Fides & Ratio Verità & Menzogna secondo Paolo? Nelle 13 lettere che iniziano con il nome "Paolo" come mittente, (= il corpus paulinum) i concetti di fede, verità (e menzogna) e mente (o ragione) compaiono in almeno 87 versi diversi, spesso in correlazione, anche stretta tra loro. Riportiamo una lista di testi utilizzando la vecchia traduzione della Bibbia della CEI, per facilitare un approfondimento di questi temi in comparazione anche alla Fides et ratio (abbreviata in FR), enciclica di Giovanni Paolo II, pubblicata il 14 settembre 1998, sulla possibile e necessaria intesa e collaborazione tra fede e ragione dopo ave chiarito il significato, spesso ideologizzato, di questi termini. Recentemente è stato celebrato a Roma un convegno universitario sulla FR, per cui di seguito pubblichiamo anche riflessioni recentissime su un argomento così attuale del dialogo tra scienza e fede.
I testi paolini Si noti nella lista dei riferimenti che subito anticipiamo (Rm 1,18.21.25.28; 2,2.8.20; 3,4.7; 7,23.25; 9,1; 11,34; 12,2; 14,5; 1Cor 1,10; 2,16; 5,8; 11,19; 13,6; 14,14s.19; 15,15; 2Cor 3,14; 4,2.4; 6,7s; 7,14; 9,6; 11,10.13ss.26.31; 12,6; 13,8; Gal 1,20; 2,4s.14; 4,16; 5,7; Ef 1,13.18; 3,9; 4,15.17.21.23.25; 5,9; 6,14; Fil 3,3; 4,7; Col 1,5s.21; 2,18; 3,9; 2Ts 2,2.9ss; 1Tm 1,10; 2,4.7; 3,15; 4,1.3; 6,5; 2Tm 1,4; 2,15.18.25; 3,7s; 4,4; Tt 1,1s.12.14s) la concentrazione dei temi in Romani e la loro assenza in 1Ts e Fm. Romani 1,18
In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, 1,21 essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 1,25 poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. 1,28 E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, 2,2 Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. 2,8 sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all'ingiustizia. 2,20 educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità... 3,4 - Impossibile! Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come sta scritto: Perché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato.
3,7
- Ma se per la mia menzogna la verità di Dio risplende per sua gloria, perché dunque sono ancora giudicato come peccatore? 7,23 ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. 7,25 Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato. 9,1 Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: 11,34 Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? 12,2 Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. 14,5 C'è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però cerchi di approfondire le sue convinzioni personali. 1Corinzi 1,10
Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti. 2,16 Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo. 5,8 Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità. 11,19 E'necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. 13,6 non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 14,14 Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 14,15 Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l'intelligenza. 14,19 ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue. 15,15 Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 2Corinzi 3,14
Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. 4,2 al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio. 4,4 ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio. 6,7 con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; 6,8 nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; 7,14 Cosicché se in qualche cosa mi ero vantato di voi con lui, non ho dovuto vergognarmene, ma come abbiamo detto a voi ogni cosa secondo verità, così anche il nostro vanto con Tito si è dimostrato vero. 11,10 Com'è vero che c'è la verità di Cristo in me, nessuno mi toglierà questo vanto in terra di Acaia! 11,13 Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. 11,14 Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce. 11,15 Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere.
