STRATEGIA
Guerra e Strategia dello Spazio
COL. FERRUCCIO BOTTI
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n due precedenti articoli pubblicati sul n. 2/2000 e sul n. 5/2000 di questa Rivista abbiamo preso in esame le origini e le principali caratteristiche della guerra spaziale, mettendo in particolare evidenza che essa: • ha ormai un’autonoma valenza strategica ed è destinata ad acquistare peso crescente; • è il tipo di guerra che più chiede alla macchina e meno all’uomo, quindi è in prima approssimazione la più congeniale per le odierne società democratiche industrialmente avanzate; • a medio termine consentirà all’Aeronautica di proiettarsi finalmente nello spazio, lasciando alle aviazioni di Forza Armata le azioni di aderenza alla guerra di superficie. In questa terza e ultima parte vogliamo approfondirne i contenuti teorici e strategici, stabilendo anzitutto fino a che punto è corretto applicare ad essa i fortunati paradigmi e aforismi di Douhet per la guerra aerea. In proposito, Brian R. Sullivan (1) sostiene che le teorie strategiche con alla base fattori di carattere principalmente politicosociale e spirituale (come quelle di Clausewitz) sono di gran lunga superiori a quelle basate sulle prestazioni di un dato materiale (le flotte da battaglia per Mahan; il grande aeroplano da bombardamento per Douhet). Pertanto, a suo giudizio • “le idee di un pensatore come Mahan o Douhet sull’applicazione della forza militare spaziale potrebbero essere solo false o equivoche”; • “il valore del potere spaziale verrà gravemente diminuito o annullato se verrà applicato rigidamente in base a teorie tipo quelle di Mahan o Douhet”; • [perciò] “io spero che nessun Mahan o Douhet della forza spaziale emerga per impedire agli Stati Uniti o ai loro alleati di comprendere la confusa, complessa, contingente e enigmatica natura della guerra”. Non si può essere dogmatici, ma ancor meno si può esserlo in nome di Clausewitz. Queste drastiche e dogmatiche affermazioni di Sullivan - dogmatiche almeno quanto certi
aspetti delle teorie di Mahan e Douhet - non possono essere condivise. Qui si tratta di attribuire a teorie e dottrine il loro giusto valore. In quanto opera dell’uomo, esse non fotografano mai compiutamente la realtà, né possono costituire degli immutabili obelischi al centro della riflessione strategica. Sono sempre, in misura variabile, espressione degli idola del tempo, di contingenti e ben definite esigenze della Nazione in cui nascono degli uomini a cui sono dovute; risentono, naturalmente, anche delle passioni umane e delle personali esperienze di chi le formula. Spesso intendono sensibilizzare gli animi e la pubblica opinione su dati argomenti, diffondere determinate idee, creare “una coscienza” (una coscienza militare, aeronautica, una coscienza marittima...) o obbedire a imperativi politici del momento. Sono, insomma, solo del materiale da costruzione - da maneggiare con molta cautela - per nuove concezioni. Non vanno interpretate come formule definitive per vincere una guerra o risolvere un problema; semplicemente aiutano a cercarle. E’ nello sfruttarle nei limiti del possibile che si misura la capacità di una leadership, e anche l’intelligenza e preparazione del lettore. Se si applica, senza attese miracolistiche, questo concetto “relativistico” della validità delle teorie e dottrine passate e presenti (che, vedi caso, può dirsi clausewitziano, perché corrisponde pienamente all’approccio del generale prussiano alla problematica della guerra e dei suoi principî), si può affermare, senza tema di smentite, che Mahan, Douhet, Jomini ecc. sono assai utili anche nel definire i caratteri della guerra e strategia spaziale, purché si sappia distinguere il grano dal loglio, individuando tra molti elementi caduchi ciò che al momento ci interessa. Con questo approccio equilibrato e realistico, così come si deve prendere le distanze dalle tesi che mettono al bando le teorie di Douhet e Mahan, si deve ugualmente evitare la troppo facile ripetizione e riverniciatura per l’occasione dei capisaldi più famosi del pensiero dei due autori, a cominciare dall’affermazione che “chi domina lo spazio domina la terra”, dal ruolo
(1) Brian R. Sullivan, Usi e abusi dei sistemi bellici spaziali (in AA.VV., Italo Balbo - Aviazione e Potere aereo - Atti del Convegno Internazionale nel Centenario della Nascita, Roma, Ed. a cura Aeronautica Militare 1998, pp. 275-284).
