I Trucchi Di Una Digital Strategist

  • June 2020
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INTRODUZIONE Quali sono i principali trend della comunicazione? Me lo sono chiesta, come sicuramente molti di voi. Ho provato a darmi una risposta, tornando indietro nel tempo per ripercorrere la mia esperienza fino ad oggi e capire se era possibile individuare trend significativi e tuttora in evoluzione. Li ho scritti a matita su un quaderno non appena hanno preso forma nella mia testa e poi ho deciso di farne tre post sul mio blog, uno per trend, per raccogliere opinioni e commenti. L’idea di aggregarli in un ebook nasce dal desiderio di dare unitarietà ai tre trend in quanto fortemente correlati tra di loro e parte di un unico grande fenomeno che è l’evoluzione della comunicazione. Poiché è in evoluzione, ogni trend si conclude con una domanda o una serie di osservazioni che potrebbero essere unificate in due parole e un segno di punteggiatura E poi? Questa domanda è per voi.

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DI COSA PARLA IL TUO BLOG? (Qualche informazione sull’autore) Quando qualcuno mi chiede cosa è possibile trovare su lafra.it vado in crisi. Un blog che si chiama “Simply My Blog” fa intuire che si tratta di uno spazio personale e infatti lo è. Il problema è che quando "personale" si riferisce a tante persone compresse in una, si crea la necessità di aggiungere qualche dettaglio in più rispetto alla descrizione nella header:

Francesca Casadei nasce il 19 maggio 1980 a Londra perchè la mamma è inglese. La famiglia paterna vive a Roma. Lei vive a Milano. Insomma un mix di culture che si riflette nella sua capacita di sentirsi a suo agio nei contesti più disparati: dall’aperitivo milanese, alla pinta post lavorativa londinese, dal pranzo di Natale romano con i cappelletti in brodo della nonna, ai piatti pronti di Sainsbury’s LaFra nasce il 9 giugno 2006, data in cui ha scritto il primo post intitolato “Everything But Advertising”, un evento in cui ha sentito dire che la differenza tra il blogger e il giornalista è che il primo scrive solo se ha qualcosa di interessante da dire (o almeno lo reputa tale). Il suo pensiero fu: “Osservazione interessante, quasi quasi domani ne parlo sul mio blog ;-) ” La Digital Strategist nasce nel novembre 2007 in deepblue (gruppo Aegis Media) anche se a dir la verità forse esisteva già da un po’ ma aspettava il giusto input per venire allo scoperto. Una scelta professionale che le sta dando tantissime soddisfazioni: la più importante l’ha avuta a giugno 2008 vincendo la Young Lions Media Competition al Cannes Lions International Advertising Festival (tiriamocela un po’, dai)

Vita personale, professionale, virtuale si contendono la mia attenzione nei post che scrivo. Mi lascio guidare dalla mia continua ricerca di ispirazioni e dalla assoluta convinzione che quelle migliori arrivano sempre attraverso la condivisione dei propri pensieri con gli altri. 3

Per questo motivo sono capace di passare da temi più impegnativi, professionalmente parlando, come l’evoluzione dell’offerta pubblicitaria online verso il social e l’utilizzo dei sistemi di microblogging come strumento di PR, a quelli legati alle emozioni di una vita virtuale che diventa sempre più reale quando i nickname diventano persone in carne e ossa che hanno una voce e un sorriso, fino alla condivisione di aspetti squisitamente legati alla propria vita privata come viaggi e acquisti. La verità è che in ogni tema che affronto c’è un po’ di ognuna di queste persone: se parlo del mio viaggio a Disneyland poi mi soffermo sulla visibilità degli sponsor (ah la deformazione professionale!), se analizzo una campagna di comunicazione online lo faccio prima come utente e poi come addetta ai lavori. So che suona molto idealista, ma adoro la comunicazione in tutte le sue forme: personale, digitale, pubblicitaria. Il mio obiettivo è capire e poi far capire come questi siano attributi comuni ad un solo fenomeno e non siano tre attività distinte.

