Dieci domande sulle vene varicose…. Avvertenza Queste pagine sono state realizzate da un chirurgo specialista in chirurgia vascolare per informare i pazienti sulla patologia varicosa, le sue cause, il trattamento e la sua evoluzione. Per tale motivo sono state redatte con un linguaggio piano ed accessibile anche a chi non ha conoscenze di medicina, in modo da poter offrire un primo orientamento su come affrontare le varici degli arti inferiori….
E adesso buona lettura…
Cosa sono le Vene Varicose? Le vene varicose sono quelle vene rigonfie e serpiginose che vedete sporgere sotto la vostra pelle; se non adeguatamente trattate tendono a peggiorare e possono portare a complicanze che influiranno sulla vostra qualità di vita. Spesso i pazienti fanno confusione tra arterie e vene. Le arterie portano il sangue ricco di ossigeno dal vostro cuore a tutto il corpo, mentre le vene riportano il sangue povero di ossigeno verso il cuore; Si può dire, per semplificare, che nell’arto inferiore esistono tre tipi di vene; le vene superficiali (quelle che vedete sotto la pelle), le vene profonde (che decorrono in mezzo ai muscoli delle gambe) e le vene “perforanti” che le connettono; le vene profonde convergono dalla radice dell’arto verso la vena cava, un grosso vaso venoso situato nell’addome che riporta il sangue al cuore. Quando siete in piedi il sangue venoso deve lottare contro la forza di gravità per ritornare al cuore; per fare questo i muscoli delle gambe spremono le vene profonde. All’interno delle vene vi sono valvole che mantengono la direzione del flusso verso l’alto, impedendo che il sangue refluisca in basso (figura 1); quando i muscoli si contraggono le valvole si aprono, quando si rilassano le valvole si chiudono. In questo modo il sangue è forzato a risalire e non può refluire verso il basso. Questa che vi ho descritto rappresenta la cosiddetta “pompa”venosa del polpaccio (figura 2).
Figura 1 Figura 2
A questo punto avrete capito che le vene dilatate che osservate sulle vostre gambe
appartengono al circolo superficiale; senza entrare in dettagli possiamo distinguere le vene superficiali in due sistemi; quello della grande e quello della piccola safena;
-la grande safena parte dal malleolo interno , decorre sulla superficie interna della gamba e della coscia (figura in basso a sinistra) ed alla fine si getta nella vena femorale alla radice della coscia (cosidetta “crosse” della safena”); al suo sbocco c’è una valvola che dovrebbe impedire il reflusso del sangue ma che, nell’insufficienza venosa, è dilatata e quindi insufficiente.
-la piccola safena
(figura in basso a destra) decorre dal malleolo esterno della gamba fino alla piega del ginocchio (anche se le anomalie anatomiche sono piuttosto frequenti); analogamente alla grande safena anche allo sbocco della piccola safena nella vena poplitea (“crosse”) c’è una valvola che può diventare insufficiente e dare origine ad reflusso di sangue verso il basso
Nelle varici il reflusso dagli sbocchi safenici insufficienti porta alla dilatazione del distretto venoso a valle; in alto a sinistra vedete uno schema che rappresenta quanto avviene. Quando tale dilatazione è in grado di “allargare” la valvola sottostante si avvia una circolazione dall’alto verso il
basso e l’insufficienza progredisce progressivamente. Queste brevi premesse sono necessarie per poter comprendere le modalità della chirurgia delle varici, di cui parleremo in seguito. Purtroppo la causa vera delle varici è ancora sconosciuta. Tradizionalmente si parla di un’“ereditarietà” varicosa e in effetti le varici spesso sono presenti in più membri della stessa famiglia. Le varici affliggono più frequentemente il sesso femminile, con un valore sino a 3 volte superiore rispetto agli uomini; spesso fanno la loro comparsa durante la gravidanza e talvolta la preannunciano. Infatti gli ormoni femminili tendono a “rilassare” la parete della vena mentre l’utero gravido comprime i tronchi venosi dell’addome