella segreteria del PM come materiale integrativo di indagine e quindi senza problematiche di “segreto istruttorio”) con danno di immagine tanto più per i terzi estranei al processo penale, aveva ritenuto, tra l’altro, - che la loro diffusione non era proporzionata ai fini legittimamente perseguibili per giustificare una violazione della privacy e conseguentemente doveva essere considerata “non necessaria in una società democratica” secondo l’interpretazione dell’art. 8.2 Convenzione EDU (sent. cit. § 67), - che la protezione dei diritti garantiti dall’art. 8 Convenzione EDU deve essere effettiva e positivamente assicurata dallo Stato anche nella fase del dibattimento (sent. § 81-83), anche perché la divulgazione delle conversazioni attraverso la stampa poteva essere stata il risultato di un malfunzionamento della segreteria del PM. Il nuovo archivio Strumento fondamentale per la conservazione delle registrazioni, secondo tutti i DDL, è il nuovo apposito “archivio riservato tenuto presso l’ufficio del pubblico ministero che ha disposto l’intercettazione” (art. 269 c.p.p.), in cui sono destinati a confluire tutti i verbali ed i supporti contenenti le registrazioni. Innovativa anche la previsione del divieto esplicito di allegazione anche parziale delle intercettazioni al fascicolo delle indagini, sempre al fine dichiarato di prevenire divulgazione verso l’esterno del materiale intercettato o del suo contenuto (nuovo art. 269). La responsabilizzazione individuale Una delle linee di fondo comuni a tutti i DDL è la chiara individuazione del soggetto responsabile del servizio di intercettazione, del registro riservato delle intercettazioni e dell’archivio riservato nel quale sono custoditi i verbali ed i supporti (nuovo comma 2 bis dell’art.89 disp. att. c.p.p.), attraverso la designazione di un funzionario responsabile da parte del procuratore della repubblica.
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Pag. 115 (pag. 132 del documento “.pdf”). Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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L’individuazione di una persona fisica responsabile dell’acquisizione, del trattamento e della conservazione dei dati e delle registrazioni – unita alla previsione di un complessivo quadro sanzionatorio – dovrebbe impedire che a fronte di eventuali divulgazioni di materiale e notizie destinati a rimanere segreti o riservati non sia possibile individuare responsabilità di singoli e continuare a rifugiarsi in una generica “responsabilità collettiva del sistema”. L’effetto preventivo dissuasivo, conseguente anche ad una individuazione con maggior precisione o facilità delle possibili fughe di notizie, dovrebbe auspicabilmente portare a una consistente diminuzione di divulgazione verso l’esterno di informazioni concernenti indagati, imputati e terzi estranei, nell’ottica di quella effettività delle garanzie personali la cui mancanza anche la Corte EDU ha censurato. Il futuro art. 268 comma 3-ter c.p.p. (contesto identico in tutti i DDL) attribuisce rispettivamente ai procuratori generali presso la corte di appello ed ai procuratori della repubblica, i poteri della gestione, vigilanza, controllo ed ispezione dei centri d’intercettazione e dei punti di ascolto. Anche tale attribuzione di poteri pare idonea al raggiungimento del fine di sicurezza nella raccolta, nel trattamento e nella conservazione dei dati e del materiale intercettato delineando chiaramente il quadro gerarchico di gestione e controllo. La scrematura e la conoscibilità delle intercettazioni per le parti del processo Il meccanismo per la “scrematura” delle intercettazioni è diverso nei diversi DDL. Più semplice e diretto nel DDL governativo, più “complicato” nel DDL che ripropongono in sostanza le soluzioni in discussione nella passata legislatura. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al PM e da questi depositati (condivisibilmente senza previ stralci da parte del PM) in segreteria entro 5 giorni dal termine delle operazioni (ovvero in ritardo ma entro il termine massimo di emissione dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p. se il tribunale accoglie la relativa richiesta del PM volta a evitare grave pregiudizio per le indagini) rimanendovi per il termine fissato dal PM, termine che può essere prorogato ove necessario. La competenza per tutti i provvedimenti di proroga del termine o di autorizzazione al deposito tardivo viene devoluta nel DDL governativo al Tribunale (provinciale collegiale), ormai vero dominus delle intercettazioni e impegnato, presumibilmente “a tempo pieno”, nei suoi nuovi compiti. Quali saranno i riflessi sulla capacità dei tribunali provinciali “minori” di svolgere la propria altra attività giudiziaria potranno essere verificati sul campo, anche se le previsioni parrebbero non ottimistiche. Effettuato il deposito, ne è data immediatamente comunicazione ai difensori che hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni entro il termine stabilito dal PM (salva proroga del giudice). Al fine di evitare la fuoriuscita dai locali della Procura di