Conclusioni

  • October 2019
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Conclusioni Alla fine di maggio il TG11 è sbarcato online con un nuovo sito internet, innovato e ricco di contenuti diversificati che non sono limitati alla semplice riproduzione delle edizioni del telegiornale che va in onda sul supporto analogico. Il nuovo sito ospita, oltre alle edizioni dei telegiornali, anche degli spazi dedicati ai contenuti generati dagli utenti che di volta in volta verranno chiamati ad esprimersi su argomenti proposti dalla redazione. Si possono trovare anche diversi strumenti per interagire con la redazione, tramite i blog (sono quattro al momento in cui scrivo, tra cui uno tenuto dal direttore della testata) attivati o tramite gli indirizzi e-mail dei singoli giornalisti. Il Tg1 è il telegiornale di punta delle reti televisive pubbliche ed è senza dubbio un’istituzione nell’ambito dell’informazione italiana. Il fatto che sia sbarcato, finalmente, con decisione sul web è un evento storico. Se anche il Tg più istituzionalizzato della televisione ha deciso di entrare con forza nel web è davvero segno che i tempi per l’informazione stanno definitivamente cambiando. E’ troppo presto per dire che i media tradizionali scompariranno. Quello che è certo è che il loro lavoro si sta spostando su piattaforme nuove, digitali, anche se, ovviamente, ci vorrà molto tempo ancora per abbandonare le vecchie piattaforme mediali. In realtà, non è detto che questo accada, ma la strada intrapresa va nella direzione di una loro netta riduzione. Per adesso stiamo assistendo ad un processo di convergenza tecnologica verso il digitale con tutte le implicazioni pratiche che questo comporta, prima tra tutte la 1

http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/

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complementarietà tra nuovi media e vecchi media nel campo dell’informazione. Questo processo non cancella per ora i contenuti in analogico o gli altri old media, più che altro li integra, fornendo al pubblico ulteriori strumenti di informazione. Le redazioni giornalistiche si stanno tutte adattando alle nuove condizioni tecnologiche che impongono una presenza importante e strutturata all’interno del web. Rimanerne fuori potrebbe essere un rischio troppo grande dal punto di vista sia commerciale sia di prestigio. I consumatori di informazioni, a loro volta, non stanno più con le mani in mano, passivi di fronte ai messaggi mediali. Grazie alla diffusione delle tecnologie digitali e alla convergenza dei media tradizionali verso le nuove piattaforme tecnologiche, il pubblico ha la possibilità, che non ha precedenti nella storia, di poter partecipare attivamente alla produzione di contenuti e di informazioni. Il pubblico ha preso possesso dei media, dei nuovi media, per poter esprimersi e comunicare se non alla pari con i mass media, almeno quasi. Le modalità con le quali il pubblico partecipa attivamente alla produzione dei contenuti informativi sono svariate. Dai commenti agli articoli delle testate tradizionali sui loro siti, ai forum, ai sondaggi e così via. I cittadini connessi al web possono anche collaborare attivamente alla produzione delle informazioni e delle notizie collaborando sia con l’attività dei giornalisti che con gli editori. Le forme in cui questa collaborazione può svilupparsi sono delle più varie, ma ciò che è importante è che il numero di queste collaborazioni attive è in crescente aumento in ogni parte del mondo.

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Di fronte alla partecipazione sempre più massiccia e di qualità

del

proprio

pubblico,

anche

i

professionisti

dell’informazione non possono stare fermi ed arroccarsi sulle posizioni tradizionaliste che portano qualcuno a ritenere che la categoria dei giornalisti sia l’unica deputata a fare informazione. Non è così e ciò è sempre più evidente anche agli scettici e ai tradizionalisti. I giornalisti svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento degli standard democratici di ogni paese libero e democratico ma, per assolvere al meglio il proprio compito, occorre che il mondo del giornalismo si adegui ai cambiamenti tecnologici e sociali che le società occidentali stanno vivendo. Molti giornalisti lo stanno facendo consultando i blog, accettando confronti schietti e diretti con i propri lettori e, sempre più spesso, aprendo un proprio blog per esercitare liberamente il proprio mestiere e condividere la propria conoscenza, le proprie scoperte e le proprie opinioni, che spesso sono nascoste sotto la coperta dell’obiettività con cui le testate tradizionali amano coprirsi. Il giornalista, come il cittadino, ha a disposizione degli strumenti che gli consentono di interagire con un pubblico senza dover subire un controllo redazionale riguardo la compatibilità di quanto scrive con le linee editoriali disegnate dalla proprietà della testata per cui lavora. Cittadini e giornalisti si trovano così a fare informazione sullo stesso campo, trovandosi molto spesso a collaborare per perseguire l’obiettivo di offrire un’informazione più completa e plurale, che consenta davvero di aumentare gli standard della conoscenza comune. Un giornalista può scoprire delle storie osservando e leggendo dei blog di non professionisti, trattarle sul suo spazio, approfondirle e, grazie alle sue abilità