11,26
Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; 11,31 Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. 12,6 Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me. 13,8 Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità; Galati 1,20
In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 2,5 Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi. 2,14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei? 4,16 Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? 5,7 Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità? 2,4
Efesini 1,13
In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, 1,18 Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 3,9 e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo, 4,15 Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, 4,17 Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, 4,21 se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, 4,23 e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente 4,25 Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. 5,9 il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 6,14 State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, Filippesi 3,3
Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne, 4,7 e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. Colossesi 1,5
in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l'annunzio dalla parola di verità del vangelo 1,6 che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, 1,21 E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate,
2,18
Nessuno v'impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, 3,9 Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni 2Tessalonicesi 2,2
di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. 2,9 la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, 2,10 e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. 2,11 E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna 2,12 e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità. 2,13 Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità, 1Timoteo 1,10
i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, 2,4 il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. 2,7 e di essa io sono stato fatto banditore e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità. 3,15 ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità. 4,1 Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, 4,3 Costoro vieteranno il matrimonio, imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creato per essere mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità. 6,5 i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità, che considerano la pietà come fonte di guadagno. 2Timoteo 1,4
mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. 2,15 Sfòrzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità. 2,18 i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la risurrezione è già avvenuta e così sconvolgono la fede di alcuni. 2,25 dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità 3,7 che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità. 3,8 Sull'esempio di Iannes e di Iambres che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in materia di fede. 4,4 rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tito 1,1
Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per far conoscere la verità che conduce alla pietà
1,2
ed è fondata sulla speranza della vita eterna, promessa fin dai secoli eterni da quel Dio che non mentisce, 1,12 Uno dei loro, proprio un loro profeta, già aveva detto: "I Cretesi son sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri". 1,14 e non diano più retta a favole giudaiche e a precetti di uomini che rifiutano la verità. 1,15 Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza.
COMMENTI 1. “Fides et ratio” e la questione del “senso” Giuseppe D’Acunto, LC La Fides et ratio inizia modulando l’antico topos – prima platonico (Theæt., 155 d), poi aristotelico (Metaph., I, 2) – della meraviglia quale origine del filosofare. Le conoscenze fondamentali [dell’uomo] scaturiscono dalla meraviglia suscitata in lui dalla contemplazione del creato: […] dallo stupore nello scoprirsi inserito nel mondo. […] Parte di qui il cammino che lo porterà poi alla scoperta di orizzonti di conoscenza sempre nuovi [1]. Ora, come, per Aristotele, chi si meraviglia è colui che versa in uno stato di dubbio per essersi imbattuto in una ―difficoltà (atopia)‖, e proprio dallo stupore riceve l’impulso per liberarsi dalla propria ignoranza (che è ignoranza di cause), così la Fides et ratio afferma che quel che alimenta il desiderio di conoscere – «sempre di più e sempre più a fondo» – è una «ragione carica di interrogativi» (FR 8-9). E ciò perché la verità «inizialmente si presenta all’uomo in forma interrogativa» (FR 38) [2]. La prima questione che si impone ad ognuno di noi è quella del senso: del senso da dare alla nostra esistenza. Sono domande [quelle radicali] che hanno la loro comune scaturigine nella richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell’uomo: dalla risposta a tali domande, infatti, dipende l’orientamento da imprimere all’esistenza (FR 4). Inoltre, affermando che la verità è un «cammino» che è stato dato a noi, in Oriente come in Occidente, «entro l’orizzonte dell’autocoscienza personale», per cui c’è un rapporto di proporzionalità diretta fra conoscenza della realtà e conoscenza di se stessi, si puntualizza che, proprio perciò, per l’uomo, «sempre più impellente [è] la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza» (FR 3). Si aggiunga, infine, che il nostro vivere è costitutivamente fragile, ossia esposto al rischio permanente di apparirci come radicalmente svuotato di senso.
