DIVENTARE PREGHIERA. Fratelli nell’esperienza di Dio
Pubblicato in: Frati della Corda, febbraio 2008, 34-42. P. CARLO SERRI
OFM
0. Introduzione. Francesco, un’eredità ambigua. Parlare della preghiera di Francesco appare quasi un atto di presunzione. Corriamo ancora una volta il rischio di giudicare un uomo povero e indifeso, per trarne conclusioni saccenti. Il poverello di Assisi sopporta ancora l‟indigenza estrema di non poter difendere più la propria identità. Da vivo aveva rinunciato alla volontà propria, affidandosi solo a Dio. Da santo è diventato oggetto di interpretazioni, affidato al giudizio dei suoi critici. Nel Saluto alle Virtù egli stesso ha descritto la suprema obbedienza come l‟affidarsi in sottomissione assoluta a tutte le creature, persino alle bestie irragionevoli: ”La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontà propria, e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza allo spirito e per l'obbedienza al proprio fratello; e allora l'uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così che possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall'alto del Signore” (Cf. Gv 19,11) (SalVirt 14-18).
Appartiene a tutti e tutti fanno di lui quello che vogliono. Non si può difendere dalle diverse e contrastanti interpretazioni che si fanno di lui. Lo studio critico del francescanesimo è diventato oggi una scienza difficilissima, riservata ad un manipolo di eruditi professori universitari, che coltivano i loro campi di indagine specializzati e che sono lontanissimi dal sentire della gente comune, che invece continua a vedere Francesco in modo poetico e trasognato. Per chi si accosta alla ricerca storia su Francesco d‟Assisi e sul primitivo movimento francescano resta sempre aperto il grande problema posto - ormai da 1
cent‟anni - dalla questione francescana: qual è il volto autentico di Francesco, quello tramandato dalle fonti storicamente più attendibili? Qual è il suo messaggio autentico, che possa costituire per noi un‟eredità vivente? Francesco era un eretico o un santo? Un poeta o un organizzatore? Un mistico o un apostolo? Per noi frati, esitanti a metà strada tra devozione ed erudizione, c‟è il pericolo di perderci nel romanticismo evanescente o nel nozionismo più sterile. Dobbiamo rifuggire dalle interpretazioni riduttive. Francesco è un uomo di Dio, con una personalità variegata e polivalente. In quanto mistico è inimitabile. Il segreto del gran Re resta per sempre sigillato, e il mistero della sua vita di preghiera ci resterà sempre precluso. Non possiamo conoscere l‟azione interiore di Dio nell‟anima di un santo. Già Guglielmo di Saint Thierry, mistico e teologo cistercense, trovandosi a dover scrivere la vita del suo grande amico e riformatore monastico S.Bernardo è costretto a riconoscere francamente: “sulla sua vita interiore - del Cristo che vive in lui - non possiamo scrivere nulla. Scriviamo una vita descrivendo le opere esterne compiute da Bernardo, quelle opere esterne che sono prova della sua vita interiore. Nel suo cuore non leggiamo, ma in quello che ha fatto si riflette la sua vita interiore”1.
È così con ogni santo, anche con Francesco: non possiamo leggere nella sua anima. Dobbiamo scrutare le tracce storiche che di lui ci restano per risalire ai doni che Dio gli ha fatto. Egli è imitabile e modello normativo in quanto forma minorum. Lui ha voluto porsi esplicitamente come forma minorum: “Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che... una volta, notando come i frati già debordavano dai limiti della povertà e della discrezione sia nei cibi che nelle altre cose, disse ad alcuni, con l'intenzione di rivolgersi a tutti: « Non pensano i fratelli che al mio corpo sarebbe necessario un vitto speciale? Eppure, siccome devo essere modello ed esempio per tutti i fratelli, voglio che mi bastino alimenti da povero e oggetti grossolani ed esserne contento” (LegPer 2).
