di Davide Bennato
IL MERCATO DELLE CONVERSAZIONI esistono i media sociali, le cose stanno profondamente cambiando. Infatti le persone quando indossano i panni dei consumatori nel momento in cui cercano informazioni in rete, non si accontentano più di trovare siti dai quali acquistare il prodotto oggetto del loro desiderio (e-commerce) o collezionare avidamente informazioni tecniche così da scegliere il prodotto che sarà acquistato nel negozio di fiducia, meglio se vicino casa (infocommerce). Sempre più spesso i consumatori online cercano consumatori come loro per Da quando internet è diventato uno strumento strategico per il marketing, diverse sono le tecniche che si sono appropriate delle caratteristiche sociali e tecnologiche per far incontrare in maniera efficace chi offre un prodotto (o servizio) e chi lo cerca online. Il SEO (Search Engine Optimization) è una di queste tecniche: far sì che i motori di ricerca siano in grado non solo di indicizzare in maniera pertinente le informazioni di un sito, ma anche che il consumatore potenziale nel momento in cui va alla ricerca di specifiche parole chiave – che esprimono il suo inte-
resse verso un bene – riesca a trovare l’azienda che fa al caso suo, l’offerta più allettante o comunque il sito che è stato più bravo nell’offrire informazioni strutturate ai motori di ricerca (termine generico che di solito sottende Google). La cassetta degli attrezzi del SEO è rimasta praticamente invariata da quando esistono i search engine: opportuna scelta delle parole chiave, organizzazione funzionale delle aree del sito, editing del file robots.txt che dà informazioni interessanti allo spider del motore stesso, uso dei metatag HTML e così via dicendo. Da quando però 58
avere informazioni sul prodotto da acquistare. Non più informazioni, ma consigli sull’acquisto. Non più recensioni tecniche, ma impressioni d’uso. Non più messaggi pubblicitari, ma conversazioni su questo o quel prodotto. Lo aveva profetizzato il famoso Manifesto Cluetrain, le 95 tesi programmatiche scritte nel 1999 da un gruppo di esperti di marketing e pubbliche relazioni (tra cui David Weinberger e Doc Searls, veri blog evangelists ) che avevano capito una cosa importante: con lo sviluppo dei media digitali il marketing broadcast avrebbe lasciato posto al
marketing conversazionale. Cosa vuol dire? Vuol dire che la comunicazioncommerciale – ovvero la comunicazione che ha lo scopo di vendere qualcosa: un frigorifero, un software, un’ideologia – avrebbe dovuto cambiare stile, abbandonando la logica shoot’em up tipica della televisione, a favore di una strategia dialogica atta cioè a instaurare un dialogo con il cliente, tipica dei media legati al web 2.0. D’altro canto qual è la caratteristica dei blog? I commenti. Quale il successo dei social network? La chiacchiera. Bisogna avere ben chiaro che il marketing conversazionale non vuol dire solo avere un blog su
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Wordpress, una presenza su Facebook, mandare messaggi con Twitter. No. Vuol dire che se il cliente solleva un dubbio, quel dubbio va fugato. Se il cliente si lamenta, il lamento va consolato. Se il cliente si arrabbia per un disservizio, il cliente va calmato. Insomma l’azienda non può vendere un prodotto e scappare, ma deve vendere un prodotto e stare al servizio di chi si è fidato della pubblicità, dell’offerta speciale o di qualunque altro strumento che lo ha portato a dire “Sì. Acquisterò il prodotto X della marca Y”. Strategia dialogica si diceva, ma cosa vuol dire? Facciamo un esempio.