copia dei verbali , dei supporti e dei decreti ne è vietato il rilascio (nuovo art. 268 comma 6 ult. parte c.p.p.). Sotto il profilo teorico è comprensibile e apprezzabile la volontà di assicurare la segretezza delle intercettazioni e la possibilità effettiva di gestione e controllo, tanto più alla luce dell’introduzione del principio di responsabilità personale. Nel quotidiano, tale opzione finirà però per ostacolare concretamente (in alcuni casi fino a eluderla in toto) la possibilità di effettivo esercizio del diritto di difesa (gli orari di apertura dell’archivio durante i quali sarà possibile procedere all’esame degli atti e all’ascolto delle intercettazioni finiranno per coincidere con quelli in cui i difensori sono impegnati nelle attività giudiziali, lo studio degli atti e l’ascolto delle registrazioni dovrà essere effettuato solo nei locali della procura ecc. mentre il luogo proprio per l’esercizio di tali attività da parte del difensore è il suo studio. Se sorgeranno per il difensore esigenze di riascolto “pomeridiano o serale” di una registrazione o di farla ascoltare ad un cliente detenuto per chiedergliene spiegazioni come ciò potrà concretamente essere fatto? In caso contrario il diritto di difesa come potrà dirsi assicurato?) La fase della scrematura viene affidata al tribunale cui il PM, una volta scaduto il termine, trasmette verbali, atti e registrazioni. Il tribunale dovrà selezionare, in un’apposita udienza, le conversazioni o i 11 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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flussi “che non appaiono manifestamente irrilevanti” (condivisibile la formulazione) procedendo però, “anche di ufficio” (sottolineatura opportuna del suo ruolo di “garanzia” e “terzietà”) allo stralcio del materiale “di cui è vietata l’utilizzazione”. La procedura è quella camerale di cui all’art. 127 c.p.p., snella ma tale da consentire l’esercizio del diritto di difesa. La trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa delle informazioni contenute nei flussi diventa eventuale per il caso che il tribunale “lo ritenga necessario ai fini della decisione da assumere”. Opportuna appare, alla luce dell’evoluzione tecnologica delle modalità di registrazione e di ascolto, la espressa previsione della possibilità per i difensori di far eseguire la trasposizione delle registrazioni su “supporto informatico” (anziché su nastro magnetico). Al riguardo occorrerà però chiarire l’importo da corrispondere per diritti di copia, al fine di evitare differenze di interpretazione tra i diversi uffici. Anche quanto alla scelta “garantista” del DDL governativo di attribuire la competenza per la scrematura delle intercettazioni al Tribunale provinciale in composizione collegiale valgono le osservazioni già svolte in precedenza sulla competenza per disporre le intercettazioni e sui possibili riflessi negativi sul funzionamento di taluni uffici, magari su altri settori. La distruzione delle registrazioni La distruzione delle intercettazioni continua a essere disciplinata nel DDL governativo, anche quanto al momento, secondo le attuali regole di cui all’art. 269 commi 2 e 3 c.p.p., salvo - il sistematico subentro del tribunale al GIP per i provvedimenti di sua competenza e - l’ampliamento delle intercettazioni da distruggere in forza delle modifiche conseguenti all’ampliamento dell’area di inutilizzabilità delle intercettazioni (art. 271 commi 1 e 3 c.p.p.). 4 - DIVULGAZIONE VERSO L’ESTERNO DEI RISULTATI DEGLI ATTI DI INDAGINE Un punto su cui la normativa in discussione intende intervenire è quella della conoscibilità e divulgazione verso l’esterno del materiale intercettato. Viene così costruita un sistema in cui a monte, come si è visto, diventano più difficili, almeno a livello teorico, le fughe di notizie (visto il maggior controllo su tutte le fasi che concernono la esecuzione e conservazione delle intercettazioni, possibili in misura minore e più controllabile di quanto non sia oggi) e, a valle, si riducono le possibilità di conoscibilità esterna delle intercettazioni da parte di terzi che non siano parte del processo introducendo in contemporanea un sistema sanzionatorio per le violazioni del segreto e della riservatezza. L’intervento si appalesa necessario, a tutela di numerosi diritti e interessi: - riservatezza (privacy) delle parti e, soprattutto dei terzi (sovente si è assistito invece alla diffusione mediatica di conversazioni irrilevanti per le indagini e persino relative a soggetti del tutto estranei alle stesse, stante l’attuale “regime giuridico complessivo sostanzialmente disinteressato alla tutela degli estranei al procedimento penale, e che comunque sacrifica oltre ogni ragione processuale la privacy delle stesse persone sottoposte ad indagine” – Relazione ministeriale 22.01.2008 al Parlamento sull’andamento della giustizia nel 2007) - efficienza delle indagini e del buon funzionamento della giustizia, - presunzione di innocenza, da contemperarsi e bilanciarsi con la libertà di stampa e di informazione, necessari in una società democratica, anche se