rendendo più difficile il ritorno del sangue dagli arti inferiori. Talvolta le varici “gravidiche” regrediscono pochi mesi dopo il parto, ma con le gravidanze successive possono ripresentarsi e peggiorare. Ovviamente, come è intuibile, l’aumento di peso ha una parte importante. Anche fattori ortopedici, quali ad esempio i difetti dell'appoggio plantare, influendo sulla pompa venosa rappresentano un fattore di rischio, così come l’uso di indumenti che costringono l’arto (giarrettiere corsetti ecc.) e l’attività lavorativa in piedi. Al di fuori di queste situazioni, che rappresentano la maggioranza dei casi, le varici possono talvolta essere espressione di un problema più grave come una pregressa trombosi delle vene profonde, cioè quando un coagulo di sangue si forma all’interno del vaso ostruendolo. La successiva ricanalizzazione del circolo profondo (un processo riparativo fisiologico...) porta alla distruzione delle valvole con un ulteriore danno funzionale. L'insufficienza valvolare del circolo profondo, delle perforanti e del circolo superficiale, combinata con le ostruzioni residue alla trombosi dà luogo alla cosiddetta "sindrome postflebitica", un quadro clinico di gravi alterazioni dei tessuti della gamba che può arrivare fino alla ben nota "ulcera varicosa". In basso a sinistra vedete un esempio tipico di sindrome post-flebitica; la gamba appare grossa ed edematosa, i tessuti hanno un colorito brunoscuro e vi sono delle varici evidenti. Ovviamente la paziente ha anche dei problemi di peso….
Si può prevenire la comparsa delle varici? Le pazienti più giovani spesso mi chiedono; "come posso prevenire la comparsa delle vene varicose"? Le misure per la prevenzione sono piuttosto semplici (oramai le trovate su quasi ogni rivista “femminile”) e si possono così riassumere; -Indossare calze elastiche graduate; è importante che la calza elastica sia prescritta dal medico, con la compressione giusta per il problema della paziente (ad esempio prevenzione, piccole varici cutanee, pesantezza a fine giornata eccetera). -Evitare di stare in piedi fermi per lunghi periodi; ovviamente chi vi è costretto per lavoro, magari in ambienti in cui la temperatura è alta (ad esempio le parrucchiere) è particolarmente “a rischio”. -Fare esercizio fisico ed evitare il sovrappeso; la bicicletta, lo jogging e il nuoto (sport antigravitario per eccellenza) sono particolarmente raccomandati. -Correggere ogni problema ortopedico riguardante il piede, la postura ed eventuali malformazioni che possono compromettere una corretta e fisiologica deambulazione. Queste semplici raccomandazioni sono utili per chi ha una storia famigliare di varici degli arti inferiori e possono rallentare la progressione della malattia e prevenirne le complicanze.
Quali sono i sintomi delle varici? Vi sembrerà strano ma nonostante tutto le varici possono essere asintomatiche e non è raro visitare pazienti che, pur affetti da “gavoccioli varicosi” molto sporgenti, non lamentano disturbi. Quando presente, comunque la sintomatologia in genere è costituita da; Un'area -pesantezza e bruciore alle gambe, che può farsi più grave dopo lunghipreulcerosa in una paziente obesa affetta da periodi in piedi. insufficienza della grande senza un adeguato -gonfiore delle gambe, che spesso coinvolge il piede e la safena; caviglia, controllo del peso ottenere particolarmente a fine giornata. risultati duraturi è molto difficile ...
-crampi notturni Tipicamente nelle donne la sintomatologia si fa più intensa pochi giorni prima e durante il ciclo mestruale. Nelle varici di vecchia data le gambe possono diventare gonfie e succulente e il polpaccio dolente dopo prolungati periodi in piedi. Se il paziente ha subito ripetuti episodi di flebotrombosi (di cui abbiamo parlato..), la pelle della gamba assume una colorazione brunastra (cosiddetta "pigmentazione da stasi"che osservato nella fotografia qui sotto) e può comparire un’ulcera sia spontaneamente che per traumi anche minimi.