Due persone parlano fra loro, su un tema qualsiasi. A meno che non siano presi da una conversazione che sta loro a cuore - il calcio, la politica, le donne, magari la stessa donna – la conversazione procede serena. Si danno il cambio, prima parla uno, poi l’altro. Come fanno a rispettare i turni di parola? Semplice: ascoltando. Una delle più importanti caratteristiche delle conversazioni è che prima si ascolta e poi si interviene, ed è questa la killer application del marketing conversazionale ispirato alle tesi del manifesto Cluetrain: prima ascoltare, poi rispondere. Ascoltare cosa? Cosa i clienti hanno da dire sul prodotto acquistato: cosa va bene, cosa va male, in cosa sono soddisfatti, in cosa delusi. Internet diventa così un costante, continuo, sistematico focus group in cui le aziende pescano a piene mani per sapere qual è l’immagine del loro brand e del loro prodotto. Il termine che si usa è ORM, Online Reputation Management, ovvero gestione della reputazione online e significa che le aziende devono saper ascoltare e – quando necessario – intervenire per
difendere il loro buon nome, o più prosaicamente, garantire che il cliente continui ad avere fiducia verso il brand. Ma come fare per ascoltare? Semplice: le persone parlano attraverso i media sociali, perciò lasciano tracce delle proprie conversazioni. Verba manent, verrebbe da dire. Quindi si possono usare una serie di strumenti – liberi o a pagamento – per monitorare le conversazioni online e per vedere cosa si dice in rete su aziende, prodotti, servizi. Diverse sono le applicazioni specificamente progettate per questo scopo. Un esempio è Social Mention [http://www.socialmention.com] in grado di ricercare all’interno di un numero molto grande di fonti, dai blog ai video, inoltre ha una serie di widget facilmente incorporabili in un blog, così da monitorare in tempo reale alcune parole-chiave – come brand, prodotti, servizi, persone – di nostro interesse. Se ciò non bastasse, Social Mention fornisce anche un utile servizio di sentiment analysis, ovvero analisi dell’orientamento (positivo, negativo, neutro) dei messaggi ricercati: funziona ottimamente in inglese, meno bene in italiano.
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Sulla stessa falsariga c’è Trendpedia [http://trendpedia.com], capace di ricercare l’andamento delle parole chiave all’interno dei blog, con tanto di rappresentazione grafica della quantità di conversazioni legate allo specifico argomento. Allo stesso modo Technorati [http://technorati.com] famoso motore di ricerca per blog, ma anche dotato di utili strumenti per il monitoraggio delle conversazioni. Strumento un po’ più professionale è senza dubbio Blogpulse [http://www.blogpulse.com] servizio gratuito di un’applicazione commerciale della società di ricerche di mercato Nielsen, applicazione molto efficiente con ottimi strumenti di visualizzazione in grado di comparare l’andamento di diverse parole chiave nella blogosfera. Tutti concordano che è Twitter l’applicazione in cui meglio si sviluppano le conversazioni più interessanti e un po’ per le policy di libero accesso al database di Twitter, un po’ per la crescita costante dell’applicazione, davvero tanti sono gli strumenti per attivare il monitoraggio delle conversazioni in questa piattaforma per il microblogging.
Ma perché ascoltare Twitter? Basti pensare che è recentemente salita all’onore delle cronache dei media mainstream per il suo ruolo strategico nel diffondere le informazioni sui fatti relativi alle elezioni in Iran. Tweet Volume [http://www.tweetvolume.com] consente di comparare graficamente l’andamento di alcune parole chiave all’interno dell’universo dei messaggi scambiati in questa piattaforma. Twitter Streamgraph [http://www. neoformix.com/Projects/TwitterStreamGraphs/view.php] è una via di mezzo fra un sofisticato progetto di design e un motore per visualizzare keyword: infatti il suo output è un sofisticato grafico in grado di visualizzare il trend delle conversaziorni in Twitter. Se il nostro scopo è farci un’idea di quante volte una parola chiave – un brand, un prodotto – ricorre nei discorsi dei twitters, basta utilizzare Twitter Search [http://search.twitter. com] e avere così un indicatore, grezzo ma interessante, di ciò che accade nella twitter-sfera. Specificamente dedicata all’andamento dei trend in Twitter è Twist [http://twist.flaptor.com],
utilissimo per intercettare come si sviluppano i trend sui più diversi temi, trend che poi andranno ad impattare tutto l’universo dei media sociali, grazie alla viralità e della libera circolazione di notizie e informazioni. Le persone su internet parlano, anche quando si confrontano su acquisti, prodotti e tutto il resto. È un ottimo sistema per un’azienda per sapere cosa dicono di sé i suoi maggiori esperti, ovvero i clienti. Al marketing conversazionale resta però un impegno gravoso, ma affascinante: instaurare un dialogo tra clienti e mercato, far capire non solo la bontà del prodotto, ma anche dell’azienda. La rete è la più grande risorsa reputazionale esistente, intorno alla quale è possibile costruire strategie basate sulla fiducia e sul reciproco rispetto, in quanto azienda, in quanto cliente. Nasce così un mercato delle conversazioni, che non vuol dire far mercimonio dei discorsi, ma ascoltare per costruire un rapporto. Perché acquistare non vuol dire solo dare soldi in cambio di un bene, acquistare vuol dire anche costruire una relazione sociale. 61