appare errato ritenere che la conversazione intercettata debba comunque costituire tout court oggetto del diritto di cronaca, indipendentemente dalla sua rilevanza nel processo penale e dal diritto di riservatezza soprattutto dei terzi estranei. Correttamente la Presidente della Commissione ha evidenziato che “sulla base della normativa attualmente in vigore il segreto riguarda soltanto gli atti d'indagine del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, sino a quando non ne possa avere conoscenza la difesa. Spesso, dunque, si parla impropriamente di illecita pubblicazione di atti di indagine. Tuttavia, è frequente anche la divulgazione di intercettazioni ancora coperte da segreto. Nei confronti di tali violazioni è 12 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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necessario maggiore rigore e non lasciare che le norme volte a presidiare i divieti restino inapplicate”. Preliminarmente l’OUA richiama le osservazioni generali già contenute nel documento presentato a questa Commissione in occasione dell’audizione del 11 giugno u.s.12 Giova ricordare che il problema del rapporto tra il processo penale ed il ruolo dei mezzi di comunicazione è comune alla maggior parte dei paesi europei, dove all’insegna del principio di pubblicità – e, più in generale, del diritto della collettività all’informazione – ci si trova di fronte a violazioni del segreto istruttorio per seguire ogni giorno sulla stampa lo sviluppo di un’inchiesta, a casi di particolare risonanza trasformati in feuilletons videotrasmessi, al proliferare di programmi televisivi basati sulla cronaca nera, per giungere fino a veri e propri processi penali paralleli. In taluni casi pare di essere di fronte alla tentazione del ritorno al “linciaggio collettivo” e all’applicazione anticipata della sanzione della “gogna”, che non agevola né la ricerca della verità, né la pace sociale. Un principio cardine del sistema di giustizia penale di tutti gli ordinamenti europei, non solo dell’Italia, è la presunzione di innocenza.
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Il richiamo al senso di responsabilità ed alla deontologia delle singole categorie, seppur doveroso, non può certamente sostituire il doveroso intervento del legislatore>>. 13 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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Il processo mediatico, la diffusione di notizie (parte del più complesso fascicolo processuale) finiscono per incidere pesantemente su tale presunzione Anche se tradizionalmente il sistema accusatorio non è favorevole al segreto (“it keeps the judge himself while trying under trail”) è difficile immaginare che un’inchiesta possa svilupparsi efficacemente fin dall’origine sulla pubblica piazza e, dall’altro lato, la tutela della presunzione di innocenza esige che il sospettato non sia prematuramente consegnato al pubblico. In Inghilterra la pubblicazione di informazioni con l’intento di influire su eventuali indagini quale che sia il momento della pubblicazione è punibile con il ricorso al contempt of court, che comprende anche il “pubblicare informazioni di natura tale da influenzare una giuria nei confronti di un accusato”, formula vaga che evidenzia però bene come oggetto della tutela sia soprattutto la fairness processuale, il buon funzionamento della giustizia ex art. 6 CEDU, pervenendo persino ad annullare il verdetto se la stampa ha “inquinato il processo”). La sottolineatura della compromissione che la violazione del segreto apporta alla presunzione di innocenza è visibile in Francia sol che si rifletta al titolo della riforma di cui alla legge 516 del 15.06.2000: Loi renforçant la présompion d’innocence et les droits des victimes. Nell’intervento proposto dal DDL governativo si prevede - che il divieto (art. 114 comma 2 c.p.p.) di pubblicazione di atti e immagini fino ala conclusione delle indagini o al termine dell’udienza preliminare riguarda non solo gli atti ma anche il loro riassunto o il relativo contenuto (ciò al fine di contrastare le attuali prassi) - il nuovo divieto di pubblicazione, anche parziale e in qualunque forma, delle intercettazioni di cui sia stata ordinata la distruzione (con il condivisile intento di evitare che l’ordine di distruzione non possa poi raggiungere i suoi effetti), - il divieto di riportare integralmente le intercettazioni nelle ordinanze che dispongono misure cautelari (al fine di evitarne al conoscibilità ai terzi estranei al processo mentre le parti potranno averne accesso in un apposito fascicolo allegato agli atti), - la modifica del reato di illecita rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 369) punibile secondo il DDL governativo con una sanzione molto più elevata (da 1 a 5 anni di reclusione contro i limiti attuali da 15 giorni a 1 anno per l’ipotesi dolosa, con l’introduzione di una fattispecie colposa) e l’introduzione di una sanzione per la violazione del segreto da parte di chi non osservi il divieto impostogli dal PM ex art. 391-quinquies c.p.p., - la introduzione nell’ordinamento di un nuovo reato (art. 617-septies c.p.) di accesso abusivo (mediante modalità o attività illecita) ad atti del procedimento penale, punito con la reclusione da 1 a 3 anni, - l’aumento delle sanzioni per il reato di pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale (art. 684 c.p.), con un differenziazione tra l’ipotesi “base” e quella “speciale” quando la pubblicazione concerne le intercettazioni. 