Francesco è maestro con l‟esempio della sua vita, più che con un insegnamento teorico e sistematico. E la sua vita acquista la sua specificità solo perché segnata da un‟eccezionale esperienza di Dio. San Francesco risulterebbe 1
GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Vita di San Bernardo, Opere/2, (Roma 1997) 37. 2
assolutamente incomprensibile, come uomo e come santo, se non tenessimo conto del suo radicale e totale orientamento a Dio. Questo ha plasmato tanto la sua vita di preghiera quanto il suo modo di fare apostolato. 1. Francesco, un uomo che ha sperimentato Dio. 1.1. Ad una meditazione seria appaiono certamente inaccettabili tutte le interpretazioni di Francesco che vogliano ridurre Francesco - il novellus pazzus2 di Dio - semplicemente all‟apprezzamento poetico o sociologico. La straordinaria capacità che Francesco aveva - forse suo malgrado - di attirare e di sedurre le persone non può spiegarsi semplicemente con attrattive di ordine umano. Testimonia bene il Celano come tutte le categorie di persone venivano attratte da quello che appariva come «un uomo dell‟altro mondo»: “Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra...” (1Cel 36).
In verità la traduzione italiana offerta dalle Fonti Francescane è inefficace ad esprimere la progressiva accelerazione con cui - secondo il Celano - le varie categorie di cristiani si pongono alla sequela del santo di Assisi 3: “Currebant viri, currebant et feminae, festinabant clerici, accelerabant religiosi, ut viderent et audirent sanctum Dei, qui homo alterius saeculi omnibus videbatur. Omnis aetas omnisque sexus properabat cernere mirabilia, quae noviter Dominus per servum suum operabatur in mundo. Videbatur certe tempore illo, sive per praesentiam sancti Francisci, sive per famam quaedam nova lux e caelo missa in terris, fugans universam tenebrarum caliginem, quae paene totam sic occupaverat regionem...” (1Cel 36).
Non si tratta semplicemente di una nuova ed originale tecnica pastorale. Il Celano individua in Francesco una «luce nuova» che proviene da Dio. Egli 2
«Et dixit Dominus michi, quod volebat, quod ego essem unus novellus pazzus in mundo» (CompAss 18; LegPer 114). 3 C. SERRI, Risurrezione di Gesù e vita nello Spirito, in: Segno di fraternità. Rivista di collegamento degli animatori vocazionali dei frati minori d’Italia. Anno XXII-108 (giugno 1997) 7-13. 3
percepisce in Francesco un uomo profondamente segnato dall‟esperienza di Dio. Si tratta di un uomo che vive nel radicamento divino il mistero profondo della sua persona. Il suo senso di autoidentità, la sua opzione fondamentale esistenziale sono risposta al senso della presenza di Dio, in cui Francesco si è immerso senza tentennamenti. Dio non è argomento di un discorso o meta di un riferimento etico. Si tratta di una ricerca insonne e di una scoperta costante, inesauribile, mai appagata, in alcuni momenti lacerante e persino ossessiva. Il volto nascosto di Dio sembra rivelarglisi progressivamente, e ogni guizzo della luce divina diventa un riflesso che illumina anche l‟identità di Francesco, che si vede solo in riferimento a Dio «Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?» (Cf. Terza Considerazione sulle stimmate; FF 1915). Dio non è un‟essenza filosofica o un‟entità spirituale vaga: si tratta del Dio Trinitario, del Dio della storia. Penso che ormai si possa rispondere con relativa tranquillità alla questione del cristocentrismo francescano. In realtà la spiritualità di Francesco è trinitaria, più che cristocentrica. Ogni volta che negli scritti di Francesco si parla di Cristo è in contesto trinitario, o in riferimento all‟azione salvifica trinitaria. Come ha rilevato Nguyen-Van-Khanh nel suo famoso studio sulla cristologia degli scritti di San Francesco: “È insufficiente dire che la spiritualità di Francesco è cristocentrica: si deve aggiungere che prende il suo punto di partenza dallo Spinto Santo e si orienta verso il Padre” 4.