Le disastrose conseguenze di una flebotrombosi del circolo profondo; nella figura 8 una ipodermite cronica ed una varice recidiva da trombosi poststripping(!), nella figura 9 un'ulcera varicosa...
Cos'è la “flebite”? C’è una complicanza che il paziente teme in modo particolare ed è la flebotrombosi, ovvero la “flebite”. Nella flebotrombosi un coagulo di sangue si forma all’interno del vaso; se questo avviene in una vena superficiale, come ad esempio la grande safena, il vaso si presenta duro, dolente, coperto da una cute che progressivamente si fà sempre più arrossata e calda al tatto; nella fotografia qui sotto potete osservare un classico esempio di flebotrombosi superficiale. La diagnosi è clinica ed il trattamento è soprattutto locale (ovvero pomate, antinfiammatori e bendaggio elastocompressivo).
La flebotrombosi dei vasi profondi (di cui abbiamo già accennato prima) ha invece caratteristiche di maggiore gravità; l’arto si presenta gonfio e camminare diventa impossibile a causa del dolore. La flebotrombosi profonda è particolarmente temibile sia per la possibilità che un frammento del coagulo si stacchi dalla parete della vena e vada ad ostruire la circolazione polmonare (la temuta “embolia polmonare” che può avere conseguenza disastrose) sia per il danno alle valvole venose e quindi alla “pompa venosa” (di cui abbiamo Una flebite insorta su di una varice o già parlato). Si pongono così le basi per la cosidetta “sindrome postflebitica” "varicoflebite"; si tratta di un'evenienza . abbastanza frequente che, pur non destando preoccupazioni, merita un trattamento adeguato e tempestivo
Volendo accennare brevemente alle cause della flebotrombosi la principale è da ascrivere alla stasi del sangue venoso che porta alla formazione di un coagulo all’interno del vaso; questo può verificarsi dopo lunghi periodi a letto (tipicamente nei pazienti ospedalizzati), nel corso di lunghi voli in aereo oppure in soggetti che hanno una particolare predisposizione alla trombosi per cause genetiche. Ovviamente anche in varici lunghe e tortuose il sangue ristagna e si possono avere le condizioni per una “varicoflebite”. In tutti questi casi un trattamento “fai da te” è assolutamente sconsigliabile e un consulto dalla specialista deve essere effettuato il prima possibile.
Ho le varici; che esami diagnostici devo fare? Nella maggior parte dei casi è il paziente stesso a diagnosticare la patologia varicosa e il famoso “esame Doppler” non fà che confermarne la presenza e precisare la sede dello “sbocco” del vaso insufficiente. L’esame Doppler, seppure utilissimo in prima istanza, non può però vedere all’interno della vena; l’esame Ecodoppler invece “vede” dentro il lume venoso e può studiare la funzione valvolare e le sue alterazioni, mentre l'Ecocolordoppler, nella foto qui in basso, in più analizza il flusso del sangue mediante il colore.
E’ importante sapere che non sempre le varici significano un’insufficienza della grande o della piccola safena; poter escludere un reflusso di sangue alle “crosses” significa poter programmare un diverso tipo di intervento, risparmiando magari qualche incisione non necessaria! Inoltre in presenza di un’ulcera o di una ipodermite cronica o di un eczema che lasciano sospettare una sindrome postflebitica, l’esame Ecocolordoppler evidenzia le alterazioni del circolo profondo (ostruzioni residue alla flebotrombosi, perforanti
insufficienti, circoli collaterali, insufficienze valvolari). I pazienti operati di varici molti anni or sono forse ricorderanno la “flebografia” un esame radiologico in cui del mezzo di contrasto veniva iniettato all’interno delle vene dell’arto inferiore per studiare il circolo profondo; si tratta di un esame da considerare obsoleto e che viene oggi eseguito solo in casi particolari.