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decisivo della guerra nello spazio, dai riflessi determinanti della vittoria in uno scontro spaziale, ecc. ecc.. Si può solo affermare che chi, oggi, voglia dominare pienamente il mare, l’aria o la terra deve, prima, dominare lo spazio: questi dominî sono, tutti insieme, la condizione necessaria - ma non sufficiente - anche per il successo nelle operazioni terrestri. Al tempo stesso, bisogna considerare che il dominio dello spazio presuppone anche il controllo del territorio per alimentarlo e mantenerlo, e che il “potere” più “dipendente” è forse, oggi, quello aereo: esso per essere esercitato presuppone, infatti, non solo il dominio dello spazio ma anche quello della terra (eliminazione delle difese aeree, di efficacia crescente). Quanta differenza dalle teorie di Douhet, nate quando le armi antiaeree erano all’infanzia, fino a indurlo a sostenere che erano inutili!
La Guerra Spaziale ed i suoi principi: definizioni teoriche Gli elementi teorici relativi alla guerra e strategia spaziale non possono essere definiti
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che richiamandosi alla guerra e strategia in genere. Anch’essa deve avere uno scopo politico; perciò nel suo caso meno che mai si può commettere l’errore di taluni autori, i quali continuano ad affermare che la strategia aerea (e quella marittima) consistono nel conquistare o mantenere rispettivamente il dominio dell’aria o del mare (che è un mezzo e non uno scopo) o che servono a conquistare o mantenere il potere marittimo o aereo. Definizione errata, perché ignora lo scopo politico finale di qualsivoglia impiego, potenziale o effettivo, della Forza Armata. Essa inoltre trascura che, per chi è inferiore, si tratta di impedire alle Marine e Aviazioni preponderanti proprio quella conquista o mantenimento del dominio del rispettivo elemento, che solo per chi ha netta superiorità di forze può essere un obiettivo realistico. In quanto al “potere” (aereo, marittimo, spaziale o terrestre), esso esprime una possibilità, una capacità variabile da Stato a Stato e dovuta a vari fattori anche extramilitari, che per tradursi in atto ha comunque bisogno dello strumento militare e di
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un’idonea sua strategia d’impiego. Ciascuna Nazione (o ciascun gruppo di Nazioni) esercita perciò un grado di “potere” nei quattro elementi, proporzionato alle sue capacità economiche e militari. In uno stesso ambiente geografico non vi è posto solo per il “potere” preponderante: ve ne sono diversi, ciascuno con una propria valenza strategica. Al di là di astrazioni teoriche, la guerra in uno dei quattro ambienti geografici non è altro che la guerra in quell’ambiente e da quell’ambiente. Verso dove? Verso la superficie terrestre (riferimento comune) o verso la superficie marittima. Più in generale, la guerra del periodo post-guerra fredda - i cui titolari non necessariamente sono gli Stati può essere definita “stato di ostilità o di lotta conseguente o meno a un conflitto di grandi interessi o a una crisi, che raggiunge un livello tale da rendere necessario e inevitabile il ricorso da ambedue le parti, su scala ragguardevole, all’impiego potenziale e/o effettivo della Forza Armata per raggiungere i rispettivi obiettivi politici”. (2) Per ottenere una definizione di guerra spaziale, non si deve fare altro che sostituire a “Forza Armata” l’espressione “sistemi spaziali anche offensivi”. Si deve solo sottolineare che mentre la guerra in genere ammette come protagonisti anche Entità o gruppi organizzati non statuali, oggi le esigenze tecnologiche e finanziarie sono tali da richiedere un’accurata pianificazione a lungo termine, una puntuale preparazione, ingenti risorse economiche e industriali, e pertanto solo gli stati possono essere titolari della guerra spaziale. Va da sé che anche nei conflitti e crisi - cosa ben diversa dalla guerra - l’apparato spaziale è una componente (di crescente importanza per l’Occidente) dello strumento armato, componente sempre di grande rilievo perché ne rende possibile l’impiego coordinato e ne identifica e determina gli obiettivi, guidando sopra di essi i sistemi d’arma a più lungo raggio d’azione e individuando tempestivamente le contromisure nemiche. Il potere spaziale non va confuso con il dominio dello spazio. Il primo, come già detto, esprime una capacità che può