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1. Evoluzione e diversificazione del concetto di branding Definizione di brand: "a name, sign or symbol used to identify items or services of the seller(s) and to differentiate them from goods of competitors" (The Dictionary of Business and Management) “a collection of symbols, experiences and associations connected with a product, a service, a person or any other artifact or entity” (Wikipedia 5 marzo 2009 http://en.wikipedia.org/wiki/Brand) È difficile trovare una definizione univoca di brand perché il concetto stesso è in continua evoluzione e non più relativo solo a prodotti e servizi ma a tutta una serie di nuove categorie. BOOK BRAND I libri diventano brand. Harry Potter ha profondamente modificato le logiche del marketing editoriale perché non è solo il titolo di un libro o il nome di un personaggio di fantasia, bensì un brand che va protetto e custodito. Il libro “Harry Potter - Come creare un business da favola“ di Susan Gunelius si concentra proprio su questo concetto e sul ruolo dell’autrice J.K. Rowling di “custode del brand” che controlla personalmente ogni richiesta di estensione dello stesso (merchandising, trasposizione cinematografica dei libri, parco di divertimenti “The Wizarding World” di Orlando, etc). GAMING BRAND I giochi diventano brand. Esempi di operazioni di branding molto interessanti per la comunicazione arrivano in particolare dal mondo videoludico: pensiamo al recente caso di Halo, il videogame pubblicato da Microsoft che nel 2007 ha visto uscire sul mercato il terzo ed ultimo episodio della trilogia iniziata nel 2001. Analogamente ad Harry Potter alcune variabili chiave per l’evoluzione di Halo da semplice titolo di un videogame a brand di successo sono state la serialità e l’utilizzo del brand in contesti diversi da quelli originari: ad esempio sono stati realizzati capi d’abbigliamento a tema, Halo 3 ha sponsorizzato il concerto del gruppo musicale Linkin Park e il logo è stato utilizzato sul veicolo del pilota del 5

campionato NASCAR David Stremme. Andando più indietro nel tempo, un altro caso di notevole rilevanza è ovviamente il mitico Super Mario Bros, il videogioco prodotto dalla Nintendo nel 1985, che sta vivendo ora la sua seconda giovinezza con l’arrivo della Nintendo Wii e l’esplosione del target dei cosiddetti “casual gamer”. Lo stesso Monopoli non può più essere definito semplicemente come un gioco da tavolo ma un vero e proprio brand in grado di vivere in contesti diversi da quello per cui è stato creato: in una pellicola cinematografica o dentro ad una console. TV SERIES BRAND Le serie televisive diventano brand. Nel 2008 è uscito nelle sale cinematografiche “Sex and the City: The Movie”, nato dal successo dell’omonima serie televisiva Sex & the City: il lancio del film è stato supportato non esclusivamente ma per gran parte da operazioni di co-marketing con Mercedes, con Swarovski, con Sephora per fare alcuni esempi. Queste partnership hanno assicurato una visibilità notevole all’evento con una riduzione significativa degli investimenti pubblicitari. Sex & the City non è semplicemente un “contenuto” a cui legarsi per ottenere visibilità ma è una marca a cui ci si associa per condividerne l’universo socioculturale e commerciale di riferimento. MEDIA BRAND Gli stessi media sono ormai diventati dei brand. Emittenti radiofoniche come RadioDeejay e magazine come Grazia in quanto brand possono anch’essi essere utilizzati in contesti diversi da quello originario; non mi riferisco solo alla nascita di nuovi canali di fruizione del brand come, nel caso della radio, il sito, il social network o il canale televisivo, ma ad esempio al loro sfruttamento da parte dei brand automobilistici per operazioni di co-marketing (C1 Deejay, Renault Modus Grazia, Nissan Micra RDS etc). PERSONALITY BRAND Anche le persone diventano dei brand. Le celebrity diventano personality brand e in quanto tali possono essere soggette ad estensioni (brand extensions): pensiamo ad esempio ai profumi aventi il nome delle celebrità o alle linee di abbigliamento da loro stesse disegnate.