Esiste un trattamento “domiciliare” delle varici? In
un certo senso si; si tratta di tutta quella serie di misure da adottare nei casi di varici “non complicate” e che possono portare ad un miglioramento della sintomatologia. Resta comunque evidente che il trattamento definitivo dei tronchi varicosi dovrà essere affidato alla chirurgia. Le misure di base si possono riassumere in; -Indossare calze elastiche graduate. Le calze comprimono le vostre vene e, riaccostando le valvole venose, impediscono il reflusso del sangue verso il basso; si tratta di una misura efficace per ridurre il dolore ed il gonfiore e prevenire problemi futuri. -Prendersi delle pause nel corso della giornata e sollevare le gambe al di sopra del livello del cuore. -Evitare di restare lunghi periodi fermi in piedi. -Fare sport e controllare il peso. Quanto ai farmaci se state leggendo queste note sicuramente avrete già provato alcuni dei numerosi “flebotonici” che vengono proposti per la patologia varicosa. La maggior parte di queste preparazioni fa parte della famiglia dei flavonoidi; tra le più famose la diosmina, la troxerutina, la rutosidea, l’escina e agli antocianosidi del mirtillo, ma anche la centella asiatica ed il mesoglicano. Si tratta di farmaci che hanno dato risultati favorevoli in studi “randomizzati” (una modalità di studio clinico che assicura la veridicità statistica dei risultati ottenuti...) e se guardate la scatola del medicinale che utilizzate probabilmente vedrete che appartiene a questa categoria. Senza entrare in complicate spiegazioni tecniche vi basti sapere che il principale meccanismo d’azione consiste nell’attivazione del ritorno venoso e linfatico. Oramai sono molte le evidenze che dimostrano come questi preparati siano efficaci sui sintomi dell’insufficienza venosa (dolore, senso di
peso, crampi, gonfiore) e come coadiuvanti nella guarigione delle ulcere varicose. Non aspettatevi però che vi facciano scomparire le varici... Oltre ai farmaci, nelle forme di flebo-linfostasi il drenaggio manuale (eseguito ovviamente da operatori specializzati) ha un’ottima efficacia e può contribuire a ridurre il volume dell’arto; ovviamente a questo andrà associato un trattamento elastocompressivo adeguato, atto a mantenere il risultato. Anche le acque termali hanno un azione favorevole nella stasi veno-linfatica, in particolare le acque salsobromoidiche, sulfuree, arsenicali ferruginose, radioattive e carboniche. Sono consigliati cicli biennali della durata non inferiore a 2 settimane e la temperatura ideale per un’efficace azione è attorno ai 35°C. I pazienti affetti da sindrome “postflebitica” in cui, come abbiamo detto, si presenta un indurimento, una sclerosi ed una pigmentazione dei tessuti di origine infiammatoria, sono i candidati ideali per questo tipo di trattamento. Ovviamente un’insufficienza cardiaca, l’età troppo avanzata o un infarto recente rappresentano una controindicazione assoluta.