tradursi in atto solo attraverso l’impiego dello strumento militare, o essere contrastata solo con tale strumento. Il dominio dello spazio, invece, è il risultato più favorevole dell’avvenuto impiego di tale strumento; è uno stato di fatto militare, che può essere conquistato, conteso, ostacolato, mantenuto solo con un’idonea strategia militare. Quest’ultima in prima approssimazione, detta le grandi linee per raggiungere obiettivi militari consoni all’obiettivo politico della guerra, il cui raggiungimento è anche lo scopo finale dell’impiego dello strumento militare stesso e quindi della strategia, che ha un obiettivo militare tale da corrispondere a uno scopo politico al quale l’obiettivo militare stesso è sempre subordinato. Potremmo perciò adottare per il potere spaziale la seguente definizione: “complesso di fattori statici e dinamici di vario ordine (geografici, economici, industriali, tecnologici, morali, spirituali e militari) mediante i quali uno Stato o un insieme di Stati acquistano la capacità di conquistare e mantenere, anche con mezzi militari, un grado di possesso e/o controllo dello spazio corrispondente agli interessi nazionali o di una coalizione”. Sostituendo a “spazio” l’espressione “spazi aerei” si avrebbe una definizione di potere aereo. Non ci sembra, perciò, pienamente condivisibile la definizione di potere spaziale data da Colin Gray, nella quale si riscontrano evidenti reminiscenze douhetiane e mahaniane: “capacità di usare lo spazio negandone allo stesso tempo un uso efficace all’avversario”. Questa definizione risente di un’indebita contaminatio tra due concetti ben diversi, quali quelli di potere e di dominio. Ripetiamo ancora che mentre il potere è una capacità non solo militare, il dominio è un preciso stato di fatto solo militare che per Douhet consiste nel disporre liberamente degli spazi aerei, negandone l’uso all’avversario (concetto, questo, che va bene anche per lo spazio). Ovviamente il dominio dello spazio può essere conquistato e esercitato solo da una potenza preponderante, ma ciò
(2) Per una più approfondita analisi dei caratteri teorici della strategia odierna, che giustificano questa definizione, rimandiamo al Nostro L’Arte militare del 2000, Roma, Ed. Rivista Militare 1998, capitoli V e VI.
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non può avvenire automaticamente anche per il potere spaziale. Come già avviene per la guerra marittima e aerea, anche nel nostro caso è possibile impedire al nemico l’uso dello spazio, ma non necessariamente ciò significa che se ne possa disporre liberamente. Saranno sempre possibili situazioni prolungate di dominio dello spazio contrastato, dove anche chi è inferiore avrà delle chances. All’atto pratico, insomma, il potere spaziale non può essere ridotto alla sua espressione assoluta, e anche in questo caso valgono le obiezioni di Corbett e Castex al dogmatismo e all’assolutismo mahaniano. In caso diverso tanto varrebbe, per una media potenza, rinunciare senz’altro a un impegno, a una politica spaziale, lasciando che l’abbia solo la superpotenza o chi sarà eventualmente in grado di affrontarla. Per questa ragione i concetti meno ambiziosi di controllo dello spazio o di superiorità nello spazio (che non ne presuppone necessariamente il dominio) come già nella guerra aerea sono di particolare importanza. Vi possono essere vari
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gradi e tipi di controllo dello spazio: ma il fatto più rilevante è che anche una media potenza potrà raggiungere almeno temporaneamente o localmente (cioè in determinate fasce) un certo grado di controllo dello spazio, quindi potrà contrastare il controllo dello spazio da parte di una potenza dominante rendendolo almeno non assoluto, ciò che è già un grande risultato. Finora l’Occidente ha impiegato i satelliti senza alcun contrasto da parte di altri: ma sarà sempre così? Quando qualche nemico dell’Occidente sarà in grado di mettere in orbita dei satelliti (in fondo, ciò è già avvenuto), allora nascerà una nuova corsa agli armamenti spaziali, che potrà sfociare anche in guerre “calde”: nessuna Nazione tecnologicamente può fare a meno, ormai, dello spazio. In ogni caso, il peso effettivo del potere spaziale e/o del grado di controllo dello spazio è variabile a seconda dei tipi di situazione da fronteggiare, e oscilla tra due estremi: conflitti, crisi o guerre nei quali il potere spaziale può far sentire al massimo le sue