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Il libro “Anatomy of a Trend” parla della “celebrity hierarchy”, elencando i sei livelli di status della celebrità accompagnati da esempi: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Icons: Madonna, David Bowie Megastars: Puff Daddy, Jennifer Lopez Superstars: Cher, Justin Timberlake Stars: Chloë Sevigny, Lenny Kravitz Minor Celebrities: concorrenti di American Idol e TV shows similari Wannabes: partecipanti ai reality TV

A mio avviso tra il livello 1 e il livello 2 è ipotizzabile l’aggiunta del livello “Brand” ossia il gradino successivo al raggiungimento della massima celebrità: lo status che consente ai VIP di stare lontani dallo spauracchio del veloce esaurimento della celebrità, notoriamente effimera e transitoria. DIGITAL BRAND La digitalizzazione crea nuovi brand. La recente personificazione in una fortunata serie di spot del Mac Apple e del PC Microsoft, la cui battaglia si concentra non solo sul design e sulla dotazione hardware ma anche su quella software, rende evidente la presenza anche nel mondo digitale di brand molto forti e di “brand lover” pronti a modellare il proprio stile di vita sull’universo valoriale del proprio marchio preferito. Pensiamo alle manifestazioni d’amore espresse dagli utenti nei confronti del pinguino di Linux o del browser Mozilla Firefox e della sua ormai famosa volpe, tanto da suggerire a Visa l’erogazione di una carta di credito personalizzata. All’interno del Mozilla Store i fan possono dimostrare il proprio “love” acquistando merchandising di vario tipo (t-shirt, borse, sticker, etc.) e sostenendo economicamente la fondazione Mozilla. Uno dei fenomeni più rilevanti e attuali, che trainerà fortemente lo sviluppo nei prossimi anni di questo trend, è lo sviluppo di brand all’interno del web: Google è talmente radicato nelle vite degli utenti da diventare un caso di genericized trademark essendo ormai sinonimo di ricerca online (il verbo “to google”, effettuare ricerche online, è entrato ufficialmente a far parte del Oxford English Dictionary nel 2006). FUTURE BRAND? Il brand quindi si evolve e dal prodotto e dai servizi arriva alle nuove categorie descritte sopra a cui sicuramente già oggi ne vanno aggiunte altre. Ma quali potranno essere in futuro le nuove categorie di brand?

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Difficile dire quali saranno, ma molto probabilmente questo trend continuerà ad evolversi nella direzione del co-branding, accostando marchi anche apparentemente molto diversi tra di loro nel tentativo di creare nuovi universi valoriali, nuovi modi di vivere il brand ed esperienze esclusive. Possiamo considerare le operazioni di co-branding, in particolare quelle tra brand appartenenti a categorie diverse, dei tentativi di creare brand ibridi.

Hybrid è un termine che caratterizza molte tendenze in atto nella società moderna. Se ne sente spesso parlare nel campo dell’automotive: le automobili ibride sono veicoli dotati di due sistemi di propulsione che lavorano insieme in perfetta sinergia all’interno di un unico mezzo per rispondere alle esigenze di un unico pilota. Anche la moda crea molti ibridi. Pensiamo a come si è evoluta la scarpa. Oggi esistono tantissimi modelli diversi ma quanti sono davvero singolari e quanti sono nati dall’idea di unire alcune caratteristiche di due tipologie diverse per creare un modello innovativo? Le CROCS, ad esempio, sono le amate/odiate calzature ibride a metà tra lo zoccolo da infermiera e la scarpetta di gomma che talvolta i bambini sono costretti ad indossare per entrare in mare.

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Oggi non è necessario creare qualcosa di nuovo per evolversi: l’aggettivo “nuovo” lascia il posto a “innovativo”, perché la capacità di innovare e reinventare quello che abbiamo rappresenta la vera novità. Lawrence Lessig nel suo libro “Remix – Making Art and Commerce Thrive in the Hybrid Economy” spiega come esistano due tipologie di economie: commercial economies e sharing economies: Commercial economies build value with money at their core. Sharing economies build value, ignoring money. Aggiunge, tuttavia, che esiste una terza tipologia che si sviluppa attraverso un sapiente dosaggio dei punti di forza delle prime due: le hybrid economies. The hybrid is either a commercial entity that aims to leverage value from a sharing economy, or it is a sharing economy that builds a commercial entity to better support its sharing aims. Either way, the hybrid links two simpler, or purer, economies, and produces something from the link. That link is sustained, however, only if the distinction between the two 9