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NGUYEN-VAN-KHANH N., Gesù Cristo nel pensiero di San Francesco secondo i suoi scritti, Milano 1984, 326-327. ”Si dice spesso che la spiritualità di Francesco è cristocentrica. È vero. Ma non è pan-cristica. Scrive A. de Vogüé che nel Maestro e in san Benedetto, per esempio «Cristo è onnipresente, onniagente, in modo tale che la Seconda Persona sostituisce la Prima nell‟ insieme dei rapporti tra Dio e gli uomini. È troppo poco in tal caso parlare di cristocentrismo. Si dovrebbe piuttosto dire che la spiritualità del Maestro è pan-cristica». (A. DE VOGÜE, La paternité du Christ dans les règles de saint Benoît et du Maître, in ”Vie Spirituelle” 46 (1964), pp. 59 e 62). Quanto a Francesco, egli non perde mai di vista la persona di Cristo, ma egli lo vede sempre come Mediatore, cioè sempre in relazione da una parte col Padre e dall'altra con tutti gli uomini. È insufficiente dire che la spiritualità di Francesco è cristocentrica: si deve aggiungere che prende il suo punto di partenza dallo Spirito Santo e si orienta verso il Padre. Nella luce dello Spirito Santo per mezzo del Figlio diletto, verso il Padre celeste, ecco l‟itinerario che Francesco d‟Assisi ha seguito e che propone a tutti gli uomini. L‟originalità di Francesco è quella stessa del Vangelo. Dopo sette secoli, il Poverello non cessa di essere attuale: è semplicemente perché il suo messaggio è quello stesso del Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo”. 4
Ripercorriamo questo tragitto a ritroso. Francesco ha vissuto il mistero dell‟Incontro con l‟ineffabile Dio che gli si rivela Padre. Fin dall‟inizio esprime infatti il passaggio alla vita nuova penitenziale con la scoperta della paternità nuova di Dio: “D'ora in poi voglio dire: „Padre nostro, che sei nei cieli‟, non più ‟padre mio Pietro di Bernardone‟" (3Comp 20).
Questa donazione a Dio Padre diventa sempre più assorbente nella sua sovrabbondanza, fino a raggiungere un possesso totalizzante ed esclusivo nella vita di Francesco. Un testo della Regula non Bullata esprime bene questo radicalismo teologico: “Nient'altro dunque dobbiamo desiderare, niente altro volere, nient'altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero, santo e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e giusti, di tutti i santi che godono insieme nei cieli. Niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si frapponga. E ovunque, noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo veramente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all'altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui, e amano lui che è senza inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabile ineffabile incomprensibile, ininvestigabile, benedetto, degno di lode, glorioso, sopraesaltato, sublime, eccelso, soave, amabile, dilettevole e tutto sopra tutte le cose desiderabile nei secoli dei secoli. Amen” (RnB c. XXIII 9-11).
L‟esperienza di Lui sorpassa ogni capacità espressiva linguistica. Dio è tutto il bene; al di fuori di lui non c‟è nulla. Spazio, tempo, pensiero ed affetti, vita e bellezza, tutto è Dio o dono di Dio. Tutto allora deve essere inglobato in Dio, ricondotto a Dio, riferito a lui. Il mondo intero, come dirà Bonaventura, è scala Dei 5. Ogni lode dunque è degna solo di Dio. Nessun altro valore sussiste dinanzi a Lui. Niente è contrapponibile a Dio. Sembra dire: sei ineffabile, mio
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S. BONAVENTURA, Itinerarium mentis in Deum I, 2, Opere di S. Bonaventura V/1 Roma 1993: “ipsa rerum universitas sit scala ad ascendendum in Deum”. 5
Signore, ma io ti conosco, perché vivo di Te. È un “Todo y nada” forse più radicale di quello dell‟ascetica carmelitana. La lode e il rendimento di grazie assumono allora il ritmo della vita. Il respiro diventa preghiera, tutta la vita diventa preghiera, perché riconduce tutto alla lode di Dio. Francesco stesso diventa preghiera, secondo la notissima espressione di Tommaso da Celano: "...dirigeva tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente (2Cel 95) 6.
Francesco è trasformato in preghiera perché è totalmente rivolto a Dio: il cuore e la mente sono rivolti al Signore. “E guardiamoci bene dalla malizia e dall'astuzia di Satana, il quale vuole che l'uomo non abbia la sua mente e il cuore rivolti a Dio” (RnB XXII,19).