L’esperienza quotidiana della sofferenza, propria ed altrui, la vista di tanti fatti che alla luce della ragione appaiono inspiegabili, bastano a rendere ineludibile una questione così drammatica come quella del senso (FR 38). E una delle domande radicali in cui si articola la questione, per noi inaggirabile, del ―senso‖ è proprio quella che riguarda l’ineluttabilità della nostra morte, intesa come quel «fatto» che, sempre di nuovo, ci mette davanti agli occhi il problema del «senso della vita e dell’immortalità». Di fronte a tali «interrogativi [a cui] nessuno può sfuggire», l’uomo «cerca un assoluto che sia capace di dare risposta e senso a tutta la sua ricerca» (FR 39). La Fides et ratio intende, così, il termine ―senso‖ nell’unità della sua doppia accezione di significato e di orientamento. Ebbene, orientarsi – scriveva Kant, riflettendo proprio sull’unità delle due accezioni del termine ―senso‖ – letteralmente «significa: determinare […] l’oriente»: disposizione che fondava in una umana «facoltà di distinguere», posta originariamente in noi dalla natura, ma consolidatasi in un ―abito‖ «in virtù di un frequente esercizio» [3]. Ciò che Kant non si lasciava sfuggire sono proprio i risvolti metafisici di un tale ―abito‖, affermando che esso può esserci di aiuto nelle elaborazioni concernenti la conoscenza degli oggetti soprasensibili [4]. La capacità di orientarsi nello spazio fungeva, così, per lui, da modello per la capacità di orientarsi nel pensiero, ossia per quell’uso logico in cui la ragione, «partendo da oggetti noti (dell’esperienza)» ed estendendosi oltre i confini di quest’ultima, non trova un termine cui corrisponde un’intuizione, ma apre solo uno «spazio per essa» [5]. Tutto sta nell’appurare «se il concetto con cui osiamo spingerci al di là di ogni esperienza possibile è libero da contraddizioni»: in tal modo, noi non ci rappresentiamo un oggetto in veste sensibile, ma «pensiamo pur sempre qualcosa di sovrasensibile come per lo meno idoneo all’uso empirico della nostra ragione». In sintesi, ciò che, per Kant, muove il pensiero nello «spazio smisurato del sovrasensibile per noi avvolto da tenebre profonde», permettendo ad esso di orientarsi, è unicamente il «bisogno della ragione», bisogno che si fa valere anche in rapporto al concetto di Dio, inteso come «intelligenza suprema» e come «sommo bene» [6]. Infatti non solo la nostra ragione sente già un bisogno di porre il concetto dell’illimitato a fondamento di quello di tutto ciò che è limitato, e quindi di tutte le cose, ma questo bisogno giunge a presupporre anche l’esistenza dell’illimitato, senza la quale sarebbe impossibile rendere ragione in modo soddisfacente sia della contingenza dell’esistenza delle cose nel mondo, sia soprattutto della finalità e dell’ordine che ovunque si incontrano in misura tanto ammirevole (nel piccolo, poiché ci è più vicino, più ancora che nel grande) [7]. Se abbiamo fatto questo richiamo a Kant è perché ci sembra molto produttivo per intendere il modo in cui la Fides et ratio prospetta la questione del ―senso‖: il bisogno che, per il primo, innesca la ragione e le fa da guida oltre la soglia del sensibile presenta delle analogie strutturali con ciò che la seconda chiama «intelligenza della fede». Ricordiamo, infatti, che la
Lettera enciclica, laddove parla dell’«intellectus fidei» di s. Anselmo, dice che suo compito non è di formulare un giudizio di tenore intellettivo, ma – ben più originariamente – di «saper trovare un senso», ossia di «scoprire delle ragioni che permettano a tutti di raggiungere una qualche intelligenza dei contenuti della fede» (FR 57). O, detto in termini kantiani, che ci forniscano le coordinate essenziali per orientarci [8]. Ricordiamo, inoltre, che la definizione di filosofia offertaci dalla Fides et ratio la qualifica come ciò che, in origine, è un abbozzo di «risposta» alla «domanda circa il senso della vita». Di fatto, la filosofia è nata e si è sviluppata nel momento in cui l’uomo ha iniziato a interrogarsi sul perché delle cose e sul loro fine. In modi e forme differenti, essa mostra che il desiderio di verità appartiene alla stessa natura dell’uomo (FR 5-6). In questa luce, fondamentale è la distinzione fra «sistema filosofico», in quanto «sapere sistematico» costruito nel segno della «coerenza logica delle affermazioni» e dell’«organicità dei contenuti», e «pensare filosofico» (FR 7), inteso come quella dimensione sorgiva del ―senso‖ in cui il primo mette radici e a cui deve sempre tornare ad attingere. Ed è proprio intorno a quest’ultimo punto che vorremmo chiudere il nostro breve contributo: la questione del ―senso‖, quale – abbiamo visto – è prospettata da Kant, presuppone come vincolante il riferimento in atto ad un principio senza il quale non è possibile orientarsi [9]: principio che la Lettera enciclica determina, appunto, nel segno di quel «desiderio di verità» che è una «proprietà nativa della […] ragione [umana]» (FR 6). In questa luce, l’uomo stesso è definito come «colui che cerca la verità», ricerca che, poiché non può essere del tutto inutile e vana, deve implicare, per il fatto stesso di porsi, «già una prima risposta» (FR 40). La «sete di verità è talmente radicata nel cuore dell’uomo» che ciascuno di noi custodisce in sé, insieme all’«assillo di alcune domande essenziali», «almeno l’abbozzo delle relative risposte» (FR 41). ―Tutti gli uomini desiderano sapere‖ [Aristotele, Metaph., I, 1], e oggetto proprio di questo desiderio è la verità (FR 36). (Intervento in occasione del Congresso sull'Enciclica di Giovanni Paolo II ―Fides et ratio‖, nel 10º anniversario della pubblicazione, svoltosi a Roma il 5 e il 6 marzo presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA) 1) Fides et ratio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, pp. 6-7 (citata, d’ora in poi, direttamente nel testo, con la sigla FR, seguita dall’indicazione della pagina). 2) Sul fatto che la meraviglia è quel «primo impulso conoscitivo» che si manifesta, innanzi tutto, sollevando in noi «una serie di quesiti», cfr., in particolare, di K. Wojtyła, Persona e atto, a cura di G. Reale e T. Styczeń, Rusconi, Milano 1999, p. 77. 3) I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero (1786), a cura di F. Volpi, tr. it. di P. Dal Santo, Adelphi, Milano 1996, pp. 47-8.
4) Un tentativo di ripensare la metafora kantiana dell’orientamento, «nell’ottica di ciò che oggi comunemente viene chiamato ―il problema del senso‖», è rappresentato da A. Fabris, Kant e la metafora dell’orientamento, in «Per la filosofia. Filosofia e insegnamento», 2000, n. 48, pp. 6574: p. 69. Qui, si nota come Kant sposti la trattazione delle questioni metafisiche fondamentali dal piano della spiegazione – su cui «era collocata gran parte della teologia filosofica [a lui] precedente» (p. 74) – al piano del senso. Mentre la spiegazione «rinvia alla catena delle relazioni causali (intese nel loro significato più ampio), grazie a cui qualcosa è fissato come tale a partire da qualcos’altro che ne è responsabile», il senso, invece, «non è colto all’interno di una catena che, sotto vari aspetti, può definire e spiegare il motivo del suo presentarsi». Esso, infatti, è un qualcosa che, riferendosi ad un’«ambito ulteriore», mantiene la differenza fra i due livelli in questione, «senza che si ricada nell’appiattimento della spiegazione» (p. 69). 5) Che cosa significa orientarsi nel pensiero, cit., p. 49. 6) Ivi, pp. 50-2. 7) Ivi, pp. 52-3. 8) A conferma di questa interpretazione dell’«intellectus fidei» di s. Anselmo, proposta dalla Fides et ratio, va rilevato che I. Sciuto, curatore di un’ed. it. del Proslogion (Rusconi, Milano 1996), nella sua introduzione (pp. 5-76) al testo, afferma che, nell’arcivescovo di Canterbury, il verbo credere ha un «uso chiaramente non fideistico», riferendosi al «momento preliminare […] del comprendere» (pp. 27-8), ossia a quei contenuti, non ancora accertati, la cui posizione ci serve per dare un primo ―orientamento‖ al movimento di ricerca attivato dalla ragione. 9) In questa luce, ciò che F.Volpi, Kant e l’―oriente‖ della ragione, premessa a Che cosa significa orientarsi nel pensiero, cit., pp. 11-42, indica come un’aporia in cui rimarrebbe fatalmente irretita la posizione di Kant, è, invece, proprio il suo grande pregio: cogliere il dispiegarsi di un «riferimento oggettivo» all’interno di un «criterio soggettivo a priori dell’orientamento» (p. 34).