economies is preserved. […] The Internet is the age of the hybrid. Concludo quindi l’analisi di questo primo trend condividendo due ultime osservazioni. La prima va effettivamente a chiusura del tema “Evoluzione e diversificazione del concetto di branding”: nei casi in cui il co-branding può essere assimilato al fenomeno dell’ibridazione, questo dovrebbe essere costruito tra due brand che abbiano un’identità forte e distinta. La seconda apre la strada al secondo trend: quando ci si relaziona con il mondo di Internet è necessario ricordarsi che sono in atto numerosi processi di ibridazione che nascono dalla compresenza all’interno della rete di ambienti con un fine commerciale e di spazi aventi come obiettivo la condivisione senza scopo di lucro. Internet ha quindi due anime distinte che spesso si incontrano e non è possibile pensare alla rete senza tenere entrambe in considerazione.

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2. Costruzione della presenza online di un brand Sono un brand (prodotto, servizio, azienda, celebrity, media, etc.) e il mio target è online: come lo raggiungo? come costruisco la mia presenza nella rete? Esigenze come questa danno lavoro a molte persone e aziende oggi, me compresa la sottoscritta. Se ripenso alla mia esperienza personale fino ad oggi mi vengono in mente tante altre domande analoghe ma soprattutto esclamazioni e affermazioni appartenenti a periodi diversi, rappresentative del pensiero comune sul ruolo di Internet per le aziende in quel momento. Ripercorrerle mentalmente ha reso più chiaro nella mia testa il motivo per cui oggi rispondere a quella domanda non è affatto semplice e richiede non solo una buona cultura riguardante la Rete e i mezzi digitali in generale, ma la capacità di avere una visione strategica d'insieme per individuare il ruolo che il brand dovrebbe avere al suo interno. Per semplificare al massimo, ridurrò questa evoluzione a quattro fasi, che presentano ovviamente ampi margini di sovrapposizione tra di loro, al solo scopo di evidenziarne il macrotrend. Devi farti il sito! Internet per le aziende è semplicemente “il sito”(la cosa preoccupante è che in molti la pensano ancora così). Le web agency e i freelance sfornano un sito dopo l’altro, acquistano domini come fossero pacchetti di sigarette, si fa a gara tra chi trova l’accostamento di colori più accattivante, l’immagine in homepage più evocativa e simbolica, il menù di navigazione più articolato o “creativo”. Il grafico all’inizio è “l’htmlista”, poi “il flashista” fino a richiedere specifici skills di programmazione per ottenere determinati effetti durante la navigazione. Hai visto il mio banner? Il numero di siti cresce e le probabilità di essere visitati dagli utenti si riducono notevolmente; diventa quindi forte l’esigenza di creare punti di collegamento visibili tra i siti più visitati, in particolare i portali, e i sitarelli aziendali, siano essi corporate o di prodotto: la soluzione sono i banner. Piccoli, grandi, grafici o testuali, statici o che lampeggiano, diventa impensabile 11