Questo «cuore rivolto a Dio» evoca il prologo del vangelo di Giovanni, dove si dice che “ il Verbo era verso Dio” (o` lo,goj h=n pro.j to.n qeo,n Gv 1,1). Essere rivolto verso il Padre è caratteristico del Figlio, sia nell‟eternità della Trinità immanente, sia nella storicità salvifica della Trinità economica. Tutta la vita del Figlio comporta la sua relazionalità obbediente e amorosa verso il Padre, fino al compimento del mistero pasquale. Lo stesso «cor ad Deum» evoca l‟atteggiamento liturgico del prefazio: «Sursum corda. Habemus ad Dominum». All‟inizio della preghiera eucaristica rivolgiamo i nostri cuori al Signore per compiere degnamente il sacrifico eucaristico. Badiamo bene: non si tratta di una forzatura moralistica, ma di una intima conformazione, d‟amore e di intelletto, ai desideri del Signore considerato il Sommo Bene e la fonte di ogni pace. Si realizza l‟unificazione dei desideri. Dio diventa l‟unico desiderabile. Questo vuol dire pregare: Dire a Dio “Tu sei”, come nelle Lodi di Dio Altissimo.
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“Omnem sic et intuitum et affectum in unam quam petebat a Domino (Ps 26,4) dirigebat, totus non tam orans quam oratio factus” (2Cel 95).
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1.2. L‟incontro con il Signore diventa storia e carne nell‟incontro con il crocifisso. La croce è la forma della rivelazione. Si può dire semplicemente che Francesco ha sperimentato la rivelazione dell‟amore di Dio nel mistero di Cristo crocifisso, secondo l‟insegnamento di Giovanni: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. [13]Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito” (1Gv 4,712).
L‟esperienza di Dio è esperienza d‟amore. L‟amore di Dio si comunica nella povertà del crocifisso che espia il peccato e, per mezzo dello Spirito, si trasforma in amore fraterno. Si tratta di un amore condivisibile e unificante. L‟incendio dello Spirito lo rende possibile. “La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»” (Rm 8, 14-15).
Lo Spirito Santo ci riempie dell‟amore, fino al punto da conformarci al Cristo e farci rivivere la stessa relazione di figliolanza e di obbedienza sacrificale che egli ebbe verso il Padre. Possiamo dunque dire veramente «Abbà», come Gesù. 1.3. Animato dallo Spirito. Ora possiamo ben comprendere l‟essenzialità dell‟operazione dello Spirito secondo Francesco.
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”Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano (Cf. 1Tes 5,19) lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali” (RB V,1-2). ”E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano (Mt 5,44); beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10). E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo” (Mt 10,22; RB X,8-10).
L‟azione dello Spirito del Signore crea in noi l‟imitazione e la conformità con Cristo povero e crocifisso. Lo Spirito genera la preghiera, la pazienza, l‟umiltà, la purezza di cuore e l‟amore per i persecutori. Da qui nasce la preghiera: da un contatto con lo Spirito che dipinge in noi l‟immagine del Figlio. Non è studio o deduzione pastorale. È un impatto vivo con il Dio vivo. 2. La preghiera della fraternità 2.1.La preghiera non appartiene solamente alla vita privata di Francesco, ma ha caratterizzato la primitiva comunità minoritica. Francesco fu un maestro di preghiera? Intendeva esserlo? Ma più radicalmente possiamo chiederci: è possibile insegnare a pregare? Gesù è l‟unico Maestro e realizza il suo magistero per mezzo dello Spirito Santo che prega in noi. Essendo molto realisti e guardando con verità alla nostra vita possiamo dire che Francesco, come ogni santo, più che un maestro è un segno e una provocazione alla preghiera. Francesco si offre ai fratelli come una nostalgia e desiderio di Dio, come segno e testimonianza incarnata dell‟espropriazione operata da Dio nella sua vita. Francesco insegna a pregare con la vita, a chi desidera imitarlo. Così il Celano descrive il magistero spirituale di Francesco a Rivotorto: “In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Ed egli rispose: «Quando pregate, dite: Padre nostro! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo ». E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad
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osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli” (1Cel 45).