2. Il nichilismo da Nietzsche a Gianni Vattimo Juan G. Ascencio, LC Le seguenti riflessioni cercano di presentare alcune linee portanti del nichilismo, come si è sviluppato storicamente da Nietzsche a Vattimo. In seguito, confronterò brevemente i risultati della prima ricerca con la diagnosi che l’Enciclica Fides et Ratio ha fatto del nichilismo, facendo attenzione alle proposte rivolte al superamento del nihilismo. Nietzsche si è battuto in diversi modi contro la ragione moderna, e non contro la ragione ―toutcourt‖. Si ricorderà che la ragione moderna –quella concepita da Descartes, da Kant e da altri grandi filosofi—nutriva il desiderio di essere una ragione autonoma. Occorre però osservare
che l’autonomia comportava anche l’atemporalità della ragione, la sua indipendenza dalla storia. Queste due caratteristiche della ragione moderna –l’autonomia e l’atemporalità-- sono difficilmente separabili. A differenza dell’autonomia, l’atemporalità era rimasta quasi nell’ombra di ciò che è dato per scontato. Perciò l’atemporalità, chiaramente più sguarnita dell’autonomia, fu uno dei fianchi più deboli della fortezza moderna. L’ondata di riflessioni filosofiche sulla storia, anzi, sull’intero percorso storico del pensiero occidentale, è già ben presente in Hegel. Questa prospettiva di studio non abbandonerà più la filosofia. Nietzsche non trovò molta difficoltà per operare una generalizzazione e leggere la storia del pensiero occidentale alla luce di una antitesi: quella della ricerca razionale della verità dell’essere eleatico e platonico, e quella della ragione nihilistica, messa davanti ad un essere indifferenziato e informe, ovvero alla vita storica che scorre e agisce in modi che non possono essere colti con ―categorie razionali‖. Una volta che la sua finta atemporalità è stata messa allo scoperto, la ragione moderna ha perduto la sua invulnerabilità. Il ―soggetto‖ non si poteva più concepire come un ―semplice dato‖, al riparo da ogni critica. Il soggetto non era atemporale, a-storico, ma dipendeva totalmente da quella storia che aveva avuto inizio tra i Greci con l’ipotesi di un ―essere stabile e vero‖, del quale il soggetto era semplicemente il correlato in grado di accoglierne l’evidenza e la verità. Nemmeno si poteva sostenere l’identificazione tra la mente e la coscienza soggettiva: l’io pensante si dimostrava essere soltanto una sovrastruttura che difficilmente avrebbe potuto dirsi autonoma e lontana dagli influssi di altre zone della complessa interiorità umana dove primeggiava la volontà di potenza. Il successo di Nietzsche nella sua lotta contro il soggetto moderno è dunque dipeso largamente dal suo modo di guardarlo con sospetto, e dall’aver rinnovato il legame tra la conoscenza e la storia che era stato trascurato dai teorici della modernità. Questa sensibilità storica genererà, al tempo della sua maturazione, il vero movente del il nihilismo. Ciò è avvenuto puntualmente con Heidegger, che collocò la storicità come il punto cardine della vita conoscitiva del Dasein. Forse senza volerlo, Heidegger si trovò così a prolungare nel tempo il nihilismo. La via di Heidegger, anche tramite la riflessione ermeneutica di Gadamer, esercitò un lungo influsso nella filosofia della seconda metà del secolo XX. Essa conobbe poi un inasprimento distruzionistico in virtù della Nietzsche-Renaissance francese, attiva negli anni Sessanta, potenziata dai continui approcci freudiani e marxisti. Autori quali Derridà, Lacan e Foucault ne trassero abbondanti frutti. Gianni Vattimo, nonostante la sua vicinanza a Gadamer, ha voluto rimeditare la lezione di Nietzsche e di Heidegger. Perciò egli richiama fortemente l’attenzione sulle categorie linguistiche, sulla loro storicità e sul loro rapporto mutuo: quando queste categorie cambiano, subentra il caos linguistico e culturale. Egli sottolinea anche l’autoreferenzialità del pensare e