“andare su Internet” senza almeno un bannerino. Il SEO è il futuro! “Cosa li fai a fare i banner che tanto non te li clicca nessuno? Devi essere nei primi tre risultati di Google se vuoi che qualcuno venga sul tuo sito”: il search è la cura di tutti i web-mali. È la corsa all’oro, o meglio alle parole chiave dorate: si snocciolano sigle come SEO, SERP, PR, se non sei sulla prima pagina di Google non sei nessuno. Ce l’hai la pagina su MySpace? È il momento dei social network. Il concetto chiave che inizia a diffondersi sulle bocche dei web strategist di tutto il mondo è: se vuoi raggiungere il tuo target devi essere lì dove sono loro, ossia negli ambienti digitali dove trascorrono gran parte del loro tempo online insieme al proprio "network" (amici, familiari, colleghi, appassionati, etc). E questo concetto si spinge verso il "devi entrare a far parte di quel network", come se questo ingresso fosse possibile per ogni brand, azienda, prodotto, sito, servizio, testimonial, etc. Dalla ricerca della “Big Thing” alla comprensione della “Big Picture” La descrizione delle quattro fasi è volutamente esagerata e approssimativa: cerco di condividere un pensiero per esprimere il mio punto di vista su questo fenomeno. Avrei dovuto inserire nel passaggio da una fase all’altra di questa evoluzione anche esclamazioni come “il sito (il destination website) è morto”, “il banner è morto”, “il blog è morto”, “second life è morto”, etc.: sembra che dichiarare la morte di qualcosa o qualcuno da qualche anno a questa parte sia diventata una moda (speriamo non un trend). Si è sempre alla ricerca della next BIG THING, dando per defunte le altre. Tornando alle fasi, possiamo dire che l’interesse del mercato si è spostato dagli owned media, siti di proprietà interamente gestibili dal proprietario (owner), ai bought media, spazi sui siti a largo traffico che è possibile acquistare, fino ad arrivare agli earned media, ambienti online dove il posto ma soprattutto il consenso da parte degli utenti vanno guadagnati.

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Non so quale sarà la next big thing, ma sinceramente mi interessa poco; sono molto più affascinata dalla big picture. Mi spiego. Ho l’impressione che la continua ricerca di ciò che nel prossimo futuro sarà il nuovo hype faccia perdere di vista quello che in rete c’è già, perché la cosiddetta rete è più viva che mai. Cercare di capire come le persone la usano, quali spazi privilegiano, quali motivazioni le spingono ad usare un servizio rispetto ad un altro, di quali argomenti parlano, cosa e chi cercano è secondo me una sfida ben più stimolante del definire il significato di web 3.0. Per quanto mi riguarda, il mio impegno verso la comprensione di come costruire o sviluppare la presenza online di un brand, di un’azienda, di un ente, etc. avrà questo punto di partenza, ossia la torta intera, con tutte le sue fette.

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La corretta valutazione della propria presenza online dovrebbe partire dalla definizione del ruolo che hanno le tre categorie di online media, e questo non vuol dire che sia necessario investire tempo e risorse in tutte e tre le categorie in ugual misura. Ignorarne una per concentrarsi esclusivamente su un’altra (ad esempio non curare il proprio sito per dedicarsi interamente alla propria fan page su Facebook), tuttavia, potrebbe essere un errore. Possiamo ad esempio provare a guidare l’utente attraverso un percorso che lo agevoli nella ricerca di informazioni sul proprio prodotto: spot pubblicitario in televisione con al suo interno la URL del sito di prodotto, presidio delle keyword relative al copy dello spot sui motori di ricerca, attività di Internet PR con utenti e blogger per parlare e far parlare del sito e del prodotto, etc., ma dobbiamo aspettarci che ogni utente decida autonomamente, volontariamente o meno, di seguire un percorso personalizzato ed essere pronti ad agire di conseguenza attraverso un’attenzione costante a tutta la torta, non solo ad una fetta. È giusto essere attratti dalle novità e investire risorse per conoscerle e appropriarsene, ma è necessario non lasciare che queste distolgano troppo la nostra attenzione da quello che esiste già perché questa disattenzione potrebbe compromettere tutti gli sforzi fatti per ottenerle. Provo a semplificare il concetto con un esempio. Supponiamo che tu sia una donna che sta facendo shopping in centro con una cara amica. Ti fermi davanti ad una vetrina per ammirare per la quinta volta nella stessa settimana le scarpe dei tuoi sogni (beh almeno per questa stagione): pensi che ti starebbero benissimo e che troverebbero sicuramente uno spazio nella tua scarpiera, se non fosse che costano davvero troppo. Ti disperi con la tua amica per questa ingiustizia e pian piano vi allontanate dalla vetrina. La tua amica ha letto nei tuoi occhi quel briciolo di speranza di riuscire un giorno ad indossare quel favoloso paio di scarpe e decide che il tuo sogno va realizzato. Contatta gli amici che avete in comune e comunica a tutti di non comprare nulla per il tuo compleanno: raccoglierà lei i soldi e acquisterà per te un regalo unico. Il sogno si avvera: finalmente hai il tuo paio di scarpe nuove. Te lo sei in qualche modo “guadagnato”: per aver comunicato in maniera adeguata il tuo bisogno e per aver indirizzato il tuo messaggio al contatto giusto, cioè una persona con cui hai stretto un'amicizia da tanti anni e che ha attivato il suo network, di cui tu fai parte, per soddisfare la tua esigenza. Riprendendo il trend potremmo associare il paio di scarpe agli earned media. 14