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potenzialità intrinseche, fino a sostituire altri “poteri” in misura variabile, e situazioni invece in cui per ragioni diverse il suo apporto diventa minimo, o meno rilevante. È quanto nel periodo post-guerra fredda sta avvenendo, del resto, per tutti i sistemi d’arma e “poteri” in un quadro internazionale dominato dall’assenza di minacce precise, dalla molteplicità dei rischi, dall’imprevedibilità delle crisi. Di questa realtà deve tener conto una definizione generale di strategia, che potrebbe essere la seguente: “concezione e pianificazione delle grandi linee dell’uso della forza armata (o prevalentemente armata) e suo impiego potenziale/effettivo per raggiungere gli scopi della politica, in una situazione di contrasto. Comporta delle scelte tra diverse opzioni e l’indicazione di priorità”. Anche in questo caso, sostituendo a “forza armata” l’espressione “sistemi anche offensivi”, si avrebbe una definizione di strategia spaziale. Abbiamo finora parlato di strategia (senza aggettivi) alla quale riferire la strategia spaziale. Con il puro e semplice termine strategia noi intendiamo quella propria di uno Stato o di una coalizione di Stati; e ne abbiamo indicato la matrice nell’impiego (magari solo potenziale) della forza armata in genere. Siamo convinti che nel periodo post guerra fredda si imponga un mutamento. Traendo tutte le conseguenze dal concetto (condiviso anche dal Coutau - Bégarie) che la strategia si riferisce essenzialmente alla violenza organizzata, riteniamo che nel periodo post-guerra fredda, nel quale non è più richiesta alcuna mobilitazione totalitaria delle risorse nazionali per vincere la contesa con l’Est, sia possibile rinunciare al concetto di strategia globale, concetto da sempre più politico che militare i cui confini con la politica di sicurezza sono sempre stati labili o inesistenti. Oggi è possibile fare chiarezza, lasciando alla politica ciò che è della politica e alla strategia ciò che è sempre stato della strategia, cioè una fisionomia fondamentalmente operativa che si riassume in prevalenza nell’impiego della forza militare o armata, fatta salva la possibilità di ricorrere anche ad altri mezzi.
Proprio perché tipicamente sostitutiva di altre strategie e, meno di altre strategie atta a esercitare effetti di dissuasione, la strategia spaziale è la più militare e operativa che ci sia. Anche una strategia senza aggettivi - questo va sottolineato - può essere nazionale o di coalizione, di teatro o di scacchiere. In tutti i casi, la sua matrice rimane sempre operativa, e il suo grado di operatività aumenta proporzionalmente all’importanza che in essa ha la componente spaziale in tutte le sue manifestazioni. Rimane da stabilire se e come guerra e strategia spaziale ammettano dei principî, e, in caso affermativo, quali sono detti principî. In linea generale, si deve notare che - a maggior ragione nella situazione attuale caratterizzata dall’assenza di una precisa minaccia, dalla molteplicità dei rischi, dalla mutevole fisionomia e dall’imprevedibilità delle crisi e dei conflitti - il termine principî, sulla cui centralità Clausewitz ha già espresso fondati dubbi, è fuori posto; è anche sintomatico che ciascun Esercito adotti principî diversi. Poiché c’è sempre bisogno di capisaldi teorici sia pure non troppo vincolanti, meglio sarebbe sostituire tale termine - che indica il fondamento di una dottrina o di una scienza - con l’altro (assai meno impegnativo e più flessibile) “fattori essenziali di successo”, riferendo inoltre tali fattori solo alla strategia e al massimo alla tattica, non all’arte della guerra in genere (come molti da sempre fanno). In altra sede abbiamo indicato tali fattori come segue: coordinamento e integrazione degli sforzi, capacità di rapida concentrazione degli sforzi stessi, loro economia, sorpresa, iniziativa. (3) Se si guarda alla fisionomia della guerra spaziale prima delineata, si arriva alla conclusione che senza coordinamento, senza concentrazione degli sforzi (anche in fase di studio dei materiali e preparazione), senza economia degli sforzi stessi non si giunge ad alcun risultato. La sorpresa è possibile prima di tutto nel campo tecnologico, cioè con l’impiego di materiali che realizzino un salto di qualità rispetto a quelli dell’avversario, e in secondo luogo con la scelta di obiettivi particolarmente sensibili
(3) ivi, capitolo VI, paragrafi 4-5.