Richiesto di un insegnamento sulla preghiera Francesco in realtà si limita ad indicare le preghiere comuni del cristiano, come il Padre nostro o la preghiera alla croce. Quando egli stesso si compone un Ufficio personale non fa altro che utilizzare i testi biblici che conosceva, dalla liturgia della Chiesa. La maggior parte delle sue preghiere scritte che ci sono state tramandate sono preghiere di amplificazione biblica, ossia ripensamenti e meditazioni personali su testi a lui offerti dalla Scrittura e dalla liturgia 7. Basti pensare al commento al Padre nostro, alle antifone mariane, alle Lodi di Dio altissimo. La forza dell‟insegnamento dunque non consisteva nell‟originalità dei suoi contenuti. I frati sono spinti ad imitare la vita di Francesco quando lo vedono pregare, quando si rendono conto che veramente egli considera Dio “Deus meus et omnia”. È tale l‟esperienza di Bernardo di Quintavalle, nella famosa notte in cui decide di seguire Francesco. L‟episodio è narrato nella sua vita riportata nella Chronica XXIV Generalium. Francesco sta dormendo in casa di Bernardo e questi lo spia, di notte, ascoltando la famosa espressione “Deus meus et omnia »: “Francesco… si levò e, alzando in alto la mente e il volto, con le mani elevate, tutto infiammato con indicibili lacrime e con devota lentezza ripeteva continuamente queste parole: «Dio mio e mio tutto, Dio mio e mio tutto». E così, ripetendo per quasi tutta la notte queste parole, non diceva altro… e infatti, da uomo devoto e umile… avendo un‟umile opinione di sé, attribuiva tutto a Dio e con devota ammirazione riferiva a Lui tutte le grazie. Messer Bernardo… avendo visto tutto, alzatosi al mattino, tutto acceso di devozione, disse a san Francesco: « Frate Francesco, ho fatto proposito di abbandonare del tutto il mondo, e di seguirti, e fare tutto quello che mi comanderai»”8. 7
C. PAOLAZZI, Lettura degli scritti di Francesco d’Assisi, Milano 1987, 31-51. “Franciscus...surrexit et mente et vultu sursum intendens, elevatis manibus, totus ignitus cum indicibilibus lacrymis et devota morositate haec verba continue replicabat: «Deus meus et omnia, Deus meus et omnia». Et sic quasi per totam noctem haec replicans aliud non dicebat... namque vir devotus et humilis… de se humiliter sentiens, totum Deo attribuens cum quadam devota admiratione eidem gratias referebat. Quae omnia cum dominus Bernardus... conspiceret, surgens mane totus devotione succensus, dixit sancto Francisco: «Frater Francisce, ego proposui penitus mundum relinquere et te sequi ac facere quaecumque mandaveris mihi»”. Vita Fratris Bernardi de Quintavalle, in: Chronica XXIV Generalium 8
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Bernardo spia la preghiera di Francesco, come farà anche frate Leone sul monte della Verna, in una circostanza simile. I frati vedono che Dio è tutto per Francesco e che tutto il nostro bene va restituito a Dio. Per tutto bisogna rendere grazie. Appare che la preghiera è la forza da cui Francesco attinge la vita e la missione. I frati capiscono che è Dio il centro dell‟esistenza di Francesco e dunque lo seguono nella stessa avventura. La preghiera rivela il volto segreto di Dio, che attira con fascino irresistibile. La fraternità può essere fondata solo sull‟assoluto di Dio. Sarebbe veramente patetico voler cercare un diverso fondamento alla nostra vita. 2.2. La preghiera dunque è l‟anima della fraternità, perché siamo entrati tutti in fraternità per cercare Dio. Dovremmo ricordarci sempre perché siamo entrati in convento. La preghiera probabilmente è l‟occasione migliore per farlo. Ci si ritrova intorno a Dio perché si crede ancora alla propria vocazione e si cerca continuamente di conoscerla meglio per attuarla più perfettamente. Thomas Merton, il famoso monaco trappista americano, ha scritto che la domanda « Cosa cerchi?» è il principio di base della spiritualità monastica (e secondo noi di ogni vita religiosa): “Se vogliamo vivere da monaci, dobbiamo tentare di capire cosa sia effettivamente la vita monastica. Dobbiamo tentare di raggiungere le fonti da cui scaturisce la vita. Dobbiamo conoscere le nostre radici spirituali, per poterle affondare più profondamente nel terreno. Ma la vocazione monastica è un mistero. Non può quindi essere esaurientemente espressa in