del parlare, lontani da ogni tipo di fondamentazione. La sua posizione potrebbe dirsi un nihilismo ermeneutico e relativistico, diverso dal nihilismo assiologico e storico di Nietzsche, e anche da quello ontologico e storico di Heidegger. Siamo arrivati al primo momento di sintesi. Alla luce di questi passaggi storici, si può dire che il nichilismo presenti tre diversi livelli. Il primo è di tipo teorico, e conosce molteplici forme: il ―pensiero debole‖, il ―relativismo‖, il ―pensiero posmoderno‖, ecc. Il secondo livello è di tipo tecnico: sopravvive nella ―civiltà tecnica‖ vincolata al tecnicismo. Infine, il terzo livello è di tipo pratico, una ―dottrina della società‖ (secondo un’espressione di Vattimo). A questo punto ci si può domandare se nell’Enciclica Fides et Ratio sia presente o no una comprensione sufficiente del fenomeno del nichilismo. Chi percorre con attenzione le sue pagine, può costatare l’acutezza della diagnosi ivi espressa. Non manca nessuno dei tre livelli che sono venuti a luce con l’analisi filosofica. Il paragrafo 90 dell’Enciclica mette a nudo la radice di tutta la problematica: «l’oblio dell’essere», ovvero le «molte filosofie che hanno preso congedo dal senso dell’essere». Poi, l’Enciclica considera la conseguenza teorica principale: «il rifiuto di ogni fondamento e la negazione di ogni verità oggettiva». Ciò nonostante, ciò che appare maggiormente preoccupante secondo l’analisi dell’Enciclica è il fatto che, secondo il versante nichilistico della post-modernità, «il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato», condannando di conseguenza l’uomo «a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso». Diventa così palese il nesso tra la dimensione teorica del nihilismo (l’assenza di certezze) e la sua dimensione pratica o sociale (la disperazione diffusa), di cui si fa menzione anche nel paragrafo 46, che ricorda il nihilismo come «filosofia del nulla» che «riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei». L’Enciclica non coglie solo le dimensioni teorica e pratica del nihilismo. Dà anche un certo spazio alla sua dimensione tecnica. Essa viene ricordata al paragrafo 91. Infatti, per l’uomo post-moderno l’unica speranza sembra essere contenuta nelle «conquiste scientifiche e tecniche» che gli consentirebbero di «giungere da solo ad assicurarsi il pieno dominio del suo destino». L’Enciclica non solo presenta un attenta diagnosi del nichilismo. Essa mira anche al suo superamento. Sarebbe, però, un grande errore il voler ricorrere esclusivamente alla filosofia nella ricerca della cura da applicare. Il pensiero può e deve trovare il modo di uscire dalle secche del nihilismo scettico e relativista, ma ciò non basterebbe da solo. Certo, questa liberazione intellettuale è importante, e l’Enciclica ne spiega il motivo. La chiave risiede nell’unione esistente tra la libertà e la verità o, il che è lo stesso, nell’unione tra la dimensione speculativa e quella esistenziale.
A differenza del suo versante teorico, il nihilismo tecnico e quello pratico sono divenuti un problema di ordine culturale, non superabile con i soli strumenti della filosofia. Vengono implicate in quella problematica strutture, persuasioni esistenziali e modi di vivere il cui cambiamento è assai difficile. Basti dire che a questo punto la Fides et Ratio merita di essere seguita più nel suo invito alla Fides (e alla spes che ne fa seguito), che alla Ratio. In un certo senso, la cultura della vita, in quanto cultura umana aperta al Logos, è l’unica risposta adeguata. Varrebbe la pena tornare sulle pagine dell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa per capire più articolatamente quale sia la proposta cristiana per far fronte al nihilismo culturale. Togliendo il pungiglione a questo nihilismo –se mai sarà possibile farlo– non sarà difficile persuadersi definitivamente della vacuità del nihilismo tecnico e di quello teorico. (Relazione tenuta in occasione del Congresso sull'Enciclica di Giovanni Paolo II ―Fides et ratio‖, nel 10º anniversario della pubblicazione, svoltosi a Roma il 5 e il 6 marzo presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, APRA).