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attribuendo senz’altro all’avversario determinati comportamenti, o comportamenti razionali: cioè pianificando un aspetto da sempre riservato all’intuito della leadership. Fortunatamente non c’è stato bisogno di collaudare tali teorie; non c’è, oggi, alcun bisogno che ai nuclear strategists succedano gli spatial strategists. Non bisogna, invece, stancarsi di studiare, di penetrare a fondo, di dibattere l’intima Conclusione natura della strategia, senza trascurare l’apporto della storia. Se si saprà fare Al termine della sua analisi sul potere spaziale nella storia, Colin Gray si è chiesto questo, si sarà anche in grado di affrontare nel modo migliore le prevedibili sfide enfaticamente: “dov’è la teoria sul potere spaziali del prossimo secolo, definendo una spaziale? Dov’è il Mahan per la frontiera teoria strategica spaziale - e soprattutto una finale?”. Noi riteniamo che sarebbe prassi strategica spaziale - libere da irrealistico e dannoso pretendere di condizionamenti, che spesso sono formulare una teoria strategica spaziale valida una volta per tutte, ma che essa vada strumentali. Anche se il potere spaziale è il meno costruita giorno per giorno, con i riferimenti teorici più adatti e guardando ai maturo e il più suscettibile di futuri sviluppi, non esiste, né è alle porte, una mutamenti in atto. Per fare questo, non rivoluzione dell’arte della guerra provocata occorre un nuovo Mahan o un nuovo dai sistemi spaziali. Esistono solo dei Douhet, né occorrono nuovi profeti e mutamenti imposti dalle nuove tecnologie, sacerdoti dispensatori di verità assolute. che rendono necessari nuovi equilibri tra i Non è per nulla facile dare alla strategia spaziale, ultima arrivata, il giusto ruolo che le fattori in gioco. Quest’ultimi sono quelli di sempre, legati al binomio uomo-materiale e compete. Si tratta di navigare tra Scilla e alla capacità di armonizzare, riconducendoli Cariddi: cioè di evitare sia una a un unico obiettivo, sforzi diversi in diversi sopravvalutazione dei riflessi della guerra ambienti geografici. E’ tuttavia certo che il spaziale negli altri elementi indulgendo, paradigma della guerra e strategia spaziale è magari, a formule miracolistiche e profezie, destinato a riprodurre, nelle grandi linee, sia un approccio conservatore e di Forza quanto è avvenuto in campo aereo. Nei suoi Armata, tendente a vedere nello spazio solo primi articoli del 1910 Giulio Douhet ha un prolungamento e un ausilio della guerra concepito - per il momento - l’aeroplano nel rispettivo ambiente geografico. Le basi solo come un mezzo d’esplorazione di delle armi spaziali possono essere sulla terra, importanza decisiva, come potrebbe oggi in mare o nell’atmosfera; ma questo non autorizza a ritenere un sistema d’arma spaziale essere ritenuto il satellite. E ha previsto che si sarebbe combattuto per il dominio terrestre, marittimo o aereo tout court, con dell’aria, proponendo però di arrestare la sistemi spaziali separati e non integrabili per competizione che stava iniziando con un questa o quella Forza Armata. trattato internazionale che bandisse le armi L’auspicio è che per la strategia spaziale dal nuovo ambiente. (4) Non è stato non si ripetano i pericolosi schematismi razionalizzanti e razionali solo all’apparenza possibile: anzi, la guerra dell’aria ha portato morte e distruzione senza precedenti anche - con i quali i nuclear strategists civili della guerra fredda hanno cercato di ingabbiare la tra le popolazioni civili, che almeno nel XIX secolo gli eserciti tendevano a risparmiare. realtà della competizione nucleare, e con l’appropriata e rapida concentrazione delle forze su tali obiettivi. L’unico fattore che nel campo spaziale, almeno oggi, può trovare ridotta applicazione è quello dell’iniziativa: troppi sono i vincoli tecnici che richiedono accurata pianificazione e ben calcolate predisposizioni, dove le capacità di scelta del singolo sono ridotte.
(4) Si vedano, in merito, gli articoli di Giulio Douhet sul giornale “La Preparazione” del 21-22 luglio 1910 e 29-28 luglio 1910 (analizzati in Ferruccio Botti - Mario Cermelli, La teoria della guerra aerea in Italia 1894-1939, Roma, Ufficio Storico Aeronautica 1989, pp. 48-54).