Analogamente alla febbre che sale alle aziende quando si relazionano con il “nuovo” mondo dei social media, anche tu consideri il tuo paio di scarpe la novità del momento e non vedi l'ora di mettertele. Ma basta davvero indossarle e mostrarle alle amiche per sentirti al top? Cosa succederebbe se dovessi indossare un abito scucito, un maglione infeltrito o un pantalone sporco? Le tue scarpe non sembrerebbero più così belle. Qual è quindi la morale? Bisogna sempre curare il proprio guardaroba (owned media) ed eventualmente arricchirlo acquistando qualche nuovo capo (bought media) in grado di valorizzare maggiormente il proprio paio di scarpe nuove (non starebbero benissimo con quella longuette che è da tanto che ti riprometti di comprare?).

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Concentrare tutte le proprie risorse (umane ed economiche) nel tentativo di creare un proprio spazio all'interno dei social network e dei social media in generale può rivelarsi uno spreco se non vengono curati i propri spazi online (sito corporate, sito di prodotto, microsite, mobile site, etc.) e supportati da un adeguato investimento pubblicitario/promozionale. Come cambierà la torta? Resta da capire quanto e come s’ingrandirà la torta in futuro e di quante fette sarà composta. Internet a differenza degli altri mezzi cosiddetti offline (anche se il prossimo trend ha l’obiettivo di mutare questa denominazione) è un ecosistema di media differenti in continua crescita, che cambia al variare dei comportamenti degli utenti. Gianluca Diegoli di [mini]marketing ha sintetizzato graficamente quello che per lui sarà “L’inesorabile percorso dei media”.

Come disegneremo l’evoluzione del communication behaviour, sia esso degli utenti che dei brand, nei prossimi anni?

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3. Digitalizzazione dell’Universo Media I mezzi comunemente definiti nel mondo della comunicazione come “media offline” si sono digitalizzati e sono fruibili anche su Internet: è possibile guardare alcuni programmi televisivi online, ascoltare la radio, leggere libri e riviste, con modalità e tempi diversi: live, streaming, download, podcast, etc. La prima banale considerazione che mi sento di fare è che non ha quindi più senso parlare di media online e offline come se fossero due mondi che fanno fatica a parlarsi, ma piuttosto di opportunità diverse di fruizione di uno stesso contenuto, o, nel caso della crossmedialità, della possibilità di creare narrazione e contenuti specifici per ciascun mezzo di comunicazione coinvolto all’interno di un progetto editoriale che utilizzi più media simultaneamente (“Cross-Media – Le nuove Narrazioni” di Max Giovagnoli) Il pensiero che ho fatto su questo trend, che ho chiamato “digitalizzazione dell’universo media” proprio per non cadere nella tentazione di parlare di media offline, può rappresentare un ulteriore spunto di riflessione sul crollo di questo ormai storico spartiacque. Nel trend precedente ho parlato delle tre diverse categorie in cui è possibile classificare i media online se osservati da un punto di vista aziendale relativamente al grado di controllo che è possibile esercitare sulle stesse: owned, bought e earned. In questo trend vorrei riprendere questa distinzione cambiando il criterio di osservazione e spostandolo sull’elemento che intrinsecamente differenzia una categoria dalle altre: •

Negli owned media il focus è sulla Tecnologia, ossia sulla resa grafica e architettonica del sito volta in alcuni casi ad enfatizzarne l’impatto grafico e in altri l’usabilità e il livello di accessibilità.