Conclusioni 1. La verità non sta esclusivamente nella legge o nelle scritture, perché queste, se interpretate come hanno fatto scribi e farisei, e lo stesso Saulo prima di farsi chiamare Paolo, "uccidono". La scienza, anche quella teologica o religiosa, o vera, gonfia chi l'ha e distrugge spesso chi non l'ha. 2. La verità che salva chi crede, in greco a-létheia, "ri-velazione" è visibile in Cristo soltanto e si chiama, per Paolo, "vangelo", lieto messaggio della morte di croce ma seguita dalla risurrezione dell'uomo Gesù, riconosciuto per questa vita nuova, da Dio, come il Cristo e Signore della storia, il punto alfa e omega in cui si ricapitola il mondo. Da un piano sapienziale di conoscenza obiettiva e utile delle cose è possibile arrivare al vangelo e partecipare alla gloria della vita di Dio. 3. Attraverso la fede in Cristo, uomo concreto, morto e risorto, reale e vivente, alétheia evangelica in quanto espressione umana, parola del "pensiero di Dio", Paolo propone la radicale trasformazione dell'uomo vecchio ed esteriore, corruttibile e corrotto, debole mentalmente perché smarrito in tradizioni religiose e in pratiche idolatriche o tecniche pur nella inquieta ricerca del vero a partire dal mondo visibile, in unomo nuovo, tale perché interiore e spirituale, non solo più psichico, con un anticoformisimo cosciente e forte rispetto alle politiche e alle "scienze" o conoscenze utilitiaristiche e miopi del mondo che passa, ridotto a oggetto inaninimato. 4. L'arte del pensare è arte del discernere e del decidersi tra bene e male, tra vero e illusorio, tra idee e realtà, tra essere e apparire, tra sana dottrina e favole umanistiche, tra pensare secondo la legge e politica a pensare secondo Cristo, in ogni campo esistenziale. La stessa trasformazione di Saulo, uomo convinto della legge, come fariseo religioso e zelante, in un Paolo romano e cristiano e soprattutto apostolo delle nazioni, è emblematica.
L'attuale logica fuzzy, polivalente estensione della logica booleana e in cui si può attribuire a ciascuna proposizione un grado di verità compreso tra 0 e 1, fortemente legata alla teoria degli insiemi sfocati - già intuita da Cartesio, Bertrand Russell, Albert Einstein, Werner Karl Heisenberg, Jan Lukasiewicz e Max Black, e concretizzata da Lotfi Zadeh – non può già alleggerire l'ormai superata contrapposizione tra fideismo e scientismo razionalista o cartesiano, espandendo la razionalità come vera potenzialità dell'uomo di conoscere tutto il reale. 5. La comunione di pensieri e di intenti, in Cristo uomo nuovo, è l'immagine di chiesa ben connessa come un corpo umano, che Paolo propone a tutte le nazioni. Divisioni e lacerazioni, e soprattutto l'assenza dell'agápe, sterilizza la fede, rendendola inefficace e inadeguata alla stessa conoscenza dell'alétheia cristiana, unico vangelo e regola di vita dell'uomo nuovo. La verità che secondo Paolo deve contare di più è quella della la vita risorta o salvezza del mondo – non gli arroccamenti religiosi o ateisti che non conducono che ad un nulla, ma questo solo immaginario, frutto di cecità personale e di chiusura in sé o nel proprio partito mentale. 6. Paolo ancora insegna al mondo la libertà di pensare a partire dall'uomo nuovo, che non è un ideale ma persona concreta, Gesù, rivelato da Dio come il Cristo e il Signore di tutti. L'etica del suo amore crocifisso è l'etica della verità che fa liberi da ogni potere di uomini o di cose e influisce sulla conoscenza della realtà, e non visibile e misurabile come "cosa" oggettiva. Il vangelo è l'arma che rende libero ogni uomo, cattolico o ateo, da ogni potere religioso che non sia quello di Cristo morto per la salvezza di tutti. A Timoteo Paolo scrive che intenzione unica di Dio, creatore di tutti e di tutto, il proprietario definitivo della storia, è che "tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (cfr. 1Tm 2,4). (Chi vuole discutere, correggere, proporre una esegesi diversa, mi scriva a:
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