una formula chiara e concisa. È un dono di Dio e non la comprendiamo appena lo riceviamo, poiché tutti i doni di Dio, specialmente quelli spirituali, hanno in sé qualcosa della Sua intimità e del Suo mistero. Dio si rivela a noi nel dono della vocazione ma lo fa con gradualità. Il mistero della nostra vocazione, è vita nascosta con Cristo in Dio (cf. Col 3,3). Se siaOrdinis Minorum, Analecta Franciscana III, edita a Patribus Collegii S. Bonaventurae, Ad Claras Aquas (Quaracchi), MDCCCXCVII, p. 35-36. Autore della Chronica è Frate Arnaldo de Seranno (de Serrand), già Ministro di Aquitania e riformatore dell‟Ordine in Spagna. La maggior parte della Cronaca è scritta prima del 1369, anche se arriva fino al 1374. È fonte per gli scrittori successivi dell‟Ordine, quali Mariano da Firenze, Marco da Lisbona, Nicola Glassgerger e quindi il Wadding. L‟autore non eccelle nell‟arte critica, ma riferisce abbastanza fedelmente e diligentemente quel che trova nelle sue fonti sulla storia dei primi secoli francescani. Bisogna notare che quando l‟autore riferisce della grande controversia sulla povertà tra Communità dell‟Ordine e Spirituali, si mostra in tutto seguace della Comunità, per cui il suo giudizio su alcuni spirituali va preso cum grano salis (Cf. AnFr III, Praefatio p. XII). 10
mo veri monaci dovremo infatti costantemente riscoprire cosa significhi essere monaco e non esauriremo mai la pienezza di significato della nostra vocazione. Quando entriamo in monastero possiamo avere o non avere una precisa coscienza sul perché abbiamo lasciato il mondo. Possiamo dare una risposta, più o meno chiara, alla domanda: "Perché sei venuto qui?". Ma questa è una di quelle domande che dovremmo porci continuamente nel corso della nostra vita monastica: "Cosa stai facendo qui? Perché sei venuto qui?". Non che sia una domanda di cui non conosciamo la risposta, ma tendiamo a dimenticarla. Talvolta esitiamo a porci questa domanda, temendo che possa minare le fondamenta della nostra vocazione. Ma è una di quelle domande che non dovrebbero mai essere eluse. Se la prendiamo seriamente, rafforzeremo la nostra vocazione. Se la eludiamo, anche con un santo pretesto, possiamo aprire la strada all'indeterminazione della nostra vocazione. Il monaco che cessa di domandarsi: 'Amice, ad quid venisti?" (RB 60,3; cf. Mt 26,50) forse ha cessato di essere monaco” 9 .
2.3. Pregare in fraternità dunque dovrebbe essere tanto ovvio quanto cercare Dio. Dovrebbe essere lo sgorgare spontaneo e coerente di una comune ricerca e perfezionamento della nostra vocazione religiosa. La mia preghiera alimenta la vita dei miei fratelli quanto e più ancora di quanto sostenga la mia. A sua volta la preghiera dei fratelli custodisce e alimenta il mio cammino vocazionale più efficacemente forse di quanto non lo facciano le mie stesse preghiere. Purtroppo non sempre abbiamo coscienza di tutto questo. Già ai tempi di Francesco le cose cominciavano a complicarsi. Francesco stesso deve intervenire con durezza e severità, manifestando chiaramente di non riuscire ad affrontare la situazione con serenità e pacatezza. Nella Lettera a tutto l‟Ordine arriva a minacciare e rinnegare quei frati che non accettavano di buon grado le disposizioni comuni sulla preghiera liturgica dell‟Ufficio Divino e le disposizioni della regola: “Perciò scongiuro, come posso, frate H. (Elia) ministro generale, mio signore che faccia osservare da tutti inviolabilmente la Regola, e che i chierici dicano l'ufficio con devozione, davanti a Dio, non preoccupandosi della melodia della voce, ma della consonanza della mente, così che la voce concordi con la mente, la mente poi concordi con Dio, affinché possano piacere a Dio, mediante la purezza del cuore, piuttosto che accarezzare gli orecchi del popolo con la mollezza del canto. Per quanto mi riguarda, io prometto di osservare fermamente tutte queste cose, come Dio mi darà la grazia, e le insegnerò ai frati che sono con me perché le osservino, riguardo all'ufficio e alle altre norme stabilite dalla Regola. Quei frati, poi, che non
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vorranno osservare queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati; non li voglio neppure vedere né parlare con loro, finché non abbiano fatto penitenza” (EpOrd 4044).
