SEMINARIO DI STUDIO
“IL WELFARE TRA BISOGNO DI INTEGRAZIONE E REGRESSIONE POLITICA”
Gioia del Colle, 11.03.2009
INDICE
1. Presentazione Seminario 2. Relazione di apertura: “Il welfare tra bisogno di integrazione e regressione politica. Relazione Terzo Settore e Istituzioni nelle sei Regioni Meridionali del progetto FQTS” Prof. Giuseppe Cotturri 3. Relazione introduttiva ai lavori del Laboratorio: finalità, obiettivi e strumenti della nuova programmazione sociale nella regione Puglia Dott. Giuseppe Chiapperino 4. Analisi di scenario: “2013. L’esito delle politiche sociali dell’integrazione realizzate in Puglia dalla Regione” Dott. Natale Pepe Dott. Claudio Poggi Dott. Damiano Maggio 5. Relazione conclusiva : “Dove va il processo di integrazione in Puglia”
Dott. Franco Ferrara
Presentazione Dal 1995 il Centro Studi Erasmo presidia in Puglia la dimensione dell’autonomia del sociale, cercando di cogliere il significato dei cambiamenti intervenuti nella società e impegnandosi a dare voce e a rendere attive e protagoniste le comunità locali, persone e territori. Questo impegno è stato perseguito attraverso una lettura dei bisogni della società pugliese e del ruolo che in essa giocano i diversi attori. In questi anni il Centro Studi ha contribuito a sviluppare un sistema di relazioni capaci di comprendere e di rendere visibile la complessità della domanda sociale nella nostra regione. Lo sforzo si è inoltre concentrato nel connettere la dimensione locale del welfare con quella delle politiche europee di inclusione e sviluppo dei territori. Il seminario “Il welfare tra bisogno di integrazione e regressione politica”, tenutosi l’11 marzo 2009 a Gioia del Colle presso il Palazzo Municipale, è una iniziativa di studio e di confronto della società civile auto-organizzata. Lo scenario sociale nel quale esso si colloca può essere definito, in alcuni aspetti essenziali, attraverso la lettura proposta da alcune agenzie di ricerca. Appare significativa quella fatta dal CENSIS (giugno 2008) sintetizzabile in alcuni passaggi chiave: 1. L’affermarsi nel territorio di nuove soggettualità. In questa ricerca vengono rilevate due tendenze in atto: la prima è relativa al rischio connesso al prodursi di fenomeni di “neo-corporativismo localistico” molto attento a convogliare la spesa pubblica a livello di macrointerventi territoriali generatori di consenso e contemporaneamente ad adottare logiche negoziali nei confronti di politiche di impronta sovralocale; la seconda attiene al futuro stesso del localismo italiano. Quest’ultimo è oggi declinabile esclusivamente in senso difensivo (come strumento per drenare risorse finanziarie da impiegare localmente). Esiste ancora la possibilità che dal protagonismo dei territori si origini un nuovo ciclo vitale per il paese? 2. Il sociale non presidiato. Indecifrabile e minacciosa, così appare la realtà sociale italiana. Da anni sembra impegnata in un’irresistibile discesa al peggio:razzismo sempre meno occulto, violenza nelle strade e negli stadi, nuove dipendenze e reati annessi, violenze sulle donne e i bambini in famiglia e fuori. Incapacità di connessione, di creare relazioni, di essere una comunità che sa stare insieme, aggregare, includere. Il deserto relazionale e la crisi di senso del vivere collettivo moltiplicano i loro effetti nefasti interagendo con la crescente incertezza delle famiglie di riuscire a mantenere per sé e le generazioni future il benessere e la sicurezza raggiunte con la percezione diffusa che occorra difendere a denti stretti il portato di una intera fase di crescita. D’altro canto è evidente che il ciclo lungo del welfare italiano, con una copertura dei bisogni dalla culla alla tomba ha esaurito la sua spinta, impastato in regressioni burocratiche e sovrapposizioni inefficienti della devolution, in corporativismi di settore degli operatori (dai medici agli insegnanti), nell’incapacità delle “altre” soggettualità (non profit o social profit) di andare oltre una pura supplenza. Questi elementi segnalano l’urgenza di un lavoro di ricognizione e armonizzazione tra ricerca e attività sociale in un tempo produttore di mutazioni veloci e profonde.
Il Seminario Il Centro Studi Erasmo avverte la necessità di aggiornare le proprie “mappe concettuali” per essere ancora parte attiva e dialettica della realtà sociale pugliese sottoposta a cambiamenti. Il concetto di integrazione deve essere nuovamente esplorato nelle sue diverse dimensioni. Fenomeni come quello della crisi globale dell’economia, della crescita delle povertà, dell’immigrazione, assieme alle problematiche relative alla crescente multietnicità della società italiana, alla disabilità e alle diverse cronicità sociali e sanitarie, solo per fare alcuni esempi, ci interpellano profondamente. Oggi ha ancora senso parlare di integrazione, è possibile farlo? Di cosa si sta parlando realmente quando viene utilizzato questo termine? Dovremmo forse utilizzare altre parole? Con la presente iniziativa si è voluto riflettere sul significato e sul ruolo che il concetto di integrazione, nelle sue diverse articolazioni, assume in questa fase del welfare in Italia. Collocare ciò che sta avvenendo a livello regionale in un contesto più ampio di regressione del welfare nazionale (cfr. Il Libro Bianco del ministro Sacconi). Inoltre, si è cercato di analizzare lo scenario relativo alle politiche sociali dell’integrazione realizzate dalla Regione Puglia in questi anni e i possibili scenari futuri al fine di prefigurare una “rotta” verso cui orientare l’azione del Centro Studi sulle tematiche dell’ integrazione nel tempo dei cambiamenti.
Il Programma Il lavori si sono articolati in tre tempi: 1. 2.
Relazione d’apertura “Il welfare tra bisogno di integrazione e regressione politica. Relazione Terzo Settore e Istituzioni nelle sei Regioni Meridionali del progetto FQTS”. (prof. Giuseppe Cotturri). Laboratorio
Analisi di scenario: “2013. L’esito delle politiche sociali dell’ integrazione realizzate in Puglia dalla Regione” -
Relazione introduttiva a cura del dott.Giuseppe Chiapperino (Assessorato Politiche Sociali Regione Puglia). Lavori di Gruppo.
3. Presentazione risultati del Laboratorio L’analisi di scenario elaborata dai Gruppi viene discussa con il dott. Franco Ferrara (Presidente Centro Studi Erasmo). Al seminario hanno partecipato operatori del settore pubblico e del privato sociale impegnati nei processi di attuazione del Piano Sociale Regionale, provenienti dal Centro Studi Erasmo, dall’Associazione “Cercasi un Fine”, dalla rete collegata alla Casa della Convivialità “don Tonino Bello”, dalla Cooperativa sociale Itaca, la rete Cilap-Puglia (cfr. tabella 1).