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professionali, rendere completa e contestualizzata un’istanza, una denuncia o una buona notizia riportata da un blogger. Questi, allo stesso modo, può riconoscere il buon lavoro fatto da un giornalista – blogger, riportandolo e linkandolo al proprio blog, aumentandone così la visibilità e la reputazione presso il proprio pubblico. Si viene a creare così una effettiva collaborazione nella creazione e nella promozione di contenuti e informazioni che spesso non trovano spazio sui giornali di carta, nel tubo catodico o tra le frequenze radio. Un mondo che fino a pochi anni fa non aveva voce sta venendo alla ribalta e sta guadagnando spazi importanti nel tempo che i cittadini dedicano ad informarsi. I professionisti dei grandi media devono tenere conto di questa possibilità che è nelle mani del pubblico e devono imparare ad ascoltarlo sempre di più ed imparare ad usare il buon senso collettivo dei pubblici dell’informazione per migliorare le notizie. Anche nel mondo degli editori c’è chi è ancora scettico nei confronti dell’informazione prodotta dagli utenti, in quanto non riesce a vedervi una fonte di profitto. C’è anche, però, chi è più audace e, intravedendo delle possibilità di sviluppo, si sta lanciando in un’avventura editoriale senza precedenti, ovvero quella di non chiedere più esclusivamente ai giornalisti di fare informazione per la propria testata, ma di aprirla al contributo di tutti, siano essi giornalisti o meno. Ancora non vi sono certezze sul successo e sulla riuscita di questi progetti, ma non vi è dubbio che se non si inizia a sperimentare non si riusciranno mai a comprendere quali sono le giuste modalità per far sì che progetti di questo

tipo

abbiano

successo.

Queste

sperimentazioni

si

diffonderanno sempre di più conquistando certezze passo dopo passo, soprattutto alla luce del fatto che i media tradizionali sono in

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crisi. Perdono utenti e, di conseguenza, inserzionisti pubblicitari che si stanno spostando, se pur lentamente, ma inesorabilmente, verso il web e le sue forme innovative di advertising commerciale. Il settimo rapporto del Censis sulla comunicazione (“L’evoluzione delle diete mediatiche giovanili in Italia e in Europa”2), pubblicato il 7 giugno 2008 fotografa il movimento dei consumi mediali dei giovani italiani ed europei, in una fascia d’età che va dai 14 ai 29 anni. Dai dati emersi risulta evidente come negli ultimi 4 anni il consumo mediale delle giovani generazioni si sia spostato massicciamente verso gli strumenti digitali, anche se il consumo è in generale aumentato per tutti gli strumenti mediali (new e old) con la sola eccezione della televisione generalista che ha registrato una significativa diminuzione del suo utilizzo. L’uso di internet da parte dei giovani è aumentato dal 2003 al 2007 del 22%, passando dal 61% all’83%. Mentre anche gli altri media, compresi quelli cartacei come quotidiani, libri e periodici, registrano un aumento di consumo da parte dei giovani, il medium televisivo è passato, invece, da una percentuale del 94,9% di utenti giovani del 2003 all’87,9% del 2007. Negli ultimi 4 anni la Tv ha perso il 7% di utenti in un contesto in cui il consumo mediale totale sta aumentando. La televisione sembra stia pagando la disaffezione del pubblico giovanile non solo nel campo dell’informazione ma anche nel campo dell’intrattenimento in quanto, sempre in base ai dati Censis, l’utenza televisiva nel tempo libero dei giovani è diminuita del 5% circa, mentre l’utilizzo di internet è aumentato del 30,7% (dal 20,0% del 2003 al 50,7% del 2007). In realtà, il medium che in questo campo sembra pagare di più l’avanzata di internet è la radio, che perde circa il 14% di 2