Francesco si rende conto che deve navigare ormai controcorrente, litigando persino con i frati e interrompendo talvolta i rapporti con essi. Deve proporsi di praticare e di insegnare uno stile di vita che non è più condiviso da tutti, come invece avveniva nei primi tempi. Nel testamento appare ancora più aspro e disperato, ed arriva ad invocare il carcere e la consegna nelle mani del Cardinale protettore per i frati che rifiutano la preghiera o la fede cattolica. Qui risiede tutto il problema che appare ancora dinanzi a noi nella sua evidenza. La preghiera è la reale forza di ogni vita spirituale, personale e comunitaria. Ma pur essendo un valore teoricamente apprezzato ed esaltato fino alla nausea, non diventa, poi, di fatto, il centro della nostra vita. Che fare? 3. La preghiera e la speranza per i frati oggi. 3.1. Come creare le condizioni dell‟esperienza di Dio nella preghiera? Dobbiamo riscoprire il carattere assolutamente personale della nostra vocazione e dunque del nostro rapporto con Dio. Devo riscoprire il mio stare faccia a faccia con Dio, la vita cristiana come ricerca incessante del volto di Dio. Devo riscoprire la vita spirituale come vita d‟amore, di comunione, di desiderio. Non si tratta di stabilire l‟orario delle pratiche, quanto di plasmare una vita che sia calamitata dal desiderio e dal gusto di Dio. Il Signore mi ha chiamato e a lui renderò conto della mia vita. 3.2. Dobbiamo riscoprire il valore della nostra professione religiosa. E al centro della vita religiosa non troviamo delle opere o dei servizi, ma la nostra consacrazione a Dio. A partire dal Concilio Vaticano II il concetto di consacrazione si è posto sempre più alla base della teologia della vita religiosa. „E una costante del Magistero negli anni '80, che trova le sue radici più profonde nella parola di Dio: Il tema della consacrazione appare centrale in due documenti del Magistero, Elementi Essenziali (1983) e Redemptionis Donum (1984). 9
T. MERTON, Un vivere alternativo, (titolo originale The Monastic Journey), ed. Qiqajon, Torino 1994, 32-33. 12
"Mentre precedentemente la dottrina sulla vita consacrata si incentrava prevalentemente sull'analisi dei voti, si nota ora una sempre maggiore preoccupazione di evidenziare ciò che unifica i voti. Essi sono « l'espressione di una totale consacrazione a Dio e, insieme, il mezzo che porta alla sua pratica attuazione » (RD 7). Questi due documenti vengono così ad incentrare l'attenzione in modo sempre più rilevante, rispetto al passato, sulla consacrazione come elemento costitutivo e caratterizzante la vita consacrata" 10.