Tabella 1 - Partecipanti al seminario di studi
COGNOME E NOME
PROFESSIONE
1. Avezzano Vittorio 2. Bonasora Pasquale 3. Capodiferro Milena
Consulente del Lavoro Impiegato Impiegata Consulente Esperto Politiche 4. Chiapperino Giuseppe Sociali 5. Colaci Devitis Marilù Educatrice Responsabile Servizi 6. Demarco Pasqua Educativi Consulente per le Politiche 7. Demetrio Pasqua Sociali 8. De Filippis Alessandra Dirigente 9. Elsheikh Elrashid IbrahimOperatore Sociale 10. Ferrara Franco Formatore, Consulente 11. Greco Giuseppe
Impiegato
12. Guadalupi Maurizio 13. Laterza Annunziata 14. Liddi Grazia 15. Lillo Nunzio 16. Lopriore Girolamo 17. Losapio Gianpietro
Sociologo Orientatore - Formatore Consulente Impiegato Tecnico Progettista - Consulente Dirigente Impresa Sociale Amministrativa presso biblioteca Sociologo Consulente Archivista Mediatore Interculturale Sociologa Animatrice di Conciliazione Vita - Lavoro Sociologo Sociologo Sociologo Consulente Sociologo
18. Losito Cinzia 19. Maggio Damiano 20. Mangarella Tiziana 21. Nicastri Marianna 22. Pata Laura Liliana 23. Pecere Valeria 24. Pepe Biancamaria 25. Pepe Natale 26. Picardi Vincenzo 27. Poggi Claudio 28. Salerno Antonella 29. Sisto Antonella
ORGANIZZAZIONE DI PROVENIENZA Centro Studi Erasmo Associazione “Cercasi un Fine” Comune di Gioia del Colle Regione Puglia Centro Studi Erasmo Centro Studi Erasmo Centro Studi Erasmo Cooperativa Sociale Itaca Caritas diocesana Trani Centro Studi Erasmo (presidente) Associazione "Cercasi un Fine" (presidente) Centro Studi Erasmo AIPD sezione di Bari (presidente) Centro Studi Erasmo Consorzio Nova Comune di Gioia del Colle Centro Studi Erasmo Cooperativa sociale Itaca Centro Studi Erasmo Caritas diocesana Trani Centro Studi Erasmo Centro Studi Erasmo ASL Matera; Centro Studi Erasmo Centro Studi Erasmo ASL Bari; Centro Studi Erasmo Caritas diocesana Trani Centro Studi Erasmo
Giuseppe Chiapperino
Finalità, Obiettivi e Strumenti
della Nuova Programmazione Sociale nella Regione Puglia Documento strategico Regionale 2007-2013 (agosto 2006) Aree di Criticità
Criticità Sociali (le condizioni dei cittadini)
Criticità di contesto (le condizioni del territorio)
Criticità delle imprese (le condizioni delle imprese)
Alcuni DATI • • • • •
La popolazione cresce molto lentamente - Il tasso di natalità è molto basso (9,7 contro il 10 della media nazionale) soprattutto per diffusa incertezza sul futuro da parte delle giovani coppie. Cresce la quota di popolazione anziana. La presenza di stranieri è contenuta (1,1% della popolazione pugliese) ma anche di studenti stranieri. Aumento del movimento migratorio verso il Centro – Nord (in quota rilevante rappresentata da laureati “ fuga di cervelli”). Circa un quarto della popolazione regionale 25,2%, vive in povertà relativa ( loro unici consumi sono per l’alimentazione, casa e vestiario), inoltre vi sono soprattutto famiglie numerose che vivono in povertà assoluta in condizioni abitative difficili e in situazione di deprivazione. L’incremento dei consumi delle famiglie nell’ultimo quadriennio è stato molto modesto 3% rispetto al 9,5% del quadriennio precedente.
Altri DATI • Elevata diffusione di comportamenti illegali. • La Puglia è ai primi posti in Italia per costruzioni abusive, delitti ambientali, ciclo del cemento e quello dei rifiuti. • Lavoro irregolare (21%). • Evasione fiscale con conseguente depressione della capacità di finanziamento dei servizi pubblici e sperequazione tra dipendenti che pagano le tasse e lavoratori autonomi che le evadono. • Diffusione di forme di criminalità organizzata, connesse anche con organizzazioni internazionali, anche se minore rispetto alle altre Regioni del Sud, ma incide sia sulla sicurezza dei cittadini che sulle attività economiche. • Il 30% dei commercianti pugliesi è vittima di estorsioni (secondo i dati del Rapporto SOS Imprese del 2005). • C’è ancora un insufficiente tasso di scolarità per le scuole superiori (79% rispetto all’83% nazionale) e anche di iscrizione a corsi di laurea (incidenza degli iscritti sul totale degli ab. compresi tra i 15 e i 30 anni di 15 su 100, rispetto al 19 su 100 del dato nazionale).
Lavoro e Occupazione • Bassa capacità di creare occasioni di lavoro. • Tasso di occupazione inferiore a quello meridionale 45% rispetto al 46,1%.
• Elevatissimo tasso di disoccupazione 15,5% rispetto al 15% delle restanti regioni del Sud. • Maggiore ritardo occupazionale per la componente femminile, nel 2004-2005 si registra anzi una diminuzione dell’occupazione femminile.
Infrastrutture e servizi sociali • In Puglia sono maggiormente carenti le dotazioni sociali e culturali.
Politiche per l’inclusione e la coesione sociale Per poter perseguire l’obiettivo generale della realizzazione di migliori condizioni di occupabilità è necessario adottare un approccio strategico basato sul principio dell’integrazione, non solo come metodo di lavoro per l’organizzazione di reti di servizi capaci di fornire risposte articolate e personalizzate all’individuo ed al nucleo familiare, ma anche come obiettivo prioritario per la costruzione di un sistema di società maggiormente inclusiva e coesa (sia nelle condizioni di occupabilità , sia per quanto concerne un più efficace sistema di welfare ).
Inclusione sociale e salute Il quadro strategico regionale per il periodo 2007-2013 dovrà porre rimedio all’inadeguatezze degli interventi a sostegno delle politiche sociali ed inclusive scaturite dal ciclo di programmazione 2000-2006 : • •
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Dotazioni di infrastrutture sociali e socio – sanitarie insufficiente rispetto ai bisogni e rispetto alle nuove reti di servizi che occorre attivare; Insufficienti condizioni di accessibilità alle strutture socio – sanitarie ed alle cure per la salute per le diverse fasce della popolazione , connesse alla inadeguatezza dei sistemi di trasporto per la mobilità urbana ed interurbana; Insufficienti condizioni di accesso alle politiche di inclusione sociale ed alle politiche della salute degli immigrati Insufficiente orientamento delle politiche formative e di sostegno all’inserimento lavorativo verso il sistema delle professioni sociali Frammentazione e sostanziale debolezza del sistema regionale della cooperazione sociale, dell’impresa sociale e dell’organizzazione dell’economia civile Assenza di politiche strutturate di contrasto alla povertà Assenza sul territorio regionale di una rete organizzata di strutture e servizi per il turismo sociale rivolto a bambini e ragazzi, anziani, persone diversamente abili. Carenza di basi informative sulla domanda e sull’offerta dei servizi sociali e socio sanitari.