Nei bought media l’attenzione si sposta sul Contenuto: faccio pubblicità sui portali perché è lì che gli utenti fruiscono dei contenuti, mi posiziono nei motori in modo da contestualizzare il mio prodotto nell’ambito della ricerca di contenuti da parte dell’utente.



Negli earned media, per ovvi motivi, sono centrali le Relazioni.

Se mi fermo a pensare a come gli altri media stanno attraversando il processo di digitalizzazione vedo forti analogie con il mezzo Internet e la sua evoluzione.

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RADIO Iniziamo con la radio - il mezzo che più degli altri ha abbracciato in questi anni le opportunità di innovazione offerte dalla digitalizzazione - e osserviamo la sua evoluzione in termini di Tecnologia, Contenuto e Relazioni. Tecnologia: la radio viene appunto digitalizzata dando la possibilità agli utenti di decidere tempi e modalità di fruizione della stessa; è possibile ascoltarla online in streaming, sia live sia on demand, o abbonandosi ai podcast delle singole trasmissioni. Contenuto: vengono messi a disposizione degli utenti contenuti aggiuntivi rispetto a quelli trasmessi: è possibile vedere e non solo ascoltare i protagonisti del canale radiofonico e leggere curiosità sulle loro vite (ad esempio all’interno dei blog personali). Relazioni: i canali radiofonici cercano di acquisire un grado di controllo sulla community che è nata spontanea attorno al loro brand, dando vita a social network dedicati (ad es. myDeejay) o espandendo la propria presenza in altri territori online (ad es. il canale di radio 105 su YouTube); crescono, inoltre, quei servizi online che consentono di condividere la propria passione per la musica e di personalizzarne la fruizione (ad esempio Last.fm).

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STAMPA La stampa quotidiana e periodica ha attraversato un processo di digitalizzazione analogo a quello del mondo radiofonico, nonostante la natura dei due mezzi sia intrinsecamente molto diversa. Tecnologia: le pagine vengono digitalizzate e rese disponibili in formato elettronico; alcuni quotidiani diversificano la loro offerta di abbonamento affiancando a quello cartaceo quello elettronico: il Corriere della Sera ad esempio dà la possibilità di consultare e scaricare il giornale in formato testo o pdf. Contenuto: i siti dei quotidiani e delle riviste offrono contenuti integrativi rispetto a quelli presenti nel prodotto cartaceo. I siti de La Repubblica e de L’Espresso, ad esempio, integrano la loro offerta editoriale online con i blog d’autore grazie ad un accordo con Kataweb. Relazioni: nascono community attorno ai brand editoriali; per quanto riguarda i magazine femminili sia il sito di Donna Moderna sia Style.it, il sito di Vogue, Glamour e Vanity Fair, mettono a disposizione dei propri utenti strumenti relazionali come il forum, la chat e la possibilità di creare un blog.

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EDITORIA Lo stesso fenomeno ha interessato l’editoria. Tecnologia: i libri diventano ebook. Si diffondono i dispositivi mobili in grado di leggerli come Kindle, il reader di Amazon.com, e iLiad, distribuito in Italia da Simplicissimus Book Farm Srl. Contenuto: il lancio di un nuovo libro è accompagnato sempre più spesso dalla creazione di un sito/blog dedicato allo stesso, come nel caso del blog del libro Internet PR, o all’autore che lo scrive personalmente; esempi di questa seconda categoria sono Paulo Coelho, che oltre ad un blog ha esteso la propria presenza online anche in tutti i principali siti di social networking come Flickr e Twitter, e la giovanissima Elisa Rosso, autrice di “Il Libro del Destino”. Relazioni: nascono social network dedicati alla condivisione dei propri interessi bibliografici, come Anobii e l’italiano Pickwicki, e al self publishing (l’autopubblicazione delle proprie opere) come nel caso di Lulu.com; si diffondono forme di scrittura che si basano sulla partecipazione come la scrittura collettiva (ad es. Romanzo Totale); gli autori coinvolgono gli utenti per la raccolta/ segnalazione di materiali e risorse per la stesura di nuovi progetti editoriali: Mafe De Baggis e Luca Vanzella hanno chiesto ai lettori del loro blog di scrivere e condividere le proprie storie d’amore o avventure sessuali con persone conosciute in rete per il loro nuovo libro “Preso nella rete! Come trovare in Internet il partner di una sera o di una vita”.