La terapia chirurgica Il trattamento chirurgico delle varici degli arti inferiori è il più conosciuto ed il più diffuso. Con l’avvento del Day Hospital la chirurgia delle varici ha conosciuto una nuova era, in particolare da quando alcune novità hanno fatto la loro comparsa in camera operatoria e, più precisamente;
-la
flebectomia per mini incisioni (figura qui in alto a sinistra), dove la vena viene estratta mediante un incisione millimetrica con l’aiuto di un uncino, in modo da lasciare una cicatrice pressoché invisibile… -l’anestesia locale, che permette l’immediata ripresa della deambulazione dopo l’intervento ed una convalescenza minima… -il mappaggio mediante Ecocolordoppler, di cui abbiamo parlato prima. Mentre fino a pochi anni or sono, il trattamento chirurgico delle varici avveniva in regime di ricovero in anestesia spinale o generale (e in alcune
strutture ancora oggi...) si è arrivati all’avvento di una chirurgia dedicata in cui, a fronte di un maggior impegno tecnico del chirurgo, l’intervento può essere eseguito in anestesia locale. Lo studio preoperatorio mediante Ecocolordoppler consente di evidenziare con precisione la sede esatta dei reflussi e di risparmiare tratti di vena sana e incisioni inutili. Una volta posta indicazione all’intervento il paziente viene sottoposto ad una "routine" di esami del sangue (emocromo, coagulazione, ecc) e ad un elettrocardiogramma, ovviamente in assenza di patologie particolari che richiedano una consulenza specialistica. Il giorno dell’intervento tutte le varicosità da trattare vengono “mappate” con un pennarello; una volta in camera operatoria il paziente viene monitorizzato (ovvero vengono controllati il ritmo cardiaco, il polso arterioso e la pressione su di un monitor) in presenza dell’anestesista, che può provvedere ad una lieve sedazione farmacologica. Si pratica dapprima l’anestesia locale lungo i tronchi varicosi più evidenti (anche la safena stessa se necessario) con una soluzione di anestetico molto diluito in modo da scollare le varici dal tessuto sottocutaneo. In seguito si procede ad anestetizzare la piega inguinale (in caso di insufficienza della grande safena) o la piega del ginocchio (in caso di insufficienza della piccola safena). Il primo tempo consiste nella “crossectomia” della safena e nella legatura delle affluenti alla “crosse”; si tratta di un atto chirurgico che esige estrema cura, al fine di evitare di lasciare dei tronchi varicosi che, in un secondo tempo, potrebbero dare una “recidiva” ricanalizzando i vasi sottostanti. In seguito si può procedere allo stripping della grande safena insufficiente o alla sua flebectomia mediante mini-incisioni nel tratto varicoso; si tratta di scelte tecniche legate alle abitudini dell’operatore. Nella foto qui a fianco potete osservare l’atto della crossectomia; i fili sottendono tutti i vasi affluenti alla grande safena che andranno quindi legati e sezionti. La flebectomia secondo Muller è una tecnica che consente di asportare la varicosità superficiali mediante mini incisioni che garantiscono un buon risultato estetico, evitando quelle cicatrici
deturpanti caratteristiche degli interventi di anni or sono. Si esegue in anestesia locale con l’ausilio di un uncino che serve a sollevare la varice e ad estrarla con opportune manovre Al termine dell'intervento non si appongo punti di sutura cutanei e la cicatrice inguinale viene suturata con una “intradermica” in materiale riassorbibile, che risulterà praticamente invisibile. Il pazienti indossa quindi una calza elastica compressiva e la deambulazione avviene poco dopo il ritorno al Day Hospital. Abbiamo descritto sinteticamente l’intervento "classico" per varici della grande safena, ma in questi ultimi anni sono state proposte molte soluzioni chirurgiche che sicuramente avranno sollecitato la vostra curiosità e di cui riteniamo opportuna parlare e tra queste; -CHIVA (Cura Emodinamica dell’Insufficienza Venosa in Ambulatorio). Rappresenta una modalità di trattamento ancora oggi piuttosto discussa, che ha trovato fervidi sostenitori ed altrettanti detrattori; il principio della tecnica (piuttosto complicato da spiegare ai non specialisti...) si può riassumere nella conservazione della grande safena che, mediante opportune legature determinate dal mappaggio Ecocolordoppler, diventa un vaso drenante il sangue