http://www.censis.it/

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utenti. La causa di questo è che i giovani preferiscono sempre più ascoltare, musica essenzialmente, sempre più in base alle proprie esigenze, tramite podcast e file mp3, grazie anche alla diffusione di maneggevoli strumenti che consentono l’ascolto di questi file ovunque. La lettura di un quotidiano nel tempo libero è diminuita leggermente, però sono aumentati il consumo delle riviste e, soprattutto, dei libri, con una crescita del 12,6% negli ultimi 4 anni. Provando a commentare brevemente questi dati, si potrebbe dire che i giovani italiani si stanno disaffezionando soprattutto a quei contenuti informativi e di intrattenimento che negli ultimi anni si sono spostati sempre più verso un certo tipo di sensazionalismo ed esagerazione, causando un allontanamento dei loro messaggi dalla realtà e dalla vita vissuta. Incrementando l’uso di internet, dei libri e delle riviste, i giovani dimostrano di preferire sempre più contenuti approfonditi e strutturati in maniera da favorire

la

conoscenza.

Questo

vale

anche

nel

campo

dell’informazione, come nell’intrattenimento, in cui i cittadini, e i giovani in prima fila, preferiscono crearsi in maniera autonoma le proprie diete mediali in base alla fiducia e alla reputazione che essi stessi danno ai medium dai quali attingono le loro conoscenze e le loro fonti di intrattenimento. Abbiamo visto quanto il fenomeno del blogging

incida

nella

costruzione

di

un’informazione

personalizzata da parte dei singoli individui. Infatti, Adam Curry, imprenditore nel campo delle tecnologie, nonché blogger3, intervistato da D. Burstein, sostiene che il blogging “ha completamente liberato le notizie e le informazioni che leggiamo, guardiamo e ascoltiamo dalle 3

http://live.curry.com

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costrizioni del controllo dei Grandi media […] Stiamo prendendo il controllo delle nostre televisioni. Non sarà più importante come la televisione verrà trasmessa, se in modo tradizionale, via cavo o via internet. La televisione sta diventando monocanale, il nostro canale personale che trasmette la nostra programmazione libera da inserti pubblicitari […] Poi c’è la radio, quella passata totalmente su tecnologie wireless che arriva ovunque […] ha iniziato ad essere personalizzata attraverso il satellite e i blog […] Infine, grazie alla potenza dei computer e di internet, e in particolare dei blog, stiamo guadagnando il controllo anche dei nostri media cartacei. Ora si possono trovare centinaia di differenti fonti d’informazione e si possono anche creare proprie notizie. Ciò offre la possibilità di ‘triangolare’ l’informazione: mentre si legge la versione del New York Times sui bombardamenti di Bagdad, per esempio, si possono contemporaneamente consultare i resoconti dei blogger che hanno assistito di persona alle esplosioni”4. La lettura dei dati del Censis può contribuire ad avvalorare l’opinione di Adam Curry soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra internet, blog e media cartacei. Se è vero che questi due mondi si stanno muovendo verso una collaborazione sempre più stretta – sotto la spinta del pubblico che è diventato un vero protagonista

del

mondo

dell’informazione



è

possibile

comprendere perché nella dieta mediale dei giovani italiani (ma questo vale anche per i giovani di tutta Europa) non stia aumentando solo il consumo di internet, ma anche quello dei media cartacei a discapito delle “vecchie” radio e Tv. Se il mondo dell’informazione e della cultura riesce ad ascoltare di più le voci e le esigenze del proprio pubblico, questi tende a riavvicinarsi a 4