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TELEVISIONE E la TV? Il tubo catodico fa più fatica ad innovarsi secondo questo percorso evolutivo ma in questi ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito (toh, che novità). Vediamo qualche esempio: Tecnologia: alcuni programmi e serie televisive sono disponibili online a pagamento o gratuitamente. L’esempio americano per eccellenza è Hulu, la piattaforma video voluta da NBC e Fox che trasmette gratuitamente in streaming le principali serie televisive, e quello britannico il BBC iPlayer disponibile online, in tv, via mobile, e su console. Per quanto riguarda l’Italia, la RAI ha recentemente rilanciato il sito Rai.tv dove è possibile seguire in diretta tutti i suoi canali gratuitamente grazie all’apposito player realizzato con tecnologia Silverlight. Contenuto: sui siti dei programmi è possibile conoscere i “dietro le quinte”, partecipare a sondaggi, guardare interviste non trasmesse in televisione via etere, etc. Relazioni: Hulu e il network ABC consentono di riproporre i video delle proprie trasmissioni televisive preferite in siti esterni grazie alla presenza del codice di “embed” come avviene su YouTube; la CBS ha creato le social rooms dove è possibile visionare i contenuti "in compagnia" di altri utenti collegati contemporaneamente, con cui è possibile interagire; nascono canali e programmi televisivi in cui una certa percentuale del palinsesto è creata con i contenuti realizzati dagli utenti come nel caso di Current e di QOOB.

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E QUINDI? Analogamente al secondo trend, è importante avere sempre in mente la big picture, a maggior ragione quando si ha a che fare con lo scenario media globale, Ripensando invece al primo trend evidenziato, credo sia raccomandabile per ogni player media presente o entrante considerarsi innanzitutto un brand, un’entità con dei valori e un’equity e non esclusivamente un canale, magari partendo proprio dall’analisi delle tre componenti: Tecnologia, Contenuto e Relazioni.

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CONCLUSIONI Conclusioni? Considerando che stiamo parlando di trend ancora in evoluzione, le conclusioni non ci sono. Ci possono essere suggerimenti, segnalazioni, implicazioni ma nessuno di questi può di fatto chiudere questo argomento. Al contrario, mi piacerebbe che si aprisse a nuovi fenomeni e microrealtà di cui lo scenario media è già ricchissimo. Capita che nel mio lavoro qualcuno mi chieda quali sono i trucchi del mio mestiere, in che modo il perfetto strategist dovrebbe impostare la definizione di una strategia di comunicazione per un brand nel panorama media attuale e futuro, in particolare quello digitale. Non credo esista una risposta definitiva a questa domanda ma posso suggerirvi di considerare questi trend per individuare le implicazioni che hanno per il vostro caso specifico: • capire come il vostro brand si inserisce in uno scenario globale in cui il fenomeno di branding non è più relegato ad alcune categorie merceologiche ma ha connotazioni e demarcazioni decisamente più ampie • analizzare l’attuale presenza del brand online, volontaria o meno, all’interno delle tre macro categorie di media online (owned, bought, earned) • individuare e pianificare le correlazioni tra Internet e gli altri mezzi, soprattutto tenendo in considerazione che la distinzione tra online e offline si sta sempre di più dissipando per effetto del processo di digitalizzazione.

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Se parliamo di trucchi diciamo che questa potrebbe essere la mia trousse:

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RINGRAZIAMENTI Se i “Trend della Comunicazione (secondo me)” sono oggi un ebook lo devo ad un po’ di amici che mi hanno motivato e supportato; se fossi uno scrittore potrei scrivere un libro su ognuno di loro, non essendolo mi limiterò ad un semplice “grazie”. A Gianluca per avermi dato l’idea. A Maurizio e ai miei colleghi di deepblue per averla arricchita. A Enrico per averla perfezionata. A Laura per averla addolcita.

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