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Gli ultimi avvenimenti (guerra del Kosovo nel 1999; decisione del nuovo Governo americano già a fine 2000 di riprendere gli studi e esperimenti per lo “scudo spaziale”) confermano le precedenti considerazioni teoriche. Senza il dominio dello spazio, non sarebbe stato possibile l’esercizio del dominio dell’aria con l’offensiva aerea contro la Serbia. Al tempo stesso, l’impiego di aerei pilotati è stato sostituito - in misura ancor maggiore di quanto è avvenuto nel Golfo - da missili a media gittata con testata convenzionale tipo Cruise/Tomahawk, con il grande vantaggio di evitare il più possibile perdite di aeroplani e piloti, sfruttate dalla propaganda nemica (come è avvenuto nell’unico caso di un aereo stealth abbattuto). Tuttavia, sempre in questa guerra il potere aereo e spaziale hanno rivelato, accanto alla loro efficacia, anche i loro oggettivi limiti. I satelliti non sono stati sufficienti per consentire l’individuazione e la distruzione dall’alto dell’esercito serbo, che ha subìto perdite molto inferiori a quelle che sarebbero state necessarie per provocarne la sperata, rapida dèbacle. L’impiego degli aerei e delle “armi intelligenti” ha risentito, come sempre, delle condizioni meteo. Non è stato possibile neutralizzare completamente le difese aeree nemiche; questo ha costretto gli aerei - come sempre - a mantenere quote alte, a discapito - come sempre - della precisione. Insomma: l’ultima guerra del secolo XX in Europa non accredita certo estremismi teorici nel campo aerospaziale. Essa ha dimostrato, ancora una volta, che i due punti di forza presenti e futuri dell’Occidente - il potere spaziale e quello aereo - sono fondamentali ma hanno anche limiti severi e non possono sostituire o sostituire interamente le forze terrestri, di fatto rimanendo - come già in passato - armi principalmente di logoramento e non per la decisione rapida delle guerre. Al tempo stesso, risulta confermata e crescente la capacità sostitutiva del missile rispetto all’aeroplano.
Per quanto attiene alla rinnovata prospettiva dello “scudo spaziale”, occorre anzitutto chiedersi: come potrà esserne evitata la militarizzazione, se lo spazio è già così importante per gestire l’impiego dei missili e la guerra negli altri elementi? Una cosa è certa: che le ricadute tecnologiche degli studi per bloccare i missili saranno di tutto rilievo anche sui sistemi antiaerei, ulteriormente riducendo le possibilità di sopravvivenza dell’aeroplano pilotato. Per altro verso la decisione americana di proseguire gli esperimenti sullo “scudo spaziale” conferma, semplicemente, che la guerra futura si estenderà anche allo spazio e che anche il missile strategico sta trovando - come finora è avvenuto per tutte le nuove armi - delle valide armi di contrasto. Dal punto di vista storico, lo scudo spaziale è l’ultima manifestazione della insopprimibile tendenza delle società industriali avanzate alla guerra di macchine, e della millenaria tendenza a sfruttare presto o tardi anche a scopo militare i nuovi ritrovati scientifici. Non c’è, perciò, ragione di essere molto ottimisti sulle concrete possibilità future di bandire la guerra nello spazio: la storia, e quanto avvenuto nel secolo XX prima per il potere aereo e poi per l’atomo, non lo consentono. In proposito, ci sembra calzante quanto ha affermato uno scrittore militare di un secolo fa: che, cioè, tutto dipende dal cuore degli uomini, degli eserciti, dei popoli. Anche le armi più perfezionate e micidiali, se affidate a uomini che non intendono usarle o le usano il meno possibile e di malavoglia, risultano innocue o poco dannose: si combatte poco, e uno dei due contendenti si arrende presto. Al contrario, anche eserciti armati di semplici clave se ambedue determinati a combattere fino all’ultimo senza dare tregua al nemico, possono far scorrere il sangue a fiumi.(5) L’utilizzazione a fini militari dello spazio è una realtà dalla quale non si può e non si deve prescindere: si può solo sperare che essa non sia causa dei contrasti rovinosi del passato.
(5) Col. Enrico Barone, La guerra nell’ascensione economica, Roma 1912, pp. 11-12.
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