Priorità strategiche regionali • •
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Percorsi formativi e sostegni economici ai percorsi professionalizzanti connessi alla formazione delle nuove professioni sociali o percorsi per la creazione di nuove imprese. Potenziamento della rete delle infrastrutture sociali e socio sanitarie ed il miglioramento dell’accessibilità ai servizi nelle aree urbane e negli ambiti territoriali extra urbani, dando priorità a quelle previste dai Piani di Zona, già finanziati. Investimenti nella crescita dell’offerta dei servizi di cura per le persone e le famiglie, al fine di promuovere e sostenere l’espansione e la maturità imprenditoriale dei soggetti del privato sociale e del privato con priorità per i processi di aggregazione di piccole strutture che si consorziano con processi di qualificazione di qualità dei servizi che operano nel campo del sociale e sanitario. Sostenere e qualificare una politica di innalzamento dei livelli di benessere e della salute dei cittadini pugliesi tenendo in considerazione che i fabbisogni sono differenziati per le diverse categorie sociali. Sostenere una politica orientata a prevenire i rischi sanitari e le malattie, i rischi di esclusione ed i fenomeni di marginalità sociale.
La nuova Programmazione sociale La Finalità Sostenere la centralità di una esplicita strategia per l’inclusione sociale con obiettivi, priorità attuative, strategie e metodi, risorse specifiche. Gli obiettivi generali • promuovere e sostenere una strategia di inclusione sociale e di costruzione di una società regionale inclusiva; • sostenere e qualificare una strategia orientata alla tutela della salute e del benessere; • garantire un sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini, per la conciliazione dei tempi di vita-lavoro; • sostenere e qualificare una strategia orientata alla diffusione della cultura della legalità e al rafforzamento dei livelli di sicurezza. Gli obiettivi operativi • promuovere e sostenere politiche di prevenzione dal rischio di esclusione sociale e politiche di inclusione sociale per cittadini e famiglie in svantaggio economico e sociale (in particolare politiche di sostegno delle famiglie, politiche di genere e di conciliazione vita-lavoro, politiche di accoglienza e integrazione persone immigrate, politiche di contrasto alla violenze sulle donne e sui bambini, politiche di contrasto alle povertà, politiche abitative e di riqualificazione urbana);
• sostenere e qualificare una politica di innalzamento di benessere e salute dei cittadini pugliesi specialmente migliorando il patrimonio di strutture sociosanitarie e i servizi per l’accesso; • riqualificare contesti a rischio di criminalità per garantire condizioni di sicurezza a cittadini e imprese. Strategie • target vincolante per alcuni servizi essenziali (asili nido, A.D.I,....); • integrazione delle politiche di inclusione sociale e di tutela della salute con le politiche di sviluppo e riqualificazione urbana; • sussidiarietà verticale e orizzontale; • innovazione tecnologica, organizzativa e di approccio integrato alla presa in carico delle situazioni di fragilità. Strumenti • • • • • • • • • • • • • •
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elaborazione e attuazione Piano di azione “diritti in rete”; elaborazione e attuazione Piano interventi in favore degli immigrati; elaborazione e attuazione Piano regionale “Famiglie al futuro”; elaborazione e attuazione Piano regionale Interventi per il Volontariato; elaborazione e implementazione linee guida per l’affido familiare; Piano di comunicazione (pugliasocialenews in particolare); azioni di ricerche sociali su fenomeni sociali territoriali; progettazione e organizzazione sistema informativo regionale (SISR); progettazione e organizzazione Osservatorio Regionale Politiche Sociali; programma di interventi per costruzione e gestione asili nido, micro-nidi, nidi aziendali, centri ludici; programma di interventi per potenziare strutture sociali e rete welfare d’accesso; programma di interventi per potenziare rete servizi sanitari territoriali nei distretti sociosanitari; programma di interventi per potenziare strutture e servizi per prevenire e contrastare lo sfruttamento, la tratta e la violenza su donne, bambini, cittadini stranieri immigrati; programmi di interventi contro l’usura e l’estorsione, per il riuso sociale dei beni confiscati alla mafia e alle organizzazioni criminali, la diffusione della cultura della legalità, riduzione percezione insicurezza operatori economici; programma di qualificazione delle professionalità impegnate nei servizi sociali; programmi di riqualificazione professionale delle donne nel settore dei lavori di cura (con voucher di conciliazione a sostegno della frequenza dei percorsi di formazione professionale, riqualificazione, specializzazione); programmi di formazione interculturale per persone immigrate e loro famiglie, (potenziare la formazione professione delle nuove professioni sociali nel campo della mediazione interculturale e linguistica); programmi di potenziamento delle misure a favore dell’emersione del sommerso nell’economia sociale e nei lavori di cura.
Risorse (già determinate)
FNPS 2006-2007-2008
151.800.000
FNA 2007-2008
50.655.000
Bilancio Autonomo regionale
FGSA 2007-2008, Assegno di cura, Prima dote, Piano Immigrazione 2008, Piano Volontariato 2008, Contributi Progetto R.O.S.A.
Residui 2004-2005
Associazionismo familiare, Progetto Sax–B , Interventi sostegno T.s.