D. Kline, D. Burstein, Blog!, Sperling & Kupfer, Milano, 2005, pp. 226 - 227

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questi media di cui non ha mai negato l’importanza, ma di cui non sempre ha apprezzato i contenuti e lo ha dimostrato creandone di propri. I grandi media non possono più far finta che questo non stia succedendo. Tornando all’esempio di Curry sui bombardamenti sulla capitale irachena, è possibile consultare i blog dei cronisti delle testate e dei numerosi free lance che si trovano o si trovavano da quelle parti, ma è anche possibile leggere alcuni blog tenuti dagli iracheni e allo stesso tempo consultare i blog dei soldati americani, ma non solo americani, di stanza nel paese mediorientale. Il tutto confrontando i resoconti dei media mainstream che sempre più spesso sono il megafono dei comunicati e delle conferenze stampa tenute dai comandi militari di stanza nel paese. Non c’è dubbio che avere tutti questi punti di vista a disposizione di fronte ad un evento così tragico e difficile da raccontare dia all’informazione un senso di completezza che è impossibile raggiungere quando a raccontare gli eventi è una voce sola. La diffusione così estesa della pratica di raccontare fatti, eventi ed opinioni dai più svariati punti di vista, individuali o collettivi, consente di poter seriamente parlare di una pratica sociale che si sta consolidando e che nel futuro probabilmente sarà sempre più al servizio del pubblico: il giornalismo. Fare informazione ha sempre avuto un risvolto sociale e di interesse pubblico, in quanto consente alla popolazione di seguire i fatti del mondo e di comportarsi di conseguenza ed è per questo che l’accezione più nobile del mestiere del giornalista è quella del cane da guardia del potere, del “mastino” che in nome del pubblico interesse controlla e visiona da vicino coloro i quali decidono le sorti dei cittadini. Ultimamente in Italia, ma non solo, questo

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compito sembra essere venuto sempre meno, o, per meglio dire, l’informazione mainstream viene percepita dai cittadini sempre più al servizio dei grandi potentati economici e politici 5 e le poche voci realmente critiche vengono costantemente attaccate da questi potentati. Per continuare ad essere visibile,

l’informazione

mainstream è costretta a sbarcare in rete e a fare tesoro di tutti quei nuovi strumenti messi a disposizione dei cittadini, che non si fanno pregare per utilizzarli e che, anzi, volontariamente decidono di fare la propria parte esprimendo le proprie idee e condividendo le proprie conoscenze. In questo mondo in cui le informazioni viaggiano da uno spazio personale ad un altro e di passo in passo vengono completate, migliorate e, se è il caso, criticate e corrette, le voci libere del giornalismo si incontrano concretamente con il pubblico, che è stufo dell’informazione mainstream, contribuendo alla nascita di nuove, autorevoli e credibili, voci nel mondo dell’informazione. Questo meccanismo è tanto più utile e necessario nei paesi in cui le voci dell’informazione libera sono effettivamente minacciate da chi detiene il potere. Secondo Pino Scaccia6, giornalista e blogger, nel mondo ci sono 211 tra giornalisti e blogger in prigione. Questo vuol dire che raccontare i fatti sul web crea preoccupazione in chi ha interesse a mantenere regimi limitati di libertà di stampa, di cronaca e di critica. Raccontare fatti, descrivere la realtà e dare spazio ad opinioni diverse, nel rispetto reciproco, è una pratica di libertà, che è al 5

In base ai dati forniti dal Censis nel rapporto sulla comunicazione del 2008 l’82% dei cittadini ritiene che i telegiornali siano troppo influenzati dal potere politico: http://www.asca.it/moddettnews.php?idnews=761374&canale=ORA&articolo=TV:%2 0CENSIS,%20TG%20TROPPO%20LEGATI%20AL%20POTERE%20POLITICO%2 0PER%2082%25%20ITALIANI 6 http://reporterscaccia.splinder.com/