attraverso perforanti “di rientro” nel circolo profondo. Nonostante siano stati pubblicati risultati favorevoli anche a 3 anni dall’intervento la CHIVA necessita di indicazioni precise, di uno studio emodinamico “dedicato” eseguito da operatori esperti e deve essere eseguita in centri specialistici (anche in questo caso in regime di Day Hospital). Radiofrequenza (o tecnica “closure”), che consiste nella “chiusura” della grande safena mediante l’applicazione di energia termica attraverso un catetere introdotto nel vaso; può essere eseguita in anestesia locale o loco regionale. Tecniche laser; hanno avuto un grosso impatto mediatico, anche per l’impatto che la parola suscita nella fantasia del paziente. Innanzitutto una domanda che sembra banale; cos’è il laser? Si tratta di un fascio di luce che con il suo calore danneggia la vena causandone la fibrosi e la “chiusura”. Inizialmente utilizzato per le piccole vene della cute, recentemente è stato proposto per il trattamento delle safene. Con il laser si ottiene la contrazione delle fibre costitutive del vaso mediante l’energia termica sprigionata dalla sonda inserita all’interno del lume venoso. Questa tecnologia, seppure a tutt’oggi manchino risultati a lungo termine, sembra estremamente
promettente; il trattamento è totalmente ambulatoriale e, in mani esperte, consente un rapido recupero del paziente. L’alto costo delle attrezzature (sonda laser e da radiofrequenza) utilizzate è ancora un ostacolo alla diffusione di queste terapie che, comunque, potrebbero presto rappresentare un punto di svolta nel trattamento della patologia varicosa.
Cos’è la scleroterapia? Nella scleroterapia all’interno della varice viene iniettata una sostanza (liquido sclerosante) che ne danneggia la parete interna, provocandone lo spasmo, la trombosi ed una reazione infiammatoria che, nelle intenzioni, dovrebbe portare alla chiusura definitiva della vena. Nel trattamento dell’insufficienza della grande safena la scleroterapia ha storicamente dimostrato di ottenere risultati inizialmente brillanti, che però non riescono a durare nel tempo; anche combinata alla chirurgia la scleroterapia non si è dimostrata altrettanto efficace quanto la chirurgia da sola. Tuttavia la recente introduzione della “schiuma” sclerosante ovvero una schiuma ottenuta miscelando il farmaco in un modo particolare) sta dimostrando sviluppi interessanti, sia abbinata alla chirurgia (con la crossectomia e quindi la sclerosi della safena mediante un catetere inserito nella vena) sia mediante sclerosi Eco guidata (lo sclerosante viene introdotto nel lume della safena mediante un catetere sotto guida ecografica).
Al di fuori di questa che possiamo definire “sclerosi maggiore” la grande popolarità della scleroterapia è dovuta al trattamento delle piccole varici cutanee, dette “teleangectasie” inestetismo molto diffuso tra la popolazione femminile e di cui vedete un esempio nelle due fotografie qui sopra. La soluzione sclerosante viene iniettata nella vena mediante un ago sottile: la sensibilità individuale al dolore varia da paziente a paziente, ma generalmente il fastidio si riduce ad un bruciore che può durare al massimo pochi minuti. E’ bene dire che la scleroterapia rappresenta un “alto artigianato medico” che richiede anni di apprendimento; nonostante si sia tentato di standardizzare il trattamento e le concentrazioni delle sostanze sclerosanti ogni operatore crede nelle “sue” concentrazioni e nei “suoi” farmaci. La scleroterapia ha poche controindicazioni, ma la più importante è senza dubbio l’allergia al mezzo sclerosante; seppure i farmaci utilizzati siano oggi altamente purificati e le reazioni gravi riportate in Letteratura poco frequenti andrà sempre accertata un ipersensibilità o eventuali allergie al prodotto.
Al termine del trattamento potrete tranquillamente guidare o svolgere tutte le normali attività quotidiane; dovrete indossare una calza elastica a compressione graduata e ovviamente sarà meglio evitare bagni caldi, saune o l’esposizione diretta al sole. Le complicanze non sono frequenti, ma potenzialmente fastidiose; tra queste la “pigmentazione” (ovvero la comparsa di macchie scure nella sede di iniezione) gli ematomi (frequenti, ma passeggeri) un lieve alone di gonfiore sulla parte trattata e, questo più grave ma molto raro, la comparsa di una necrosi cutanea.