P.O. FESR 2007- 2013
Asse III “Inclusione sociale, qualità della vita e attrattività territoriale”
P.O. FSE 2007- 2013
Asse III “Inclusione Sociale”
58.000.000
3.500.000
570.000.000
76.752.000
Risorse da determinare • • • • •
FNPS 2009 - 2013 FGSA 2009 – 2013 Assegno di cura e altri interventi da Bilancio autonomo regionale Risorse CIPE progetti specifici risorse FAS progetti specifici
Fonti 1. Documento strategico della Regione Puglia 2007-2013 (agosto 2006) 2. L.r. 19/2006 (disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini di Puglia) 3. P.O. Puglia FESR 2007- 2013 (in particolare Asse III “Inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale”) 4. P.O. Puglia FSE 2007-2013 (in particolare Asse III “Inclusione sociale”) 5. L.r. 7/2007 (Norme per le politiche di genere e i servizi di conciliazione vita-lavoro in Puglia) 6. L.r. 23/2008 (Piano regionale della Salute 2008-2010)
Laboratorio Analisi di scenario: “2013. L’esito delle politiche sociali dell’integrazione realizzate in Puglia dalla Regione”
Introduzione all’analisi di scenario Lo scopo del laboratorio è di realizzare una prima parziale valutazione in itinere delle politiche sociali dell’integrazione in Puglia, di farlo dando voce agli operatori impegnati in questa fase di attuazione del Piano Sociale Regionale, rendendo visibile la percezione che essi ne hanno. I partecipanti al laboratorio sono persone che nel pubblico, nel privato sociale e nell’associazionismo sono coinvolte in questo processo. Attraverso il laboratorio si è cercato di far emergere il vissuto individuale per trasformarlo, attraverso la condivisione ed il confronto, in un discorso “pubblico”. Le storie di ognuno sono state la materia prima per ricomporre temi generali, fenomeni di interesse collettivo. La consapevolezza di tutti è che si tratta di un lavoro che tiene conto di un punto di osservazione specifico e parziale. In questa parzialità risiede il “valore” di quanto prodotto. Un valore che si manifesta appieno solo nel confronto e nel dibattito a più voci con gli altri attori del processo sociale in atto. Per facilitare l’ emersione, la condivisione e l’ analisi delle percezioni soggettive si è utilizzato il metodo della elaborazioni di scenari. Immaginando di essere già in un ipotetico futuro (si è scelto il 2013) ci si è guardati indietro per vedere il cammino fatto per raggiungere la situazione immaginata. Quali i risultati raggiunti, chi ne è stato responsabile, quali le cause. Lo si è fatto estremizzando, polarizzando, i possibili esiti di questo percorso. Per prima cosa si è chiesto di collocarsi in un punto di arrivo delle politiche dell’integrazione caratterizzato da un esito assolutamente negativo per poi immaginare un approdo totalmente positivo. L’artificio temporale ha lo scopo di facilitare e di liberare l’esplorazione e la manifestazione delle percezioni soggettive, di consentire attraverso un artificio di natura metaforica di individuare con maggiore libertà i nuclei tematici oggetto di analisi e di riflessione. I fattori di criticità emersi dalla elaborazione dell’ipotizzato scenario negativo devono essere letti come elementi di rischio percepiti nella attuale fase di attuazione delle politiche regionali di integrazione. Allo stesso modo lo scenario positivo elaborato consente di evidenziare quelli che gli operatori percepiscono come fattori di successo per il buon esito delle politiche di integrazione sociale della Regione, quei fattori che possono e probabilmente determineranno risultati positivi nel lavoro sociale di integrazione. Si tratta quindi di un lavoro di valutazione “in itinere” del percorso di attuazione delle politiche sociali regionali relativamente al tema dell’integrazione sociale, una valutazione che può fornire indicazioni utili e divenire occasione verifica con gli altri attori protagonisti del processo (decisori politici, dirigenti regionali, cittadini, ecc). L’auspicio è che si tratti di un confronto caratterizzato dalla concretezza dei temi dibattuti e dalla loro pertinenza. I risultati del laboratorio vorrebbero essere un contributo in questa direzione.
Claudio Poggi Natale Pepe Damiano Maggio
SCENARI NEGATIVI 1. Il coordinamento delle reti e le partnership Lavorare insieme è un problema! Non ha funzionato il coordinamento delle reti. Lavorare insieme è un obiettivo da raggiungere non una competenza disponibile e diffusa nel sistema. Cosa non ha funzionato nel coordinamento delle reti? Per i partecipanti all’esercitazione innanzitutto non hanno funzionato gli Uffici di Piano. La responsabilità è stata individuata principalmente nel Responsabile di tale ufficio. Le cause sono da cercare nell’ insufficiente formazione nel gestire reti organizzative e nella inadeguata selezione degli operatoti impegnati in tali uffici. Il momento topico di tale inadeguatezza è stato individuato nei “disastrosi” incontri di concertazione, spesso vissuti più come adempimento formale che come strumento efficace di programmazione. Chi ha gestito tali momenti non sempre è stato in grado di farlo efficacemente. Inoltre è risultata criticabile la modalità con la quale sono state individuate le figure a cui è stato affidata la programmazione. Il “fallimento” è legato quindi a carenze metodologiche e di esperienza nel far lavorare insieme attori diversi. Pessime sono state le modalità comunicative, carenti gli interventi di facilitazione della comunicazione, sia tra le diverse organizzazioni, sia tra decisori ed operatori. Non aver dedicato adeguata attenzione ai diversi linguaggi delle organizzazioni chiamate a collaborare è sta individuata come una causa dell’esito “infelice” della concertazione. La debolezza nel coordinare, nel far lavorare insieme, una pluralità di attori, è una delle cause della difficoltà a costituire valide forme di partnership nella gestione delle azioni di integrazione. Il problema delle reti e del loro funzionamento non riguarda solo i rapporti tra pubblico e pubblico e tra questi e il privato sociale. Il terzo settore (associazionismo, volontariato, non profit) vive una grave crisi ed il suo radicamento con il territorio è entrato in crisi. Ci sono fenomeni disgregativi anche nel terzo settore. 2. Le risorse Inadeguata gestione delle risorse piuttosto che mancanza di risorse. Le risorse, o meglio la loro gestione (controllo sull’ utilizzo e dispersione), hanno avuto un ruolo importante nel determinare un “fallimento” nella realizzazione delle politiche regionali. Nello scenario delineato, ciò che non ha funzionato è stato innanzitutto un inadeguato controllo sul loro uso e l’incapacità di contrastare la loro dispersione in una miriade di iniziative. In molti casi non ci è posti adeguatamente il problema della sostenibilità nel tempo delle azioni avviate. Una dinamica negativa è stata individuata poi nella corsa ai finanziamenti da parte delle organizzazioni di terzo settore, la cui sopravvivenza di pende quasi esclusivamente da tali fonti per definizione scarse. In questa processo la persistente cultura clientelare ha dispiegato i suoi effetti negativi di moltiplicatore di inefficienze. In particolare un fattore di insuccesso è stato individuato nella mancanza di risorse per finanziare l’integrazione dei bambini stranieri. Il fallimento delle politiche dell’integrazione in Puglia è determinato, infine, anche dal fatto che le risorse disponibili non sono state sufficienti a garantire i LIVEAS (livelli essenziali di assistenza).
3. L’analisi dei bisogni Storica debolezza della ricerca sociale in Puglia ! Esiste una scissione tra ricerca sociale e progettualità sociale: l’analisi dei bisogni del territorio non innesca processi di ascolto attivo, di partecipazione e di empowerment dei cittadini. Tale inadeguatezza metodologica e programmatica si esprime nel fatto che l’analisi dei bisogni spesso si declina come semplice rilevazione statistica di indicatori socio-demografici o, al massimo, come indagine sociale, anche di pregevole fattura, che rimane, tuttavia, astratta e poco incisiva nel determinare una risposta adeguata al bisogno rilevato. Ciò accade perché non viene quasi mai cercato l’attivo coinvolgimento dei destinatari dell’intervento e raramente si attivano processi circolari di ricerca – azione partecipata. Il momento della ricerca è quindi slegato dal momento dell’azione e viene meno l’idea di una progettualità che parta della costruzione condivisa del senso e dei significati dell’agire sociale con i soggetti che sono, alla fine, i destinatari stessi delle politiche sociali. Si rischia di non riuscire a individuare per tempo i cambiamenti dei bisogni e della domanda ai quali l’offerta deve, in qualche modo, rispondere. Viene meno, di conseguenza, anche la possibilità di monitorare e valutare le politiche sociali e quindi di adeguarle in itinere ai mutamenti che avvengono nel tessuto sociale e nella comunità. I soggetti che sono stati individuati come possibili responsabili di tale inadeguatezza, si trovano sia sul versante del settore pubblico che su quello del privato sociale. Infatti, gli amministratori pubblici e i dirigenti dei servizi sociali sono spesso poco attrezzati culturalmente per leggere la realtà in cui operano con le metodologie proprie della ricerca sociale partecipata; ma anche le organizzazioni del terzo settore devono evitare un uso strumentale della ricerca stessa, teso a favorire un’analisi dei bisogni e un’interpretazione della domanda più confacente al tipo di offerta da esse messa in atto.