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servizio dell’interesse pubblico in ogni campo della vita sociale. Quando questa attività viene svolta di concerto tra professionisti e cittadini assume una forza che non ha precedenti nella storia dell’informazione, in quanto si svincola da direttive verticistiche e risponde all’esclusivo interesse del pubblico e dei cittadini. Tuttavia, non è possibile ignorare il fatto che queste pratiche sociali di liberazione dell’informazione possono essere esercitate da, e sono dirette a, una sezione molto limitata della popolazione mondiale. Il divario tecnologico e digitale (digital divide) tra paesi tecnologicamente avanzati e paesi del terzo mondo è sempre più profondo e, nonostante gli sforzi per ridurlo, non sembra accennare a diminuire. I paesi ricchi continuano la loro corsa verso nuovi lidi di libertà di informazione basati sulla disponibilità di tecnologie diffuse, mentre i poveri rimangono nella stessa posizione di indigenza e di impossibilità di accesso alle informazioni che è un fondamento imprescindibile per la libertà di ogni popolo. Il digital divide, comunque, non si evidenzia solo nel confronto tra paesi dall’economia opulenta e paesi poveri. Lo si può trovare anche all’interno dei paesi più sviluppati, laddove molte tecnologie non sono diffuse tra ampie porzioni di popolazione. L’Italia è un esempio calzante in quanto registra una forte arretratezza soprattutto nella diffusione della tecnologia delle reti a banda larga che, a causa del velocissimo sviluppo tecnologico digitale, risulta sempre più necessaria per accedere ai servizi in rete delle pubbliche amministrazioni e del mondo dell’informazione e di moltissimi operatori privati e del terzo settore.

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Oltre al divario strettamente tecnologico, occorre anche evidenziare un forte divario culturale esistente tra diverse aree della popolazione del pianeta, ma anche all’interno di ogni singolo paese. Questo divario non riguarda solo la classe politica, come ho avuto modo di accennare in un capitolo precedente, ma anche quelle ampie parti di popolazioni che sono legate ai tradizionali metodi di informazione e di relazioni con gli enti che erogano servizi pubblici. Se è vero - come sostengono molti osservatori dei nuovi processi sociali legati alla diffusione delle tecnologie digitali - che la comunicazione in rete favorisce la libertà di stampa, di opinione e di critica e, di conseguenza, una maggiore partecipazione politica, grazie ad un maggiore livello di consapevolezza delle vicende sociali, è purtroppo altrettanto vero che ampie parti della popolazione globale ne rimangono fuori. Se non vengono diffuse in maniera capillare, le nuove tecnologie rischiano di soddisfare i bisogni di pochi e di portare alla ribalta le esigenze di un’elite tecnologicamente e culturalmente avanzata, lasciando sempre più indietro coloro i quali non riescono a stare al passo con questi processi di sviluppo. L’accesso negato alle nuove forme di informazione si tramuta concretamente in un distacco ancora più acuto della popolazione dai poteri degli stati e dai nascenti potentati globali. Non vi è quindi dubbio che per diffondere gli aspetti positivi della comunicazione e dell’informazione in rete, sul piano sociale, occorre che questa sia accessibile a tutti. Solo in questo modo i miglioramenti sulla base della partecipazione sociale alla formazione dell’opinione pubblica, e dei suoi bisogni, saranno effettivi e realmente democratici.

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Purtroppo, se questo è un bisogno avvertito da tutti, è anche vero che la realizzazione di questa “eguaglianza tecnologica e informativa” è nelle mani di pochi soggetti economici e politici che contano nel campo dello sviluppo economico e tecnologico globale. La questione del digital divide è una questione cruciale per lo sviluppo dell’umanità nell’ottica della formazione di una società globale dell’informazione, in cui la conoscenza individuale e sociale diventa uno strumento essenziale per vivere meglio nel mondo. Chi resterà tagliato fuori dalla diffusione di queste conoscenze rischia concretamente di essere tagliato fuori da ogni movimento di sviluppo sociale e civile. Il digital divide dovrebbe quindi essere una priorità tra i problemi da risolvere che affliggono il

mondo,

di

importanza

inferiore

solo

alla

necessità

dell’autodeterminazione alimentare e dell’autosufficienza medica e farmaceutica dei popoli che ancora non l’hanno raggiunta. Tornando ora all’argomento principale di questo lavoro: alla luce di quanto scritto fino ad ora, la convivenza tra vecchie redazioni giornalistiche e weblog è, dunque, possibile? Granieri sostiene che “weblog e giornalismo tradizionale sono complementari, sono due aree diverse dell’ecosistema dei media, fortemente interconnesse ma con regole ed equilibri differenti”7. Sono d’accordo con questa visione per cui la risposta alla domanda, che mi pongo nel titolo di questa tesi, è che questa convivenza non solo è possibile, ma anche auspicabile, quasi necessaria, e lo è sotto molteplici aspetti.