Ma le varici ritornano? Molte pazienti rifiutano di sottoporsi all’intervento chirurgico nella convinzione che “tanto le varici ritornano”. Sarebbe come rifiutarsi di andare dal dentista perché … tanto le carie ai denti si ripresentano sempre. L’intervento chirurgico deve essere inteso come una parte fondamentale, ma non la sola, del trattamento dell’insufficienza venosa che andrà seguita negli anni con visite di controllo e una sorveglianza attenta.
Tuttavia è possibile che un intervento non abbia successo e questo può essere dovuto a; - un errore di tecnica chirurgica, purtroppo sempre possibile. -un’errata strategia di trattamento (uno studio preoperatorio insufficiente o mal condotto). -il progredire della patologia varicosa (episodi di flebotrombosi che modificano la circolazione venosa profonda, traumi della gamba, gravidanze con aumento di peso ed altre situazioni parafisiologiche). Si dovrà sempre cercare di accertare le cause della recidiva varicosa; se, ad esempio, dopo uno stripping della grande safena le varici si ripresentano è possibile che sia comparsa un’insufficienza della piccola safena. Oppure che sia stata eseguita una “crossectomia” non corretta ed il tronco della grande safena si trovi ancora in sede. Si tratta di possibilità che devono essere accertate da una visita accurata, che può indirizzare lo studio diagnostico in modo preciso; un Ecocolordoppler eseguito da mani esperte è in grado di sciogliere questi dubbi.
Le ulcere varicose; si guarisce? Quotidianamente il flebologo si trova di fronte al problema delle ulcere degli arti inferiori che, con l’aumentare della popolazione anziana, sono diventate sempre più frequenti e purtroppo raramente riescono ad essere correttamente inquadrate e trattate. I pazienti spesso giungono in ambulatorio dopo cicli di medicazioni eseguite artigianalmente, nei modi più disparati e dolorosi, con ulcere francamente infette e, quello che è peggio, senza che la causa vera dell’ulcera sia stata indagata o sospettata. Talvolta si tratta di lesioni insorte su una pelle fragile a causa di un trauma banale e medicate con sostanze che irritano la pelle (lo iodio ad esempio) oppure di ulcere che si aprono su una cute che da anni porta le stigmate di una sindrome postflebitca o con varici inveterate. Nei casi peggiori l’ulcera appare coperta da strati di pomate o polveri cicatrizzanti al di sotto delle quali si trova tessuto infetto e purulento. Il primo passo da compiere è quello di porre una diagnosi, ovvero di capire perché è insorta l’ulcera. E’ evidente che i pazienti affetti da una arteriopatia (ad esempio diabetici o forti fumatori) andranno indirizzati al chirurgo vascolare per un tentativo di rivascolarizzazione delle arterie dell’arto inferiore (quando possibile), mentre nelle ulcere post-traumatiche si dovrà
procedere alla disinfezione-detersione fino a veder comparire un tessuto vivace capace di dare origine alla riparazione tessutale. Nelle ulcere di origine venosa, generalmente le più frequenti, lo studio emodinamico dovrà precisare la sede dei reflussi patologici e lo stato del circolo venoso profondo; una volta posta diagnosi di insufficienza venosa, si procederà alla disinfezione-detersione dell’ulcera. Le prime medicazioni dovranno essere eseguite dallo specialista, ma in seguito il paziente può essere istruito a medicarsi da solo (quando autosufficiente ovviamente) evitando così lunghe file ed attese davanti all’ambulatorio. L’ulcera dovrà essere lavata per almeno due volte al giorno con un sapone antisettico e quindi coperta con una garza sterile; la medicazione verrà tenuta in sede con un calza leggera sulla quale verrà indossata una calza elastica a compressione graduata. Da molti anni ho iniziato ad istruire i pazienti all’automedicazione (o anche i loro parenti) con buoni risultati; ovviamente almeno una volta alla settimana il paziente andrà controllato e, se necessario, modificate le modalità della medicazione. Tuttavia in presenza di una grossa varice sintomatica la terapia locale dell’ulcera darà successi parziali; solo l’abolizione del reflusso varicoso potrà portare alla guarigione stabile dell’ulcera, mentre nei casi più gravi potrà essere necessario un innesto di cute. Resta comunque inteso che anche dopo l’intervento il paziente dovrà indossare una calza elastica per mantenere e consolidare il risultato ottenuto dalla chirurgia, in particolare nelle ulcere conseguenti ad una flebotrombosi.