4. Il rapporto della società civile con le istituzioni pubbliche Non funziona la sussidiarietà circolare e il conseguente controllo della sfera politica da parte della società civile. Prevalgono logiche di scambio corporative, anche all’interno del terzo settore. Nello scenario individuato è emerso che: • la società civile, intesa come insieme di associazioni, gruppi, cittadini organizzati, non ha la capacità di darsi una rappresentanza istituzionale che permetta di controllare il funzionamento della sfera politica; • non funzionano, pertanto, i meccanismi di sussidiarietà circolare, che potrebbero favorire sia la trasmissione ai decisori politici delle istanze e dei bisogni della collettività, sia la costante verifica e il controllo della bontà delle decisioni politiche da parte dei cittadini stessi; • ciò è dovuto al fatto che il volontariato, il terzo settore, rischia di perdere contatto con il territorio, se dà spazio ad una tendenza alla burocratizzazione, a farsi sempre più corporativo e orientato alla difesa del proprio “particolare”;
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la dialettica con il politico tende sempre più a ridursi ad una logica di scambio, appiattita sulla contrattazione del singolo finanziamento. E’ una logica di breve respiro, in un contesto che tende alla frammentazione dei processi comunicativi e delle logiche decisionli, alla riduzione della partecipazione ad un puro rituale e al sostanziale impoverimento dell’ethos collettivo; anche l’eventuale cambiamento del governo regionale, secondo alcuni dei partecipanti, può rientrare in un trend negativo di questo tipo. In questo caso, però, i fattori di rischio maggiormente evidenziati riguardano la responsabilità dei cittadini, la loro scarsa consapevolezza e il distacco dalla politica. E sono, indubbiamente, fattori che hanno a che fare con il clima culturale generale in cui viviamo, oggi, in Italia.
3. L’ integrazione delle politiche Non si è creato il “sistema integrato” dei servizi sociali: sono fallite le politiche di settore (politiche attive del lavoro, politiche dell’immigrazione, politiche dell’infanzia e della famiglia, ecc.) ed è fallita l’integrazione tra le politiche. Nello scenario prospettato si è riscontrato un generale fallimento delle politiche di settore: la mancata attuazione delle politiche attive del lavoro e la mancata conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ha incentivato l’esclusione di genere ovvero una maggiore esclusione delle donne dal mercato del lavoro e dalle opportunità formative, così come è venuta meno l’inclusione di tutti i soggetti deboli nel mercato del lavoro, nelle opportunità di formazione e nell’accesso ai servizi socio-sanitari. Del fallimento delle politiche di settore ne hanno risentito, in particolar modo, gli immigrati nonché la famiglia e l’infanzia, per la mancata attuazione della normativa sui consultori familiari, dei quali non sono stati definiti in maniera chiara ruoli e funzioni; ma in genere, tutte le politiche di integrazione socio-sanitaria hanno avuto scarsa efficacia (ad es. la prevenzione delle tossicodipendenze è stata un insuccesso da quando il fondo della legge 309/90 è confluito in maniera indistinta nei piani di zona). Le cause sono individuate, in prima battuta, nell’eccesso di “localismo” da parte dei comuni: si determinano campanilismi e difficoltà a condividere progetti e servizi all’interno degli ambiti e, più in generale, i comuni non si sentono parte integrante del “sistema” regionale dei servizi sociali. Entrando più nello specifico, la difficoltà riscontrata nella traduzione della programmazione regionale in azioni e servizi locali coerenti con gli obiettivi generali, è stata ricondotta ai seguenti fattori: l’inadeguata formazione degli amministratori locali (in primis dei politici, ma anche di gran parte dei dirigenti e dei funzionari degli enti locali), e la loro scarsa disponibilità a formarsi sulle nuove modalità operative e di approccio culturale che richiede il lavoro di rete. Ciò genera incompetenza , ignoranza della normativa o un’interpretazione distorta delle norme. Ne deriva anche un’eccessiva delega al privato e di conseguenza una scarsa capacità di apprendimento, da parte dell’organizzazione pubblica, di queste nuove modalità di lavoro; un’inadeguata programmazione e attuazione della normativa regionale, che non sempre è esplicitata in modo chiaro ed esaustivo e viene male interpretata in periferia; una scarsa cultura della legalità, che accomuna mondo imprenditoriale ed enti previdenziali nel trattamento del lavoratore straniero e che rendono inefficaci le politiche di inserimento lavorativo di questi lavoratori.
4. Gli operatori Non sempre la competenza professionale degli operatori è adeguata a gestire la complessità degli interventi. La precarietà degli operatori sociali ne è una concausa. Nello scenario immaginato dai partecipanti si rileva una bassa competenza professionale degli operatori, determinata anche dall’incapacità delle organizzazioni pubbliche e del privato sociale, che gestiscono i servizi, di selezionare in maniera adeguata il personale impegnato nelle attività. Un altro elemento connesso al precedente è la mancata flessibilità professionale e culturale degli operatori, che non permette loro di adeguarsi ad un contesto sociale complesso e in costante e veloce mutamento. Tale inadeguatezza non è imputabile solo agli operatori, ma si riscontra anche negli amministratori, dove è diffusa l’incapacità di far tesoro delle “buone prassi”. L’alta precarietà degli operatori incide fortemente in tutto ciò, generando in loro una sorta di disimpegno, cioè uno scarso investimento nella possibilità di migliorare le proprie competenze professionali a fronte di una diffusa incertezza sulla stabilità del proprio ruolo; e rinforza una percezione, da parte dell’opinione pubblica, di inadeguata dignità del lavoro sociale, soprattutto se confrontato con le più strutturate professionalità del settore sanitario.
5. La valutazione Valutare è il primo passo per poter cambiare. Indicatori di valutazione poco “operativi” e scarso coinvolgimento degli utenti nei processi valutativi non consentono le correzioni in corso d’opera o il consolidamento delle buone prassi in servizi stabili. Nello scenario ipotizzato si è evidenziato come non abbia funzionato il complessivo sistema di valutazione delle politiche sociali regionali, in quanto non si è stati capaci di effettuare delle correzioni in corso d’opera di prassi operative e servizi poco pertinenti con l’evoluzione dei bisogni e della domanda, o comunque scarsamente efficaci; o viceversa non si è riusciti a delineare un quadro di buone prassi, che diventasse punto di riferimento per consolidare quelle tipologie di servizi che si sono dimostrate efficaci. In particolare si è focalizzata l’attenzione su due concause: • non ha funzionato il sistema degli indicatori di valutazione, che sono risultati poco pertinenti e validi, in quanto scarsamente focalizzati sugli specifici problemi che dovevano essere oggetto di valutazione; • non si è riusciti a favorire una partecipazione attiva dei cittadini e delle loro espressioni organizzate alla valutazione dei servizi e, più in generale, delle politiche, a causa anche delle modalità poco partecipative con cui i dirigenti pubblici hanno gestito la concertazione.