Per la RD ( n. 7) essa è una nuova consacrazione, che costituisce una nuova vita per Dio in Cristo Gesù. È un‟alleanza di mutuo amore e fedeltà tra Dio e l'uomo (EE 5). Già Paolo VI, parlando nel 1973 all'Unione internazionale dei Superiori Generali, e riferendosi alla crisi di certi religiosi, diceva: "Molti oggi, in nome di un apostolato più libero, e, secondo loro, più efficace, contestano o abbandonano la vita religiosa. Non si erano consacrati a Dio nella castità, nella povertà e nell'obbedienza (con tutti gli aiuti, ma anche con i necessari limiti che ciò comporta) ma ad una attività, per svolgere la quale la vita religiosa doveva servire da mezzo. Quando questo, a loro modo di vedere, non si verifica più, l'abbandonano. Ed è ancora per questo motivo che molti altri, pur vivendo esteriormente da religiosi, lo fanno con estrema fatica, perché interiormente non si sentono tali. La loro consacrazione rimasta a livello giuridico e formale, è ridotta alla "pratica " dei voti, perché il Dio al quale si dovevano consacrare è rimasto per loro esistenzialmente ignoto. La conseguenza è che "l'appartenenza" a Lui è stata sostituita con l'inserimento in una istituzione, e la vita religiosa è stata ridotta ad una struttura. In tali condizioni essa diventa solo un peso che si finisce o col rifiutare o col sopportare in rassegnazione. Da qui le defezioni o il triste spettacolo di persone che, pur essendosi ufficialmente consacrate all'amore, ne diventano la negazione vivente" (L’Osservatore Romano, 19.XI.1973).
3.3. Dobbiamo personalmente riscoprire la verità e la gravità del patto di alleanza che ci lega alla fraternità e farcene onestamente carico. Dovremmo continuamente convertirci, rispondendo ad un impulso interiore, senza attendere imposizioni giuridiche dall‟esterno. La mia parola, gli impegni che ho liberamente assunto dovrebbero avere per me un valore infinitamente più decisivo di qualsiasi imposizione esterna. 10
F. CIARDI, La vita consacrata nel presente della Chiesa e del mondo, in: AA.VV., Vita consacrata, un dono del Signore alla sua Chiesa, Leumann (Torino) 1993, 29. 13
Anche Francesco alla fine si è arreso e ha capito che non si può far diventare santo nessuno per forza. La Compilatio Assisiensis testimonia questo momento di grande sconforto di Francesco, che vede i frati dare un cattivo esempio e ne resta tanto addolorato da riconsegnare a Dio la sua famiglia religiosa. “Francesco ...ripeteva spesso ai frati, sia nei Capitoli che nei trattenimenti intimi: « Io ho giurato e risoluto di osservare la Regola, e allo stesso impegno si sono obbligati tutti i frati. E dunque, da quando lasciai il governo della fraternità a causa delle mie malattie, per il maggior bene dell'anima mia e dei fratelli, verso di loro non ho che l'obbligo del buon esempio... I frati hanno la loro Regola, e hanno giurato di osservarla. Affinché non si appiglino a scuse, quando al Signore piacque di costituirmi loro prelato, l'ho giurata anch'io, e intendo osservarla fino alla mia morte. Dal momento che i frati sanno benissimo cosa è loro dovere fare e cosa evitare, a me non resta che ammaestrarli con il comportamento. Per questo sono stato dato loro mentre vivrò e dopo che sarò morto»” (LegPer 87).
Conclusione: Bisogna riaccendere il fuoco... altrimenti non c’è molto da sperare. Diceva il Ministro Generale Giacomo Bini: La Priorità per l‟Ordine è lo spirito di orazione. “La priorità, al singolare, è lo spirito di preghiera, lo spirito di orazione. Perché siamo convinti di questo? Perché vediamo che nell'Ordine manca questo fuoco. C'è un certo scoraggiamento. Ci sono molti abbandoni nella vita religiosa, in tutti i continenti, da parte di giovani e anche di meno giovani. C'è, qualche volta, una crescita del lavoro da fare. Ma spesso è una fuga, più che un lavoro. Fuga dagli altri, fuga da Dio. Ricordo una frase di Francesco che per me è fondamentale: "Ciò che i Frati devono avere sopra ogni cosa è lo spirito del Signore e la sua santa operazione" (RB 10). L'avere non sono le cose; l'avere non è la scelta; l'avere non è la competenza. L'avere, per Francesco, è lo Spirito del Signore. Oggi le strutture non salvano più. Quindi, o c'è questo cuore rivolto al Signore o non credo che ci sia molto da sperare” (Fraternitas, 1998 n. 33).
Fr. CARLO SERRI OFM St. Saviour‟s Monastery P.O.B. 186 91001 Jerusalem - ISRAEL
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