Questo sito è stato realizzato a cura Dr. Alberto Garavello Chirurgo - Specialista in Chirurgia Vascolare
Il dottor Alberto Garavello è nato a Milano nel 1959. Si laurea nel 1985 presso l'Università di Roma "La Sapienza" con una tesi sulla chirurgia carotidea. La sua formazione chirurgica inizia nello stesso anno con la frequenza del Reparto di Chirurgia Generale dell'Ospedale San Filippo Neri di Roma, diretto dal Prof. Pietro Mascagni. Da subito inizia una collaborazione con il Servizio di Flebologia diretto dall'amico e collega Dr. Ugo Alonzo, che si concretizzerà negli anni seguenti con l'organizzazione di numerosi congressi sui temi della patologia e dell'emodinamica venosa, che vedranno la partecipazione di esperti italiani ed europei. All'inizio degli anni '90 con altri colleghi del Reparto organizza il Day Hospital chirurgico, uno dei primi della Capitale, dove si eseguono interventi per ernia inguinale, patologia proctologica e, ovviamente, per varici degli arti inferiori. Nel 1999 lascia il San Filippo Neri e si trasferisce presso l'Ospedale San Giuseppe di Marino dove, accanto all'attività di Chirurgo Generale, organizza il primo Day Hospital flebologico della ASL RM H eseguendo in prima persona alcune centinaia di interventi per varici degli arti inferiori. Nella stessa sede organizza corsi per infermieri professionali sui temi della flebologia chirurgica, dell'organizzazione del Day Hospital chirurgico e della prevenzione e trattamento della trombosi venosa profonda. Partecipa inoltre alle attività dell'ARVAS, tenendo lezioni ai volontari su temi di chirurgia vascolare, flebologia e prevenzione delle malattie vascolari. Nel 2007 ritorna al San Filippo Neri presso la Chirurgia Generale e d'Urgenza diretta dal Dr. Alessandro Mero, dove riprende la sua attività di chirurgia generale e di Flebologia chirurgica.
Come contattare il Dr.Garavello; e-mail;
[email protected] Dr. Alberto Garavello - Dirigente I livello UOC di Chirurgia Generale e d'Urgenza - Direttore Dr. A Mero - Ospedale San Filippo Neri - Roma
Studio; riceve per appuntamento; -a ROMA; c/o Studio Medico "Bulletta" V.Sabotino 2/A Roma (Quartiere "Delle Vittorie") - Tel. 06 37353104. -a ROMA SUD; S.Maria delle Mole; Via Nettunense 64 c/o "Fisio Medical Center" - Tel 06 93543077 Chiunque fosse interessato a materiale audiovisivo per conferenze dedicate al personale infermieristico su temi di flebologia chirurgica e trombosi venosa (prevenzione e trattamento) può farne richiesta alla seguente mail, indicando l'Ente di appartenenza, le finalità, il tipo di manifestazione didattica, la data ed il luogo dell'incontro; il materiale verrà fornito senza alcuna spesa. Sempre allo stesso indirizzo i pazienti o chi fosse interessato può rivolgere domande specifiche su casi particolari, a cui verrà risposto nei limiti del possibile.
Tutto il materiale che vedete pubblicato è originale ed è stato raccolto personalmente dal Dr.Garavello nel corso della sua attività clinica e chirurgica.