SCENARI POSITIVI 1. Lavorare in rete con metodologie adeguate Gli Uffici di Piano e i diversi attori che operano nell’Ambito di Zona sono ritenuti protagonisti “positivi” dell’integrazione sociale sul territorio nella misura in cui sono competenti e capaci di utilizzare adeguate metodologie di lavoro di rete. Le reti sono il modello organizzativo che la programmazione regionale e le corrispondente normativa individua per il lavoro di attuazione delle politiche sociali sul territorio. La presenza di una consolidata cultura e prassi del lavoro di rete consente di ottenere i risultati previsti. L’analisi sottolinea inoltre l’importanza di rendere congruenti gli obiettivi regionali e le modalità richieste per la loro realizzazione e le prassi seguite. E’ questo che consente di rendere convergenti le forze in campo. La programmazione partecipata e la valutazione partecipata sono gli strumenti che trasformano in realtà, in prassi quotidiana, in cultura diffusa, la rete. Garantire adeguati processi di facilitazione nell’ambito dei tavoli di concertazione ha consentito a questa di essere realmente un processo di partecipazione dando così operatività alle norme regionali che la prevedono. Una buona concertazione è un fattore rilevante per riattivare il protagonismo del sociale sul territorio e far crescere complessivamente un sistema territoriale di welfare di tipo universalistico.
2. Osservatorio Non mera produzione di dati, ma definizione di scenari e orientamento per l’azione. Un elemento di successo viene individuato nel buon funzionamento dell’osservatorio regionale delle politiche sociali e delle sue diverse articolazioni provinciali e comunali. Ciò significa concretamente continuo aggiornamento dei dati e facilità di accesso. Ma il successo deriva anche dall’offrire ai decisori e agli operatori dati che vengono analizzati, commentati e trasformati in ipotesi di scenari. Un dato che è oggetto di lettura e riflessione e non solo di esposizione in insiemi di tabelle e grafici. L’osservatorio viene individuato come un sistema che orienta anche la definizione delle azioni di politiche di integrazione strutturandole in base a criteri di misurabilità e quinti di comparabilità e valutazione. Ciò si collega ad un’altro elemento sottolineato nello scenario che è la possibilità di conoscere lo stato dell’arte dei processi complessi attivati dalle politiche regionali dell’integrazione in particolare per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse pubbliche e private (non solo finanziarie). Monitorare bisogni e risultati consente di fatto un migliore utilizzo delle risorse impiegate. I protagonisti di questi risultati sono sia attori pubblici (regione, Province e Comuni) che del privato sociale, sia collettivi che individuali (operatori e amministratori locali).
3. Convergenza delle Politiche regionali L’integrazione non è solo nelle parole, ma anche nei fatti. Si è riusciti ad integrare e a far convergere, dal livello comunale a quello regionale, le diverse politiche che si pongono l’obiettivo dell’integrazione sociale: l’inclusione dei soggetti deboli, lo sviluppo di politiche attive del lavoro, la valorizzazione delle presenze di genere, una politica di accoglienza verso gli immigrati (con l’approvazione anche di appropriati strumenti legislativi). Hanno contribuito a tale successo una costellazione di cause, sia interne al quadro istituzionale e al sistema organizzativo dei servizi di welfare, sia esterne, relative, cioè, all’ambiente socio - culturale con cui tale sistema interagisce. Tra i “fattori interni” di successo, che vedono regione, province e comuni interagire in maniera virtuosa, spiccano l’attuazione, da parte degli enti intermedi e locali, degli obblighi di tipo normativo stabiliti dalla regione e l’adozione di modelli organizzativi a matrice tra i diversi uffici nonché il pieno utilizzo delle tecnologie dell’informazione (ICT) applicate all’inclusione sociale. Tra i “fattori esterni” si segnala il cambiamento del contesto culturale, che favorisce e potenzia la capacità di advocacy da parte dei cittadini, i quali dimostrano sempre più capacità di auto organizzarsi e di auto rappresentarsi, modificando anche in positivo il loro atteggiamento verso gli stranieri; nello stesso tempo un miglioramento del livello culturale degli amministratori e leader politici locali favorisce un loro maggiore impegno verso le politiche sociali, di cui si percepisce la centralità e l’importanza. Tale cambiamento culturale influenza in positivo anche l’atteggiamento di altri soggetti che operano nella società civile: gli imprenditori, che favoriscono le politiche di inserimento lavorativo dei soggetti deboli e il 3° settore, che spinge gli organi regionali competenti all’adozione di provvedimenti normativi adeguati (primo fra tutti la legge sull’accoglienza e l’integrazione degli stranieri).
4. Valutazione Cresce la cultura della valutazione Una nuova generazione di dirigenti e operatori regionali e degli enti locali, con adeguate competenze professionali, ha implementato un sistema funzionante di valutazione delle politiche sia ex ante, sia in itinere, sia ex post. Tale sistema ha permesso di raggiungere un maggior equilibrio nei tempi della programmazione, innescando una circolarità virtuosa, per cui la nuova programmazione si poggia sui risultati della valutazione del ciclo precedente. Inoltre è stata fatta chiarezza nella attribuzione dei ruoli dei diversi attori della valutazione e i soggetti che partecipano alla valutazione sono coinvolti anche in tutte le fasi della programmazione dei servizi. L’utilizzo reale, in un coerente sistema di valutazione e di verifica dei risultati, dei dati che derivano dalla programmazione, ha permesso sia di mettere a regime un sistema di “buone prassi” prima solo sperimentate, sia di utilizzare le risorse finanziarie in misura appropriata, evitando sprechi. Ovviamente l’incremento delle competenze tecniche del personale degli osservatori, degli uffici di piano, dei responsabili della programmazione viene valorizzato anche da comportamenti virtuosi di una cittadinanza attiva e partecipe.
5. Formazione e ruolo degli operatori sociali Una maggiore consapevolezza di ruolo da parte dell’operatore sociale, e un conseguente maggiore riconoscimento della dignità sociale delle professioni che operano nei settori sociali, contribuiscono a rafforzare le prerogative degli operatori del settore, che sempre più si propongono in termini di scientificità di approccio, specializzazione degli interventi, umanizzazione e personalizzazione della presa in carico del soggetto, del nucleo familiare o del gruppo. I seguenti processi favoriscono lo sviluppo di tale assetto: La riduzione della precarietà lavorativa dell’operatore sociale; Un effettivo riconoscimento dei percorsi formativi, formali e informali, degli operatori sociali da parte delle istituzioni pubbliche (Regione, in primis), che ne hanno tenuto conto nella definizione delle piante organiche dei servizi; Un impegno ad ampio raggio anche di altri soggetti, quali i sindacati e il terzo settore, che hanno favorito la stabilità e la professionalità del personale. In particolare, per quanto concerne il privato sociale, si è attuata una riorganizzazione del terzo settore che ha inciso anche sulla qualità del lavoro dei volontari e degli operatori. Infine, i funzionari / dirigenti del settore pubblico sono diventati un fondamentale punto di snodo nell’implementazione delle politiche sociali, in quanto hanno migliorato la propria capacità di tradurre norme e regolamenti in provvedimenti concreti, realmente applicabili e, soprattutto, capaci di ridurre effettivamente le disuguaglianze sociali.
