Il Capofamiglia

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  • Pages: 4
capofamiglia, folclore, guerra mondiale, il cacciatore, Magrizzi, Milano, Monte Pollino, padre assente, partigiano, ramo seccato, risvolti del dopoguerra, sessantottini

06-10-2008 - 13:52

Risvolti (ignoti) del dopoguerra

Il capo famiglia, un uomo all’antica, involontariamente gli aveva trasmesso vecchi valori che sicuramente cozzavano con la moderna realtà. Il genitore era stato un contadino. Un signore intransigente e tutto di un pezzo! Un vero cacciatore e infine partigiano; s’era abituato a provvedere ai propri bisogni senza l’ausilio della collettività. Un uomo addestrato dagli eventi ad assumersi le proprie responsabilità. Nato nel 1914, aveva attraversato, indenne, la seconda guerra mondiale con lontane reminescenze della prima. I racconti del padre avevano marcato notevolmente il suo carattere e Manuel si ritrovava catapultato in un ambiente smisurato; era giunto a Milano all’età di nove anni, subendo un impatto che lo aveva reso mediocre. Prima di allora era stato il primo della classe, il più veloce nella staffetta, capitano della sua giovane squadra di calcio. Strappato ai suoi amici e ad un luogo che pur fatto di miseria e piccole cose, per lui, era sconfinato quanto privo di limitazioni e pericoli. ... Lentamente, in quei tempi, seguendo l’epoca, si rimodellavano risorse e tradizioni; tutti fugavano la campagna e solo tenaci proprietari continuavano a coltivarla. Il padre sembrava sconfortato dell’inesorabile mutamento, determinato dal progresso,

incalzante. Nei periodi freddi, era costretto a caccia per necessità e a volte, si assentava per diversi giorni, dedito agli appostamenti ed era gran festa, vederlo ritornare con la sua selvaggina. Una volta riuscì a prendere un lupo; lo aveva seguito per ore sulla neve del Pollino. A volte gli capitava un cinghiale, in altre occasioni, lepri o volatili.

L’ultimo anno erano usciti insieme, per raccogliere porcini ed asparagi; era la prima volta che capitava. Camminando per ore, nei verdi e scoscesi sottoboschi, n’avevano ricolmi tre panari. L’umido mattino era saturo di profumi di muschio, menta selvatica, ginestre. Osservava la rugiada, la bassa foschia, i raggi di sole che penetravano il fitto fogliame delle querce e dei castagni, tra brezza e cinquettii. Un giorno, verso il ritorno, rimase incredulo attraversando la lunga striscia di strada deserta che ondulata, irrompeva e scompariva nell’immenso bosco di Magrizzi; un rapido acquazzone non era riuscito a raffreddarne l’asfalto bollente. L’acqua si asciugava rapidamente e n’era scaturita una densa coltre di vapore, alta almeno venti centimetri; lo strato uniforme e biancastro risaltava al sole riapparso, camuffando totalmente l’aspetto originario della strada. Lo spettacolo fu breve e pur ritrovandosi con scarpe e pantaloni inzuppati, quegli incontaminati sottoboschi gli trasmettevano un fascino incomparabile. Poterli attraversare sembrava, ogni qualvolta, inverosimile; se avesse incontrato Alice oppure un folletto, non si sarebbe sorpreso. Il genitore non rinunciava mai al suo fucile. Un bel giorno gli fece sparare qualche cartuccia, puntando una pianta carica di pere. Un’altra domenica, si dedicarono al tiro al bersaglio, facendogli centrare rami secchi lanciati in aria. La spalla gli doleva per il

forte rinculo della doppietta, anche il mento era livido ma Manuel, pur piccolo, non intese desistere da quella sporadica opportunità. Il fratello maggiore, all’epoca, amava altri passatempi e quel fare gli sembrava scontato. Il padre aveva già il sentore che quei giorni, quella vita rurale, sarebbero presto tramontati. Amareggiato dagli stenti prolungati del dopoguerra e infine rassegnato, volle vendere fattoria e terreni. Non si trattava di carestia; il granaio era pieno e le botti pure. Non si muoveva un soldo. Incapace di trovare una formula vincente, verso i primi anni sessanta, s’era deciso ad emigrare. Vi riuscì. Ridotto in fabbrica, a lavorare anche nei turni di notte, ora sembrava un pover’uomo ed il suo orgoglio piegato lo rendeva sofferente; in casa era diventato taciturno e facilmente irascibile. Un padre assente; un maestro mancato.

La madre si prodigava per dare ulteriore sostegno; un’azienda di ceramica assorbiva nove ore del suo tempo sottraendola, quotidianamente, al nucleo familiare. Gravoso per il padre assimilare queste nuove realtà. Si era interrotto definitivamente un costume; non esisteva più nulla che potesse tramandare o lasciare ai suoi figli in memoria di una lunga tradizione. Le buone ricette della nonna erano cadute in disuso. Quel ramo era seccato.

Il bel folclore paesano, dopo la guerra, si era sbiadito perfino nei suoi ricordi, ma questo poco importava. Manuel ascoltava con interesse i racconti della madre che piuttosto soddisfatta, non nutriva nostalgie. L’abile cacciatore, ora, non cacciava più né con archi e frecce, trappole, battute organizzate e neppure con fucili automatici. Il suo ruolo era definitivamente tramontato. Il suo ruolo non era più necessario! La sua epoca non sarebbe più ritornata. I confort della metropoli non lo ripagavano eppure si era subito rassegnato, scomparendo nella matassa delle nuove logiche. Foto b/n: Franca de Bartolomeis e Fausto Giaccone - Testo: Vito Gamt (L’Istinto Del Branco) Un padre c’è sempre, ma con facile probabilità rimane assente.

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