5 – ALCUNE ULTERIORI PREVISIONI CONTENUTE IN SINGOLI DDL Nel disegno di legge governativo sono altresì previsti interventi sulla terzietà e imparzialità del giudice, sulla correttezza del PM e su altri aspetti, complementari rispetto all’impianto generale del disegno di legge, ma collegati e connessi al tema della pubblicità degli atti di indagine. Astensione del giudice loquace Il PDL governativo prevede all’art. 1 l’introduzione nel codice di rito (art. 36 c.p.p.) di un nuovo caso di astensione (e quindi di ricusazione in caso di mancata astensione) del Giudice loquace, che abbia cioè reso pubblicamente dichiarazioni relative al processo affidatogli. Non si può che condividere la proposta, alla luce della necessità di tutelare la equità del processo, la imparzialità del Giudice (e la sua apparenza). D’altronde, con uno sguardo a ciò che accade in altri paesi vicini al nostro, in Germania (ove i contatti con i giornalisti passano attraverso il rispetto dell’autorità gerarchica e del ruolo del 14 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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magistrato addetto alle comunicazioni, lo Justizpressesprecher) nel noto caso del processo all’ex leader della DDR Erich Honecker l’intervista rilasciata da uno dei giudici ne aveva provato l’immediata ricusazione (e nessuno aveva trovato a ridire sulla soluzione). Sostituibilità del Pubblico ministero sospettato di non aver rispettato il segreto su un suo procedimento Il PDL governativo prevede, sempre all’art. 1, l’introduzione nel codice di rito (art. 53) di un’ipotesi di sostituzione del PM loquace, cioè che sia iscritto nel registro delle notizie di reato per il reato di illecita rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale di cui sia titolare. Lo scopo dichiarato è quello di scoraggiare in via preventiva le fughe di notizie mettendo di fronte ad un magistrato eventualmente desideroso di un’indagine mediatica a scapito sia della segretezza dell’indagine (segretezza finalizzata anche al buon esito dell’attività istruttoria) dei diritti degli indagati e delle altre parti private la certezza di “non poter fare più danni” attraverso la sua sostituzione nella titolarità dell’indagine. La “sanzione” immediata latu sensu prevista (sostituzione e perdita della titolarità del fascicolo) appare adeguata. Il DDL si pone anche giustamente il problema delle possibili denunce strumentali contro il PM, tese a toglierli la titolarità dell’inchiesta, e prevede in tal caso l’obbligo per il capo dell’ufficio (ovvero del procuratore generale nel caso che il magistrato indagato sia il procuratore stesso e non un sostituto) di sentire il procuratore competente per l’indagine sulla rivelazione di segreti da parte del PM in ordine alla serietà e gravità dei fatti. Le informazioni agli organi disciplinari sull’iscrizione nel registro degli indagati L’art. 2 del DDL governativo prevede anche l’obbligo per il procuratore della repubblica di informare l’organo disciplinare competente in ordine a ogni iscrizione nel registro degli indagati di impiegati dello stato o persone esercenti una professione per cui è necessaria una speciale autorizzazione. Nei trenta giorni dal ricevimento dell’informativa l’organo disciplinare, dopo il contraddittorio con il presunto autore del fatto, potrà disporne la sospensione cautelare. La volontà di mettere in condizione l’organo disciplinare di poter intervenire cautelarmente in tempi rapidi appare condivisibile, il riguardo all’effettività e immediatezza dei rimedi parimenti apprezzabile, il diritto di difesa del presunto autore di reato pare garantito dall’obbligo per l’organo disciplinare di sentirlo prima dell’adozione dell’eventuale provvedimento cautelare. Difficoltà di fatto per una effettiva difesa nel procedimento cautelare disciplinare si potranno però porre, poiché il presunto autore del fatto non potrà verosimilmente avere accesso a tutti gli atti e documenti contenuti nel procedimento in cui è indagato visto lo sfasamento temporale tra un’indagine penale verosimilmente ancora non conclusa e quindi “segreta” e non pienamente conoscibile da una parte e un procedimento cautelare in corso basato su alcuni atti e informazioni “selezionati” dal PM e dallo stesso forniti all’organo disciplinare. Ampliamento dell’ambito di operatività della violazione di domicilio Il DDL governativo propone una modifica dell’art. 614 c.p. tesa a equiparare all’abitazione ogni altro luogo privato (e non solo di privata dimora), con ampliamento del luogo fisico “riservato”.
15 Via G.G.Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail:
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