6. La cittadinanza attiva Un secondo ambito che, dai partecipanti, è stato positivamente correlato allo sviluppo delle politiche sociali in Puglia è quello relativo alla cittadinanza attiva e alla esigibilità dei diritti. La cittadinanza attiva è stata vista come esigibilità dei diritti da parte di cittadini che si auto organizzano, che sanno esprimere i propri bisogni e rivendicare i propri diritti, che, nel momento in cui acquisiscono la consapevolezza di essere fruitori di un servizio, nello stesso tempo ne individuano gli elementi di qualità, ai quali il servizio deve in ogni caso conformarsi. Si tratta, quindi, di cittadini informati, che diventano partecipi di un cambiamento culturale profondo. Tali mutamenti sono stati riconosciuti fondamentali per arrivare a costruire una società che si è posta i problemi dell’inclusione dei soggetti deboli, dello sviluppo di politiche attive del lavoro, della valorizzazione delle presenze di genere e che li affronta con politiche di welfare appropriate.
7. Architettura del sociale Il successo delle politiche dell’integrazione dipende anche dai luoghi fisici in cui si realizzano. Si pone la questione dell’adeguatezza funzionale ma anche estetica. La bellezza come valore che costruisce integrazione. Servizi accoglienti e belli sono uno dei fattori di successo delle politiche in quanto rimandano alle relazioni che essi determinano. Adeguati finanziamenti è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per realizzarli.
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LO SCENARIO POSITIVO “2013. L’esito delle politiche sociali dell’integrazione realizzate dalla Regione in Puglia”
I fattori che hanno determinato il SUCCESSO.
Lavorare in rete con metodologie adeguate
Osservatorio Non mera produzione di dati, ma definizione di scenari e orientamento per l’azione
Convergenza delle Politiche regionali L’integrazione non è solo nelle parole, ma anche nei fatti
Valutazione Cresce la cultura della valutazione
Formazione e ruolo degli operatori sociali
La cittadinanza attiva
Architettura del sociale
LO SCENARIO NEGATIVO “2013. L’esito delle politiche sociali dell’integrazione realizzate dalla Regione in Puglia”
I fattori che hanno determinato l’ INSUCCESSO.
Lavorare insieme è un problema! Non ha funzionato il coordinamento delle reti. Lavorare insieme è un obiettivo da raggiungere non una competenza disponibile e diffusa nel sistema.
Inadeguata gestione delle risorse piuttosto che mancanza di risorse. Le risorse, o meglio la loro gestione (controllo sull’ utilizzo e dispersione), hanno avuto un ruolo importante nel determinare un “fallimento” nella realizzazione delle politiche regionali
Storica debolezza della ricerca sociale in Puglia! Esiste una scissione tra ricerca sociale e progettualità sociale: l’analisi dei bisogni del territorio non innesca processi di ascolto attivo, di partecipazione e di empowerment dei cittadini
Non funziona la sussidiarietà circolare e il conseguente controllo della sfera politica da parte della società civile. Prevalgono logiche di scambio corporative, anche all’interno del terzo settore
Non si è creato il “sistema integrato” dei servizi sociali: sono fallite le politiche di settore (politiche attive del lavoro, politiche dell’immigrazione, politiche dell’infanzia e della famiglia, ecc.) ed è fallita l’integrazione tra le politiche
Non sempre la competenza professionale degli operatori è adeguata a gestire la complessità degli interventi. La precarietà degli operatori sociali ne è una concausa.
IL COORDINAMENT O DELLE RETI E LE PARTNERSHIP
LE RISORSE
L’ANALISI DEI BISOGNI AS CO LT IL RAPPORTO O DELLA SOCIETA’ RI CIVILE CON LE FL ISTITUZIONI ES SI VOL’INTEGRAZIONE DELLE POLITICHE
GLI OPERATORI
CONCLUSIONI
Indicatori di valutazione poco “operativi” e scarso Il seminario “il welfare di integrazione e regressi coinvolgimento degli utenti tra neibisogno processi valutativi non CONCLUSIONI consentono le correzioni in corso d’opera o il consolidamento delle buone prassi in servizi stabili.
LA VALUTAZIONE
Franco Ferrara Presidente Centro Studi Erasmo
Conclusioni Dove va il processo di integrazione in Puglia Il seminario “Il welfare tra bisogno di integrazione e regressione politica” (Gioia del Colle, 11.3.2009) ha fatto emergere il rapporto tra le sperimentazioni vissute sul campo, nell’arco temporale di un quinquennio in una regione come la Puglia, e gli orientamenti impressi dai cambiamenti politici generali. La Regione Puglia nel periodo 2003/2009 ha voluto imprimere, attraverso il processo programmatorio, la riscrittura del welfare “universale”. La realtà regionale ha vissuto “passaggi e mutazioni” sia dal lato della convivenza, che da quello economico e antropologico. I protagonisti sono stati molteplici. La ricchezza sociale che si è formata negli anni ’90 è riuscita a produrre il Primo Piano Regionale delle politiche sociali (P.R.S.), non più frutto di una pianificazione predeterminata dalle élite burocratiche, ma generata dalla pratica concertativa, riconosciuta e tutelata dal sistema istituzionale con l’approvazione della nuova normativa. Il seminario quindi ha fatto emergere i limiti e le potenzialità del nuovo processo programmatorio . I gruppi di studio hanno disegnato gli scenari “negativi e positivi” di ciò che è avvenuto e di ipotizzare quello che avverrà con il 2^ Piano. Allo stato attuale la Puglia presenta 45 Ambiti di Zona, coincidenti con i Distretti Sanitari. In ogni Ambito la realtà sociale si presenta con le seguenti tipologie problematiche: a) b) c) d) e) f) g) h) i)
composizioni di Rete tra organizzazioni sociali ; esperienze di concentrazione e di Accordi di Programma ; stili di comunicazione “da intra ad extra “ delle Istituzioni e delle Organizzazioni ; costituzione di Osservatori dei Bisogni sociali ; elaborazione dei Piani di Zona ; emersione del ruolo professionale degli operatori pubblici dipendenti ; necessità di riconfigurare i livelli di responsabilità politica ; superamento delle visioni deboli della politica ; funzione della valutazione nelle diverse fasi della programmazione .
Attraverso questo “frame” è stato possibile individuare le esigenze della ricerca generale sulle forme di welfare con i vissuti delle diverse figure che hanno partecipato al seminario, protagonisti a vario titolo della concertazione. La riflessione generale del welfare affrontata con la relazione del prof. G. Cotturri ha messo a fuoco l’esigenza dei modelli di welfare finalizzati all’integrazione. La relazione ha tracciato i percorsi del privato-sociale degli anni ’90 nella realtà meridionale confrontata con quella del nord Italia. Sono state intraviste le potenzialità che comunque permangono del Terzo Settore attore del cambiamento e tutore della concertazione come metodo. Purtroppo il “welfare delle opportunità” previsto dal “Libro Verde” e dal “Libro Bianco” del Ministro, innesca dinamiche “conservative” che fanno regredire di fatto lo sforzo di programmazione avviato con la legge N. 328/2000 e leggi regionali di attuazione.