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G. Granieri, Blog generation, Laterza, Roma – Bari, 2007, p 116

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Prima di tutto perché contribuisce ad arricchire il mondo dell’informazione in termini quantitativi ma anche qualitativi. Il pluralismo dell’informazione contribuisce, inoltre, ad aumentare la democraticità di ogni sistema, in quanto sappiamo bene che la libera informazione è un cardine di tutte le società che vogliono essere libere. Il fatto che i lettori, finalmente, possano partecipare al processo di produzione delle notizie è una forte spinta nella direzione di garantire maggiori diritti democratici alle popolazioni che possono usufruire di questi strumenti.. La maggiore completezza e pluralità delle informazioni, inoltre, può avere effetti benefici in termini di conoscenza collettiva. La conoscenza della gran parte del pubblico dei mass media difficilmente va oltre i contenuti proposti da questi. La possibilità di sviluppare a livello di massa una collaborazione che porti a moltiplicare i contenuti interessanti e credibili non può che arricchire tutto il sistema dell’informazione, della cultura e la conoscenza. In termini economici questa convivenza è alla portata sia delle grandi organizzazioni editoriali sia dei singoli blogger. La convenienza per le prime consiste nella possibilità di raggiungere un pubblico sempre più vasto che legge sempre meno i giornali e riduce sempre di più il tempo passato a consumare gli altri media di massa. Questo pubblico si informa su internet dai siti di informazione mainstream ma, spesso e volentieri, anche dai blog, sia da quelli più autorevoli e riconosciuti, sia da quelli tenuti da amici e conoscenti che ne hanno aperto uno. Data questa situazione la possibilità per un editore di poter raggiungere un pubblico nuovo consente di aprire ampi spazi per l’attrazione di inserzionisti che sempre più stanno spostando le loro attività sul web inventandosi

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numerose forme di marketing e advertising più mirate e personalizzate. Dal punto di vista economico dei blogger, questa sorta di “convivenza” può portare, a chi lo ritiene utile e positivo (non

bisogna

dimenticare

la

natura

volontaristica

ed

economicamente disinteressata di chi fa blogging) delle fonti alternative di guadagno rispetto a quelle tradizionali o addirittura di appropriarsi del controllo sulla propria vita professionale, inventandosi (o reinventandosi) nuove professionalità e nuove carriere che si prospettano all’orizzonte e che, negli Usa, si stanno già diffondendo, come quella del blogger per aziende o di consulente freelance sui temi delle nuove tecnologie, della comunicazione interpersonale e nel passaparola del web 2.0. Un esempio concreto italiano è Luca Conti, blogger trentaduenne che parla

proprio

di

questa

sua

esperienza

nel

suo

blog

www.pandemia.info che è, peraltro, uno dei più seguiti nel nostro paese. Certo è un caso ancora raro in Italia, ma negli Stati Uniti sono sempre di più i giovani intraprendenti che decidono di avviarsi in carriere individuali e autonome nel campo dei nuovi media8. Con ogni probabilità quello è il futuro che ci aspetta e che vedrà sempre più protagoniste le nuove generazioni che saranno immerse nelle informazioni a rete e nei network sociali. Chi, darwinianamente parlando, non vuol

rimanere indietro, e non

vuole essere escluso da una gran quantità di nuove possibilità di sviluppo delle conoscenze e delle responsabilità individuali e collettive, farsi trovare pronto al cambiamento, in maniera tale da 8

Ne parla un articolo del Wall Street Journal online, citato dallo stesso Conti nel suo blog, che si trova al link: http://online.wsj.com/article/SB121115437321202233.html?mod=opinion_main_com mentaries

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poterlo gestire in maniera consapevole e conveniente. Questa necessità vale sia per i cittadini che non vogliono farsi sommergere dal mare magnum delle informazioni, ma che desiderano governarle, sia per i professionisti dell’informazione, che possono concretamente adoperarsi per rendere il mondo più trasparente e aperto alle necessità e alle istanze dei cittadini, tornando a svolgere concretamente quell’attività di servizio pubblico (al servizio del pubblico) che troppo spesso nei media di massa è stata trascurata per accaparrarsi le simpatie dei potentati politici e finanziari di turno.

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