Come da più parti viene sostenuto, il “Libro Bianco” è lo strumento del Governo che vuole affrontare il futuro del modello sociale. Le questioni riportate sono diverse ma manca un preciso quadro di interventi e impegni programmatici credibili. Non si assumono impegni progettuali. L’adesione al principio dell’”universalismo selettivo”, ossia all’idea secondo cui la modernizzazione in senso non categoriale del welfare state italiano non può prescindere dal rispetto degli equilibri finanziari. Quindi è opportuno che si realizzi attraverso riforme ispirate a una scelta equilibrata tra universalismo dei diritti e selettività in base alla condizione economica, e attraverso livelli di erogazione delle prestazioni o grado di compartecipazione della spesa. Questa impostazione pone in crisi la programmazione concertata. La regressione politica in atto è intrinseca alla visione di politica economica che considera “la crescita in sé” del sistema, l’obiettivo primario e assoluto e che quindi richiede soltanto la riduzione delle protezioni sociali e degli stessi servizi alla persona . Quindi il sistema pensionistico, il servizio sanitario devono essere ridotti in modo che il PIL possa mantenere livelli elevati. In tal modo in tempi di crisi globale il welfare non risponde con nuovi strumenti di equilibrio, ma ritorna alle forme d’intervento emergenziale. Al contrario con la “programmazione concertata” è possibile mantenere il carattere “universale” del welfare e introdurre gradi di flessibilità a tutto il sistema. La regressione politica fa registrare quindi un welfare di natura “ compassionevole /residuale”. Al contrario lo sviluppo umano (Sen, Nusbaum) richiede un ruolo fondamentale alla produzione pubblica dei servizi. La visione multidimensionale dei problemi e dei bisogni permette di rispondere con politiche integrative sia per la popolazione che invecchia, sia per la popolazione immigrata. Infatti, se le condizioni sono: 1. 2. 3. 4.
vivere in un’ abitazione non adeguata non godere di buona salute avere un basso livello d’istruzione essere socialmente isolati
le risposte possono essere date da un sistema integrato di servizi, capaci di rispondere con un basso tasso di burocrazia e efficaci interventi. Quindi non un welfare di tagli “fendenti”, ma un welfare che favorisca una maggiore uguaglianza può ribaltare la logica del primato della crescita che vede nell’aumento degli asili-nido e dell’aumento di assistenza ai non autosufficienti, soltanto costi. Con il welfare multidimensionale, le politiche di integrazione a favore degli immigrati e dei loro figli, non solo riducono le disuguaglianze, ma migliorano la qualità di un segmento sempre più importante del welfare ( L. Pesenti ). Il “welfare delle opportunità” riduce l’esperienza della concertazione a forme consultive, riposiziona l’attività pubblica nell’area dell’imperium. Il pubblico ridiventa una sorta di stato proprietario. Il welfare state vede l’azione dello stato come “forza regolativa”. Svaniscono le reti primarie e secondarie, la funzione dei corpi intermedi e della società civile ridiventa subordinata alle logiche politiche di turno. La Prima Programmazione Sociale post legge N. 328/2000 ha tentato di superare l’uguaglianza pubblico=stato, riconoscendo la funzione integrativa a famiglie, volontariato, imprese sociali, sistema pubblico dei servizi, Terzo Settore, e l’ha resa possibile. Attualmente la regressione politica in atto non permette di fronteggiare la crisi economica globale del primo decennio del secolo XXI e quindi vanifica il ruolo degli attori sociali.
Il merito della Programmazione concertata realizzata è stato quello di rivelare le potenzialità e i limiti delle visioni, dei modelli di welfare definiti “meritocratici” e “risarcitori”. I primi considerano necessario realizzare l’uguaglianza delle opportunità e vedono nel mercato il luogo in cui gli individui possono realizzare le proprie capacità, lasciando allo stato il compito di dotare le persone delle competenze necessarie e di correggere le insufficienze che il mercato produce. I secondi si preoccupano soprattutto di rimediare alle diseguaglianze ridistribuendo il reddito a favore della parte medio-bassa della popolazione. Tra le due impostazioni esistono punti di contatto realizzati attraverso: il taglio delle tasse; il potenziamento delle capacità proprie di realizzazione del cittadino; il trasferimento di servizi al posto di quelli monetari. Il rischio che si sta correndo è quello di legittimare “ex-post” le diseguaglianze prodotte dal mercato, che sarebbero “giuste” proprio perché prodotte a partire da una situazione di eguali opportunità, sottovalutando il fatto che nessuna società riuscirà mai a eguagliare le condizioni di partenza e a riconoscere in modo pieno il merito e l’impegno individuale. L’altro aspetto negativo delle due visioni-modello è quello di trascurare spesso il ruolo degli incentivi dei comportamenti opportunistici. Un’altra lettura che emerge dai lavori del Seminario è quella della funzione delle conoscenze e delle competenze delle persone coinvolte nel processo di programmazione, provenienti da diversi settori e viste come “motore dello sviluppo” e dell’”innovazione”. E’ una logica che tiene conto della differenza tra competenze tecniche e competenze regolative del sistema. Entrambe costitutive del “capitale umano” di un determinato territorio, quest’ultimo assume un ruolo strategico e sono determinati dalla “programmazione integrata”. Pertanto gli Uffici Piano di Zona secondo le conclusioni dei lavori del Seminario potranno svolgere la loro funzione a servizio del dialogo con il territorio attraverso: 1. 2. 3. 4. 5.
l’impianto di un nuovo linguaggio la diffusione della comunicazione interna ed esterna la ridefinizione di strumenti di lavoro attraverso i processi di verifica e valutazione il favorire la ri-generazione della comunità locale l’essere cittadini responsabili della vita comune
Questi aspetti sono fondamentali per realizzare l’integrazione tra le diverse politiche pubbliche in modo da garantire la centralità della persona. La comunicazione viene vissuta come competenza strategica per comprendere la governabilità del sistema a rete, non lasciato nei meccanismi spontanei del mercato globale. Infine si ha la trasparenza dei costi attraverso la diffusione /conoscenza dei dati dei fenomeni. Il Seminario ha permesso di avvertire l’esigenza di ri-comprendere il rapporto che si va profilando sul terreno, tra l’aumento del volume delle forme di gestione delle attività, e la regressione delle capacità di azione sociale dei soggetti istituzionali e sociali. E’ questo l’aspetto più problematico che conduce all’isolamento e chiude tutti i canali elaborativi e rie-elaborativi che emergono dalla concertazione. Infine il Seminario ha posto le premesse per avviare, nelle condizioni che oscillano tra bisogno di integrazione e regressione politica, una nuova fase di progettazione partecipata concertata, unica strada per uscire dalla pesantezza della crisi.